Testatina-DInnovazione2013

 

 

https://encrypted-tbn2.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcSr4isihz1Ck-TOk5Pffolj3XYJq4kp9gHqEBQzfnFnyR7_iCLmPAResponsabilità civile sanitaria e l. 8 novembre 2012, n. 189 *

 

CLAUDIO COLOMBO

 Università di Sassari

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SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive - illustrazione delle oscillazioni tra prima bozza, testo del D.L. e testo definitivo della legge di conversione. – 2. Il riferimento testuale all'art. 2043 c.c. e la configurazione ormai consolidata della responsabilità sanitaria come responsabilità contrattuale (da contratto o da contatto sociale): necessaria rivisitazione della qualificazione giuridica o infortunio del legislatore? – 3. Il riferimento testuale all'art. 2043 c.c. e la natura bipolare del sistema: infortunio del legislatore o incostituzionalità della norma? – 4. Condotta del sanitario caratterizzata dai connotati di cui al primo periodo della norma e quantificazione del risarcimento: negazione del principio di ininfluenza del grado della colpa in ordine al quantum debeatur o incostituzionalità della norma? – 5. Considerazioni conclusive.

 

1. – Considerazioni introduttive – illustrazione delle oscillazioni tra prima bozza, testo del D.L. e testo definitivo della legge di conversione

 

Il tema della responsabilità civile dei medici, delle strutture ospedaliere pubbliche e private e, in generale, degli esercenti l'attività sanitaria ha rappresentato un terreno sul quale negli ultimi anni si è assistito ad un'evoluzione giurisprudenziale particolarmente accelerata[1].

Nel giro infatti di un volgere di tempo relativamente breve, si è passati da un contesto nel quale, anche in virtù delle regole di ripartizione dell'onere della prova precedentemente ritenute applicabili, non era particolarmente agevole ottenere il riconoscimento in sede civile di un risarcimento dei danni conseguenti ad una (allegata) malpractice del medico o della struttura sanitaria, ad un contesto per diversi aspetti opposto.

I capisaldi di questa innovazione – della quale, come detto, è stata protagonista la giurisprudenza di legittimità – sono individuabili, tanto per menzionare i profili maggiormente noti:

a) nell'affermazione ormai consolidata della natura contrattuale della responsabilità del sanitario, anche in assenza della stipulazione di un contratto tra medico e paziente (c.d. responsabilità contrattuale da contatto sociale), con le note ricadute che tale affermazione implica sia sul piano della ripartizione dell'onere della prova, sia sul regime della prescrizione estintiva[2];

b) nella valorizzazione, anche a fini risarcitori, dell'inottemperanza, da parte del medico, al dovere di informare correttamente in ordine a tutti i profili di possibile rilevanza per l'assunzione, da parte del paziente, di una determinazione libera e consapevole, circa il trattamento sanitario al quale sottoporsi, o non sottoporsi (principio del c.d. consenso informato)[3];

c) nell'affermazione della responsabilità civile del medico e/o delle strutture sanitarie per perdita di chances di guarigione o di sopravvivenza, che ha come corollario una sempre più frequente rilevanza giuridica, in chiave risarcitoria, degli errori che si allegano essere stati commessi in fase di diagnosi, là dove invece la casistica più risalente nel tempo includeva quasi in via esclusiva fattispecie attinenti alla fase terapeutica, specie in relazione alle terapie più invasive (e, dunque, massimamente a quelle chirurgiche), e soprattutto con riferimento ai danni c.d. iatrogeni[4];

d) nella diffusione di criteri di accertamento, favorevoli per il paziente, circa la sussistenza del nesso di causalità tra condotta (commissiva od omissiva) del sanitario e pregiudizio esitato a carico del paziente: il riferimento è all’applicabilità, in ambito civilistico, della regola della preponderanza dell’evidenza (c.d. criterio del “più probabile che non”), laddove in ambito penale vige la più rigorosa regola sintetizzata dalla formula “oltre il ragionevole dubbio”[5].

L'evoluzione giurisprudenziale sopra sintetizzata è stata ovviamente avversata dal ceto medico e da quello assicurativo, mentre è stata altrettanto ovviamente accolta con un plauso da parte delle vittime degli errori medici (meglio: da parte di coloro che si sentono vittime degli errori medici), nonché da buona parte del ceto forense.

Da un lato infatti – è cosa nota – si sottolinea come il diritto al risarcimento del danno alla salute non possa tollerare compressioni di sorta e che una valutazione particolarmente rigorosa della condotta del medico o della struttura sanitaria[6], su cui incombe un preciso obbligo di protezione e di salvaguardia della salute della persona che a loro si affida, rappresenterebbe il miglior deterrente per scongiurare che errori siano commessi (e che danni siano procurati).

Dal versante opposto, si è viceversa sostenuto che – a seguito dei menzionati sviluppi della giurisprudenza – i medici, gravati da un eccesso di obblighi di protezione e di informazione, oltre che da una valutazione della loro condotta particolarmente rigorosa, che si ripercuote, come si è visto, anche sul piano dell'affermazione della sussistenza del nesso di causalità, non sarebbero più nelle condizioni di poter affrontare serenamente la loro attività quotidiana, con la conseguenza di una sempre maggiore diffusione delle pratiche di c.d. medicina difensiva[7]; queste ultime, peraltro, finirebbero per tradursi in un complessivo svantaggio (sul piano economico, ma non solo) per la stessa categoria dei pazienti, di fatto costretti – secondo questa prospettiva – a sottoporsi ad esami diagnostici e/o a terapie spesso del tutto inutili, se non alla lunga addirittura nocivi. Altri argomenti addotti dai detrattori dell'evoluzione giurisprudenziale sopra descritta attengono al sempre più elevato costo delle polizze assicurative per la responsabilità civile medica[8], e ai costi generali riversati sulla collettività, attesa la natura principalmente pubblica del nostro sistema sanitario.

