Memorie-2017

 

 

http://www.dirittoestoria.it/7/CV/Cardilli-CV-D@S-2008_file/image002.jpgRiccardo Cardilli

Direttore del Centro Studi Giuridici Latinoamericani dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

Professore Chutian dell’Università Zhongnan di Wuhan - Cina

 

INDEBITAMENTO DEGLI ANTICHI E INDEBITAMENTO DEI MODERNI

PER UN SUPERAMENTO DELLE PROSPETTIVE GIURIDICHE CONTEMPORANEE DI GESTIONE DEL DEBITO ESTERO DEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO *

print in pdf

 

Sommario: 1. Indebitamento degli antichi. – 2. Indebitamento dei moderni. – 3. Le possibili strade per una soluzione pacifica. – 4. Importanza di una precisazione del quadro regolativo di riferimento del debito estero e di una giurisdizione sovranazionale.

 

 

1. – Indebitamento degli antichi

 

Sane vetus urbi fenebre malum. Con tale perentorio ed efficace incipit, Tacito, nei suoi annales (VI.16.1-2)[1], introduce il problema dei debiti quale creberrima causa di seditiones discordiaeque in Roma antica. L’oppressione per debiti della plebe romana da parte del patriziato realizzatasi nella forma del nexum è problema risalente all’età pre-decemvirale e causa della prima secessione plebea (494 a.C.). Il problema del debito, come causa di conflitto sociale tra gli ordini a Roma, dà forza ed innesta la prima espressione di una fondamentale forma di lotta plebea, quella della secessione, con la quale i plebei danno forza ed esprimono nella concretezza della storia il fondamentale ed inalienabile diritto di ‘resistenza’ del debitore nei confronti dei creditori[2].

Il risultato politico-giuridico della prima secessione non risolverà il problema dell’indebitamento, ma determinerà il riconoscimento dell’istituzione tribunizia come limite all’imperium dei consoli patrizi[3].

Saranno per Tacito le XII Tavole (451-450 a.C.) a fissare un limite degli interessi pecuniari sui prestiti di 1/12 l’anno (ca. 8,34%)[4]. Va accentuato il fatto che in Tacito non emerge alcun tentennamento giuridico-morale nel qualificare il fenomeno in termini di malum (da contrapporre al bonum, elemento essenziale del giuridico nella prospettiva romana secondo i giuristi Celso e Ulpiano, e confermato dall’imperatore romano Giustiniano all’inizio dei Digesta; D. 1.1.1 pr.)[5]. La qualifica di Tacito è la chiave storiografica dello svolgimento che lo storico fa delle leggi romane antiusura, inserito nella lotta plebea contro il patriziato e che giunge al divieto assoluto delle usurae nel plebiscito Genucio del 342 a.C., divieto al quale si opporrà il senato[6].

La politica antiusura dei Romani si espande anche a costumi commerciali, come quelli ellenistici, nei quali il prestito ad interessi esorbitanti era ampiamente praticato e senza limiti giuridici efficaci, utilizzandosi in quell’area culturale schemi giuridici quali le syngraphae, contratti scritti caratterizzati dalla forma, che permettevano di celare l’enorme tasso di interessi nella somma da restituire nella falsa dichiarazione del ricevimento in prestito della somma totale (inclusiva del capitale e degli interessi) nell’atto scritto. Non è un caso se tali operazioni e usi finanziari ellenistici per i romani fossero da vietare a Roma (lex Gabinia del 67 a.C. o del 58 a.C.) e fossero considerati una pactio contra fidem veritatis (Ps. Asc. in Verr. 2.1.36.91), da ritenersi estranea al diritto comune di tutti gli uomini (ius gentium) ed espressione esclusiva di un ius peregrinorum (Gai. 3.133)[7].

La iurisdictio peregrina di grandi governatori romani, come Quinto Mucio Scevola in Asia, al più tardi nel 94 a.C., e Cicerone in Cilicia nel 51 a.C. si mostrerà coerente a questa concezione tipicamente romana, rigorosa nel combattere il fenebre malum, anche quando a praticarlo siano i pubblicani romani contro le città libere d’oriente, sancendosi negli editti provinciali il rispetto inderogabile del principio di buona fede anche nei negozi finanziari (Cic. ad Att. VI.1.60)[8].

