Codevilla-1Giovanni Codevilla

Università di Trieste

 

Stato e Chiesa nella tradizione ortodossa russa

 

 

 

 

Abstract: Il contributo esamina il tema dei rapporti tra Sacerdotium e Imperium nella tradizione russa, la quale muove dal principio bizantino della sinfonia dei poteri affermato nella Praefatio della Sesta Novella di Giustiniano. Peraltro, nella storia russa il principio sinfonico trova periodi assai brevi di applicazione e segnatamente nella prima metà del XVII secolo, al tempo del patriarca Filaret e dello zar Michail Fëdorovič suo figlio, per interrompersi assai presto al tempo del patriarca Nikon e dello zar Aleksej Michajlovič. A decretare in modo definitivo il superamento del principio sinfonico provvederà all’inizio del secolo successivo Pietro il Grande, il quale, dopo aver abolito il Patriarcato, giungerà ad affermare di essere «zar e patriarca». La sinfonia tra Sacerdotium e Imperium si ripropone, tuttavia, nella Russia postcomunista di Putin e del patriarca Kirill, nella quale si va riaffermando il sinallagma giurisdizionalista che vede la Chiesa propensa a riproporsi come instrumentum Regni, nella speranza che lo Stato si adoperi attivamente per contribuire alla salus animarum.

 

 

Nella tradizione russa, erede di quella bizantina, i rapporti tra il potere spirituale e temporale si ispirano al principio sinfonico. La sinfonia dei poteri (simfonija vlastej) o consonantia, o relazione armonica tra Sacerdotium e Imperium trova la sua formulazione nella Praefatio della Sesta Novella di Giustiniano, indirizzata a Epifanio, santissimo Arcivescovo della città imperiale e Patriarca Ecumenico, in cui si afferma che i doni più grandi fatti da Dio sono il sacerdozio e l’impero, il primo al servizio delle cose divine e il secondo alla guida delle cose umane. Entrambi originano da un identico e unico principio e «nulla agli imperatori potrebbe interessare quanto l’onestà dei sacerdoti, purché questi supplichino sempre Dio anche per loro. Infatti, se l’uno è in ogni suo aspetto integro e gode della fiducia di Dio e l’altro abbellisce lo Stato a lui affidato, sorgerà una sorta di buona armonia (concentus) in grado di assicurare al genere umano tutto quello che gli è utile»[1].

Costantinos Pitsakis ha messo bene in luce che nel mondo bizantino «Stato e Chiesa non sono istituzioni distinte, bensì due aspetti della stessa nozione, una e indivisibile, di Impero cristiano (il regno di Dio sulla terra), due aspetti che nel pensiero politico e teologico dei bizantini erano inseparabili. Il problema emerge soltanto a livello personale, il solo in cui possa esservi un problema di “rapporti” che sono, ovviamente, rapporti tra individui che si concretizzano nel predominio della personalità di volta in volta più forte in termini di ambizioni politiche, potere materiale e posizione nella congiuntura storica»[2].

In un sistema caratterizzato da un rapporto di simbiosi tra l’organizzazione dello Stato e della Chiesa, appare del tutto naturale che sia l’imperatore a legiferare in materia ecclesiastica, a convocare i Concili e a dare definitiva approvazione alle decisioni anche in materia strettamente canonica in essi adottate, come pure che la Chiesa detti disposizioni in ambito strettamente mondano e amministri essa stessa la giustizia civile. Parimenti del tutto naturale appare la privazione dei diritti civili e politici per coloro che non appartengono alla Chiesa o che si allontanano da essa aderendo a scismi o eresie.

Il concetto di sinfonia è ripreso nelle fonti del diritto canonico russo e in particolare nel Sobornoe Uloženie o Codice sinodale del 1551, promulgato nel cosiddetto Stoglav o Concilio dei Cento Capitoli[3] (cap. 62) e nella Kormčaja Kniga o Libro del nocchiero del 1653 [4], che nelle sue varie edizioni è la fonte primaria del diritto canonico russo.

Il Codice del Concilio dei Cento Capitoli è l’espressione diretta del principio della sinfonia dei poteri: esso contiene, infatti, oltre alle norme di diritto canonico, compilazioni di diritto civile (sudebnik). Lo stesso principio vale nel periodo successivo al Principato di Mosca, quando alla metà del XVI secolo si istituisce lo Zemskij Sobor (letteralmente: Concilio o assemblea della terra, o del territorio, che si contrappone al Santo Concilio, (Osvjaščennyj Sobor), un organo consultivo che viene convocato a livello locale con competenza in materia civile e a cui prendono parte i rappresentanti del clero, dei bojari, della nobiltà minore, nonché dei funzionari e dei mercanti[5]. Il Santo Concilio è spesso convocato dallo stesso zar, che in ogni caso prende a esso parte, nonostante il fatto che la sua convocazione in base alle norme canoniche spetti all’autorità ecclesiastica. In alcuni casi i Concili locali vedono la partecipazione delle assemblee sia religiose che civili[6]; nel contempo i rappresentanti del Santo Concilio diventano parte organica delle riunioni dello Zemskij sobor[7].

Come rettamente sottolinea I.N. Andruškevič[8], la sinfonia non è un semplice accordo tra Sacerdotium e Imperium, ma un accordo nella comune, reciproca comprensione, consonantia (sozvučie[9]), concordia (soglasie o soserdečija[10]), predisposizione soggettiva e cordiale. Senza reciproca comprensione non vi è consonantia, ma unisono; inoltre, i buoni accordi devono creare armonia tra le parti, altrimenti non vi sarebbe sinfonia, ma kakofonia. Una buona sinfonia, inoltre, si basa sulla equisonanza (ravnozvučie) dell’Imperium e del Sacerdotium, ciascuno nella propria sfera; in assenza di equisonanza tra di essi si cade fatalmente nel cesaropapismo o nel papocesarismo.

La storia delle relazioni tra potere spirituale e temporale in Russia mostra con tutta evidenza come il principio sinfonico, pur costantemente ribadito, abbia avuto una applicazione concreta solamente in periodi assai brevi e come l’Imperium abbia progressivamente acquisito sul Sacerdotium una posizione di assoluto predominio. Questo risalta con particolare evidenza durante il regno di Ivan IV il Terribile (1547-1584), di Pietro il Grande (1682-1725), di Caterina II (1762-1796), ma, sia pure in modo meno clamoroso, caratterizza anche  altri periodi della storia russa.

Con l’affermarsi dell’idea di Mosca Terza Roma, predicata dal monaco Filofej alla fine del XV secolo, la Chiesa russa, che nel 1448 ha già rivendicato la sua autonomia da Costantinopoli[11], si sostituisce a Bisanzio come centro dell’ecumene cristiana e in questo modo la Russia diviene «il popolo eletto da Dio, Mosca la città scelta da Dio, il signore della Russia, il pastore dato da Dio alla sua Chiesa»[12]: il fattore religioso si accoppia a un ideale politico[13], e Mosca, come un tempo Bisanzio, diviene la capitale religiosa e politica dell’universo.

Si realizza così una identificazione tra Chiesa e Nazione: la pienezza dei diritti si acquisisce con l’appartenenza a entrambe, vale a dire mediante il battesimo ortodosso[14]. I sudditi dichiarano la loro fedeltà allo zar in quanto questi si pone per sua natura come protettore della vera fede, anche se l’intento che vuole perseguire è prima di tutto quello mondano e soltanto indirettamente quello religioso; in altre parole il fine del Sacerdotium viene subordinato a quello dell’Imperium e in questo modo si giustifica l’interferenza del sovrano nella vita della Chiesa che si esprime principalmente nella scelta delle gerarchie ecclesiastiche.

L’incoronazione di Ivan, officiata dal metropolita Makarij nel 1547, «trapianta nella realtà russa l’idea del potere imperiale di Costantinopoli e l’immagine del pio imperatore da Dio incoronato»[15] e rafforza l’idea che lo zar di Mosca è l’erede del potere del basileus bizantino, difensore e protettore dell’ortodossia contro le eresie e gli scismi, e proprio per questa ragione lo zar deve prendere parte alle decisioni ecclesiastiche, in tutte le materie, dalla disciplina dei monasteri alla canonizzazione dei santi, dal Tribunale ecclesiastico alla nomina dei vescovi.

Il temporale e lo spirituale si confondono[16].

Accanto ai sostenitori dell’assolutismo autocratico, come Ivan Peresvetov[17], non manca chi professa idee diametralmente opposte, come il principe monaco Vassian Patrikeev (soprannominato Kosoj, il guercio), o il monaco Maksim Grek il quale come ha bene messo in luce Sante Graciotti[18], ritiene che la Chiesa abbia il dovere di condannare gli abusi del potere secolare e che essa ha una dignità più alta di quella dell’Impero perché «il sacerdozio è più grande del principato terreno» (ubo bol’ši est’ svjaščenstvo carstva zemnago) e contesta la teoria della Terza Roma[19].

Nella Moscovia scompare la distinzione tra religione e politica e tra sacro e profano: ortodossia e zarismo si fondono, di modo che chi nega lo zar rinnega anche la Chiesa, e viceversa: i doveri religiosi si trasformano in obbligazioni legali[20].

La sacralizzazione della figura dello zar operata da Iosif Volockij e dai suoi seguaci era intesa a porre il sovrano al servizio della fede e della Chiesa: ma lo zar, una volta dichiarato simile a Dio e suo vicario, diviene consapevole di non dover più servire la Chiesa gerarchica, ma di doversi servire di essa come suo capo gerarchico[21].

La singolare concezione dei rapporti tra Sacerdotium e Imperium di Ivan il Terribile è chiaramente espressa nella sua corrispondenza con il principe Andrej Kurbskij (1528-1583)[22].

L’indebolimento del ruolo della Chiesa non si esprime soltanto a livello nazionale, bensì universale e questo è la conseguenza del fatto che, come sostiene il Graciotti, «l’autocrazia russa nasce nella logica di una Chiesa nazionale che si serve delle idee imperiali di Bisanzio per una politica nazionale. In questa situazione di isolamento della Chiesa russa da un contesto ecclesiale universale, anche dalla Chiesa d’Oriente dopo la caduta di Costantinopoli in mano turca, si creano le premesse per una debolezza della Chiesa al suo esterno, nei confronti delle prepotenza di chi tiene la spada, del potere temporale»[23].

La nascita di una Chiesa intrinsecamente nazionale e il distacco da Costantinopoli recidono il legame con l’universalità derivante dall’appartenenza alla Chiesa greca e la sostituiscono con il messianismo cosmico che si esprime nell’idea della Terza Roma.

L’istituzione del Patriarcato di Mosca (1589) è un evento di particolare importanza, voluto dal potere civile più che dalla gerarchia ecclesiastica[24], giacché, accrescendo il ruolo e l’autorità della Chiesa russa nel Paese e di fronte agli altri Patriarcati, consolida nel contempo il prestigio dello zar sul piano interno e su quello internazionale,

Con la dinastia dei Romanov, che prende avvio con lo zar Michail Fëdorovič (1613-1645), il regno di Mosca si rafforza, liberandosi dal predominio polacco. Prende allora avvio, grazie a una riacquisita coscienza nazionale e religiosa, un periodo in cui Sacerdotium e Imperium vengono a trovarsi nuovamente in sintonia e stringono una stretta alleanza, rafforzata dal conflitto con la Chiesa cattolica, che è identificata con la Nazione polacca, responsabile di aver spezzato l’unità dell’ortodossia con quello che i russi considerano il tradimento di Brest.

