Memorie-2018

 

 

Foto di V.Ugo Villani

Presidente della Società italiana di Diritto internazionale

e di Diritto dell’Unione Europea

 

LA FUNZIONE CONSULTIVA DELLA CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA*

 

 

Sommario: 1. Caratteri della competenza consultiva della Corte internazionale di giustizia. – 2. L’oggetto del parere consultivo. – 3. La richiesta del parere da parte dell’Assemblea generale. – 4. L’oggetto della richiesta del parere risultante dall’art. 7 della l. 25 luglio 2000 n. 209. – 5. Gli effetti del parere consultivo. – 6. Segue: il suo contributo allo sviluppo del diritto internazionale.Abstract.

 

 

1. – Caratteri della competenza consultiva della Corte internazionale di giustizia

 

L’auspicata attuazione dell’impegno, assunto dal Governo italiano nell’art. 7 della l. 25 luglio 2000 n. 209, di proporre, nell’ambito delle istituzioni internazionali competenti, l’avvio delle procedure necessarie per la richiesta di parere alla Corte internazionale di giustizia sulla coerenza tra le regole internazionali che disciplinano il debito estero dei Paesi in via di sviluppo e il quadro dei principi generali del diritto e dei diritti dell’uomo e dei popoli induce a compiere una riflessione sulla procedura relativa alla richiesta di tale parere e sugli effetti che esso, ove emanato, potrà produrre.

In proposito va ricordato, anzitutto, che la Corte internazionale di giustizia, il principale organo giurisdizionale delle Nazioni Unite (art. 92 della Carta delle Nazioni Unite), è fornita di una duplice competenza, una contenziosa, l’altra consultiva. La prima[1] è esercitata mediante sentenze, giuridicamente obbligatorie per le parti in causa, con le quali la Corte risolve le controversie giuridiche che gli Stati parti (e non altri soggetti né organi di diritto internazionale) le sottopongano, o che si siano impegnati a sottoporle in base a trattati o convenzioni, o che siano oggetto di dichiarazioni unilaterali con le quali riconoscano come obbligatoria la giurisdizione della Corte stessa nei rapporti con qualsiasi altro Stato che accetti la medesima obbligazione (art. 36 dello Statuto della Corte). Al contrario, la competenza consultiva[2] si esprime mediante pareri, giuridicamente non obbligatori, che siano richiesti alla Corte su qualunque questione giuridica dall’Assemblea generale o dal Consiglio di sicurezza. Anche gli altri organi delle Nazioni Unite e gli istituti specializzati, che siano autorizzati dall’Assemblea generale, hanno la facoltà di chiedere alla Corte pareri su questioni giuridiche che sorgano nell’ambito della loro attività (art. 96 della Carta). A tale disposizione fa riscontro l’art. 65 dello Statuto della Corte, il quale dichiara che la Corte può dare un parere consultivo su qualsiasi questione giuridica a richiesta di qualsiasi organo o ente a ciò autorizzato ai sensi della Carta (par. 1) e prescrive le modalità di presentazione della richiesta (par. 2).

Una competenza consultiva era stata conferita già dal Patto della Società delle Nazioni alla Corte permanente di giustizia internazionale; esso, all’art. 14, prevedeva che la Corte avrebbe potuto esprimere un parere consultivo su qualunque controversia o questione sottopostale dal Consiglio o dall’Assemblea. Il riferimento a «qualunque contro­versia» mostrava che la procedura consultiva era diretta (anche) a promuovere la soluzione delle controversie, così affiancandosi alla procedura contenziosa – destinata a concludersi con una sentenza vincolante – ma collocandosi in una posizione supplementare e, in qualche misura, alternativa a quella contenziosa[3]. La procedura consultiva forniva, cioè, uno strumento più soft, in specie per l’ipotesi in cui le parti della controversia non fossero disponibili a sottoporla alla competenza contenziosa della Corte e, in definitiva, non volessero ricevere dalla stessa Corte una sentenza obbligatoria e risolutiva della controversia.

La Carta delle Nazioni Unite e lo Statuto della Corte internazionale di giustizia operano, invece, una netta distinzione tra la competenza contenziosa, concernente le sole controversie tra Stati, e quella consultiva, limitata a qualunque «questione giuridica», senza più alcun riferimento alle controversie. La formulazione più restrittiva rispetto all’art. 14 del Patto, risultante dagli articoli 96 della Carta e 65 dello Statuto, è confermata dalla precisazione che l’oggetto del parere richiesto deve essere una questione «giuridica».

Va sottolineato, peraltro, che la competenza consultiva della Corte internazionale di giustizia è destinata a svolgere una duplice funzione: da un lato, di ausilio all’esercizio delle competenze dell’organo che abbia richiesto il parere; dall’altro, una funzione di natura «giudiziaria», poiché anche il parere è volto ad accertare e dichiarare il diritto, rispetto alla questione giuridica sottoposta alla Corte. Sotto questo secondo profilo la competenza consultiva non si differenzia da quella contenziosa (se non, ovviamente, per l’esito non obbligatorio del procedimento); la stretta contiguità tra i due tipi di competenza trova conferma nella tendenziale applicazione delle disposizioni dello Statuto in materia contenziosa anche alla procedura consultiva (art. 68 dello Statuto)[4].

