D-&-Innovazione-2019 - Copia

 

 

Foto F. CuccuQuestioni di diritto intertemporale in tema di interessi anatocistici nei rapporti bancari regolati in conto corrente

 

 

Francesco Cuccu

Università di Sassari

print in pdf

 

Sommario: 1. La sentenza. – 2. La questione. – 3. L’applicazione di interessi anatocistici. – 4. Alcune riflessioni conclusive.

 

 

 

1. – La sentenza

 

TRIBUNALE DI SASSARI, 23 aprile 2019, n. 513 – DE GIORGI Giudice monocratico – T. s.p.a. (avv. Lecis) c. U. s.p.a. (avv. Fioretti)

 

Conto corrente bancario – Domanda di accertamento del saldo e di condanna della banca – Infondatezza per mancanza di prova - Interesse alla pronunzia dichiarativa di nullità di alcune clausole – Sussistenza

(Cod. civ., art. 2697)

 

Pur essendo da rigettare per mancanza della prova le domande volte all’accertamento del saldo e alla conseguente condanna al pagamento, se il rapporto è ancora in essere, sussiste comunque un interesse diretto, concreto e attuale del correntista a ottenere una pronunzia dichiarativa in ordine alle eccepite nullità contrattuali.

 

Conto corrente bancario – Clausola anatocistica - Disciplina ratione temporis applicabile – Nullità

(Cod. civ., art. 1283; TUB, art. 120)

 

Deve ritenersi indebita la capitalizzazione degli interessi a debito e a credito avvenuta dal momento dell’apertura del rapporto e sino alla sua futura chiusura, salvo modifiche bilateralmente pattuite.

 

(Omissis). Motivi della decisione. – (Omissis). 3. Le domande di accertamento del saldo, di condanna al pagamento del saldo attivo o alla ripetizione di indebito, proposte dalla correntista.

Nel caso di specie deve essere data applicazione alla regola generale di ripartizione dell’onere della prova stabilito dall'art. 2697 c.c., secondo il quale grava su chi agisce in giudizio l’onere di provare i fatti costitutivi delle proprie pretese.

Da ciò discende che in materia bancaria, quando ad agire in giudizio sia il correntista per l’accertamento del saldo, tale onere si sostanzia nella necessità che venga provato non solo il titolo contrattuale ma anche l’intero andamento del rapporto dalla sua nascita alla sua chiusura, o comunque alla data che l’attore medesimo ha individuato quale momento finale della propria pretesa, salvo che – in presenza di una serie continua di estratti conto che decorrono dalla data di chiusura del rapporto o dalla data oggetto dell’accertamento del saldo e che copra a ritroso un certo arco temporale – non si possa dire che il saldo ad una certa data fosse incontroverso. Per converso, quando ad agire per il pagamento del saldo di un conto corrente sia la banca creditrice la banca è tenuta a produrre gli estratti conto a partire dall’apertura del conto, anche oltre il decennio (perché non si può confondere l’obbligo di conservazione della documentazione contabile con l’onere di fornire prova in giudizio del proprio credito), mentre la produzione di estratti conto per una frazione temporale unilateralmente individuata dalla banca è radicalmente inidonea ad assolvere l’onere probatorio che sta a suo carico.

Sul punto pare opportuno richiamare per esteso la pronunzia della Suprema Corte, secondo cui: «Nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista ma lo stesso può dirsi per la nullità di altre pattuizioni inerenti al conto, la rideterminazione del saldo del conto deve avvenire attraverso i relativi estratti a partire dalla data della sua apertura, così effettuandosi l’integrale ricostruzione del dare e dell’avere, con applicazione del tasso legale, sulla base di dati contabili certi in ordine alle operazioni ivi registrate, inutilizzabili invece rivelandosi, a tal fine, criteri presuntivi o approssimativi». (Omissis)