È questo forse il periodo storico in cui la sinfonia dei poteri si realizza maggiormente, grazie all’opera del patriarca Filaret (dal 1619 al 1633)[25] e al regno di suo figlio, lo zar Michail Fëdorovič, salito al trono all’età di quindici anni nel 1613 (1613-1645).

Filaret rappresenta l’unione sacra tra Chiesa, Stato e Nazione, al punto che negli atti ufficiali pone la sua firma accanto a quella dello zar Michail, suo figlio.

Negli anni successivi, soprattutto a partire dal 1625, si assiste a una progressiva integrazione sinfonica tra le strutture del potere temporale e di quello spirituale: la Chiesa vive in quegli anni un periodo assai favorevole, grazie al rifiorire del monachesimo dovuto all’opera dei seguaci di san Sergij di Radonež. Il clima sinfonico perdura anche nella prima parte del regno di Aleksej Michajlovič (1645-1676).

La docilità del nuovo zar, salito ancora giovanissimo al trono per la prematura morte del padre, non è destinata a durare a lungo e, infatti, nel volgere di pochi anni, Aleksej Michajlovič muta atteggiamento nei confronti della Chiesa, privilegiando gli interessi e il rafforzamento dello Stato, riducendo progressivamente l’attività degli zemskie sobory e prepara in tal modo la strada all’era di suo figlio Pietro il Grande.

I rapporti tra Nikon, che Aleksej  Michajlovič aveva insediato sul soglio patriarcale e il giovane zar sono dapprima improntati alla reciproca stima e alla massima cordialità, anche quando si tratta di fare presenti al sovrano i diritti della Chiesa[26]. Ma questa fase di rapporti cordiali e sinfonici tra lo zar e il patriarca non è destinata a perdurare: lo zar, infatti, mal sopporta il carattere forte di Nikon che intende stabilire l’autonomia e la superiorità dell’ordine spirituale su quello temporale: il patriarca, infatti, asserisce che l’ordine sacro è più forte del trono e rifiuta di porsi al servizio dell’autorità secolare. Nikon riprende, infatti, la teoria bizantina, condivisa dal patriarca Fozio e da papa Innocenzo III, secondo la quale «il pontificato è un principio più elevato e grande dell’Impero»[27]. Scrive Nikon: «Gli uni credono che lo zar stia al  di sopra dei vescovi, e gli altri che i vescovi siano al di sopra degli zar. Il potere dei vescovi è ecclesiastico, e ad essi appartiene il diritto di giudicare in cose di chiesa: il potere dello zar è laico, e le cose temporali sono di sua pertinenza. Iddio creò la terra, ed ingiunse ai due grandi luminari, il sole e la luna di rischiararla, simbolizzando nel sole l’autorità dei vescovi e nella luna quella degli zar. Il sole rischiara il giorno, ed i vescovi le anime: il luminare inferiore, la luna, attinge i suoi chiarori dal sole e risplende nella notte. Il potere dei vescovi si estende quindi sulle anime, ed il potere degli zar sulle cose temporali. La spada dello zar è da brandirsi contro i nemici della fede ortodossa, quando i vescovi ed il clero invocano il suo appoggio. I laici hanno bisogno dell’elemento spirituale per la loro salvezza, e l’elemento spirituale affida la sua difesa ai laici. Sotto questo aspetto lo zar ed i vescovi non sono superiori l’uno agli altri, ma l’uno e gli altri derivano da Dio la loro potestà. Nelle cose di chiesa il patriarca è superiore allo zar, e gli ortodossi sono tenuti a prestargli omaggio ed obbedienza, perché egli è il padre di tutti nella fede, e sovra di lui riposa la chiesa ortodossa»[28].

Il 10 Luglio 1658, al termine della liturgia celebrata presso la cattedrale della Dormizione al Cremlino (Uspenskij sobor), Nikon decide di abbandonare l’omofor[29] e di rinunciare a ogni segno esteriore della sua dignità vestendosi da semplice monaco. Da quel momento il potere vastissimo di cui Nikon aveva goduto e la sua autorevolezza vengono meno e inizia un periodo di discordia all’interno della Chiesa che sfocia nel grande scisma dei Vecchi credenti.

La sconfitta di Nikon conferma la definitiva subordinazione della Chiesa allo Stato; il prestigio del patriarcato é umiliato e compromesso: si preparano così i tempi della sua futura abolizione, alla quale provvederà Pietro il Grande, figlio di Aleksej Michajlovič.

Con Pietro l’umanesimo e il laicismo si sostituiscono alla teocrazia. Lo Stato cessa il rapporto sinfonico con la Chiesa e non si occupa più  della salvezza delle anime: il fine supremo (summum bonum) non è più il regno dei cieli, ma il benessere terreno, ossia il bene comune (bonum comune: vsenarodnaja pol’za)[30]. 

Pietro, al di là degli eccessi che caratterizzano tutta la sua vita, nutre verso la Chiesa e la religione in generale una assoluta diffidenza, anche se a lui si deve il primo Manifesto sulla tolleranza religiosa, in cui si garantisce la libertà di culto in pubblico e in privato non solo nella società civile, ma anche nell’esercito[31]: peraltro proprio con questo atto lo zar cessa di essere il custode della purezza della fede e il defensor fidei.

L’opera di secolarizzazione voluta sin dall’inizio da Pietro trova il suo coronamento il 25 Gennaio 1721, quando viene pubblicato il Manifesto[32] sull’abolizione del Patriarcato, sull’organizzazione del Collegio ecclesiastico[33] e sull’entrata in vigore del Regolamento ecclesiastico.

Se con l’Uloženie di Aleksej Michailovič del 1649 la Chiesa viene sottomessa allo Stato[34], con il Regolamento ecclesiastico di Pietro si ha una trasformazione della Chiesa in dicastero statale, e si proclama che tutto ciò avviene per il bene della Chiesa stessa[35].

L’abolizione del Patriarcato, che comporta come naturale conseguenza la soppressione dei Concili, e l’istituzione del governo sinodale della Chiesa viene giustificata sostenendo la validità della direzione collegiale e la pericolosità di quella individuale: infatti, da un’amministrazione conciliare la patria non può temere ribellioni, come quando a governare è un singolo amministratore ecclesiastico, giacché il popolo è indotto a pensare che il patriarca, capo spirituale, sia un secondo sovrano pari allo zar o anche superiore a esso[36], perché il pastore supremo dell’ortodossia è lo zar, che è anche il custode della vera fede e della Santa Chiesa. Pietro, infatti, dichiara: «Dio mi ha concesso di governare i laici e il clero e pertanto io sono per loro sovrano e patriarca», optando definitivamente per il cesaropapismo di stampo protestante e allontanandosi in tal modo dal modello bizantino[37].

Il massimo organo della Chiesa Ortodossa Russa si trasforma in un apparato dello Stato, perdendo la sua indipendenza[38].

Al quesito sui poteri del Sinodo, Pietro risponde con molta chiarezza: solamente l’imperatore può dare ordini al Sinodo. «A nome del patriarca non venivano mai emessi ukazy, mentre il Collegio ecclesiastico ha l’onore, la forza e il potere uguali a quelli del patriarca, e forse anche maggiore di quelli del patriarca, proprio come il Concilio»[39].

Nei documenti ufficiali del Sinodo, con i successori di Pietro, la Chiesa ortodossa perde la denominazione di Chiesa Ortodossa Russa (Russkaja Pravoslavnaja Cerkov’) e diviene Dicastero della fede ortodossa (Vedomstvo pravoslavnogo ispovedanija[40]).

Il rapporto di simbiosi e di collaborazione armonica che è alla radice della sinfonia dei poteri si trasforma in rapporto di subordinazione della croce alla corona: per dirla con Riasanovsky, «se la Russia moscovita aveva due capi supremi, lo zar e il patriarca, nell’era di Pietroburgo rimase solo lo zar»[41].

Caterina II non si discosta dalla politica petrina e nel secolo XIX la Chiesa vive come una semplice branca amministrativa dello Stato, non svolge un ruolo decisivo negli avvenimenti del tempo ed esercita una influenza marginale sul piano culturale, nonostante la posizione di assoluto privilegio assegnata ad essa dalle leggi Fondamentali dello Stato[42].

Dopo la lunga notte del bolscevismo e l’implosione di questo innaturale sistema la Russia riconosce prontamente la libertà religiosa e sembra voler restituire alla Chiesa piena indipendenza e autonomia, infatti la Costituzione della Federazione Russa stabilisce che «A ciascuno è garantita la libertà di coscienza, la libertà di professione religiosa, compreso il diritto di professare individualmente o in comune con altri qualsiasi religione o di non professarne alcuna, di scegliere liberamente, di avere e di diffondere convinzioni religiose e altre e di agire in conformità con esse» (art. 28) e afferma il principio della laicità dello Stato, precisando che «nessuna religione può costituirsi in qualità di religione di Stato od obbligatoria» (art. 14.1) e che «le associazioni religiose sono separate dallo Stato e sono uguali davanti alla legge» (art. 14.2). Peraltro, questi chiari principi non trovano conferma nella normativa ordinaria, a causa dell’interpretazione arbitraria che di essa viene fatta, volta ad assicurare all’ortodossia e alle altre cosiddette religioni tradizionali una posizione di privilegio.

Nel Preambolo della legge federale Della libertà di coscienza e delle associazioni religiose del 1997 [43] il legislatore assume una posizione di speciale benevolenza nei confronti della Chiesa Ortodossa Russa: esso dichiara, infatti, di riconoscere «il particolare (osobuju) ruolo dell’ortodossia nella storia della Russia, nella formazione e nello sviluppo della sua spiritualità e cultura»; al tempo stesso manifesta la propria deferenza (uvažaja), seppure con intensità decrescente e in termini più fumosi e generici, verso il cristianesimo, l’islam, il buddismo e il giudaismo, nonché verso «le altre religioni che costituiscono parte integrante (neot”emlemuju) dell’eredità storica dei popoli della Russia»[44].

Il legislatore, manifestando rispetto per le sole religioni tradizionali, finisce con il legittimare l’assegnazione a queste di una posizione di privilegio.

La dottrina e la pubblicistica, in modo del tutto singolare e arbitrario, attribuendo al legislatore affermazioni a esso del tutto estranee, classificano come religioni tradizionali[45] solamente l’ortodossia, l’islam, il buddismo e il giudaismo, escludendo, pertanto, sia le altre religioni cristiane, sia quelle «altre religioni che costituiscono parte integrante dell’eredità storica dei popoli della Russia» menzionate nel Preambolo. Questa interpretazione è sempre stata condivisa dall’attuale patriarca di Mosca Kirill (Gundjaev); dimenticando la lettera della legge, egli afferma perentoriamente che le religioni tradizionali per la Russia sono l'ortodossia, l'islam, il giudaismo e il buddismo e non la Chiesa cattolica[46].

Si ripropone, in tal modo, una classificazione delle religioni che stravolge quella esistente nell’Impero zarista, in cui, in base allo Svod Zakonov, tutte le Confessioni religiose presenti nel Paese venivano divise in quattro gruppi: 1) La Chiesa Ortodossa Russa, «che ha il primato ed è dominante» (Pervenstvujuščaja i gospodstvujuščaja); 2) le Confessioni cristiane straniere, come le Chiese romano cattolica, luterana, evangelica riformata, armeno gregoriana che sono riconosciute, tollerate e protette; 3) l’islam, il giudaismo, i karaimy, il buddismo lamaista e il paganesimo, che sono parimenti riconosciute e tollerate (terpimye), ma che non godono della stessa protezione assegnata alle religioni cristiane; 4) i Vecchi credenti e le sette sorte dall’ortodossia, che non sono tollerate (neterpimye)[47].