 

 

2. – L’oggetto del parere consultivo

 

L’oggetto della richiesta del parere consultivo è costituito – come si è accennato – da una questione giuridica. Riguardo a tale natura della questione è da ritenere che, in principio, essa riguardi il diritto internazionale, cioè l’accertamento della esistenza, del contenuto, della interpretazione di una norma di diritto internazionale, di una disposizione dello statuto di un’organizzazione internazionale (a cominciare dalla Carta delle Nazioni Unite), di un atto di un’organizzazione internazionale. Tuttavia nulla vieta di chiedere alla Corte un parere su una questione di diritto interno, come già accaduto in passato, per esempio, per verificare la compatibilità di certi decreti-legge di Danzica con la Costituzione della Città libera[5]. Tale precisazione presenta particolare interesse ai fini della richiesta di un parere consultivo alla Corte in merito alle regole che disciplinano il debito estero dei Paesi in via di sviluppo: il parere, previsto nella l. n. 209 del 2000 con riguardo alle regole internazionali, potrebbe essere esteso all’esame della compatibilità delle leggi statali in materia di debito estero con i principi generali del diritto e i diritti dell’uomo e dei popoli.

Quanto alla «questione», essa consiste in un problema, un dubbio, una divergenza ed è nozione sufficientemente ampia da comprendere sia un problema astratto che un caso concreto, comportante anche un’indagine su fatti, su eventi storici e persino legata a una controversia internazionale tra Stati[6]. Il legame tra la questione sottoposta alla Corte in via consultiva e una controversia internazionale in atto, peraltro, può indurre la stessa Corte ad astenersi dall’emanare il parere per eccezionali ragioni di opportunità[7]. Va ricordato, infatti, che – come la stessa Corte ha cura di affermare – essa non ha un dovere, ma un potere discrezionale di dare il parere consultivo, che potrebbe astenersi dall’emanare in presenza di ragioni pressanti[8].

Affinché la questione sia deferita alla Corte dall’Assemblea generale o dal Consiglio di sicurezza non è necessario che essa ricada nella loro rispettiva competenza (a differenza degli altri organi delle Nazioni Unite o degli istituti specializzati); peraltro, se si tiene presente che la competenza dell’Assemblea generale si estende a qualsiasi questione o argomento che rientri nell’ambito della Carta o che abbia riferimento ai poteri e alle funzioni di qualunque organo previsto dalla Carta (art. 10), è ben difficile ipotizzare una questione che sia estranea a tale competenza. In punto di fatto, inoltre, proprio in considerazione della vasta competenza dell’Assemblea generale e della sua composizione pressoché universale, poiché essa comprende tutti i Membri dell’Organizzazione (art. 9, par. 1, della Carta), non pare dubbio che sia essa l’organo che possa essere più sensibile alla problematica della regolamentazione del debito estero e, dunque, che nell’Assemblea generale vada promossa l’iniziativa di chiedere il parere alla Corte.

Si noti, ancora, che la richiesta di un parere da parte dell’Assemblea generale o del Consiglio di sicurezza non è subordinata neppure alla circostanza che la questione, o il caso concreto, siano attualmente oggetto di esame in tali organi[9].

 

 

3. – La richiesta del parere da parte dell’Assemblea generale

 

Limitandoci a considerare l’ipotesi più realistica, di iniziativa presentata nell’Assemblea generale[10], può apparire problematica la definizione della procedura di votazione da applicare alla proposta di richiesta del parere consultivo. Ai sensi dell’art. 18, par. 3, della Carta, infatti, la regola generale è data dalla decisione presa a maggioranza dei Membri presenti e votanti, tra i quali ultimi l’art. 86 del Regolamento interno dell’Assemblea generale non comprende gli astenuti (il che, abbassando il quorum dei presenti e votanti, rende più agevole il raggiungimento della maggioranza). Il par. 2 dello stesso art. 18 stabilisce poi che le decisioni dell’Assemblea generale su questioni importanti sono prese a maggioranza di due terzi dei Membri presenti e votanti e dà un elenco di tali questioni, nel quale non figura la richiesta di pareri consultivi alla Corte. Peraltro l’Assemblea, a maggioranza dei Membri presenti e votanti, può determinare categorie addizionali di questioni da decidersi a maggioranza dei due terzi (art. 18, par. 3).

Con una prassi, non esente da fondate critiche in dottrina[11], l’Assemblea generale – oltre a prevedere, in base a tale norma, categorie di questioni da considerare importanti ai fini della votazione a maggioranza di due terzi – ha deciso talvolta, rispetto a specifici casi concreti, che la delibera richiedesse tale maggioranza qualificata. Ciò è accaduto anche rispetto a una proposta di chiedere un parere consultivo alla Corte (mentre in un altro caso fu ritenuta sufficiente, ai fini dell’approvazione della richiesta, la maggioranza semplice)[12]. Non può escludersi, quindi, l’eventualità che una maggioranza semplice dei Membri presenti e votanti riesca a subordinare la richiesta di parere consultivo alla maggioranza qualificata di due terzi. Una siffatta eventualità – verso la quale resterebbero ferme le obiezioni giuridiche legate all’uso di un procedimento, volto ad aggiungere «categorie» generali e astratte, rispetto, invece, a casi concreti – potrebbe essere il frutto di una ostilità alla richiesta del parere, che si esprimerebbe nella sottoposizione a una regola più severa di votazione e, quindi, a una maggiore difficoltà di raggiungere la necessaria maggioranza.

