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Beer-foto-1Qualche suggestione in tema di “barbari” e Constitutio Antoniniana

 

Francesco Beer

Università del Molise

 

 

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Sulle origini dell’Editto di Caracalla. – 3. La progressiva internazionalizzazione dell’Impero: decentralizzazione ed impatto con i popoli del nord. – 4. Leggi romano-barbariche ed evoluzione dell’originario diritto romano. – 5. Conclusione.

 

 

1. – Premessa

 

Il tema della cittadinanza romana, della sua concessione e delle prerogative che ad essa si accompagnano, è da sempre al centro del dibattito dottrinale[1]. Le particolari attenzioni e le distinzioni storiche fra cives romani e peregrini sono sintomatiche di una particolare cura rivolta al cittadino romano, rispetto a coloro che non godevano di tale status. La stessa attività compiuta dal praetor peregrinus e dal praetor urbanus nasceva dall’esigenza di differenziare le due giurisdizioni, quella relativa a cittadini romani e stranieri e quella peculiare solo per i peregrini. Particolarmente importante al riguardo è la c.d. Constitutio Antoniniana, altrimenti definita Editto di Caracalla, a mezzo della quale l’Imperatore Marco Aurelio Severo Antonino nel 212 d.C. concesse, con poche eccezioni su cui si avrà modo di soffermarsi, la cittadinanza a tutti i cittadini dell’Impero.

La storiografia moderna si è a lungo soffermata sul provvedimento di Caracalla, in merito al quale vi è una generale scarsità di fonti[2]: rilevante in tal senso è stata la pubblicazione di un papiro egiziano appartenente al museo di Giessen, che contiene parte del testo della Constitutio Antoniniana medesima, avvenuta nel 1910 [3]. I maggiori dubbi in materia riguardano i limiti oggettivi e soggettivi dell’allargamento della cittadinanza romana, particolarmente in ordine alle eccezioni che furono previste per talune categorie di soggetti, ma anche le motivazioni di fondo che condussero l’Imperatore, al potere fino alla sua morte nell’aprile del 217 d.C., ad adottare un simile provvedimento. Inoltre particolarmente dibattute sono state le implicazioni derivanti dai dubbi circa la normativa applicabile ai soggetti ai quali il provvedimento del 212 d.C. era indirizzato[4]: a lungo si è argomentato in ordine alla sussistenza di una novella doppia cittadinanza piuttosto che, ed è l’opinione largamente dominante in dottrina, di una applicazione del diritto romano come normativa di portata generale, a cui si contrapponeva un diritto locale utilizzato in chiave consuetudinaria. Questa situazione era particolarmente viva nella parte orientale dell’Impero, laddove era maggiormente avvertita l’influenza greca, a differenza della parte occidentale di cultura prettamente romana; una conseguenza diretta della Constitutio Antoniniana era l’apertura quasi totale delle prerogative dell’originario mondo romano a tutti i suoi territori, segno ulteriore di un accentramento totale del potere, forse preludio al progressivo decadimento dell’Impero.

L’Editto di Caracalla, infatti, apre la strada ad una stagione di progressiva “romanizzazione” dell’Impero: in seguito alla centralizzazione del potere sorse la necessità di riorganizzazione delle fonti del diritto. Tale necessità fece da volano per la creazione di alcune raccolte normative che diverranno centrali nella prassi sociale delle popolazioni dell’Impero; le stesse leggi c.d. romano barbariche riprodussero gran parte di tali raccolte, contribuendo, seppur con intento innovativo e talvolta critico, a mantenere viva la memoria delle constitutiones imperiali. All’interno di questo breve scritto si tenterà di dare conto delle varie opinioni dottrinarie in merito alla nascita e alle conseguenze dirette dell’Editto di Caracalla, cercando di verificare, brevemente, l’impatto rispetto alla discesa delle popolazioni “barbariche”.

 

 

2. – Sulle origini dell’Editto di Caracalla

 

