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Descrizione: pinnaLO STATO D’ECCEZIONE E IL DECRETO LEGGE*

 

PIETRO PINNA

Università di Sassari

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SOMMARIO: 1. L’emergenza, la necessità, lo stato d’eccezione. – 2. Il decreto legge. – 3. Lo stato di eccezione amministrativo. – 4. L’idea del Presidente della repubblica reggitore dello Stato nei momenti di crisi. – Abstract.

 

 

1. – L’emergenza, la necessità, lo stato d’eccezione

 

L’espressione “emergenza” è diffusamente utilizzata per designare la situazione straordinaria e improvvisa che richiede misure urgenti e adeguate. Ma definisce in modo assai generico e impreciso il diritto particolare che trova applicazione in tale situazione. Il concetto di emergenza o di stato di emergenza è grezzo e la sua utilizzazione richiede parecchi chiarimenti e specificazioni.

Il concetto di necessità o stato di necessità è più preciso perché si avvantaggia di una raffinata elaborazione nel campo del diritto civile e penale. Ma è utile più per giustificare condotte individuali che per descrivere il diritto oggettivo prodotto per fronteggiare situazioni straordinarie. Sicché fornisce un criterio per valutare l’azione di un organo pubblico che ponga diritto infrangendo le regole che ne delimitano la competenza, per la necessità di salvare lo Stato. Però non dice nulla circa la legittimità del potere e la validità del diritto straordinario. Infatti, con lo stato di necessità si può giustificare la violazione tanto delle competenze ordinarie quanto di quelle straordinarie che siano previste dalla costituzione o dalla legge. Al riguardo, si può dire solamente che il diritto così prodotto è invalido (o non è diritto, secondo un’idea più rigorosa) e che l’attività realizzata è illegittima. Cionondimeno il diritto imposto dalla necessità potrebbe essere successivamente convalidato e comunque l’attività giustificata, esonerando dalla responsabilità gli agenti.

La teoria decisionistica invece definisce il potere straordinario. Il suo concetto di stato di eccezione, da una parte, come concetto fondamentale di teoria del diritto, si riferisce all’origine decisionista del diritto, quindi a qualcosa che sta fuori e prima del diritto e che tuttavia appartiene al diritto; dall’altra parte, come concetto interpretativo, considera un fenomeno giuridicamente disciplinato, cioè una competenza straordinaria, un potere eccezionale delimitato. Sono due aspetti della medesima concezione decisionista di Schmitt. Il discorso di Schmitt perciò si sposta dall’uno all’altro senza che il passaggio sia segnato nitidamente. Nelle varie opere in cui egli lo svolge prevale l’uno o l’altro aspetto, secondo che tratti di teoria generale o di diritto positivo. Esprime l’idea fondamentale che il diritto sia decisione (e non norma) e che la decisione si manifesti come eccezione, come evento straordinario che nel caso limite è atto di potenza pura o di volontà sovrana: è cioè l’atto senza fondamento, di chi non deve a nessuno il proprio potere e che quindi dal nulla crea il tutto, crea l’ordine in una condizione estrema di disordine, dimostrando che l’autorità non ha bisogno del «diritto per creare diritto»[1].

Schematicamente e approssimativamente si può dire che nelle opere di Schmitt il concetto di stato di eccezione, elaborato nello studio sulla dittatura[2], assurge a teoria generale in Politische Theologie[3], è sistematizzato nella teoria costituzionale in Verfassungslehre[4] ed è applicato al diritto costituzionale weimariano in Der Hüter der Verfassung[5].

Qui interessa lo stato di eccezione come concetto interpretativo del diritto costituzionale positivo e mi occupo quindi delle disposizioni costituzionali italiane che prevedono la competenza eccezionale. Il punto essenziale che in proposito bisogna chiarire è che per il decisionismo la dittatura commissaria, il potere di eccezione derivato, quindi delimitato giuridicamente, è una commissione d’azione, che assegna il compito di stabilire uno stato di fatto, senza l’impaccio dei diritti. Il diritto è dunque sospeso per consentire l’assolvimento della commissione. Anche il sovrano sospende il diritto per stabilire o ristabilire l’ordine (il che in fondo è lo stesso); e anche l’ordine stabilito sovranamente è uno stato di fatto, la situazione di normalità presupposta dalle norme giuridiche. Insomma, il potere d’eccezione è sospensivo e non produce diritto, ma crea una situazione. E’ essenzialmente decisione e normativamente può essere delimitato sino a un certo punto. Comunque la dittatura commissaria è costituita, è esercizio di una competenza e non di sovranità. Non è pura decisione.

