Contributi

 

 

claudia caria fotoCERTEZZA DEL DIRITTO E PREVEDIBILITÀ. UNA RIFLESSIONE SUL TEMA

print in pdf

 

CLAUDIA CARIA

Università di Sassari

 

 

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Certezza e prevedibilità. – 3. Prevedibilità e deduzione logica. – 4. Il crollo della certezza. – 5. Prevedibilità, controllabilità e argomentazione. – 6. Considerazioni conclusive. Abstract.

 

 

1. – Introduzione

 

Le indagini intorno al tema della certezza del diritto sono ricorrenti nel pensiero e nell’esperienza giuridica, in particolar modo in quei periodi nei quali emerge una situazione di crisi del diritto, generata dalla sua incapacità di rispondere adeguatamente alle esigenze concrete della società. Gli attuali problemi al centro del dibattito etico-giuridico impongono nuove riflessioni circa la possibilità di considerare ancora centrale il principio della certezza del diritto[1], in un periodo storico, qual è l’era postmoderna, dominato dall’incertezza e da una liquidità[2] che rende difficile stabilire priorità e valori di riferimento. Le recenti pronunce della giurisprudenza[3] confermano questa difficoltà di adattamento della norma scritta all’esigenza del caso concreto e sembrano porre in discussione il criterio della prevedibilità della decisione giudiziaria, contenuto tipico della certezza del diritto. Stiamo, dunque, assistendo ad un inesorabile declino o è possibile attribuire alla certezza una nuova veste, adatta all’età contemporanea?

Il tema della certezza del diritto ha dato luogo, storicamente, a problemi e questioni che hanno trovato soluzioni e proposte interpretative eterogenee. Caratteristica di tale dibattito è la rigidità delle posizioni di chi vi ha partecipato: da un lato si è, difatti, parlato di certezza come mito[4], illusione[5] o addirittura mala sorte[6], dall’altro come imprescindibile esigenza del diritto[7], implicita nella sua stessa definizione[8]. Alla locuzione “certezza del diritto” sono stati attribuiti, nel corso del tempo, una pluralità di significati, corrispondenti alle diverse funzioni che principio si troverebbe ad assolvere negli ordinamenti giuridici contemporanei, ovvero: la stabilità della regolamentazione giuridica nel tempo; la conoscibilità delle norme giuridiche che dettano i comportamenti legittimi dei consociati; l’univocità delle qualificazioni giuridiche; la prevedibilità dell’intervento degli organi di esecuzione e applicazione e prevedibilità del contenuto delle decisioni dei giudici; l’inviolabilità dei diritti fondamentali da parte di chi ha il potere di proteggerli[9]. 

In questo lavoro, mi concentrerò sull’interpretazione che ha avuto maggior seguito tra gli autori che si sono occupati della certezza del diritto, ovvero la possibilità di prevedere le decisioni giudiziali. L’intento è quello di ricostruire il concetto di certezza come prevedibilità, dando atto delle modifiche intervenute in relazione ai grandi mutamenti del diritto degli ultimi due secoli. Nelle pagine che seguono, verrà pertanto, dapprima, discussa la possibilità di leggere il principio della certezza del diritto a partire dal concetto di prevedibilità, per poi indagare come quest’ultimo sia stato diversamente declinato nel corso della modernità e contemporaneità giuridica.

 

 

2. – Certezza e prevedibilità

 

Nella nozione di certezza è implicata quella di prevedibilità, come suggerisce la ricostruzione etimologica del termine[10]. Certus è il participio del verbo cernere che significa “distinguere, discernere” ovvero “vedere chiaro”[11], inteso non come capacità sensoriale, bensì “come un’attività e una fatica”[12]. Questa accezione dinamica di “raggiungimento, conquista” si rinviene nel collegamento tra il verbo cernere e il suo frequentativo certare che significa “gareggiare, disputare”, ovvero lottare per “la conquista del vero”, distinguere ciò che è certo da ciò che non lo è[13]. Per “vedere chiaro” è necessario avvicinarsi; in caso contrario non sarebbe possibile distinguere alcunché. Il “vedere chiaro”, tuttavia, non è solo un concetto spaziale, ma anche temporale[14]. L’uomo ha bisogno di poter distinguere da vicino, ha bisogno di sapere prima di agire, ma il futuro è inconoscibile, si scopre man mano che qualcosa accade, donde il problema della certezza[15]. Come posso essere certo, se non so cosa accadrà? Il “vedere chiaro” deve, perciò, necessariamente implicare un “prevedere”, ovvero un “veder prima”. “La certezza è, insomma, un vedere di là come se di là fosse di qua; un rendere presente il futuro prima che si faccia presente da sé; e così un allargare oltre i suoi limiti il presente o impadronirsi del futuro”[16].

