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onidaPIETRO PAOLO ONIDA

Università di Sassari

 

In tema di natura del mandatum

 

 

Sommario: Premessa. – 1. Il problema del consenso del mandato. – 2. L’“uso sinonimico” di mandatum e di iussum nonché di mandare e di iubere. – 3. La soluzione dominante in tema di mandato e l’altra soluzione possibile. – 4. Conseguenze delle due soluzioni interpretative del mandato. – 5. Verso la soluzione dominante. – Abstract.

 

 

Premessa

 

Nonostante il mandato nella esperienza giuridica romana sia stato oggetto di una abbondante letteratura, non altrettanto può dirsi per il tema della natura di tale contratto, specialmente per quanto attiene al profilo specifico della formazione e articolazione della volontà connessa al rapporto interno fra mandante e mandatario e ai profili esterni della relazione fra le parti e i terzi. Eppure la importanza di tale tema si rivela utile non solo per la comprensione di molti aspetti connessi al mandato, ma anche per la lettura di parti essenziali del sistema giuridico romano alle quali dovremo fare qualche rapido cenno. Basti pensare, sin da ora, ai rapporti tra il magistrato e il popolo.

Limitandoci in una prima fase della nostra analisi al piano interno e specifico del mandato, si può osservare che il profilo della formazione e articolazione della volontà consente di comprendere meglio la struttura e il funzionamento del mandato stesso, in merito al quale sono molti i punti oscuri non solo per quanto attiene alla sua origine, ma anche per quanto concerne il suo impiego pure quando esso era divenuto ormai uno strumento giuridico di frequente impiego nella prassi negoziale.

La dottrina romanistica si è limitata a una analisi essenzialmente privatistica, ma una prospettiva che chiamerei congiunta tra diritto pubblico e diritto privato – le due positiones studii di cui ci parla Ulpiano, in D. 1.1.1.2 – che corrisponde a una impostazione scientifica sempre più avvertita come necessaria in dottrina[1], si presenta indispensabile per una rilettura anche della natura del mandato con i profili di cui si è ora detto.

Sono certamente numerosi, come è noto, gli studi di ius privatum volti a mettere in risalto la natura del mandato come contratto consensuale, nel quale secondo taluni (che rispecchiano la dottrina maggioritaria) si sarebbe realizzata una bilateralità imperfetta (penso in tal senso al Corso di lezioni, un classico, tenuto da Vincenzo Arangio-Ruiz su Il mandato del diritto romano, nel 1948-1949), per altri invece una bilateralità perfetta (rinvio in tal senso a Giuseppe Grosso, nel suo altrettanto classico studio su Il sistema romano dei contratti, pubblicato in prima edizione nel 1945; e poi più di recente a Giuseppe Provera, nella voce della Enciclopedia del Diritto da lui redatta su Mandato. Storia, nel 1975)[2].

Nell’affrontare il problema della bilateralità perfetta o imperfetta del mandato è evidente che la dottrina dava per scontata la natura di esso come contratto, più precisamente come contratto consensuale. Certamente questa natura è stata riconosciuta come è noto attorno al II secolo a.C., sulla base della fides bona:

 

D. 17.1.1.pr.-2: (Paulus libro 32 ad edictum): Obligatio mandati consensu contrahentium consistit. 1. Ideo per nuntium quoque vel per epistulam mandatum suscipi potest. 2. Item sive “rogo” sive “volo” sive “mando” sive alio quocumque verbo scripserit, mandati actio est. 3. Item mandatum et in diem differri et sub condicione contrahi potest. 4. Mandatum nisi gratuitum nullum est: nam originem ex officio atque amicitia trahit, contrarium ergo est officio merces: interveniente enim pecunia res ad locationem et conductionem potius respicit.

 

Gai. 3.135: Consensu fiunt obligationes in emptionibus et venditionibus, locationibus conductionibus, societatibus, mandatis.

 

Quanto alla bilateralità perfetta, in dottrina la si rinviene sulla base del passo di Gaio in cui essa è assimilata alla sinallagmaticità:

 

Gai. 3.155: Mandatum consistit, sive nostra gratia mandemus sive aliena; itaque sive ut mea negotia geras sive ut alterius, mandaverim, contrahitur mandati obligatio, et invicem alter alteri tenebimur in id, quod vel me tibi vel te mihi bona fide praestare oportet.