Infatti, fra i temi maggiormente dibattuti all’interno della dottrina vi è certamente quello delle origini e della ratio del provvedimento caracalliano[5]. Una fonte coeva di Dione Cassio[6] tende a ricondurre le origini del provvedimento a motivi di natura fiscale, e quindi alla necessità di assoggettare i peregrini alla legislazione erariale dei cives[7]. In ogni caso permangono i dubbi circa la possibilità che il provvedimento mirasse altrimenti all’affermazione ancora più netta e decisa del potere imperiale, in una prospettiva di controllo generalizzato dell’Impero: autorevole dottrina[8] afferma che la Constitutio Antoniniana «era in realtà lo sbocco di tutto un processo di adeguamento fra i Romani e loro sudditi […] così l’Editto si inseriva nel grande sviluppo storico d’internazionalizzazione, e in ispecie orientalizzazione, del nomen Romanorum, che dal III secolo procede sempre più spedito, fino a scavalcare le invasioni barbariche dell’Occidente ed a continuare nell’Impero bizantino». Come spesso era accaduto in precedenza e come sarebbe accaduto nel futuro all’interno della storia romana, Caracalla tese a concedere frequenti elargizioni alle sue milizie, in maniera tale da rinforzare la fiducia dell’esercito ed accrescere il morale: a farne le spese furono principalmente le opere pubbliche e, tra i cittadini, la classe dei senatori. Pertanto l’integrazione e la parificazione fra tutte le regioni dell’Impero, e soprattutto fra l’Oriente e l’Occidente, era certamente una delle ragioni che condussero ad appianare le differenze giuridiche esistenti fra i sudditi[9]. D’altra parte la progressiva riconduzione al potere centrale di ogni prerogativa in merito (anche) alla giustizia era un dato acquisito, assieme ad un lento decadimento della giurisprudenza classica come fonte creativa del diritto[10]. Fra le motivazioni profonde che condussero all’emanazione dell’Editto non vi erano certamente, almeno non come motivi di fondo, elementi di matrice religiosa: va tuttavia considerato, come si sottolinea in dottrina[11], che talune implicazioni legate alla persecuzione dei cristiani non furono secondarie, e produssero delle conseguenze rilevanti a livello sociale. Il provvedimento dell’Imperatore Caracalla, d’altra parte, non si estendeva a tutti i cittadini indiscriminatamente ma prevedeva delle eccezioni individuabili nei liberti dediticii ex lege Aelia Sentia e nei barbari dediticii: pertanto le popolazioni o gruppi di barbari che erano sottomessi dall’esercito romano erano esclusi dalle prerogative e dai benefici derivanti dallo status di cittadino romano.

 

 

3. – La progressiva internazionalizzazione dell’Impero: decentralizzazione ed impatto con i popoli del nord

 

Il progressivo incontro con le popolazioni dell’Europa del nord da parte dei romani venne sempre visto, nella cultura romana ma anche in quella greca, come il convergere di un sistema sociale subordinato (quello dei “barbari”) al cospetto di ordinamenti e sistemi di vita superiori come quelli dei romani. D’altra parte nella stessa società romana il sistema repubblicano aveva lasciato spazio ad una centralizzazione del potere: la riorganizzazione dell’Impero e la necessità di dover procedere ad una catalogazione delle fonti giuridiche condusse alla creazione di alcuni importanti compilazioni, aventi la caratteristica di non essere di ispirazione imperiale. Il dato della coesistenza fra l’antico diritto romano , o le sue strutture sistematiche, ed i vari diritti locali era uno degli elementi focali del sistema sociale e partiva già dal momento dell’applicazione della Constitutio Antoniniana[12]. Tra le medesime sono fondamentali il Codice Gregoriano ed il Codice Ermogeniano, che raccolgono delle Costituzioni che vanno dall’epoca di Settimio Severo fino a quella di Valentiniano I; il Codice Gregoriano viene redatto ai tempi di Diocleziano[13] e, a differenza del Codice Ermogeniano, era suddiviso in libri.

 

 

4. – Leggi romano-barbariche ed evoluzione dell’originario diritto romano

 

Se il diritto romano poteva essere considerato la massima rappresentazione della territorialità del diritto nel mondo antico, le consuetudini su cui vivevano le popolazioni del nord Europa discese nei territori romani erano, altrimenti, votate al principio della personalità del diritto. L’atteggiamento di rispetto tenuto nei confronti del diritto romano fece sì che nella maggior parte dei casi venisse mantenuta la possibilità, per le popolazioni di stirpe romana, di utilizzare il loro diritto originario, in qualche modo conservando la naturale inclinazione delle popolazioni germaniche a questo modello di organizzazione sociale. E’ da sottolineare, come dato ulteriore in tal senso, che i romani considerarono sempre il loro confronto con le popolazioni c.d. barbariche come l’incontro fra due culture in cui quella del nord Europa era certamente inferiore: era il sistema sociale e giuridico romano ad essere considerato moderno e superiore.