Questo “veder chiaro” – prevedere – nel diritto acquisisce un significato particolare. Secondo Lopez De Oñate, la certezza si realizza nel momento in cui il diritto introduce le norme nella vita sociale, qualificando i comportamenti possibili e facendo «sapere a ciascuno ciò che egli può volere»[17]. Il soggetto di diritto deve essere consapevole dei confini della liceità dei propri comportamenti[18], dei limiti entro i quali si estende la libertà di ciascuno e inizia quella altrui[19]. Per poter prevedere la valutazione futura delle proprie azioni è necessario che le norme siano, quanto più possibile, chiare, non vaghe ed in numero adeguato per permettere un’effettiva conoscenza da parte dei consociati[20]. «È necessario che ciascuno sappia, una volta concepita l’azione, non quale sarà il suo risultato storico, il che varrebbe quanto conoscere l’assoluto, ma almeno come l’azione sarà qualificata, e come l’azione si inserirà nella vita storica della società»[21]. La previsione delle conseguenze dell’azione è, dunque, presupposta nel momento stesso in cui viene formulata la disposizione[22] ed è legata alla sua comprensione e conoscibilità[23]. Questa interpretazione della prevedibilità viene ricondotta da Lopez ad un’idea di certezza concepita come valore specifico del diritto - “specifica eticità del diritto”[24] - cui gli organi che influiscono sulla sua formazione e applicazione devono tendere[25].A questa impostazione del problema ribatte Carnelutti, affermando che “la certezza ottenuta con le leggi è una certezza approssimativa, al cento per cento nessuno si può fidare”[26]. È nell’esperienza giuridica, nel momento in cui l’astratto incontra il concreto che deve realizzarsi la prevedibilità e la certezza del diritto[27]. In questo secondo senso, la certezza si configura come prevedibilità in relazione alla decisione, ovvero come possibilità di effettiva previsione della valutazione delle conseguenze giuridiche delle proprie azioni ed è legata alle modalità attraverso le quali i giudici decidono il caso.

La prima concezione, tuttavia, implica, e non esclude, la seconda. Intenderla, invero, come “principio speculativo e produttivo del diritto”[28] presuppone la possibilità di una sua realizzazione come prassi effettiva del diritto, come tecnica giuridica che si concretizza nelle modalità attraverso le quali i giudici pervengono alla decisione[29]. Come afferma Capograssi, essi rappresentano due momenti dello stesso problema, l’uno si occupa della certezza come consapevolezza dell’azione, come fattore intrinseco alla radice di tutto il mondo del diritto, l’altro come certezza immediata del caso concreto, come relatività dell’esperienza giuridica[30].

Di questa seconda accezione di certezza, intesa come prevedibilità della decisione concreta, ci occuperemo nel presente articolo.

 

 

3. – Prevedibilità e deduzione logica

 

La possibilità di prevedere che ad un determinato fatto corrisponda una precisa risposta giuridica da parte degli organi competenti è stata collegata all’utilizzo dello strumento del sillogismo[31]. Il carattere decisivo della relazione fra premesse e conclusione, applicato alla decisione giudiziale, fa sì che quest’ultima possa essere considerata come l’esito necessario delle premesse decisionali e, dunque, prevedibile nella sua formulazione.

È l’opera di Beccaria, in particolare, che introduce la necessità di una corrispondenza tra la certezza del diritto e l’obbligo, per i giudici, della «rigorosa osservanza della lettera[32]» della legge. Nessuna certezza è, infatti, realizzabile finché si continuerà a vedere «la sorte di un cittadino cambiarsi spesse volte nel passaggio che fa’ a diversi tribunali»[33]. Secondo Beccaria, il sillogismo giudiziale consente di raggiungere la certezza del diritto, poiché di fatto limita la discrezionalità del giudice, permettendo uniformità e prevedibilità delle decisioni giudiziarie:

 

In ogni delitto si deve fare dal giudice un sillogismo perfetto: la maggiore dev’essere la legge generale, la minore l’azione conforme o no alla legge, la conseguenza la libertà o la pena. Quando il giudice sia costretto, o voglia fare anche soli due sillogismi, si apre la porta dell’incertezza[34].

 

Il sillogismo giuridico ha, tuttavia, caratteristiche peculiari rispetto al sillogismo aristotelico dimostrativo. Il fatto che vi siano una premessa ed una conclusione normativa ha, infatti, posto non pochi problemi in relazione alla possibilità stessa di poter ragionare con le norme ovvero compiere inferenze valide e necessarie in presenza di enunciati non descrittivi e perciò non vero-funzionali[35]. Questi problemi, tuttavia, verranno presi in considerazione solo in un secondo momento rispetto all’affermazione, da parte della dottrina giuridica, dell’applicabilità del ragionamento sillogistico al diritto. Inizialmente, complice il fatto che prima facie i ragionamenti prescrittivi funzionano esattamente come quelli descrittivi[36], il sillogismo giudiziale è parso lo strumento perfetto per poter risolvere i problemi di incertezza che caratterizzavano le corti settecentesche[37].

Se nelle idee di Beccaria il sillogismo rappresenta una dottrina normativa, un modello al quale i giudici avrebbero dovuto tendere, è nell’ideologia giuspositivista che tale strumento trova piena realizzazione. Nell’Ottocento, a seguito del processo di codificazione, il sillogismo è, infatti, divenuto da modello normativo, modello descrittivo dell’agire giudiziale[38]. La funzione giurisdizionale viene concepita come un’attività di deduzione logica all’interno di un ordinamento completo, nel quale a certe premesse sono collegate determinate conseguenze; la sentenza del giudice riflette il risultato di un processo dichiarativo e meramente conoscitivo e non l’esito di una scelta discrezionale[39]. Il sillogismo giudiziale viene considerato come un “sillogismo dimostrativo”, per equipararlo ai modelli di ragionamento propri delle scienze esatte[40]. La subordinazione del giudice alla legge e l’utilizzo di tale strumento garantiscono la certezza del diritto, facendo in modo che il cittadino sappia con esattezza come verrà valutato il suo comportamento[41]. La sentenza diventa un prodotto di pura logica[42].