 

La ipotesi che qui intendo sostenere è che tale dimensione contrattuale del mandato sia solo una di quelle che ci consentono di comprendere la sua natura. Il mandato si caratterizza per una struttura e una identità complesse che rivelano una tensione interna fra due anime differenti e complementari, riconducibili da un lato alla relazione intra-potestativa/gerarchica conseguente a uno iussum e dall’altro alla relazione inter-potestativa/paritaria conseguente al contractum. Tale problema attuale si presenta come problema di diritto romano privato e pubblico assieme, anche se mi limiterò a mettere in rilievo soprattutto la dimensione privatistica.

 

 

1. – Il problema del consenso del mandato

 

Nella dottrina romanistica si è talvolta posto in risalto il fatto che il contratto di mandato si presenti come un contratto sui generis, senza però che ci si sia mai soffermati sulle ragioni profonde di questa sua specificità. Certo, su un piano generale, la particolarità del contratto di mandato è stata oggetto di attenzione di quella parte della dottrina civilistica che ha ritenuto di dovere effettuare una vera e propria demolizione critica del cosiddetto “dogma del consenso”, per usare la efficace formula impiegata da un maestro del calibro di Gino Gorla, in un suo celebre e denso studio del 1956, significativamente intitolato appunto Il dogma del “consenso” o “accordo” e la formazione del contratto di mandato gratuito nel diritto continentale[3]. La critica del Gorla ora richiamata si appuntava specialmente sul fatto che «il concetto di consenso quale requisito a sé del contratto, verrebbe a presentarsi come una generalizzazione di comodo o un criterio esterno di classificazione; quando non voglia significare (come nel diritto romano) che, oltre il consenso, nelle sue varie strutture corrispondenti a certi tipi riconosciuti dalla legge, non si pongono requisiti di forma o di res e che il negozio è iuris gentium, con le relative conseguenze quanto alla possibilità di concluderlo fra assenti, ecc.». Una critica questa che coinvolge la rilevanza stessa del consenso all’interno del sistema contrattuale, la quale è ora al centro di studi recenti di Luigi Garofalo, penso soprattutto alla sua relazione scientifica su “Lo scambio atipico e le sue tutele”, presentata al convegno di Copanello, nel giugno del 2014, dedicato al tema della “Libertà ed abuso nel diritto privato romano”, con la quale relazione l’illustre studioso ha proposto non semplicemente una demolizione del valore del consenso, ma una analisi ricostruttiva di esso come parte del contratto, per rilevare che, in un sistema fondato sulla tipicità quale quello romano, l’elemento che dava il via alla tutela processuale si giustificava non sulla base di un generico accordo che poteva anche appartenere al non-giuridico, ma sulla base anzitutto dello scambio.

Per comprendere che cosa sia l’accordo nell’ambito del mandato bisogna quindi considerare l’altra polarità del mandato stesso derivante dallo iussum indirizzato dal dominus negotii al mandatario. Si supera in tal modo la questione se la bilateralità sia perfetta o imperfetta, in quanto la analisi si sposta dal piano del nesso delle obbligazioni contrattuali a quello della loro causa. Colui che assume la iniziativa nel mandato è il mandante il quale attribuisce un incarico le espressioni impiegate sono in D. 17.1.1.2, sopra richiamato, rogo, volo, mando – a un mandatario che può accettare tale incarico. Il senso della specialità di tale accordo è quindi assai diverso dall’incontro tra una «promessa-accettazione» o da quello dell’incontro tra «promesse e concessioni reciproche» (Gorla).

 

 

2. – L’“uso sinonimico” di mandatum e di iussum nonché di mandare e di iubere

 

È noto che l’etimologia di mandatum deriva da manum dare, secondo una linea di pensiero che è ancora attestata nelle Etimologie di Isidoro di Siviglia e che ancora resiste alle critiche, volte a inficiarne il fondamento scientifico, prospettate fra gli altri da Remo Martini, una ventina di anni fa in un suo lavoro sul “Mandato nel diritto romano”, senza però addurre particolari argomenti a sostegno della critica[4]:

 

Isidoro, Etymologiae, 5.24.20: mandatum dictum quod olim in commisso negotio alter alteri manum dabat.

