Testatina-memorie2

 

 

Lazaro-GuillamonCarmen Lázaro Guillamón

Universitat Jaume I

 

UNA ASSOCIAZIONE DI PESCATORI E COMMERCIANTI DI PESCE A CARTHAGO NOVA: ESEMPIO DI ECONOMIA SOCIALE?

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ABSTRACT: The relationship between associative phenomenon and the exploitation of fisheries resources on the Mediterranean coast in Ancient Rome is a fact. The historical references about the fishing tradition in our coast (not just at sea, but also in rivers and lakes) date back to Phonetician and Roman times. This demonstrates the importance of fishing activities, mainly dedicated to the own subsistence as well as to the production and the export of fish and salted fish to Rome or to other areas of the Roman Empire. The ways of regulating the access to the fishing resources are not widely known, but through some epigraphical sources – i.e. CIL II. 5929 – we can identify certain characteristics of this phenomenon and conclude that the associative form in ancient Rome has provided a special "social identity" to the fishermen's associations.

 

La correlazione tra il fenomeno associativo e lo sfruttamento delle risorse della pesca sulla costa del Mediterraneo romano antico è una realtà. I riferimenti storici alla tradizione di pesca nelle nostre coste (non solo in mare, ma anche in fiumi e laghi) risalgono ai tempi dei Fenici e Romani. Ciò dimostra l'importanza che aveva la pesca, principalmente dedicata alla propria attività di sussistenza così come alla produzione ed esportazione di pesce e pesce salato a Roma o ad altri luoghi dell'Impero Romano. Le modalità di regolamentazione dell'accesso alle attività di pesca non sono molto conosciute, ma attraverso alcune fonti epigrafiche – ad esempio, CIL II. 5.929 – possiamo individuare alcune caratteristiche di questo fenomeno e concludere che la forma associativa a Roma ed alle sue provincie ha previsto una speciale “identità sociale” per associazioni di pescatori.

 

 

Come dimostra l'abbondante letteratura[1], la pesca, lo sfruttamento di saline, la costruzione navale, la fabbricazione di reti da pesca, così come il risultato finale di questa catena di attività: la distribuzione del prodotto trasformato, cioè, il commercio di pesce e di pesce salato, è stato uno dei più importanti fondamenti dell’attività commerciale nella antica Roma.

Queste attività richiedono una completa organizzazione del lavoro. Non sorprende che, a seguito del parere del Rostovtzeff[2], «la principale fonte di prosperità dell'impero fu il commercio marittimo ed interprovinciale», e tra le attività di commercio «il più importante settore commerciale non è stato il commercio dei beni di lusso, ma lo scambio di beni di consumo: grano, pesce, olio, vino, canapa, lino, lana, legname, metalli e prodotti trasformati». Infatti, varietà di pesce della Hispania erano importati a Roma per mare, e possibilmente, la merce era trasportata in grandi vasche o piscine e versata in vivaria costruiti vicino alla città di Roma[3]. L’importante traffico commerciale conferma l'opinione del Mommsen[4]: «la vicinanza d’Italia e le comode ed economiche comunicazioni per mare hanno aperto in questo momento, soprattutto nei centri spagnoli della costa del Mediterraneo, una grande via di collocare i loro prodotti nel primo mercato dell'universo, ed è probabile che Roma non abbia avuto con qualsiasi paese del mondo un commercio più grande e tagliente come con la Spagna», ancora di più, l'attività commerciale in generale, senza prendere in considerazione la natura delle merci, si presenta, a parere del García y Bellido[5], come «uno dei veicoli più attivi nel processo di romanizzazione della Penisola Iberica» cioè, la romanizzazione è stata «senza dubbio legata al commercio in tutte le sue forme e circostanze».

