Giuseppe Romano

Università di Palermo

 

Celio Sabino e la venalis possessio di C.4.64.1 (Gord., a. 238)

 

 

Sommario: 1. C.4.64.1: tra permutatio rerum ed emptio venditio. Quadro generale della dottrina. – 2. A proposito di un recente contributo di Enrico Sciandrello. – 3. Actio ad exemplum ex empto actionis e agere praescriptis verbis: opportunità di una riflessione. – 4. L’aestimatio della res pretii nomine data quale possibile elemento qualificante della fattispecie? – 5. Lo scambio di possessio non venalis: un ritorno all’impostazione di Cels. 3 <8> dig. D.12.4.16?Abstract.

 

 

1. – C.4.64.1: tra permutatio rerum ed emptio venditio. Quadro generale della dottrina

 

Nell’ambito dello studio della problematica dei contratti innominati e in particolare della tutela di situazioni negoziali di confine rispetto allo schema della compravendita consensuale, un rilievo, non marginale, ha assunto, com’è risaputo, C.4.64.1, nota costituzione dell’imperatore Gordiano comunemente datata all’anno 238 d.C.[1].

 

C.4.64.1 (Imp. Gord. A. Thraseae[2], a. 238): Si, cum patruus tuus venalem possessionem haberet, pater tuus pretii nomine, licet non taxata quantitate, aliam possessionem dedit, idque quod comparavit non iniuria iudicis nec patris tui culpa evictum est, ad exemplum ex empto actionis non immerito id quod tua interest, si in patris iura successisti, consequi desideras. At enim si, cum venalis possessio non esset, permutatio facta est idque, quod ab adversario praestitum est, evictum est, quod datum est (si hoc elegeris)[3] cum ratione restitui postulabis.

 

Il caso portato all’attenzione della cancelleria imperiale riguarda una vicenda familiare che può essere così riassunta. Tizio, zio paterno (patruus tuus) del richiedente Traseas, ha intenzione di procedere alla vendita di un proprio fondo (venalem[4] possessionem haberet)[5]. All’acquisto si mostra interessato Caio, padre del richiedente, il quale in cambio offre, a titolo di prezzo, altro fondo di sua proprietà (pretii nominealiam possessionem dedit). Avvenuto lo scambio, Tizio viene convenuto e condannato nel giudizio di rivendica intentatogli dal proprietario della possessio venalis. Alla morte del padre (si in patris iura successisti)[6], Traseas si rivolge all’imperatore per sapere in che modo potrà essere tutelato.

Nel risolvere la questione, la cancelleria imperiale ritiene indispensabile distinguere due ipotesi, in funzione del livello di precisazione dei ruoli negoziali dei contraenti. Decisiva, da questo punto di vista, è la possibilità di procedere a una più specifica individuazione dei profili giuridici delle res oggetto dello scambio (res venalis, res pretii nomine data), o se si preferisce — in una prospettiva (formalmente inespressa ma che verrà esplicitata in Bas. 20.3.3)[7] che guarda più al profilo dell’intenzionalità dei contraenti — in ragione dei diversi scopi che le parti intendevano perseguire attraverso le rispettive attribuzioni patrimoniali.

Nel caso in cui l’operazione negoziale avesse assunto una configurazione tale da consentire un sufficiente livello di specificazione delle rispettive attribuzioni patrimoniali, potendosi più precisamente stabilire quale delle due ‘possessiones’ fosse data a titolo di merx e quale a titolo di pretium, l’erede avrebbe potuto agire per l’interesse c.d. positivo, attraverso un’azione denominata ad exemplum ex empto actionis: sempre che l’evizione non risultasse imputabile al giudice (iniuria iudicis)[8] o al padre del richiedente (da presumersi per mancata denuntiatio).

Diversamente (cum venalis possessio non esset), dovendosi piuttosto inquadrare la fattispecie nell’ambito dello schema permutativo, si sarebbe agito per la ripetizione di quanto dato, fatta salva la possibilità, stando almeno alla precisazione incidentale ‘si hoc elegeris’[9], di optare, anche in questo caso, per l’azione di adempimento, da ritenersi naturalmente differente rispetto al modello prima indicato (ad exemplum ex empto actionis).

Si è già accennato che il brano ha suscitato l’interesse degli studiosi sia sul piano della determinazione dei rapporti contrattuali di permuta e compravendita, sia su quello più generale della tutela delle c.d. convenzioni innominate.

Quanto al primo aspetto, esso pare attestare una sopravvivenza (per lo più ritenuta parziale)[10] del punto di vista del giurista Celio Sabino, di cui siamo informati grazie alla testimonianza di Gai 3.141[11]. Si trattava probabilmente di un tentativo estremo di rispondere alle obiezioni avanzate dall’opposto indirizzo proculeiano, il quale, facendo leva sull’indistinguibilità dei ruoli negoziali nell’ambito di un rapporto permutativo, si pronunciava nel senso di una irriconducibilità all’interno dello schema della compravendita consensuale, secondo quanto suggerito invece da (Masurio) Sabino e Cassio[12]. Obiezioni che per l’appunto si era provato a risolvere attraverso l’ingegnosa elaborazione dell’ipotesi di res venalis[13] di cui ci informa Gaio[14] e della quale invece tace, com’è ben noto[15], Paolo in Paul. 32 <33> ad ed. D.19.4.1.

Quanto al secondo aspetto, soprattutto in passato il brano era stato variamente richiamato per dimostrare l’origine bizantina della tutela in via di adempimento per le operazioni non riconducibili a uno specifico schema edittale, per le quali i giuristi classici e la stessa cancelleria di Gordiano si sarebbero invece arrestati a una tutela di tipo meramente ripetitivo, da attuarsi mediante condictio o al più actio in factum (ai sensi di Gai 4.66) egualmente indirizzata a rimediare a indebite distorsioni sul piano delle attribuzioni patrimoniali[16]. Conclusione, questa, che risulterebbe dimostrata dall’evidente fattura bizantina dell’inciso ‘si hoc elegeris[17], attraverso la cui inserzione i commissari avrebbero inteso far salvo il principio del ricorso in via alternativa all’azione di adempimento, come del resto potrebbe evincersi dalla lettura dello sch. “Otan tij ad Bas.20.3.3 [18] di Teodoro in cui, soppresso (in verità) ogni riferimento alla condictio, si prospetta piuttosto il (solo) ricorso all’actio p.v.[19], previo assolvimento dell’onere di denuntiatio da parte del contraente evitto (requisito di cui non vi è traccia nel testo giustinianeo)[20].

Col venir meno dei motivi di sospetto che agitavano la critica interpolazionistica[21], l’interesse degli studiosi per la testimonianza si è purtroppo sensibilmente ridimensionato, finendo così per essere sostanzialmente trascurata nelle principali (e più recenti) ricerche che sono state condotte in materia[22].

Se si prescinde da occasionali e fugaci cenni contenuti in sintesi di ordine generale, in cui non sempre si sono tenuti adeguatamente distinti i diversi profili affrontati nel provvedimento imperiale[23], il brano ha continuato a essere quasi unicamente studiato nella più ristretta angolazione della delimitazione dei rapporti tra permuta e compravendita consensuale, senza che dunque si sia sino in fondo indagato sul rilievo che esso potrebbe avere sul piano della precisazione dei caratteri processuali dei vari possibili strumenti di tutela approntabili in ipotesi di deviazione dagli schemi causali tipici: sia nella tradizionale prospettiva di una indifferenziazione dei meccanismi di tutela (agere praescriptis verbis, altrimenti qualificato in factum civilis o civilis incerti)[24], sia nella più recente e differente ottica, oggi sempre più accreditata[25], di un articolato sistema processuale, al cui interno sarebbe possibile individuare quantomeno due differenti modelli di giudizio (l’agere praescriptis verbis labeoniano in contrapposizione all’actio civilis incerti aristoniana)[26], distinti anche sul piano dei presupposti di azionabilità[27].

 

 

2. – A proposito di un recente contributo di Enrico Sciandrello

 

Del brano si è recentemente occupato Enrico Sciandrello, in uno studio, ove si è affrontato il tema della tutela delle convenzioni atipiche, sotto la specifica angolazione dei contratti di permuta ed estimatorio, con una scelta che, per dichiarazione dell’autore[28], risente dell’impostazione di J.4.6.28 [29], dal quale soprattutto in passato si è ricavata l’idea[30], per la verità da tempo abbandonata[31], e ritenuta (parrebbe) impraticabile dallo stesso studioso[32], di una delimitazione del carattere di buona fede alle sole azioni ex permutatione e de aestimato.

Non è certo qui il caso di soffermarsi sui risultati dell’indagine. Interessa piuttosto analizzare quanto sostenuto a proposito di C.4.64.1.

Volendo rappresentare in estrema sintesi il pensiero dell’autore, può dirsi che egli concorda con l’opinione dominante che vede, nell’actio ad exemplum ex empto actionis concessa nell’ipotesi di trasferimento di possessio venalis, un’«azione modellata su quella ex empto»[33]. Si sarebbe più precisamente trattato di azione con intentio incerta ex fide bona, preceduta da praescriptio descrittiva della res de qua agitur,[34] il che induce lo studioso a ritenere che la cancelleria imperiale non avesse pienamente accolto il punto di vista di Celio Sabino[35]. Quanto alle ragioni di questo scostamento, esse andrebbero ricercate nel fatto che la cancelleria avrebbe richiesto un ulteriore requisito ai fini dell’inquadramento della permuta nell’emptio venditio, non accontentandosi più della sola specificazione del ruolo dei soggetti contraenti (res venalis), ma pretendendo anche la determinazione del «valore della cosa data a titolo di prezzo»[36]: determinazione che, come si evincerebbe dal brano, non sarebbe stata invece fissata nell’ipotesi presa in considerazione nel rescritto di Gordiano (‘licet non taxata quantitate’)[37].