Da questa suddivisione emerge che per lo Svod Zakonov a essere tradizionale è soltanto l’ortodossia, mentre il cattolicesimo e il protestantesimo, in quanto religioni cristiane, sono poste su un piano privilegiato rispetto all’islam e all’ebraismo e soprattutto al buddismo, che acquista dignità di religione culturale, appena al di sopra dell’idolatria e del paganesimo, solamente a partire dal 1905. Nella legislazione zarista le religioni tollerate sono considerate tutte ugualmente tradizionali, ferme restando le disposizioni che impediscono a ognuna di esse ogni sorta di proselitismo e di attività missionaria, essendo esse relegate nel ristretto ambito dei loro rispettivi confini etnici.

Ora il legislatore della Federazione Russa, disconoscendo sia la storia che la plurisecolare tradizione giuridica presovietica, modifica la scala di valori da attribuire alle diverse Chiese e religioni, relegando protestantesimo e cattolicesimo alla posizione di religioni tollerate, giacché esse non godono più della «protezione del benevolo (vsemilostivejšij) imperatore in quanto sovrano cristiano»[48], e riconoscendo, per contro, uno status di religioni protette all’islam e al buddismo, certamente non per ragioni storiche, ma in base a motivazioni contingenti di carattere politico, al fine di evitare tentazioni separatiste e disaggreganti di ogni sorta. Buddismo, ebraismo e islam oggi sono considerate religioni tradizionali, seppure in modo secondario rispetto all’ortodossia.

Dando vita a una regolamentazione giuridica differenziata per le diverse fedi, la legge manifesta una chiara volontà di instaurare un sistema di collaborazione privilegiata tra lo Stato e la Chiesa Ortodossa Russa ristabilendo l’antica sinfonia, violando manifestamente un principio irrinunciabile del separatismo: quello di rispettare ugualmente ogni religione, astenendosi dal privilegiarne alcuna[49].

Lo Stato abbandona il principio di laicità e abbraccia il confessionismo; al tempo stesso emana una legislazione che ignora i principi del separatismo e si ispira al modello giurisdizionalista.

Si ritorna così alla sinfonia, forma ideale del rapporto Chiesa-Stato nella tradizione ortodossa, per usare le parole del documento conciliare Fondamenti della concezione sociale[50] e si ricostituisce l’antico legame tra Nazione e ortodossia. Non è casuale che in un simile sistema la presenza dei missionari non ortodossi sia considerata pericolosa ai fini della sicurezza nazionale. Infatti nella Concezione della sicurezza nazionale della Federazione Russa[51], si indica, al punto III, come minaccia alla sicurezza nazionale e agli interessi della Federazione Russa «l'espansione economica, demografica e religioso-culturale degli Stati limitrofi al territorio russo» e si conferma al punto IV che la tutela della sicurezza nazionale comprende la difesa «dell'eredità culturale, morale, spirituale e delle tradizioni storiche» e anche «la contrapposizione (protivodejstvie) all'influsso negativo delle organizzazioni religiose e dei missionari stranieri», concetto, quest'ultimo, che è ribadito alla lettera nel punto 6 della Dottrina della sicurezza informativa della Federazione Russa, approvata dal Putin il 9 Settembre 2000[52].

Simili asserzioni sono estremamente pericolose, in quanto contraddicono diversi principi costituzionali e, in particolare, rinnegano il diritto «di avere e di diffondere convinzioni religiose e altre e di agire in conformità con esse» (art. 28): a mio avviso, infatti, questo precetto costituzionale enuncia un vero e proprio diritto soggettivo di ciascuno (každyj), e quindi non solo dei cittadini, a svolgere attività missionaria nella Federazione Russa.

I Fondamenti della concezione sociale della Chiesa Ortodossa Russa, approvati dal Concilio dei vescovi[53] tenutosi a Mosca nei giorni 13-16 Agosto 2000 [54], al punto 4 del capitolo terzo (La forma ideale del rapporto tra Chiesa e Stato nella tradizione ortodossa), ricordano la Dichiarazione del Concilio locale del 1917-1918, in cui si paragona «la pretesa della separazione tra Chiesa e Stato» all’auspicio che «il sole non splenda e il fuoco non riscaldi», affermando in buona sostanza che l’idea di separazione è del tutto innaturale, e sottolineano che “la Chiesa Ortodossa Russa, facendo parte dell’unica Chiesa di Cristo universale, dovrà avere uno status giuridico e pubblico superiore a quello delle altre Confessioni religiose dello Stato russo. Tale sovreminenza le è propria in quanto essa è la “realtà sacra suprema” per la stragrande maggioranza della popolazione oltre che una forza storica significativa nella creazione dello Stato russo».

I Fondamenti affrontano il tema della libertà di coscienza al punto 6 del capitolo terzo, in cui si afferma: «La comparsa del principio della libertà di coscienza è la testimonianza di come, nel mondo contemporaneo, la religione da “fatto pubblico” si trasformi in “fatto privato” dell’individuo. Preso a sé, questo processo testimonia la disgregazione del sistema dei valori spirituali e il venir meno dell’aspirazione alla salvezza nella maggior parte delle persone che affermano il principio della libertà di coscienza. Se inizialmente lo Stato è sorto come strumento di ratifica della legge divina nella società, la libertà di coscienza trasforma definitivamente lo Stato in una istituzione esclusivamente terrena, che non ha obblighi religiosi di alcun tipo».

Il documento sostiene, altresì, nel medesimo punto 6, che la Chiesa «ha anche il diritto di aspettarsi che lo Stato, nello stabilire i suoi rapporti con le associazioni religiose, tenga in considerazione la consistenza numerica dei loro componenti, il loro ruolo nella formazione della fisionomia storica, culturale e spirituale del popolo e la loro posizione civile». Con queste parole i Fondamenti ribadiscono l’affermazione contenuta nel Preambolo della legge federale circa il ruolo centrale svolto dalla Chiesa ortodossa nella storia della Russia.

In sostanza, oggi l’aspirazione della Chiesa Ortodossa Russa è quella di ritornare alla situazione anteriore al sovvertimento del 1917 [55], quando valeva il principio: «L'ortodossia è riconosciuta come la prima tra le diverse religioni professate in Russia»; e: «Conseguentemente la fede ortodossa gode di una priorità (preimuščestvom) in tutti gli atti della vita statale nei quali lo Stato si rivolge alla religione e nelle cerimonie pubbliche religiose».

Oggi la Chiesa Ortodossa Russa rivendica il suo antico ruolo; parimenti i governanti russi sembrano intenzionati a rinnovare il rapporto sinfonico con la Chiesa e stipulare di fatto con il Patriarcato di Mosca quel contratto a prestazioni corrispettive che è tipico del giurisdizionalismo: da un lato la legittimazione della sovranità dello Stato e dall’altro la concessione di una posizione privilegiata alla Chiesa. Mutatis mutandis lo Stato ritorna a essere un brachium saeculare e la Chiesa un instrumentum regni.

In questo contesto si inserisce il principio del territorio canonico, in base al quale si stabilisce uno spazio entro cui le sole religioni tradizionali sono legittimate ad agire, limitando l’attività delle altre ai nuclei di popolazione che etnicamente ad esse appartengono, vietando ogni attività di apostolato, il che significa rinnegare platealmente il principio della libertà religiosa solennemente sancito dalla Costituzione all’art. 28.

Il problema è affrontato nei Princìpi fondamentali dei rapporti della Chiesa Ortodossa Russa con i cristiani non ortodossi[56], approvati dal Concilio dei vescovi dell’Agosto 2000, che dedicano il punto 6 al tema «Relazioni della Chiesa Ortodossa Russa con i cristiani non ortodossi nel suo territorio canonico»:

6.1 «I rapporti della Chiesa Ortodossa Russa con le comunità cristiane non ortodosse nei paesi della CSI e del Baltico devono svolgersi in uno spirito di collaborazione fraterna della Chiesa ortodossa con le altre confessioni tradizionali, al fine di coordinare l’attività nella vita sociale, di difendere congiuntamente i valori morali cristiani, di servire la concordia sociale e di porre fine al proselitismo nel territorio canonico della Chiesa Ortodossa Russa».

6.2 «La Chiesa Ortodossa Russa afferma che la missione delle confessioni tradizionali è possibile solo nelle condizioni in cui essa si attua senza proselitismo e non per mezzo della “sottrazione” dei credenti[57], soprattutto con l’utilizzo di beni materiali […]».

6.3 Infine la Chiesa ortodossa riconosce «ai cristiani non ortodossi il diritto alla testimonianza e all’educazione religiosa nell’ambito dei gruppi di popolazione che a essi tradizionalmente appartengono […]».

Si deve rilevare che il Patriarcato di Mosca considera come suo territorio canonico non già la Russia propriamente detta, bensì tutte le terre un tempo incorporate nell’Unione Sovietica[58] e segnatamente gli Stati del Baltico[59].

In tal senso il patriarca si pone anche come etnarca (nel senso etimologico del termine), a protezione degli ortodossi di tutte le etnie con giurisdizione non solo sulle loro terre di origine, ma pure su quelle in cui, volenti o nolenti, sono stati forzatamente allocati. Così facendo, il patriarca-etnarca rivendica uno ius perpetuum et exclusivum sulle coscienze dei cittadini, pretesa che non trova fondamento né, tanto meno, riconoscimento nelle leggi e nella Costituzione.

Nell’ambito di questa nuova sinfonia la distinzione tra gli ordini spirituale e temporale si va affievolendo: invece di un regime di separazione che si pone come obiettivo la pacifica coesistenza e convivenza dei due ordini si dà vita a una collaborazione privilegiata tra l’ortodossia e il pubblico potere, in cui la prima auspica apertis verbis l’aiuto e il sostegno del secondo, e un ritorno al confessionismo in cui sia garantita alla Chiesa nazionale una posizione di primato e di predominio[60].

Vero è che questo sistema di unione sinfonica tra Sacerdotium e Imperium è fortemente radicato nella mentalità e nelle tradizione della Russia. V.V. Zen’kovskij, filosofo e teologo, nella sua Storia della filosofia russa, scritta alla metà del secolo scorso, coglie con molta chiarezza l’essenza del concetto di sinfonia. Egli scrive: «Il tema teocratico del cristianesimo si sviluppa in Russia non nel senso di un primato del potere spirituale su quello temporale, come è avvenuto in Occidente, ma nella direzione di una appropriazione della missione ecclesiastica da parte del potere statale. Non si è trattato di un movimento nella direzione del cesaropapismo: la Chiesa stessa è andata incontro allo Stato al fine di introdurre in esso la grazia della consacrazione. Il potere statale è lo strumento attraverso il quale la Provvidenza Divina entra nella storia: in questo c’è tutto il “segreto” del potere, il suo legame con la sfera mistica. Ma per questo, appunto, la coscienza ecclesiale, sviluppando l’idea teocratica del cristianesimo, cerca di trovare le vie per la consacrazione del potere. Il potere deve prendere su di sé compiti ecclesiastici, e per questo proprio il potere ecclesiastico è impegnato a costruire una ideologia nazionale. Il potere successivamente adotta questa ideologia creata dalla Chiesa e fa di essa il suo credo ufficiale, ma tutta questa ideologia è ecclesiastica anche per il suo contenuto»[61].