Quale sia stato il quadro giuridico in cui la pesca si sia sviluppata nella Hispania Romana – nel contesto di romanizzazione del territorio politico e giuridico spagnolo –?[6] A questo scopo è obbligatorio seguire l’opinione di Marciano, raccolta nel titolo VIII del libro I del Digesto, dedicato alla divisione e alla qualità delle cose – soprattutto in D. 1.8.4 pr.:

 

(Marciano 3 Inst.) Nemo igitur ad litus maris accedere prohibetur piscandi causa, dum tamen ullius et aedificiis et monumentis abstineatur, quia non sunt iuris gentium sicut et mare: idque et divus Pius piscatoribus Formianis et Capenatis rescripsit;

 

secondo il giurista, non può essere vietata la pesca nelle acque pubbliche a condizione che il pescatore non violi case di vacanza, edifici o monumenti. Il mare è oggetto di ius gentium, come ha sottolineato l’Imperatore Pio in un rescritto indirizzato ai pescatori Formiani e Capenati. Marciano continua a segnare come cosa comune tutti i fiumi ed i porti D. 1.8.4.1:

 

(Marciano 3 Inst.) Sed flumina paene omnia et portus publica sunt.

 

Per quanto riguarda i fiumi, dobbiamo considerare l’opinione di Gaio in D. 1.8.5 pr:

 

(Gaio 2 rer. Cott.) Riparum usus publicus est iure gentium sicut ipsius fluminis. itaque navem ad eas appellere, funes ex arboribus ibi natis religare, retia siccare et ex mare reducere, onus aliquid in his reponere cuilibet liberum est, sicuti per ipsum flumen navigare. sed proprietas illorum est, quorum praediis haerent: qua de causa arbores quoque in his natae eorundem sunt.

 

In particolare, il giurista afferma che è libera ogni attività associata alla pesca nei fiumi già che le barche possono essere legate alle banche dei fiumi o anche con le funi agli alberi, asciugare le reti ed anche, ovviamente, navigare il fiume. Alla fine si riferisce alla natura privata della proprietà dei terreni costieri e dei loro alberi; nel seguito, il giurista afferma in riferimento alla pesca in mare: D. 1.8.5.1 (Gaio 2 rer. Cott.) In mare piscantibus liberum est casam in litore ponere, in qua se recipiant, cioè, i pescatori possono costruire sulle rive una capanna per ripararsi.

Giustiniano, nelle Istituzioni, ed in particolare, nel titolo I del libro II, sulla divisione delle cose, afferma che:

 

Inst. 2.1.1: Et quidem naturali iure communia sunt omnium haec: aer et aqua profluens et mare et per hoc litora maris. nemo igitur ad litus maris accedere prohibetur, dum tamen villis et monumentis et aedificiis abstineat, quia non sunt iuris gentium, sicut et mare;

 

dunque, l’aria, l’acqua, il mare e le coste sono considerate cose comuni; è possibile solo vietare l'accesso alle aziende agricole ed ai monumenti, in quanto sono suscettibili di proprietà privata[7]. Riguardo ai fiumi ed ai porti bisognerebbe considerare

 

Inst. 2.1.2 Autem sunt omnia flumina et portus pubblicato: ideoque omnibus piscandi est ius commune in fluminibusque portibus,

 

cioè, tutti possono pescare nei fiumi e nei porti perché sono cose pubbliche[8].

 

Con fondamento nella libertà dei fiumi e del mare, non sembra possibile vietare la pesca in questi luoghi. Effettivamente, in D. 47.10.13.7 [9], che si trova nella sezione dedicata alle iniuria ed ai libelli diffamatori, Ulpiano, seguendo le opinioni di Pomponio, suggerisce una iniuriarum actio , da esperire contro chi vieta la pesca, come nel caso che a qualcuno fosse stato impedito di sedersi o lavarsi in un luogo pubblico, di sedersi in anfiteatro, di guidare un carrello, oppure chiacchierare od usare una cosa propria. Di conseguenza, e poiché il mare è libero e anche sono libere le sue rive, non può essere vietato a chiunque di pescare di fronte ad una  proprietà privata, anche se situata sulla costa. Soltanto può vietarsi la pesca nei laghi che sono considerati proprietà privata.

A questo punto, non dobbiamo trascurare il fatto che i prodotti della pesca sono res nullius sulla base di Inst. 2.1.12 [10], nel testo Giustiniano avverte che omnia animalia quae in terra mari caelo nascuntur sono oggetto di appropriazione per occupatio perché enim ante nullius est, senza importare che siano catturati nel proprio fondo o in fondo alieno.