L’art. 65, par. 2, dello Statuto dispone che la questione sulla quale si richiede il parere consultivo deve essere presentata alla Corte a mezzo di istanza scritta contenente una formulazione precisa della questione sulla quale è richiesto il parere e accompagnata da tutti i documenti utili per illustrarla. Malgrado l’importanza della formulazione della richiesta – che, come si è detto, deve essere «precisa» («containing an exact statement of the question», «qui formule, en termes précis, la question») – la Corte mostra di sentirsi libera di riformularla, di chiarirne il significato, se espressa in maniera vaga, di modificarla, addirittura, ampliandone l’oggetto[13].

 

 

4. – L’oggetto della richiesta del parere risultante dall’art. 7 della l. 25 luglio 2000 n. 209

 

L’art. 7 della l. n. 209 del 2000, come si è ricordato, prevede che il richiesto parere valuti la coerenza tra le regole internazionali che disciplinano il debito estero dei Paesi in via di sviluppo e il quadro dei principi generali del diritto e dei diritti dell’uomo e dei popoli. L’oggetto del parere, le «regole internazionali che disciplinano il debito estero», se riferito – come sembra a prima vista – alle regole del diritto internazionale è idoneo a comprendere accordi internazionali in materia, eventuali norme consuetudinarie, atti di organizzazioni internazionali. Esso, però, finisce per escludere quel variegato e indistinto complesso di intese, contratti, prassi che coinvolgono, quali creditori, non Stati o enti internazionali, ma soggetti privati e altri enti finanziari, che si sottraggono alle regole del diritto internazionale e operano, invero, al di fuori di ogni regolamentazione, anche e soprattutto statale, come lo Shadow Banking System. La richiesta di parere consultivo, per risultare davvero utile, dovrebbe ampliarsi al quadro generale della disciplina e della gestione del debito estero.

Anche il giudizio di «coerenza» tra le suddette regole e il quadro dei principi generali del diritto e dei diritti dell’uomo e dei popoli dovrebbe essere reinterpretato. Coerenza, infatti, significa conformità, o almeno compatibilità, tra i due termini di paragone. In questo senso sarebbe ben possibile constatare una difformità o una incompatibilità tra norme appartenenti ai due gruppi di regole – quelle sul debito estero e quelle risultanti dai principi generali e dai diritti dell’uomo e dei popoli –, ma solo se le seconde avessero un rango superiore alle prime queste potrebbero considerarsi invalide o inapplicabili. In caso contrario il giudizio di difformità o di incompatibilità non avrebbe conseguenze giuridiche, poiché le norme, pur incompatibili, resterebbero tutte valide e, presumibilmente, continuerebbero ad applicarsi nel rispettivo ambito materiale.

Ci sembra, peraltro, che l’obiettivo del parere non debba essere la mera individuazione di norme eventualmente incompatibili, ma una valutazione giuridica che conduca a definire quali, tra di esse, debbano applicarsi. In altri termini, l’obiettivo, e la stessa utilità, del parere richiede un giudizio sulla legalità internazionale del regime concernente il debito estero (comprensivo – come si è detto – anche della normativa non avente origine internazionale). Notiamo, anzitutto, che l’espressione «principi generali del diritto» presenta un significato non univoco. Se essa si identifica con «i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili», menzionati dall’art. 38, par. 1, lett. c) dello Statuto della Corte tra le fonti di diritto internazionale, che la Corte stessa applica per decidere le controversie che le sono sottoposte, secondo l’opinione più convincente tali principi sono utilizzabili solo in assenza di accordi o di norme consuetudinarie, richiamati dalla stessa disposizione, rispettivamente alla lett. a) e alla lett. b)[14]. Malgrado la rilevanza che alcuni di essi potrebbero avere nella materia in esame, quale il principio del favor debitoris, e il valore interpretativo di altre norme che specie quest’ultimo principio può avere, non è agevole, quindi, riconoscere una loro idoneità a operare quale parametro di legalità internazionale di accordi o altre fonti internazionali relative al debito estero.

Il riferimento può avere una sua rilevanza e un ben più ampio respiro se è inteso, invece, come equivalente a norme internazionali generali. Queste si identificano con il diritto internazionale consuetudinario, nel quale ben possono rinvenirsi norme rilevanti per il tema del debito estero. Si pensi, per esempio, alla norma che stabilisce l’immunità dalla giurisdizione degli Stati stranieri per gli atti iure imperii, quelli emanati, cioè, nell’esercizio della loro funzione sovrana. Con riferimento ai bonds dell’Argentina la Corte di cassazione italiana ha riconosciuto tale immunità riguardo ai provvedimenti di moratoria e di ristrutturazione del debito, considerati di natura pubblicistica poiché diretti a tutelare la sopravvivenza economica della popolazione argentina[15]. Va sottolineato, tuttavia, che le norme consuetudinarie, sebbene di applicazione generale, non si collocano in un rango superiore agli accordi internazionali, per cui sono derogabili da questi ultimi (così come da eventuali atti di organizzazioni internazionali) ove prevedano una disciplina da esse divergente.

Il richiamo delle norme generali assume un rilievo determinante se riferito alla categoria delle norme imperative del diritto internazionale generale costituenti lo ius cogens. Anche tali norme sono di natura consuetudinaria, ma, a differenza delle altre – che potremmo chiamare «semplici» –, sono inderogabili a opera di qualsiasi accordo internazionale e possono essere modificate solo da una nuova norma imperativa[16]. Sotto il primo profilo, un accordo internazionale che al momento della sua conclusione sia in contrasto con una norma siffatta è nullo; sotto il secondo, la norma di ius cogens impedisce la nascita di norme consuetudinarie «semplici» che siano con essa incompatibili e ne determina l’abrogazione, ove già esistenti. In altri termini, lo ius cogens si colloca al vertice dell’ordinamento giuridico internazionale in un rango gerarchicamente sovraordinato sia agli accordi che al diritto consuetudinario («semplice»).