Tale precisazione avrebbe dunque rappresentato nel III sec. d. C. un requisito essenziale ai fini di una piena assimilazione dello scambio di res venalis allo schema dell’emptio venditio, con conseguente applicazione dei relativi rimedi processuali[38].

L’ipotizzato «sviluppo» dell’originario punto di vista del maestro sabiniano non sarebbe stato correttamente inteso dai Bizantini, i quali, come si ricaverebbe dall’esame dell’omologo brano dei Basilici (Bas.20.3.3) e dal connesso scolio di Teodoro[39], dopo aver soppresso il «requisito espresso nel testo del rescritto con l’inciso ‘licet non taxata quantitate’» non avrebbero avuto «ostacoli nel riconoscere l’esperibilità di un’actio ex empto diretta»[40].

In più «l’assenza di un’espressione equivalente al suddetto inciso lascia spazio, nel testo di Bas.20.3.3 — quasi certamente riconducibile alla mano di Taleleo —, ad un discorso che pare introdurre l’animus dei contraenti come criterio per distinguere la permuta dalla compravendita»[41].

Quanto all’ipotesi di scambio propriamente permutativo, da ravvisarsi nell’impossibilità di procedere a una più specifica determinazione dei ruoli contrattuali, la cancelleria avrebbe ammesso il concorso elettivo tra la condictio in via di ripetizione e l’actio civilis incerti per l’id quod interest[42], dovendosi ritenere «tutt’altro che provata l’interpolazione» del tratto ‘si hoc elegeris[43], non rilevando da questo punto di vista il già citato scolio di Teodoro, ove il riferimento all’actio praescriptis verbis dovrebbe piuttosto intendersi nel senso di un intervento integrativo (grazie anche al rinvio a C.8.44.29)[44] del quadro informativo desumibile dal rescritto di Gordiano[45].

Regime, questo, che non avrebbe trovato applicazione nell’ipotesi di scambio di possessio venalis, per la quale si sarebbe dovuto procedere in via esclusiva attraverso l’actio ad exemplum ex empto actionis, rimanendo precluso il ricorso alla condictio per la ripetizione del dato[46].

La constatazione per cui nel diritto giustinianeo si sarebbe venuto a delineare un sistema di protezione «a doppio binario», con condictio in via ripetizione e actio praescriptis verbis di buona fede per l’adempimento, induce inoltre l’autore a interrogarsi sulle vicende che avrebbero condotto a una sintesi delle due differenti prospettive emerse nell’epoca classica ed ancora presenti nel rescritto di Gordiano[47], arrivando così a ipotizzare un processo combinatorio dei due sistemi di tutela da parte dei commissari giustinianei, reso possibile dalla presenza in entrambi i giudizi (actio utilis bonae fidei, actio civilis incerti) di praescripta verba descrittivi della res de qua agitur[48].

 

 

3. – Actio ad exemplum ex empto actionis e agere praescriptis verbis: opportunità di una riflessione

 

Il rilievo della questione è tale che non può si pensare di affrontarlo in questa sede, occorrendo a tal fine una più ampia e generale valutazione che non potrebbe peraltro prescindere da una più specifica riflessione sulle dottrine contrattuali labeoniana e aristoniana, che sempre secondo la indicata dottrina avrebbero funto da supporto alla diversa prospettiva processuale adottata dai due giuristi. In proposito non si può però fare a meno di manifestare una certa perplessità (per lo meno nei termini in cui è generalmente formulata) nei confronti dell’ipotesi di una differenziazione tra le due teoriche contrattuali, sulla quale peraltro si è venuto innestando un oramai ingovernabile processo di contaminazione che rende assolutamente opportuna una più attenta riflessione sull’intera vicenda.

Ciò precisato, sul punto ci si deve qui limitare a poche e brevi considerazioni.

Quanto alla prima ipotesi presa in esame dalla cancelleria imperiale, si deve innanzi tutto rilevare come sia sicuramente da condividere l’interpretazione della locuzione ad exemplum ex empto actionis, nel senso di azione specificamente modellata sull’actio ex empto (‘Musterklage’)[49]. Non sembra possa infatti seguirsi la diversa opinione di quanti piuttosto suggerivano un’identificazione con la stessa actio empti[50]. Si tratta di un’ipotesi che non si accorda con il limpido tenore della testimonianza, ove la ravvisata analogia non è direttamente calibrata sul profilo sostanziale del regime dell’emptio-venditio, ma pare più propriamente investire la fisionomia strutturale dell’actio empti.

Se in effetti si fosse inteso porre una connessione con la disciplina del fenomeno evittivo nell’ambito del rapporto contrattuale di compravendita, si sarebbe piuttosto affermato: ad exemplum ex empti actione, usando in senso assoluto la locuzione ad exemplum (o comunque supponendo sottinteso o caduto un genitivo emptionis: ad exemplum emptionis), volendo così significare che anche in quest’ipotesi si sarebbe agito per l’interesse con l’actio empti, allo ‘stesso modo’ di quanto avveniva nell’ambito dell’emptio venditio. Si tratta però, come si è detto, di una lettura non compatibile con lo stato attuale del brano, a meno di ammettere, più che improbabili rimaneggiamenti compilatori, guasti sul piano della tradizione testuale.

Considerato che la preoccupazione principale della cancelleria sembrerebbe essere quello di sancire il diritto del richiedente ad agire per l’interesse (positivo), si potrebbe semmai pensare a un’analogia sul versante del regime processuale, nel senso: potrà agirsi per l’interesse allo stesso modo con cui lo si ottiene mediante l’actio ex empto[51]. In tal caso si verrebbe, però, ad allentare il rapporto di familiarità tra l’azione qui indicata e l’actio empti, in termini che non paiono seriamente compatibili con l’approccio assimilativo sabiniano, e che piuttosto risulterebbero coerenti col diverso atteggiamento proculeiano, diversamente indirizzato a una valorizzazione dei profili di discontinuità delle fattispecie, nell’ottica di un’autonoma configurazione contrattuale[52].

Quanto alla struttura dell’azione non è qui possibile soffermarsi in modo particolare. Dal livello di familiarità che il brano sembra voler prospettare con l’actio empti, è ragionevole ritenere che si trattasse di azione adeguativa dello schema tipico dell’actio empti, attraverso un intervento non incisivo sul piano della struttura formulare (del resto non vi sarebbe stata alcuna seria ragione per anticipare la descrizione della res de qua agitur in una praescriptio, potendo tale intervento essere comodamente compiuto all’interno della demonstratio) e che soprattutto non investisse il piano della qualificazione del fatto giuridico, del nomen iuris, limitandosi al più a una precisazione dei caratteri realizzativi dell’emptio.

Ciò pone l’interrogativo se un’azione del genere possa essere propriamente ricondotta al modello dell’agere praescriptis verbis, secondo quanto suggerito (anche) dall’autore[53]. Si tratta di una questione che non può essere qui specificamente affrontata, investendo essa direttamente il tema assai più complesso della natura dell’agere p.v., dovendosi in particolare meglio precisare se ci si trovi in presenza di una tecnica di adeguamento di azioni edittali tipiche (di buona fede) – attraverso un’analogia per tipo specifico –[54], o se piuttosto si abbia a che fare con un modello generale applicato al caso concreto[55], strutturalmente ispirato a uno schema processuale tipico ‘decausalizzato’: analogia per tipo generico.

Andrebbe in altri termini chiarito fino a che punto un intervento sullo schema formulare tipico, per assicurare un migliore adeguamento alla specificità della fattispecie, debba essere (necessariamente) ricondotto, sul connesso piano del diritto sostanziale, nell’ambito del fenomeno dell’atipicità contrattuale: per lo meno se ciò sia possibile in ipotesi di ‘invarianza’ sul versante della qualificazione giuridica della fattispecie, del ‘nomen iuris’.

 

 

4. – L’aestimatio della res pretii nomine data quale possibile elemento qualificante della fattispecie?

 

Non sembra si possa invece aderire alla proposta di un’evoluzione rispetto all’originaria impostazione di Celio Sabino, che avrebbe dovuto condurre la cancelleria imperiale a pretendere, ai fini di una piena assimilazione allo schema della compravendita consensuale, la «determinazione del valore della res data a titolo di prezzo»[56], a voler così interpretare l’espressione ‘taxata quantitate[57].

Occorre osservare che l’autore non è il primo ad aver elevato, contro il chiaro tenore della testimonianza, l’aestimatio a elemento qualificante della fattispecie. Ci troviamo anzi di fronte a un indirizzo ricostruttivo assai risalente, le cui origini possono essere addirittura ricondotte già alla scuola dei Glossatori[58], e che, non senza specifici contributi e (significative) deviazioni sul concreto piano configurativo[59], nelle sue linee fondamentali si è tramandato, con importanti adesioni, sino al XIX sec.[60], per essere, come si vede, oggi ripreso da Sciandrello.

Esso si basa, però, com’è evidente, su assai dubbia interpretazione dell’inciso ‘licet non taxata quantitate’, la quale pretenderebbe di intendere la congiunzione licet nel senso (non attestato nei lessici) di ‘purché’, a ‘condizione che’, piuttosto che nel suo (corretto) significato di ‘anche se’, ‘benché’, ‘nonostante’[61]. In sostanza si vuole qui osservare che, anche se non si è provveduto a effettuare un precisa stima del valore della cosa offerta a titolo di prezzo, potrà comunque agirsi ad exemplum ex empto actionis. La stima del prezzo non costituisce dunque un requisito della fattispecie come si è sostenuto[62]. E ciò spiega per quale ragione nello scolio di Teodoro, in un quadro espressivo evidentemente diretto alla semplificazione rispetto al ∙htÒn, sia saltato il riferimento alla determinazione di un limite alla stima della res pretii: non costituendo essa elemento rilevante ai fini dell’individuazione dei caratteri distintivi della fattispecie, si rivelava assolutamente non incisiva sul piano della soluzione giuridica da adottare.