La lotta all’usura è storicamente una delle forze caratterizzanti la costruzione della res publica Romana[9], orientandosi, come visto, dapprima a porre limiti legislativi all’avidità dei feneratores e, poi, con la lex Poetelia Papiria del 326 a.C. a modificare le rigide conseguenze personali del nexum che caratterizzavano la forma giuridica dell’indebitamento plebeo nei confronti del patriziato in termini di immediata responsabilità del nexus e sua eventuale soggezione alla diretta manus iniectio in caso di mancata restituzione. Non è casuale che per Livio con tale legge si realizza un aliud initium libertatis per la plebe[10].

Il simbolo della resistenza plebea che si caratterizza come lotta all’usura e fonte di numerosi secessioni è un concreto modello storico-giuridico diretto chiarire come la domanda di partecipazione politica sia vana, se non si accompagna ad un riequilibrio in termini di giustizia delle disparità socio-economiche.

Importante è anche l’affermazione di Catone il Censore, ora nel suo de agri cultura: Praef. I: Maiores nostri sic habuerunt et ita in legibus posiverunt, furem dupli condemnari, feneratorem quadrupli; quanto peiorem civem existimarent feneratorem quam furem, hinc licet existimare. La testimonianza è la prova di una considerazione del faenerator quale peggiore cittadino del ladro, confermando la qualifica in termini di malum del fenomeno presente in Tacito e riflettendo bene il distacco della concezione romana da quella odierna[11]. L’accostamento –  ideologicamente significativo –  che Catone fa tra il fur ed il faenerator, orientato a stigmatizzare la posizione del secondo, è fondato sul confronto tra la pena della duplio applicata al fur nec manifestum (tab. VIII.16) e quella del quadruplo applicata al faenerator. Un tale accostamento è concretamente individuabile nella tradizione legislativa arcaica soltanto nel corpus delle XII Tavole.

Una tradizione così radicata nella cultura romana trova conforto nella rigorosa concezione giuridica dell’usura pecuniae come realtà convenzionale ed artificiale, e non quale naturale reddito (‘frutto’ civile) dell’uso del denaro che altri ne faccia, come nella concezione contemporanea.

D’altronde l’attrazione tutta moderna dell’usura nei contenuti possibili e leciti di un’obbligazione contrattuale è la conseguenza della forte distorsione ideologico-concettuale impressa al diritto romano dalla rilettura pandettistica nell’ottocento in Germania, che ha realizzato una ricostruzione dello schema del debito/obbligazione quale struttura giuridica di diseguaglianza (dove si svilisce la doverosità giuridica del debitore e si accentua la finzione di un potere del creditore) e con una forte caratterizzazione patrimonializzante dei rapporti tra gli esseri umani[12]. 

L’usura nei romani non assume, poi, quella configurazione naturalistica del frutto della prospettiva moderna ed abbisogna di cause giustificative tipiche che la giustifichino giuridicamente per essere ammessa, in base alla regola enucleata da Quinto Mucio Scevola il pontifex maximus: usura pecuniae in fructu non est (Pomp. l. VI ad Q. Mucium D. 50.16.121)[13].

Si tratta di una mentalità giuridica e di una prospettiva espresse dalla grande cultura giuridica romana che è da monito e da elemento critico di svelamento dell’ideologia giuridica contemporanea per la quale gli interessi pecuniari sarebbero, invece, il naturale frutto dell’uso e del godimento del danaro, attraverso l’occhiale economico distorto dell’interesse pecuniario quale reddito di capitale[14]. È coerente (e quindi tanto più aberrante) al quadro concettuale moderno, nel quale l’economia mondiale è fondata sulla forma economica del capitale finanziario, che i redditi del capitale finanziario – diventati l’unico vero obiettivo del capitale stesso –  assumano la forma giuridica dell’interesse pecuniario oggetto di un debito, il quale si presenta quale bene giuridico patrimoniale.

Tale enorme salto concettuale si deve alla scienza giuridica tedesca del secondo ottocento che legittima, anche nel discorso giuridico, le teorie economiche che mano a mano pongono il capitale monetario come strumento naturale di produzione di profitti. Non sfugge che una tale prospettiva, che caratterizza la visuale contemporanea, fa da velo alla profonda carica immorale ed antigiuridica della liceità dell’oggetto di un debito esclusivamente caratterizzato dagli interessi pecuniari sul prestito ricevuto, rendendo la percezione di un surplus pecuniario sul prestito quale ‘naturale’ corrispettivo del godimento del danaro prestato. 