Tra le principali leggi barbariche possiamo annoverare la Lex Romana Wisigothorum e la Lex Romana Burgundionum. La prima entrò in vigore nel febbraio del 506 d.C. e comprende una serie di estratti di varie fonti romane: fu predisposta per ordine di Alarico II, re dei Visigoti, dovendo essere destinata alle genti di stirpe romana nei territori del regno dei Visigoti. La Lex Romana Burgundionum fu, probabilmente, anteriore al Breviarum Alariciarum[14] e fu destinata ai romani del regno Burgundo.

 

 

5. – Conclusioni

 

Dalle brevi considerazioni effettuate emerge un quadro giuridico – sociale permeato da profondi mutamenti che hanno interessato l’Impero Romano a partire dal II secolo d.C. fino alla sua caduta. La progressiva espansione dell’Impero ha contribuito ad accrescere le già fisiologiche difficoltà per la sua gestione, divenendo uno dei fattori determinanti per la sua caduta: d’altra parte il dualismo con la cultura delle popolazioni germaniche ha messo in luce un diverso modo di intendere la vita ed il diritto, anche se ritenuto inferiore al sistema adottato dai romani. Si può dire che la Constitutio Antoniniana abbia svolto da spartiacque fra due diversi momenti, il primo di espansione e crescita, il secondo di regressione e progressivo declino, contribuendo a ridefinire i confini di un diritto che ha sempre mantenuto il cardine della territorialità.



 

[1] Per una esauriente bibliografia aggiornata fino alla fine degli anni ’50 cfr. Arangio Ruiz v., voce Editto di Caracalla, in Nov.Dig.It., vol. VI, 1968, 403-404. Cfr., inoltre, Talamanca m., Su alcuni passi di Menandro di Laodicea relativi agli effetti della “Constitutio Antoniniana”, in Studi Volterra, V, Milano, 1971, 433 ss.; Wolff h., Die Constitutio Antoniniana und Papyrus Gissensis 40 I, 1, Köln, 1976, 28 e ss.; Pinna Parpaglia p., Sacra peregrina, civitatis romanorum, dediticii nel papiro Giessen 40, Sassari, 1995.

 

[2] Al riguardo cfr. D. 1.5.17 (Ulp. 22 ad.ed.): In orbe Romano qui sunt ex constitutione imperatoris Antonini cives Romani effecti sunt.

 

[3] Sul punto cfr. Capocci v., voce Caracalla, in E.I., vol. VIII, 1949, 926, il quale ricorda la frammentarietà e l’estrema difficoltà interpretativa della fonte, sottolineando che «delle 31 linee di scrittura che lo componevano sono rimasti soltanto i frammenti (taluni dei quali ridotti a minime proporzioni) delle prime dieci righe. In essa, dopo un preambolo di carattere religioso, si dichiara in prima persona di concedere la cittadinanza romana».

 

[4] Circa la convivenza del diritto romano con i diritti locali, particolarmente nel mondo orientale, cfr. Bucci O., Le province orientali dell’Impero Romano. Una introduzione storico-giuridica, Roma, 1998, 142: «Dunque, questo diritto romano, è fino alla Constitutio Antoniniana, un diritto che viene applicato ai soli cittadini romani, ma questi cittadini sono solo una “parte” della vasta umanità che occupa l’Impero Romano. Da questo punto di vista il diritto romano è, fino alla Constitutio Antoniniana, un “diritto personale” che si accompagna agli altri diritti dell’Impero: non si impone agli altri, ma convive con essi e nel rispetto di essi; anzi, la sua esistenza è garanzia dell’esistenza di questi».

 

[5] Sul concetto di editto cfr. De Francisci p., voce Editto, in E.I., vol. XIII, 1950, 476-477. L’A. sottolinea che «gli editti degl’Imperatori, almeno nei primi due secoli del principato, hanno solo raramente per oggetto il diritto privato» mentre sotto l’Impero assoluto «la maggior parte si riferisce all’amministrazione, ma talune hanno per oggetto anche la procedura e il diritto privato».

 

[6] Cfr. Dio. Cass. 77.9.5; sull’opera del senatore romano cfr. Millar f., A Study of Cassius Dio, Oxford, 1964; Letta c., La composizione dell’opera di Cassio Dione: cronologia e sfondo storico-politico, in Ricerche di storiografia greca di età romana, Pisa, 1979, 117-189, 141 n. 100.