Queste considerazioni naturalmente non hanno alcun rilievo sul piano dell'apprezzamento in punto di squisito diritto (de iure condito) degli accennati sviluppi giurisprudenziali, mentre certamente hanno un ruolo cruciale nella diversa prospettiva della politica del diritto (de iure condendo), nella cui attuazione il legislatore si trova dinanzi alla necessità di operare delle scelte, che nella logica del diritto privato si traducono nell'assegnare prevalenza ad uno, piuttosto che ad un altro, tra i diversi interessi in potenziale conflitto.

Peraltro, nel caso dell'attività dei medici e, in generale, delle strutture sanitarie, la delicatezza della materia oggetto di legiferazione e soprattutto l'importanza degli interessi in gioco, tutelati come è noto in termini di diritti inviolabili al più alto livello della gerarchia delle fonti (art. 32 Cost.), impone al legislatore ordinario molta cautela nell'opera di selezione degli interessi da proteggere a scapito di altri, oltre che ovviamente la necessità di tenere conto dei vincoli derivanti dalla Carta Costituzionale.

E' dunque in questa temperie particolarmente conflittuale, che il legislatore è intervenuto sulla materia qui indagata (con l'art. 3, comma primo, del d.l. 13 settembre 2012, n. 158, recante "disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute", convertito con modificazioni in l. 8 novembre 2012, n. 189)[9], nel contesto peraltro di una complessa ed articolata riforma di settore (la c.d. riforma "Balduzzi"), involgente profili di natura alquanto eterogenea.

La sensazione che si ricava dalla lettura dell'articolato normativo è di una certa qual estemporaneità delle disposizioni in tema di responsabilità degli esercenti la professione sanitaria, rispetto all'impianto complessivo del provvedimento. Detto altrimenti, si ha l'impressione che si sia colta l'occasione di una riforma essenzialmente incentrata su altri aspetti, per tentare di ridefinire, con lo strumento legislativo, un ambito prima d'allora regolato unicamente dai principi e dalle clausole generali e, come tale, maggiormente soggetto alle possibili diverse evoluzioni degli indirizzi giurisprudenziali.

Prova ne sia la circostanza che il testo della norma, nel corso dell'iter della sua approvazione, è stato fatto oggetto di ripetute, quanto essenzialmente contraddittorie, modificazioni, le quali stanno a testimoniare l'assenza di un indirizzo politico forte, sin dal momento dell'estensione delle prime bozze.

Ed infatti il testo di una delle prime bozze – che chi scrive ha avuto il privilegio di poter esaminare – così recitava: «L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale, risponde dei danni derivanti da tali attività solo nei casi di dolo e colpa grave».

Dunque, si trattava di una disposizione avente natura essenzialmente civilistica (risponde dei danni), configurante un'ipotesi di esenzione dalla responsabilità.

La lettera della disposizione, peraltro, interrogava il civilista (e, come si vedrà, oggi interroga il penalista) anzitutto sulla sua reale portata, che rischiava e rischia di risolversi in una pura e semplice declamazione. Non sembra infatti del tutto peregrino domandarsi quale spazio in concreto possa esservi, per affermare la sussistenza degli estremi della colpa tout court (dunque, anche lieve), in capo al medico, che si sia attenuto, nello svolgimento della sua attività, a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale[10].

Il rispetto in concreto delle "linee guida" e delle "buone pratiche" (beninteso in termini appropriati relativamente al caso che si è chiamati ad affrontare), potrebbe infatti valere di per sé ad affermare l'assenza di colpa, e la conseguente assenza di responsabilità a carico del sanitario.

Non a caso, le tradizionali ipotesi di limitazione di responsabilità nelle attività professionali (art. 2236 c.c.) non si configurano in relazione all'adozione, da parte del professionista, di determinati standard e prassi operative, ma in relazione alla particolare complessità della prestazione.

Sotto questo profilo, dunque, assai più apprezzabile risultava essere il testo della disposizione, così come inserito nel decreto legge, il quale così recitava: «Fermo restando il disposto dell'articolo 2236 del codice civile, nell'accertamento della colpa lieve nell'attività dell'esercente le professioni sanitarie il giudice, ai sensi dell'articolo 1176 del codice civile, tiene conto in particolare dell'osservanza, nel caso concreto, delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale».

Dunque, nell'ambito di un testo normativo ancora una volta esclusivamente di ambito civilistico, il focus veniva spostato - a mio modo di vedere del tutto opportunamente - sulla necessità di fornire un parametro specifico, idoneo ad ancorare il giudizio valutativo della condotta del medico in punto di diligenza, e non rimesso dunque alla necessaria genericità della formula di cui al secondo comma dell'art. 1176 c.c. Piuttosto, se una critica poteva muoversi a quel dettato normativo, questa andava individuata nella specificazione (complessivamente inutile e comunque inopportuna) della limitazione della valenza del parametro de quo alla sola ipotesi di accertamento della colpa lieve.

Detto questo, la formulazione contenuta nel decreto legge – purtroppo non confermata nella legge di conversione – avrebbe potuto rappresentare a mio parere, se correttamente applicata da parte della giurisprudenza, un accettabile punto di sintesi, tra le contrapposte istanze di politica del diritto sopra evidenziate.

Ed invece, come meglio si dirà nei prossimi paragrafi, la scelta del legislatore è stata quella di introdurre una norma completamente diversa da quella del decreto legge, che così ora risulta congegnata: «L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo»[11].