Lo svelamento della carica ideologica del contemporaneo modo di qualificare e giustificare gli interessi pecuniari come oggetto percepito dalla modernità in ogni caso lecito di un debito assunto, dovrebbe anche permettere di riconsiderare criticamente la questione che ad essi si è venuta collegando nei rapporti internazionali nel XX e ora nel XXI secolo, dell’indebitamento dei Paesi in Via di Sviluppo, per contrastare la tenuta di una unilaterale chiave di lettura del fenomeno, ponendosi al fianco della dominante linea interpretativa possibili strade che permettano di risolvere il problema perseguendo obiettivi giuridici di pacificazione nei rapporti tra popoli.

Il discorso giuridico sul debito estero (ma considerazioni analoghe possono farsi sul fenomeno dell’indebitamento nel mercato interno di un singolo paese delle classi meno abbienti) parte, infatti, dalle premesse ideologiche sopra ricordate e collegandovi alcuni principii del diritto (internazionale pubblico e privato), quali il principio pacta sunt servanda e quello del genus numquam periit, ritiene di poter concludere che il problema del debito estero, per come è stato formalizzato negli accordi internazionali tra paesi e tra paesi e enti internazionali privati e pubblici, impone una sua interpretazione formalistica nella direzione del rispetto degli impegni assunti dai paesi debitori, anche quando tale rispetto possa condurre ad intaccare le condizioni minime di vita dei cittadini del paese debitore e possa indebolire la stessa capacità di autonomia decisionale nelle scelte di politica economica pubblica di quel paese[15]. Di qui la via tentata di schemi giuridici rimessi alla buona volontà dei creditori, quali la remissione dell’intero debito o di una sua parte, la sua rinegoziazione e la possibilità di forme di liberazione dal debito che non portino alla totale esclusione del paese moroso dall’accesso a nuove risorse finanziarie internazionali[16].

A mio avviso queste strade, pur degne di grande attenzione, devono essere accompagnate da una riflessione più profonda sulla illegittimità delle forme moderne di indebitamento dei PVS, che possano ribaltare la visuale di consueto applicata, venendosi a considerare il pagamento già effettuato di enormi quantità di danaro in termini di interessi sui prestiti quale pagamento di un indebito e quindi suscettibile di una pretesa di restituzione da parte degli stessi Paesi debitori nei confronti dei Paesi o enti creditori[17].

 

 

2. – Indebitamento dei moderni

 

Mi sembra proficuo contrapporre, per una esatta ricostruzione giuridica del fenomeno dell’indebitamento come ‘male’ giuridico (nazionale ed internazionale) al quale bisogna porre rimedio per salvaguardare la pace nella comunità (statuale e internazionale), l’indebitamento dei moderni e l’indebitamento degli antichi.

La moderna costruzione giuridica dello Stato come organizzazione politica protagonista della scena internazionale, a fronte della debolezza di organizzazioni politiche di natura soprannazionale, ha caratterizzato la forma moderna di indebitamento quale debito estero dei Paesi in Via di Sviluppo (d’ora innanzi PVS) nei confronti degli Stati con economie avanzate e delle organizzazioni finanziarie internazionali come l’International Monetary Fund e la World Bank che ne sono espressione. Gli schemi giuridici sui quali si è fondato questo debito estero dei PVS sono quelli del trattato internazionale e dell’obbligazione pecuniaria assunta in base ad accordi internazionali. Di qui l’esclusiva prospettiva dell’applicazione dei principi di diritto internazionale e di diritto privato del pacta sunt servanda e del genus numquam perit, dai quali è conseguita una condizione di soggezione dei PVS prolungata nel tempo e condizionante anche le scelte politiche degli stessi[18].

Significativi, al riguardo, gli approfondimenti operati da parte della dottrina, rispetto al c.d. debito odioso[19], nel quale la scissione giuridica tra chi ha il potere di assumere il debito e chi ne è in concreto responsabile, riflette in materia la distinzione giuridica tra governanti e governati, facendo assumere al fenomeno la caratteristica di una responsabilità del rappresentato per l’operato del rappresentante[20]. Ciò non è senza ricadute inaccettabili per i popoli coinvolti nel fenomeno, evidenziandosi l’incidenza delle conseguenze negative della configurazione giuridica moderna sulla dignità degli esseri umani coinvolti[21].