Lo stretto rapporto di unione tra Sacerdotium e Imperium è colto anche da F. Dostoevskij, il quale fa dire a Ivan Karamazov, nel dialogo con padre Paisij: «qualsiasi Stato terreno dovrebbe finire col risolversi in Chiesa senza residui, e non sussistere in nessun’altra forma che come Chiesa,  dopo aver rigettato ogni specie di fini suoi propri, inconciliabili con quelli di Chiesa». E padre Paisij, a sua volta, afferma: «Non è la Chiesa che si tramuta in Stato, intendetelo bene.  Questo è vero di Roma e del suo miraggio. È la terza tentazione del diavolo, questa! Al contrario, anzi: lo Stato si tramuta in Chiesa, s’innalza al grado di Chiesa, e divien Chiesa su tutta la terra, cosa ch’è tutto l’opposto sia dell’ultramontanismo, sia di Roma, sia dell’interpretazione vostra, ed è semplicemente la sublime vocazione della Chiesa ortodossa in questo mondo. Dall’Oriente il mondo intero sarà illuminato»[62].

Anche padre Sergij Bulgakov afferma a proposto della Chiesa nel periodo sinodale che «lo Stato considerava di dover essere interiormente diretto dalla legge della Chiesa, mentre questa si considerava tenuta all’obbedienza allo Stato. Non si trattava di un cesaropapismo in virtù del quale l’imperatore sarebbe stato il capo della Chiesa. Il cesaropapismo non è mai stato altro che un abuso e non è mai stato riconosciuto né dogmaticamente né canonicamente». Bulgakov afferma altresì che la Chiesa Ortodossa Russa «ha sempre voluto esercitare la più profonda influenza possibile sul potere dello Stato, ma dall’interno e non dall’esterno. La teoria secondo la quale il papa […] esercita un potere sovrano sullo Stato è sempre rimasta estranea all’Ortodossia»[63].

Il vero problema della Chiesa Ortodossa Russa di oggi non è tanto di rinunciare alla tentazione, che non le appartiene, di prevalere sullo Stato, quanto soprattutto a quella di servirsi dell’Imperium per diffondere il proprio messaggio di salvezza, favorendo la clericalizzazione dello Stato e istituendo con esso un rapporto esclusivo di osmosi, limitando, di conseguenza, la libertà di coscienza dei cittadini appartenenti ad altre Chiese o denominazioni religiose[64].

 

 



 

[I contributi della sezione “Memorie” sono stati oggetto di valutazione da parte dei promotori e del Comitato scientifico del Colloquio internazionale, d’intesa con la direzione di Diritto @ Storia].

 

[Colloquio internazionale La laicità nella costruzione dell’Europa. Dualità del potere e neutralità religiosa, svoltosi in Bari il 4-5 novembre 2010 per iniziativa della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bari “Aldo Moro”, del Centre d’études internationales sur la romanité Université de La Rochelle e dell’Unità di ricerca “Giorgio La Pira” CNR – Università di Roma “La Sapienza”]

 

[1] I cardini di questa dottrina sono fissati dai Santi Basilio il Grande, Gregorio di Nazianzo (Il Teologo, Bogoslov, nella tradizione russa), Leone Magno, Efrem il Siro, Giovanni Damasceno, Isidoro Pelusiota, Giovanni Crisostomo ed altri ancora, tra i quali Agostino e Ambrogio. Il passo citato recita: «Maxima inter homines Dei dona a superna benignitate data sunt sacerdotium et imperium, quorum illud quidem rebus divinis inservit, hoc vero humanas res regit earumque curam gerit: quorum utrumque ab uno eodemque principio proficiscitur et humanam vitam exornat. Quare nihil imperatoribus aeque fuerit atque sacerdotum honestas; si quidem hi etiam pro illis ipsis semper Deo supplicant. Nam si alterum omni ex parte integrum est et fiducia Dei praeditum, alterum recte et decenter rempublicam sibi traditam exornat, bonus quidam concentus existet, qui quicquid utile est humano generi praebeat». Sull’argomento la bibliografia è assai vasta. Mi limito a ricordare: C.G. Pitsakis, Empire et église. Le modèle de la Nouvelle Rome: la question des ordres juridiques, in Diritto e religione. Da Roma a Costantinopoli a Mosca. Rendiconto dell’XI seminario «Da Roma alla Terza Roma», Campidoglio 21 Aprile 1991, Roma 1995, 107-123; N.V. Sinicyna, Tretij Rim. Istoki i evoljucija russkoj srednevekovoj koncepcii XV – XVI vv., Indrik, Moskva 1988, 41-45 e letteratura citata; N. Sinicyna, Simfonija svjaščenstva i Carstva, in «Istoričeskij Vestnik», 2000, N° 9-10; A. Nikolin, Cerkov’ i gosudarstvo. Istorija pravovych otnošenij, izd. Sretenskogo monastyrja, Moskva 1997, 7 e ss.; I.N. Andruškevič, Doktrina sv. Imperatora Justiniana Velikogo o dobroj simfonii meždu svjaščenstvom i gosudarstvom, in «Pravoslavnaja Rus’», 1995, N° 4.

 

[2] Cfr. C.G. Pitsakis, Dalla Nuova Roma al Commonwealth bizantino: il modello politico–religioso di Costantinopoli e la sua espansione oltre i confini dell’Impero, in AA.VV., L’ortodossia nella nuova Europa. Dinamiche storiche e prospettive, a cura di Andrea Pacini, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 2003, 5-6.

 

[3] Il Concilio dei Cento Capitoli emana disposizioni in materia ecclesiastica, regolamenta la posizione della Chiesa verso lo Stato e la società, proclama nuovi santi, fissa i canoni per la pittura delle icone sulla base dei criteri seguiti dal grande monaco–iconografo Andrej Rublëv e adotta riforme di carattere sociale a sostentamento dei poveri e degli inabili. Tra i precetti che riguardano la Chiesa vi è il divieto di acquistare nuove terre senza l’autorizzazione dello zar, norma che sarà, peraltro, disattesa.

 

[4] Sull’argomento è fondamentale il lavoro di I. Žužek, Kormčaja kniga. Studies on the Chief Code of Russian Canon Law, Pontificium Institutum Orientalium Studiorum, Roma 1964; altresì: Makarij (al secolo Michail Petrovič Bulgakov, 1816-1882, metropolita di Mosca e Kolomna), Istorija Russkoj Cerkvi, izd. Spaso-Preobraženskij Valaamskij Monastyr’, Moskva 1996 (reprint), tom IV, čast’ 2, 80 e ss.

 

[5] Lo zemskij sobor è anche chiamato, Concilio di tutta la terra (Sobor vseja zemli). Il rito del bacio della croce da parte di tutti i partecipanti rende vincolanti le decisioni da esso adottate. Nel XVI secolo viene convocato soltanto quattro volte (1550, 1556, 1584, 1598). Il Sobor «non è una rappresentanza popolare, ma un allargamento del potere centrale […] Nei casi di particolare importanza si introduceva un elemento per origine non governativo, ma sociale, peraltro con finalità di governo». In sostanza, esso è «una duma dei bojari, ossia un governo con la partecipazione di rappresentanti delle classi superiori della terra e della società», così V.O. KLJUČEVSKIJ, Kurs russkoj istorii, in http://www.magister.msk.ru/library/history/history1.htm , lekcija XL. Nel successivo secolo, tuttavia, lo zemskij sobor diviene una vera e propria assemblea rappresentativa che fa da contrappeso alla Duma, esaminando gli stessi problemi. Durante il regno di Michail Fëdorovič sarà convocato ben dieci volte, ivi, lekcija XLIV.

 

[6] Così nel 1551, 1580 e 1584, cfr. Rossijskoe zakonodatel’stvo X - XX vekov, tom 3, Akty zemskich soborov, a cura di A.G. Man’kov, Juridičeskaja Literatura, Moskva 1985, 26 ss.

 

[7] In particolare ciò vale per l’elezione da parte dello Zemskij Sobor dello zar, quando dopo la morte di Ivan il Terribile la monarchia diviene elettiva (fino al 1613); anche successivamente, quando viene ripreso il principio della successione ereditaria con lo zar Michail Fëdorovič Romanov, l’approvazione dello Zemskij Sobor è un requisito essenziale: lo zar Michail, infatti, è eletto «per volontà di Dio e con la preghiera di tutto il Santo Concilio, tutta l’assemblea dello zar (la Duma dei bojari) e tutto l’esercito, e dalla moltitudine del popolo di ogni rango e da tutti i cristiani ortodossi» Cfr. N.V. SINICYNA, L’Impero della Terza Roma, in L’ortodossia della nuova Europa. Dinamiche storiche e prospettive, a cura di A. Pacini, op. cit., 101-102. Giustamente la Sinicyna afferma: «I santi concili erano più antichi degli Zemskij Sobor, che avevano preso dai primi il nome e probabilmente anche alcuni aspetti organizzativi e procedurali. Ma poiché la frontiera tra sfera religiosa e sfera sociale non era netta, le competenze delle assemblee religiose e di quelle secolari non erano definite con precisione: ciò spiega le frequenti sovrapposizioni», cfr. ivi, 101.

 

[8] Cfr. I.N. ANDRUŠKEVIČ, in: AA:VV., Svjataja Rus’, Bol’šaja Ēnciklopedija Russkogo Naroda. Russkoe Gosudarstvo, Moskva 2002, volume curato dalla Editrice ortodossa Ēnciklopedija Russkoj Civilizacii, 742 ss.

 

[9] Cfr. M. FASMER, Etimologičeskij slovar’ russkogo jazyka, Progress, Moskva 1987, tom 3, 623.

 

[10] Secondo Fasmer, soglasnyj corrisponde al latino consonans e al greco τά σύμφωνα (op. cit., tom 3, 706). Soglasie è il termine adottato dallo Stoglav e dalla Kormčaja Kniga nell’edizione a stampa del 1653. L’edizione paleoslava adotta invece il termine di s”veščanie.

 

[11] Nel 1448 il granduca Vasilij II, in un Concilio dei vescovi sottoposti alla sua influenza, al quale partecipano anche il clero e la nobiltà, nomina Iona, vescovo di Rjazan’, che a suo tempo era stato rifiutato dal patriarca di Costantinopoli, alla cattedra di metropolita di Kyïv e di tutta la Rus’, senza preventiva intesa e approvazione del patriarca di Costantinopoli, affermando in tal modo de facto l’autocefalia della Chiesa di Rus’.

 

[12] Cfr A.M. AMMANN, Storia della Chiesa russa e dei paesi limitrofi, Utet, Torino 1948, 140.

 

[13] Cfr. A. PALMIERI, La Chiesa russa: le sue odierne condizioni e il suo riformismo dottrinale, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1908, 60.