Dunque: a) è stata ripresa, nel primo periodo, la (infelice) lettera della prima bozza, ma – con soluzione che conferma la sostanziale assenza di un forte e coerente indirizzo politico sul punto – se ne è radicalmente modificato l'ambito operativo, che è stato trasposto dal piano del diritto civile a quello del diritto penale; b) sono stati introdotti ex novo il secondo ed il terzo periodo, con la finalità di delineare la disciplina civilistica, attraverso una formulazione che – come si vedrà – presta il fianco a numerose critiche e desta non poche perplessità.

Lasciato dunque ai cultori del diritto penale il compito di individuare quale compatibilità concettuale possa esservi tra rispetto delle linee guida e delle buone pratiche, da un lato, ed affermazione della sussistenza di colpa (lieve) in capo al sanitario, dall'altro, si tratta dunque di individuare se – ed eventualmente quali – novità l'art. 3 della l. 8 novembre 2012, n. 189 sia destinato ad implicare sul piano civilistico.

 

 

2. – Il riferimento testuale all'art. 2043 c.c. e la configurazione ormai consolidata della responsabilità sanitaria come responsabilità contrattuale (da contratto o da contatto sociale): necessaria rivisitazione della qualificazione giuridica o infortunio del legislatore?

 

Il primo interrogativo suscitato dalla lettera del secondo periodo della disposizione in commento attiene al profilo della natura della responsabilità dell'esercente la professione sanitaria. Si tratta cioè di comprendere se il riferimento esplicito all'art. 2043 c.c. debba necessariamente comportare una revisione dell'inquadramento della responsabilità medica in termini di responsabilità contrattuale (anche) da contatto sociale, per ritornare ad un inquadramento esclusivamente di tipo aquiliano.

Come si è esposto in premessa, la qualificazione della responsabilità del medico in chiave contrattuale (da contatto sociale) ha rappresentato uno degli approdi giurisprudenziali maggiormente invisi al ceto sanitario, sicché potrebbe sostenersi - come peraltro già avvenuto in parte della giurisprudenza di merito[12] - che, attraverso il riferimento all'art. 2043 c.c., il legislatore avrebbe esplicitamente avversato il modello elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, con conseguente necessità di tornare ad una qualificazione della responsabilità in chiave extracontrattuale[13].

Per contro va detto che in una recente decisione (Cass. 19 febbraio 2013, n. 4030)[14] la Corte di Cassazione ha affermato l'esatto contrario, e cioè che la riforma qui in esame non sarebbe destinata ad avere alcuna ripercussione sostanziale, restando saldamente fermi i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, ivi compreso dunque quello della sussistenza della responsabilità contrattuale da contatto sociale.

Va detto che, tanto la sentenza di merito, quanto quella di legittimità, appena menzionate hanno espresso i principi in questione nell'ambito di altrettanti obiter dicta (peraltro tutto sommato abbastanza estemporanei): né, del resto, poteva essere diversamente, stante il principio di irretroattività, che a sua volta ha per conseguenza il fatto che occorrerà attendere qualche tempo, prima di poter verificare quale posizione assumerà effettivamente la giurisprudenza civile sulle questioni qui affrontate.

Ciò premesso, ritengo che il tentativo di fornire una risposta al quesito che ci stiamo ponendo non possa che partire da un punto fermo, che per certi versi potrebbe sembrare banale e scontato, ma che evidentemente non lo è: il punto fermo è che in tutti i casi di responsabilità sanitaria vi è certamente sempre un'obbligazione contrattuale non correttamente adempiuta.

 

Non può infatti discutersi la natura contrattuale dell'obbligazione, quando viene ad instaurarsi un rapporto diretto medico-paziente, così come non può discutersi la natura contrattuale dell'obbligazione della struttura sanitaria nei confronti del paziente.

E' allora evidente che l'affermazione della natura contrattuale (da contatto sociale) anche della responsabilità del sanitario che agisca nell'ambito di una struttura (pubblica o privata che sia) null'altro rappresenta che l'omologazione del titolo di responsabilità civile del medico verso il paziente, a prescindere dal fatto che egli esegua la propria prestazione in termini di autonomo esercizio di una professione c.d. libera, ovvero quale ausiliario del debitore (individuabile nella struttura sanitaria), ai sensi dell'art. 1228 c.c.[15]

Poste dunque queste considerazioni preliminari, non c'è dubbio che l'eventuale revisione del titolo di responsabilità (extracontrattuale, in luogo di contrattuale) non potrebbe che concernere esclusivamente le fattispecie in cui è coinvolta l'attività del medico, quale ausiliario del debitore della prestazione contrattuale, e non anche quelle in cui è indiscutibilmente implicata la responsabilità contrattuale (da contratto, e non da contatto) del medico.

Si verrebbe dunque a determinare (o a ri-determinare) un disallineamento non solo tra le ipotesi in cui il medico opera quale libero professionista e quelle in cui il medico svolge una funzione di ausiliario del debitore, ma anche tra il titolo di responsabilità della struttura ed il titolo di responsabilità dell'ausiliario.

E' tuttavia evidente che, stante la indiscutibile natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria nei confronti del paziente, le regole alla luce delle quali andrà comunque valutata l'attività del medico saranno sempre e comunque quelle poste in tema di responsabilità contrattuale, per la semplice ragione che - come detto - in tali fattispecie il medico altro non è che la persona (l'ausiliario) di cui la struttura (normalmente una persona giuridica, pubblica o privata) si avvale per adempiere alla propria obbligazione contrattuale.