Lo sviluppo dello schema di giudizio sillogistico fu possibile per le condizioni in cui verteva la società nel sec. XIX, epoca di stabilità economica e sociale e di sostanziale staticità, in cui il diritto poteva ancora essere considerato immutabile[43]. Tuttavia, già sul finire dell’Ottocento, questo strumento, rigido ed astratto, fu sottoposto a serrate critiche. Le profonde trasformazioni sociali ed economiche, prodotto della rivoluzione industriale, crearono consistenti cambiamenti anche in ambito giuridico, rivelando l’inadeguatezza dei codici a far fronte ai problemi nascenti[44]. Le mutate condizioni di vita e gli sviluppi dell’economia diedero origine a nuovi rapporti economici, che necessitavano di tutele differenti. Rispondere all’esigenza di creare nuovi istituti e rapporti giuridici non poteva essere opera facile per un codice costruito su concetti giuridici appartenenti ad un’epoca passata[45]. Ricondurre la prevedibilità delle decisioni ad uno strumento tanto rigido, diventava un prezzo troppo alto da pagare per il caso concreto.

 

 

4. – Il crollo della certezza

 

Una delle critiche più importanti alla struttura logico-deduttiva del ragionamento del giudice e, dunque, alla concezione di prevedibilità come operazione matematica, arriva dalle cosiddette “teorie antiformalistiche” che si svilupparono secondo filoni differenti in Francia, Germania e Stati Uniti. L’idea di fondo è che in ogni ordinamento giuridico vi sia uno spazio vuoto che debba essere colmato dal giudice, attraverso poteri discrezionali che gli permettano di adeguare il diritto ai nuovi bisogni della società[46]. La completezza dell’ordinamento viene messa in discussione. Si ritiene che il diritto statuale debba essere affiancato da un diritto libero prodotto dalle sentenze dei giudici e dalla scienza giuridica[47]. Le ripercussioni di tali correnti teoriche sul principio della certezza del diritto sono catastrofiche[48]. Secondo Jerome Frank, l’operato del giudice è totalmente arbitrario e dipendente da fattori personali; la certezza del diritto è un mito che persiste nonostante la realtà continui a dimostrare il contrario [49]. Non è possibile alcuna previsione delle decisioni giudiziali, poiché esse sono sempre il frutto di considerazioni soggettive e dipendenti dalla personalità del giudice[50].

Le critiche al sillogismo non vennero, tuttavia, solo dagli antiformalisti, ma dagli stessi giuspositivisti, tra cui Hans Kelsen, il quale, dopo aver sostenuto l’impossibilità di procedere ad operazioni logiche con enunciati dal contenuto prescrittivo, ha affermato che “ciò che rende la norma particolare valida, non è il risultato dell’inferenza deduttiva, ma il fatto che il giudice sia autorizzato ad emanarla”[51]. Prevedere un potere creativo in capo ai giudici implica l’irrealizzabilità della previsione del contenuto delle norme individuali, così come la intendeva Kelsen, inducendolo a configurare la certezza del diritto come «un’illusione» che «la teoria giuridica tradizionale coscientemente o incoscientemente si sforza di mantenere»[52].

L’affermazione del carattere costitutivo e non dichiarativo sia delle premesse che, conseguentemente, della stessa conclusione del sillogismo costringono i teorici del ragionamento giuridico ad una nuova visione del processo decisionale. Si ritiene necessario operare una distinzione tra il modo in cui il giudice perviene alla decisione ed il suo risultato, giustificato nella sentenza. Mutuando la classificazione dalla filosofia della scienza[53], Wasserstrom fu il primo, di un lungo seguito, a distinguere tra contesto di scoperta e contesto di giustificazione[54]. Egli tracciò un confine tra le due fasi del ragionamento del giudice, lasciando gli aspetti relativi alla scoperta della soluzione alle scienze cognitive e la giustificazione della decisione della sentenza alle scienze giuridiche[55].

Quali sorti determina la tesi di Wasserstrom per la certezza del diritto? Secondo Barberis, accogliere questa netta differenziazione sorta per contrastare le ragioni delle teorie antiformaliste, vale, tuttavia, ad affermarle indirettamente. Ritenere che le decisioni del giudice nascano da motivi psicologici di qualsiasi genere, rendendo impossibile una loro previsione, sembra, infatti, sposare la tesi che la certezza del diritto sia un concetto privo di fondamento[56].

L’incertezza sembra, così, divenire motivo centrale e dominante di quello che da più autori viene sentito come periodo di crisi del diritto[57].

 

 

5. – Prevedibilità, controllabilità e argomentazione

 

Nuove prospettive per il tema della certezza ci vengono offerte dagli studi sulle teorie dell’argomentazione. A partire dal 1958, infatti, considerato l’anno della svolta “argomentativa”, si sviluppano nuovi studi in materia di ragionamento giuridico, che riaprono il dibattito intorno al tema della certezza[58].

