Fra erus e dominus: sull’evoluzione del concetto di dominium

 

Francesco Beer

Università del Molise

 

 

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Sul rapporto fra erus e dominus. – 3. Analisi di alcune commedie plautine. – 4. Conclusione.

 

 

1. – Premessa

 

Tra le tematiche di maggiore interesse nella letteratura romanistica un posto di rilievo è certamente occupato dallo studio dell’origine e dall’evoluzione del concetto di potere su di un bene. Da sempre la disponibilità e lo sfruttamento delle res e delle risorse naturali rappresentano uno dei punti nevralgici nello sviluppo delle dinamiche sociali, e con esse della creazione ed evoluzione delle norme giuridiche. Nella Roma antica, in ossequio al principio dell’utilitas dei rapporti giuridici[1], si osservò una lenta e progressiva formazione di quella che oggi è la categoria logico-sistematica della proprietà; tuttavia tale faticoso processo ebbe i suoi prodromi nelle manifestazioni più antiche di potere sulla res, che risalgono al concetto di mancipium e potestas[2] (e di dominium), e nelle originarie forme di titolarità dei beni[3]: solo con il tempo si avviò una lenta evoluzione, che avrebbe avuto il suo culmine nella formazione del concetto di proprietas in tarda età postclassica. Ciò che appare, prima facie, del tutto evidente è la tendenza delle genti antiche, peraltro ovvia, a valutare il concetto di potere sulla res come vincolato alla sua effettiva disponibilità materiale: questa esigenza nasceva dalla necessità di salvaguardare i beni utili alla sopravvivenza e, in primo luogo, i beni della familia.

Al riguardo è singolare pensare come la stessa nascita dell’ordinamento cittadino sembri riflettere l’esigenza di meglio garantire e tutelare la proprietà dei beni, e con essa la sfera patrimoniale dei singoli gruppi familiari[4]. Il consortium ercto non cito, anche leggendo le fonti gaiane[5], appare l’emblema di un ambiente sociale arcaico permeato da una necessità di salvaguardia dell’unità politica ed economica della familia, anche nelle sue varie e più antiche sfaccettature[6]. Tale necessità non implica l’impossibilità della divisione, che pure diviene probabilmente prassi dopo l’emersione dell’actio familiae erciscundae[7], ma, in ogni caso, la volontà dei fratres di mantenere vivo il consortium stesso in un legame giuridico e fiduciario: d’altra parte la stessa fides rappresenta una componente fondamentale in una società antica che non ha ancora raggiunto i livelli di complessità economica del III-II secolo a.C., come testimoniato dalle prime forme di vinculum di natura “obbligatoria”.

In tal senso è di particolare interesse il dibattito dottrinale relativo alle forme di esercizio comune o individuale del potere, e alla stessa possibilità di sfuggire, per quanto riguarda età arcaiche, alla regola del consortium tra fratres. Su questo problema illustri studiosi hanno avuto modo di esprimere il loro parere, in particolare verificando i principali istituti di tutela e garanzia della sfera patrimoniale della Roma antica, alcuni dei quali possono essere considerati preesistenti al concetto di proprietà stesso, almeno se si considera quest’ultimo nell’accezione odierna.

Se la proprietà privata assume una tale rilevanza nel mondo antico, appare fondamentale il rilievo terminologico che la figura del proprietario ha rivestito nella Roma repubblicana e, in seguito, nei periodi del c.d. principato e dominato. Valutando il problema superficialmente la verifica dell’individuazione del termine che individua il proprietario potrebbe apparire come un esercizio superfluo o fine a se stesso: in realtà la conoscenza dell’evoluzione delle dinamiche sociali e con esse del cambiamento di lingua e costumi, potrebbe essere fondamentale nella comprensione della ratio delle fonti normative e della stessa impalcatura giuridica della Roma classica e postclassica. Dalle fonti in nostro possesso sembra chiaro che originariamente il proprietario (o almeno il proprietario dello schiavo) era inquadrato come erus: tuttavia è altrettanto chiaro un passaggio progressivo dal termine “erus” al diverso “dominus”, che sembra evidenziarsi maggiormente nel periodo in cui diviene più complessa e variegata la società romana, cioè nel momento in cui la familia e il “potere pubblico” iniziano a porsi in rapporti differenti rispetto al passato, con una predominanza del secondo rispetto alla prima, che pure rimane il vero fulcro dell’intera società romana. In questo breve contributo si tenterà di verificare l’effettività e la repentinità del mutamento linguistico e normativo descritto, partendo da punti di riferimento tratti dal teatro popolare.