Tutte queste considerazioni sembrano dunque far propendere per un'interpretazione che non assegni al riferimento testuale all'art. 2043 c.c. un significato "forte", idoneo cioè ad incidere in senso cogente sull'attività ermeneutica della giurisprudenza. Detto altrimenti, il riferimento in questione appare più il segno di una tecnica di drafting legislativo approssimativa e frettolosa (il legislatore intendeva cioè semplicemente ribadire che l'esenzione dalla responsabilità penale non era e non è destinata ad avere ripercussioni sul piano dell'obbligo risarcitorio in sede civile), che non l'espressione di una specifica volontà del legislatore, indirizzata ad affermare la natura esclusivamente aquiliana della responsabilità del medico (beninteso, laddove ciò sia astrattamente possibile, in quanto è evidente che giammai potrebbe essere esclusa la natura contrattuale della responsabilità del medico libero professionista verso il paziente, se non a pena di manifesta incostituzionalità della norma, che così dovesse in ipotesi prevedere).

D'altra parte, lo stesso periodo qui in commento si apre con un incipit ("in tali casi", e cioè quelli presi in considerazione dalla norma avente rilevanza sul piano penale, di cui al primo periodo), la cui presenza - nell'ottica di una qui non condivisa interpretazione strettamente letterale - finirebbe per far sì che la extracontrattualità della responsabilità del medico potrebbe venire predicata solo in ordine alle fattispecie caratterizzate dalla sussistenza dei requisiti indicati nel primo periodo, mentre negli altri casi seguiterebbe ad essere affermabile la natura contrattuale (da contatto sociale) della responsabilità del medico.

 

 

3. – Il riferimento testuale all'art. 2043 c.c. e la natura bipolare del sistema: infortunio del legislatore o incostituzionalità della norma?

 

L'assoluta inopportunità del riferimento testuale all'art. 2043 c.c. si lascia ulteriormente apprezzare anche sotto un diverso profilo.

Come è noto, a seguito delle notissime sentenze “gemelle” dell’11 novembre 2008 [16], le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione hanno tratteggiato un sistema di responsabilità civile caratterizzato dalla c.d. bipolarità: da un lato, infatti, vi è la clausola generale di cui all’art. 2043 c.c., a presidio del danno patrimoniale; dall’altro vi è l’art. 2059 c.c., a presidio del danno non patrimoniale.

Altrettanto noto è che il danno biologico, inteso ormai anche normativamente come espressione sintetica dei profili areddituali del danno alla salute, è stato incasellato, sempre dalle SS. UU. della Corte di Cassazione, nell’ambito dell’art. 2059 c.c.

Ebbene, ciò premesso, un’interpretazione strettamente letterale della disposizione normativa qui in commento finirebbe per condurre al paradossale risultato della risarcibilità dei soli danni patrimoniali, subiti dal paziente a causa di una condotta del sanitario caratterizzata dagli elementi di cui alla scriminante penale, e non anche di quelli non patrimoniali.

Va da sé che – ove così fosse – la norma sarebbe palesemente incostituzionale, e dunque, dovendosi a questo punto necessariamente privilegiare un’interpretazione costituzionalmente orientata, non resta che addivenire, forse addirittura a fortiori in relazione al profilo qui esaminato, ad un’opzione ermeneutica intesa a non assegnare al riferimento testuale all’art. 2043 c.c. un senso stringente e cogente, bensì unicamente il significato di limitare ai profili penali le novità introdotte dal legislatore.

 

 

4. – Condotta del sanitario caratterizzata dai connotati di cui al primo periodo della norma e quantificazione del risarcimento: negazione del principio di ininfluenza del grado della colpa in ordine al quantum debeatur o incostituzionalità della norma?

 

Le considerazioni sin qui svolte, a proposito della complessiva irrilevanza della riforma sul piano civilistico, valgono tuttavia unicamente sul piano dell’an debeatur.

Sul versante del quantum, infatti, occorre prendere in esame l’ultimo periodo della disposizione qui analizzata (“Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”), che introduce indiscutibilmente un elemento di sicura novità.

Sul punto, va detto anzitutto che la formulazione letterale – ancora una volta – non è delle più felici. Si pensi, ad esempio, al ruolo da assegnare alla congiunzione “anche”: in ordine a quali altri profili, infatti, oltre a quello della determinazione del risarcimento del danno, il Giudice dovrebbe tenere debitamente conto della condotta di cui al primo periodo? Forse potrebbe ritenersi che l’adesione a linee guida e buone pratiche dovrebbe essere valutata dal Giudice (in punto di an debeatur), quale elemento per orientare la propria decisione relativamente al profilo della diligenza del sanitario (in termini cioè analoghi a quanto era previsto – come si è detto – nell’ambito della norma contenuta nel decreto legge).

Se così fosse, la disposizione sarebbe certamente apprezzabile, sotto questo specifico profilo: certo è che affidare ad una congiunzione, contenuta in un testo normativo, un così importante ruolo sul piano delle regole, non è certo indice di buona tecnica legislativa.

Tornando, invece, sul versante del quantum, non sembra potersi dubitare del fatto che la riforma abbia introdotto una possibile ipotesi di riduzione del risarcimento, nel caso in cui la condotta del sanitario sia connotata dalla condotta fatta oggetto dell’esimente penale.

Più precisamente, allorché il sanitario si sia adeguato a linee guida e buone pratiche e – ciò nonostante – siano individuabili nella sua condotta gli estremi della colpa lieve, stando al tenore squisitamente letterale della norma, egli dovrebbe poter beneficiare di un trattamento di favore sul piano del quantum debeatur.

La disposizione in commento – rispetto alla quale l’individuazione di un’interpretazione antiletterale alternativa, e costituzionalmente orientata, appare più problematica, rispetto a quanto si è visto con riferimento a quella di cui al secondo periodo – non sembra possa superare il vaglio della conformità alla Carta costituzionale.