Inizia a farsi strada l’idea, formulata da Perelman, che i ragionamenti pratici (prescrittivi e valutativi) si fondino su una logica argomentativa, costituita da un insieme di tecniche discorsive finalizzate alla persuasione dell’uditorio di riferimento[59]. L’errore, scrive il giurista belga, è stato quello di identificare la logica con la sola logica formale, inadatta quando si discute di opinioni controverse, caratteristica tipica del ragionamento giuridico[60]. Alla deduzione deve, invece, essere affiancata l’argomentazione, che offre al giudice gli strumenti per giustificare la decisione. Di tali strumenti fanno parte sia argomenti propriamente giuridici, già studiati dalla Topica[61], che argomenti applicabili a qualsiasi ragionamento di tipo pratico[62]. Compito del giudice è “la ricerca di una sintesi che tenga conto al tempo stesso del valore della sua soluzione e della sua conformità alla legge”[63]. Tale sintesi deve essere argomentata nella motivazione, che avrà lo “scopo di indicare in che modo la migliore interpretazione della legge, si concilia con la miglior soluzione per il caso di specie[64]”. L’argomentazione, lungi dal creare libero arbitrio, ne consente la sua eliminazione, poiché obbliga chi esprime le ragioni, ad averne nel prendere la decisione[65]. Ed è in questa sintesi che si realizza la certezza del diritto, “che nessun giurista può negare” rappresenti “un valore centrale del diritto”[66]. La certezza, dunque, che lo stesso Perelman definisce come possibilità di “prevedere in modo praticamente soddisfacente le reazioni di chi, giudice o pubblico funzionario, è incaricato di amministrare la giustizia[67]”, inizia ad arricchirsi di un nuovo significato. Certezza diviene non più mera prevedibilità derivante da una deduzione sillogistica, irrealizzabile in ambito giuridico[68], bensì controllabilità della decisione a partire dalle argomentazioni in essa contenute.

Il concetto di controllo acquisisce nuovi contenuti a partire dagli anni Settanta in poi, con l’evoluzione delle teorie dell’argomentazione, che mirano non più al superamento della nozione di argomento logico-deduttivo, come le precedenti, bensì alla ricerca di un’integrazione di nozioni diverse di argomentazione[69]. Un buon argomento, alla luce di tale teoria, sarà quello che rispecchia sia le regole della logica formale (coerenza delle premesse, rispetto delle regole di inferenza), che le regole della razionalità pratica (universalità, coerenza, etc.)[70].

Le nuove teorie dell’argomentazione pratica, lungi dall’essere un’antitesi alla logica[71], costituiscono un allargamento del campo logico[72]. “La logica costituisce lo scheletro del corpo dell’argomentazione umana, la teoria dell’argomentazione ne costituisce la carne”[73]. Tali teorie, infatti, poggiano sulla logica, ma se ne discostano, superandola, dovendo confrontarsi con il mondo reale, fatto di linguaggio dai significati vaghi e non univoci e di tesi in conflitto tra loro[74]. L’approccio monologico della logica formale, ovvero lo studio di argomenti isolati, non è adatto a descrivere la realtà dialogica, basata sul confronto di tesi contrapposte, tipiche del ragionamento giudiziale. La logica formale, che a lungo è stata considerata garanzia di rigore è, in realtà, un di meno rispetto alla logica informale, in relazione ai ragionamenti pratici; mentre la prima si interessa esclusivamente della validità di un ragionamento, intesa come validità sintattica legata alla forma, la seconda aggiunge ad essa una validità semantica, detta anche “truth preserving”, ovvero di conservazione della verità nel passaggio dalle premesse alla conclusione[75]. La logica informale, o argomentativa, si interessa della correttezza di un ragionamento, ovvero della sua validità e della sua verità.

Secondo Alexy, il discorso giuridico è una specie del discorso pratico generale e ne condivide regole e forme argomentative, pur avendone di sue proprie[76]. Il ragionamento giuridico espresso nella motivazione delle sentenze, può essere descritto come forma di comunicazione linguistica che ha luogo in un contesto istituzionale, governato da norme e che avanza una “pretesa di correttezza”[77]. Tale pretesa si realizza con la possibilità di una giustificazione razionale delle decisioni giudiziali, che avviene attraverso l’osservanza sia delle regole specifiche dell’ambito giuridico, che delle regole del discorso universali, valevoli per qualsiasi essere umano, in qualsiasi tipo di comunicazione linguistica[78]. Il controllo delle decisioni dei giudici consiste, secondo il giurista tedesco, nella verifica della correttezza degli argomenti contenuti nella motivazione, che si realizza quand’essi sono il risultato di una procedura razionalmente fondata[79]. Come afferma Alexy, “l’indicazione di regole universali (…) facilita la coerenza della decisione e comporta, quindi, giustizia e certezza del diritto”[80].