Ebbene, se il potere di eccezione è una competenza – e questo è l’aspetto fondamentale del mio discorso – la sua latitudine è stabilita dalla regola che lo costituisce e quindi la sua definizione è un problema interpretativo di questa regola, è dogmatico e non teorico, sebbene soprattutto per il decisionismo offra indicazioni molto interessanti per la comprensione del fenomeno giuridico.

Per brevità, riassumo, dunque, l’insegnamento che traggo dalla dottrina decisionista dello stato d’eccezione ai fini dell’interpretazione, senza dilungarmi più di tanto su di essa.

La competenza straordinaria riguarda un evento imprevisto. Sicché il fatto che costituisce il presupposto del suo esercizio è descritto dalla norma in modo molto generico. Lo schema di questa norma è: «se si verifica l’imprevisto, allora un certo organo è competente a deliberare misure eccezionali, adeguate alle circostanze». Quindi il senso delle disposizioni che ragionano di straordinarietà, necessità, urgenza, pericolo per la sicurezza pubblica, per la continuità dello stato o dell’ordinamento e simili, è che spetta al soggetto indicato come competente stabilire se si sia verificato l’imprevisto, la condizione che lo abilita a intervenire. Questo non esclude peraltro che la correttezza della valutazione, quindi dell’esercizio della competenza possa essere controllata politicamente e giudiziariamente.

La competenza eccezionale non comprende il potere di produrre diritto o di innovare le norme. Con ciò non voglio dire schmittianamente che essa è mera commissione d’azione e non di normazione, autorizzazione a fare tutto ciò che è necessario senza vincoli giuridici per stabilire o ristabilire la situazione di normalità. Insomma, non dico che è una manifestazione impura, contaminata da aspetti normativi, dell’incombente volontà sovrana, un improvviso bagliore sovrano, un fulmine a ciel sereno[6] che in un attimo svela che dobbiamo all’autorità statale straordinaria l’ordine sociale quotidiano. Sostengo invece che il potere d’eccezione non può modificare permanentemente il diritto vigente, può soltanto stabilire le regole giuridiche da applicare per un tempo limitato ai circoscritti fatti imprevisti che ne giustificano il suo esercizio. In breve, può sospendere, ma non abrogare il diritto. Inoltre, siccome è una competenza, cioè un potere delimitato giuridicamente, esso va esercitato in conformità ai vincoli di forma e di contenuto che sono dettati dalla norma che la fonda, la quale dunque è il parametro della validità del diritto straordinario.

 

 

2. – Il decreto legge

 

L’art. 77 della Costituzione italiana prevede la generale competenza straordinaria del Governo[7]. Perciò la sua interpretazione ha valore paradigmatico e su di essa concentro l’attenzione. Che sia una competenza straordinaria generale risulta dal riferimento ai casi straordinari di necessità e urgenza, mentre altre disposizioni costituzionali considerano ipotesi più specifiche: lo stato di guerra che consente al parlamento di attribuire al governo i poteri necessari (art. 78)[8], le varie circostanze nelle quali il governo può sostituirsi agli organi dei comuni delle province e delle regioni (art. 120, secondo comma); lo scioglimento sanzionatorio del consiglio regionale che può essere disposto con decreto del Presidente della Repubblica per ragioni di sicurezza nazionale (art. 126, secondo comma).