Sul punto, infine, il Tribunale intende precisare che non condivide integralmente quanto affermato dalla Suprema Corte con l’ordinanza n. 31187 del 3.12.2018, citata dalla difesa attrice («in materia di conto corrente bancario il cliente, il quale agisca in giudizio per la ripetizione dell’indebito, è tenuto a fornire la prova dei movimenti del conto, tuttavia, qualora limiti l’adempimento ad alcuni aspetti temporali dell’intero andamento del rapporto, il giudice può integrare la prova carente, sulla base delle deduzioni svolte dalla parte, anche con altri mezzi di cognizione disposti d’ufficio, in particolare disponendo una consulenza contabile»): tale pronuncia, infatti, deve essere interpretata con prudenza e in coerenza con l’intero sistema processuale, che prevede delle regole di azione che non prevedono eccezioni di favore per il correntista, in virtù di tale qualità. La pronuncia, quindi, va intesa nel senso che, certamente, in considerazione della lunga durata di tali rapporti e della molteplicità di documenti contabili deve essere possibile nel processo colmare talvolta lacune nell’andamento del saldo (si pensi ad un rapporto ventennale in cui manchino appena 2-3 mesi di rapporto), ma purché tali carenze documentali non siano eccessive e purché i dati oggettivi presenti in atti consentano di limitare al massimo l’introduzione di elementi congetturali; mentre qualora il conto sia aperto, si verta in materia di accertamento ad una data unilateralmente determinata dal correntista, manchino gli elementi oggettivi per effettuare le opportune depurazioni delle voci illegittime (ad esempio se gli interessi applicati non sono determinati in contratto ma variano di mese in mese e così le commissioni, come nella specie), vi siano carenze documentali significative (nella specie in totale più di due anni di rapporto) non si possa comunque pervenire a una condanna (il saldo ad esempio attivo al 2013 per il correntista può non esserlo più nel 2019 con la conseguenza che sarebbe impossibile condannare la banca a pagare un saldo attivo, ormai inesistente e comunque i fatti successivi non sono nella cognizione del Tribunale), è regola di maggiore prudenza e anche di maggior tutela del correntista stesso, non accertare del tutto approssimativamente, ciò che potrà essere accertato compiutamente in esito alla chiusura del rapporto e alla declaratoria di nullità delle clausole illegittime.

La domanda di accertamento del saldo e di ripetizione di indebito, deve, pertanto, essere rigettata. Da tale rigetto discende anche l’assorbimento delle eccezioni di prescrizione e di compensazione formulate dalla convenuta. (Omissis)

4. Le domande di accertamento della nullità di singole clausole contrattuali proposte dalla società correntista.

Pur essendosi rigettate le domande volte all’accertamento del saldo e alla conseguente condanna al pagamento, il Tribunale ritiene che sussista comunque un interesse diretto, concreto e attuale della correntista ad ottenere una pronunzia dichiarativa in ordine alle rilevate nullità contrattuali in quanto il rapporto di conto corrente risulta ancora intercorrente fra le parti (come si è detto sopra il conto corrente è da intendersi ancora 'aperto'), con la conseguenza che al momento della sua chiusura entrambe le parti non potranno prescindere dagli accertamenti svolti in questa sede. (Omissis)

4.2. La domanda volta all’accertamento della nullità della clausola che prevede la capitalizzazione trimestrale o annuale degli interessi.

Anche tale domanda è fondata e deve essere accolta.

Il contratto di conto corrente in atti tra le “norme che regolano i conti correnti di corrispondenza e servizi connessi” prevede, espressamente, sempre all’articolo 7 che «i rapporti di dare e avere vengono chiusi contabilmente, in via normale, a fine dicembre di ogni anno, portando in conto oltre agli interessi ed alle commissioni, anche le spese postali, telegrafiche e simili e le spese di tenuta e di chiusura del conto ed ogni eventuale altra, con valuta data di regolamento.

I conti che risultino, anche saltuariamente, debitori vengono invece chiusi contabilmente, in via normale, trimestralmente e cioè a fine marzo, giugno, settembre dicembre, applicando agli interessi dovuti dal Correntista e alle competenze di chiusura valuta data di regolamento del conto, fermo restando che a fine d’anno, a norma del precedente comma, saranno accreditati gli interessi dovuti dall’'Azienda di credito e operate le ritenute fiscali di legge».

Il contratto di conto corrente bancario per cui è causa prevede, dunque, la chiusura annuale, nonché la conseguente capitalizzazione annuale per gli interessi, in condizioni di saldo attivo, e la chiusura trimestrale, nonché la conseguente capitalizzazione per gli interessi a debito, in presenza di un saldo debitore per il correntista.

La disciplina da applicarsi al contratto in esame (25.10.1991) è quella previgente all’entrata in vigore dell’art. 120 TUB come modificato dal D.Lgs. n. 342 del 4 agosto 1999 - avvenuta in data 19.10.1999 e comunque con efficacia dalla data di vigenza della Del. CICR 6 febbraio 2000 (22.4.2000) - ed in relazione ad essa deve ritenersi la nullità della clausola che ha previsto la capitalizzazione degli interessi a debito in violazione della disposizione di cui all’art. 1283 c.c.