 

[7] Sul punto in senso critico cfr. AA.VV. Lineamenti di storia del diritto romano, cit., 520: «Le effettive ragioni di tale provvedimento rimangono, ancora, non completamente accertate: già uno scrittore contemporaneo all’avvenimento, come il senatore Dione Cassio, dà una caratterizzazione dello stesso inadeguata e probabilmente dovuta ad un atteggiamento di ostilità nei confronti dell’Imperatore Caracalla, non certamente favorevole alla classe senatoria, quando afferma che il movente andrebbe ricercato nel desiderio del princeps di assoggettare i peregrini alle imposte dovute dai cittadini romani (Dio. Cass. 77.9.5)»; Arangio Ruiz v., voce Editto di Caracalla, vol. VI, 403: «La ragione dell’Editto, che con la consueta malevolenza qualche contemporaneo attribuiva all’opportunità d’impinguare l’erario facendo pagare anche ai provinciali l’imposta del 5% sulle eredità e le manumissioni, mentre con altrettanto incontrollato egocentrismo l’imperatore lo riportava alla propria volontà di portare la messa dei provinciali al culto degli dei romani, a lui propizi per averlo liberato dal fratello e coreggente Geta».

 

[8] Cfr. Arangio Ruiz v., voce Editto di Caracalla, cit., 403.

 

[9] Le medesime argomentazioni sono individuate da Capocci v., voce Caracalla, cit., 926, laddove l’A. afferma che «quanto alle cause che indussero l’Imperatore e il consiglio imperiale alla promulgazione dell’editto, sembra che i motivi di carattere fiscale esposti sommariamente da Cassio Dione (77, 9, 5) e il fine di guadagnarsi con un atto nella apparenza liberale degli aderenti fra i provinciali come compenso alle ostilità delle più alte classi della società romana dopo la tragica fine di Geta, non siano stati fra gli ultimi; nello stesso tempo però l’editto va ricollegato alle tendenze livellatrici della politica dei Severi, alla luce della quale la nuova concessione di Caracalla rappresenta un grande passo in avanti sulla via per cui la base vera della forza dell’Impero s’andava spostando sempre di più verso i provinciali meno romanizzati più prossimi alle frontiere».

 

[10] Sul punto cfr. Zoz m.g., A proposito dei rapporti tra giurisprudenza classica e legislazione imperiale, in Scritti Franciosi, IV, 2877-2906. In particolare, 2905, l’A. ivi conclude affermando, tra l’altro, che «La graduale decadenza della funzione creativa della giurisprudenza nell’ambito del diritto è quindi dovuta a fattori esterni: istauratosi un regime autoritativo, tutti i poteri tendono a concentrarsi in una sola persona; quest’unica persona, assommando in sé tutti i poteri dello stato, diviene simbolo dello stato stesso. La sua volontà, quindi, è la volontà dello stato e come tale va rispettata e seguita da parte dei cittadini».

 

[11] Sul punto cfr. Bucci O., cit., 137: «Resta il fatto che, anche a voler escludere, come appare certo, che la Constitutio sia nata con questo intento, è indubbio che il documento – obbligando tutti i sudditi dell’Impero, ora divenuti cittadini, al culto tradizionale – rendeva più semplice, e più facile, l’identificazione di quanti se ne astenessero, e in primo luogo, di conseguenza, i Cristiani. Non c’è dubbio, cioè, che, fermo rimanendo che la Costituzione non fu emanata contro i Cristiani, di fatto poté essere usata contro di essi, e ciò indipendentemente dalle intenzioni del legislatore».

 

[12] Al riguardo cfr. Capocci v., voce Caracalla, cit., 926: «infine va ricordato come all’indomani dell’applicazione dell’editto, specie nelle provincie orientali, sorgesse aspro il conflitto fra il diritto romano che doveva diventare il diritto privato dei novelli cittadini e i diritti locali, i quali finirono con reagire e penetrare nello stesso diritto romano particolarmente dal secolo IV in poi».

 

[13] Cfr. Astuti g., Lezioni di storia del diritto italiano. Le fonti. Età romano-barbarica, Padova, 1968, 17: «Il Codex Gregorianus fu compiuto ai tempi di Diocleziano, intorno al 292: le costituzioni più antiche che questo codice comprendeva erano probabilmente dell’Imperatore Adriano (117-138), ma quelle a noi pervenute risalgono solo a Settimio Severo (a. 196)». Sul punto cfr., altresì, Scherillo g., voce Codex Gregorianus, in Nov.Dig.It., vol. VI, 379-380; Idem, voce Codex Hermogenianus, in Nov.Dig.It., vol. VI, 380; AA.VV., Lineamenti di storia del diritto romano, Talamanca m. (a cura di), Napoli, 1990, 611  ss.

 

[14] Cfr. Astuti g., cit., 34: «La Lex Romana Burgundionum, forse anteriore Breviario Alariciano, dal momento che non serba tracce dell’uso di questo testo, è una compilazione divisa in 46 titoli, molto più breve e semplice di quella visigotica».