La disposizione sulla decretazione d’urgenza descrive il fatto cui essa si applica riferendosi all’atto governativo con forza di legge che sia adottato nel caso straordinario di necessità e urgenza; e ciò dopo aver stabilito che senza delegazione del Parlamento il Governo non può deliberare decreti aventi valore di legge. In altri termini, se il Governo nella condizione straordinaria di necessità e urgenza adotta un provvedimento con forza di legge, allora questo va convertito in legge entro sessanta giorni. Il provvedimento governativo è dunque il fatto cui si applica la regola che il decreto perde la forza di legge ex tunc se non è convertito in legge entro sessanta giorni, cosicché esso non produce diritto (o quantomeno non produce diritto legislativo), se non viene convertito in legge. Dunque è la legge di conversione e non l’atto governativo che produce il diritto (legislativo). Il decreto del governo, ovviamente, produce gli effetti che gli sono propri, cioè dell’atto amministrativo, se non ha forza di legge. Quando, invece, deroga leggi perde efficacia sin dall’inizio se non è convertito. E tanto basta - senza indugiare qui sul valore e sulla funzione della conversione - per dimostrare che il decreto legge e la legge di conversione sono atti non integrati, come parti dell’ordinario processo legislativo, ma separati perché il primo è meramente derogatorio[9].

In definitiva, il fatto dell’emanazione del decreto legge in una situazione straordinaria di necessità e urgenza resta tale se ‘non diventa’ legge. In conseguenza, il Governo ne è responsabile. E’ una responsabilità giuridica e non politica. La responsabilità del Governo nei confronti del Parlamento è stabilita in generale dall’art. 94, che obbliga il Governo sfiduciato a dimettersi e dall’art. 95, che attribuisce al Presidente del Consiglio la responsabilità della politica generale del governo ai ministri degli atti collegiali del Consiglio dei ministri e di quelli individuali del loro dicastero. Perciò i membri del Governo che hanno deliberato il provvedimento con forza di legge quindi in contrasto con la legge, se violano diritti, sono responsabili, in virtù della specifica disposizione dell’art. 77, secondo le leggi penali, civili e amministrative (art. 28 Cost.), oltre che politicamente, per le previsioni generali degli artt. 94 e 95 della Costituzione. La responsabilità insorge per l’adozione del decreto non convertito e non per l’assenza dei suoi presupposti giustificativi, cioè la situazione straordinaria di necessità e urgenza, che riguarda la validità del decreto e soprattutto della legge di conversione. Del resto, siccome la perdita di efficacia è sin dall’inizio, gli atti governativi fondati sul decreto legge sono illegittimi e se violano diritti generano responsabilità.

Un ulteriore argomento sistematico a favore della tesi che il decreto legge non è un atto di legislazione lo si ricava dal combinato disposto degli art. 70, 76 e 77, primo comma. La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere, che ne possono delegare l’esercizio al Governo e il Governo senza delegazione delle Camere non può emanare decreti che abbiano valore di legge. Da qui si evince che la delegazione è una modalità di esercizio della funzione legislativa. La decretazione di urgenza no. Infatti, i provvedimenti provvisori che il Governo adotta in caso di necessità hanno forza (e non valore) di legge. Può darsi che non sempre la Costituzione distingua chiaramente la forza dal valore di legge. Certo è che l’art. 77 della Costituzione attribuisce valore di legge ai decreti delegati nel primo comma e forza di legge ai decreti d’urgenza nel comma immediatamente successivo. In questo caso almeno c’è differenza tra il valore e la forza di legge, poiché le due espressioni si riferiscono ad atti governativi disciplinati in modo sensibilmente diverso. Poi, se esse sono sinonimi, bisogna risolvere la contraddizione tra i due primi commi dell’art. 77: il secondo consentirebbe ciò che il primo vieta tassativamente. Non sarebbe una soluzione convincente quella di attribuire il valore di regola a questo e di eccezione a quello, come se la disposizione fosse formulata così: «il Governo senza delegazione delle Camere non può emanare decreti con valore di legge, salvo nei casi straordinari, ecc.»[10]. La disposizione che attribuisce forza di legge al decreto legge sarebbe superflua e soprattutto, siccome il valore di legge del decreto delegato è un’eccezione all’art. 70, la decretazione d’urgenza sarebbe un’eccezione dell’eccezione. Sicchè l’art. 77 prima vieterebbe perentoriamente che i decreti del governo abbiano valore di legge, se non fondati su una delega, e subito dopo consentirebbe provvedimenti governativi provvisori con valore di legge. Insomma, l’eccezione dell’eccezione sarebbe una contraddizione.

L’interpretazione dell’art. 77 qui proposta che distingue il valore dalla forza di legge e quindi attribuisce diverso valore agli atti differenti del decreto legge e del decreto legislativo, rispetta la lettera della disposizione, è lineare e coerente sistematicamente. Non corrisponde alla tradizione – la legge n. 100 del 1926 attribuiva forza di legge a entrambi – né all’uso della decretazione d’urgenza come un comune atto di legislazione. Ma ciò non mette in discussione la sua veridicità.