Al riguardo è sufficiente richiamare, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., i precedenti conformi costituiti dal noto, ed oramai consolidato, orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 2374/99, 3096/99, 3845/99, 12507/99, 4490/02, 8442/02, 2593/03 e S.U. 21095/04; nn. 4093, 4094 e 4095/05; n. 870/06 ed inoltre ribadito da S.U. 2.12.2010 n. 24418) secondo cui la pratica della capitalizzazione periodica degli interessi debitori, in quanto comporta la produzione di interessi su interessi, è illegittima ai sensi dell’art. 1283 c.c. con la conseguenza che per i contratti in essere (come quello in esame) prima dell’entrata in vigore della deliberazione del CICR del 9.2.2000, in vigore dal 22.4.2000, la Banca convenuta non ha diritto a percepire interessi maturati su altri interessi a prescindere dalla periodicità della capitalizzazione e dalla previsione di una chiusura contabile eguale degli interessi creditori e debitori.

La questione è stata affrontata ripetutamente anche dalla giurisprudenza di merito essendo frequente nel contenzioso bancario. In tal senso si richiamano, quali condivisi precedenti conformi, le decisioni assunte da Trib. Mantova 12.7.2008, Trib. Mondovì 17.2.2009 e Trib. Torino 20.6.2014; nonché da questo Tribunale (cfr. sentenza n. 1487 del 16.11.2017).

La conseguenza dell’accertata nullità della richiamata clausola contrattuale è quella di ritenere indebita la capitalizzazione degli interessi a debito avvenuta per tutta quella parte del rapporto ricompresa tra la sua apertura ed il 22.4.2000, data di entrata in vigore della delibera CICR, sopra richiamata.

In particolare il perimetro normativo è costituito, ratione temporis e considerata la fattispecie esaminata, dalla sola disposizione di cui all'art. 1283 c.c. a mente della quale «in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzioni posteriori alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi».

L’uso invalso nella prassi bancaria di imporre unilateralmente interessi anatocistici è stato, pertanto, da sempre considerato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione un’illegittima deroga a norma imperativa, allorquando il legislatore, con il D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342, è intervenuto sulla materia incaricando il Comitato Interministeriale del Credito e Risparmio di stabilire le modalità e i criteri per l’applicazione di interessi su interessi, maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo che venisse assicurata la medesima periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori.

La norma (art. 25 del citato decreto), infatti, ha fornito fondamento di rango primario, affinché una fonte di diritto di rango secondario (una delibera del CICR) potesse derogare quanto disposto da una norma imperativa del codice civile (ovverosia l’art. 1283 c.c.).

Per quanto riguarda, invece, il periodo successivo all’entrata in vigore della delibera CICR citata, è necessario verificare se sia intercorsa tra le parti un’espressa pattuizione volta all’applicazione della capitalizzazione degli interessi con identica periodicità, non potendosi ovviare a tale incombente mediante pubblicazione di avvisi nella Gazzetta Ufficiale.

La modifica di una clausola contrattuale, infatti, non può avvenire per l’unilaterale volontà di una delle parti, ma solo a seguito di rinegoziazione del contratto su accordo di entrambi i contraenti, mentre l’eventuale meccanismo di pubblicità consistente nella pubblicazione in Gazzetta Ufficiale non è conforme alla previsione della richiamata delibera CICR.

Sul punto è necessario svolgere anche le seguenti ulteriori considerazioni.

La delibera CICR dispone all’art. 2 che l’anatocismo possa essere concordato contrattualmente purché che i saldi periodici producano interessi secondo le medesime modalità e vi sia la medesima periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori.

Inoltre il successivo art. 7, comma 2, dispone che nel caso in cui interessi anatocistici vengano applicati a conti correnti preesistenti all’entrata in vigore della delibera in esame, ci sia per l’istituto di credito un obbligo di comunicazione al cliente.

Tale obbligo, tuttavia, può ritenersi validamente adempiuto con la semplice comunicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana «qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate». Qualora, invece, le nuove condizioni contrattuali abbiano configurato tale peggioramento, ovvero abbiano determinato un aggravio delle condizioni economiche a carico del correntista, l’introduzione di clausole su interessi anatocistici saranno valide solo se esplicitamente approvate dalla clientela (art. 7, co. 3).

Ora, affinché il requisito della parità di condizioni possa considerarsi effettivamente rispettato, è necessario che tale parità di condizioni non sia solo apparente, ma effettiva.