In quest’ottica, anche la distinzione tra contesto di scoperta e contesto di giustificazione acquisisce valenza diversa. Il fine, infatti, resta quello di separare due momenti, il processo mentale che giunge alla decisione e il discorso scritto valutabile contenuto nella motivazione[81], tenendo presente, tuttavia, che i processi psicologici del giudice sono orientati dalle strutture teoriche nel quale egli opera[82]. Ogni decisione, in ogni sua fase, è costantemente sottoposta al controllo della giustificabilità della motivazione, non potendo, perciò, definirsi arbitraria. In altri termini, se anche la scelta precede la giustificazione, non può con ciò derivarsi che le due siano indipendenti l’una dall’altra, poiché già dal principio, il giudice dovrà operare una valutazione tra opzioni che possano essere successivamente motivate[83]. Il processo di decisione è, dunque, veicolato e guidato anche dalla successiva giustificazione, che egli dovrà fornire nel momento di rendere conto del suo operato[84].

 

 

6. – Considerazioni conclusive

 

Cosa resta, dunque, di quel “veder chiaro” di Carnelutti oltre sessant’anni dopo? È ancora corretto parlare di certezza come prevedibilità della decisione?

Come si è visto, parlare di “vedere chiaro” nel senso di prevedere in senso stretto, al pari di un’operazione matematica, non è realizzabile in un ragionamento che si sviluppa in una realtà in continuo divenire, dai contenuti incerti e dai predicati vaghi. Questo, tuttavia, non significa affermare che il giudice nel prendere le decisioni proceda attraverso operazioni arbitrarie e discrezionali. In un’ottica argomentativa del diritto, la prevedibilità ex ante delle decisioni giudiziali, lungi dall’implicare il conoscere a priori il contenuto di una sentenza, consiste nella garanzia che questa si realizzi sulla base di un ragionamento condotto all’interno di un sistema giuridico, nel quale operano procedure argomentative razionalmente fondate, retto dalla logica informale.

Questa possibilità è garantita dal concetto di controllabilità delle decisioni, che deve essere affiancato a quello di prevedibilità, attraverso il quale è possibile valutare la conformità delle scelte del giudice, non solo rispetto ai parametri giuridici, ma anche in relazione al caso concreto. Come abbiamo visto infatti, la logica argomentativa valuta, oltre alla validità di un argomento, la sua correttezza in relazione al mondo di riferimento. Una decisione giudiziale potrà essere, dunque, considerata corretta se il giudice, nel ragionamento contenuto nelle motivazioni della sentenza, avrà seguito le regole della cosiddetta “deduzione naturale”[85]; sarà partito da premesse vere, ovvero corrispondenti alla ricostruzione dei fatti; se tali premesse e la conclusione sono collegate concettualmente e semanticamente tra di loro, se sono feconde e hanno forza logica[86].

Lo stesso Carnelutti, pur non esplicitando il concetto di controllabilità, include nella nozione di certezza non solo il “veder prima”, ma anche il “veder dopo”[87], affermando che è nel giudizio che si realizza “il dopo di un prima”: “per essere certi bisogna giudicare[88]”.

La certezza del diritto viene, pertanto, ricondotta alla predeterminazione normativa delle procedure di decisione, alla conoscenza anticipata dei passaggi argomentativi e alla possibilità di verificarne a posteriori la correttezza[89]. La prevedibilità viene intesa in un senso più ampio, ovvero come possibilità di sapere che l’azione verrà giudicata sulla base di procedure razionalmente fondate, che tengano conto sia delle regole del diritto che delle regole del discorso. La certezza del diritto, dunque, non si realizza nella previsione concreta di un fatto, bensì nella delimitazione degli “esiti ragionevolmente possibili” di una decisione giudiziale[90], che avverrà sulla base di un diritto inteso, non “come legge applicata da un giudice”, bensì “prodotto dal giudice entro i limiti di legge”[91]. Partendo da questi presupposti, allora, si potrebbe convenire che anche una decisione giudiziale all’apparenza imprevedibile - come quella che riconosce l’efficacia nel nostro ordinamento all’atto che attribuisce la potestà genitoriale al compagno del padre biologico[92]- potrà essere ritenuta conforme al valore della certezza del diritto, una volta verificati i parametri giuridici e argomentativi in essa contenuti.

 

 

Abstract

 

Current problems at the centre of ethical and legal debate require new thinking regarding the possibility of considering the principle of legal certainty still relevant, in a historical period, the postmodern era, which is dominated by uncertainty and liquidity making difficult to set priorities and benchmarks. In this paper, I will focus on the interpretation that had the greatest consensus among authors who dealt with the concept of legal certainty, which is the ability to foresee Court decisions. My intent is to reconstruct the concept of certainty as predictability, analyzing major legislative changes occurred over the last two centuries.

 

 



 

[Per la pubblicazione degli articoli della sezione “Contributi” si è applicato, in maniera rigorosa, il procedimento di peer review. Ogni articolo è stato valutato positivamente da due referees, che hanno operato con il sistema del double-blind]

 

[1] Sulla differenza tra certezza come valore o come principio vedi GOMETZ G., La certezza giuridica come prevedibilità, Giappichelli, Torino, 2005, 43 ss; GUASTINI G., La certezza del diritto come principio di diritto positivo? (Nota a Corte cost. 101/1986), in Le Regioni, 14, 1986, 1090-1102.

 

[2] BAUMAN Z., Modernità liquida, Laterza, Bari, 2009.