 

 

2. – Sul rapporto fra erus e dominus

 

Il dominio individuale sembra essere stato una costante nella storia della Roma degli albori, coesistendo con talune forme di ager publicus che si sono progressivamente ridotte con il passaggio del tempo[8]. Le origini di Roma sono riconducibili a una vita semplice, basata sull’agricoltura e sulla pastorizia: leggenda e fonti funerarie ci forniscono un quadro al tempo stesso sommario ma affascinante del periodo compreso fra l’VIII e il VI secolo a.C. Molti studi sono stati condotti sulla vita e sull’organizzazione sociale dei tempi più antichi[9], caratterizzati dall’esigenza di mantenere ben saldi i rapporti familiari, per motivi etici ma, prima ancora, di sussistenza. Il patrimonio, forse in origine coincidente con i beni familiari, non era suddiviso ma si tramandava a tutti i discendenti, secondo modelli che andarono, con il passare dei secoli, a costituire aggregati sociali simili alle moderne società commerciali. Il concetto di praticità e funzionalità dei rapporti nella Roma antica sembra essere chiaro nei prodromi del moderno diritto di proprietà e in particolar modo se si valuta l’istituto del mancipium. Se il vocabolo sembra evidenziare la materiale possibilità di “mantenere il bene fra le mani”, è Gaio a sciogliere i dubbi circa l’importanza della questione, affermando che “magna autem differentia est mancipi res et nec mancipi[10]. Anche il medesimo  significato originario di “prendere in mano” deve riconnettersi all’atto formale della mancipatio, se Gaio afferma seccamente che “mancipi vero res sunt, quae per mancipationem ad alium transferentur; unde etiam mancipi res sunt dictae. Quod autem velet mancipatio, idem velet et in iure cessio[11].

L’originaria stabilità del territorio, che condusse in origine a una condivisione di terre e beni, venne meno per motivi prettamente economici: l’emergere di più strati sociali fu conseguenza dell’espansione economica e territoriale della civitas, con una progressiva decadenza delle gentes[12].

Come spesso accade valutando istituti giuridici della Roma dell’antichità, occorre, per una migliore comprensione, soffermarsi sulle vicende storiche della quotidianità sociale. Intorno al III secolo a.C. Roma si apprestava a divenire una delle grandi potenze del Mediterraneo[13]: l’intensificazione dei commerci e l’affermarsi di una politica espansionistica contribuirono a definire quella che ben presto sarebbe divenuta l’egemonia di Roma[14]. Tutto ciò ebbe come riflessi pratici, fra le altre cose, l’afflusso di una notevole manodopera servile, il progressivo formarsi di un “ceto medio” di tipo imprenditoriale e, di conseguenza, l’emergere di un grosso fermento culturale, in passato forse sconosciuto. Proprio l’affermarsi di una decisa tendenza all’importazione di manodopera servile[15] potrebbe essere considerato uno degli elementi che hanno contribuito al passaggio da “erus” a “dominus”: se originariamente il “proprietario” dello schiavo era definito “erus”, nel corso del tempo la progressiva assimilazione del servo alle altre “res” , derivante probabilmente anche dalla maggiore presenza di schiavi nella Repubblica e, quindi, dell’assimilazione di questi ultimi a comuni res, ha eliminato le differenze anche linguistiche. Il dominium diviene indifferenziato sui servi anche a livello terminologico, all’interno di un contesto sociale nel quale l’attività servile era considerata non solo normale ma fondamentale, tanto nella familia quanto nella vita pubblica[16].

Non sono moltissime le fonti che ci sono pervenute utili alla verifica di tale fenomeno: un grosso aiuto in questo senso è fornito dai testi di Plauto, uno dei più grandi commediografi del tempo (siamo a cavallo fra il III e il II secolo a.C.), da cui si tenterà di prendere le mosse; certamente è oggetto di dibattito il fatto che tali scritti possano essere considerati punti di riferimento per il diritto[17], ma è indubbio che rappresentino lo specchio di una realtà sociale in un preciso momento storico[18], e come tale non possono essere sottovalutati, soprattutto considerando la generalità scarsità di tale tipologia di fonti[19].

Il teatro di Plauto è probabilmente espressione della parte più povera della cittadinanza romana, nel solco delle stesse origini del commediografo, che forse raggiunse il successo dopo anni di povertà: sono frequenti le allusioni alle difficoltà e alle privazioni della schiavitù, e costanti i tentativi di mettere in ridicolo, facendosi scudo con la commedia, le abitudini delle classi più agiate della popolazione[20]. All’interno delle commedie qui prese in esame, è singolare verificare l’alternanza, nella designazione del “padrone”, dei termini erus e “dominus”, ancora con una nettissima prevalenza del primo: nei decenni successivi, tuttavia, il passaggio al nuovo termine sarebbe stato definitivo, accompagnandosi, probabilmente, a una diversa concezione dei rapporti di titolarità delle res.