 

Come intendere il riferimento al manum dare? Secondo Luigi Lombardi, la espressione alluderebbe all’atto di affidare all’amico un affare[5]. Essa non avrebbe quindi la funzione di richiamare un “intento promissorio”. Ora il riferimento alla manus intesa come espressione di un potere è ben nota in dottrina. Il dare la mano non evoca qui un generico riferimento a una promessa di aiuto o all’atto di affidamento di un uomo ad un altro, come vorrebbe ad esempio Emilio Betti[6], che poneva l’accento sulla fides come costitutiva di un vincolo di affidamento. Il dare la mano, come correttamente è stato messo in rilievo da ultimo da Salvo Randazzo, nella sua monografia del 2005 su Mandare. Radici della doverosità e percorsi consensualistici nell’evoluzione del mandato romano, nelle lingue indoeuropee richiama «l’esercizio di un potere giuridicamente fondato» [7].

Mi sembra condivisibile il rilievo che l’esercizio del potere della manus non implichi, specialmente, ma non solo, nella sua configurazione originaria, la necessità di una accettazione del destinatario della volontà negoziale di colui che manum dans. Ciò attiene alla formalizzazione di un consenso che certo si esprime ritualmente nella stretta di mano e che è cosa diversa dal manum dare inteso come affermazione del potere. La manus, richiamata nella etimologia del mandatum come manum dare, svela, per usare la felice espressione del Randazzo, «un significato antico e originario di ‘atto di comando’, di espressione di potere, di volontà autoritativa finalizzata a conferire un incarico, configurandosi, in sintesi come manifestazione di una volontà di imperio»[8]. Ora tale potere non è da intendersi, come ad esempio vorrebbe ancora il Lombardi, nel senso di un potere del procurator sia pure sul patrimonio del dominus, ma come un potere del mandante finalizzato a ottenere il compimento di una attività da parte di un sottoposto.

Contro questo carattere del mandato che richiama a una sua dimensione di affermazione rituale di un potere, quando non addirittura a una sua unilateralità, non si può invocare il fatto che la volontà espressa con il manum dare necessitava della recezione di essa da parte di un soggetto che vi desse esecuzione. Perché un tale rilievo confonderebbe i due piani della articolazione del processo di formazione della volontà per ricondurli appiattendo entrambi alla idea estranea alla esperienza giuridica romana della sostituzione della volontà connessa all’impiego della rappresentanza, su cui ha insistito da ultimo Giovanni Lobrano[9].

La sottoposizione al potere della manus connessa al manum dare è posta in ombra nella dottrina romanistica, anche per quanto attiene alla fase primigenia della formazione del mandato, perché, a mio avviso, si teme che essa possa essere di impedimento, come in effetti lo è, alla piena affermazione del dogma della consensualità del mandato. Tuttavia, l’impiego della manus in funzione della affermazione unilaterale di un potere è evidente in molte parti del sistema giuridico romano. Senza dilungarmi eccessivamente basti qui richiamare il rituale connesso all’esercizio della manus iniectio (Gai. 4.21), in cui la affermazione della manus è funzionale alla instaurazione della procedura di esecuzione. O ancora al rituale del manum conserere (Gellio, 20.10.7) ove è pure presente il rinvio alla manus in funzione di cognizione della situazione giuridica fra i due contendenti del processo.

 

 

3. – La soluzione dominante in tema di mandato e l’altra soluzione possibile

 

Come ho già osservato, la dottrina romanistica ha esaltato la natura del mandato come contratto consensuale, mentre ha posto nell’oblio la relazione del mandato stesso con lo iussum e coerentemente ha negato la funzione dello iussum che ha finito per essere trasformato, per usare una espressione di cui sono debitore al mio Maestro, Giovanni Lobrano, «da comando al proprio subordinato di negoziare cum incerta persona a una autorizzazione ad incertam personam a negoziare con il proprio subordinato».

La dottrina romanistica, in riferimento specifico all’actio quod iussu, ma con una portata generale sul piano sistematico della valutazione dei processi di formazione della volontà, che ha anche particolare attinenza ai fini del nostro discorso sul mandato, ritiene comunemente che il destinatario dello iussum impartito dal dominus negotii non debba essere identificato con il filius o il servus, di cui il primo (il dominus negotii) si sia avvalso per la stipulazione di un negozio giuridico, ma con il terzo parte del negozio[10]. Lo iussum, quindi, atterrebbe al piano dei rapporti esterni, per dirla con le parole di Ernst Rabel, e non a quello di un ordine interno[11]. Un giovane dottorando della Università di Sassari, Giancarlo Seazzu, ha mostrato nella sua tesi di dottorato, ancora in fase di perfezionamento, come sia relativamente recente la tendenza della dottrina romanistica a identificare lo iussum con una autorizzazione al terzo perché questi possa liberamente e serenamente contrarre con un sottoposto – filius o servus – del dominus stesso[12]. Un tale approccio dogmatico, immune al condizionamento derivante dall’impiego della categoria di rappresentanza, è ancora presente nella opera di Christian Friedrich von Glück (1755-1831), autore di quel monumentale Commentario alle Pandette (1790-1830) in cui è raccolta la eredità della Pandettistica tedesca del secolo XVIII.