È da rilevare che l’individuazione delle norme imperative di diritto internazionale richiede un’indagine sull’atteggiamento della comunità internazionale nel suo complesso in un determinato momento storico per accertare che essa accetti e riconosca una data norma come inderogabile. Nel contesto della regolamentazione del debito estero potrebbero venire in rilievo, ove qualificabili come imperative, le norme che riconoscono il diritto di autodeterminazione dei popoli e, anzitutto, il loro diritto all’esistenza (in quanto costituiti in Stati), il diritto allo sviluppo, il diritto umano alla vita.

Particolarmente appropriato, nell’art. 7 della l. n. 209 del 2000, è sicuramente il riferimento ai diritti dell’uomo e dei popoli[17]. Sono tali diritti, infatti, che il regime del debito estero è più suscettibile di pregiudicare. Si tratta di diritti individuali, a cominciare, come si è già detto, dal diritto «primordiale» alla vita, riconosciuto da tutti gli atti internazionali sui diritti dell’uomo, come la Dichiarazione universale del 10 dicembre 1948 (art. 3), il Patto delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici del 16 dicembre 1966 (art. 6), la Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 4 novembre 1950 (art. 2), la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 (art. 2). Particolarmente sensibili all’indebitamento dello Stato sono poi i diritti economici, sociali e culturali, ai quali è interamente dedicato l’omo­nimo Patto delle Nazioni Unite del 16 dicembre 1966; si tratta, infatti, di diritti, quali il diritto al lavoro, alla sicurezza sociale, alla protezione della famiglia, all’alimentazione, al vestiario, all’alloggio, alla salute, all’istru­zione, il cui soddisfacimento richiede un costante impegno, anche finanzia­rio, delle autorità statali, che può essere reso irrealizzabile a causa del peso del debito estero. Ma si tratta anche di diritti «collettivi», principalmente del ricordato diritto allo sviluppo[18], riconosciuto, a livello regionale, dall’art. 22 della Carta di Banjul sui diritti dell’uomo e dei popoli del 28 giugno 1981 e, a livello universale, dalla Dichiarazione sul diritto allo sviluppo adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione n. 41/128 del 4 dicembre 1986. L’art. 1 di tale Dichiarazione definisce il diritto allo sviluppo come un diritto umano inalienabile in virtù del quale ogni essere umano e tutti i popoli hanno il diritto di partecipare e di contribuire a uno sviluppo economico, sociale, culturale e politico nel quale tutti i diritti umani e tutte le libertà fondamentali possano essere pienamente realizzati e di beneficiare di questo sviluppo.

Gli accordi internazionali di natura sia «universale» che «regionale» relativi ai diritti dell’uomo, quali che siano i loro rapporti formali con altri accordi internazionali o fonti di diverso genere, stabiliscono essi stessi se, e a quali condizioni, i diritti in essi contemplati possano essere soggetti a deroga o il loro esercizio possa essere limitato. Ciò può risultare utile per accertare se impegni comunque assunti da uno Stato, relativi al pagamento del proprio debito estero, possano giustificare una restrizione al riconoscimento dei diritti contenuti in un dato accordo o se, al contrario, il godimento di tali diritti (o, almeno, di alcuni di essi) debba essere sempre garantito, così prevalendo, in definitiva, sull’applicazione di norme sul debito estero pregiudizievoli per gli stessi diritti.

Si tenga presente, infine, che solitamente gli accordi sui diritti umani istituiscono dei procedimenti e degli organi, talora di natura giudiziaria (come la Corte europea dei diritti dell’uomo), volti a verificare l’effettivo rispetto dei diritti in essi riconosciuti. Ai fini della emanazione di un parere da parte della Corte internazionale di giustizia la «giurisprudenza» di tali organi di controllo può offrire alla stessa Corte materiale utile per la ricostruzione della normativa relativa all’oggetto del parere.

 

 

5. – Gli effetti del parere consultivo

 

Come la stessa Corte internazionale di giustizia ha avuto cura di affermare[19], il parere consultivo non ha alcuna efficacia giuridica obbligatoria, anzitutto nei confronti degli Stati membri delle Nazioni Unite: solo la decisione emanata nel processo contenzioso è obbligatoria, e solo per le parti in lite e riguardo al caso deciso (art. 59 dello Statuto). Al di fuori di tali limiti soggettivi e oggettivi anch’essa è priva di autorità obbligatoria. Ancor più va esclusa un’efficacia obbligatoria del parere nei confronti degli Stati parti di un’eventuale controversia alla quale si riferisca. Bisogna rammentare, infatti, che la stessa competenza contenziosa della Corte – che si esercita mediante sentenze obbligatorie – ha un fondamento volontaristico, poiché è subordinata al fatto che la controversia oggetto di tale competenza sia stata deferita alla Corte dalle parti, o rientri tra quelle previste da trattati o convenzioni in vigore tra le parti (o dalla Carta delle Nazioni Unite), o da una dichiarazione con la quale uno Stato abbia riconosciuto la competenza della Corte nei rapporti con qualsiasi Stato che abbia accettato la medesima obbligazione (art. 36 dello Statuto). Nel caso della competenza consultiva non sussiste alcuna accettazione di competenza della Corte ad opera delle parti dell’eventuale controversia, rispetto alla quale, pertanto, non è ipotizzabile alcun potere decisionale della stessa Corte.

