D-&-Innovazione-2018

 

 

ISPROM

ISTITUTO DI STUDI E PROGRAMMI PER IL MEDITERRANEO

 

Mediterraneo, Russia, Sardegna

Da antonio Gramsci a luigi Polano

Sassari, 1 - 2  dicembre  2017

 

 

Le Città come aspetti dell’identità italiana:

prospettive della cooperazione

nella zona del Gran Mar Nero e nel Mediterraneo

 

SVETLANA KNYAZEVA

Università Statale per le Scienze Umanistiche della Russia (RGGU)

 

 

Senza nemmeno vantarsi di una lunga e forte tradizione della democrazia rappresentativa, un certo numero di paesi europei tra cui l’Italia, può godersi la dignità e libertà della persona umana, intesa come la responsabilità individuale nonché l’esperienza liberale e di business di successo. Affrontiamo questo problema con l’approccio socio-culturale e magari anche etnopsicologico e in chiave di studi imagologici, prendendo in considerazione gli aspetti culturali, psicologici, abitudini e usanze – tutto ciò che favorisce a formare un insieme dei valori accettato dalla maggioranza dei cittadini.

Sulla importanza dei problemi che discutiamo qua basta leggere l’articolo sulla “Stampa” “Mediterraneo, le opportunità per l’Italia”. Da qui emerge una chiara impressione basata sul ruolo delle città, della loro cultura quali centri importanti della conoscenza, scienza, istruzione, informazioni di ogni genere, nonché della politica, amministrazione locale – e di conseguenza del progresso.

Visto che l’oggetto delle nostre ricerche sono le città del Mediterraneo ed “...è giunta l’epoca storica delle città”. Va ricordato al proposito Giorgio La Pira, già sindaco di Firenze, eletto nel 1967 presidente della Federazione Mondiale delle Città Unite e il suo slogan “Unire le città per unire le nazioni”.

Sottolineiamo qui che anche a Sassari, che è la seconda città dell’isola, comparsa nel 1131 nelle carte geografiche col nome di Jordi de Sassaro e divenuta Libero Comune a cavallo del Duecento e Trecento, a seguito della promulgazione degli Statuti Sassaresi.

Accenniamo qui anche la città di Mantova il cui successo è descritto su “la Stampa” del 29.11.2016 da Nicolò Zancan, che “è diventata la città dove si vive comodi, la vita è semplice e servizi funzionano”. Era storicamente seconda dietro a Trento, fino a quando è successo qualcosa, i cui effetti sono visibili in tre dati che raccontano cosa potrebbe essere il futuro: tra cui +50% di visite nei musei, +28% per cento di pernottamenti negli hotel, +1,1 per cento nel rapporto fra natalità e mortalità delle imprese (+0,8 in Lombardia, +0,3 in Italia). E per di più: qualità della vita migliora, criminalità è praticamente abbattuta). 

Con l’approccio socio-culturale ai vari problemi delle relazioni internazionali possiamo ricostruire Gestalt, i pattern della cultura politica e dei comportamenti preferiti e accettati dalla maggioranza di abitanti di un certo territorio, i cosiddetti geni dominanti, stereotipi rimasti nei comportamenti e nella memoria collettiva storica dei cittadini di una data città — vale a dire un complesso dei fattori emblematici. Per mezzo di questi stereotipi ci si esprime in un dato spazio socio-culturale e ci si rappresenta all’estero tenendo presente i limiti della sua sociabilità. Questi stereotipi, abbastanza concreti, vengono trasmessi sia attraverso un discorso appropriato sia per mezzo di tutti gli atteggiamenti a disposizione e ci aiutano a capire perché certi aspetti evidenti degli atteggiamenti e comportamenti concreti manifestati dagli abitanti (tranne le élites intellettuali e politici) di un dato paese al mondo esterno – vale a dire dall’ “Io” collettivo – a un “Altro”, a uno che “non è uno di noi”, che “non appartiene alla nostra cultura”, che è “straniero”, ma non è decisamente “avversario storico”, “nemico storico”. Questi atteggiamenti influenzano i comportamenti dei cittadini e la rappresentazione di questo paese nel mondo. 