L’etimologia del termine dominus sembra ricondursi alla domus e, pertanto, alla signoria sull’abitazione. E’ indubbio che un ruolo centrale nella società dei tempi più antichi era rivestito dalla proprietà privata sulle res mancipi: in altre parole, semplificando, su tutti i beni di diretta utilità per la familia. E’ noto che Ulpiano richiama il termine erus per individuare il proprietario nel testo della lex Aquilia de damno[21], un plebiscito[22] fatto votare dal tribuno Aquilio nel III secolo a.C.[23], in un momento immediatamente precedente (almeno valutando i tempi della storia!) a quello in cui si affermano le commedie di Plauto e Terenzio. Va considerato che lo stile dei due commediografi era profondamente differente, tenuto anche conto della propensione di Plauto a dipingere situazioni grottesche, in cui emergevano la scaltrezza e la versatilità dei protagonisti, generando situazioni comiche e movimentate: gli anni in cui l’autore presenta le sue opere sono forse tra i più importanti nella millenaria storia della Roma antica.

 

 

3. – Analisi di alcune commedie plautine

 

In una delle prime opere di Plauto[24], l’Asinaria, compare ben venti volte il termine “erus[25], mentre non è presente il termine “dominus”: siamo probabilmente in un momento compreso fra il 211 e il 206 a.C.[26]. Invece nell’Amphitruo, opera di un Plauto più maturo, ricorre ben ventotto volte il termine “erus[27] per designare il “padrone”, ma è emblematico che in due casi sia utilizzato il termine dominus[28]. Nel secondo caso citato è lo stesso padrone che, discorrendo con il suo servo Sosia, parla di se stesso. L‘Amphitruo è collocabile a livello temporale probabilmente intorno al 201 a.C. e autorevole dottrina[29] si dimostra d’accordo con la tesi che possa essere stata scritta e sceneggiata sull’onda della vittoria dei romani nella seconda guerra punica; la commedia si caratterizza per una serie di equivoci, prevedendo la presenza degli dèi Giove e Mercurio, che assumono le sembianze di comuni mortali. Passando all’analisi di una terza opera plautina, all’interno dell’Aulularia il termine erus compare sedici volte[30], mentre “dominus” non appare: va considerato che, come accade per altre opere del commediografo, l’Aulularia ci è pervenuta con una mancanza che non ci permette di essere certi del finale, ma ai fini della presente analisi è chiara la tendenza che vede ancora un utilizzo massiccio del vocabolo “erus”. Altro esempio molto interessante, anche a livello cronologico, ci è fornito da una delle commedie della piena maturità di Plauto, le Bacchides: vi è ampio dibattito in dottrina circa la datazione dell’opera, ma sembrerebbe chiara una collocazione temporale fra il 191 e il 189 a.C.[31], pertanto almeno un decennio dopo le commedie già prese in considerazione. Nel testo[32] si osserva l’uso in dieci occasioni del termine erus mentre ancora non viene utilizzato “dominus”. Come detto il termine “erus” sembra essere utilizzato in prevalenza dagli stessi schiavi, per identificare il loro padrone: nelle commedie di Plauto è esaltata la posizione di subalternità del servus, con tutte le vessazioni che ne derivavano di conseguenza. Spesso viene amplificata la condizione disagiata del servus, evidenziando virtù come l’obbedienza e l’umiltà che dovevano essere proprie dello schiavo stesso.

Se in Plauto si può osservare questa tendenza, in Terenzio[33], autore che è collocabile pochi decenni dopo, «in confronto a erus che ricorre cinquantadue volte, dominus è utilizzato in undici circostanze»[34]. Pertanto in pochi decenni emerge già una differenza sostanziale nell’utilizzo dei due termini, con il vocabolo “dominus” che inizia a essere impiegato in maniera molto più ampia con il passaggio del tempo, secondo una linea di tendenza che sembra essere confermata dalle fonti coeve, ma anche immediatamente successive al periodo storico qui preso in esame. Particolarmente indicativo in tal senso è che già Catone utilizza unicamente il termine dominus e mai erus[35]. Nei secoli successivi è Gaio all’interno delle Institutiones a offrirci un’indicazione importante, chiarendo che “erctum enim dominium est, unde erus dominus dicitur[36], laddove si riferisce all’antico consortium ercto non cito.

 

 

4. – Conclusione

 