Occorre inoltre aggiungere che, da parte di tutti questi autori, non ci si è preoccupati di meglio precisare il motivo per cui la mancata determinazione del valore della res pretii nomine data avrebbe dovuto pregiudicare una piena assimilazione con l’emptio venditio. Solo tra le righe parrebbe prospettarsi un’incidenza del regime del certum pretium in tema di compravendita[63], non considerando, evidentemente, che nel caso di scambio permutativo il prezzo, o meglio il sacrificio economico imposto alla parte ‘acquirente’, anche se non fatto oggetto di apposita stima, risponde comunque ai requisiti richiesti per una sua non controversa determinazione[64]: esso è da considerarsi comunque certo, nel senso che la res che funge da prezzo (la res pretii nomine data) risulta esattamente individuata. A rimanere imprecisato, incerto, è semmai il suo valore.

 

 

5. – Lo scambio di possessio non venalis: un ritorno all’impostazione di Cels. 3 <8> dig. D.12.4.16?

 

Quanto alla seconda ipotesi, si deve invece osservare come non possano ritenersi affatto infondati i sospetti avanzati sull’inciso si hoc elegeris[65], il quale ha in effetti l’aspetto di una successiva precisazione, non necessariamente di origine compilatoria[66], dettata dalla preoccupazione di fissare, anche in questo caso, il principio del ricorso alternativo tra i due rimedi processuali in più occasioni ribadito nelle fonti. Per quanto ciò non comporti che si debba necessariamente mettere più generalmente in discussione il riconoscimento in termini propriamente contrattualistici delle operazioni di scambio di tipo permutativo (do ut des), secondo quanto suggerito dalla dottrina interpolazionistica, è però legittimo (forse anche doveroso) avanzare seri dubbi circa l’accoglimento di tale impostazione da parte della cancelleria di Gordiano, secondo quanto si tende a fare oggi in dottrina[67].

Si dovrebbe ritenere altrimenti assai maldestro, sul versante dello sviluppo della trama narrativa, il passaggio dal piano dell’adempimento a quello della ripetizione, essendo ragionevole ritenere che, diversamente, l’attenzione della cancelleria continuasse a concentrarsi sulla prospettiva dell’azione di adempimento, con la precisazione, magari, di potersi indirizzare verso una tutela diretta alla sola ripetizione (si hoc elegeris). In questo caso, peraltro, ci sarebbe da attendersi che la cancelleria si preoccupasse di chiarire attraverso quale diverso rimedio il richiedente avrebbe potuto vedere integralmente soddisfatta la propria pretesa, dovendosi inevitabilmente trattare di azione non ad exemplum ex empto actionis.

In sostanza sarebbe stato naturale affermare (per fare solo un possibile esempio): At enim si, permutatio facta est, in id quod interest praescriptis verbis (civili incerti) agendum est; sed ut res contra nobis reddatur, condictioni locus est (Paul. D.19.4.1.4); (oppure) vel si meum recipere velim, repetatur quod datum est (Paul. D.19.5.5.1); (o ancora) si quod datum est recipere velis, cum ratione restitui postulabis.

L’ordine di idee in cui sembra muoversi la cancelleria è piuttosto differente, e richiama alla mente la prospettiva di Cels. 3 <8> dig. D.12.4.16 [68], ove, pur in termini dubitativi e che sembrano presupporre una diverso approccio risolutivo (in qua proclivior sum), Celso si orienta, per ipotesi (peraltro) ancor più significativamente simile allo schema della compravendita (dedit tibi pecuniam ut), con identica funzione sul versante economico dello scambio (cosa contro prezzo), ma diversificantesi sul piano dei concreti meccanismi giuridici di realizzazione dello stesso (dare/tradere rem)[69], nel senso di tutela meramente ripetitiva ancora una volta da attuarsi attraverso l’impiego di condictio.

Del resto, com’è stato rilevato proprio da Sciandrello[70], è possibile che, ancora nei primi decenni del III sec. d. C., la questione della configurabilità della permuta in termini di autonoma figura contrattuale non apparisse del tutto pacifica, per cui non sarebbe affatto azzardato supporre la permanenza di un atteggiamento di ‘chiusura’ di matrice, per cosi dire, celsina, per quanto ragionevolmente minoritario[71].

Quanto poi allo scolio di Teodoro, non sembra si possa neppure discutere di un semplice «completamento» rispetto all’incompleto quadro informativo di C.4.64.1. Si deve anzi osservare che il senso del brano viene significativamente modificato, dato che l’azione esperibile ex causa permutationis è qui identificata con l’actio p.v, in termini che non possono propriamente ritenersi indicativi di un ulteriore percorso di tutela per il contraente evitto[72], ma più propriamente sostitutivi.

 

 

Abstract

 

Il lavoro ha ad oggetto una nota costituzione di Gordiano del 238 ove è affrontato il tema dell’evizione nell’ambito di operazioni di scambio affini all’emptio venditio. Quanto all’azione ad exemplum ex empto actionis accordata all’acquirente di possessio venalis, si concorda con l’orientamento dominante che esclude un’identificazione con l’actio ex empto. Si esprimono però dubbi sulla riconducibilità al modello dell’agere p.v., così come si contesta la congettura di una rielaborazione della dottrina di Celio Sabino da parte della cancelleria imperiale avanzata da E. Sciandrello. Relativamente all’ipotesi di scambio di possessio non venalis si avanzano sospetti sulla genuinità dell’inciso ‘si hoc elegeris’, attribuendosi così alla cancelleria imperiale un atteggiamento che ricorda l’impostazione di Cels. 3 <8> dig. D.12.4.16.

 

The present work has as its subject a noted constitution by Gordiano from 238 a.d. in which is discussed the theme of guarantee from eviction in terms of trade operations similar to emptio venditio. In terms of ad exemplum ex empto actionis given to the possessio venalis buyer this paper agrees with dominant theory which excludes an actio ex empto identification. Doubts are expressed however on the amenability of the agere p.v., and the conjecture put forward by E. Sciandrello that there was a revision of Celio Sabino's doctrine by the imperial chancellery is also here contested. In reference to hypotheses of possessio non venalis trade, suspicions are expressed regarding the authenticity of the 'si hoc elergeris' clause, thus attributing an attitude reminiscent of Cels. 3 <8> dig. D.12.4.16.

 



 

[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Tradizione Romana” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind].

 

[1] L’integrazione è resa possibile in base a ms. Pist. (codex bibliothecae capitularis Pistoriensis): sul punto vd. le informazioni contenute in A. et M. Kriegel, Corpus Juris Civilis. Codex. Impressio septima decima, Lipsiae, 1887, 284 nt. 32.

 

[2] Così P. Krüger, Corpus iuris civilis. Volumen secundus. Codex Iustinianus, 11a ed., Berlin 1954, 188; occorre in effetti, osservare, che trattasi di lettura in passato ampiamente minoritaria, essendo piuttosto prevalente la lezione ‘Therasae’ che troviamo in (ex officina Claudii Chevallonii) Codicis Iustiniani libri novem, ad veterum exemplarium  cum scriptorum tum impressorum fidem, doctorum quae virorum annotationes, diligenter recognitum scriptorum, Parisiis 1526, 281; Codicis Iustiniani D. N. Sacratissimi Principis PP. Aug. Repetitae praelectionis. Libri XII. Notis Dionysii Gothofredi IC. Illustrati. Tertia Editio prioribus auctior & emendatior, Apud Ioannem Vignon 1604, 327; (con indicazione delle diverse versioni manoscritte) A. et M. Kriegel, Codex, cit., 284 e ivi nt. 31.

 

[3] L’uso delle parentesi per riportare l’inciso ‘si hoc elegeris’ è assai risalente: si trova, ad es., già in (ex officina Claudii Chevallonii) Codicis Iustiniani libri novem cit., 281; A. et M. Kriegel, Codex, cit., 284.

 

[4] Senza seguito la proposta E. Rabel, Die Haftung des Verkäufers wegen Mangels im Rechte, I, Leipzig 1902, 123, di interpretare venalis nel senso di ‘alienabile’ (quale equivalente di res in commercio); critici V. Arangio-Ruiz, La compravendita in diritto romano, 2a ed., Napoli 1961, 7, 8 nt. 3, il quale piuttosto pensa a un’offerta pubblica di vendita («uno dei due fondi era stato pubblicamente offerto in vendita»); G. Wesener, Actiones ad exemplum, in ZSS. 75 (1978), 237: «Der Ausdruck venalis ist hier wohl als feil, verkäuflich im subjektiven Sinne und nicht als objektiv verkäuflich (in commercio) aufzufassen».

 

[5] Per l’interpretazione di ‘possessio’ nel senso di ‘fondo’, già C. Accarias, Théorie des contrats innommés et explication du titre de praescriptis verbis au digeste, Paris, 1866, 126; come si è visto, V. Arangio-Ruiz, La compravendita, 2a ed., cit., 7; Ph. Meylan, ‘Permutatio rerum’, in Ius et Lex. Festgabe Gutzwiller, Basel 1959, 59; più di recente («Grundstück») G. Klingenberg, Eviktion durch ‘iniuria iudicis’, in Collatio iuris romani: études dédiées à H. Hankum à l’occasion  de son 65e anniversaire, I, Amsterdam 1995, 185.

 

[6] Per la genuinità della locuzione vd. C. Gioffredi, ‘Successio in ius’, in SDHI. 23 (1957), 5 s.