La disposizione del secondo comma dell’art. 77 esprime, sì, un’eccezione, ma non tanto alla norma che i decreti governativi non possono avere valore di legge, rispetto alla quale i decreti delegati sono un’eccezione, così come la delegazione costituisce un’eccezione alla regola dell’esercizio parlamentare della funzione legislativa; quanto alla regola che gli atti governativi non possono ‘violare’ leggi, cioè non le possono derogare o sospendere. Lo Statuto albertino la formulava espressamente: «Il Re (…) fa i decreti e i regolamenti necessari per l’esecuzione delle leggi, senza sospendere l’osservanza, o dispensarne» (art. 6). La Costituzione repubblicana la prevede implicitamente, disponendo le eccezioni del valore (del decreto legislativo) e della forza di legge (del decreto d’urgenza), cosicché da esse si evince che di regola gli atti governativi non hanno valore né forza di legge.

Come si vede, l’interpretazione che propongo, secondo cui il decreto legge è un’eccezione alla regola che gli atti governativi non possono ‘violare’ leggi, combacia con l’insieme degli altri enunciati costituzionali riguardo alla produzione del diritto legislativo. Non si può negare, dunque, che c’è differenza tra la forza e il valore di legge di cui è menzione nell’art. 77. C’è da capire quale sia la differenza.

Il decreto delegato è un atto di esercizio della funzione legislativa, vale quindi come una legge e modifica la legislazione. Può fare e disfare leggi, cioè abrogare leggi. Il decreto legge è un provvedimento provvisorio, che perciò non può modificare la legislazione, la può soltanto derogare, ha forza di legge. Sospende non abroga le leggi, non fa e disfa leggi. Il suo carattere provvedimentale è dato non tanto dalle eventuali regole più o meno specifiche che dispone, cioè dal possibile contenuto non normativo, quanto dalla necessaria provvisorietà, quindi dall’inidoneità a modificare il diritto legislativo. E’ un provvedimento, a prescindere dalle caratteristiche delle regole – astratte e generali o concrete e puntuali – che esso contiene. La legge o l’atto che ha il medesimo valore può anche avere un contenuto provvedimentale, cioè essere più o meno concreto e puntuale, ma le sue disposizioni sono permanenti, abrogano le norme di legge contrastanti, innovano il diritto e quindi sono fonti del diritto in uno dei molti sensi che si attribuiscono a questa espressione metaforica.

Ragionare di abrogazione temporanea è concettualmente senza senso: una legge o è vigente o non è vigente, cioè o è vigente o è abrogata. L’abrogazione fa venir meno la vigenza della legge che perciò perde efficacia; e questa perdita di efficacia, forse è reversibile se si ammette la reviviscenza, ma sicuramente non è temporanea. La sospensione incide non sulla vigenza ma sull’efficacia della legge, cosicché questa provvisoriamente non produce effetti. Parlare di effetti permanenti della sospensione è ugualmente insensato: la legge privata per sempre di efficacia è abrogata, non è più vigente.

 

 

3. – Lo stato di eccezione amministrativo

 

Si è sostenuto che la disposizione dell’art. 77 per provvedere all’emergenza stabilisce una riserva a favore del decreto legge ed esclude quindi qualsiasi altro atto governativo o legislativo; e ciò in base a questa osservazione: «Affermare, come fa l’art. 77 Cost., che “in casi straordinari di necessità ed urgenza il Governo adotta (…) provvedimenti provvisori con forza di legge”, significa non solo costituire una competenza governativa d’emergenza, ma anche escludere che soggetti diversi dal Governo, oppure lo stesso Governo con modalità diverse dalla decretazione, possano fronteggiare quei casi ricorrendo alla forza provvisoria della legge ordinaria»[11]