Dalle considerazioni svolte sembra emergere un quadro nel quale il passaggio dal termine “erus” a “dominus” potrebbe essere spiegato attraverso la lenta e progressiva evoluzione dei concetti di familia e di persona, e con essi di una diversa impostazione dei rapporti di potere fra pater familias e dominus. Nell’antichità romana il potere di diritto che oggi definiamo proprietà era generalmente concepito come rapporto di natura (o di prioritaria rilevanza) familiare[37], poiché la vita sociale si concentrava fortemente all’interno dell’aggregato familiare[38]: d’altra parte è chiara, come confermato di recente da autorevole dottrina[39], la «precoce rilevanza della proprietà privata della terra nell’ordinamento romano, attestata dalla legislazione delle XII tavole», confermata anche dalla «contestuale disciplina di una primitiva proprietà agraria». Con il passare del tempo, anche in coincidenza del lento affermarsi di una nuova giurisprudenza[40] dalla metà del II secolo a.C. in poi[41], si diffonde l’utilizzo del termine dominus anche per riferirsi al proprietario del servus: in questo stesso periodo si evidenzia anche una prima tendenza a differenziare a livello terminologico anche il potere di diritto (dominium ex iure Quiritium) dal “potere di fatto” che era assegnato dal pretore; in questa maniera sembra svolgersi il lento e progressivo passaggio verso una terminologia che sarà poi consueta e, si può dire, consolidata certamente nel II secolo d.C., laddove ci conforta la testimonianza delle Institutiones gaiane, come richiamato in precedenza. Questo lento passaggio sembra inserirsi anche nel solco della progressiva evoluzione del concetto di “persona”[42], a lungo dibattuto all’interno della dottrina, evidenziandosi la formazione di una netta linea di demarcazione fra il concetto di homo e quello di servus, con quest’ultimo che viene definitivamente assimilato ad una res: si dovrà poi attendere l’affermarsi dei principi cristiani perché possa consolidarsi nel tempo una diversa concezione della “persona”, e con essa dei diritti dello schiavo[43]. In altre parole il mutamento descritto evidenzia anche una sempre maggiore influenza della componente economica all’interno del contesto sociale, che appare lampante in tutto lo svolgersi della millenaria storia di Roma.

 

 



 

[1] Cfr. F.Schulz, I principi generali del diritto romano, trad.it. V.Arangio Ruiz, 1946, rist., Firenze, 1995; R.Orestano, Introduzione allo studio del diritto romano, Bologna, 1987; A.Guarino, Diritto privato romano, XII ed., Napoli, 2001.

 

[2] Sui rapporti fra manus e potestas nelle fonti gaiane cfr. R.Astolfi, Gaio e la manus quale potestas, in SDHI, LXXV, 2009, 53-76.

 

[3] Su tali temi cfr. U.Brasiello, voce Proprietà (diritto romano), in Nov.Dig.It., vol. XIV, in particolare 113-115.

 

[4] Sul punto cfr. L.Capogrossi Colognesi, La struttura della proprietà e la formazione dei “iura praediorum” nell’età repubblicana, Milano, 1976.

 

[5] Cfr. Gai., I., 3.154a, interessante in particolare laddove afferma che erctum enim dominium est, unde erus dominus dicitur.

 

[6] Fondamentale sul punto l’analisi condotta da G.Franciosi, Clan gentilizio e strutture monogamiche. Contributo alla storia della famiglia romana, Napoli, 1999. In particolare, 322, il punto in cui afferma che «la linea di sviluppo: proprietà privata-eredità-certezza della prole-monogamia-repressione dell’adulterio femminile, trova pieno riscontro a livello ideologico nel pensiero filosofico del mondo antico e, nei fatti, nell’ordinamento storico della famiglia romana, nonché vasta eco nella letteratura antica e nella mitologia».

 

[7] Cfr. D. 10.2.1 pr., Gai. 7 ad ed. prov.: Haec actio proficiscitur e lege duodecim tabularum: namque coheredibus volentibus a communione discedere necessarium videbatur aliquam actionem constitui, qua inter eos res hereditariae distribuerentur.

 

[8] Cfr. L.Capogrossi Colognesi, La città e la sua terra, in Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, vol. XIII, 263 ss.

 

[9] All’interno di un’ampia dottrina cfr. F.D’Ippolito, Forme giuridiche della Roma arcaica, Napoli, 1998; M. Pani, La politica in Roma antica, Urbino, 1999; G.Franciosi, Famiglia e persone in Roma antica. Dall’età arcaica al principato, Torino, 1995; C.Capogrossi Colognesi, Pagi, Vici e città nell’Italia preromana, in Scritti Franciosi, I, Napoli, 2007, 465-478; Id., Per una maggiore conoscenza della storia romana arcaica e delle sue istituzioni, in Index, 37, 2009, 453-468. Qui l’Autore valuta e commenta le tesi di T.Cornell, The Beginnings of Rome. Italy and Rome from the Bronze Age to the Punic Wars (c. 1000-264 BC), London-New York, 1995; M.Riegel, Tribus und Staat. Die Entstehung der römischen Wahlbezirke im urbanen und mediterranen Kontext (ca 750-450 v.Chr), Göttingen, 2007; C.J.Smith, The roman Clan. The Gens from Ancient Ideology to Modern Antropology, Cambridge, 2006.

 

[10] Cfr. Gai., I, 2.18.

 

[11] Cfr. Gai., I, 2.22.