 

[7] Bas.20.3.3 (Schelt. BT. III 1006; Hb. II 378):¢lla de‹ zhte‹n ¹m©j k¢ke‹no, «ra m»ti Ð t¾n ™sqÁta œcwn pwlÁsai aÙt¾n ºboÚleto, kaˆ Ð tÕn o„kšthn œcwn ¢gor£sai taÚthn ™z»tei [] À m»ti aÙtoˆ ™x ¢rcÁj oÙd e„j œnnoian pr£sewj Ãlqon, ¢ll' ™nall£xai t¦ pr£gmata ºbolul»qhsan’.

 

[8] Più in generale, per un approfondimento della nozione di ‘iniuria iudicis’ si rinvia a G. Pugliese, Note sull’ingiustizia della sentenza nel diritto romano, in Studi in onore di E. Betti, III, Milano 1962, 725 ss., ove si trova un richiamo al testo di Gordiano (764); M. Brutti, La problematica del dolo processuale nell’esperienza romana, I, Milano 1973, 294 ss.; A. Manfredini, Contributi allo studio dell’‘iniuria’ in età repubblicana, Milano 1977, 132 ss.; G. Klingenberg, Eviktion, cit., 177 ss.

 

[9] In proposito vd. infra nel testo e alle ntt. 17 e 21.

 

[10] Sul punto vd. infra nt. 35.

 

[11] Gai 3.141: Sed ait Coelius Sabinus, si rem tibi venalem habenti, veluti fundum, [acceperim et] pretii nomine hominem forte dederim, fundum quidem videri venisse, hominem autem pretii nomine datum esse, ut fundus acciperetur. Sul brano si rinvia a V. Arangio-Ruiz, La compravendita, 2a ed., cit., 7 nt. 1, 135 ss.; G. Melillo, Economia e giurisprudenza a Roma. Contributo al lessico dei giuristi romani, Napoli 1978, 62 ss., 77 s.; M. Varvaro, Per la storia del certum. Alle radici della categoria delle cose fungibili, Torino 2008, 83 ss.; C. Cascione, ‘Consensus’. Problemi di origine, tutela processuale, prospettive sistematiche, Napoli, 2003, 386 ss.; con ampia rassegna bibliografica, E. Stolfi, Il modello delle due scuole in Pomponio e Gaio, in SDHI. 63 (1997), 57 ss.; da ultimo E. Sciandrello, Studi sul contratto estimatorio e sulla permuta nel diritto romano, Trento 2011, 208 ss.; espungono le parole ‘acceperim et’ («così come sono non possono stare») V. Arangio-Ruiz, La compravendita, 2a ed., cit., 7 nt. 1, ove si suggerisce di leggere ‘accesserim’; G. Solazzi, Spigolature gaiane, in SDHI. 1 (1935), 260; G. Melillo, Economia, cit., 62; M. Varvaro, Per la storia del certum, cit., 83; E. Stolfi, Il modello delle scuole, cit., 57 nt. 263; senza seguito invece la proposta di uncinare anche la frase ‘ut fundus acciperetur’ avanzata da G. Solazzi, Spigolature gaiane, cit., 26; scettico («meno probabile») V. Arangio-Ruiz, La compravendita, 2a ed., cit., 7 nt. 1.

 

[12] Per una siffatta interpretazione della generica espressione ‘nostri praeceptores  di Gai 3.141, alla luce di Paul. 32 <33> ad ed., vd. A. Schiavone, Studi sulle logiche dei giuristi romani, Napoli 1971, 106; E. Stolfi, Il modello, cit., 58 nt. 265.

 

[13] Che ciò implichi anche una significativa svolta rispetto alla più risalente impostazione di Sabino e Cassio (nostri praeceptores), in cui i due istituti non sono più semplicemente in un «rapporto [] di omogeneità, ma di assoluta identità» è sostenuto da E. Stolfi, Il modello, cit., 59 nt. 268 («la permuta non appare più una species emptionis venditionisque vetustissima [] ma piuttosto una compravendita a tutti gli effetti»); più recentemente che Celio Sabino non si rifaccia «al vecchio modulo interpretativo della sua secta», accettando anzi «la formalizzazione proculeiana, che cioè debbano essere nettamente riconoscibili la parte venditrice e quella acquirente è sostenuto da C. Cascione, Consensus, cit., 387 s. e ivi nt. 127, il quale reputa «semplificante» il tentativo di «inquadrare la soluzione del giurista come “di compromesso” [] “intermedia” [] o definirla come un “tentativo di conciliazione”, secondo quanto sostenuto da V. Arangio-Ruiz, La compravendita, 2a ed., cit., 7 ss., 137 («soluzione di compromesso»); F. Sitzia, voce Permuta (dir. rom.), cit., 108, P. Capone, Valore ed uso giurisprudenziale di absurdus/e, in SDHI. 63 (1997), 223; M. Sargenti, La sistematica pregaiana delle obbligazioni e la nascita dell’idea di contratto, in Prospettive sistematiche nel diritto romano, Torino 1976, 233 («soluzione di compromesso»); da ultimi aderiscono al punto di vista di Cascione E. Sciandrello, Studi, cit., 216 nt. 27 («appaiono riduttive le espressioni di quella parte della dottrina che ha visto nella teoria di Celio Sabino una soluzione di comodo rispetto alle difficoltà poste dalle argomentazioni proculeiane»); C. Pelloso, Do ut des e do ut facias. Archetipi labeoniani e tutele contrattuali nella giurisprudenza romana tra primo e secondo secolo d. C., in Scambio e gratuità. Confini  e contenuti dell’area contrattuale, Padova 2011, 108 s.: «osava spingersi addirittura sino ad una totale identificazione tra i due negozi [] Attraverso la riconduzione della permuta al modello “universale” di scambio proprio della compravendita [] i sabiniani, senza scalfire il principio del numero chiuso in materia contrattuale lato sensu intesa, ben potevano sostenere il ricorso diretto ai mezzi processuali già previsti dall’editto, come l’actio empti (per il permutante proponente la res venalis) o l’actio venditi (per l’altro permutante)»: trattasi chiaramente di lapsus, essendo l’actio venditi piuttosto accordata in favore del «proponente la res venalis», considerato che è questi ad assumere il ruolo di venditore; da altro punto di vista, giudica «non [] chiaro, sotto un profilo di spiegazione teorica, il tentativo di Celio Sabino» G. Melillo, Economia, cit., 63, 78 nt. 45.

 

[14] Pensano a un’adesione da parte di Gaio al punto di vista della propria scuola A. Burdese, I contratti innominati, in Derecho romano de obligaciones. Homenaje J. L. Murga Gener, Madrid 1994, 79; in questo senso parrebbe orientarsi, pur con cautela («il ricordo [] della replica di Celio Sabino può far supporre un’adesione per la tesi della propria scuola»), anche E. Stolfi, Il modello, cit., 59 nt. 267; più recentemente C. Cascione, Consensus, cit., 288; si orientano piuttosto per un accoglimento del diverso orientamento proculeiano M. D’Orta, La giurisprudenza tra Repubblica e Principato. Primi studi su C. Trebazio Testa, Napoli 1990, 22 ss. («anche Gaio, sabiniano, avrebbe colto la giustezza della tesi proculiana»); R. Quadrato, Le ‘Institutiones’ nell’insegnamento di Gaio. Omissioni e rinvii, Napoli 1979, 66; P. Capone, Valore e uso giurisprudenziale, cit., 223; nel senso di un sostanziale apprezzamento dell’impostazione proculeiana («argomentazioni che non soltanto Paolo [] ma perfino il sabiniano Gaio [] considerano in massima decisive») vd. V. Arangio-Ruiz, La compravendita, 2a ed., cit., 134 s.; G. Melillo, Economia, cit., 63, 78 nt. 45 («potrebbe non esprimere una convinta adesione alla posizione dei Sabiniani il “valde quaeritur”»).

 

[15] Sul punto vd. E. Stolfi, Il modello, cit., 59 nt. 267; M. Varvaro, Per la storia del certum, cit., 84 nt. 281; E. Sciandrello, Studi, cit., 215.

 

[16] Sull’inadeguatezza dell’actio in factum al perseguimento dell’interesse positivo vd. già J. Pokrowsky, Die actiones in factum des classischen Rechts, in ZSS. 16 (1895), 84 s.; E. Betti, Sul valore dogmatico della categoria “contrahere” in giuristi proculeiani e sabiniani, in BIDR. 28 (1915), 29 s.; più recentemente S. Tondo, Note ulpianee alla rubrica edittale per i ‘pacta conventa’, in SDHI. 64 (1998), 455, 464; P. Gröschler, Actiones in factum. Eine Untersuchung zur Klage-Neuschöpfung im nichtvertraglichen Bereich, Berlin, 2002, 21 nt. 17; T. dalla Massara, Alle origini della causa del contratto. Elaborazione di un concetto nella giurisprudenza classica, Padova 2004, 149 nt. 242; C. Pelloso, Do ut des, cit., 159 e ivi nt. 131, 170 ss.; in senso contrario, si vedano soprattutto P. Voci, La dottrina romana del contratto, Milano 1946, 233, 283; M. Sargenti, ‘Actio civilis in factum’ e ‘actio praescriptis verbis’. Ancora una riflessione, in Vincula iuris. Studi in onore di Mario Talamanca 7, Napoli 2001, 242, 269 s.; C. A. Cannata, Labeone, Aristone e il sinallagma, in Iura 58 (2010), 78 s.