Così il problema è impostato male. Non si considera che la citata disposizione dell’art. 77 inizia con l’espressione «quando», quindi si riferisce all’eventualità che il Governo adotti provvedimenti provvisori, ecc., descrivendo così la fattispecie; e prosegue con «deve» il giorno stesso presentarli alle camere per la conversione, prevedendo una regola da applicare al caso ipotizzato; un’altra regola è stabilita dal successivo comma e cioè che i decreti perdono efficacia sin dall’inizio, ecc. Pertanto, se il decreto governativo ha forza di legge, deve essere convertito in legge entro sessanta giorni, altrimenti è ‘illegale’, è un atto amministrativo che viola la legge e perciò i suoi effetti derogatori vengono meno sin dall’inizio. In questi termini, accolgo l’idea di Esposito che il decreto legge è un atto invalido. Non condivido invece la tesi dello stesso Esposito secondo cui la decretazione d’urgenza non è una competenza ma un fatto che la Costituzione si limita a disciplinare[12]. Se fosse così, non si capirebbe, infatti, come mai il decreto legge produca effetti per sessanta giorni. Invero, spetta al Governo stabilire se sussista il caso straordinario che richiede urgentemente il provvedimento con forza di legge; e quando emana il decreto legge, ritenendo che sia il caso, allora …. . La decisione circa la sussistenza della condizione straordinaria è la tipica competenza di emergenza, è il potere d’eccezione che la Costituzione attribuisce al Governo.

Da tutto ciò ne consegue pianamente che il decreto legge è l’unico strumento di cui dispone il Governo per esercitare il potere di eccezione e sospendere le leggi. Infatti, l’adozione di un provvedimento derogatorio della legislazione, cioè con forza di legge, per provvedere alle urgenti necessità di un caso straordinario comporta l’applicazione della disciplina costituzionale che ne impone la conversione in legge. Altrimenti è un comune atto amministrativo che deve rispettare la legge e quindi non la può sospendere.

Il caso è diverso se è la legge o l’atto con forza di legge a disporre la sospensione, lasciando al Governo il compito di provvedere adeguatamente alla situazione straordinaria con atti amministrativi. In questo caso, infatti, l’atto non ha forza di legge. E’ vincolato dalle previsioni della legge e prima fra tutte dalla disposizione che, in quanto meramente sospensiva, impone la provvisorietà dell’atto amministrativo, oltre la pertinenza e adeguatezza alla situazione di emergenza cui esso provvede. Va da sé, poi, che non può intervenire in materie riservate alla legge. Insomma, l’autorizzazione al Governo a provvedere in deroga alle leggi è costituzionale a condizione che sia la legge, l’atto avente valore o perlomeno forza di legge a disporre la sospensione dell’efficacia della legislazione, così da consentire al Governo o all’autorità amministrativa determinata dalla legge di provvedere adeguatamente senza vincoli legislativi[13], secondo una modalità analoga a quella disposta dall’art. 17 della legge 400 del 1988, per quanto riguarda la delegificazione[14].

Sin qui ho dato per scontato che la legge possa disporre la sospensione dell’efficacia della legislazione ed eventualmente attribuire al Governo la determinazione della disciplina derogatoria adeguata alla circostanza. Ma questa tesi non è scontata, anzi è contestata[15]. Perciò devo argomentarla. In proposito, ho già detto che il testo dell’art. 77 non offre elementi per configurare la riserva al decreto legge del potere d’eccezione. A ciò ora aggiungo che l’effetto sospensivo del decreto governativo è valido quando il provvedimento viene convertito in legge; e ciò induce a credere che in definitiva spetti al Parlamento dettare la disciplina eccezionale con la legge di conversione. Si potrebbe dire allora che la riserva è a favore di quest’ultima fonte. Forse qualche particolarità procedurale consente di configurare come atipica, quindi a competenza esclusiva, questa legge; e siccome questa presuppone l’adozione del decreto legge si potrebbe affermare che il Governo è competente a decidere la sussistenza dello stato d’eccezione e la legge di conversione a ‘convalidare’ la disciplina derogatoria. In ogni caso, ciò che è decisivo ai fini del mio discorso è la circostanza che la sospensione è meno dell’abrogazione. Perciò la legge (o l’atto che ha valore di legge), poiché può far cessare permanentemente gli effetti dell’atto legislativo, può fare anche di meno, cioè sospendere temporaneamente l’efficacia delle leggi.

 

 

4. – L’idea del Presidente della repubblica reggitore dello Stato nei momenti di crisi

 

La Costituzione italiana, a differenza, ad esempio, di quella tedesca del ‘19 o di quella francese in vigore, non attribuisce poteri eccezionali al Capo dello Stato. Il Presidente della Repubblica Italiana partecipa all’esercizio della potestà straordinaria governativa, emanando i decreti legge.