Ed, in tal senso, non può bastare a soddisfarla la semplice previsione di capitalizzazione e calcolo alle medesime scadenze degli interessi attivi e passivi, quando invece tale clausola era in precedenza radicalmente nulla con conseguente assenza di qualsivoglia capitalizzazione.

Sul punto, inoltre, deve evidenziarsi come il citato art. 25 del D.Lgs. n. 342 del 1999 prevedesse, oltre alla modifica dell’art. 120 T.U.B., anche una norma transitoria che sanava ex post e con efficacia retroattiva le clausole anatocistiche apposte nei contratti di conto corrente precedenti (art. 25, co. 3), norma che è poi stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 425 del 17.10.2000, con la conseguenza di essere così venuto a mancare il fondamentale supporto legislativo che salvava la validità delle clausole anatocistiche preesistenti alla Del.CICR del 9 febbraio 2000.

In altri termini non è più possibile, soprattutto dopo l’intervento della Corte Costituzionale, qualificare la capitalizzazione trimestrale, con pari periodicità, come modifica non peggiorativa, con la conseguenza che - in assenza di specifica approvazione scritta da parte del correntista - la violazione del divieto di anatocismo persiste per i contratti stipulati ante 22.4.2000, anche se la banca abbia dato comunicazione delle modifiche mediante la richiamata forma di pubblicità.

Per effetto della declaratoria della nullità della clausola contrattuale che prevede a carico del correntista la capitalizzazione degli interessi debitori, deve ritenersi indebita la capitalizzazione degli interessi a debito e a credito avvenuta dal momento dell’apertura del rapporto e sino alla sua futura chiusura, salvo modifiche bilateralmente pattuite, di cui in atti non vi è traccia. (Omissis)

 

 

2. – La questione

 

La sentenza in epigrafe affronta il problema della nullità delle clausole di capitalizzazione trimestrale o annuale degli interessi: questione molto frequente nel contenzioso bancario relativo ai rapporti di conto corrente e legata alla rideterminazione del saldo contabile.

Il giudizio si è chiuso, come molti altri analoghi, col rigetto della domanda di accertamento del saldo per non aver la società ricorrente assolto il relativo onere probatorio. Il Tribunale, infatti, richiamato il noto principio di distribuzione dell’onere della prova, sancito all’art. 2697 c.c., secondo il quale grava su chi agisce in giudizio l’onere di provare i fatti che costituiscono il fondamento delle proprie pretese, e rilevata la mancanza agli atti di non pochi estratti conto periodici, ha rigettato la domanda affermando che solo la ricostruzione dell’intero andamento del rapporto avrebbe consentito la rideterminazione del saldo contabile[1].

Malgrado la rilevata impossibilità di determinazione del saldo contabile, il Tribunale, ha comunque ritenuto esistente l’interesse concreto e attuale della società ricorrente a ottenere comunque una pronuncia in merito alla eccepita nullità contrattuale, e ciò in ragione del fatto che il rapporto contrattuale era ancora in essere; pronuncia sulla quale è di qualche interesse soffermarsi, anche per un’analisi dello stato dell’arte e valutare il consolidarsi o meno di alcuni orientamenti giurisprudenziali in materia[2].

 

 

3. – L’applicazione di interessi anatocistici

 

Una delle clausole sottoposte all’attenzione del Giudice aveva dunque il seguente tenore: «[i] conti che risultino, anche saltuariamente, debitori vengono invece chiusi contabilmente, in via normale, trimestralmente, e cioè a fine marzo, giugno, settembre dicembre, applicando agli interessi dovuti dal Correntista e alle competenze di chiusura valuta data di regolamento del conto», e aveva quindi l’effetto di determinare ulteriori interessi da parte degli interessi c.dd. primari.

Quello dell’anatocismo è un fenomeno che ha avuto negli ultimi decenni una “non lineare” e a tratti frenetica evoluzione che è bene per sommi capi riepilogare, anche perché tale evoluzione normativa e giurisprudenziale ha avuto luogo proprio mentre si svolgeva la vicenda contrattuale oggetto del giudizio che si commenta.

Primo riferimento sul tema è indubbiamente l’art. 1283 c.c., ove si stabilisce che «[i]n mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi»[3].

Tra le varie condizioni poste all’art. 1283 c.c. perché gli interessi scaduti possano a loro volta produrre interessi, un particolare rilievo ha in passato assunto il riferimento agli usi. Per un lungo periodo infatti la giurisprudenza pressoché unanime, ritenendo che nell’ambito bancario fossero sussistenti usi contrari aventi natura normativa[4] (rappresentati dalle NBU, sempre richiamate nei contratti bancari) ha giudicato legittime le clausole dei contratti bancari che prevedevano tale meccanismo di produzione degli interessi[5].