Sebbene quindi la chiave ideologica attuale tenda a spostare su un piano esclusivamente patrimoniale la questione del debito estero dei PVS e della credibilità internazionale degli stessi, la realtà del fenomeno evoca, in chiave di soggezione dei popoli debitori ai paesi creditori, una chiave di lettura più significativa, quella che può chiamarsi una forma moderna di ‘schiavitù’ internazionale per debiti[22]. L’accostamento assume ulteriore rilievo nel fatto che – a differenza dell’antico istituto del nexum, poi finalmente abrogato nel 326 a.C. onel 313 a.C., come forma giuridica dell’indebitamento plebeo a Roma e del più raffinato schema dell’obbligazione romana – nell’indebitamento internazionale dei moderni vi è, ad aggravare la situazione, la scissione tra soggetto che assume il debito (governi) e soggetto ne risponde (popoli), determinandosi una vera e propria responsabilità per il fatto del terzo.

Di fronte all’indebitamento dei suoi membri, la plebe espresse nella realtà della storia una forma di resistenza alla forza politica ed economica dei patrizi, realizzatasi con la secessione, attraverso la quale alla negazione patrizia di una reale partecipazione plebea in chiave di eguaglianza alla comunità dei cittadini veniva contrapposto il fondamentale ed inalienabile diritto di opporsi a tale forza di soggezione imposta dall’indebitamento, individuando nell’istituzione tribunizia lo strumento politico-giuridico più efficace per la realizzazione, in chiave di potere oppositivo all’imperium dei consoli patrizi, degli obiettivi di eguaglianza nella civitas.

L’oblio dell’istituzione tribunizia quale strumento politico costituzionale di riequilibrio delle dinamiche politiche, economiche e sociali nel diritto moderno e nell’ordine giuridico internazionale delle situazioni di diseguaglianza non fa presagire una soluzione pacifica dell’attuale fase di strapotere della usurocrazia e dell’insostenibile peso rappresentato dall’indebitamento estero dei PVS.

 

 

3. – Le possibili strade per una soluzione pacifica

 

Possono indicarsi alcune possibili strade proposte.

 

a) Soluzione etico-giuridica. – Partendo dalla esclusiva impostazione della tradizionale questione del debito in chiave di principii inderogabili di natura consuetudinaria del diritto internazionale (pacta sunt servanda), si è cercata una soluzione del problema rimessa alla buona volontà dei paesi o degli enti internazionali creditori, con meccanismi di unilaterale concessione, quali moratorie, rateizzazioni e remissioni parziali del debito, al fine di alleviare il peso dello stesso sui paesi debitori[23]. Tale soluzione è chiaramente condizionata a monte dalla buona volontà dei creditori che spesso non sembrano particolarmente sensibili a dinamiche che non siano orientate verso il profitto e appare nel quadro di crisi economica che ha investito i paesi sviluppati di difficile realizzazione.

 

b) Soluzione geopolitica. – È la strada, dapprima proposta e poi realmente realizzata, diretta a creare nuovi enti finanziari internazionali che si propongano di diventare una concreta alternativa all’IMF e alla World Bank. Le più interessanti iniziative sono la Banca di sviluppo dei Paesi BRICS e la nuova Banca asiatica di investimento per le infrastrutture. In particolare, l’esempio della Asian Infrastructures International Bank, con sede a Pechino e che, con l’obiettivo di creare una rete infrastrutturale senza precedenti dalla Cina all’Europa, col progetto cinese One Belt One Road dapprima ed ora, ampliatosi enormemente, nell’iniziativa Belts and Roads, ne è una concreta manifestazione[24].

 

c) Soluzione giuridica. – È la strada tentata da un gruppo di giuristi europei e latinoamericani attenti e sensibili al problema del debito estero dei PVS, che dapprima hanno discusso in una serie di Congressi internazionali il problema e poi hanno individuato un quadro giuridico regolativo del problema in una prospettiva sovranazionale e lo hanno fissato per iscritto nella Carta di Sant’Agata dei Goti (29 settembre 1997), enucleando i principii generali del diritto e le regole comuni che devono essere applicate per risolvere il problema del debito estero dei PVS[25].