L’art. 87 della Costituzione invero prevede che egli emani i decreti aventi valore di legge e l’art. 89 che siano controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei ministri gli atti presidenziali con valore legislativo. Pertanto seguendo la lettura qui proposta che distingue tra forza e valore di legge, si dovrebbe escludere l’emanazione presidenziale del decreto legge, in contrasto con la tradizione risalente allo Statuto albertino, costantemente seguita anche in regime repubblicano, e con le previsioni, prima, della legge n. 100 del 1926 e poi della legge n. 400 del 1988. Ciò peraltro non la metterebbe in discussione, né assegnerebbe un punto a favore dell’idea della confusione tra il valore e la forza della legge, giacché si appoggerebbe su un dato di fatto senza interrogarsi sul suo fondamento costituzionale, anzi dandolo per scontato, insomma su un pregiudizio. Sennonché, la disposizione costituzionale ben interpretata esprime la norma che il decreto legge sia emanato dal Capo dello Stato.

L’art. 87 dispone che il Presidente della repubblica emani anche i regolamenti. Quale sia l’atto regolamentare del Governo è stabilito dalla legge e non dalla Costituzione. Quindi è la legge che, qualificandolo come regolamentare, determina l’atto governativo che deve essere emanato dal Capo dello Stato. Del resto, la legge 400 del 1988 dispone soltanto l’emanazione presidenziale dei regolamenti governativi, deliberati dal Consiglio dei ministri, e non anche di quelli ministeriali. La semplice denominazione dell’atto come «regolamento», dunque, sembrerebbe non bastare per l’emanazione dell’atto con dpr. In effetti, la disposizione dell’art. 87 ha senso se il regolamento che deve essere emanato è individuato in base a criteri non nominalistici. Ed è ragionevole pensare che si riferisca a un atto che abbia qualcosa in comune con quelli aventi valore di legge, poiché sono menzionati insieme («emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti»). Il tratto sostanziale che accomuna i due atti è l’essere fonti del diritto, cioè che stabiliscono regole (più o meno astratte e generali) invece che provvedere a singoli casi. Del resto, nella sostanza ciò che distingue il regolamento dagli altri atti amministrativi, è il suo contenuto normativo. Perciò l’atto ‘normativo’ del Governo è «regolamento» ai sensi dell’art. 87 della Costituzione. Il provvedimento adottato nei casi straordinari di necessità urgenza, che può disporre in deroga alle leggi, è nella sostanza perlomeno un atto di natura regolamentare e dunque va emanato dal Presidente della Repubblica.

Esposito ha sostenuto che il Capo dello Stato parlamentare possa ergersi in momenti di crisi del sistema a capo effettivo.

Immagina diverse situazioni critiche, che egli accomuna per il fatto che in esse il Capo dello Stato è chiamato a svolgere funzioni di effettiva direzione politica invece che formali e rappresentative. Ma sono assai eterogenee, se considerate dal punto di vista dello stato d’eccezione.

Innanzitutto considera l’ipotesi in cui «i rimedi contro le crisi canonizzati in testi costituzionali non possono trovare attuazione (perché, a esempio, non sia materialmente possibile adunare i parlamenti cui spetta di risolvere o di partecipare alla soluzione) (…)»[16]. Per comprendere bene il punto di vista di Esposito al riguardo è utile notare che secondo lui per la determinazione della fattispecie bisogna guardare non tanto all’art. 48 della costituzione di Weimar (che in effetti sembra corrispondere all’ipotesi di un rimedio canonizzato) quanto alla disposizione dell’art. 16 della Costituzione francese del 1958 per la quale «quando le istituzioni della Repubblica, l’indipendenza della nazione, l’integrità del territorio o l’esecuzione degli impegni internazionali sono minacciati in maniera immediata e integrale e il regolare funzionamento dei poteri pubblici costituzionali è interrotto…il presidente adotta le misure richieste»[17]. Trova interessante questa disposizione soprattutto perché distingue bene i poteri del Presidente da quelli di necessità attribuiti al Governo. Inoltre, considera istruttive l’esperienza costituzionale italiana successiva alla caduta del fascismo, per l’impossibilità di sottoporre alla Camera dei fasci e delle corporazioni la conversione dei decreti legge, e quella della prigionia del Re dei belgi nella seconda guerra mondiale, che venne sostituito dai ministri, notando al riguardo: «perché il Capo dello Stato, in ipotesi di crisi paralizzanti le istituzioni, possa agire invece di tali istituzioni, necessita che si trovi a sua volta nella possibilità di esplicare la funzione cui è designato»[18].