Né l’obbligatorietà del parere consultivo potrebbe desumersi dalla funzione giurisdizionale, di accertamento del diritto, della quale il parere è espressione. È bensì vero che tale funzione può esprimersi in un parere della Corte come in una sentenza, e che persino la struttura dei due atti è pressoché sovrapponibile[20]. Essi restano tuttavia diversi proprio per l’obbligatorietà dell’accertamento, che caratterizza, nei limiti già indicati, la sola sentenza emanata dalla Corte nell’esercizio della sua competenza contenziosa.

Il parere, coerentemente con il suo carattere «consultivo», non produce effetti vincolanti neppure per l’organo (o l’organizzazione) che lo ha richiesto. Tuttavia deve riconoscersi un obbligo di presa in considerazione del parere da parte di tale organo, derivante da un obbligo generale di cooperazione tra gli organi delle Nazioni Unite[21]. Per l’Assemblea generale può notarsi, inoltre, una prassi quasi costante di risoluzioni con le quali essa raccomanda di seguire il parere, o comunque vi aderisce, anche se in termini più o meno forti o cauti a seconda dei casi[22]. Ciò, peraltro, non conferisce forza vincolante al parere, in quanto la stessa Assemblea generale ha un’ampia competenza di natura esortativa, che esercita mediante raccomandazioni, mentre è priva di alcun potere «decisionale» di carattere obbligatorio.

Può forse riconoscersi anche che la condotta degli Stati che si conformino al parere debba considerarsi lecita[23]. Si pensi, per fare qualche esempio, agli Stati che abbiano operato in conformità con il diritto di autodeterminazione riconosciuto alla Namibia, nel parere del 21 giugno 1971 [24], o alla Palestina, in quello del 9 luglio 2004 [25]. Il parere espresso dalla Corte può giustificare, a nostro avviso, un affidamento degli Stati nella posizione assunta dal principale organo giudiziario delle Nazioni Unite e, quindi, la presunzione che la loro condotta conforme sia lecita. Beninteso, si tratterebbe solo di una presunzione prima facie, che potrebbe essere, cioè, smentita da un successivo accertamento provvisto di efficacia obbligatoria della situazione giuridica o della norma in questione. Non potrebbe, invece, definitivamente qualificarsi come lecita una condotta conforme al parere della Corte, perché, se così fosse, l’accertamento in esso contenuto finirebbe per avere un valore definitivo e vincolante, che, come si è detto, va escluso.

 

 

6. – Segue: il suo contributo allo sviluppo del diritto internazionale

 

Malgrado l’assenza di efficacia obbligatoria, i pareri consultivi della Corte hanno una «autorevolezza» indiscutibile, che è pari a quella delle sue sentenze. Lo dimostrano i richiami che, nella dottrina e nell’attività didattica, a essi si fanno costantemente, accomunandoli, senza alcuna distinzione, alle sentenze in una considerazione complessiva della giurisprudenza della Corte. Ed è la stessa Corte che, nel riferirsi ai propri precedenti (ivi compresi quelli della Corte permanente di giustizia internazionale), generalmente per rafforzare le proprie conclusioni, non distingue in alcun modo i suoi pareri dalle sentenze[26]. Il che, invero, è ben comprensibile se solo si ricorda che anche le sentenze – come si è già rilevato – sono obbligatorie per le parti in causa, non per i terzi, per i quali, dunque, sono assimilabili ai pareri, sia nell’assenza di forza obbligatoria che nel possesso di autorevolezza.

In questa considerazione complessiva della giurisprudenza della Corte anche i pareri possono farsi rientrare nelle decisioni giudiziarie che, ai sensi dell’art. 38, par. 1, lett. d), del suo Statuto, la stessa applica come mezzi, sia pure sussidiari, per la determinazione delle norme giuridiche ai fini della decisione delle controversie che le sono sottoposte. Sotto questo profilo – come è stato osservato[27] – i pareri rappresentano una fonte di cognizione, o «documentaria», delle norme del diritto internazionale contemplate nelle precedenti lett. a) (le convenzioni internazionali, generali o particolari), lett. b) (la consuetudine internazionale), lett. c) (i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili). Essi, in altri termini, costituiscono «the storehowe from which the rules of heads (a), (b) and (c) can be extracted»[28].

Va poi sottolineato che l’attività consultiva della Corte contribuisce al consolidamento delle norme di diritto internazionale consuetudinario, nonché all’affermazione di una determinata interpretazione di tali norme, così come di quelle poste mediante accordi[29]. Si pensi al diritto di autodeterminazione dei popoli, inteso quale diritto all’indipendenza dei popoli coloniali e di quelli sottoposti a una dominazione straniera: è la Corte internazionale di giustizia che, in alcuni celebri pareri consultivi[30], ha definito la norma consuetudinaria che contempla tale diritto come norma implicante un obbligo erga omnes per tutti gli Stati. Questi da un lato hanno l’obbligo, negativo, di non riconoscere qualsiasi situazione, in particolare qualsiasi acquisto territoriale, derivante dalla violazione del diritto in questione, dall’altro quello, positivo, di prestare la propria assistenza per la sua realizzazione.