A ciò si è poi accompagnata l’iniziativa italiana e di altri Paesi, membri dell’ONU, di presentare all’Assemblea una richiesta di Parere consultivo della Corte dell’Aja affinché si esprima a sua volta su quali siano i principi regolativi il problema del debito estero internazionale.

 

 

4. – Importanza di una precisazione del quadro regolativo del debito estero e di una giurisdizione sovranazionale

 

A prescindere dalle strade tutte meritorie sopra indicate, ritengo utile in questa sede segnalare la questione della necessità di una giurisdizione sovranazionale che permetta di superare l’esclusivo modello dell’arbitrato internazionale al fine di risolvere il problema del debito estero dei PVS.

Fino a quando, cioè, si conserverà il modello di soluzione di controversie dei conflitti nascenti dagli accordi internazionali di finanziamento in termini di arbitrato internazionale, infatti, il rischio che non si riesca a evidenziare la complessità del problema e si rimanga ancorati agli esclusivi principii pacta sunt servanda e genus numquam perit potrebbe non soltanto confermare una interpretazione formalistica e convenzionale del debito estero, ma realizzare un ulteriore irrigidimento della questione del quadro giuridico di riferimento sostanziale.

Di qui l’importanza della valorizzazione di un modello diverso che faccia riemergere l’essenziale bisogno di una auctoritas publica universalis che assuma su di sé la funzione di riequilibrio propria del potere negativo dei tribuni e possa rifondare i rapporti internazionali del debito estero su binari di giustizia ed eguaglianza, un nuovo inizio della libertà dei popoli[26]. 

A questo riguardo, la stessa proposta alla Corte Internazionale dell’Aja di un parere consultivo per indicare il quadro giuridico regolativo del problema in chiave internazionale potrebbe non dare una risposta pienamente soddisfacente, lasciandosi irretire dalle ideologie contemporanee che condizionano la questione giuridica del problema in chiave formale di rispetto della volontà delle parti cristallizzatasi nell’accordo internazionale e della natura pecuniaria dell’oggetto del debito.

Penso che si dovrebbero accompagnare le azioni attualmente in corso con la proposta di creazione di una giurisdizione sovranazionale, una Corte Internazionale sul Debito Estero, o forse ricorrere alla stessa Corte penale Internazionale, che stabilmente si occupi del problema e che, attraverso una composizione internazionale quanto più possibile ampia ed eguale tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, possa rappresentare una valida alternativa ai limiti ben segnalati dei condizionamenti e dei meccanismi degli arbitrati internazionali nella loro attuale configurazione.

 

 



 

[Un evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione “Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dai promotori del X Seminario di studi “Tradizione Repubblicana Romana”, dal curatore della pubblicazione e dalla direzione di Diritto @ Storia]

 

* Relazione presentata nella Sessione del 16 dicembre 2016 [“CONTRO L’USURA: DEBITO E CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA”] del X Seminario di studi "TRADIZIONE REPUBBLICANA ROMANA", organizzato dall’Unità di ricerca “G. La Pira” di Sapienza-Università di Roma e del Consiglio Nazionale delle Ricerche, diretta dal professore Pierangelo Catalano, con il patrocinio di Roma Capitale. Roma – Sede del CNR.

 

[1] Tac. ann. VI.16.1-2: Interea magna vis accusatorum in eos inrupit qui pecunias faenore auctitabant adversum legem dictatris Caesaris, qua de modo credendi possidendique intra Italiam cavetur, omissam olim, quia privato usui bonum publicum postponitur. Sane vetus Urbi fenebre malum et seditionum discordiarumque creberrima causa, eoque cohibebatur antiquis quoque et minus corruptis moribus. Nam primo duodecim tabulis sanctum ne quis unciario faenore amplius exerceret, cum antea ex libidine locupletium agitaretur; dein rogatione tribunicia ad semiuncias redactum; postremo vetita versura. Multisque plebi scitis obviam itum fraudibus, quae, totiens repressae, miras per artes rursum oriebantur.

 

[2] Fondamentale al riguardo P. Catalano, Tribunato e resistenza, Torino 1971, 18-34.