Esposito dunque considera il caso in cui, per la paralisi delle istituzioni, il Capo dello Stato sia l’unico organo governativo effettivamente capace di operare; e in questo caso spetta a lui «di sostituirsi al Parlamento e provvedere con ministri da lui nominati e godenti la sua fiducia (invece di quella del Parlamento)»[19], perché «è nello spirito e nelle finalità strumentali della funzione che in casi eccezionali, che facciano tacere gli istituti parlamentari, la funzione dichiarativa e il connesso potere esecutivo del Capo dello Stato divengano strumento per il superamento dello stato di necessità e per il ripristino delle istituzioni parlamentari»[20].

Come si vede, sebbene Esposito argomenti anche con riferimenti a costituzioni che prevedono un potere di eccezione del Capo dello Stato come la Costituzione di Weimar (art. 48) oppure la Costituzione francese (art. 16), tuttavia egli s’interroga non sull’interpretazione da dare alle disposizioni costituzionali sul potere di eccezione, ma su chi governi quando il governo parlamentare sia impossibile perché il Parlamento non c’è o comunque la sua azione sia materialmente impedita. Risponde che in una situazione del genere spetta al Capo dello Stato parlamentare governare come faceva il Re all’epoca della monarchia costituzionale pura, osservando che il Capo dello stato parlamentare ha mantenuto gli stessi poteri formali del Re, ma svuotati sostanzialmente dal parlamento, cosicché in caso di crisi di quest’organo i poteri del capo dello Stato riacquisterebbero l’originaria sostanza politica.

In proposito, non c’è molto da dire, dopo quanto ho scritto si qui. Se lo Stato parlamentare attraversa una crisi di questa portata, governa chi può e come può e, dopo, secondo l’esito della crisi, chi abbia governato secondo necessità potrebbe essere acclamato come salvatore dello Stato e difensore della costituzione, per aver restaurato il governo parlamentare, oppure additato come traditore della patria e attentatore alla costituzione, per aver instaurato la monarchia costituzionale, e in quest’ultima ipotesi forse condannato per la sua azione incostituzionale o forse perdonato perché non avrebbe potuto fare altrimenti, cioè per aver agito in stato di necessità.

L’altra ipotesi che Esposito considera è di minore portata, è una condizione non di paralisi delle istituzioni costituzionali, ma di crisi del governo parlamentare. Qui vengono in questione le competenze del Capo dello Stato di nomina del Governo e di scioglimento anticipato del Parlamento, le quali sono più o meno dense politicamente secondo la situazione politica nella quale vengono esercitate[21]. In particolare, «quando esista certa maggioranza e certa designazione parlamentare del Governo, i poteri del Capo dello Stato sono meramente formali. Invece quando tale certezza non esista essi divengono sostantivi»[22]. E’ evidente che queste competenze non hanno nulla di straordinario e che queste vicende appartengono alla fisiologia del governo parlamentare. Comunque non hanno nulla a che vedere con lo stato d’eccezione, secondo la concezione di esso che qui ho illustrato.

 

 

Abstract

 

L'étude soutient l'idée que le pouvoir d'exception ne peut pas changer de façon permanente le droit existant et montre que le décret du gouvernement prévu à l'article 77 de la Constitution italienne a la force mais pas la valeur de la loi. Tire la conclusion que le gouvernement peut suspendre les lois avec le décret-loi, mais pas avec les actes administratifs et que le Président de la République n'a pas de pouvoirs extraordinaires.

 

 



 

 

[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Contributi” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind]

 

* Lo scritto è destinato agli studi in onore di Giuseppe de Vergottini.

 

[1] C. SCHMITT, Politische Theologie, München-Leipzig, 1922, trad. it. Le categorie del ‘politico’, Bologna, 1972, 40.