Essa, infatti si pone in netta antitesi con uno dei principi informatori dell’intera materia della responsabilità civile (contrattuale ed extracontrattuale), notoriamente rappresentato dall’indifferenza del grado della colpa rispetto alla quantificazione del danno da risarcire: tale principio costituisce il corollario essenziale della funzione riparatoria, e non punitiva, dell’obbligo risarcitorio.

Si osservi peraltro, a riguardo, che la norma non distingue tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale. Ora, relativamente al primo, la previsione di una riducibilità del risarcimento, in ragione della lievità della colpa del responsabile, rappresenterebbe realmente una novità assoluta, giacché mai nessuno, né in dottrina, né in giurisprudenza, né tanto meno a livello normativo, ha mai adombrato l’ipotesi che tale obbligo risarcitorio non debba assolvere essenzialmente una funzione riparatoria.

Anche per quanto attiene al danno non patrimoniale, tuttavia, può pervenirsi ad una conclusione non dissimile, in quanto i più recenti approdi normativi e giurisprudenziali – piaccia o non piaccia – hanno di fatto contribuito ad archiviare le tesi (pur finemente ed autorevolmente sostenute) di una funzione prevalentemente, o financo esclusivamente sanzionatoria, dei danni di cui all’art. 2059 c.c.[17]

Ciò, peraltro, vale in particolare per quella componente (invero preponderante, quantitativamente e qualitativamente) del danno non patrimoniale, rappresentata dal danno biologico, temporaneo e permanente, fatto ormai oggetto di notoria predeterminazione sulla scorta di parametri normativamente stabiliti, che ne evidenziano in termini palesi la funzione riparatoria.

La norma in commento, dunque, sotto questo specifico profilo è idonea a determinare un’evidente disparità di trattamento tra l’obbligazione risarcitoria del sanitario (che a certe condizioni beneficerebbe di una sorta di sconto) e quella di qualunque altro danneggiante, a titolo di responsabilità contrattuale e/o aquiliana.

A ciò deve peraltro aggiungersi che si andrebbe a determinare un disallineamento, sul piano del quantum, anche tra l’obbligazione risarcitoria del sanitario e quella solidale della struttura nella quale lo stesso ha operato, ancora una volta con buona pace del principio di eguaglianza.

Tutto ciò considerato, appare dunque indiscutibile la non conformità a Costituzione della norma in esame (per contrasto con gli artt. 3 e 32 Cost.), cui peraltro deve – in conclusione – imputarsi anche una censura, in punto di coerenza sistematica con il principio dell’obbligatorietà della copertura assicurativa, recentemente introdotto nell’ordinamento.

Ebbene, l’esistenza dell’obbligo di assicurarsi è palesemente in netta controtendenza, rispetto alla determinazione di aree di irresponsabilità, quantunque limitate al profilo del quantum debeatur; semmai, l’obbligo assicurativo – nella dimensione però dell’assicurazione sociale, e non di quella privata – risulterebbe addirittura più coerente con un sistema di responsabilità civile oggettiva (no fault), che, per quanto ipoteticamente auspicabile, allo stato non sembra però costituire un’opzione economicamente sostenibile per la collettività.

 

 

5. – Considerazioni conclusive

 

In conclusione, il giudizio che può esprimersi nel complesso, relativamente ai profili civilistici della riforma qui esaminata, non è lusinghiero.

Da un lato, infatti, non sembra che le norme introdotte dal legislatore siano idonee a fornire delle risposte soddisfacenti alle istanze del ceto sanitario, finalizzate ad evitare l’eccesso di esposizione alle richieste risarcitorie dei pazienti, con conseguente diffusione (per reazione) di inopportune pratiche di c.d. medicina difensiva. Esse, infatti, come si è detto, o sono sostanzialmente prive di reale portata innovativa, o sono destinate a non resistere alla prova della compatibilità con la Costituzione.

Dall’altro, occorre in ogni caso sottolineare che qualunque tentativo di venire incontro a tali istanze, che si risolva in una penalizzazione dei diritti dei pazienti, è destinato a non avere miglior sorte: detto altrimenti, è assolutamente sterile perseguire la via – in ambito civilistico – di limitazioni o esenzioni dalla responsabilità, specie se comportanti una sorta di lex specialis per la sola professione medica.

Il problema, dunque, deve necessariamente essere affrontato in modo diverso: ad esempio, sul piano dei rapporti interni tra i coobbligati solidali (medico e struttura sanitaria)[18], ovvero ancora su quello del ruolo dell’assicurazione.

Su quest’ultimo versante, ad esempio, non si comprende per quale ragione non sia stata prevista, attesa l’obbligatorietà della copertura, la possibilità di esperire l’azione diretta verso la compagnia, da parte del danneggiato, in conformità con quanto avviene nel settore della r.c. auto (che costituisce, come è noto, l’archetipo dell’assicurazione privata obbligatoria).

La previsione di tale possibilità, infatti, oltre a ridurre gli adempimenti (e, dunque, i costi) delle liti civili in ambito sanitario, avrebbe a mio parere anche l’effetto di renderle meno “drammatiche” dal punto di vista del medico e/o della struttura convenuti, i quali – in difetto di eccezioni circa l’operatività della polizza da parte della compagnia – potrebbero anche non costituirsi in giudizio, atteso che le loro ragioni verrebbero comunque fatte valere dalla compagnia stessa.

Ogni altra questione – ed essenzialmente quelle elencate all’inizio del presente contributo – ben difficilmente potranno essere risolte per via normativa, se non entro i limiti di ragionevolezza, che il decreto legge aveva indicato, ma che purtroppo la legge di conversione ha completamente cancellato.