 

[14] Giustamente IL BRJANČANINOV afferma che «non la lingua o i caratteri fisici formarono la nazione russa, ma l’ortodossia. Gli stranieri, Turchi o Mongoli, erano considerati stranieri finché professavano un’altra fede; ma dal momento in cui abbracciavano l’ortodossia diventavano Russi. Non si era dunque stranieri etnograficamente, ma dal punto di vista religioso», Cfr. N. BRIAN-CHANINOV, Storia di Russia, Garzanti, Milano 1940, 97-98. Anche A. LEROY-BEAULIEU, afferma che «Déja la foi était le garant ou la marque de la nationalité. Le Finnois ou le Finno-Turc converti était regardé comme Russe. Dans la cuve baptesimale se combinaient les éléments d’où devait sortir le peuple nouveau. C’est l’orthodoxie, non moins que l’autocratie, qui a fondé l’unité russe; elle a créé et conservé la conscience nationale», cfr. L’empire de tsars et les russes, tome III, La religion, Préface de Georges Nivat, Editions L’Age d’Homme, Lausanne 1988, op. cit., 53.

 

[15] Così M. GARZANITI, «Sacerdotium» e «Imperium» a Mosca fra il XV e il XVI sec., Tipografia Poliglotta della Pontificia Università Gregoriana, Roma 1990, 5 e 6. Sul legame tra Chiesa e Impero cfr. D. OBOLENSKY, Il commonwealth bizantino, Laterza, Bari 1974, 376-377.

 

[16] «Le spirituel et le temporel étaient plus ou moins confondus, les ordres du prince s’imposaient comme les ordres de Dieu, et les prescriptions de l’Église, érigée en institution d’État, se renforçaient à leur tour de toute l’autorité du prince», così A. Leroy-Beaulieu, L’empire de tsars et les russes, tome III, la religion, op. cit., 82.

 

[17] Ivan Peresvetov è particolarmente ostile ai bojari, poiché essi limitano il potere dello zar, il quale non deve trovare ostacoli alla sua azione; egli scrive: «Se governa uno zar mite e umano, il suo Impero si impoverisce, la sua gloria sfuma. Se invece lo zar è rigoroso e saggio, il suo Impero s’ingrandisce e il suo nome diverrà famoso in tutti i paesi. Uno Stato senza severità è come un cavallo senza redini», cfr. V. Gitermann, Storia della Russia, La Nuova 1talia, Firenze 1973, in 2 voll., vol. 1, 165.

 

[18] S. Graciotti, La Chiesa russa tra potere e povertà: sulla scia del contrasto tra Nil Sorskij e Iosif Volockij, in AA.VV., Il battesimo delle terre russe. Bilancio di un millennio, a cura di S. Graciotti, Leo S. Olschki Editore, Firenze 1991, 266 e ss. Cfr. altresì D. Tschiževskij, Storia dello spirito russo, Sansoni, Firenze 1965, 125 e ss., A.M. Ammann, Storia della Chiesa russa e dei paesi limitrofi, op. cit., 148 e ss.

 

[19] Il rifiuto di concepire Mosca come la nuova Gerusalemme, unitamente alla revisione dei testi liturgici da lui elaborata, costituirà il motivo della sua incarcerazione che durerà ben ventisei anni. Su incarico del gran principe Vasilij III, il Concilio di Mosca del 1525, presieduto dal metropolita Daniil, condanna Maksim Grek per eresia, sentenza confermata dal successivo Concilio del 1531. Maksim sconta la pena dapprima nel monastero di Volokolamsk, maltrattato dai monaci aizzati contro di lui, e poi in quello di Otroč, nei pressi di Tver’. Sarà graziato soltanto nel 1551 e trascorrerà gli ultimi anni di vita al monastero della Trinità di san Sergio.

 

[20] Cfr. A. LEROY-BEAULIEU, L’empire de tsars et les russes, tome III, La religion, op. cit., 83.

 

[21] Così S. GRACIOTTI, La Chiesa russa tra potere e povertà: sulla scia del contrasto tra Nil Sorskij e Iosif Volockij, op. cit., 256.

 

[22] Cfr. Ivan il Terribile, Un buon governo nel regno. Carteggio con Andrej Kurbskij, Adelphi, Milano 2000. Il testo è tradotto e curato da Pia Pera, alla quale si deve pure l’ottimo saggio introduttivo. Ivan muove dal postulato che il suo potere illimitato gli deriva direttamente da Dio: «Noi lodiamo dunque Dio per la grazia copiosa a noi accordata, il quale finora non ha permesso che la nostra mano destra si imporporasse del sangue della nostra stessa stirpe, giacché noi non abbiamo aspirato all’Impero di nessuno, ma con l’assenso divino in forza della benedizione dei nostri avi e genitori, nati per il regno, siamo stati educati e cresciuti e siamo ascesi al trono per comando divino, e abbiamo preso ciò che ci appartiene con la benedizione dei nostri avi e genitori, e l’altrui non abbiamo cercato» (ivi, 40), pertanto «chi si oppone al potere si oppone a Dio» (ivi, 43) e afferma la superiorità dell’Imperium sul Sacerdotium: «Ponete a mente a quando Dio condusse Israele fuori dalla schiavitù, mise forse un sacerdote o molti reggitori a comandare gli uomini? No, come capo su di loro, come zar, lui pose solo Mosè; e non gli ordinò di fare il sacerdote, bensì lo ordinò a suo fratello Aronne, proibendogli di occuparsi del governo degli uomini; e quando Aronne si occupò di questioni terrene, allora allontanò gli uomini dal Signore. Vedi tu stesso come non si addica ai sacerdoti occuparsi di questioni regali» (ivi, 58-598). Per maggior chiarezza Ivan afferma «Nessun luogo infatti potrai trovare dove non vada in rovina un regno lasciato in mano ai pope» (ivi, 57). Afferma ancora Ivan: «Un conto è il potere sacerdotale, un’altra la potestà dello zar […] in una comunità monastica, benché si sia rinunciato al mondo, si hanno comunque regole e responsabilità, e anche punizioni, perché a non stare attenti la comunità si disgrega; l’autorità sacerdotale, in ragione del suo potere benedetto, richiede un forte controllo della parola e, per serie motivazioni, anche dell’ira, della ricerca della gloria e degli onori, come pure degli ornamenti e di posizioni di privilegio, cose che ai monaci non si addicono; invece al governo dello zar, a motivo della follia degli uomini perfidi e malvagi, si addicono il terrore, la punizione, la repressione e il castigo supremo» (ivi, 64-65). E ancora sul fatto se lo zar possa essere ammonito da un rappresentante del potere spirituale: «E sarebbe forse questo confacente a uno zar: a chi gli percuota una guancia, porgere l’altra? Tale è infatti il comandamento supremo. E come governerai l’Impero se sarai tu stesso disonorato? Ma ciò invece si confà ai sacerdoti. Intendi giustamente, pertanto, le differenze tra Sacerdozio e Impero» (ivi, 65). Lo zar, voluto da Dio, è strumento di salvezza delle anime; afferma, infatti, Ivan «io con ogni zelo mi adopero per indirizzare gli uomini verso la verità e la luce, affinché conoscano l’unico vero Dio, glorificato nella Trinità, e il sovrano dato loro da Dio» (ivi, 88). Lo zar diviene, dunque, manifestazione di Dio sulla terra. Sui rapporti tra Stato e Chiesa al tempo di Ivan si veda: V.V. Šapošnik, Cerkovno-gosudarstvennye otnošenija v Rossii v 30-80-e gody XVI veka, Spb GU, SPb 2006. Il principe Kurbskij è molto critico della disponibilità dei vescovi ad accettare la volontà del sovrano e attribuisce ad essi il confacente epiteto di potakovniki (indulgenti).

 

[23] Cfr. S. GRACIOTTI, La Chiesa russa tra potere e povertà: sulla scia del contrasto tra Nil Sorskij e Iosif Volockij, op. cit., 271.

 

[24] Ricorda il Palmieri, citando autorevoli storici russi, che l’idea del Patriarcato nasce nella mente di Fëdor I che la espone ai bojari e non già al Concilio dei vescovi. La partecipazione del clero a queste discussioni preliminari viene giudicata del tutto superflua (soveršenno izlišnim) e che «il sinodo convocato quando tutte le disposizioni opportune erano state già prese, si limitò ad esprimere la sua piena adesione ai voleri dello tzar. In tal modo la fondazione del Patriarcato fu il prodotto esclusivo dell’influsso del potere laico»; riprendendo una affermazione di I.V. Preobraženskij il Palmieri ricorda, inoltre, che l’esistenza del Patriarcato «non era richiesta dalle condizioni essenziali della vita del cristianesimo russo; il Patriarcato vi apparisce solamente come una decorazione esterna (ukrašenie cerkvi vnešnee). Fondato, come si è detto, esclusivamente dal potere civile e per motivi meramente politici, nel corso di un secolo non piantò salde radici sul suolo russo, non ebbe col popolo un legame vivente ed organico, nacque per un capriccio del potere civile, e per un capriccio di questo cessò di vivere», cfr. A. PALMIERI, La Chiesa russa: le sue odierne condizioni e il suo riformismo dottrinale, op. cit., 64-65.

 

[25] Filaret (Fëdor Nikitič) appartiene alla famiglia dei Romanov che è perseguitata dallo zar Boris Godunov: Fëdor è costretto a separarsi dalla moglie e a ritirarsi in un monastero dove prende il nome di Filaret; è poi nominato metropolita di Rostov ed eletto patriarca.

 

[26] Basterà ricordare che un atto conciliare ispirato dal Nikon, quando è ancora metropolita di Novgorod, delibera di traslare nella capitale i resti di tre grandi esponenti della gerarchia ortodossa per dare loro degna sepoltura nella cattedrale dell’Assunzione al Cremlino di Mosca. Si tratta di figure che si sono distinte per avere rifiutato di accettare la subordinazione al potere civile e la tirannia dei sovrani e che si sono sacrificate per rimanere fedeli alla Chiesa e alla Nazione. Essi sono: il metropolita di Mosca Filipp, ucciso il 23 dicembre 1569 dietro ordine dello zar; il patriarca Iov, il quale, per essersi opposto nel periodo dei Torbidi al primo falso Dimitrij, viene privato della sua dignità e relegato nel monastero Uspenskij della sua città natale di Starica, nella regione di Tver’, dove muore il 19 giugno 1607; e il patriarca Germogen, rinchiuso dai polacchi nel monastero dei Miracoli a Mosca dove morirà di fame il 20 Marzo 1611.

 

[27] Cfr. A.V. Soloviev (Solov’ëv), L’influence du droit byzantin dans les pays orthodoxes, in Relazioni del X Congresso internazionale, volume I, Metodologia. Problemi generali. Scienze ausiliarie della storia, Biblioteca storica Sansoni. Nuova serie, G.C. Sansoni Editore, Firenze 1955, 625.

 

[28] A. PALMIERI, La Chiesa russa: le sue odierne condizioni e il suo riformismo dottrinale, op. cit., 299 e fonte ivi citata.

 

[29] L’omofor (in greco ώμοφόριον) è una fascia o stola di stoffa ricamata indossata dal patriarca e dal vescovo durante la liturgia pontificale: simboleggia la pecora smarrita raccolta dal Buon Pastore.

 

[30] Cfr. A.V. KARTAŠËV, Očerki po istorii russkoj cerkvi, in 2 voll., reprint Terra, Moskva 1992, tom 1, 321. «Le riforme di Pietro e dei suoi collaboratori secolarizzarono in larga misura la Russia teocratica – è così che può intendersi il contrasto della Russia pietroburghese di fronte a quella moscovita. La cultura e la concezione del mondo moscovita era del tutto clericale e chiesastica: Pietro invece faceva dello stato l’organo decisivo della politica e delle cultura», così T.G. MASARYK, La Russia e l’Europa. Studi sulle correnti spirituali in Russia, a cura di E. Lo Gatto, 2 voll., Massimiliano Boni Editore, Bologna 1971, vol. 1, 56-57.