Tuttavia, l'apparente libertà nell'esercizio del diritto di pesca comincia ad essere limitato, a volte con piena giustificazione[11], per evitare dei relitti, come illustrato in D. 47.9.10 [12] titolo IX del libro XLVII dedicato ai casi di incendio, rovina, naufragio e all’assalto di navi o imbarcazioni . In particolare, il testo di Ulpiano prevede un mandato indirizzato ai presidi delle provincie: i presidi sono forniti di strumenti adeguati per impedire che le luci provocate dalla pesca notturna non vengano a confondere i marinai e, così, a mettere in pericolo la navigazione.

Altre limitazioni non sono dovute ad un preciso intento di evitare il pericolo, ma, a dire del Rostovtzeff[13], sono dovute al fatto logico che lo stato possa riservarsi alcuni diritti di pesca nel mare, nei laghi – è possibile la proprietà privata perché può vietarsi la pesca e nei fiumi, almeno in alcune parti dell'Impero[14]. Infatti, il Mommsen[15] afferma che i romani erano veramente imprenditori per quanto riguarda alle attività di pesca. Così, non ci dovrebbe sorprendere che lo stato facesse concessioni esclusive di pesca come dimostra un testo collocato nel titolo XIV del libro XLIII sull’interdictum ut in flumine publico navigare liceat:

 

D. 43.14.1.7 (Ulpianus 68 ad ed.) Publicano plane, qui lacum vel stagnum conduxit, si piscari prohibeatur, utile interdictum competere Sabinus consentit: et ita Labeo. ergo et si a municipibus conductum habeat, aequissimum erit ob vectigalis favorem interdicto eum tueri.

 

Nel testo Ulpiano riflette le opinioni di Sabino e di Labeone sulla protezione in via utile attraverso questo interdetto se la pesca è vietata a chi aveva affittato un lago o uno stagno, esattamente come se il lago o lo stagno fosse affittato dal comune[16].

Infatti, afferma il Castán Pérez-Gómez[17] che l’amministrazione pubblica romana mostra un interesse di carattere fiscale[18] nella pesca esclusiva nei laghi ed stagni perché possono essere affittati ai privati per lo sfruttamento esclusivo di pesca. Fondamentalmente, il testo richiama la nostra attenzione sul fatto che le concessioni di pesca sono limitate ai laghi e agli stagni[19], si deve rilevare ancora – ricordiamo il tenore di D. 47.10.13.7 che soltanto può essere vietata la pesca nei laghi, quindi, non è privo di senso logico che solo nei laghi o stagni si possa parlare di concessioni esclusive per lo sfruttamento.

Il Castán Pérez-Gómez sostiene che queste concessioni sono regolate da una locatio conductio pubblica[20]. Infatti, il vectigal piscariarium è uno dei publica vectigalia:

 

D. 50.16.17.1 (Ulpianus 10 ad ed.) "publica" vectigalia intellegere debemus, ex quibus vectigal fiscus capit: quale est vectigal portus vel venalium rerum, item salinarum et metallorum et piscariarum.

 

Inoltre, tali diritti di pesca potrebbero essere affittati sia da privati – solitamente gruppi di pescatori liberi , sia da imprenditori[21] – questi con lavoratori a contratto .

In questo contesto, la nostra attenzione è rivolta allo studio di una iscrizione di Carthago Nova, che in modo molto sintetico, raccoglie quasi completamente le idee generali sopra esposte. Il testo epigrafico è:

 

CIL. II. 5929: C(aio) Laetilio M(arci) f(ilio) A[palo] / IIvir(o) quinq(uennali) / Lares Augustales et / Mercurium piscatores / et propolae de pecun(ia) sua / f(aciendum) c(uraverunt) i(dem)q(ue) p(robaverunt).