 

 

 



 

* (Relazione tenuta al Convegno "Medicina difensiva", svoltosi a Sassari il 14 giugno 2013).

 

[1] Sulla responsabilità civile sanitaria, cfr. da ultimo, in generale, P.G. Monateri, Illiceità e giustificazione dell’atto medico nel diritto civile, in A. Belvedere - S. Riondato (a cura di), Le responsabilità in medicina, in Trattato di biodiritto, diretto da S. Rodotà e P. Zatti, Milano, 2011, 3 ss.; R. De Matteis, Dall’atto medico all’attività sanitaria: quali responsabilità?, ivi, 117 ss.; C. Scognamiglio, I profili soggettivi dell’illecito, ivi, 277 ss.; A. Diurni, Gli eventi dannosi, ivi, 317 ss.; P. Cendon (a cura di), Trattato dei nuovi danni, vol. II, Malpractice medica. Prerogative della persona. Voci emergenti della responsabilità civile, Padova, 2011, 501 ss.; M. Bilancetti - F. Bilancetti, La responsabilità penale e civile del medico, VII ed., Padova, 2010, 739 ss.; R. Fresa, La colpa professionale in ambito sanitario, Torino, 2008; C. Parrinello, Medical malpractice e regole di responsabilità civile: tradizione e innovazione, Milano, 2008.

Per trattazioni più risalenti nel tempo, cfr. A. Princigalli, La responsabilità del medico, Napoli, 1983; M. Zana, Responsabilità medica e tutela del paziente, Milano, 1993; R. De Matteis, La responsabilità medica, Padova, 1995; nonché – nel contesto di opere di più ampio respiro – P.G. Monateri, La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, Torino, 1998, 751 ss.; G. Alpa, La responsabilità civile, Milano, 1999, 713 ss.; G. Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, II ed., Padova, 1999, 241 ss.

Una recente ampia panoramica di decisioni giurisprudenziali è consultabile in G. Cassano, La responsabilità civile del medico e della struttura sanitaria, Rimini, 2010.

 

[2] La prima affermazione della giurisprudenza di legittimità circa l’esistenza di una responsabilità contrattuale da contatto sociale risale a Cass. 22 gennaio 1999, n. 589, in Foro It., 1999, I, c. 3332 ss., con note di F. Di Ciommo, Note critiche sui recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di responsabilità del medico ospedaliero, e A. Lanotte, L’obbligazione del medico dipendente è un’obbligazione senza prestazione o una prestazione senza obbligazione?; in Danno e resp., 1999, 294 ss., con nota di V. Carbone, La responsabilità del medico ospedaliero come responsabilità da contatto; ivi (m), 1999, 781 ss., con commento di R. De Matteis, La responsabilità medica tra scientia iuris e regole di formazione giurisprudenziale; in Corr. giur., 1999, 441 ss., con nota di A. Di Majo, L’obbligazione senza prestazione approda in Cassazione; in Contratti, 1999, 999 ss., con nota di E. Guerinoni, Obbligazione da «contatto sociale» e responsabilità contrattuale nei confronti dei terzi; in Resp. civ., 1999, 652 ss., con nota di M. Forziati, La responsabilità contrattuale del medico dipendente: il «contatto sociale» conquista la cassazione; in Nuova giur. civ. comm., 2000, 343 ss., con nota di A. Thiene, La responsabilità contrattuale del medico dipendente: il «contatto sociale» conquista la cassazione. Più recentemente, sempre nella giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass. 13 luglio 2010, n. 16394, in Giust. civ., 2011, I, 2913 ss.; Cass. 26 gennaio 2010, n. 1538, in Resp. civ., 2010, 592 ss., con nota di F. Zauli, Responsabilità professionale da contatto sociale, attività medica e riparto dell’onere probatorio, e 665 ss., con nota di M. Gorgoni, Gli obblighi sanitari attraverso il prisma dell’onere della prova; Cass. 11 novembre 2011, n. 23564, in Danno e resp., 2012, 882 ss., con nota di A. Barbarisi, Onere di allegazione e prova liberatoria nella responsabilità sanitaria.

In tema di ripartizione dell’onere della prova, cfr. soprattutto Cass. SS.UU. 11 gennaio 2008, n. 577, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, 612 ss., con nota di R. De Matteis, La responsabilità della struttura sanitaria per danno da emotrasfusione; in Resp. civ., 2008, 397 ss., con nota di R. Calvo, Diritti del paziente, onus probandi e responsabilità della struttura sanitaria; in Danno e resp., 2008, 788 ss., con nota di G. Vinciguerra, Nuovi (ma provvisori?) assetti della responsabilità medica; in Giur. It., 2008, 1653 ss., con nota di A. Ciatti, Crepuscolo della distinzione tra le obbligazioni di mezzi e le obbligazioni di risultato; in Danno e resp., 2008, 871 ss. (m), con nota di A. Nicolussi, Sezioni sempre più unite contro la distinzione fra obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi - La responsabilità del medico. Più recentemente, Cass. 1° febbraio 2011, n. 2334, in Resp. civ., 2011, 427 ss., con nota di F. Zauli, Responsabilità professionale da contatto sociale del medico e inadempimento contrattuale della clinica; in Danno e resp., 2011, 835 ss., con nota di L. Bugatti, Responsabilità medica: norme di diligenza e riparto dell’onere probatorio.