Anche la dottrina, per lungo tempo, è stata del medesimo avviso[6], almeno fino alla seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso, quando si sono levate le prime voci dissenzienti[7]. Voci che hanno variamente argomentato il loro dissenso.

Secondo un primo orientamento, che pure riconosceva l’esistenza di usi contrari in tema di anatocismo, di questi doveva criticarsi la disparità di trattamento tra le due parti del rapporto; una disparità ritenuta assolutamente ingiustificata[8]. Come è infatti noto, le N.B.U. prevedevano termini decisamente più favorevoli per le banche.

Altre voci critiche si sono levate dopo l’entrata in vigore della legge sulla c.d. trasparenza bancaria (l. n. 154 del 1992) che, sebbene non prevedesse norme specificamente dedicate all’anatocismo, è stata usata, segnatamente il suo art. 4 [9], comma 3, per argomentare l’invalidità delle clausole relative alla c.d. capitalizzazione degli interessi nei rapporti bancari regolati in conto corrente. La previsione di nullità delle clausole contrattuali di rinvio agli usi prevista dall’art. 4, infatti, è stata infatti da alcuni ritenuta riferibile anche all’uso normativo in tema di anatocismo[10].

Una argomentazione, quella che fa perno sull’art. 4, comma 3, della legge sulla trasparenza bancaria del 1992, che prestava però il fianco ad alcune ‘affilate’ critiche. È stato infatti osservato, innanzitutto, che il divieto sancito all’art. 4 riguardava esclusivamente la determinazione degli interessi mediante rinvio agli usi su piazza, e non anche le norme consuetudinarie[11]. Si è inoltre considerato che proprio una disposizione della l. 154/92, precisamente l’art. 8, nel prevedere la necessaria comunicazione da parte della banca del dato relativo alla capitalizzazione degli interessi, sembrava riconoscerne la legittimità[12].

Le critiche più efficaci sono però sicuramente state quelle che hanno posto in dubbio l’esistenza di un uso normativo idoneo a derogare all’art. 1283 c.c. Critiche che hanno attentamente rilevato che usi relativi all’anatocismo sono registrati nelle raccolte tenute dalle Camere di commercio solo dopo l’approvazione delle prime N.B.U., e quindi dopo il 1951, e non prima[13]. Ciò posto in punto di fatto, è stata innanzitutto ricordata l’impossibilità che si formino usi contrari a norme imperative, e che pertanto solo gli usi accertati come esistenti in un momento precedente la promulgazione del codice civile possono derogare al divieto posto all’art. 1283 c.c.[14] Si è poi a fortiori rilevata l’inidoneità delle N.B.U. a rappresentare il fondamento di un uso normativo, difettando della necessaria opinio iuris ac necessitatis in capo al correntista, in quanto condizioni unilateralmente imposte dalla banca[15]. Dunque, esclusa la natura di usi normativi, quelli bancari in parola, si è detto, devono essere riqualificati come usi negoziali[16], validi ai sensi dell’art. 1283 c.c. solo se posteriori alla loro scadenza[17].

Tale linea interpretativa ha fatto breccia nella prima metà degli anni Novanta del secolo scorso nella giurisprudenza di merito[18], nella quale si è poi sempre più affermata[19], tanto da determinare un problematico contrasto di posizioni con le decisioni della Suprema corte che, come visto supra, erano di tenore opposto.

Tale contrasto è però venuto meno nell’arco di poco tempo, perché è del marzo 1999 il noto revirement della Corte di cassazione, ad opera delle sentenze n. 2374 e 3096 [20], con le quali sono state accolte le argomentazioni offerte dalla ricordata dottrina e già seguite da alcuni tribunali. Un revirement che ha trovato negli anni a seguire numerose conferme[21], fino ad essere ‘consacrato’ dalle Sezioni unite della Cassazione, con la nota sentenza n. 21095 del 4 novembre 2004 [22].

Ma il panorama giurisprudenziale non ha tardato a perdere la raggiunta omogeneità. Già all’indomani del nuovo indirizzo della Corte di cassazione, infatti, non poche corti di merito hanno affermato la legittimità delle clausole anatocistiche; una affermazione di legittimità fondata sull’applicazione della disciplina del conto corrente ordinario[23] che, sganciando i contratti bancari dall’art. 1283 c.c., renderebbe le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori una ipotesi di anatocismo previsto dalla legge.