 

L'iscrizione si riferisce a una associazione di pescatori e commercianti di pesce, che rende omaggio a C. Letilio[22], duumviro quinquennale della città[23]; l’epigrafe comprende una dedica votiva ai Lares Augustales ed a Mercurio, una circostanza abbastanza comune nei collegia perché insieme con il culto di un Dio protettore è compresa l’idea di una difesa societaria contro le intrusioni di altri pescatori privati. Per il Santero[24] non c’è dubbio: si tratta di un collegium di pescatori e commercianti di pesce al dettaglio in Carthago Nova, è un collegium di negotiatores privati la cui attività è limitata al commercio provinciale o interprovinciale[25]. Inoltre, dato che Mercurio è il Dio del commercio, appare come patrono dei commercianti e le associazioni di commercianti di ogni genere. Di nuovo, afferma Santero[26], che segue il parere del Waltzing, che i collegia romani, prescindendo dalla loro dedizione, hanno fornito qualche senso religioso che unisce i suoi membri intorno a una divinità, in questo caso a Mercurio ed ai Lares Augustales; lo stesso autore afferma che, in questo caso, è il collegium in solidum e non solo il magister che promuove la decisione di erigere un monumento[27].

Dell'iscrizione ci interessano principalmente due fattori, da un lato, l'associazione di alcuni lavoratori intorno all’attività peschiera e, dall’altro, la notizia che la lapide rende omaggio ad uno dei duunviri della città.

Per quanto riguarda l'associazione, secondo la Mentxaka[28], le fonti epigrafiche raccolgono, nel caso della Spagna, «la realtà di fatto del fenomeno associativo», e questo è possibile grazie soprattutto all'interpretazione del capitolo 74 della Lex Irnitana, legge che fornisce preziose informazioni sull'applicazione del Diritto romano nelle province ispaniche[29]. In particolare, e per quanto ci interessa, come risulta da questo capitolo 74, nei municipia della provincia in cui troviamo lex municipalis, i magistrati provinciali erano responsabili per la supervisione ed il controllo dei collegia, tuttavia, l'autorizzazione a formare un collegium alla fine del primo secolo d.C. era ancora competenza del Senato; in quelle province dove non c’erano municipia con proprie leggi municipali, il controllo spettava al Senato. Nella nostra iscrizione nulla può farci mettere in discussione questa idea.

Tuttavia, se ci fermiamo sul secondo aspetto che ha suscitato il nostro interesse: cioè l'iscrizione rende omaggio al magistrato municipale; potrebbe far pensare ad una competenza del duumviro, e non del Senato, per l’autorizzazione alla creazione dell'associazione. Molto più probabile che Caio Letilio non fosse chi aveva autorizzato la costituzione della società di pescatori e pescivendoli, ma che la sua funzione in questo caso fosse stata determinante per la concessione di un diritto di sfruttamento di attività connesse alla pesca. In effetti, fin dal periodo repubblicano, il governo romano mise a concorso i servizi pubblici che non potevano essere sfruttati direttamente[30], e come abbiamo detto, la concessione amministrativa ha preso la forma di una locatio conductio, che è particolarmente in questo caso un contratto tra il populus romanus ed i privati associazioni, ecc. a fronte del pagamento del corrispondente vectigal. Le concessioni amministrative includono, naturalmente, quelle che concedono il diritto di pesca. La nostra iscrizione comprende anche la vendita delle merci. In particolare, la concessione è fatta dal duumviro Caio Laetilio, poiché, come afferma la Mentxaka[31] «nelle colonie e nei paesi di diritto latino ci sono dei magistrati – i duumviri , responsabili delle concessioni amministrative in qualità di rappresentanti del municipia [...] i magistrati locali erano i titolari ordinari della potestas locandi»[32]. Nel nostro caso non stupisce che i pescatori e i venditori di pesce rendano omaggio al magistrato che ha concesso loro l’opportunità di sviluppare la propria attività e vendere i prodotti del loro lavoro in maniera esclusiva.