Anche l’affermazione della soggettività internazionale delle organizzazioni internazionali ha ricevuto un contributo determinante dalla giurisprudenza consultiva della Corte[31].

Non può dimenticarsi, inoltre, che in alcuni casi la Corte, nella sua funzione consultiva, ha dato un impulso decisivo allo sviluppo e al mutamento del diritto internazionale. Basti citare il parere del 28 maggio 1951 sulle riserve alla Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio. Com’è noto, secondo la dottrina classica del diritto internazionale l’apposizione di una riserva a un trattato era ammissibile solo se tale possibilità era prevista espressamente nel trattato stesso; con la conseguenza, in caso di silenzio del trattato, che un’accettazione dello stesso contenente una riserva non era valida e lo Stato in questione non poteva considerarsi parte del trattato. Ebbene, nel citato parere la Corte capovolse tale regola, affermando che, nel silenzio del trattato, la riserva è ammissibile, purché compatibile con l’oggetto e lo scopo del trattato. Il parere provocò una modifica pressoché immediata della regola tradizionale, che venne poi recepita (e ulteriormente sviluppata) nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 23 maggio 1969 e in quella di Vienna del 21 marzo 1986 sul diritto dei trattati tra Stati e organizzazioni internazionali o tra organizzazioni internazionali.

Va infine rilevato che, in qualche misura, la giurisprudenza internazionale, compresa quella che si forma mediante i pareri consultivi, fa parte anch’essa della prassi ed esprime, spesso in maniera sensibilmente compiuta e autorevole, il convincimento (opinio iuris) diffuso nella comunità internazionale circa l’esistenza e il contenuto di una norma consuetudinaria.

La Corte internazionale di giustizia finisce quindi per svolgere, anche nella sua giurisprudenza consultiva, un ruolo sommessamente «creativo» del diritto internazionale, particolarmente di quello consuetudinario. Alla luce delle considerazioni che precedono non pare dubbia, pertanto, l’utilità di un parere della Corte in merito alla normativa concernente il debito estero degli Stati e la necessità di promuovere, con la massima determinazione, la relativa richiesta in seno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

 

 

Abstract

 

The request to the International Court of Justice for an advisory opinion on the law concerning the sovereign debt of developing States would be very useful. In fact, notwithstanding advisory opinions are not legally binding, they are an expression of the jurisdictional function of the «principal judicial organ of the United Nations» (Article 92 of the Charter). Therefore, they may have an important impact on the attitude of the General Assembly and of Member States. Moreover, advisory opinions may clarify the principles of international law, particularly those concerning both individual human rights and the right of peoples to development, and may promote an evolution of the rules applicable to the sovereign debt.

 

La richiesta alla Corte internazionale di giustizia di un parere consultivo sul diritto relativo al debito sovrano dei Paesi in via di sviluppo sarebbe molto utile. Infatti, sebbene i pareri consultivi non siano giuridicamente vincolanti, essi sono una espressione della funzione giurisdizionale del «principale organo giudiziario delle Nazioni Unite» (art. 92 della Carta). Pertanto essi possono avere un impatto importante sull’atteggiamento dell’Assemblea generale e degli Stati membri. Inoltre i pareri consultivi possono chiarire i principi del diritto internazionale, in particolare quelli concernenti sia i diritti umani individuali che il diritto dei popoli allo sviluppo, e possono promuovere una evoluzione delle regole applicabili al debito sovrano.

 

 



 

[Un evento culturale, in quanto ampiamente pubblicizzato in precedenza, rende impossibile qualsiasi valutazione veramente anonima dei contributi ivi presentati. Per questa ragione, gli scritti di questa parte della sezione “Memorie” sono stati valutati “in chiaro” dai promotori del Seminario “Contro l’usurocrazia ”, dal curatore della pubblicazione e dalla direzione di Diritto @ Storia]

 

* Relazione presentata nel Seminario di studi "CONTRO L’USUROCRAZIA. DEBITO E DISUGUAGLIANZE", organizzato dall’Unità di ricerca “Giorgio La Pira” del Consiglio Nazionale delle Ricerche – Sapienza Università di Roma, diretta dal professore Pierangelo Catalano, e dal CEISAL - Consejo Europeo de Investigaciones Sociales de América Latina, Grupo de Trabajo de Jurisprudencia, svoltosi presso la Biblioteca Centrale del CNR il 15 dicembre 2017, in occasione del XX Anniversario della “Carta di Sant’Agata de’ Goti – Dichiarazione su usura e debito internazionale”.

 

[1] Sulla quale cfr., anche per un’ampia bibliografia, G. Cellamare, Corte internazionale di giustizia, in Enciclopedia del diritto. Annali, V, 2012, 421 ss., in specie 434 ss.

