Monografie

 

 

 

Prefazione (pp. XI-XIV) a AA.VV., I sentieri del giurista sulle tracce della fraternità. Ordinamenti a confronto, a cura di ADRIANA COSSEDDU, Torino, G. Giappichelli Editore, 2016, XXVI-240 pp. – ISBN/EAN 978-88-921-0399-3

INDICE

 

 

 

Goria-1Fausto Goria

Università di Torino

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Prefazione

 

 

Questo libro interessa a coloro che sul diritto si pongono delle domande diverse dalla correttezza formale della sua produzione, interpretazione e applicazione, o anche dal tipo di interessi che le singole norme tutelano. In esso si tenta infatti di verificare quali possano essere i valori – oltre a quello del puro e semplice ordine – che riescano a dare al diritto un senso, uno scopo da raggiungere, e alla luce dei quali verificare non solo l’opportunità di singole norme astratte, ma anche la qualità del loro funzionamento nel concreto delle relazioni umane. È chiaro che la ricerca di tali valori, che dovrebbero essere riconosciuti nelle varie culture e idonei ad orientare le relazioni in un mondo globalizzato, richiede una determinata concezione antropologica dell’essere umano. Benché questo punto venga esaminato nel libro solo episodicamente, mi pare che si possa dire che i singoli saggi, al di là di più o meno marginali differenze tra i loro autori, presuppongano una concezione di tipo personalistico, quanto meno nel senso di ritenere che l’essere umano riconosca la propria identità e la sviluppi solo nel rapporto con le altre persone. Tale rapporto normalmente è configurabile anche sotto forma giuridica, il che conferisce al diritto uno spiccato carattere di relazionalità, il quale è accresciuto dal fatto che il diritto stesso si presenta come una comunicazione, rivolta ai singoli componenti, da parte del gruppo o dei gruppi a cui essi appartengono.

Ora, due valori che nel corso della storia umana hanno inciso fortemente sulla qualità delle relazioni umane e sulla loro disciplina giuridica, presentandosi in determinati luoghi ed epoche come principali obiettivi a cui il diritto doveva tendere, sono stati quelli della libertà e dell’eguaglianza. Essi in età moderna sono stati proposti con particolare energia ed efficacia dalla rivoluzione francese, la quale, forse con minore energia e certo con minore efficacia, vi ha affiancato quello della fraternità (che anch’esso ha dietro di sé una lunga storia sociale e giuridica, proprio al di fuori delle relazioni tra consanguinei). Ciò sarebbe sufficiente per stimolare riflessioni sulla possibilità di dare concretezza, anche nel campo giuridico, a tale concetto. Ma vi è dell’altro.

Dopo l’ultimo conflitto mondiale la fraternità è stata citata in alcune carte costituzionali (come quella francese, portoghese, brasiliana, ma non solo), mentre altre (come quella italiana, quella spagnola e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) fanno riferimento al valore, simile ancorché non identico, della solidarietà; soprattutto, essa è stata indicata come supremo criterio regolatore dei rapporti interumani dai rappresentanti degli Stati che il 10 dicembre 1948 approvarono la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 1). L’immane catastrofe bellica, che aveva coinvolto buona parte della popolazione del pianeta, aveva fatto nascere l’esigenza di una nuova proclamazione dei diritti dell’uomo e di un criterio che ne determinasse l’uso e il rispetto. Il nesso tra fraternità e diritti umani è importante, anche per evitare che la prima possa essere richiamata quale valore di un gruppo ristretto, con l’intenzione di escluderne coloro che non vi appartengono. Difatti, forse non a caso numerose costituzioni (come quella belga, quella finlandese, quella irlandese e la legge fondamentale tedesca), evitano tale termine e preferiscono richiamare l’attenzione sulla dignità umana e sui diritti che ne discendono. Orbene, la Dichiarazione universale del 1948 mostra che non v’è contraddizione tra i due orientamenti e che il concetto di fraternità, se inteso in senso universale e non particolare, comporta appunto il rispetto della dignità e dei diritti umani di ciascuno. Ma per questo non bastava il richiamo all’eguaglianza tra le persone? Quali prospettive più ampie aprono i concetti di fraternità, o di solidarietà, o altri simili come quello più recente di “prossimità”?