 

[17] Sospetti sull’inciso ‘hoc elegeris’ si trovano in E. Rabel, Die Haftung, cit., 123; espungono ‘si hoc elegeris’ anche Ch. Appleton, L’obligation de transférer la propriété dans la vente romaine. Fr. 16 D. De cond. causa data XII, 4, in RHD. 30 (1906), 774 s. nt. 1; G. Beseler, Beiträge zur Kritik der römischen Recthsquellen 2, Tübingen 1911, 167; H. Siber, Römisches Recht in Grundzügen für die Vorlesung, II. Römisches Privatrecht, Berlin 1928, 212; bizantino anche per P. de Francisci, SUNALLAGMA, Storia e dottrina dei cosiddetti contratti innominati 1, Pavia 1913, 147 s., ove ulteriori indicazioni bibliografiche; V. Arangio-Ruiz, La compravendita, 2a ed.,  cit., 8 nt. 2 («Certo verso la fine è interpolata [] la frase si hoc elegeris, allusiva ai nuovi rimedi escogitati nel modo postclassico in tema di contratti innominati»); a un’assai maldestra aggiunta di Giustiniano pensa Ph. Meylan, Permutatio rerum, cit., 60; spurio anche per G. Wesener, Actiones ad exemplum, cit., 237.

 

[18] sch. 1 ad Bas. 20.3.3 (Schelt. BS. III 1217; Hb. II 378): Qeodèrou. “Otan tij dèsei pr£gma, kaˆ m¾ nom…smata Ùpr ¥llou pr£gmatoj, e„ mne„ d m¾ antˆ toà tim»tatoj aÙtÕ paršsce, kaˆ ™kdikhqÍ, ™n£getai par¦ [toà] labÒntoj tÍ ex empto e„j tÕ diafšron. e„ d m¾ antˆ toà tim»tatoj, ¢ll¦ Ñntˆ ¢ntallagÁj aÙtÕ dšdotai, tÒte tÍ praeskr…ptij bšrbij katšcetai, ™kdikoumšnou aÙtoà, dhlonÒti ™¦n parhggšlqh ™pˆ tÍ ™kd[ik»sei], æj Bib. » toà kèdikoj tit. md/. diat£xei. kb/.

 

[19] In questo senso P. de Francisci, SUNALLAGMA 1, cit., 147 s.

 

[20] Incorre in un evidente fraintendimento del brano Heimbach (Hb. II 378), ove si rende il testo greco ‘dhlonÒti ™¦n parhggšlqh ™pˆ tÍ ™kdik»sei’ con ‘scilicet si stipulatio de evictione interposita sit’, con una traduzione che, peraltro, pretenderebbe di subordinare l’esercizio dell’a.p.v. alla preventiva conclusione di apposita stipulatio de evictione; una critica alla scelta di Heimbach, si trova in E. Sciandrello, Studi, cit., 219 e ivi nt. 36, il quale, se per un verso ha ragione a ricordare come il riferimento alla stipulatio sia solitamente espresso «nelle fonti bizantine con la forma sostantivata ‘™perèthsij’ o quella verbale ‘™perwt£w’», di fatto cade egli stesso vittima dell’impostazione ‘volontaristica’ dello studioso tedesco, allorché sostiene che Teodoro avrebbe affermato «la necessità di una preventiva intesa ‘™pˆ tÍ ™kdik»sei’», dall’autore identificata con la «denuntiatio ad defensionem, consistente nell’invito all’assistenza processuale ai fini della difesa contro il rivendicante». Indipendentemente dalle insormontabili difficoltà che si frappongono sul piano dogmatico per una riconduzione dell’istituto della denuntiatio all’interno dello schema dell’accordo (trattandosi piuttosto di atto assolutamente unilaterale, rispetto al quale, peraltro, il soggetto intimato viene a trovarsi in una situazione di sostanziale soggezione che impedisce, anche di fronte a eventuale comportamento collaborativo, la configurazione di un atto propriamente adesivo), all’autore deve essere sfuggito (probabilmente sotto il condizionamento della traduzione di Heimbach) che il verbo ‘paraggšllw’ — da cui appunto deriva l’aoristo passivo ‘parhggšlqh’, il cui soggetto grammaticale è il (permutante) convenuto con l’actio p.v. (soggetto anche di ‘katšcetai’) — non esprime in alcun modo l’idea dell’‘intesa’ (preventiva), assumendo piuttosto il significato di: ‘ordinare’, ‘comandare’, ‘esortare’. In sostanza il brano può essere così reso: ‘sarà tenuto con l’a.p.v., sempre che sia stato intimato a intervenire in relazione all’evizione’ (nel senso che sia stato formalmente invitato a intervenire nell’ambito dell’azione di rivendica che ha poi condotto all’evizione del suo avente causa).

 

[21] In favore della genuinità dell’inciso ‘si hoc elegeris’, con il quale pare prospettarsi un concorso alternativo tra condictio in via di ripetizione e azione contrattuale per il risarcimento del danno (id quod interest), vanno perlomeno segnalati B. Biondi, Contratto e stipulatio, Milano 1953, 97 s.; ingiustificata («unberechtigt») la critica al testo secondo M. Artner, ‘Agere praescriptis verbis’. Atypische Geschäftsinhalte und klassisches Formularverfahren, Berlin, 2002, 211 e ivi nt. 184: «Das „si hoc elegeris“ zeigt, daß aber auch die entsprechende Erfüllungklage (actio incerti civilis) grundsätzlich möglich gewesen wäre»; da ultimo respinge l’ipotesi di interpolazione anche E. Sciandrello, Studi, cit., 217 ss.; non prende posizione sul punto, per quanto sembri orientarsi per la genuinità complessiva del brano A. Burdese, Sul riconoscimento, cit., 64 e ivi nt. 121.

 

[22] Per limitarci a pochi ma significativi esempi, basti considerare che il provvedimento non si trova citato in R. Santoro, Il contratto nel pensiero di Labeone, in AUPA. 37 (1983), 5 ss.; G. Melillo, Contrahere, pacisci, transigere. Contributi allo studio del negozio bilaterale romano, Napoli, 1994; T. dalla Massara, Alle origini della causa, cit.

 

[23] Così («Per una ipotesi di evizione di cosa ricevuta in permuta, in C.4.64.1, si concede un’azione ad exemplum ex empto actionis..in id quod…interest, o, a scelta, un’azione in ripetizione di quanto dato in scambio, ove l’azione sull’esempio dell’azione di compera ancora ricorda la estensione labeoniana della tutela di contratto tipico consensuale tramite agere praescriptis verbis») A. Burdese, Osservazioni in tema di c. d. contratti innominati, in Estudios Iglesias, I, Madrid 1988, 152, ove sembra non tenersi conto che l’azione ad exemplum è in realtà approntata in relazione a ipotesi di scambio tenuta distinta rispetto al modello propriamente permutativo, e per la quale non è prospettato un ricorso alternativo alla condictio in via di ripetizione; punto di vista mantenuto in Id., I contratti innominati, cit., 87: «Per una ipotesi di cosa ricevuta in permuta, Gordiano, in un rescritto dell’anno 238, riconosce il diritto di conseguire l’id quod interest ad exemplum ex empto actionis o, a scelta, la restituzione di quanto dato», con la precisazione che il rescritto parrebbe «tenere ancora presente la realtà formulare classica dell’agere praescriptis verbis».

 

[24] Senza andare troppo indietro nel tempo basterebbe considerare C. Accarias, Théorie, cit., 64; tra gli studi più recenti ci limitiamo a segnalare R. Santoro, Il contratto, cit., 73, 96; C. A. Cannata, Contratto e causa nel diritto romano, in Causa e contratto nella prospettiva storico comparatistica. II Congresso internazionale ARISTEC (Palermo-Trapani, 7-10 giugno 1995), Torino 1997, 46; Id., L’actio in factum civilis, in Iura 57 (2008-2009), 47 s.; Id., Labeone, Aristone, cit., 34, 98; L. Garofalo, Contratto, obbligazione e convenzione in Sesto Pedio, in Le dottrine del contratto nella giurisprudenza romana, a cura di A. Burdese, Padova, 2006, 349 s. nt. 33; da ultimo C. Pelloso, Do ut des, cit., 139 nt. 102, con ripensamento rispetto al punto di vista espresso in Id., Le origini aristoteliche del SUNALLAGMA di Aristone, in La compravendita e l’interdipendenza delle obbligazioni nel diritto romano 1, Padova 2007, a cura di Luigi Garofalo, 92 ss. ; ulteriori indicazioni possono trovarsi in G. Romano, Nota sulla tutela del contraente evitto nell’ambito dei c.d. contratti innominati. Il caso dell’actio auctoritatis, in Diritto @ Storia 9 (2010) <http://www.dirittoestoria.it/9/Tradizione-Romana/Romano-G-Tutela-contraente-evitto-contratti-innominati.htm>, 20 nt. 4 (estratto); non sembra aver adeguatamente valutato la risalenza di tale indirizzo E. Sciandrello, Studi, cit., 15 nt. 23: «recentemente anche Cannata ha contestato la tesi dominante [] ma ha addirittura (il corsivo è nostro) sostenuto che l’espressione ‘actio civilis incerti’ rappresentasse solo un altro modo di indicare quel mezzo processuale altrove denominato ‘actio civilis in factum’ o ‘actio praescriptis verbis’».

 

[25] Riferimenti essenziali possono trovarsi in G. Romano, Nota sulla tutela, cit., 20 nt. 4; a questi vanno aggiunti T. dalla Massara, Alle origini della causa, cit., 178 ss.; E. Sciandrello, Studi, 12 ss., 357 ss.

 

[26] M. Artner, ‘Agere praescriptis verbis’, cit., 161 ss., 234, 238 s.