 

[31] Cfr. il Manifesto del 16 Aprile 1702 Sull’invito degli stranieri in Russia con la promessa di libertà di professione religiosa, in cui si afferma: «E poiché qui nella nostra capitale è stato introdotto il libero esercizio del culto (svobodnogo otpravlenija bogosluženija) per tutte le altre sette cristiane, ancorché non concordanti con la nostra Chiesa; così con il presente atto esso è nuovamente ribadito di modo che noi, in base al potere conferitoci dall’Altissimo, non desideriamo forzare (prinevolivat’) la coscienza degli uomini e volentieri concediamo che ogni cristiano sotto la sua responsabilità si prenda cura della beatitudine della sua anima» (art. 2). Nel Manifesto Pietro consente agli stranieri la facoltà di costruire chiese, ma non fa alcun cenno alla libertà di proselitismo che resta, pertanto, interdetta. Si può qui ricordare il caso del libero pensatore Dmitrij Evdokimovič Tveritinov (Derjuškin), vicino al pensiero calvinista, negatore dell’autorità della Chiesa, del culto delle icone e dei santi, che diffonde le sue idee all’inizio del Settecento nella nemeckaja sloboda (quartiere tedesco) di Mosca e raccoglie un buon numero di seguaci. Tveritinov interpreta il Manifesto di Pietro come legittimazione a svolgere attività di proselitismo: verrà condannato nel 1713 alla tortura e al carcere e sarà liberato soltanto nel 1718 per intercessione di Pietro il Grande dopo aver ripudiato le sue idee. A seguito del Manifesto rimane, altresì, vietata la sepoltura degli eterodossi nei cimiteri ortodossi. Cfr. Manifesto N° 1910, O vyzove inostrancev v Rossiju s obeščaniem im svobody veroispovedanija, in Polnoe Sobranie Zakonov Rossijskoj Imperii, sobranie 1-oe, tom IV (1700-1712), 192-195. L’edizione della Raccolta completa delle leggi dell’Impero russo da me consultata è quella pubblicata dalla Tipografija II Otdelenija Sobstvennoj Ego Imp. Vel-a Kanceljarii. L’opera è divisa in tre parti: la prima, 1-oe sobranie, dal 1649 al 1825, raccoglie le disposizioni normative da 1 a 30600 (tom I-XLV), SPb 1830; la seconda, 2-oe sobranie, dal 1825 al 1881 (tom I-LV), comprende gli atti normativi da 1 a 61928, SPb dal 1830 al 1884; e la terza, 3-e sobranie, contiene le leggi da 1 a 40848, emanate negli anni dal 1881 al 1913 (tom. I- XXXIII), SPb-Petrograd dal 1885 al 1916.

 

[32] Reglament ili ustav Duchovnoj Kollegii, in Polnoe Sobranie Zakonov Rossijskoj Imperii, op. cit., 1-oe sobr., tom VI (1720-1722), N° 3718, 314-346. Cfr. altresì, V.A. Fëdorov, Russkaja Pravoslavnaja Cerkov’ i gosudarstvo. Sinodal’nyj period 1700-1917, Russkaja Panorama, Moskva 2003, 310 e ss. Per una rassegna delle disposizioni emesse da Pietro il Grande in materia ecclesiastica cfr. altresì Vzaimootnošenija gosudarstva i cerkvi v 18 veke po uloženijam, ukazam i artikulam Petra I, in www.allpravo.ru .

 

[33] Il Collegio è istituito il 1° Gennaio 1721 con un organico di 12 membri. In base al Manifesto del 25 Gennaio 1721 e al Regolamento, il Collegio è composto da 11 membri, tutti ecclesiastici nominati dallo zar, è presieduto da Stefan Javorskij (pervenstvujuščij člen), metropolita di Rjazan’ e Murom, assistito da due vicepresidenti (vice-presidenty): Feodosij (Janovskij), arcivescovo di Novgorod e Velikie Luki, e Feofan Prokopovič, vescovo di Pskov, da quattro archimandriti in veste di consiglieri (sovetniki) e quattro assistenti (asessory), cfr. il Regolamento in Polnoe Sobranie Zakonov Rossijskoj Imperii, op. cit., 1-oe sobr., tom VI (1720-1722), N° 3718, 314-346.

Secondo il Regolamento, il presidente e il vice-presidente devono essere vescovi, gli altri membri sono scelti tra archimandriti, igumeni e protopope, purché non siano subordinati a un vescovo membro del Sinodo che può influenzare il loro voto. Alla morte di Javorskij nel 1722 Pietro non nomina il nuovo presidente e la carica è abolita; Feofan Prokopovič diviene figura di riferimento del Sinodo. Con Caterina I (1725-1727) nel 1726 il Sinodo è diviso in due dipartimenti, uno ecclesiastico (duchovnyj) e l’altro laico (svetskij): Il primo si compone di sei membri, tutti vescovi; il vescovo che presiede come primus inter pares le riunioni del Sinodo in assenza del procuratore è chiamato pervoprisustvujuščij, letteralmente primo presente, mentre gli altri sono denominati prisustvujuščie, ossia presenti. Primo presente è un titolo puramente onorifico, giacché le funzioni a lui attribuite sono le stesse di cui sono investiti gli altri membri del Sinodo: egli occupa, infatti, il primo posto ma non ne è il presidente. Dal 1764 i vescovi sono solo tre, affiancati da due archimandriti e da un protoierej. Con l’imperatrice Anna Ivanovna (1730-1740) resta invariato il numero dei membri, ma cambia la composizione del Sinodo: tre vescovi (Feofan Prokopovič, Leonid Petrovskij di Kruticy e Pitirim di Nižnij Novgorod), due archimandriti (Platon di Char’kiv e Ilarion del monastero Novospasskij) e due protoierej (Ivan dell’Uspenskij Sobor e Ivan di Blagoveščensk). Dal 1764 il Sinodo si compone di tre vescovi, due archimandriti e un protoierej. I membri del Sinodo diventano sette con la riforma del 1818, mentre a fine Ottocento sono esclusi dal Sinodo gli archimandriti e negli anni successivi si stabilisce che solo i vescovi possono esserne membri, in parte permanenti (il metropolita di San Pietroburgo, che ne è di diritto il presidente, quelli di Mosca e di Kyïv e l’esarca della Georgia) e in parte temporanei (vescovi diocesani), tutti nominati dall’imperatore. Le decisioni sono prese all’unanimità e in caso di impossibilità di accordo su una questione, questa, su proposta dell’Ober-prokuror (cfr. infra), può essere sottoposta all’imperatore. Cfr. A.S. Pavlov, Kurs Cerkovnogo prava, izd. Lan’, SPb 2002, reprint dell’edizione del 1902 stampata a Sergiev Posad, 194 e ss.; altresì V.G. Pevcov, Lekcii po cerkovnomu pravu, Imperatorskoe Učilišče Pravovedenija, SPb 1914, disponibile ora anche sul sito www.holytrinitymission.org/russian/pravo_pevcov.htm, 26 e ss.

 

[34] A.M. AMMANN, Storia della Chiesa russa e dei paesi limitrofi, op. cit., 241.

 

[35] A proposito dell’abolizione del Patriarcato nel Regolamento si afferma che «questa amministrazione conciliare permanente, al pari del Sinodo o Sinedrio, è più adeguata e più rispondente ai bisogni della Chiesa di quanto non lo sia l’amministrazione di una singola persona, tanto più in una monarchia del nostro tipo», cfr. B. D’Ajetti, Il regolamento ecclesiastico di Feofan Prokopovič. Valenza politico-dottrinale e sua dignità linguistico-letteraria (Dal Patriarcato al Santissimo Sinodo Dirigente), Herder Editore, Roma 1995, 76. Sul Regolamento si veda il fondamentale lavoro di P.V. Verchovskij, Učreždenie duchovnoj kollegii i Duchovnyj reglament, tom II, Materialy, Sklad izdanija v knižnom magazine tov-a A.S. Suvorina, «Novoe Vremja», Rostov na Donu 1916. Si veda altresì C. Tondini de’ Quarenghi, Règlement ecclésiastique de Pierre le Grand, Librairie de la Société bibliographique, Paris 1874. Il padre barnabita Cesare Tondini, diplomatico vaticano, è stato un precursore dell’ecumenismo e Autore appassionato di diversi studi, tra i quali merita ricordare: La Russia e l'unione delle Chiese, Forzani, Roma 1895 e La primauté́ de Saint Pierre: prouvée par les titres que lui donne l'église russe dans sa liturgie, V. Palmé, Paris 1867. Come ricorda il Fëdorov al clero sono attribuiti compiti statali, ad esempio quello di dare lettura nel corso delle liturgie domenicali delle nuove disposizioni legislative, oppure l’obbligo imposto al clero parrocchiale di tenere i registri degli atti di stato civile e di denunciare all’autorità i seguaci dello scisma (1722), cfr. V.A. Fëdorov, Russkaja Pravoslavnaja Cerkov’. Sinodal’nyj period 1700-1917, op. cit., 152.

 

[36] Un secondo sovrano equivalente all’autocrate o a esso superiore (čto takovyj pravitel’ est’ to vtoroj gosudar’, samoderžcu ravnosil’nyj, ili i bol’ši ego), cfr. Polnoe Sobranie Zakonov Rossijskoj Imperii, op. cit., 1-oe sobr., tom VI (1720-1722), N° 3718, punto 7, 317. Il passo completo nella traduzione del D’Ajetti recita: «E questo è estremamente importante: da un’amministrazione conciliare la patria non può temere sedizioni e disordini [è chiaro il riferimento alla rivolta degli strel’cy, NdA], cosa che avviene quando a governare è un singolo amministratore ecclesiastico indipendente. E questo perché il popolino non riesce a percepire quanto sia differente il potere ecclesiastico dal potere autocratico: ed esso, abbagliato dal grande onore e dalla gloria del Supremo Pastore, lo vive come un secondo Sovrano, uguale e perfino più grande dell’autocrate stesso e pensa che l’ordine ecclesiastico sia un altro Stato, anzi uno Stato migliore», cfr. B. D’Ajetti, Il regolamento ecclesiastico di Feofan Prokopovič, op. cit., 77.

 

[37] Come giustamente sottolineato da A.V. SOLOVIEV (Solov’ëv), L’influence du droit byzantin dans les pays orthodoxes, op. cit., 627.

 

[38] A conferma di ciò in data 11 Maggio 1722 il neo-istituito Sinodo delibera che «una brava persona, coraggiosa e capace di seguire l’amministrazione degli affari sinodali, deve essere scelta tra gli ufficiali della Guardia e nominata Ober-prokuror» del Santissimo Sinodo Governante, che è «l’occhio dello zar (oko carevo) e il curatore degli affari dello Stato». L’Ober-prokuror è soggetto solamente al giudizio dell’imperatore, giacché «questo rango è come il nostro occhio e il curatore degli affari dello Stato» («sej čin jako oko naše i strjapčij o delach gosudarstvennych»). Pietro stabilisce che l’Ober-prokuror del Santo Sinodo deve essere scelto tra gli ufficiali, cfr. ukaz N° 4001, dell’11 Maggio 1722 in Polnoe Sobranie Zakonov Rossijskoj Imperii, op. cit., 1-oe sobr., tom VI (1720-1722), 676.