Senza dilungarci eccessivamente sulla natura dello iussum nel sistema giuridico romano, direi che esso ci richiama alle esigenze connesse alla manifestazione di una volontà da parte del pater familias all’interno del gruppo parentale, con le conseguenze che potevano ingenerarsi in termini di affidamento da parte dei terzi. La subordinazione connessa all’impiego dello iussum è evidente sul piano del diritto pubblico, quando si consideri il ricorso allo iussum da parte del popolo nei confronti del magistrato. E qui si potrebbe richiamare la celebre definizione di lex in Gaio, 1.3: Lex est quod populus iubet atque constituit. Plebiscitum est quod plebs iubet atque constituit; o la altrettanto nota definizione di lex di Ateio Capitone, in Gellio, Noct. Att. 10.20.2, come generale iussum populi aut plebis rogante magistratu[13].

Se quindi va rifiutato l’atteggiamento della dottrina, che ha svilito la funzione dello iussum a una mera autorizzazione per il terzo, esiste la possibilità di configurare in termini non rigidamente contrattualistici il mandato in forza di una altra soluzione possibile che ne individui l’autentico codice genetico in quel ‘comando’ che dà ragione della sua stessa specificità contrattuale.

 

 

4. – Conseguenze delle due soluzioni interpretative del mandato

 

La conseguenza della soluzione dominante della natura del mandato in termini esclusivamente contrattualistici è la interpretazione della attività negoziale del mandatario come “rappresentanza”=“sostituzione” della volontà del mandante.

È noto che la scienza giuridica si trova oggi ad affrontare il tema della crisi della persona giuridica a fronte della quale sta quella che Lobrano ha definito la “alternativa” del recupero della “società”. La crisi della persona giuridica, che è anche crisi di una certa nozione di Stato, ha condotto la scienza costituzionalistica a ritenere che la idea stessa di “rappresentanza” politica sia, per dirla ancora con le parole di Lobrano (2006), «una parola vuota, una categoria senza consistenza, uno pseudo-concetto» e a valorizzare quindi la idea di una “partecipazione” attiva dei cittadini. Connessa a tale crisi vi è il rifiuto della idea della “delega” rappresentativa, come ha ricordato Aldo Schiavone in un suo libro del 2013: Non ti delego. Perché abbiamo smesso di credere nella loro politica, in cui rileva che oggi sono in “crisi” gli stessi elementi fondamentali del concetto di democrazia[14].

Ora il recupero del modello societario, nella soluzione della grande questione della considerazione della attività compiuta da una pluralità di uomini, è possibile soprattutto a patto di liberarsi della tendenza nefasta a identificare la societas con la persona giuridica, tendenza questa che è evidente soprattutto oggi quando quest’ultima è appunto in crisi, ma che risale indietro nel tempo. Il rifiuto della categoria medievale-moderna di persona giuridica e di quella connessa di rappresentanza, libero dai condizionamenti derivanti dall’impiego delle suddette categorie, a fronte di un recupero della nozione antica di societas, ci permette di analizzare le dinamiche di potere in una chiave diversa, in cui l’atto giuridico, come si evidenzia nel mandato, si articola in uno snodo tra il momento della formazione e quello della manifestazione della volontà, anziché in quello rigido della sostituzione della volontà connessa all’impiego della rappresentanza.

La conseguenza della soluzione opposta della natura del mandato in termini di iussum (e dunque anche ma non esclusivamente contrattualistici) è invece la interpretazione della attività negoziale del mandatario come integrativa (esecutiva specifica) della volontà del mandante (comando generale).

Tali ‘conseguenze’ concernono non soltanto le relazioni di “rappresentanza diretta” ma anche quelle di “rappresentanza istituzionale” o “organica” e persino di “rappresentanza politica”: antiche (a proposito del concetto di mandare magistratus si può richiamare quanto osserva Tacito negli Annales 11.24); e qui bisognerebbe anche ricordare il rapporto tra i socii e i magistri nell’ambito delle societates contrattuali) ma anche moderne e contemporanee. Basti qui richiamare il pensiero di Jean-Jacques Rousseau, nel Contratto sociale, e la adozione di uno schema fondato sul contratto di società diverso da quello della persona giuridica e della connessa idea di rappresentanza.