 

[27] Da questo punto di vista, non sono sfuggite le implicazioni del brano a M. Artner, ‘Agere praescriptis verbis’, cit., 211 e ivi nt. 185, il quale ha anzi congetturato la coesistenza, sul finire dell’epoca classica, di due diversi sistemi di tutela in materia di permuta, entrambi in senso lato praescriptis verbis. Da un lato, un’actio p.v. in senso tecnico, intesa quale estensione («Erweiterung»), mediante praescripta verba, delle azioni derivanti dalla compravendita («so genügt eine Erweiterung der aus einem Kauf entstehenden Klage, die durch praescripta verba geleistet werden kann»), da concedersi sul presupposto di un adeguato livello di precisazione dei ruoli negoziali dei contraenti (in modo che risultasse possibile stabilire chi era tenuto alla «Eigentumsverschaffung» e chi al semplice ‘habere licere’); dall’altro, un’azione, piuttosto fondata sulla datio, corrispondente in sostanza («im Grunde») all’actio incerti civilis di Aristone, da adoperarsi nell’ipotesi opposta: «ist dann anwendbar, wenn eine Subsumption unter die Kategorien des Kaufes an der Unmöglichkeit scheitert, die Person des Käufers bzw. des Verkäufers zu bestimmen». Per quanto il brano non fornisca specifiche indicazioni circa la presenza della clausola di buona fede in entrambi i programmi di giudizio, in base al fatto che in Ulp. 4 ad ed. D.2.14.7.2 l’actio civilis incerti verrebbe qualificata come p.v., in via del tutto congetturale («darf spekuliert werden») si è altresì avanzata, da parte dell’autore, l’ipotesi di un percorso di unificazione («Vereinheitlichungstendenze») tra actio civilis incerti e a.p.v. avviatosi coll’estensione di quest’ultimo rimedio all’ambito dei contratti reali; nel senso di una confluenza dei due modelli processuali nel tardo principato («si potrebbe ipotizzare, fra l’altro — nella giurisprudenza tardo-classica — una vicenda unificante, e non soltanto dal punto di vista terminologico») anche M. Talamanca, La tipicità dei contratti romani fra ‘conventio’ e ‘stipulatio’ fino a Labeone, in Contractus e pactum. Tipicità e libertà negoziale nell’esperienza tardo-repubblicana. Atti del convegno di diritto romano e della presentazione della nuova riproduzione della ‘littera Florentina’ (Copanello 1-4 giugno 1988), Napoli 1990, 102 nt. 258, con una congettura abbandonata però in Id., Pubblicazioni pervenute alla direzione, in BIDR. 92-93 (1989-1990), 733; sempre sulla base di Ulp. 4 ad ed. attribuisce a Mauriciano un processo di sintesi, di «contaminazione», delle differenti prospettive labeoniana e aristoniana, mediante impiego di praescripta verba nell’ambito dell’actio civilis incerti (rimasta però di stretto diritto) T. dalla Massara, Alle origini, cit., 184 ss.

 

[28] E. Sciandrello, Studi, cit., 37 s.

 

[29] J.4.6.28: ‘bonae fidei sunt [] praescriptis verbis, quae de aestimato proponitur, et ea, quae ex permutatione competit’.

 

[30] Così, soprattutto G. Lombardi, L’‘actio aestimatoria’ e i ‘bonae fidei iudicia’, in BIDR. 63 (1960), 152 ss., 178 ss., sul cui punto di vista peraltro si concentra l’attenzione dello studioso torinese; è noto che la questione presenta in effetti origini assai più risalenti: al riguardo ancora utile si rivela la confutazione che della stessa ipotesi può trovarsi in C. Accarias, Théorie, cit., 71 ss.

 

[31] Fatta eccezione per Lombardi, non ci risulta che la proposta di una specifica caratterizzazione in termini di buona fede delle sole azioni de aestimato e de permutatione abbia avuto effettivo seguito in dottrina.

 

[32] E. Sciandrello, Studi, cit., 65 s., di cui in verità non risulta del tutto chiaro il senso dell’affermazione conclusiva, ove sembra anzi ipotizzarsi una differenziazione in relazione all’intensità della tutela operante all’interno dell’agere p.v., che in sostanza parrebbe voler riproporre, ma in termini ancor più incerti (anche sul piano del percorso argomentativo seguito dallo studioso), la distinzione posta, sul piano formale della conceptio verborum, da Lombardi: «Un regime di buona fede in senso tecnico era presente nell’actio praescriptis verbis solo con riguardo all’aestimatum ed alla permutatio; d’altro canto, proprio questi due istituti, nell’ambito dei quali si realizzava dunque la tutela più piena, dovevano essere considerati modelli ai quali ispirarsi per le altre convenzioni atipiche: il principio informatore era rappresentato dalla bona fides».

 

[33] E. Sciandrello, Studi, cit., 220 ss. e ivi nt. 38.

 

[34] E. Sciandrello, Studi, cit., 362.

 

[35] E. Sciandrello, Studi, cit., 220 («incuriosisce il fatto che, nonostante la cancelleria imperiale avesse chiaramente utilizzato il criterio sabiniano [] l’azione proposta per il primo caso indicato nel brano non fosse quella direttamente contemplata per l’emptio venditio, ma soltanto una sua estensione ad exemplum»); peraltro, la cancelleria imperiale si sarebbe scostata anche sul piano della configurazione strutturale della fattispecie (282: «il dibattito tra gli auctores delle due scholae si svolgeva sul piano della consensualità; la decisione di Gordiano [] invece, si fondava verosimilmente su un presupposto differente, ossia sulla struttura reale della fattispecie sottoposta al giudizio della cancelleria imperiale»); nel senso di un’adesione non integrale già C. Accarias, Théorie, cit., 126 («Il resulte de ce texte [] que quelque chose resta de la théorie Sabinienne [] mais dans un cas [] où l’intention des contractans était certainement de faire une vente»); V. Scialoja, Diritto romano (contratti speciali) (compravendita). Appunti alle Lezioni del Prof. V. Scialoja redatti da Medardo Rotati, Anno Accademico 1895-96, 106 ss.; («non integralmente accettata») P. Voci, La dottrina, cit., 265; si interroga se la concessione di tale azione vada interpretato come un ripiegamento («inflexion») rispetto alla dottrina sabiniana Ph. Meylan, Permutatio rerum, cit., 59; M. Sargenti, La sistematica, cit., 487: «La cancelleria di Gordiano non la accettava però, interamente, perché, con una scrupolosa applicazione di strumenti processuali classici, concedeva al contraente evitto non proprio l’actio empti, ma un’actio ad exemplum ex empto actionis»; nel senso di una piena adesione («noi troviamo applicata precisamente quella teoria che Celio Sabino aveva sostenuto come risposta alle obiezioni Proculeiane»), naturalmente, P. de Francisci, SUNALLAGMA 1, cit., 145; senza uno specifico esame del rescritto imperiale, di «tardo successo della soluzione» discute, più recentemente, C. Cascione, Consensus, cit., 388 nt. 131.

 

[36] E. Sciandrello, Studi, cit., 221 s., 360.

 

[37] E. Sciandrello, Studi, cit., 221.

 

[38] E. Sciandrello, Studi, cit., 221 e ivi nt. 38 («l’inciso sembra voler indicare un elemento in grado di caratterizzare il caso sottoposto all’attenzione dell’imperatore e, come tale, di influire sul tipo di tutela accordata»).

 

[39] E. Sciandrello, Studi, cit., 221 nt. 38: «non pare una casualità, inoltre, il fatto che nello scolio di Teodoro la descrizione della fattispecie non contenga un riferimento alla mancata determinazione del valore della res data pretii nomine, come invece troviamo nel rescritto di Gordiano».

 

[40] E. Sciandrello, Studi, cit., 222.

 

[41] E. Sciandrello, Studi, cit., 222.

 

[42] E. Sciandrello, Studi, cit., 219.

 

[43] E. Sciandrello, Studi, cit., 219.

 

[44] C.8.44.29 (Diocl. et Maxim., a. 294): Si permutationis gratia praedia curatoribus quondam fratris tui mater tua dedit, his, quae in eorum vicem accepit, posteaquam ad defensionem fuerit denuntiatum, vel cum eorum non haberet facultatem, evictis quanti interest eos conveniri posse rationis est. Sulla scia di P. de Francisci, SUNALLAGMA 1, cit., 148 nt. 1 («C.8.44.22?: è un errore per C.8.44.29»), rileva l’erronea indicazione del maestro bizantino E. Sciandrello, Studi, cit.,  218 nt. 35.

 

[45] («è dunque possibile che Teodoro abbia voluto integrare nel suo scolio il rescritto imperiale dando conto di un’altra via praticabile dal permutante evitto per tutelare la sua posizione») E. Sciandrello, Studi, cit., 218 s.

 

[46] E. Sciandrello, Studi, cit., 360, 362.

 

[47] Actio civilis incerti di stretto diritto in concorso (alternativo) con condictio ripetitiva (Paul. D.19.5.5.1, Paul. D.19.4.1.4; seconda ipotesi di C.4.64.1); actio utilis bonae fidei (=a.p.v.) in via esclusiva (prima ipotesi di C.4.64.1: ad exemplum ex empto actionis); ad esse andrebbe aggiunta l’actio empti nella minoritaria prospettiva sabiniana, nelle diverse sue configurazioni: Sabino e Cassio, Celio Sabino, Gordiano (in caso di aestimatio rei).

 

[48] E. Sciandrello, Studi, cit., 367 s.

 

[49] Così V. Scialoja, Diritto romano, cit., 107 («non si dà un’actio ex empto directa, ma una actio ex empto utilis»); C. Ferrini, Manuale di Pandette, 3a ed., Milano 1908, 680 nt. 5, con la precisazione di cui in nt. seg.; C. Bertolini, Appunti didattici di diritto romano, Torino 1907, 462 nt. 2; V. Arangio-Ruiz, La compravendita, 2a ed., cit., 7 («un’azione in factum ad imitazione di quella nascente dalla compera»); A. Burdese, Osservazioni, cit., 152; Id., I contratti innominati, cit., 87; M. Artner, ‘Agere praescriptis verbis’, cit., 211 e ivi nt. 185; già F. Mantica, Vaticanae lucubrationes de tacitis et ambiguis Conventionibus, in Libros XXVII disperditae. Tomus primus. Editio postrema, Coloniae Allobrogum 1621, 228: «sed ad exemplum actionis ex empto praescriptis verbis agitur ad id, quod interest, si res evicta est».