 

[3] Corte App. Trento, sez. I, 23 febbraio 2017, in Diritto e Giustizia, Il quotidiano di informazione giuridica, 1 marzo 2017; Corte Cass., Prima Sez. Civ., n. 19599, 30 settembre 2016 in Diritto e Giustizia, Il quotidiano di informazione giuridica, 3 Ottobre 2016 in materia entrambe di trascrizione di atto di nascita di figlio concepito con fecondazione eterologa (la prima da coppia di padri, la seconda da coppia di madri).

 

[4] FRANK J., Law and modern mind, Peter Smith, Gloucester, 1970, 46.

 

[5] KELSEN H., Lineamenti di dottrina pura del diritto, Einaudi, Torino, 1925, 125.

 

[6] GROSSI P., Ritorno al diritto, Laterza, Bari, 2015, 52.

 

[7] LOPEZ DE OÑATE F., La certezza del diritto, Giuffrè, Milano, 1968; CORSALE M. La certezza del diritto, Giuffrè, Milano, 1970.

 

[8] BOBBIO N., La certezza del diritto è un mito? in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 1951, 146-152,

 

[9] Sulla molteplicità di significati del concetto di certezza del diritto vedi: CORSALE M. La certezza del diritto, cit., 30; ALLORIO E., La certezza del diritto dell’economia, in Il diritto dell’economia, 1956, 1198-1205; LOMBARDI VALLAURI L., Saggio sul diritto giurisprudenziale, Giuffrè, Milano, 1975, 567 ss.; P. COMANDUCCI, R. GUASTINI, L’analisi del ragionamento giuridico, Giappichelli, Torino, 1987, 233-242; LONGO M., voce Certezza del diritto, in Novissimo Digesto italiano, III, Utet, Torino, 1974, 124-129; SCHULZ F., I principi del diritto romano, Le Lettere, Firenze, 1995, 206; L. GIANFORMAGGIO, Certezza del diritto, in EAD., Studi sulla giustificazione giuridica, Giappichelli, Torino, 1986, 157-169; PATTARO E., Temi e problemi di filosofia del diritto, Clueb, Bologna, 1994, 193; JORI M., PINTORE A., Manuale di teoria generale del diritto, Giappichelli, Torino, 1995, 194-198; BERTEA S., Certezza e argomentazione giuridica, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2002, 45; GOMETZ G., La certezza giuridica come prevedibilità, cit., 7; ALPA G., La certezza del diritto nell’età dell’incertezza, Editoriale scientifica, Parma, 2006, 15-16.

 

[10] CARNELUTTI F., Nuove riflessioni intorno alla certezza del diritto, in Discorsi intorno al diritto, vol. II, Cedam, Padova, 1953, 154.

 

[11] ALINEI M., BENOZZO F., DESLI: dizionario etimologico-semantico della lingua italiana: come nascono le parole, Pendragon, Bologna, 2015

 

[12] CARNELUTTI F., Nuove riflessioni intorno alla certezza del diritto, cit., 154.

 

[13] Ivi, cit., 155; sul collegamento dei verbi “cernere” e “certare” vedi MILANI C., Il lessico della guerra nel mondo classico, in SORDI M. (a cura di), Il pensiero sulla guerra nel mondo antico, Vita e pensiero, Milano, 2001, 15. Anonymous, Vocabula Latini Italique Sermonis 1: Ex Auries Et Optimi Scriptoribus Sellecta AC in Dues Libros Distributa., Nabu Press, Firenze, 2012, 52.

 

[14] Ivi, cit., 154.

 

[15] CARNELUTTI F., Nuove riflessioni intorno alla certezza del diritto, cit., 155.

 

[16] Ibidem.

 

[17] Ivi, cit., 50

 

[18] LEVI A., La certezza del diritto in rapporto al diritto di azione, cit., 85.

 

[19] CALAMANDREI P., Non c’è liberta senza legalità, Laterza, Bari, 2013, 11.

 

[20] Lopez dedica un capitolo a quelle che egli definisce “minacce di fatto” della certezza del diritto, ovvero l’oscurità delle norme, la mancanza di semplicità, l’instabilità e l’ipertrofia che comporta anche per l’esperto una notevole difficoltà nel conoscere tutte le leggi. LOPEZ DE OÑATE F., La certezza del diritto, cit., 67-73.

 

[21] Ivi, cit., 48.

 

[22] «La prevedibilità dei comportamenti, cioè della loro valutazione, è il motivo per il quale la legge non ragione di cose particolari e presenti, ma di cose future e generali». Ivi, cit., 50.

 

[23] È quella che Corsale denomina “certezza legale”. CORSALE M., La certezza del diritto, cit., 58.

 

[24] LOPEZ DE OÑATE F., La certezza del diritto, cit., 157 ss.

 

[25] GOMETZ G., La certezza giuridica come prevedibilità, cit., 43 ss.

 

[26] CARNELUTTI F., Nuove riflessioni intorno alla certezza del diritto, cit., 158.

 

[27] Ivi, cit., 159.

 

[28] CAPOGRASSI G., Considerazioni conclusive, in LOPEZ DE OÑATE F., La certezza del diritto, cit., 245

 

[29] «In caso contrario ci si troverebbe di fronte a un’aspirazione, forse nobile e generosa, ma priva della benché minima capacità di sfociare in un’azione costruttiva» LUZZATTI C., L’interprete e il legislatore, cit., 254.