[2] Su di essa si vedano, tra gli altri, anche per ulteriori riferimenti, D. W. Greig, The Advisory Jurisdiction of the International Court of Justice and the Settlement of Disputes between States, in International and Comparative Law Quarterly, 1966, 325 ss.; K. J. Keith, The Extent of the Advisory Jurisdiction of the International Court of Justice, Leiden 1971; J. Puente Egido, Consideraciones sobra la naturaleza y efectos de las opiniones consultivas, in Zeitschrift für ausländisches öffentliches Recht und Völkerrecht, 1971, 730 ss.; A. Gros, Concerning the Advisory Role of the International Court of Justice, in Transnational Law in a Changing Society. Essays in Honor of Philip C. Jessup, New York 1972, 313 ss.; D. Pratap, The Advisory Jurisdiction of the International Court of Justice, Oxford 1972; M. Pomerance, The Advisory Function of the International Court of Justice in the League and UN Eras, Baltimore/London 1973; G. Ziccardi Capaldo, Il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia sul Sahara occidentale: un’occasione per un riesame della natura e degli effetti della funzione consultiva, in Comunicazioni e studi dell’Istituto di diritto internazionale e straniero della Università di Milano, XV, 1978, 529 ss.; P. Benvenuti, L’accertamento del diritto mediante pareri consultivi della Corte internazionale di giustizia, Milano 1984; V. Buonomo, La «funzione consultiva» della Corte internazionale di giustizia, in A. Ciani, G. Diurni (a cura di), Esercizio del potere e prassi della consultazione. Atti dell’VIII Colloquio internazionale romanistico-canonistico (10-12 maggio 1990), Roma 1991, 415 ss.; M. Pomerance, The Advisory Role of the International Court of Justice and its “Judicial” Character: Past and Future, in A. S. Muller, D. Raič and J. M. Turánszky (eds.), The International Court of Justice: Its future role after fifty years, The Hague/Boston/London 1997; G. Abi-Saab, On discretion: reflections on the nature of the consultative function of the International Court of Justice, in L. Boisson de Chazournes, P. Sands (eds.), International Law, The International Court of Justice and Nuclear Weapons, Cambridge 1999, 36 ss.; F. Berman, The Uses and Abuses of Advisory Opinions, in N. Ando, E. Mcwhinney, R. Wolfrum (eds.), Liber Amicorum Judge Shigeru Oda, The Hague/London/New York 2002, II, 809 ss.; P. Daillier, Article 96, in J. P. Cot et A. Pellet (sous la direction de), La Charte des Nations Unies. Commentaire article par article, 3e éd., Paris 2005, 2003 ss.; M. M. Aljaghoub, The Advisory Function of the International Court of Justice, Berlin/Heidelberg 2006; D. Breau, The World Court’s Advisory Funcion, in International and Comparative Law Quarterly, 2006, 185 ss.; H. Thirlway, Advisory Opinions, in Max Planck Encyclopedia of Public International Law, 2006; T. Nagata, Judicial Activism in Exercising Advisory Function by the International Court of Justice and “Eastern Carelia” Principle, in Journal of International Law and Diplomacy, 2009, 42 ss.; M.-C. Runavot, La fonction consultative de la Cour internationale de justice, in A. Ondoua, D. Szymczak (sous la direction de), La fonction consultative des juridictions internationales, Paris 2009, 21 ss.; K. Oellers-Frahm, Article 96, in B. Simma, D.-E. Khan, G. Nolte, A. Paulus (eds.), The Charter of the United Nations, 3rd ed., Oxford 2012, II, 1975 ss.; J. A. Frowein, K. Oellers-Frahm, Article 65, in A. Zimmermann, C. Tomuschat, K. Oellers-Frahm, C. Tams (eds.), The Statute of the International Court of Justice. A Commentary, 2nd ed., Oxford 2012, 1605 ss.; P. Pazartzis, The Ambit and Limits of the Advisory Function of the International Court of Justice, in E. Rieter, H. de Waele (eds.), Evolving Principles of International Law. Studies in Honour of Karel C. Wellens, Leiden 2012, 265 ss.; M. Bennouna, The Advisory Function of the International Court of Justice in the Light of Recent Developments, in The Global Community. Yearbook of International Law and Jurisprudence. Global Trends: Law, Policy & Justice. Essays in Honour of Giuliana Ziccardi Capaldo, New York 2013, 95 ss.; B. Conforti, C. Focarelli, Le Nazioni Unite, 10a ed., Padova 2015, 448 ss.

[3] Cfr. Daillier, Article 96, cit., 2004; K. Oellers-Frahm, Article 96, cit., 1978. È stato rilevato che, rispetto all’art. 14 del Patto, non mancarono incertezze sulla precisa natura della competenza consultiva e sugli effetti che sarebbero derivati dal suo esercizio, tanto che nello Statuto della Corte permanente di giustizia internazionale, adottato con il Protocollo di Ginevra del 16 dicembre 1920, non fu inserita alcuna disposizione sulla funzione consultiva (P. Benvenuti, L’accertamento del diritto, cit., 3 s.).

[4] Cfr. P. Benvenuti, L’accertamento del diritto, cit., 215 ss.; H. Thirlway, Advisory Opinions, cit., punto 26 ss.; K. Oellers-Frahm, Article 96, cit., 1988 ss.

[5] Parere della Corte permanente di giustizia internazionale del 4 dicembre 1935 sulla compatibilità di certi decreti-legge di Danzica con la Costituzione della Città libera.

[6] È il caso, per esempio, del parere della Corte internazionale di giustizia del 9 luglio 2004 sulle conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nel territorio occupato della Palestina. Sull’ampiezza dell’oggetto della richiesta cfr. H. Thirlway, Advisory Opinions, cit., punto 18 ss.; J. A. Frowein, K. Oellers-Frahm, Article 65, cit., 1614 ss.

[7] Ciò è accaduto in un solo caso, nel parere della Corte permanente di giustizia internazionale del 23 luglio 1923 sullo status della Carelia orientale.

[8] In senso critico verso la posizione della Corte cfr. B. Conforti, C. Focarelli, Le Nazioni Unite, cit., 455 ss.