 

[12] Sulla conflittualità nella Roma antica cfr. M.Torelli, Dalle aristocrazie gentilizie alla nascita della plebe, in Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, vol. XIII, 261, il quale richiama, fra gli altri, A.Bernardi, Patrizi e plebei nella costituzione della primitiva repubblica romana, in RIL, LXXIX, 1945-46, 15-26; A.Momigliano, L’ascesa della plebe nella storia arcaica di Roma, in RSI, LXXIX, 1967, 297-312; P.Frezza, Secessioni plebee e rivolte servili nella Roma antica, in SDHI, XLV, 1979, 310-327.

 

[13] Alle svolte sociali e politiche, come costantemente è accaduto nella storia, si accompagnano anche trasformazioni sul piano giuridico e, in particolar modo, alle forme di proprietà. Molto chiaro sul punto L.Capogrossi Colognesi, voce Proprietà (dir.rom.), in E.d.D., vol. XXXVII, 178, laddove afferma che «un punto è però certo e per noi sufficientemente significativo: che nel corso dei decenni che vanno dall’età della legge Aquilia alle commedie plautine si verifica un preciso fenomeno […] un preciso restringersi del precedente ambito di applicazione di erus a indicare il solo rapporto schiavo-padrone. La signoria su tutti gli altri beni è ormai esclusivamente indicata con il termine dominus».

 

[14] Interessante notare come probabilmente fossero presenti già in tempi molto antichi delle strade commerciali, utili ad un’embrionale forma di attività di scambio. Sul punto cfr. F.De Martino, La costituzione della città-stato, in Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, vol. XIII, 348, in particolare laddove l’A. afferma che «vi sono prove di scambi con popoli dell’area etrusco-laziale, ma anche con città greche. Già Lugli e poi De Francisci hanno sostenuto che vi erano strade commerciali fin dal IX-VIII secolo, ma rimane da stabilire in che modo si fossero formate».

 

[15] Emblematica anche la suddivisione in Gai., I., 1.9: Et quidem summa divisio de iure personarum haec est, quod omnes homines aut liberi sunt aut servi”. Sul concetto di persona in Gaio cfr. U.Agnati, Persona iuris vocabulum. Per una interpretazione giuridica di «persona» nelle opere di Gaio, in RDR, IX, 2009.

 

[16] Al riguardo interessante A.Watson, Il diritto privato, in Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, vol. XIV, 513, laddove afferma che «sebbene gli schiavi, alla fine della Repubblica perlomeno, costituissero oltre il 40 per cento della popolazione, con un peso determinante in ogni settore dell’attività economica, il diritto degli schiavi era poco sviluppato».

 

[17] Al riguardo cfr. M.V.Bramante, Patres, filii e filiae, in Diritto e teatro in Grecia e a Roma, E.Cantarella-L.Gagliardi (a cura di), Milano, 2007, 95 ss. L’A., trattando della rilevanza del teatro di Plauto come fonte di diritto cita, ex multis, U.E.Paoli, Comici latini e diritto attico, Milano, 1962; L.Pernard, Le droit romain et le droit grec dans le théâtre de Plaute et de Térence, Lyon, 1900, 67; C.S.Tomulescu, La mancipatio nelle commedie di Plauto, in Labeo, 17, 1971, 284-302; richiama inoltre, 105, il fatto che «in Plauto il filius familias è indicato anche come erus oppure dominus per la circostanza che avrebbe acquistato, alla morte del padre, piena autonomia , essendo di regola incapace, durante la vita di quello, del cui mancipium faceva parte, di disporre del patrimonio familiare»: sul punto si richiamano Plaut., Asin., 309, 672; Capt., 18; Pseud., 492-493.

 

[18] Ancora, sul punto, cfr. R.Dareste, Le droit romain et le droit grec dans Plaute, in études d’histoire du droit, Paris, 1902; E.Costa, Il diritto privato romano nelle commedie di Plauto, Torino, 1890.

 

[19] Sul punto interessante H.D.Jocelyn, La poesia scenica, in Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, vol. XV, 607, laddove afferma che «sono giunti fino a noi i testi integrali di opere comiche di due soli periodi: dal 220 al 184 e dal 166 al 160. Non ci sono pervenuti invece testi tragici completi».

 

[20] Tra i vari esempi, un caso interessante è in Plaut., Aulul., 715 e ss.: opsecro vos ego, mi ausilio, oro obtestor, siti set hominem demonstretis, quis eam abstulerit. Quid est? Quis ridetis? Novi omnes, scio fures esse hic complures, qui vestitu et creta occultant sese atque sedent quasi sint frugi”. In questo passo dell’Aulularia Plauto sbeffeggia gli spettatori con le toghe più lucenti, i più ricchi, per la soddisfazione dei più poveri.

 

[21] Cfr. D. 9.2.11.6, Ulp. 18 ad ed.: Legis autem Aquiliae actio ero competit, hoc est domino”.