Si deve mettere in rilievo che Carthago Nova probabilmente ha avuto il suo status coloniale, come ha dichiarato l’Abascal[33], con Pompeo, intorno al 54 a.C. In particolare, il nostro duumviro quinquennale, secondo il Curchin[34], governa verso l'anno 5 d.C.; lo stesso autore ci informa su due membri della gens Laetilia che troviamo ad un'altra iscrizione di Carthago Nova, CIL II. 3.473: M (ARCI) Laetilia / M (ARCI), L (Iberti) / FAUST [I], da cui si deduce la loro origine di liberto[35]. Il García y Bellido[36] afferma che gli eserciti partecipanti alla occupazione romana della penisola, a partire dalla fine del terzo secolo a.C., sono stati accompagnati da un gran numero di civili con una capacità economica media-bassa, dediti all'industria ed al commercio ed anche allo sfruttamento dei nuovi territori. Senza che la diversa datazione sia particolarmente rilevante, l’Abascal[37], seguendo la scia delle emissioni di monete di epoca augustea, propone l'anno 12 d.C. come la data in cui governa il nostro duumviro: queste monete hanno nel diritto la testa nuda di Augusto e sul verso la scritta REX PTOL[38] all'interno di una corona circondata da una altra che si riferisce a C. LAETILIUS APALUS II V Q.

Dobbiamo ancora determinare chiaramente il luogo nel quale si sono sviluppate queste attività di pesca. Se consideriamo le conclusioni che abbiamo raggiunto in precedenza, solo nei laghi sono stati concessi diritti esclusivi di pesca. Nel caso di Carthago Nova troviamo un dubbio iniziale: nella mappa attuale della regione non ci sono dei laghi. Invece, l'approccio primario è fuorviante, dal momento che secondo la testimonianza di Polibio – Pol. X.7.8 – nella Carthago Nova romana esisteva una laguna – conosciamo questa notizia dal racconto polibiano sulla conquista della città da parte di Scipione . Sembra che la città fosse una penisola collegata alla terraferma da un istmo di circa 700 metri, cinque colline formavano piccoli canaloni che scaricavano le acque in un lago situato a nord. Il Molina Vidal[39] ci informa che, a seguito di riferimenti cartografici, la laguna doveva avere più di due chilometri quadrati di aree inondate e saline adiacenti.

In conclusione, Carthago Nova si trovava su una lunga penisola che divide la baia, al momento di massima espansione, in due parti: la laguna e la baia[40]; cioè, esisteva davvero un lago su cui potrebbe essere stato dato da C. Letilio una concessione di diritti esclusivi di pesca. Dimostra l'esistenza della laguna anche una relazione, conservata nel Archivo General de Simancas, presumibilmente scritta da un ingegnere in difesa dei progetti realizzati da Alejandro de Res y Antonio Montaigú per la costruzione del Real Arsenal, in particolare, uno dei suoi paragrafi riferiti al I secolo a.C. dichiara: «ocupavan sus avitadores la parte más elevada de aquel sitio, falda y ladera de aquellos montes; sígase que si no edificaron en la llanura y terreno que oi vemos fue porque no lo había y que este espacio lo ocupava la mar». Secondo l'archeologia, il lago è stato un importante luogo di pesca, nonostante le sue piccole dimensioni, dal momento che hanno trovato tracce di strutture come, ad esempio, dighe permanenti per catturare i pesci. Gli arabi chiamavano questo lago "El Almarjal" (Al-Maria), secondo Don Juan Manuel[41]: «En Cartagena ay una laguna çerca della villa e non ha siempre agua en ella. Mas quando ha y agua están muchas garças e a veces muchos flamenques». Nel 1860, i piani ufficiali raccoglievano un'area molto più piccola, situata a nord-est della città di Cartagena. In questa laguna, dal XVII secolo ci sono stati innumerevoli piani di prosciugamento, che culminano nel XX secolo; in modo che il prosciugamento e l’urbanizzazione della laguna hanno cancellato l’immagine della primitiva penisola di Carthago Nova.

Tuttavia, non dobbiamo dimenticare, come afferma Ballester Sabater[42], che storicamente, le zone umide sono state una fonte molto importante di prodotti e servizi (terreno fertile, l'acqua di irrigazione, le colture, i minerali, caccia e pesca, trasporti) ed anche sono state scena di controversie tra persone diverse, gruppi umani e settori di attività.

 

 

 



 

[I contributi della sezione “Memorie” sono stati oggetto di valutazione da parte dei promotori del Seminario e dei curatori della sezione, d'intesa con la direzione di Diritto @ Storia].