 

[3] G. Lobrano, Il potere dei tribuni della plebe, Milano 1983.

 

[4] In verità il dibattito sul limite dell’oncia è ancora vivo, orientandosi una parte della dottrina a ritenere, presupponendosi in origine soltanto prestiti di derrate alimentari, che l’unità temporale di misurazione della liceità del fenus sia il mese, venendosi così a determinare un tasso di interesse del 100% annuo, mentre un’altra parte della dottrina ritiene, invece, che l’oncia sia annuale, così da concretizzarsi in un tasso di interesse dell’8,33% annuo. La mia propensione verso la seconda interpretazione è data dal fatto che altrimenti il limite della semioncia sarebbe incomprensibile, come lucidamente indica lo stesso F. De Martino, Riforme del IV secolo a.C., in BIDR LXXVIII 1975, 39 ss., in particolare p. 53, autore che sostiene la prima tesi.

 

[5] Ius est ars boni et aequi. Sulla contrapposizione tra concezione romana (sostanziale e dinamica) e concezione moderna (formale e statica) del diritto vd. F. Gallo, Celso e Kelsen. Per la rifondazione della scienza giuridica, Torino 2010.

 

[6] Per i problemi complessi relativi alla definizione dello svolgimento storico qui sommariamente richiamato, mi permetto di rimandare per gli approfondimenti al mio ‘Leges fenebres’, ‘ius civile’ ed ‘indebitamento della plebe: a proposito di Tac. Ann. 6.16.1-2, in Studi in onore di A. Metro, I, Milano 2009, 377-397. Il tema è riesaminato ora in P. Capone, Unciaria lex, Napoli, 2012 e A. Arnese, Usura e modus. Il problema del sovraindebitamento dal mondo antico all’attualità, Bari 2013.

 

[7] Per un approfondimento di questi problemi mi si permetta di rimandare al mio ‘Bona fides’ tra storia e sistema, 3a ed.,Torino 2014, 39-40, anche per il richiamo della bibliografia sul punto.

 

[8] Per evitare appesantimenti bibliografici rimando al mio ‘Bona fides’ tra storia e sistema, cit., 31-57, dove il richiamo alla discussione sulla complessa testimonianza ciceroniana.

 

[9] Fondamentale F. Serrao, Diritto privato economia e società nella storia di Roma 1, 2a ed., Napoli 2006, 172-190 e 352.

 

[10] Vd. per approfondimenti il mio ‘Damnatio’ e ‘oportere’ nella obbligazione, Napoli 2016, 117-145.

 

[11] Vd. sul punto P. Catalano, Princípios gerais do direito, direito à vida e dívida externa, in Revista Forense 353, (Rio de Janeiro), 2001, 209 ss.

 

[12] Per la critica alla concezione dell’obbligazione di Savigny quale “potere su una prestazione determinata e patrimonialmente valutabile del debitore”, con la quale secondo Karl Marx la società moderna trasforma in danaro qualsiasi rapporto tra gli esseri umani, vd. puntualmente F. Wieacker, Pandektenwissenschaft und industrielle Revolution, in Juristen-Jarbuch 9, 1968-1969, 1 ss., in particolare 8. Più ampiamente sulla contrapposizione tra concezione romana e concezione borghese dell’obbligazione vd. quanto ho cercato di evidenziare in Das römische Recht der Pandektistik und das römische Recht der Römer, in AA.VV., Wie pandektistisch war die Pandektistik ?, a cura di H.-P. Haferkamp - T. Repgen, Tübingen 2017, 83-99.

 

[13] Mi permetto di rimandare al mio contributo Dalla regola romana ‘usura pecuniae in fructu non est’ agli interessi pecuniari come frutti civili nei codici moderni, in Roma e America. Diritto romano comune 5, 1998, 3 ss.

 

[14] Per il salto concettuale operato all’interno della scuola pandettistica tedesca vd. più dettagliatamente i percorsi ideologici in La nozione giuridica di ‘fructus’, Napoli 2000, 12-14.

 

[15] Sulla verifica della tenuta dell’interpretazione dominante negli arbitrati internazionali in materia di debito estero vd. J. Webb Yackee, Pacta sunt servanda and State Promise to Foreign Investors Before Bilateral Investment Treaties: Myth and Reality, in Fordham International Law Journal, 32, 2008, 1550-1613.