In dottrina, oltre alle trattazioni di carattere generale menzionate nella nota precedente, cfr. tra gli altri N. Muccioli, L’attività medica nello spettro della responsabilità contrattuale: sulle tracce di una moderna nozione di diligenza e dell’impossibilità non imputabile, in Biodiritto, 2012, I, 53 ss.; C. Castronovo, La relazione come categoria essenziale dell’obbligazione e della responsabilità contrattuale; in Eur. dir. priv., 2011, 55 ss.; P. Stanzione, La responsabilità civile del professionista, in Danno e resp., 2007, 5 ss.; A. Di Majo, Mezzi e risultato nelle prestazioni mediche: una storia infinita, nota a Cass. 21 giugno 2004, n. 11488, in Corr. giur., 2005, 38 ss. In prospettiva comparatistica, A. Ciatti, Responsabilità medica e decisione sul fatto incerto, Padova, 2002, spec. 67 ss.

 

[3] In tema di rapporto medico – paziente, cfr. da ultimo G. Montanari Vergallo, Il rapporto medico – paziente, Milano, 2008 ss., spec. 221 ss., per quanto concerne i profili inerenti alla responsabilità civile per trattamento sanitario arbitrario; M. Graziadei, Il consenso informato e i suoi limiti, in L. Lenti – E. Palermo Fabris – P. Zatti, I diritti in medicina, in Trattato di biodiritto, diretto da S. Rodotà e P. Zatti, Milano, 2011, 191 ss.; P. Zatti, Rapporto medico – paziente e «integrità» della persona», in Nuova giur. civ. comm., 2008, II, 403 ss.; M. Franzoni, Dal consenso all’esercizio dell’attività medica all’autodeterminazione del paziente, in Resp. civ., 2012, 85 ss.; R. Converso, Il consenso informato, in P. Cendon (a cura di), Trattato dei nuovi danni, vol. II, Malpractice medica. Prerogative della persona. Voci emergenti della responsabilità civile, cit., 597 ss.; R. Pucella, L’illiceità dell’atto medico tra lesione della salute e violazione del consenso, in A. Belvedere - S. Riondato (a cura di), Le responsabilità in medicina, cit., 185 ss.

Nella giurisprudenza di legittimità è divenuta costante l’affermazione secondo la quale «il diritto al consenso informato del paziente, in quanto diritto irretrattabile della persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario, a meno che non ricorrano casi di urgenza, rinvenuti a seguito di un intervento concordato e programmato, per il quale sia stato richiesto ed ottenuto il consenso, e tali da porre in gravissimo pericolo la vita della persona – bene che riceve e si correda di una tutela primaria nella scala dei valori giuridici a fondamento dell’ordine giuridico e del vivere civile – o si tratti di trattamento sanitario obbligatorio; tale consenso è talmente inderogabile che non assume alcuna rilevanza, al fine di escluderlo, il fatto che l’intervento absque pactis sia stato effettuato in modo tecnicamente corretto, per la semplice ragione che, a causa del totale deficit di informazione, il paziente non è posto in condizione di assentire al trattamento, consumandosi nei suoi confronti, comunque, una lesione di quella dignità che connota l’esistenza nei momenti cruciali della sofferenza fisica e/o psichica»: così, tra le più recenti, Cass. 28 luglio 2011, n. 16543, in Danno e resp., 2012, 621 ss., con nota di V. Montani, L’inadempimento medico per la (sola) violazione del consenso informato. Relativamente alla portata dell’obbligo risarcitorio, in caso di mancata acquisizione del consenso informato, cfr. tuttavia Cass. 9 febbraio 2010, n. 2847, in Resp. civ., 2010, 781 ss., con nota di P. Ziviz, I labili confini dell’ingiustizia costituzionalmente qualificata; in  Danno e resp., 2010, 685 ss., con nota di R. Simone, Consenso informato e onere della prova; in Giur. It., 2011, 816 ss., con nota di G. Chiarini, Il medico (ir)responsabile e il paziente (dis)informato - Note in tema di danno risarcibile per intervento terapeutico eseguito in difetto di consenso; in Corr. giur., 2010, 1204 ss., con nota di A. DI Majo, La responsabilità da violazione del consenso informato. Secondo quest’ultima decisione «in caso di mancata acquisizione del consenso da parte del medico, quest’ultimo può essere chiamato a risarcire il danno alla salute verificatosi in capo al paziente, ancorché la prestazione sia stata correttamente eseguita, ma grava sul paziente l’onere di allegazione e prova che l’avrebbe rifiutata se adeguatamente informato».

 

[4] In tema di perdita di chances di guarigione ed errata diagnosi, cfr. tra le altre Cass. 4 marzo 2004, n. 4400, in Corr. giur., 2004, 1010 ss., con nota di M. Viti, Responsabilità medica: tra perdita di chances di sopravvivenza e nesso di causalità; in Resp. civ., 2004, 1040 ss., con nota di G. Citarella, Errore diagnostico e perdita di chance in Cassazione; in Contratti, 2004, 1091 ss., con nota di Lisi, Diagnosi errata e chances perdute. In dottrina, vedi V. Zeno Zencovich, La sorte del paziente - La responsabilità del medico per l’errore diagnostico; più recentemente, A. Crivelli, L’errata diagnosi, in P. Cendon (a cura di), Trattato dei nuovi danni, vol. II, Malpractice medica. Prerogative della persona. Voci emergenti della responsabilità civile, cit., 661 ss.; B. Vacca, La perdita di chance di guarigione, ivi, 701 ss.; M. Foglia, Errata diagnosi del medico: il problema causale e la chance perduta, nota a Cass. 29 novembre 2010, n. 24143, in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, 449 ss.; B. Tassone, Diagnosi erronea, nesso di causa e regimi processuali, nota a Trib. Rovereto 2 agosto 2008, Trib. Modena 25 agosto 2008, Trib. Roma 9 dicembre 2008, e Cass. 18 settembre 2008, n. 23846, in Danno e resp., 2009, 525 ss.; A. Vasapollo, Omessa/errata diagnosi di patologia tumorale e risarcimento del danno, in Resp. civ., 2007, 828 ss.