 

[39] «A na patriaršee imja ukazov niotkuda ne prisylalos’, Duchovnaja že Kollegija imeet čest’, silu i vlast’ patriaršeskuju, ili edva i ne bol’šuju čem patriaršeskuju, poneže sobor», cfr. A.V. Kartašëv, Očerki po istorii Russkoj Cerkvi, op. cit., tom 2, p. 355; V.G. Pevcov, Lekcii po cerkovnomu pravu, op. cit., p. 27.

 

[40] O semplicemente Duchovnoe vedomstvo, Dicastero ecclesiastico.

 

[41] N.V. RJASANOVSKY, Storia della Russia, op. cit., 260.

 

[42] Le Leggi fondamentali dello Stato, contenute nel primo tomo dello Svod Zakonov, sanciscono in modo inequivocabile la posizione di privilegio assegnata alla Chiesa Ortodossa Russa quando asseriscono: «La religione che ha il primato ed è dominante (pervenstvujuščaja i gospodstvujuščaja) nell’Impero Russo è la fede Cristiana Ortodossa Cattolica Orientale» (art. 62, cfr. Capo VII (Della fede), Osnovnye Gosudarstvennye Zakony, in Svod Zakonov Rossijskoj Imperii, Svod Zakonov Rossijskoj Imperii, pod redakciej i c primečanijami I. D. Morduchaj-Boltovskogo, sostavili N.P. Balkanov, S.S. Vojt, V.E. Gercenberg, Russkoe Knižnoe Tovariščestvo Dejatel’, Peč. Grafičeskago Instituta Br. Lukševic, SPb 1912, 4 libri e 16 volumi, tom I, čast’ 1, razdel 1, 5 e ss.; altresì in Zakonodatel’nye akty perechodnogo vremeni: 1904-1908, Sb. Zakonov, manifestov, ukazov Pravitel’stvujuščemu senatu, reskriptov i položenij komiteta ministrov, otnosjaščichsja k preobrazovaniju gosudarstvennogo stroja Rossii, s prilož. alfavitno-predmetnogo ukazat. Pod red. N.I. Lazarevskogo, izd. Jurid. Kn. Sklada «Pravo», SPb 1909, 548-549 (della riedizione pubblicata dalla Gosudarstvennaja Publičnaja Istoričeskaja Biblioteka, Moskva 2010. L’art. 1 del Codice delle istituzioni e degli statuti di direzione degli Affari ecclesiastici delle Confessioni straniere cristiane e non cristiane (di seguito citato come Codice degli Statuti delle Confessioni straniere) recita: «La fede che ha il primato ed è dominante nello Stato russo è quella cristiana ortodossa cattolica di professione orientale. Ma anche tutti i sudditi dello Stato e gli stranieri che in esso si trovano e che non appartengono a questa Chiesa godono ciascuno e dappertutto del libero esercizio della propria fede e del proprio servizio liturgico», cfr. Svod učreždenij i u stavov upravlenija duchovnych del inostrannych ispovedanij christianskich i inovernych, inserito nell’edizione del 1857 dello Svod Zakonov, cfr. Svod Zakonov Rossijskoj Imperii, op. cit., tom XI, čast’ 1 (izdanie 1896 goda), 1 e ss. L’aggettivo cattolica sta per universale: la Chiesa ortodossa viene allora chiamata Chiesa Ortodossa Cattolica Orientale (Pravoslavno-Kafoličeskaja Vostočnaja Cerkov’), ma altresì ortodossa (pravoslavnaja), grecorussa (grekorossijskaja), grecoorientale (grekovostočnaja); per porre fine alla confusione generata dalle diverse denominazioni, con ukaz imperiale N° 13018 del 24 Dicembre 1839 viene denominata semplicemente ortodossa, cfr. Polnoe Sobranie Zakonov Rossijskoj Imperii, op. cit., 2-oe sobr., tom XIV (1839), čast 1, 955). Le Leggi Fondamentali ribadiscono il principio che l’imperatore deve essere di fede ortodossa: «L’imperatore che regge il trono di tutta la Russia non può professare alcuna altra fede al di fuori di quella Ortodossa» (art. 63), giacché «l’imperatore, in quanto Sovrano Cristiano, è il supremo difensore (zaščitnik) e il custode (chranitel’) dei dogmi della fede dominante e il tutore (bljustitel’) dell’ortodossia e di ogni decoro (blagočinija) nella santa Chiesa. In questo senso l’imperatore nell’atto di successione al trono del 5 Aprile 1797 è chiamato Capo della Chiesa» (art. 64). Il legislatore fa riferimento all’imperatore Paolo I, che nel Manifesto di incoronazione si definisce Capo della Chiesa (Glava Cerkvi) Ortodossa Russa. Il principio è stabilito per la prima volta il 5 Aprile 1797, cfr. Zakonodatel’nye akty perechodnogo vremeni: 1904-1908, op. cit., 548 e Polnoe Sobranie Zakonov Rossijskoj Imperii, op. cit., 1-oe sobr., tom XXIV, N° 17910.

 

[43] Testo italiano in G. CODEVILLA, Stato e Chiesa nella Federazione Russa. La nuova normativa nella Russia postcomunista, La Casa di Matriona, Milano 1998, 145 ss. Testo russo aggiornato in Slavjanskij Pravovoj Centr, http://www.sclj.ru/law/rus/detail.php?print=Y&ID=1129 .

 

[44] «L'Assemblea Federale della Federazione Russa,

            confermando il diritto di ciascuno alla libertà di coscienza e alla libertà di professione religiosa e anche all'uguaglianza davanti alla legge indipendentemente dall'atteggiamento verso la religione e dalle convinzioni;

            basandosi sul fatto che la Federazione Russa è uno Stato laico;

            riconoscendo il particolare ruolo dell'ortodossia nella storia della Russia, nella formazione e nello sviluppo della sua spiritualità e cultura;

            rispettando il cristianesimo, l'islam, il buddismo, il giudaismo e le altre religioni che costituiscono parte integrante dell'eredità storica dei popoli della Russia;

            considerando importante contribuire al raggiungimento della reciproca comprensione, della tolleranza e del rispetto nei problemi della libertà di coscienza e della libertà di professione religiosa;

            approva la presente legge federale».

Il testo richiama alla memoria l’art. 1 della Dichiarazione sullo Statuto giuridico della Chiesa Ortodossa Russa adottato dal Concilio del 1917-1918, poiché, come già ricordato, ripropone il legame tra ortodossia e Nazione, che costituisce la base della giustificazione storico-sociale del primato dell’ortodossia, senza peraltro riprendere la motivazione di carattere teologico: «La Chiesa Ortodossa di Russia, che costituisce una parte della Chiesa Una e Universale di Cristo, occupa nello Stato russo una posizione giuridica pubblica di primato tra le altre Confessioni, che le spetta in quanto somma cosa sacra per la grandissima maggioranza della popolazione e come immensa forza storica che ha creato lo Stato russo».

 

[45] Si noti che il legislatore non fa uso dell’aggettivo tradizionale, che è stato introdotto dalla dottrina e dalla pubblicistica.

 

[46] Cfr. G. Čarodeev, M. Jusin, in «Izvestija», 26 Luglio 1997. Anche a parere di E. Tregubova («Kommersant Daily», del 24 Luglio 1997) e di L. Selickaja («Sovetskaja Belorussija», del 24 Luglio 1997) il legislatore non intende comprendere il cattolicesimo tra le religioni tradizionali. Della stessa opinione sono Roman Silant’ev, segretario esecutivo del Consiglio Interreligioso della Russia (cfr. Katoličeskoe predstavitel’stvo v Mežreligioznom sovete ne imeet smysla, sčitajut v etoj organizacii, in http://www.interfax-religion.ru/?act=news&div=2624, 6 Aprile 2005), e Roman Lunkin, collaboratore dell’Ēnciklopedija religioznoj žizni Rossii (cfr. Skol’ko v Rossii pravoslavnych, intervista a Radio Svoboda con Jakov Krotov del 25 Agosto 2005, in http://www.svobodanews.ru/Article/2005/08/25/20050825160026620.html). Sull’argomento si vedano anche: A. Verchovskij, Bitva za privilegii. V Parlamente prodolžajutsja diskussii o roli cerkvi v gosudarstve, in «Nezavisimaja Gazeta. NG religija» del 18 Giugno 2003, disponibile in religion.ng.ru/printed/politic/2003-06-18/4_privileges.html. Cfr. inoltre F. Šipkov, in www.religare.ru del 9 Gennaio 2004; O. Efremov, in Ežegodnyj doklad gosudarstvennogo Departmenta SŠA o svobode veroispovedanija za 2004 god, in http://usembassy.ru/bilateral/religious_2004r.php. Il concetto è stato recentemente ribadito da Kirill in una intervista concessa al periodico francese «Diplomatie» in cui si afferma: «A mio avviso non c’è nulla di male e non vi è nessuna minaccia alla libertà delle persone di altre fedi se lo Stato dichiara pubblicamente le sue speciali relazioni con le religioni della maggioranza della popolazione del proprio Paese. In questo caso nascono delle regole precise e comprensibili a tutti sulle relazioni reciproche tra lo Stato e la Chiesa che più facilmente possono sottoporsi al controllo sociale. Riterrei che in Russia sarebbe utile stabilire simili relazioni speciali con le quattro religioni tradizionali del nostro Paese: ortodossia, islam, giudaismo e buddismo. Ciò permetterebbe una collaborazione tra lo Stato e le comunità religiose in diverse sfere sociali proporzionalmente al numero dei credenti che appartengono alle diverse religioni tradizionali». Cfr. «Interfax» del 5 Ottobre 2005 in http://www.interfax-religion.ru/?act=print&div=1775. Si veda anche l’intervento di Kirill alla prima seduta della Commissione congiunta per la politica nazionale e per le relazioni dello Stato e delle associazioni religiose presso il Consiglio della Federazione del 22 Giugno 2006, in www.mospat.ru/index.php?page=33465. Se si verifica il numero complessivo delle comunità religiose islamiche, buddiste ed ebraiche (4.151) si vede che esso è largamente inferiore a quello complessivo delle comunità protestanti (5.141), secondo i dati del Ministero della Giustizia riferiti al 1° Gennaio 2007, pubblicati in Autori Vari, Religija i obščestvo, Rossijskaja Akademija Nauk. Institut Evropy, čast’ II, a cura di A.A. Krasikov, Moskva 2007, 114 e ss. Secondo i dati comunicati dal patriarca Aleksij II all’apertura del Concilio dei vescovi in data 24 Giugno 2008 le diocesi della Chiesa Ortodossa Russa sono complessivamente 156, i vescovi sono 196 (148 eparchiali e 48 vicari, cfr., supra, nota 866), le parrocchie sono 29.141, i monasteri sono 769 (372 maschili e 397 femminili), i sacerdoti sono 30.544. A conferma della modesta attività sociale svolta dalla Chiesa ortodossa si può ricordare che le scuole parrocchiali domenicali sono 11.051 e i centri giovanili solamente 463, cfr. http://www.portal-credo.ru/site/print.php?act=news&id=63508.

 

[47] Cfr. artt. 206 e 207 della Seconda Sezione («Delle eresie e degli scismi») dell’Uloženie del 1845, Uloženie o nakazanijach ugolovnych i ispravitel’nych del 15 Agosto 1845, testo in: Rossijskoe zakonodatel’stvo X-XX vekov, tom 6, Zakonodatel’stvo pervoj poloviny XIX veka, a cura di O.I. Čistjakov, Juridičeskaja Literatura, Moskva 1988, 170 ss.