 

[16] I. Feichtner, s.v. Waiver, in Max Planck Encyclopedia of Public International Law, 2006.

 

[17] È la tesi proposta in S. Schipani- R. Cardilli, Principi e regole per il debito estero, in Politica internazionale, 3, 2000, 145-155.

 

[18] M. Bagella, Osservazioni sul debito internazionale dell’America Latina, in, AA.VV., Debito Internazionale. Principi Generali del Diritto, (Roma e America. Collana di studi giuridici latino-americani, 8), a cura di S. Schipani, Padova, 1993, 139 ss.; Idem, Integrazione finanziaria, movimento dei capitali e debito estero: lezioni dall’ America Latina, in Il Debito Internazionale. Atti del II Seminario giuridico internazionale di Roma, Collana della Pontificia Università Lateranense, a cura di D.A. Gutiérrez - S. Schipani, Roma, 1998, 307 ss.; R. Panizza, All’origine del debito estero dei Paesi del Terzo Mondo, in AA.VV., Progetto Italia-America Latina. Ricerche giuridiche e politiche. Materiali, VII/1, Principi generali del diritto e iniquità nei rapporti obbligatori. Aspetti giuridici del debito internazionale dei Paesi latinoamericani [ASSLA, Sassari, 1991], 323 ss.; Idem, Condizionamenti esogeni ed endogeni sull'accresciuta posizione debitoria dell' America Latina: i termini di una discussione, in AA.VV., Il Debito Internazionale, cit., 31 ss.

 

[19] R. Howse, The Concept of Odious Debt in Public International Law, in UNCTAD/OSG/DP, 2007/4, n. 185, 1-27.

 

[20] AA.VV., Debito internazionale. Principi generali del diritto. Corte Internazionale di Giustizia, a cura di D.J. Andrés - S. Schipani, Roma, 1993; AA.VV., Diritto alla vita e debito estero. Sant’Agata dei Goti. III Centenario della nascita di S. Alfonso Maria de’ Liguori, a cura di P. Catalano, Napoli, 1997.

 

[21] Importante R. Coppola, Debito internazionale e violazione dei diritti umani nella prospettiva del diritto canonico, in Archivio giuridico, 228-2, 2008, 199 ss. Si vd., al riguardo, le raccomandazioni dirette al Segretario Generale per i diritti umani dell’ONU nel lavoro di H. Mann, International Investment Agreements, Business and Human Rights: Key Issues and Opportunities, IISD, February 2008, 1-42.

 

[22] P. Catalano, “Raça cósmica” e nova “escravidão” por dívidas, in AA.VV., Debito internazionale. Principi generali del diritto. Corte Internazionale di Giustizia, cit., 1 ss.

 

[23] La Repubblica Italiana ad esempio ha meritoriamente sancito con Legge del 25 luglio 2000 n. 209 le “Misure per la riduzione del debito estero dei Paesi a più basso reddito e maggiormente indebitati”, prevedendo all’art. 2 co.2, la riduzione, la conversione e la rinegoziazione del debito con la finalità di un progressivo annullamento del carico debitorio.

 

[24] Su queste nuove iniziative, che nascono come risposta alla non adeguata valorizzazione all’interno della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale del peso economico di Paesi quali Brasile, Cina, Russia ed India, vd. M. Bagella, Alle origini del progetto della nuova Banca di Sviluppo BRICS: criticità e opportunità, in AA.VV., Aspetti giuridici del BRICS - Legal aspects of BRICS, a cura di R. Cardilli - S. Porcelli, Padova 2015, 159 ss. e la relazione di Fu Yu, Il dibattito sui meccanismi giuridici della cooperazione finanziaria internazionale con riferimento alla Banca Asiatica di Investimento per le Infrastrutture, in AA.VV., Chang’an e Roma: Via della Seta e Eurasia, in corso di stampa.

 

[25] Vd. ora la messa a punto di R. Coppola, Etica cattolica, debito e giustizia sociale in vista di un nuovo assetto  internazionale, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale (www.statoechiese.it ) 25, 2015, 1-18.

 

[26] Al riguardo si vd. P. Catalano, Per una futura ‘publica auctoritas universalis’. Contro la globalizzazione, in Index, 35, 2007, 49 ss.