Il nucleo culturale o la matrice del programma vitale del popolo si rispecchia in una certa scala di valori di base creata nei secoli su cose essenziali: cosa vale la persona umana, vita e morte, bene e male, libertà o servitù, violenza e abuso, tolleranza o intransigenza, lavoro o inattività. Sulla base di questi valori fondamentali appaiono con l’andar del tempo certi abitudini, tradizioni. Infatti è proprio da qui che dobbiamo fare un’attenta analisi della cultura politica della città o della zona.

In che modo le città possono influenzare la cultura politica, modi istituzionali, municipalità democratica, i metodi e meccanismi concreti elaborati per favorire la cooperazione tra le parti contraenti e, qualora gettassimo uno sguardo ancora più attento, l’identità stessa di un dato territorio?

L’Italia, e soprattutto quella settentrionale e centrale, era sempre un paese delle città.

 Nel cuore stesso del Mediterraneo sorsero le città marinare che giocavano un ruolo di crocevia del mondo, di ponte di informazione tra l’Occidente e l’Oriente – e prosperarono grazie al lavoro sistematico e alla gestione ragionevole e pragmatica e alle autorità elettive.

La cosiddetta Rivoluzione delle città interessò a suo tempo tutta l’Europa Occidentale e in parte centrale tra cui tutta la zona del Mar Baltico se intendiamo accennare le città di Hansa – e sicuramente tutta la zona del Mediterraneo. Si tratta soprattutto delle più note repubbliche marinare: Venezia La Serenissima, Genova La Superba, Pisa e Amalfi.

Lasciate in balia di sé stessi, gli abitanti delle città, soprattutto quelle rivierasche, dovettero arrangiarsi, organizzare in modo razionale la loro vita. Queste iniziative ebbero successo grazie soprattutto allo sviluppo economico, alla qualità di vita raggiunti dalle città le quali, trovandosi al mare aperto nell’Atlantico e, va sicuramente aggiunto, al mare dalle acque calde, avevano potuto arricchirsi con il commercio il cui motore era sempre il lavoro – e dal momento che si trovavano sui crocevia delle informazioni, tutto ciò poteva essere il “segreto” principale della loro sopravvivenza, potenza, prosperità. Ottenuta l’indipendenza economica e ridotto il pericolo delle scorrerie barbariche, molte città riuscirono a rendersi indipendenti dal punto di vista politico, sottraendosi all’autorità dei nobili e delle potenze quali il Sacro Impero Romano e il Bisanzio.

La Serenissima, infatti, aveva preferito mettersi sotto la “protezione” dell’Impero Bizantino, e rimase indipendente – e forte. Ad un certo punto i Veneziani iniziarono la pratica delle elezioni del doge dotato di limitati poteri accanto al quale funzionava il Maggior Consiglio. I veneziani dovevano la loro posizione privilegiata alla loro attività commerciale, fra cui la vendita del sale – i nobili veneziani erano “venuti su” grazie al lavoro. Una buona parte di coloro che governavano Venezia lo favorivano le attività commerciale ed economica, che consentisse alla città di sopravvivere, portasse i cittadini a un certo livello del benessere. Per favorire il commercio venivano costruite all’Arsenale le navi – l’impresa divenne una vera catena di montaggio.

Passando alla Rivoluzione Comunale, tocchiamo questo fenomeno sia politico sia sociale ed economico che interessò soprattutto la maggior parte delle città della Penisola, dove le condizioni storiche e sociali non permisero il formarsi di uno Stato unitario. Così, tra il Trecento e il Quattrocento, sfiorirono i Comuni; in seguito alcune di queste acquisirono la connotazione di Stati regionali. Va ricordato che nel resto del continente europeo (tranne le libere città di Hansa) l’esistenza dell’Impero e poi delle monarchie nazionali sorte a cavallo dell’Alto Medioevo e l’età Moderna ostacolò il pieno sviluppo dei Comuni.

Come le Repubbliche Marinare, così le città dell’interno, sorte sulle maggiori vie di comunicazione, furono investite dal forte risveglio economico: gli abitanti avvertirono l’esigenza di riunirsi per lavorare, per produrre merci di ogni genere e sempre di più, per imparare a fare il commercio – e così migliorare insieme la vita. Le famiglie abbienti si associarono in consorterie, si giuravano reciprocamente assistenza in caso di necessità; perfino i religiosi fondarono le confraternite per esercitare particolari opere di carità. Così a poco a poco nacque il principio di tolleranza che si manifestò anche nei rapporti tra le città.