 

[1] Si veda L. Lagóstena Barrios, La producción de salsas y conservas de pescado en la Hispania romana (II a.C. – VI d.C.), Barcelona 2001, 215; M. Ponsich - M. Tarradell, Garum et industries antiques de salaison dans la Méditerranée Occidental, Paris 1965, passim; J.M. Blázquez, “Estructura económica de la Bética al final de la república romana y a comienzos del imperio (años 72-100 a.C.), in Hispania, 27 (1967), 7-62, 81, lo stesso autore in “Economía de la Hispania romana republicana (minas, agricultura, ganadería, caza, pesca y salazones)”, in Hispania, 33 (1973), 205-247, 245; R. Etienne, “A propos du garum sociorum”, in Latomus, 29/2 (1970), 297-313. Si veda anche la pubblicazione che fonda questa ricerca: C. Lázaro Guillamón, “Algunas notas sobre la actividad pesquera en la Hispania romana a la luz de una inscripción de Carthago Nova – CIL II, 5929”, in El Derecho comercial, de Roma al Derecho moderno, ed. S. Bello Rodríguez - J.L. Zamora Manzano, Las Palmas de Gran Canaria 2007, 425-439.

 

[2] M.I. Rostovtzeff, Historia social y económica del imperio romano II, trad. Luis López-Ballesteros, Madrid 1962, 32.

 

[3] H.J. Loane, Industry and commerce of the city of Rome (50 B.C.- 200 A.D.), New York 1979, 32. L.C. West, Imperial roman Spain. The objects of trade, Oxford 1929, 36, afferma che ad eccezione dell’olio di oliva, i prodotti alimentari spagnoli noti in Italia erano il pesce salato e garum.

 

[4] TH. Mommsen, El mundo de los césares, trad. W. Roces, México 1945, 93 ss.

 

[5] A. García y Bellido, “Los ‘mercatores’, ‘negotiatores’ y ‘publicani’ como vehículos de romanización en la España romana preimperial”, in Hispania, 26 (1966), 497-512, 497.

 

[6] J.M. Pérez-Prendes, Curso de Historia del Derecho español, Madrid 1986, 327 ss.

 

[7] Si veda anche Inst. 2.1.5 Litorum quoque usus publicus iuris gentium est, sicut ipsius maris: et ob id quibuslibet liberum est, casam ibi imponere, in qua se recipiant, sicut retia siccare et ex mare deducere. proprietas autem eorum potest intellegi nullius esse, sed eiusdem iuris esse cuius et mare, et quae subiacent mari terra vel harena.

 

[8] Si veda anche Inst. 2.1.4 Riparum quoque usus publicus est iuris gentium sicut ipsius fluminis: itaque navem ad eas appellere, funes ex arboribus ibi natis religare, onus aliquid in his reponere cuilibet liberum est, sicuti per ipsum flumen navigare. sed proprietas earum illorum est quorum praediis haerent: qua de causa arbores quoque in iisdem natae eorundem sunt.

 

[9] (Ulpianus 57 ad ed.) Si quis me prohibeat in mari piscari vel everriculum (quod graece σαγήνη dicitur) ducere, an iniuriarum iudicio possim eum convenire? sunt qui putent iniuriarum me posse agere: et ita Pomponius et plerique esse huic similem eum, qui in publicum lavare vel in cavea publica sedere vel in quo alio loco agere sedere conversari non patiatur, aut si quis re mea uti me non permittat: nam et hic iniuriarum conveniri potest. conductori autem veteres interdictum dederunt, si forte publice hoc conduxit: nam vis ei prohibenda est, quo minus conductione sua fruatur. si quem tamen ante aedes meas vel ante praetorium meum piscari prohibeam, quid dicendum est? me iniuriarum iudicio teneri an non? et quidem mare commune omnium est et litora, sicuti aer, et est saepissime rescriptum non posse quem piscari prohiberi: sed nec aucupari, nisi quod ingredi quis agrum alienum prohiberi potest. usurpatum tamen et hoc est, tametsi nullo iure, ut quis prohiberi possit ante aedes meas vel praetorium meum piscari: quare si quis prohibeatur, adhuc iniuriarum agi potest. in lacu tamen, qui mei dominii est, utique piscari aliquem prohibere possum.