 

[48] Per usare l’espressione dello Svod učreždenij i ustavov upravlenija duchovnych del inostrannych ispovedanij christianskich i inovernych, cit., čast’ 1-aja, vvedenie, art. 3, in Svod Zakonov Rossijskoj Imperii, op. cit., tom XI, čast 1, 1.

 

[49] Impeccabile sotto questo profilo è il disposto dell’art. 10 della precedente legge del 1990: «Uguaglianza delle associazioni religiose davanti alla legge – Tutte le religioni e le associazioni religiose sono uguali davanti alla legge dello Stato. Nessuna religione o associazione religiosa gode di alcun privilegio e non può essere sottoposta ad alcuna limitazione rispetto alle altre. Lo Stato nelle questioni della libertà delle professioni religiose e delle convinzioni è neutrale, cioè non parteggia per alcuna religione o concezione del mondo».

 

[50] È questo il titolo del Capo III, punto 4, cfr. infra, 434 ss.

 

[51] Koncepcija nacional’noj bezopasnosti Rossijskoj Federacii. Il documento è stato approvato con ukaz del presidente della Federazione Russa N° 1300 in data 17 Dicembre 1997, successivamente modificato con ukaz del presidente della Federazione Russa N° 24 in data 10 Gennaio 2000, testo in: http://www.nationalsecurity.ru/library/00002/index.htm.

 

[52] Doktrina informacionnoj bezopasnosti Rossijskoj Federacii, testo in http://www.credogarant.ru/ . Altresì in: A.V. PČELINCEV, V.V. RJACHOVSKIJ, Religioznye ob”edinenija. Svoboda sovesti i veroispovedanija. Religiovedčeskaja ekspertiza, izd. Jurisprudencija, Moskva 2006, 306 e ss. Si tratta di asserzioni riprese con una certa frequenza da esponenti delle istituzioni; recentemente A. Nikolaev, segretario della Commissione per i problemi delle associazioni religiose della Repubblica di Sacha (Jakutija) ha collegato il diffondersi delle Chiese non ortodosse con «il desiderio di una serie di paesi stranieri, in primo luogo gli USA, di rafforzare la propria posizione in Russia e di indebolire il nostro paese, di dividere la sua popolazione sulla base religiosa mediante la creazione di una quinta colonna delle organizzazioni religiose non tradizionali, protestanti, cattolici e nuovi movimenti religiosi». Cfr. «Novosti Sova-centra» del 19 Gennaio 2007 in http://religion.sova-center.ru/events/13B742E/13DD64B/8986188 e fonti citate.

 

[53] L’Archierejskij sobor, o Concilio episcopale, si differenzia dal Concilio locale (Pomestnyj sobor). Il termine risale all’epoca sovietica: l’idea di un Concilio al quale partecipano soltanto i vescovi è introdotta, infatti, dal Regolamento sulla direzione della Chiesa Ortodossa Russa adottato nel Concilio locale del 1945 e formalizzato come Concilio episcopale nello Statuto (Ustav) adottato in data 8 Giugno 1988. A questo Concilio, che è definito «organo supremo della direzione ecclesiastica della Chiesa Ortodossa Russa» (Statuto, Capo III, punto 1 dello Statuto del 2000), prendono parte i vescovi diocesani e i vescovi vicari che sono a capo delle istituzioni sinodali e delle accademie teologiche o che hanno giurisdizione canonica su parrocchie a loro subordinate. Il Concilio è convocato almeno ogni quattro anni e prima del Concilio locale; dal 1990 è sempre stato convocato regolarmente. Al Concilio dei vescovi possono partecipare gli altri vescovi vicari, peraltro senza diritto di voto. De facto, il Concilio dei vescovi è il massimo organo di potere della Chiesa Ortodossa Russa: il punto 5 del Capo III dello Statuto attribuisce a esso la funzione giurisdizionale: «Il Concilio dei vescovi è l’organo giudiziario ecclesiastico di suprema istanza. In quanto tale è competente a esaminare e a prendere decisioni in prima e ultima istanza: a) per apostasia (otstuplenijam) dai dogmi e dai canoni nell’attività del patriarca di Mosca e di tutta la Russia; in ultima istanza: b) per disaccordi tra due o più vescovi, c) per trasgressioni canoniche e per apostasia dai dogmi della fede da parte dei vescovi, d) per tutte le questioni trasmesse a esso dal Tribunale ecclesiastico per la decisione finale».

Il Concilio locale è qualificato nel Concilio del 1917-1918 come «supremo potere legislativo, amministrativo, giudiziario e di controllo». In base allo Statuto del 2000 esso diviene «il supremo potere nel campo della dottrina religiosa e della struttura canonica» (Capo II, punto 1). Vi partecipano i vescovi, i rappresentanti del clero, dei monaci e dei laici nella misura stabilita dal Concilio episcopale. L’ultimo Concilio locale è stato convocato nel 1990 per l’elezione del patriarca, e ciò nonostante il fatto che lo Statuto del 1988 affermi che esso debba essere convocato almeno ogni cinque anni. Ciò indubbiamente non concorda con lo spirito di conciliarità o sobornost’ tanto caro alla tradizione ortodossa. La stessa cosa va detta a proposito del ruolo secondario assegnato di fatto al clero e ai laici, che erano in maggioranza nel Concilio del 1917-1918, circostanza che suscita da più parti critiche verso il Patriarcato.

 

[54] Testo in lingua originale in http://www.mospat.ru/index.php?mid=180, http://www.patriarchia.ru/db/text/141422.html e in http://www.religare.ru/print7720.htm. Testo e commento in AA.VV., O social’noj koncepcii russkogo pravoslavija, a cura di M.P. Mčedlov, izd. Respublika, Moskva 2002. Testo italiano in «Il Regno», supplemento al N° 1, 1° Gennaio 2001. Il problema della giustizia sociale si pone tardivamente all’attenzione della Chiesa Ortodossa Russa per due ragioni: una interna e una esterna. Lo stretto legame con il sistema zarista ha costretto per secoli la Chiesa in una posizione ancillare, impedendole di affrontare le tematiche sociali che vengono invece elaborate dal mondo cattolico. Con il crollo dello zarismo la Chiesa avverte la necessità di affrontare il problema sociale, ma viene emarginata dal nuovo regime che le impedisce di formulare una dottrina alternativa a quella imposta dal comunismo. Ma vi è anche una ragione interna, giacché la mentalità ortodossa appare distaccata dal mondo e da sempre escatologicamente orientata a privilegiare i valori primari dello spirito nella prospettiva dell'eternità rispetto a quelli della convivenza sociale: in questo clima l’accettazione dell’ingiustizia diviene una forma di ascetismo e il problema sociale viene a essere di competenza del regno di Cesare piuttosto che di quello di Dio. Il coinvolgimento della Chiesa Ortodossa Russa nei temi sociali, che si esprime in questo importante documento, rappresenta una indubbia correzione a questa mentalità. Ha indubbiamente ragione il Brjančaninov ad affermare che la fede russa popolare «è la religione dell’al di là e non di quaggiù: cioè il suo avvenire si trova nel mondo trascendente e non nel mondo delle realtà tangibili. Per i russi la vera vita comincerà solo in cielo, cioè nel regno ultimo, nel vero senso della parola. Così fino a quel momento, e detto in altre parole, attendendo il glorioso e beatificante possesso di Dio, l’uomo dovrà applicarsi perché il suo corpo, quando resusciterà, non sia grave di impedimenti terreni, ma leggero e diafano. E questo stato non si potrà ottenere che con il disprezzo dei piaceri e dei beni terreni, con l’indifferenza verso l’acquisto della civiltà materiale, con la disubbidienza alle leggi ed ai doveri imposti con la violenza», cfr. N. BRJAN-CHANINOV, La Chiesa russa, Edizioni Cristofari, Vicenza 1931, 86-87.

 

[55] Risoluzione del Congresso di tutta la Russia del clero e dei laici (1-7 Giugno 1917). Testo in: Gosudarstvo, Obščestvo, Cerkov’. XX vek, a cura di A.V. Beljaeva, Jaroslavskij Gosudarstvennyj Universitet, Jaroslavl’ 1999, 19, punti 2 e 3.

 

[56] Osnovnye principy otnošenija Russkoj Pravoslavnoj Cerkvi k inoslaviju, Il testo è reperibile sul sito http://www.mospat.ru/text/principles/id/70.html.

 

[57] «Kogda ona osuščestvljaetsja bez prozelitizma i ne za sčet “peremanivanija” verujuščich».

 

[58] Cfr. ANATOLIJ KRASIKOV, Dalla sinfonia alla dialettica, in «Il regno attualità», XLV (2000), 865, 15. 9. 2000, 510.

 

[59] Lo Statuto sulla direzione della Chiesa Ortodossa Russa approvato dal Concilio locale del 1988 asserisce che la sua giurisdizione si estende agli ortodossi che vivono sul territorio dell’URSS, escluse la Georgia, dove esiste un Patriarcato ortodosso, l’Armenia (che ha una sua Chiesa nazionale), e agli ortodossi che vivono all’estero (art. 3). Con maggior precisione, lo Statuto della Chiesa Ortodossa Russa, approvato dal Concilio del 2000 (Testo http://www.patriarchia.ru/db/text/133115.html ), afferma la sua giurisdizione, talora contestata da altre Chiese ortodosse, sui seguaci dell’ortodossia che si trovano nei suoi territori canonici: Russia, Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Azerbajdžan, Kazachstan, Kirgizija, Lettonia, Lituania, Tadžikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Estonia, e anche sulle persone che vivono in altri paesi e che volontariamente aderiscono a essa (art. 3).

 

[60] Si ritorna, dunque, alla Chiesa Ortodossa Russa che ha il primato ed è dominante (pervenstvujuščaja i gospodstvujuščaja) dello Svod Zakonov dell’epoca zarista.

 

[61] V.V. Zen’kovskij, Istorija russkoj filosofii, Ymca Press, Paris 1989, in 2 voll., vol. 1, 46. Giustamente afferma padre Nikolin che «lo Stato si sente in sinfonia con la Chiesa e per questo non prova imbarazzo a partecipare direttamente alle attività della Chiesa», cfr. A. Nikolin, Cerkov’ i gosudarstvo. Istorija pravovych otnošenij, izd. Sretenskogo monastyrja, Moskva 1997, 75. A ragione S.L. Firsov afferma che «ignorare il fattore del carattere ortodosso della statualità (pravoslavnaja gosudarstvennost’) significa commettere un errore nel giudizio», cfr. Osnovnye etapy v istorii cerkovno-gosudarstvennych otnošenij v Rossii, in «Cerkov’ i vremja», 2008, N° 1 (42), 179.

 

[62] Cfr. F. DOSTOEVSKIJ, I fratelli Karamazov, traduzione di A. Villa, Einaudi, Torino 2005, rispettivamente 83 e 88.

 

[63] Cfr. S. BOULGAKOV, Orthodoxie. Éssai sur la doctrine de l’Église, Lausanne 1980, cit. in R. MOROZZO DELLA ROCCA, Le Chiese ortodosse, una storia contemporanea, Ed. Studium, Roma 1997, 118 e 119.

 

[64] Sull’argomento si veda il solido saggio di A.A. KRASIKOV, Rossija na pereput’e. Religioznyj faktor vybora puti v buduščee, Institut Evropy RAN, Izd. Russkij Suvenir, Moskva 2009.