 

[30] Ivi, cit. 246.

 

[31] Il termine “sillogismo” è utilizzato da Aristotele nel senso più ampio di “deduzione”. BERTI E., Guida ad Aristotele, cit., 70. Sul sillogismo vedi BERTI E., La filosofia del primo Aristotele, Cedam, Padova, 1962, 93 ss.; BERTI E., Nuovi studi aristotelici, Morcelliana, Brescia, 2004, 129 ss.; BERTI E., La contraddizione, Città Nuova editrice, Roma, 1977, 10 ss; BONAZZI M. (a cura di), Filosofia antica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2005, 190 ss; CARAMELLA S. - MULLER P., voce Sillogismo, in Enciclopedia filosofica, vol.11, Bompiani, Milano, 2006, 10622 ss.; DONINI P., La filosofia di Aristotele, Loescher, Torino, 1982, 75 ss.; G. RIGAMONTI, L’origine del sillogismo in Aristotele, Manfredi, Palermo, 1980.

 

[32] BECCARIA C., Dei delitti e delle pene, Rizzoli, Milano, 1981, 70.

 

[33] Ivi, cit., 68.

 

[34] Ivi, cit., 69.

 

[35] Vedi GIANFORMAGGIO L., Se la logica si applichi alle norme. In cerca del senso di una questione, in Materiali per una storia della cultura giuridica, vol. XVI, 1986, 473-486. La discussione sulla possibilità di applicare la logica agli enunciati imperativi viene solitamente ricondotta al saggio di Kelsen, “Recht und logic”, ma essa ha origine in realtà circa un trentennio prima, in Danimarca con la pubblicazione di “Imperatives and Logic” di Jørgensen.

 

[36] JØRGENSEN J., Imperativi e logica. 1938 (I), in LORINI G., Il valore logico delle norme, Adriatica editrice, Bari, 2003, 205. Jørgensen sottolinea che, nonostante la definizione comunemente accettata di inferenza logica affermi che possono costituire premesse e conclusione di un ragionamento logico solo gli enunciati suscettibili di essere veri o falsi, tuttavia è evidente che si possa trarre una conclusione imperativa, laddove una delle premesse è essa stessa imperativa.

 

[37] Vigente il pluralismo delle fonti, il giudice aveva ampia libertà di scelta per la risoluzione del caso concreto: poteva ricorrere all’equità, poteva riferirsi alla consuetudine o alle direttive emanate dai giuristi, non essendo vincolato all’utilizzo di norme che emanassero dall’organo legislativo dello Stato. BOBBIO N., Il positivismo giuridico, Giappichelli, Torino, 1996, 17.

 

[38] BARBERIS M., Cosa resta del sillogismo giudiziale? Riflessioni a partire da Beccaria, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 1, giugno 2015, 9.

 

[39] CANALE D., Il ragionamento giuridico in PINO G., SCHIAVELLO A., VILLA V. (a cura di), Filosofia del diritto. Introduzione critica al pensiero giuridico e al diritto positivo, Giappichelli, Torino, 2013, 323.

 

[40] Ivi, cit., 324.

 

[41] BOBBIO N., Il positivismo giuridico, cit., 31.

 

[42] CALAMANDREI P., Processo e democrazia, cit., 57.

 

[43] Ivi, cit., 188.

 

[44] FARALLI C., Il diritto alla certezza nell'età della decodificazione, in AA.VV., Scritti giuridici in onore di Sebastiano Cassarino, Cedam, Padova, 2001, 623-634.

 

[45] FASSÒ G., Storia della filosofia del diritto, vol. III Ottocento e Novecento, Laterza, Bari, 2003, 17.

 

[46] FARALLI C., Le grandi correnti della filosofia del diritto, Giappichelli, Torino, 2011, 69.

 

[47] KANTOROWICZ H., La lotta per la scienza del diritto, Sandron, Milano, 1908, passim.

 

[48] Lopez ritiene tali correnti come minacce teoriche alla certezza del diritto, «che si propongono proprio di scalzare questa certezza, che considerano non come un valore ma come un disvalore, nell’esperienza giuridica e nel mondo sociale» LOPEZ DE OÑATE F., La certezza del diritto, cit., 81.

 

[49] FRANK J., Law and modern mind, cit., 46.

 

[50] Sul punto vedi FARALLI C., Il diritto alla certezza nell'età della decodificazione, cit., 630.

 

[51] KELSEN H., Teoria generale delle norme, Einaudi, Torino, 1979, 378.

 

[52] KELSEN H., Lineamenti di dottrina pura del diritto, cit., 125. Sull’evoluzione del concetto di certezza del diritto e prevedibilità in Kelsen vedi GOMETZ G., La certezza giuridica come prevedibilità, cit., 55 ss.

 

[53] Si parla di “contesto di invenzione o scoperta”, intendendo quei processi tramite i quali gli scienziati pervengono all’invenzione di ipotesi o teorie e “contesto di validazione o giustificazione”, riferendosi alle operazioni con cui vengono controllate e convalidate o meno le ipotesi scoperte. SCARPELLI U., L’etica senza verità, Il Mulino, Bologna, 1982, 280.