 

[22] Sulla lex Aquilia e sulla sua importanza in tema di danno e lesioni patrimoniali, ex multis, cfr., recente, A.Corbino, Danno, lesioni patrimoniali e lex Aquilia nell’esperienza romana, in Studi Franciosi, I, Napoli, 2007, 607-625;

 

[23] Cfr. D. 9.2.1.1, Ulp. 18 ad ed.: Quae lex Aquilia plebiscitum est, cum eam Aquilius tribunus plebis a plebe rogaverit.

 

[24] All’interno di una vastissima bibliografia, per un quadro relativo agli studi su Plauto cfr. F.Bertini, Vent’anni di studi plautini in Italia, in Boll.St.Lat., 1971, 22 ss.; J.C.Dumont, La stratégie de l’esclave plautinien, in Rev. ét. lat., 1966, 182 ss.; G.Monaco, Qualche considerazione sullo sfondo politico e sociale del teatro di Plauto, in Dioniso, 1969, 301 ss.; C.Questa, Per la storia del testo di Plauto nell’Umanesimo, Roma, 1968.

 

[25] Plaut., Asin., Actus I:

146-147: Nam isti quid suscenseam ipsi? Nihil est, nihil quicquam meret; tuo facit iussu, tuo imperio paret: mater tu, eadem era es.

Plaut., Asin., Actus II:

252-253: Iam diu est factum quom discesti ab ero atque abiisti ad forum, igitur inveniundo argento ut fingeres fallaciam;  256-257: “Serva erum, cave tu idem faxi salii quod servi solent, qui ad eri fraudationem callidum, ingenium gerunt; 280: erum in obsidione linquet, inimicum animos auxerit; 354-355: “si erum vis Damaenetum, quem ego novi, adduce: argentum non morabor quin feras; 356: “Ego me dixi erum adducturum et me domi praesto fore; 367-368: Nunc tu abi ad forum ad erum et narra haec ut nos acturi sumus: te ex Leonida futurum esse atriensem Sauream, dum argentum afferat mercator pro asinis; 427-430: “Quia triduum hoc unum modo foro opera adsiduam dedo, dum reperiam qui quaeritet argentum in fenus, hic vos dormitis interea domi atque erus in hara, haud aedibus habitat”; 435-436: Vah, delenire apparas, scio mihi vicarium esse, neque eo esse servom in aedibus eri qui sit pluris quam illest; 484-486: “Quid, verbero? Ain tu, furcifer? Erum nos fugitare censes? Ei nunciam ad erum, quo vocas, iam dudum quo volebas”; 499-500: “Etiam hodie Peripanes Rodo mercator dives absente ero solus mihi talentum argenti soli adnumeravit et credidit mihi, neque deceptus in eo”.

Plaut., Asin., Actus III:

646: “Vin erum deludi?”; 654-655: “Di te servassint semper, custos erilis, decus popli, tensaurus copiarum, salus interior corporis amorisque imperator”; v. 658: “Nolo ego te, qui erus sis, mihi onus istuc sustinere”; 672-673: “Age, mi Leonida, obsecro, fer amanti ero salutem, redime istoc beneficio tea b hoc, et tibi eme hunc isto argento”; 684: “Quaeso hercle, Libane, sis erum tuis factis sospitari, da mihi istas viginti minas, vides me amantem agere”; 702-703: “Perii hercle! Si verum quidem et decorum erum vehere servom, inscende; 714: Etiam tu, ere, istunc amove abs te atque ipse me adsgredire atque illa sibi quae hic iusserat mihi statuis supplicasque?”.

 

[26] Sulla datazione della commedia cfr. la puntuale analisi di E.Paratore (a cura di), in Plauto, Amphitruo-Asinaria-Aulularia-Bacchides, Roma, 2011, 139-140, il quale ritiene, anche sulla base di altre opinioni, più probabile l’ipotesi del 211 a.C. come data di prima presentazione dell’opera.

 

[27] Plaut., Amph., Actus I:

242-243: “hoc ubi Amphitruo erus conspicatus est, illico equites iubet dextera inducere”; 260-261:”post ob virtutem ero Amphitruoni patera donate aurea est”; 262: “qui Pterela potitare rex est solitus. Haec sic dicam erae”; 292: “Ibo ut erus quod imperavit Alcumenae nuntiem”; 297-298: “Credo, misericors est: nunc propterea quod me meus erus fecit ut vigilarem, hic pugnis faciet hodie ut dormiam”; 338: “Ilicet: mandata eri perierunt una et Sosia”; 347: “Huc eo, eri sum servos. Numquid nunc es certior?”; 356: “Hic, inquam, habito ego atque horunc servos sum”; 362: “Quis erus est igitur tibi?”; 382: “Quis tibi erust?”; 404-405: “Nonne hac noctu nostra navis huc ex portu Persico venit, quae me advexit? Nonne me huc erus misit meus?”; 447: “Novi erum, novi aedis nostras; sane sapio et sentio. Non ego illi optempero quod loquitur. Pultabo foris”; 452: “Nonne erae meae nuntiare quod erus meus iussit licet?”; 460-462: “Ibo ad portum atque haec uti sunt facta, ero dicam meo: nisi etiam is quoque me ignorabit. Quo dille faxit Iuppiter, ut ego hodie raso capite calvos capiam pilleum”.