[9] Si veda il parere della Corte del 22 luglio 2010 sulla conformità con il diritto internazionale della dichiarazione di indipendenza del Kosovo; cfr. M. Bennouna, The Advisory Function, cit., 97.

[10] Per la richiesta del Consiglio di sicurezza riteniamo che la relativa risoluzione non possa considerarsi meramente procedurale, in quanto la richiesta del parere è diretta a ottenere una valutazione nel merito della questione; pertanto essa richiede la maggioranza più grave di nove voti (su quindici), comprensivi del voto dei Membri permanenti, con conseguente possibilità, per tali Membri, di esercitare il c.d. diritto di veto (art. 27, par. 3, della Carta). Sul punto cfr. K. Oellers-Frahm, Article 96, cit., 455 ss.

[11] Vedi B. Conforti, C. Focarelli, Le Nazioni Unite, cit., 122 ss.; per la prassi cfr. anche K. Oellers-Frahm, Article 96, cit., 1980 s.

[12] Si vedano, rispettivamente, le risoluzioni dell’Assemblea generale n. 44 (I) dell’8 dicembre 1946 e n. 338 (IV) del 6 dicembre 1949.

[13] Si veda la giurisprudenza ricordata da J. A. Frowein, K. Oellers-Frahm, Article 65, cit., 1615 s.

[14] Cfr. G. Morelli, Nozioni di diritto internazionale, 7a ed., Padova 1967, 46 s. Con riguardo alla materia del debito estero cfr. P. Benvenuti, Principi generali del diritto e giurisdizioni internazionali, in Roma e America. Diritto romano comune, 14/2002, 193 ss.

[15] Cass. 27 maggio 2005 n. 6532, in Rivista di diritto internazionale, 2005, 856 ss.

[16] Si vedano gli articoli 53 e 64 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 23 maggio 1969 e della Convenzione di Vienna del 21 marzo 1986 sul diritto dei trattati tra Stati e organizzazioni internazionali o tra organizzazioni internazionali.

[17] Cfr. M. Pedrazzi, Debito estero e sistemi internazionali di protezione dei diritti umani, in Roma e America. Diritto romano comune, 14/2002, 181 ss.

[18] Sul quale ci permettiamo di rinviare a U. Villani, Riflessioni sul diritto allo sviluppo, in I. Sabbatelli (a cura di), Banche ed etica, Padova 2013, 239 ss.

[19] Si veda il parere del 30 marzo 1950 sulla interpretazione dei Trattati di pace con la Bulgaria, l’Ungheria e la Romania, prima fase: «The Court’s reply is only of an advisory character: as such, it has no binding force».

[20] Cfr. P. Benvenuti, L’accertamento del diritto, cit., 285 ss.

[21] In questo senso cfr. R. Kolb, The International Court of Justice, Oxford/Portland 2013, 1097; vedi anche K. Oellers-Frahm, Article 96, cit., 1987.

[22] Cfr. J. A. Frowein, K. Oellers-Frahm, Article 65, cit., 1621 s.

[23] Cfr. G. Ziccardi Capaldo, Il parere consultivo, cit., 562 ss.; J.A. Frowein, K. Oellers-Frahm, Article 65, cit., 1623 ss.

[24] Parere del 21 giugno 1971 sulle conseguenze giuridiche per gli Stati della continua presenza del Sud Africa in Namibia (Sud Ovest Africano) malgrado la risoluzione del Consiglio di sicurezza 276 (1970).

[25] Parere del 9 luglio 2004 sulle conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nel territorio occupato della Palestina.

[26] Cfr. A. Pellet, Article 38, in A. Zimmermann, C. Tomuschat, K. Oellers-Frahm (eds.), The Statute of the International Court of Justice, cit., 785; vedi anche, tra gli altri, R. Kolb, The International Court of Justice, cit., 1096 s., il quale ha cura di sottolineare: «An advisory opinion is a jurisdictional act. As a court of justice, the Court must not contradict itself».

[27] Cfr. A. Pellet, Article 38, cit., 783 s.

[28] Così S. Rosenne, The Law and Practice of the International Court. 1920-2005, 4th ed., The Hague/Boston/London 2006, III, 1607.

[29] Cfr specialmente K. Oellers-Frahm, Lawmaking Through Advisory Opinions?, in German Law Journal, 2011, 1033 ss., in specie 1040 ss.; sulla prassi della Corte v. anche V. Buonomo, La «funzione consultiva», cit., 419 ss.; M. M. Aljaghoub, The Advisory Function, cit., 155 ss.

[30] Si vedano il parere del 21 giugno 1971 sulle conseguenze giuridiche per gli Stati della continua presenza del Sud Africa in Namibia (Sud Ovest Africano) malgrado la risoluzione del Consiglio di sicurezza 276 (1970), il parere del 16 ottobre 1975 sul Sahara occidentale, il parere del 9 luglio 2004 sulla costruzione di un muro nel territorio occupato della Palestina e il parere del 25 febbraio 2019 sulle conseguenze giuridiche della separazione dell’arcipelago di Chagos da Mauritius nel 1965.

[31] Si vedano, in particolare, il parere dell’11 aprile 1949 sulla riparazione per i pregiudizi subiti al servizio delle Nazioni Unite e quello dell’8 luglio 1996 sulla liceità dell’uso da parte di uno Stato di armi nucleari in un conflitto armato (su richiesta dell’Organizzazione Mondiale della Sanità).