 

[54] Un’interessante critica sulla distinzione tra contesto di scoperta e contesto di giustificazione si ritrova in MAZZARESE T., Forme di razionalità delle decisioni giudiziali, Giappichelli, Torino, 1996, 105 ss.

 

[55] WASSERSTROM R., The judicial decision. Toward a theory of Legal Justification, Stanford University Press, Stanford, 1961, in ATIENZA M., Diritto come argomentazione. Concezioni dell’argomentazione, Editoriale scientifica, Napoli, 2012, 98.

 

[56] BARBERIS M., Cosa resta del sillogismo giudiziale?, cit., 171.

 

[57] LOPEZ DE OÑATE F., La certezza del diritto, cit., 40; CARNELUTTI F., La crisi del diritto, in ID., Discorsi intorno al diritto, cit., 65 ss.

 

[58] Il 1958 è l’anno in cui viene pubblicato il “Trattato dell’argomentazione” di Perelman e Olbrechts-Tyteca.

 

[59] PERELMAN C., La temporalità come carattere dell’argomentazione, in Il campo dell’argomentazione. Nuova retorica e scienze umane, Pratiche Editrice, Parma, 1979, 22.

 

[60] PERELMAN C., OLBRECHTS-TYTECA L., Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, Torino, 2001, passim.

 

[61] Perelman non si sofferma su questo aspetto, probabilmente perché siamo in presenza di una tradizione più consolidata, si limita perciò a rimandare ad un elenco di tredici argomenti che trae da uno scritto di Tarello, al quale anche qui si rinvia. TARELLO G., I ragionamenti dei giuristi tra teoria logica e teoria dell’argomentazione, in ID, Diritto, enunciati e usi. Studi di teoria e metateoria del diritto, Il Mulino, Bologna, 1974, 425.

 

[62] Un elenco di tali strumenti è contenuto nel Trattato di argomentazione, nella parte terza rubricata “tecniche argomentative”. PERELMAN C., OLBRECHTS-TYTECA L., Trattato dell’argomentazione, cit., 197 ss.

 

[63] PERELMAN C., Logica giuridica. Nuova retorica, Giuffrè, Milano, 1979, 136.

 

[64] Ivi, cit., 206.

 

[65] Ivi, cit., 231.

 

[66] Ivi, cit., 137.

 

[67] Ibidem.

 

[68] Perelman parla di finzione sillogistica inadatta a motivare una sentenza. Ivi, cit., 235.

 

[69] Alexy, Peczenik, Aarnio e MacCormick, sono gli autori di questo nuovo filone di studi, denominato “teoria standard dell’argomentazione”. Vedi AARNIO A., ALEXY R., PECZENIK A., I fondamenti del ragionamento giuridico, in COMANDUCCI P., GUASTINI R., L’analisi del ragionamento giuridico. Materiali ad uso degli studenti, vol. I, Giappichelli, Torino, 1987; ATIENZA M., Diritto come argomentazione. Concezioni dell’argomentazione, Editoriale Scientifica, Napoli, 2012, 62.

 

[70] ATIENZA M., Diritto come argomentazione., cit., 63.

 

[71] Perelman postulava l’esistenza di due logiche, l’una per i giudizi teorici l’altra per i giudizi pratici. PERELMAN C., Il dominio retorico. Retorica e argomentazione, Einaudi, Torino, 1981, 5.

 

[72] D’AGOSTINI F., Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Bollati Boringhieri, Torino, 2010, p. 35.

 

[73] CATTANI A. 50 discorsi ingannevoli. Argomenti per difendersi, attaccare, divertirsi, edizioni GB, Roma, 2011, 30.

 

[74] D’AGOSTINI F., Verità avvelenata, cit., 37.

 

[75] Ivi, cit., 33.

 

[76] ALEXY R., La teoria dell’argomentazione giuridica, Giuffrè, Milano, 1998, 170.

 

[77] Ivi, cit., 11.

 

[78] Ivi, cit., 175.

 

[79] Ivi, cit., 245.

 

[80] Ivi, cit., 182. Corsivo mio.

 

[81] TARUFFO M., Controllo di razionalità della decisione, in BESSONE M. (a cura di), L’attività del giudice. Mediazione degli interessi e controllo delle attività, Giappichelli, Torino, 1997, 151.

 

[82] SCARPELLI U., L’etica senza verità, cit., 282.

 

[83] Ibidem.

 

[84] Ibidem.

 

[85] D’AGOSTINI F., Verità avvelenata, cit., 71.

 

[86] Ivi, cit. 40.

 

[87] CARNELUTTI F., La certezza del diritto, in Id, Discorsi intorno al diritto, cit., 18.

 

[88] CARNELUTTI F., Nuove riflessioni intorno alla certezza del diritto, cit., p. 160.

 

[89] BERTEA S., Certezza e argomentazione giuridica, cit., 299.

 

[90] Ivi, cit., 303

 

[91] BARBERIS M., Cosa resta del sillogismo giudiziale?, cit., 176.

 

[92] Corte App. Trento, sez. I, 23 febbraio 2017, in Diritto e Giustizia, Il quotidiano di informazione giuridica, 1 marzo 2017.