Vanno indicate le arti o corporazioni costitute dai ceti che riunivano coloro che svolgevano un’attività simile e praticavano il lavoro spesso nello stesso quartiere. Lo spirito associativo incrementava difendeva i loro membri da tutti quanti che intralciavano il crescente benessere, e si opponevano ai feudatari ai quali le città erano sottomesse.

Sin dai tempi di Roma repubblicana, come ben sappiamo, gli abitanti dei borghi si associavano in assemblea per eleggere liberamente i magistrati. Questa abitudine nata sin dai tempi di Roma repubblicana riprese all’epoca dei Comuni, e i cittadini si riunirono in una specie del Parlamento sia per approvare gli Statuti, sia per eleggere i capi della città-Stato. Prima si trattava dei Giurati – gli eminenti cittadini che giuravano di dedicarsi alla prosperità del bene comune, più tardi i Consoli che sicuramente venivano scelti tra i cittadini più rispettati. Secondo le croniche di Giovanni Villani, i Consoli eletti per un periodo limitato – per un anno – governavano le città, facevano giustizia. I meccanismi del governo comunale venivano completati dal Consiglio Maggiore, che curava gli affari generali dello Stato, e il Consiglio Minore.

Ma, allora, nei Comuni sono nate (o rinate dopo molti secoli) libertà, tolleranza, democrazia? È più che probabile. Dobbiamo peraltro prendere in considerazione che se il cittadino respirava finalmente libero, la democrazia, infatti, faceva a quei tempi solo i primi passi. Anche se sopravaluttiamo accentuando i tratti progressivi del Comune, del suo modo di ragionare e governare, questo non cambia molto l’ottica: tanto è che nella storia comune e nella memoria collettiva del popolo della Penisola il Comune rimane per sempre un determinato modello, uno stereotipo più che essenziale che lo aiutava a vivere, a governare, a essere governati – e questo – lo dobbiamo sottolineare – è il patrimonio dei Comuni, l’insieme dei valori e quindi tradizioni conservate nei secoli che appartengono a questo spazio socio-culturale; è una delle basi profonde del nucleo culturale italiano, dell’italianità stessa, della matrice dei modelli istituzionali, del modo razionale di pensare e agire. Non è a caso che si parlava del “sapore” della libertà, cioè un primo avvio verso la democrazia nelle città, nonché “è la stessa aria delle città che rende liberi i cittadini”. Un altro merito importante fu la rivalutazione di qualsiasi lavoro, comprese addirittura le “arti spregevoli”; il lavoro veniva riconosciuto dignitoso che offriva la possibilità per una persona di fare da sé, di realizzarsi, degno di rispetto poiché è necessario al progresso e prosperità della società. Le città divennero in tal modo nucleo della civiltà europea e culla della libertà, provocarono lo sviluppo della municipalità democratica: il funzionamento del Comune veniva regolato in modo autonomo dalla popolazione locale che eleggeva i propri rappresentanti con il compito di curare gli interessi della collettività comunale, e la sovranità apparteneva a loro.

   Vale la pena di ricordare la Costituzione della Repubblica italiana, i cui primi articoli proclamano solennemente che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” nonché “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. È altrettanto importante che “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività̀ o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Va anche preso atto il problema del diritto di Magdeburg quale una costruzione assai importante nei rapporti tra le città europee – e della cultura politica sorta a cavallo soprattutto del Duecento e Trecento sulla base dell’ordine politico, amministrativo e di diritto della città tedesca di Magdeburg come conseguenza della lotta svolta dai cittadini dell’Europa anche centrale contro i feudatari vicini oppure contro gli aristocratici. Come conseguenza emersero i privilegi conquistati e concessi da Magdeburg – e cioè la cosiddetta Vulgata (oppure il Veichbild della Sassonia del Trecento e Quattrocento). Con il diritto di Magdeburg venivano messi sotto il controllo le attività e i poteri comunali, venivano risolti i problemi concreti della proprietà dentro le città nonché le attività concrete di produzione e collaborazione delle arti e corporazioni. Vanno per l’aggiunta ricordate le esperienze delle città della Società di Hansa i cui membri associati furono per un periodo abbastanza prolungato anche le città del Nord della Russia – Pskov e Novgorod.