Plaut., Amph., Actus II:

565: “Tun me, verbero, audes erum ludificari?”; 571: “Quid mali sum, ere, tua ex re promeritus?”; 578: “Ere, nunc videor tibi locutus esse?”; 585-586: “Salvos domum si rediero. Iam sequere sis, erum qui ludificas dictis delirantibus, qui quoniam erus quod imperavit neglexisti persequi, nunc venis etiam ultro inrisum dominum: quae neque fieri possunt neque fando umquam accepit quisquam profers, carnufex”; 590-591: “Amphitruo, miserruma istaec miseria est servo bono, apud erum qui vera loquitur, si id vi verum vincitur”; 623-624: “Non soleo ego somniculose eri imperia persequi. Vigilans vidi, vigilans nunc ut video, vigilans fabulor, vigilantem ille me iam dudum vigilans pugnis contudit.

Plaut., Amph., Actus III:

960-961: proinde eri ut sint, ipse item sit: voltum e volto comparet; tristis sit, si eri sint tristes; hilarus sit, si gaudeant”; 974-975: “Iam hisce ambo, et servos et era, frustra sunt duo, qui me Amphitruonem rentur esse: errant probe”; frag. II: “Erus Amphitruo est occupatus”.

Plaut., Amph., Actus V:

1061: “Ita erae meae hodie contigit: nam ubi parturit, deos invocate, strepitus, crepitus, sonitus, tonitrus. Ut subito, ut prope, ut valide tonuit!”; 1075-1076: “Ibo ut conosca, quisquis est. Amphitruo hic quìdem est erus meus”; 1082: “Agedum expedi: scin me tuom esse crum Amphitruonem?”.

 

[28] Plaut., Amph., Actus I, 170:”Ipse dominus dives operis, laboris expers quodquomque homini accidit iubere, posse retur”; Plaut., Amph., Actus II, 587, cfr. nota 11.

 

[29] Sul punto cfr. E.Paratore (a cura di), in Plauto, Amphitruo-Asinaria-Aulularia-Bacchides, cit., 40. Ivi l’A. richiama A.De Lorenzi, Cronologia ed evoluzione plautina, Napoli, 1952, 94-95.

 

[30] Cfr. Plaut., Aulul., 67: Noenum mecastor quid ego dicam meo malae rei evenisse quamve insaniam queo comminisci; 275: “Quid ego nunc agam? Nunc nobis prope adest exitium, mi atque erili filiae; 278: Ibo intro, ut erus quae imperavit facta, cum veniat, sient; 280: Postquam obsonavit erus et conduxit coquos tibicinasque hasce apud forum; 288: “Sed erus nuptias meus hodie faciet; 589-593: “Sin dormitet, ita dormitet, servom sese ut cogitet. Nam qui amanti ero servitutem servit, quasi ego servio, si erum videt superare amorem, hoc servi esse officium reor, ritinere ad salutem, non enim quo incubate o impellere; 595-599: “Quasi puer qui nare discunt scirpea induitur ratis, qui laborent minus, facilius ut nent et moveant manus, eodem modo servom ratem esse amanti ero aequom censeo, ut eum toleret, ne pessum abeat tamquam * eri ille imperium ediscat, ut quod frons velit oculi sciant; 603: Nunc erus meus amat filiam huius Euclionis pauperis”; 680: “Quamquam hic manere me erus sese iusserat; certum est, malam rem potius quaeram cum lucro”; 812: Hem, erumne ego aspicio meum?”; 820-822: “Ere, mane, eloquar iam, ausculta. Age ergo loquele. Repperi hodie, ere, divitias nimias; 826: “Abi, ere, scio quam rem geras.

 

[31] E.Paratore (a cura di), in Plauto, Amphitruo-Asinaria-Aulularia-Bacchides, cit., 313.

 

[32] Plaut., Bacch., 170: Erilis patria, salve”; 214: Num invitus rem bene gestam audis eri?”; 232-233: Inde ego hodie aliquam machinabor machinam, unde aurum efficiam amanti erili filio; 351-353: ut amantem erilem copem facerem filium, ita feci ut auri quantum vellet sumeret, quantum autem lubeat reddere ut reddat patri”; 366-367: Nunc ibo, erili filio hanc fabricam dabo super auro amicaque eius inventa Bacchide; 640b: Erum maiorem meum ut ego hodie lusi lepide, ut ludificatust!”; 649-650: “Non mihi isti placent Parmenones, Syri qui duas aut tris minas auferunt eris; 662-663: Sed lubet scire quantum aurum erus sibi dempsit et quid suo reddidit patri”; 666-667: Numqui nummi exciderunt, ere, tibi quod sic terram optuere?”; 905: Ille est amotus. Sine me (per te, ere, opsecro deos immortalis) ire huc intro ad filium.