 

[50] In questo senso, anche alla luce dello scolio di Teodoro (su cui infra), P. de Francisci, SUNALLAGMA 1, cit., 146 s.; ancor prima, J. É. Labbé, De la Garantie, in Revue pratique de droit français 19 (1865), 539 nt. 1 («Les mots ad exemplum semblent signifier que la vente est ici reconnue exister par une dérogation aux principes purs et que l’action empti est accordée utilitatis causa. Cela importe peu pour les résultats»); un’apertura circa la praticabilità teorica del ricorso all’actio empti si trova in C. Ferrini, Manuale di Pandette, 3a ed., cit., 680 nt. 5 («La ragione per cui non è data addirittura l’actio empti sta probabilmente solo nel pericolo che il giudice trovasse infondata la formula»); seguito da C. Bertolini, Appunti didattici, cit., 462 nt. 2.

 

[51] Così («l’imperatore non dice già che gli concederà un’azione “ad exemplum ex empto actionis”, ma solamente che “ad exemplum ex empto actionis” e cioè “secondo quanto è regola nell’actio ex empto” il figlio potrà conseguire l’id quod interest») P. de Francisci, SUNALLAGMA 1, cit., 146.

 

[52] Circostanza di cui non si è evidentemente avveduto P. de Francisci, SUNALLAGMA 1, cit., 146.

 

[53] In questo senso (oltre ai già citati A. Burdese, Osservazioni, cit., 152; Id., I contratti innominati, cit., 87; M. Artner, ‘Agere praescriptis verbis’, cit., 211 e ivi nt. 185, su cui vd., rispettivamente, supra ntt. 23 e 27), anche (senza però alcuna analisi del brano) J. Kranjc, Die actio praescriptis verbis als Formelaufbauproblem, in ZSS. 106 (1989), 462; così, lo si è visto (supra nt. 49) F. Mantica, Vaticanae lucubrationes, cit., 228; diversamente A. Faber, Rationalium in tertiam partem Pandectarum, Tomus quintus & ultimus. Cum indice rerum & verborum locupletissima, Aurelianæ, 1626, 641, su cui vd. infra nt. 59.

 

[54] Così («nell’agere praescriptis verbis labeoniano non potevano rientrare tutti i casi di convenzioni sinallagmatiche, perché talvolta non si riusciva a individuare una figura tipica esistente alla quale ravvicinare la fattispecie da proteggere») M. Talamanca, Pubblicazioni (1989-1990), cit., 736; Id., Note su Ulp. 11 ad ed. D.4.3.9.3. Contributo alla storia dei c.d. contratti innominati, in Scritti Fazzalari 1, Milano 1993, 235 ss.; F. Gallo, Synallagma e conventio nel contratto 2, Torino 1995, 230 ss., ove si ammette peraltro la configurabilità di un’applicazione (utilis) mediante praescripta verba della condictio certae rei; («in der Spätklassik wurde die actio praescriptis verbis daher noch als spezifische Formelgestaltung verstanden und nicht…als allgemeine Klage aus atypischen Verträgen») P. Gröschler, Actiones in factum, cit., 41; E. Stolfi, Introduzione, cit., 162 nt. 29: azione concessa «in analogia all’azione di buona fede già prevista per una fattispecie negoziale affine»; più di recente a un adattamento dell’azione tipica pensa anche M. Artner, Agere praescriptis verbis, cit., passim; («die praskribierte Klage nicht als eine allgemeine Klage, sondern als eine konkrete Klagemöglichkeit») J. Kranic, Die actio, cit., 456; da ultimo E. Sciandrello, Studi, cit., 41 s. («non si può certamente parlare per il diritto classico di un’actio praescriptis verbis generale di buona fede»).

 

[55] In questo senso («n’est pas une simple action utilis [] c’est une action originale, un type et non pas une copie de modèles divers») già C. Accarias, Théorie, cit., 73; il carattere generale dell’azione è recentemente ribadito da C.A. Cannata, Contratto e causa, cit., 37, 44 s.; Id., L’actio in factum civilis, cit., 19 s.: «azione contrattuale generale, sussidiaria rispetto alle azioni contrattuali tipiche»; Id., Labeone, Aristone, cit., 73 s.; L. Garofalo, Contratto, cit., 366; J. Paricio, Una historia del contrato en la jurisprudencia romana, in AUPA 53 (2009), 102  («acción contractual “general”»); in un primo momento anche F. Gallo, Eredità di giuristi romani in materia contrattuale, in Le teorie contrattualistiche romane nella storiografia contemporanea. Atti del convegno di diritto romano (Siena 14 – 15 aprile 1989), Napoli 1991, 39 («si provvide con un mezzo processuale aperto, adattabile ai singoli casi»).

 

[56] E. Sciandrello, Studi, cit., 221 s., 360.

 

[57] In effetti la locuzione ‘(non) taxata quantitate’ sembrerebbe far riferimento, più che a una precisa determinazione del valore economico della res pretii nomina data, a un intervento diversamente orientato a una limitazione del valore massimo ad essa attribuibile: nel senso supposto dallo studioso vd. comunque gli autori indicati infra alle ntt. 59-60.

 

[58] Preziose indicazioni in proposito possono trovarsi in F. Mantica, Vaticanae lucubrationes, cit., 228: «Et hanc opin. tenet glo. Bar. Bal. Fulgo & alij, in d.l.I.C. de rer. permut. Paul Cast. in l. I numero 10 ss. eod. tit. Ludo. Bolognin. in cons. 21. numero I. et in cons. 25. nume. 4 Dec. in conſ. 160. nn. 2 vers. et in casu isto. Alc. in l. 2 in princ.nu. 23 ff. ſi cert. pet. & ibid. Ripa. nu.26 & Tiraq. de retract. lign. §. I glo. 14 num. 19. Bero in conſ. 90 nu. 2. in fin. lib.).

 

[59] Così (sempre sul presupposto di ritenere elemento qualificante della fattispecie la ‘aestimatio rei pretii nomine data’, ma nella prospettiva di una ‘duplicità’ della vicenda contrattuale in caso di ‘taxatio’, con conclusione di emptio venditio seguita da datio in solutum, e dunque in termini che complessivamente avrebbero dovuto rendere egualmente impraticabile il ricorso all’actio empti) A. Faber, De erroribus pragmaticum et interpretum iuris, Chilias absoluta seu quarta et postrema pars In vigintiquinque Decades, ut superiores distincta, Coloniae Allobrogum, 1615, 918: «Ex quibus tamen verbis apparet non illud exigi quod interpretes exigunt ut res quæ permutata est fuerit aestimata, sed sufficere ut ex una parte res fuerit venalis, Ex alia vero tradita sit res nomine precii, licèt non taxata quantitate. Nam si taxata quantitas esset, duplex contractus foret: Primus venditionis, quae contracta esset per taxati precij conventionem, Secundus dationis in solutum, quae & ipsa venditioni similis esse dicitur in d.l. si predium 4. C. de evict. Utroque autem casu secuta evictione datur actio ad id quod interest, quemadmodum si ex empto ageretur l. si in venditione 60. D. de evict.»: su C.8.44.4 (Ant., a. 212), il primo dei due brani cui si riferisce Faber, vd. M. A. Fino, Quale interdipendenza delle obbligazioni se ‘emptione dominium transfertur’? Per una storia des ‘synallagma’ funzionale dell’emptio venditio durante l’età tardoantica, in La compravendita e l’interdipendenza 1, cit., 875 nt. 25; soprattutto A. Saccoccio, Compravendita e ‘datio in solutum’, in La compravendita e l’interdipendenza 1, cit., 654 ss., 665, 692; non del tutto coincidente, ma altrettanto utile ai fini della ricostruzione del pensiero dello studioso savoiardo, il punto di vista espresso in Id., Rationalium in tertiam partem Pandectarum, cit.  641 («Est tamen casus unus observandus in quo emptioni vicinior ac similior est permutatio, ita ut nec poenitentiam admittat, nec condictionem ob causam dati causa non secuta, sive ex aliena parte res tradita non sit, sive tradita sit, sed evicta. Nimirum si is qui rem suam permutavit, venalem eam habuerit, & precij nomine licet non taxata quantitate aliquis vicissim acceperit aut accipiendum habuerit. Nam si id quod precij nomine dandum fuit, datum & evictum fit, non magis condictioni locus esse poterit, quam si venditio vere contracta fuisset taxata precij quantitate. Nihil enim aliud deerat ad veram emptionem contrahendam §. sed & certum instit. de empt. & vendit. Erit ergo necessaria actio alia ad agendum præcise in id quod illius interest qui rem venalem permutavit, utilis scilicet ex empto cum detur ad exemplum directę. Praescriptis enim verbis actio hoc casu nasci ex permutatione non potest, cum non sit vere permutatio, ut nec vere venditio aut emptio. Et mihi hic videtur esse sensus dict. leg. I. in prima parte Cod. de rer. permut.»); nello stesso ordine di idee, C. Accarias, Théorie, cit., 126 («le texte suppose que la chose donnée loco pretii n’a pas été estimée; si elle l’avait été, nous dirions sans hésiter que cette estimation fixe le prix dû, et qu’ensuite la tradition de l’immeuble lui-même constitue une datio in solutum. Nous en dirions autant si l’estimation avait porté directement sur l’immeuble vendu, ce qui serait encore plus naturel. C’est donc le défault d’estimation de l’un ou l’autre immeuble qui imprime à la décision de Gordien un caractère exceptionnel»).