 

 

5. – Verso la soluzione dominante

 

La opinione secondo cui lo iussum sia indirizzato al terzo, si diceva prima, è relativamente recente. Ancora a cavallo tra la fine del 1700 e i primi del 1800, Christian Friedrich von Glück poteva espressamente riconoscere come per iussum si dovesse intendere, sono sue parole, un «ordine al soggetto alieni iuris»[15]. Pochi decenni più tardi, Friedrich Carl von Savigny poteva invece osservare che «Se adunque il padrone comandava allo schiavo, di contrarre per lui un debito, tuttavia il padrone secondo l’antico diritto non diveniva debitore; per tal motivo qui il pretore introdusse un’azione propria quod iussu»[16]. Ancora qualche decennio dopo, Bernhard Windscheid[17] notava che «La parola iussus … significa non comando, ma istruzioni impartite (Verweisung), delegazione (Anweisung). Col disconoscere questo senso tecnico di iussus e nello stesso tempo rilevare, che l’actio quod iussu ha di mira il caso, in cui alcuno vuol diventare obbligato per via di persone soggette alla sua potestà, si è posta l’affermazione, che lo iussus debba essere rivolto ai sottoposti alla potestà, od almeno, che questo sia il caso normale dell’actio quod iussu … le fonti parlano quasi solamente d’uno iussus al terzo … e l’unico passo … nel quale lo iussus è indubbiamente riferito al sottoposto alla potestà, 1. 2 D. quod cum eo 14. 5, non intende indicare le presupposizioni proprie dell’actio quod iussu. Un comando al sottoposto alla potestà può generare l’actio quod iussu solo in quanto in questo iussus si contenga indirettamente uno iussus anche al terzo …».

La dottrina ha finito con l’interpretare le actiones adiecticiae qualitatis e in particolar modo l’actio quod iussu attraverso la chiave di lettura della rappresentanza della volontà, e quindi potremmo dire della “sostituzione negoziale”[18]. Siffatta impostazione trae origine dalla riduzione, ad opera della Pandettistica, del funzionamento dell’agire collettivo al “binomio”, come lo ha definito il Lobrano, costituito dalla connessione fra l’elemento della persona giuridica astratta e la rappresentanza-sostituzione della persona giuridica. Tale riduzione ha portato a dimenticare l’alternativa della societas la cui concretezza si esprime dinamicamente in quell’«iter della volontà dialetticamente articolato in iussum generale dei soci e in administratio particolare dei loro magistri/magistratus» che è il nucleo essenziale del «regime operativo» della societas stessa. Ma anche condotto alla impostazione scientifica alla base della cancellazione del valore della volontà del mandante nella costruzione di una relazione col mandatario rispetto ai terzi.

 

 

Abstract

 

La prospettiva della natura del mandato permette di analizzare con precisione i processi di formazione e articolazione della volontà sia per quanto attiene al rapporto interno fra le parti stesse del contratto, sia per quanto attiene alle relazioni fra le parti e i terzi. Tale prospettiva, inoltre, consente di rileggere parti essenziali del diritto romano in una prospettiva ‘congiunta’ tra diritto pubblico e diritto privato. La dottrina si è soffermata sul problema della bilateralità perfetta o imperfetta del mandato dandone per scontata la natura contrattuale. Ma il mandato presenta una natura complessa, che rivela una tensione interna tra la relazione potestativa e gerarchica determinata da uno iussum e la relazione potestativa e paritaria derivante dall’assetto contrattuale. Soffermarsi su tali aspetti significa riscoprire il codice genetico del mandato in quel ‘comando’ che dà ragione anche della sua stessa specificità contrattuale.

 

The nature of mandate makes possible to accurately analyze the processes of formation and articulation of the will, focusing not only on the internal relationship between the contract parties, but also between the same parties and third parties. This perspective allows also to read essential parts of Roman law in a 'joint' perspective between Public law and Private law. The doctrine has focused on the problem of whether the mandate contract has perfect or imperfect bilateral nature, taking for granted its contractual nature. Anyway, the mandate has a complex nature, which reveals an internal tension between the potestative term and the hierarchical one, which is determined by an “iussum” and the potestative and equal report coming from the contract nature. Focus on these aspects means to find the genetic code of the mandate in the 'command' that gives reason even of his own contractual specificity.