Diventando libero dai feudatari oppure dal potere reale, i cittadini miravano spesso a stabilire e rafforzare i loro diritti e privilegi quasi come se fossero dotati dal potere Sacro e comunque trattavano il diritto delle città come sinonimo della giustizia e tolleranza.

Va peraltro ricordato il periodo prolungato del separatismo politico nonché la presenza dell’Austria e della Spagna in Italia il che non fece soltanto asservire la popolazione dei notevoli territori della penisola. Gli abitanti (ma soprattutto le élite) riuscirono ad ereditare, accettare e applicare i tratti importantissimi della nuova cultura politica la quale venne diffusa dalla Francia rivoluzionaria e postrivoluzionaria in tutta l’Europa compresa in primo luogo la Penisola.

Nella tradizione politica e socio-culturale italiana è un luogo comune ricordare il ruolo Francia nella genesi dell’Italia moderna giacché la Francia a cavallo del Settecento e Ottocento portava all’Europa la nuova cultura politica – la cultura liberale di feuillants nonché quella del radicalismo politico e sociale. Durante il  predominio d’Oltralpe in Italia, la sociabilità rivoluzionaria si tradusse in uno spazio politico, fondato sull’esercizio di carte costituzionali esemplate su quella francese del 1795, che sancivano – bisogna sottolinearlo – le libertà del cittadino, ne promuovevano la partecipazione alla vita pubblica, i principi egualitari, l’elogio della democrazia rappresentativa, l’unica forma di governo in grado di garantire i diritti naturali e inalienabili della persona umana e del popolo sovrano. Come ha sottolineato il noto filosofo italiano Norberto Bobbio, “la democrazia è quel sistema politico che permette il maggiore avvicinamento tra le esigenze della morale e quelle della politica”. E così l’esperienza traumatica non ha avuto conseguenze poco riparabili.

La presenza francese in Italia influenzò abbastanza la cultura politica nonché i modelli istituzionali e la sua statualità. Avrà influenzato anche la scelta storica e concettuale del conte Camillo Benso di Cavour – la sua scelta delle libertà fondamentali, interessi e bene individuali, responsabilità della persona. Già sin dal 1870, la cultura politica italiana si impegnò per rinvenire altrove le origini del Risorgimento, e questo modo di ragionare e agire trovò conclusione nei termini di uno Stato unitario liberale.   

Nel Novecento accadde anche il Ventennio Nero che diventò un’esperienza del regime totalitario il quale, peraltro, non è possibile paragonare con quello nazista. E’ molto probabile che e’ proprio il nucleo culturale del popolo Italia che non permise al duce di rendere il suo potere assoluto…

Tutto ciò deve essere preso in considerazione come fattori traumatici – qualora avessimo bisogno di rivelare il ruolo del trauma nel passato e presente di qualsiasi paese. È la storia del trauma nella civiltà del paese.

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Le repubbliche marinare e i Comuni, risorse a poca distanza da tutto il mondo, erano molto presto diventati forti centri informazioni, scambio di conoscenza, lavoro, produzione, istruzione, affari, della cooperazione, erano eredi dell’antica filosofia e logica, della cultura politica e dei modelli istituzionali. Con l’andar del tempo, una buona, per non dire la maggior parte delle élite urbane ha ereditato l’antica cultura politica e il diritto romano, la tradizione dei Comuni che fiorirono grazie al lavoro sodo quotidiano – nonché al senso comune e la tolleranza dei cittadini.

Prendendo in considerazione tutto questo complesso di fattori e idee sopraindicati, va sottolineata l’importanza indispensabile di un’esperienza abbastanza prolungata del gemellaggio tra la Russia e l’Italia nella zona del Mediterraneo e Del Gran Mar Nero – della cooperazione pacifica tra le città-gemelle della zona esaminata. Va sicuramente sottolineato che i meccanismi e gli effetti concreti della paradiplomazia come parte essenziale della diplomazia pubblica possono giocare un ruolo veramente decisivo per conservare la pace lungo e forte nonché gettare le basi della cooperazione.