 

[33] Sul punto cfr. L.Capogrossi Colognesi, voce Proprietà (dir.rom.), cit., 178: «Nelle commedie di Terenzio esso è ormai in buona parte sostituito da dominus anche a indicare il proprietario dello schiavo, almeno nel linguaggio dei liberi. Ormai questo vocabolo è ridotto solo al parlare degli schiavi, emarginato dal latino già nel II secolo a.C. dove, dopo Terenzio, sopravviverà solo come forma poetica». Ivi l’A. si cita: cfr. L.Capogrossi Colognesi, La denominazione degli schiavi e dei padroni nel latino del terzo e del secondo secolo a.C., in Actes du colloque sur l’esclavage, Warszawa, 1979, 171 ss.

 

[34] Cfr. G.Nicosia, Brevis Dominus, in Studi Franciosi, III, Napoli, 2007, 1848. L’A. cita sul punto l’approfondita analisi di L.Capogrossi Colognesi, La struttura della proprietà e la formazione dei iura praediorum nell’età repubblicana, 1, Milano, 1969. Ivi si fa, inoltre, notare come nell’intera produzione conosciuta di Plauto il termine erus ricorre 368 volte a differenza del termine dominus impiegato solamente 41 volte.

 

[35] Cfr. G.Nicosia, Brevis Dominus, cit., 1849.

 

[36] Per il riferimento al passo citato cfr. nota 5.

 

[37] Già vi è stata occasione di verificare le opinioni sui principali istituti di tutela e garanzia della sfera patrimoniale della Roma antica. Cfr. F.Beer, La conservazione del patrimonio familiare nella Roma antica: antiche tendenze ed attuali prospettive, Napoli, in corso di pubblicazione.

 

[38] Sui rapporti fra familia e nascita dell’ordinamento “statuale” cfr., recente, G.Valditara, La familia all’origine della civitas: le basi della libertà dei romani, in Studi Labruna, Napoli, 2007, 5747-5765: ivi l’A. richiama, fondamentali, G.Grosso, Le idee fondamentali del diritto romano, Torino, 1968, 104 ss.; E.Meyer, Römischer Staat und Staatsgedanke, München-Zürich, 1961, 171 e ss.; M.Kaser, La famiglia romana arcaica, in Conferenze romanistiche, I, Milano, 1960, 39 ss.; P.Voci, Esame delle tesi del Bonfante sulla famiglia arcaica, in Studi Arangio-Ruiz, Napoli, 1953, 101 ss.; Id., Qualche osservazione sulla famiglia romana arcaica, in SDHI, 19, 1953, 307 ss.; G.I. Luzzatto, Le organizzazioni preciviche e lo Stato, Modena, 1948, 1 ss.; P.Bonfante, Corso di diritto romano, I, Diritto di famiglia, Milano, 1925, rist. 1963, 7 ss.

 

[39] Cfr. L.Capogrossi Colognesi, Le radici storiche della “lex Licinia de modo agrorum, in Studi Labruna, II, Napoli, 2007, 682.

 

[40] Sul c.d. duplex dominium e sull’importanza della giurisprudenza romana sull’evoluzione del concetto di proprietà cfr. B.Biscotti, Ancora sulla proprietà in diritto romano, in Index, 36, 2008, 185-209.

 

[41] Sui rapporti fra la giurisprudenza classica ed età imperiale cfr. M.G.Zoz, A proposito dei rapporti fra giurisprudenza classica e legislazione imperiale, in Studi Franciosi, IV, Napoli, 2007, 2877-2905.

 

[42] Sul concetto di persona nella storia della Roma antica cfr. O.Bucci, Una introduzione storico-giuridica alla civiltà greco-romano-giudaico-cristiana, Roman, 2006; S.Tafaro, Diritto e persona: centralità dell’uomo, in Diritto@Storia, vol. 5, 2006; F.Beer, Famiglia romana e individuazione del valore di persona nel suo ambito, in Person and Family, S.Tafaro-O.Bucci-F.Lempa (a cura di), Taranto-Warszawa, 2009, 319-331; sul concetto di persona all’interno della familia romana cfr. S.Tafaro, Riflessioni su familia e societas humana, in Scritti Franciosi, IV, Napoli, 2007, 2542-2543; Id., Diritto romano: un diritto per la persona, in Index, 34, 2006, 99-110.

 

[43] Una diversa concezione della persona fondata anche su un diverso approccio nei rapporti fra i popoli, rispetto a quello predicato della cristianità: alla cultura dell’intimidazione si sostituisce quella del dialogo e dell’integrazione. Sul punto cfr. O.Bucci, Gesù il Legislatore. Un contributo alla formazione del patrimonio storico-giuridico della Chiesa nel I millennio cristiano, Roma, 2011, 298.