 

 

 

 



 

[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Tradizione Romana” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind]

 

[1] Si veda G. Lobrano, La alternativa attuale tra i binomi istituzionali: “persona giuridica e rappresentanza” e “società e articolazione dell’iter di formazione della volontà”. Una ìpo-tesi (mendeleeviana), in Diritto@Storia, 10, 2011-2012 < http://www.dirittoestoria.it/10/D&Innovazione/Lobrano-Persona-giuridica-rappresentanza-societa-formazione-volonta.htm >.

 

[2] Lo stato di tale questione è oggi oggetto di un saggio informatissimo di S. Viaro, Il mandato romano tra bilateralità perfetta e imperfetta, in Scambio e gratuità. Confini e contenuti dell’area contrattuale, a cura di L. Garofalo, Padova 2011, 407 ss., la quale autrice giunge egualmente a riconoscere al mandato una natura di contratto perfettamente bilaterale.

 

[3] G G. Gorla, Il dogma del consenso o accordo e la formazione del contratto di mandato gratuito nel diritto continentale, in Rivista di diritto civile, I, 1956, 923 ss.

 

[4] R. Martini, Mandato nel diritto romano, in Digesto. Discipline privatistiche. Sezione civile, XI, Torino 1994, 198 ss. (= Id., Il mandato, in Derecho Romano de obligaciones. Homenaje J.-L. Murga, Madrid 1994, 637 ss.).

 

[5] L. Lombardi, Dalla «fides» alla «bona fides», Milano 1961, 175 nt. 24.

 

[6] E. Betti, Diritto romano, 1, Parte generale, Padova 1935, 571 ss.

 

[7] S. Randazzo, Mandare. Radici della doverosità e percorsi consensualistici nell’evoluzione del mandato romano, Milano 2005, 8.

 

[8] S. Randazzo, Mandare. Radici della doverosità e percorsi consensualistici nell’evoluzione del mandato romano cit., 10.

 

[9] G. Lobrano, La alternativa attuale tra i binomi istituzionali: “persona giuridica e rappresentanza” e “società e articolazione dell’iter di formazione della volontà”. Una ìpo-tesi (mendeleeviana) cit.

 

[10] Appartengono, fra gli altri, a tale indirizzo dominante: B. Windscheid, Lehrbuch des Pandektenrechts, Düsseldorf 1865, 1109, nt. 6 e (rist.) 486, nt. 6; G. Mandry, Das gemeine Familienguterrecht, Tübingen 1876, 104 e 565 ss.; F. Drechsler, Die actio quod iussu, Würzburg 1877, 60; A. Pernice, Labeo. Römisches Privatrecht im ersten Jahrhunderte der Kaiserzeit, Halle 1895, 504 ss.

 

[11] E. Rabel, Ein Ruhmesblatt Papinians, in Festschrift für Zitelmann, Leipzig 1913, 24 ss.

 

[12] G.C. Seazzu, Lo iussum fra diritto processuale e diritto sostanziale: l’attività negoziale con il terzo, Sassari 2015, Parte Prima, cap. III, par. 4, in corso di stampa.

 

[13] Sul significato di iussum, nell’ambito del diritto pubblico, si veda G. Lobrano, Res publica res populi, La legge e la limitazione del potere, Torino 1996, 111.

 

[14] A. Schiavone, Non ti delego. Perché abbiamo smesso di credere nella loro politica, Milano 2013.

 

[15] C.F. von Glück, Ausführliche Erläuterung der Pandekten, 1790-1830 (= Id., Commentario alle Pandette, libri XIV-XV, Tradotti ed annotati da P. Bonfante, Milano 1907, 76 ss., da cui si cita).

 

[16] F.C. von Savigny, System des heutigen römischen Rechts, Berlin 1840-49 (= Id., Sistema del diritto romano attuale, III, tr. di V. Scialoja, Torino 1900, 116, da cui si cita).

 

[17] B. Windscheid, Lehrbuch des Pandektenrechts, Frankfurt a. M. 1862-70 (=Id., Diritto delle Pandette, tr. di C. Fadda - P.E. Bensa, II, Parte seconda, Torino 1904, 468 nt. 6, da cui si cita).

 

[18] Nella letteratura più recente si rinvia per tutti a M. Miceli, Sulla struttura formulare delle ‘actiones adiecticiae qualitatis’, Torino 2001; G. Coppola Bisazza, Lo iussum domini e la sostituzione negoziale, Milano 2003; Ead., Dallo iussum domini alla contemplatio domini. Contributo allo studio della storia della Rappresentanza, Milano 2008.