 

[10] Ferae igitur bestiae et volucres et pisces, id est omnia animalia quae in terra mari caelo nascuntur, simulatque ab aliquo capta fuerint, iure gentium statim illius esse incipiunt: quod enim ante nullius est id naturali ratione occupanti conceditur. nec interest, feras bestias et volucres utrum in suo fundo quisque capiat, an in alieno: plane qui in alienum fundum ingreditur venandi aut aucupandi gratia, potest a domino, si is providerit, prohiberi, ne ingrediatur. quidquid autem eorum ceperis, eo usque tuum esse intellegitur, donec tua custodia coercetur: cum vero evaserit custodiam tuam et in naturalem libertatem se receperit, tuum esse desinit et rursus occupantis fit. naturalem autem libertatem recipere intellegitur, cum vel oculos tuos effugerit vel ita sit in conspectu tuo, ut difficilis sit eius persecutio.

 

[11] Si veda P. de la Rosa Díaz, “Aspectos del intervencionismo estatal en el tráfico comercial durante la época imperial”, in Estudios de Derecho romano en honor de Álvaro d’Ors II, Pamplona 1987), 1011-1025, 1017.

 

[12] (Ulpianus 1 opin.) Ne piscatores nocte lumine ostenso fallant navigantes, quasi in portum aliquem delaturi, eoque modo in periculum naves et qui in eis sunt deducant sibique execrandam praedam parent, praesidis provinciae religiosa constantia efficiat.

 

[13] M.I. Rostovtzeff, Historia social, cit., 170-171 n. 85.

 

[14] Anche se, come si manifesta P. de la Rosa Díaz, Aspectos del intervencionismo estatal, cit., 1012, sembra che l’intervento pubblico nei primi secoli dell’impero era quasi trascurabile.

 

[15] TH. Mommsen, “Sopra una iscrizione scoperta in Frisia”, in BIDR, 2 (1889), 131.

 

[16] Secondo A. Mateo, Manceps, redemptor, publicanus. Contribución al estudio de los contratistas públicos en Roma, Santander 1999, 178, è l’adozione di forme procedurali ed extra-procedurali relative agli appalti pubblici romani nel campo degli appalti pubblici locale.

 

[17] S. Castán Pérez-Gómez, Régimen jurídico de las concesiones administrativas en el Derecho romano, Madrid 1996, 219 ss.

 

[18] Si veda Iuvenalis, Sat. IV. 46-56, chi afferma che la pubblica amministrazione tutelava scrupolosamente le attività di pesca.

 

[19] Sui fiumi, possiamo solo parlare del cosiddetto ius praeoccupationis di D. 41.3.45pr. e D. 44.3.7, i testi consentono il riconoscimento del diritto esclusivo di pesca in un determinato punto del fiume se fu esercitata per anni. S. Castán Pérez-Gómez, Régimen jurídico de las concesiones administrativas, cit., 229, afferma che le fonti non accennano concessioni di pesca sul mare.

 

[20] S. Castán Pérez-Gómez, Régimen jurídico, cit., 220-221. Si veda un’iscrizione trovata a Leeuwarden, in Germania Inferiore, che viene raccolta CIL XIII, 8830: Deade Hludanae conductores piscatus mancip(e) Q(uinto) Valerio Secu/ndo v(otum) s(olverunt) l(ibentes) m(erito), in particolare, dà testimonianza di come una societas publicanorum attraverso il suo manceps Quinto Valerio Secundo, aveva preso in affitto il diritto di pesca al largo della costa della Frisia. In questa stessa ottica, Festus, sv Lacus Lucrinus (Lach, 108) si riferisce ad una concessione di pesca su un lago fatta attraverso una locatio conductio: Lacus Lucrinus in vectigalibus publicis primus locantur fruendus ominis boni gratia.

 

[21] G.M. Parássoglou, “A Lease of Fishing Rights”, in Aegyptus, 67.1 (1987), 87-93, 87.