I saggi contenuti nel presente volume tentano alcune risposte: anzitutto, tali valori, orientando ogni soggetto a un approccio positivo verso un’altra persona, indipendentemente dal tipo di rapporto umano e giuridico che li coinvolge, contribuirebbero a dare effettività al rispetto dell’altrui dignità (mentre ad esempio il fatto che l’altro in questo momento sia mio avversario o mi abbia fatto un torto può suscitarmi il dubbio se io debba considerarlo eguale a me); da essi può infatti trarsi la convinzione che in ogni singolo essere umano abiti tutta l’umanità. In secondo luogo, i valori citati, quand’anche non si possa sostenere per ogni ordinamento l’esistenza di un “diritto alla fraternità” o “alla solidarietà”, sarebbero idonei a giustificare i cosiddetti diritti a titolarità diffusa (o diritti umani “di terza generazione”), quali quello alla pace, allo sviluppo, a un ambiente sano ecc. Si tratta, come si vede, di doveri e responsabilità che gravano sui poteri pubblici, ma anche per la sua parte su ogni singolo soggetto, e che tutelano interessi che non appartengono solo alle generazioni presenti, ma anche a quelle future. Secondo un’altra tesi qui sostenuta, poi, solo la fraternità sarebbe in grado di dare concretezza e continuità al valore della “sostenibilità” estendendolo, dall’ambito economico e ambientale, ad abbracciare tutto il sistema delle relazioni umane in un certo luogo. Anzi, si potrebbe sostenere, con prospettiva tutta da esplorare, che sia la relazione stessa fra le persone – anziché i rispettivi interessi – a costituire il vero oggetto della tutela giuridica; il gruppo di appartenenza sarebbe quindi concepibile come una rete di relazioni, al punto che anche il principio di legalità dovrebbe essere inteso in senso sostanziale, come tendente a garantire una convivenza sollecita verso ogni persona. In tale contesto, la fraternità costituirebbe un richiamo a tener conto in modo equilibrato delle differenze e identità di singoli o gruppi minori. Mentre altre riflessioni sono più legate ai dati positivi di singoli ordinamenti (soprattutto le Costituzioni francese, italiana, brasiliana, o il sistema penale, in base a spunti tratti da quello italiano), merita porre in evidenza un problema che forma oggetto di discussione in Paesi di common law: se dal dovere di alterum non laedere si possa desumere una responsabilità di colui che, conoscendo una situazione di pericolo e potendo intervenire in aiuto, non l’abbia fatto, con danno conseguente per il soggetto che in tale situazione versava.

Come si vede, le vie che il giurista può percorrere per dare concretezza al valore della fraternità o a quelli ad esso affini sono molteplici, ma faticose, e richiedono anzitutto esempi vissuti di tali valori e un consenso sociale intorno ad essi, che naturalmente di tanto potrà crescere, di quanto si diffonda una cultura adeguata. Ciò vale anche per la comunità internazionale che, nonostante la Dichiarazione del 1948 e nonostante l’apertura di essa a soggetti diversi dalle singole entità statali e più sensibili a riconoscere valori universali, resta condizionata dagli interessi degli Stati e dalla politica di potenza che ne consegue. Tuttavia, fa bene sperare l’affermarsi della concezione dell’unità della “famiglia umana” (come mostrano ad esempio espressioni quali: “crimini contro l’umanità”, “patrimonio comune dell’umanità”), come titolare di interessi comuni e superiori a quelli delle diverse unità statali.

Non meno interessanti dei precedenti sono due saggi che, anziché riferirsi ai valori più o meno riconosciuti e da concretizzare nei vari ordinamenti (compreso quello internazionale) propongono un modello di analisi teorica dei singoli rapporti giuridici, con una prima e ancora generica applicazione a quelli contrattuali. Qui la parola chiave, prima che “fraternità”, è “giustizia”, ma non si tratta di una teoria della giustizia. Si dà invece per scontato che obiettivo del diritto sia favorire l’instaurazione di rapporti “giusti” e che questo, almeno nel diritto privato, sia anche il desiderio delle parti. La valutazione del singolo rapporto dovrebbe prendere in considerazione sia il modello di esso nella prassi sociale, sia la normativa che lo regola (ovvero il “modello giuridico”), sia il comportamento delle parti nel suo svolgimento, sia l’esito di esso, con il suo maggiore o minore grado di giustizia (qualunque cosa si intenda con questo termine). Naturalmente, l’esito dipenderà in maniera più o meno accentuata dai tre aspetti precedenti e a sua volta influirà sulla prassi sociale successiva e, se largamente diffuso, anche sulla normativa. L’inserimento della fraternità/solidarietà in questo schema può avvenire a livello sia della prassi sociale, sia della normativa, sia del comportamento delle parti. Supponendo che ciò sia avvenuto nel primo o nell’ultimo dei tre aspetti citati, e supponendo che l’esito di giustizia sia più soddisfacente che in altri casi, se ne potrebbero trarre indicazioni per il progresso del diritto.

Tale schema di analisi, immediatamente applicabile da un giudice di common law (mentre quello continentale dovrà districarsi all’interno dei vincoli normativi del proprio ordinamento), consente la rilevazione di dati empirici dei quali i giuristi potranno valutare l’importanza al fine di svolgere ulteriori riflessioni, ma soprattutto permette di cogliere la rilevanza dei singoli comportamenti individuali nel dar forma alle relazioni che qualificano il gruppo sociale di riferimento; permette inoltre di seguire la trasformazione di prassi in vere e proprie consuetudini e di provocare, o direttamente o tramite una fonte autoritativa formale, mutamenti nel diritto; in sostanza, pone in rilievo il nesso tra il modo di agire dei componenti di un gruppo e la totalità dello stesso, superandone la tendenziale separazione nel discorso giuridico. Ciò non è senza effetti sulla concezione della fraternità o dei valori ad essa affini, perché lo schema indicato offre una via per misurarne concretizzazione e diffusione, prefigurando per essi un’affermazione e uno sviluppo non molto dissimile da ciò che, nell’ambito del diritto privato, è avvenuto per quello di “buona fede” partendo dal diritto romano fino alle codificazioni moderne.

Va da sé che tutte le prospettive e le tematiche indicate possono suscitare ulteriori approfondimenti o anche accese discussioni, ma questo è proprio lo scopo di un volume come il presente.