 

[2] C. SCHMITT, Die Diktatur, München-Leipzig, 1921, trad. it. La dittatura, Bari, 1975.

 

[3] München-Leipzig, 1922, trad. it. Le categorie del ‘politico’, Bologna, 1972.

 

[4] Berlin, 1928, trad. it., Dottrina della costituzione, Milano, 1984.

 

[5] Berlin, 1931, trad. it., Il custode della costituzione, Milano, 1981.

 

[6] C. SCHMITT, La dittatura, 151, fa sua l’affermazione di Donoso Cortes secondo cui «la dittatura è un miracolo perché sospende le leggi dello Stato come il miracolo sospende le leggi della natura». Ma precisa: «in realtà il miracolo non è tanto la dittatura, quanto la frattura dell’ordinamento giuridico esistente provocata dalla fondazione di questa nuova forma di governo».

 

[7] Cfr. G. MARAZZITA, L’emergenza costituzionale, Milano, 2003, 323 ss.

 

[8] Su cui, per tutti, cfr. G. DE VERGOTTINI, Guerra e costituzione, Bologna, 2004.

 

[9] Contra, G. PITRUZZELLA, La legge di conversione del decreto legge, Padova, 1989, 139, per il quale tra il decreto legge e la legge di conversione si instaura «un rapporto riconducibile entro gli schemi della “integrazione internormativa”. Esse, come avviene per tutte le fonti collegate, vanno a comporre l’ordinamento giuridico nella loro integrazione, sicchè rilevano, quanto all’efficacia, nella loro reciproca correlazione».

 

[10] Questa è grosso modo la norma che G. PITRUZZELLA, La legge, cit., 146, ricava dai primi due commi dell’art. 77.

 

[11] G. MARAZZITTA, L’emergenza, cit., 331, il corsivo è testuale.

 

[12] Cfr. C. ESPOSITO, Decreto-legge, EdD, XI, Milano, 1962, 832 ss.

 

[13] A. CARDONE, La «normalizzazione» dell’emergenza, Torino, 2011, 366, sostiene invece che «il Governo è titolare del potere extra ordinem a livello costituzionale, in quanto (…) esso è il soggetto che sarebbe comunque competente, in “condizione normale e ordinaria”, a dare attuazione a quegli stessi diritti e libertà che, per il fatto di dover essere esercitati nello stato d’emergenza richiedono l’attivazione di strumenti derogatori». Non c’è dubbio che anche al Governo come a tutti gli organi statali e alle istituzioni della Repubblica spetti di dare attuazione ai diritti e alle libertà costituzionali. Ma da un diritto o da una libertà non se ne può inferire alcuna competenza e da una competenza ordinaria un’altra straordinaria. Ciascun apparato organizzativo attua la Costituzione con le competenze che gli sono attribuite dalla stessa Costituzione o da una fonte a ciò abilitata. E, come si è visto, l’art. 77 Cost. detta una disciplina del potere d’eccezione governativo che non consente al governo di derogare alla legge con atti amministrativi.

 

[14] Cfr. M. LUCIANI, Atti normativi e rapporti fra Parlamento e Governo davanti alla Corte costituzionale. Tendenze recenti, in Alle frontiere del diritto costituzionale. Scritti in onore di Valerio Onida, Milano, 2011, 1178, il quale precisa che «la fonte primaria legittimante dovrebbe contenere indicazioni sufficientemente precise sui presupposti e sulle modalità dell’adozione, così come sui limiti e sui criteri-guida dell’atto legittimato, onde evitare che l’effetto legittimante operi sul terreno della mera forma e non su quello della sostanza (…)».

 

[15] Da G. MARAZZITTA, L’emergenza, cit., 331 ss.

 

[16] C. ESPOSITO, Capo dello Stato, EdD, VI, Milano, 1960, 237.

 

[17] La citazione è di C. ESPOSITO e il corsivo è suo (ibidem, nota 93).

 

[18] C. ESPOSITO, Capo, cit., nota 93. Il corsivo è mio.

 

[19] Ibidem, 238.

 

[20] Ibidem, 239. Il corsivo è mio.

 

[21] Cfr. O. CHESSA, Il Presidente della repubblica parlamentare, Napoli, 2010, 237 ss.

 

[22] C. ESPOSITO, Capo, cit., 240.