 

[22] Si veda J. Vives, Inscripciones latinas de la España romana. Antología de 6800 textos, Barcelona 1970, 167, con il numero 1414 e situata tra iscrizioni onorarie e monumentali che commemorano personaggi famosi, in questo caso C. Laetilio figlio di C. Apalo. L’iscrizione è su una colonna di marmo di un tempio costruito a Carthago Nova probabilmente dedicato a Mercurio.

 

[23] Secondo A. Torrent, Diccionario de Derecho romano (Madrid 2005) 297, s.v. duoviri de iure dicundo, sono i supremi magistrati locali, loro hanno poteri generali di governo amministrativo e finanziario, amministrativa e finanziaria. Ogni cinque anni era stata affidata a questi magistrati la preparazione del censimento e la revisione dell’album decurionum, così hanno ricevuto il nome di duoviri quinquennalis.

 

[24] J. Mª. Santero Saturnino, Asociaciones populares en Hispania romana, Sevilla 1978, 39 e 142.

 

[25] Secondo L.C. West, Imperial roman Spain, cit., 37, questi pescatori non sono stati dedicati alla grande distribuzione.

 

[26] J.Mª. Santero Saturnino, Asociaciones populares, cit., 48-49, che richiama al J.P. Waltzing, Étude historique sur les corporations professionnelles chez les Romains, depuis les origines jusqu’à la chute de l’empire d’Occident, 4 vols., Bruxelles 1895-1900, reimpr. Lovaina 1970.

 

[27] J.M. Santero Saturnino, Asociaciones populares, cit., 59.

 

[28] R. Mentxaka, “El derecho de asociación en Roma a la luz del cap. 74 de la Lex Irnitana”, in BIDR, 98-99 (1995-1996), 199-218, 199.

 

[29] Si veda R. Mentxaka, El derecho de asociación, cit., 202 ss.

 

[30] R. Mentxaka, “Algunas consideraciones en torno a las concesiones administrativas y sus garantías: capítulos 63-65 de la Lex Malacitana”, in Mainake, 23 (2001), 71-96, 73.

 

[31] R. Mentxaka, Algunas consideraciones, cit., 76 e 77.

 

[32] N. Mackie, “Local Administration in Roman Spain AD 14-212”, in British Archaeological Reports, 172 (1983), 165.

 

[33] J.M. Abascal, “La fecha de la promoción colonial de Carthago Nova y sus repercusiones edilicias”, in Mastia, 1 (2002), 21-44, 34.

 

[34] L.A. Curchin, The local magistrates of Roman Spain, Toronto, Buffalo, London 1990, 194.

 

[35] Si veda C. Domergue, “L’explotation des mines d’argent de Carthago Nova: son impact sur la structure sociale de la cité et sur les depenses locales à la fin de la Republique et au début du Haut-Empire”, en L’origine des richesses depensées dans la ville antique, Aix 1985, 200-201.

 

[36] A. Garcia y Bellido, Los ‘mercatores’, cit., 498.

 

[37] L’autore prende come cataloghi di riferimento quelli di A. Burnett - M. Amandry - Ripollés P.P, Roman Provincial Coinage. Vol. I From the death of Caesar to the death of Vitellius (44BC-AD69 ) 2 vol., London 1998.

 

[38] È il re Tolomeo, collega di C. Laetilio, probabilmente nominato magistrato onorario della città di Cartagena. Il suo incarico è dovuto ai rapporti commerciali con la Mauritania, si veda Mª.M. Llorens Forcada, La ciudad de Carthago Nova, cit., 66 ss.

 

[39] J. Molina Vidal, La dinámica comercial romana entre Italia e Hispania Citerior, Alicante-Madrid 1997, 15.

 

[40] C. Conesa García - E. García García, “Las áreas históricas de inundación en Cartagena: Problemas de drenaje y actuaciones”, in Boletín de la Asociación de Geógrafos Españoles, 35 (2003), 79-100, 83.

 

[41] Don Juan Manuel, Libro de la Caza, Ed. di José Mª Castro y Calvo, Barcelona 1945.

 

[42] R. Ballester Sabater, (ed.), Los humedales de la región de Murcia: claves para su interpretación, Murcia 2003, 24.