 

[60] Lo si ritrova ancora in R. J. Pothier, Pandectæ Justinianeæ, in novum ordinem digestæ. Cum legibus codicis et novellis, quæ jus pandectarum confirmant, explicant, aut abrogant. Tomus Septimus, Continens alteram partem libri XVIII, et libros XIX et XX, Parisiis, 1821, 290 nt. 1: «Nam, si definita fuisset certa pretii quantitas, in cujus pecuniae solutionem res esset data, esset emptio»; paradigmatica da questo punto di vista la (più risalente) testimonianza di F. Mantica, Vaticanae lucubrationes, cit., 228: «sed ad exemplum actionis ex empto praescriptis verbis agitur ad id, quod interest, si res evicta est, ergo per contrarium sensum datur intelligi, quod si res aestimata pretij nomine taxata quantitate fuerit tradita, ex empto actio competat [] per contrarium sensum tacite insinuasse videtur, quod si taxata quantitate possessio pretij nomine data fuerit, similiter sine culpa evictione secuta, competat actio ad id quod interest: non quidem ad exemplum evictionis ex empto, sed proprie & vere ex empto. Tres enim casus sunt distinguendi, primus est, quando est vera permutatio: & tunc si res evicta fuerit evicta, non agitur ad interesse, sed quod datum est, repeti possit. Secundus, quando est contractus similis emptioni & venditioni, veluti cum non taxata quantitate res datur pro venali, & tunc agitur ad exemplum actionis ex empto ad id quod interest, si evictio fuerit subsecuta, ut ille tex. loquitur. Tertium casus est, quando res datur nomine pretij emptio & venditio intellegitur, & ex empto actio competit ad id, quod interest, si res evicta fuerit, & hoc per contrarium sensum tacite colligitur ex d.l. I. C. de rerum permut.’.

 

[61] Heumann-Seckel, Handlexicon zu den Quellen des römischen Rechts, 9a ed., Jena 1926, 317: «obgleich», con la precisazione: «tribonianisch ist licet mit Indicativ und nachfolgendem attamen»; F. Calonghi, Dizionario della lingua latina, 3a ed, I, Torino 1954, 1584, s.v. licet, II): «come termine concessivo che introduce una propos. dipendente (quindi erroneam. considerato come una semplice congiunzione) = sia pure che, pur ammesso che = quand’anche, quantunque, sebbene, ancorché, malgrado»; E. Forcellini, Lexicon totius latinitatis, III, Patavii 1940, 82, s.v. ‘licet’, II): «Figurate, licet, usurpatur tamquam conjunctio adversativa vel concessiva, et significat, etsi, etiamsi, quamquam, quamvis, k¥n, ka…toi, e„ kaˆ, benché, sebbene».

 

[62] Un atteggiamento critico rispetto al rilievo della taxatio, sostenuto dalla dottrina (allora) maggioritaria si coglie già in Felicianus de Solis, Commentarii de censibus quatuor libris omnen fere censuum materiam complectentens, Francofurti 1605, 66 «verba illa magis probare videntur idem ius esse, eo casu, non taxata quantitate, quod esset, si taxaretur»; A. Pinelli, Commentarii Ad Rub. & L. II. C. de rescindenda venditione elaboratissimi. Secunda pars. Caput. I.17, Antuerpiae 1618, 37 «non enim significat Imperator, quod taxata quantitate, fieret vera emptio: nec verba talem collectionem admittunt, sed potius vult text. idem iuris esse eo casu non taxata quantitate»; in questo senso si veda, in una prospettiva che tende a una piena assimilazione con l’ipotesi della compravendita (supra nt. 50), J. É. Labbé, De la Garantie, cit., 539 («L’absence d’estimation n’empêchera pas l’opération de s’analyser ainsi, et les effets de la vente de se produire licet non taxata quantitate. Si donc celui qui joue le rôle d’acheteur (dans l’espèce, c’est le pêre et non l’oncle du consultant) est évincé, il pourra réclamer par l’actio empti quanti interest»); Samuelis de Cocceii, Ius civile controversum, ubi illustriores juris controversiae breviter & succinte deciduntur, difficiliores materiae explicantur, Objectiones solide solvuntur, & Legum dissensus nova saepe ratione, ubi hactenus satisfactum non videtur, conciliantur. Editio quinta. Tomus II. Part. I, Lipsiae 1784, 469: «Vox licet est ampliativa, ut scil. utroque casu, sive taxata, sive non taxata quantitate, permutatio esset»; per la dottrina più recente V. Arangio-Ruiz, La compravendita, 2a ed., cit., 8, ove si esclude che «la ragione del decidere nel senso dell’analogia con la compravendita fosse in ciò che dell’oggetto dato in cambio fosse stata fra le parti concordata la stima in denaro, questo elemento si troverebbe nel rescritto di Gordiano solo rovesciandone il senso attraverso il sospetto di un’interpolazione: allo stato degli atti, conviene invece ammettere che la ragione del decidere sia soltanto nella offerta in vendita, attraverso la quale una delle due parti assume a priori la figura del venditore».

 

[63] Così almeno parrebbe (ma limitatamente al punto di vista della cancelleria di Gordiano) E. Sciandrello, Studi, cit., 221 e ivi nt. 39; sulla questione della determinazione del prezzo o comunque della sua oggettiva o soggettiva (arbitraggio del terzo) determinabilità per relationem, si rinvia, con analisi delle principali fonti (Gai 3.140, Ulp. 28 ad Sab. D.18.1.7.1-2, Ulp. 32 ad ed. D.19.1.13.24) e della relativa letteratura, a M. Talamanca, “Vendita in generale” (diritto romano), in ED. 46, Milano 1993, 365 ss.; con ulteriori ragguagli bibliografici, in proposito si veda M. Varvaro, Per la storia del certum, cit., 82 ss.

 

[64] Sulla configurazione della nozione di certum, e sull’irrilevanza, da questo punto di vista, della «determinazione della quantità per i beni di specie» vd., da ultimo, M. Varvaro, Per la storia del certum, cit., 108 ss.

 

[65] In proposito vd. supra nt. 17.

 

[66] Non esclude un’origine glossematica («potrebbe trattarsi dell’aggiunta di un annotatore, piuttosto che di una voluta alterazione»), per quanto sembri non ritenerla indispensabile nell’ottica di una tutela unicamente ripetitiva M. Sargenti, La sistematica, cit., 488 nt. 40.

 

[67] In proposito vd. supra nt. 21.

 

[68] Così in sostanza M. Sargenti, La sistematica, cit., 487; per un quadro generale sul brano vd. G. Romano, Nota sulla tutela del contraente evitto, cit., 16 ss., 43 ss. e ivi ntt. 193-227, ove i principali riferimenti bibliografici; in proposito si veda anche, con ampia documentazione della letteratura, S. A. Cristaldi, Il contenuto dell’obbligazione, cit., 77 ss.; a queste indicazioni occorre comunque aggiungere E. Sciandrello, Studi, cit., 307 ss.; C. Pelloso, Do ut des, cit., 111 nt. 44, 125 nt. 71, 151 nt. 113.

 

[69] In questo senso, ci limitiamo a segnalare M. Talamanca, voce Vendita (dir. rom.), cit., 380 nt. 798; F. Gallo, Synallagma 2, cit., 156 nt. 5; T. dalla Massara, Alle origini, cit., 234 nt. 88; in una diversa prospettiva che guarda al profilo soggettivistico dell’intenzionalità delle parti (le quali non avrebbero considerato la somma di denaro «quale misura di valore della cosa in vendita») vd. S. A. Cristaldi, Il contenuto dell’obbligazione, cit., 106 ss., al quale si rinvia, ancora una volta, per un’opportuna documentazione bibliografica.

 

[70] E. Sciandrello, Studi, cit., 216 s., il quale in base a Paul. 33 ad ed. D.18.1.1.1 (‘an sine nummis venditio dici hodieque possit, dubitatur’), osserva come nel III sec. non fosse «ancora unanimemente accettata la tesi proculeiana»; in questo senso già Ph. Meylan, Permutatio rerum, cit., 59 («la doctrine sabinienne se maintenait encore sous le règne des Gordiens [] Justinien [] semble même n’en attribuer la victoire qu’à la décision de ses prédécesseurs»); che la questione potesse ritenersi «ormai pacifica» è diversamente sostenuto da C. Cascione, Consensus, cit., 377 e ivi ntt. 100-101; di «brusco ritorno ad un tempo avvertito ancora come presente» discute A. Schiavone, Studi sulle logiche, cit., 105; più di recente un invito a non enfatizzare l’intonazione attualizzante del discorso paolino (‘hodie’ ‘dubitatur’), dovendo essa piuttosto interpretarsi nell’ottica di una generica contrapposizione rispetto a «un passato remoto (olim) in cui gli scambi avvenivano nella forma del baratto», si trova in M. Varvaro, Per la storia del certum, cit., 80 s.

 

[71] In senso contrario reputa «assai improbabile» l’ipotesi di una «valutazione negativa da parte della cancelleria imperiale circa la possibilità di considerare la permuta un vero e proprio contratto», essendosi già da tempo ammesso il ricorso a una «tutela volta ad ottenere l’adempimento della controprestazione in fattispecie di do ut des», E. Sciandrello, Studi, cit., 218 e ivi nt. 32, il quale in particolare insiste sul fatto che già Proculo avesse operato una riconduzione della permuta nell’area del contractus (J.3.23.2 ‘permutationem propriam esse speciem contractus’).

 

[72] E. Sciandrello, Studi, cit., 218 s.: supra nt. 45.