 

[5] A riguardo, cfr. Cass. SS. UU. 11 gennaio 2008, n. 576, in Giust. civ., 2009, I, 2533 ss.; in Corr. mer., 2008, 694 ss. (m), con nota di G. Travaglino, Causalità civile e penale: modelli a confronto. Inoltre, tra le successive che si sono conformate al principio statuito dalle Sezioni Unite, Cass. 16 gennaio 2009, n. 975, in Corr. giur., 2009, 1653 ss., con nota di M. Bona, «Più probabile che non» e «concause naturali»: se, quando ed in quale misura possono rilevare gli stati patologici pregressi della vittima; in Foro It., 2010, I, c. 994 ss., con nota di B. Tassone, Concorso di condotta illecita e fattore naturale: frazionamento della responsabilità; Cass. 21 luglio 2011, n. 15991, in Corr. giur., 2011, 1672 ss., con nota di M. Bona, La Cassazione rigetta il «modello della causalità proporzionale» con un decalogo impeccabile sulla valutazione degli stati pregressi; in Danno e resp., 2012, 149 ss., con nota di Nocco, Rilevanza delle concause naturali e responsabilità proporzionale: un discutibile revirement della cassazione; in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 180 ss., con nota di Pucella, Concorso di cause umane e naturali: la via impervia tentata dalla Cassazione. In dottrina, per tutti, A. Belvedere, Il nesso di causalità, in A. Belvedere - S. Riondato (a cura di), Le responsabilità in medicina, cit., 229 ss.

 

[6] In merito al profilo specifico della responsabilità delle strutture sanitarie, oltre alle trattazioni di carattere generale citate in nota 1, cfr. S. Baggio, La responsabilità della struttura sanitaria, Milano, 2008; A. Lepre, La responsabilità civile delle strutture sanitarie - Ospedali pubblici, case di cura private e attività intramuraria, Milano, 2011; A. Diurni, La responsabilità della struttura ospedaliera, in P. Cendon (a cura di), Trattato dei nuovi danni, vol. II, Malpractice medica. Prerogative della persona. Voci emergenti della responsabilità civile, cit., 613 ss.; R. De Matteis, Dall’atto medico all’attività sanitaria, cit., 120 ss.

 

[7] Al tema della c.d. medicina difensiva – fatto oggetto di attenzione negli Stati Uniti sin dagli anni '70 del secolo scorso – sono stati recentemente dedicati il volume a cura di P. Mariotti - A. Serpetti - A. Ferrario - R. Zoja, La medicina difensiva, Rimini, 2011, nonché – in chiave penalistica – la monografia di A. Roiati, Medicina difensiva e colpa professionale medica in diritto penale, Milano, 2012. A riguardo, cfr. anche A. Diurni, Gli eventi dannosi, cit., 349 ss.

 

[8] Relativamente al rapporto tra attività sanitaria ed assicurazione della responsabilità civile, cfr. per tutti M. Hazan - D. Zorzit, Responsabilità sanitaria e assicurazione, Milano, 2012; A. Antonucci - F. Moliterni, Rischio ed assicurazione nell’attività sanitaria, in A. Belvedere - S. Riondato (a cura di), Le responsabilità in medicina, cit., 677 ss.

 

[9] Per una prima analisi complessiva, di taglio peraltro prevalentemente pratico, cfr. R. Cataldi  - C. Matricardi - F. Romanelli - S. Vagnoni - V. Zatti, Responsabilità del medico e della struttura sanitaria dopo la riforma, Rimini, 2013.

 

[10] In tema di linee guida, cfr. per tutti N. Todeschini, Le linee guida in ambito sanitario, in P. Cendon (a cura di), Trattato dei nuovi danni, vol. II, Malpractice medica. Prerogative della persona. Voci emergenti della responsabilità civile, cit., 513 ss.

 

[11] È appena il caso di ricordare, a riguardo, che il Tribunale di Milano, con ordinanza 21 marzo 2013 (consultabile in www.altalex.com) ha sollevato molteplici questioni di legittimità costituzionale, relativamente alla disposizione normativa qui esaminata, beninteso con riferimento alla disciplina penale.

 

[12] Trib. Varese 26 novembre 2012, consultabile in www.cassazione.net.

 

[13] Di analogo avviso sono R. Cataldi  - C. Matricardi - F. Romanelli - S. Vagnoni - V. Zatti, op. cit., 30 s.

 

[14] Vedila in www.altalex.com.

 

[15] Cfr. sul punto E. Navarretta, L’adempimento dell’obbligazione del fatto altrui e la responsabilità del medico, in Resp. civ., 2011, 1453 ss.

 

[16] Cass. SS. UU. 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974 e 26975, su cui cfr. il volume AA.VV., Il danno non patrimoniale - Guida commentata alle decisioni delle Sezioni Unite, 11 novembre 2008, n. 26972/3/4/5, Milano, 2009.

 

[17] Il riferimento è, principalmente, alle pagine di C. Salvi, Risarcimento del danno, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 1099 ss.; Id., La responsabilità civile, in Trattato di diritto privato, diretto da G. Iudica e P. Zatti, Milano, 1998, 27 ss. Cfr. anche G.B. Ferri, Il risarcimento del danno biologico nel sistema della responsabilità civile, in Persona e formalismo giuridico, Rimini, 1987, 423 ss.

 

[18] Per alcuni spunti a riguardo, cfr. S. Amodeo, La responsabilità civile della struttura sanitaria, la solidarietà passiva tra struttura sanitaria e medico e l’azione di regresso della struttura sanitaria, nota a Trib. Milano 24 giugno 2010, in Foro pad., 2011, I, 652 ss.