Secondo tale orientamento – peraltro fortemente criticato in dottrina[24] e giurisprudenza[25] – la legittimità deriverebbe dall’applicazione del combinato disposto degli artt. 1825, 1831 e 1823, comma 2, c.c., che prevedono, rispettivamente, che la misura degli interessi sulle rimesse sia quella stabilita dal contratto o dagli usi, o, in mancanza di questi, dalla legge, che la chiusura del conto avvenga alle scadenze stabilite dal contratto o dagli usi e, in difetto, al termine di ogni semestre, e, infine, che il saldo si considera quale prima rimessa di un nuovo conto, se alla scadenza non è richiesto il pagamento[26].

In tale contesto, che faticava a trovare la necessaria armonia, è intervenuto il legislatore con il d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342, segnatamente l’art. 25, col quale, da un lato, disponendo per il futuro, con un nuovo secondo comma dell’art. 120 t.u.b., rimetteva a una decisione del C.I.C.R. (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio) «modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria»[27] e, dall’altro, con sguardo rivolto al passato, faceva sostanzialmente salve le clausole anatocistiche operanti fino a quel momento, così neutralizzando il recente revirement della Cassazione[28]. Tale intervento volto a sanare il pregresso, come è noto, è stato colpito, dopo poco più di un anno dalla sua introduzione, da dichiarazione di illegittimità costituzionale per eccesso di delega[29]. Delle due ricordate disposizioni introdotte col d.lgs. 342/1999 è dunque rimasta solo quella relativa alla delega al C.I.C.R., effettivamente esercitata il 9 febbraio 2000, con provvedimento entrato in vigore il 22 dello stesso mese[30], al cui art. 2 [31] si stabiliva, relativamente alle operazioni in conto corrente, che l’addebito e l’accredito degli interessi dovevano avvenire secondo i tassi e la periodicità fissati nel contratto, ferma comunque la regola della medesima periodicità per gli interessi debitori e creditori[32].

A questo punto dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale, dunque, le clausole anatocistiche erano valide se stipulate successivamente all’entrata in vigore della ricordata Delibera C.I.C.R. 9 febbraio 2000, e dovevano essere invece ritenute nulle se anteriori. In altri termini, come è stato efficacemente osservato, tale delibera C.I.C.R. rappresentava uno ‘spartiacque’ interpretativo della materia[33].

Ma, come anticipato, quella in analisi è una materia caratterizzata da una frenetica e poco lineare produzione normativa, che proprio in tempi relativamente recenti ha avuto significativi sviluppi.

Nel 2013, infatti, ad opera dell’art. 1, comma 629, l. 27 dicembre 2013, n. 147 [34] (c.d. legge di stabilità per il 2014), il secondo comma dell’art. 120 t.u.b. assumeva la seguente nuova formulazione: «[i]l CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale». Tale nuova formulazione, certo non apprezzabile per la sua chiarezza[35], rappresenta quindi l’ennesimo cambiamento dell’evoluzione normativa in materia di anatocismo, per effetto del quale questo viene vietato. Di lì a poco, però, con un incedere del legislatore per il quale vi è chi non ha esitato a parlare di schizofrenia[36], con l’art. 31 del d.l. 24 giugno 2014, n. 91, veniva ‘riammesso’ l’anatocismo[37], anche se tale art. 31 è stato prontamente soppresso dalla legge di conversione del decreto n. 91 (l. 11 agosto 2104, n. 116)[38], e quindi le regole sull’anatocismo dovevano essere rinvenute nell’art. 120 t.u.b. così come modificato dalla legge di stabilità 2014. Una formulazione, quella dell’art. 120 t.u.b. in vigore dal 1° gennaio 2014, che poneva all’interprete un delicato problema: non era infatti chiaro se essa fosse immediatamente precettiva o se, invece, tale diventasse solo una volta emanato il provvedimento del C.I.C.R.[39].

A sostegno della seconda ipotesi sono state offerte considerazioni sulla «completezza giuridica della norma», che senza la delibera C.I.C.R. non si sarebbe retta[40].

Più articolate sono invece le considerazioni sulla quali poggiava la prima ipotesi.

Tali considerazioni si sono innanzitutto soffermate sulla lettera della disposizione[41], che sembrava abbastanza perentoria nello stabilire che «gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori». Una disposizione che poi, sotto questo profilo, non lasciava alla delibera C.I.C.R. alcun margine discrezionale; margine che sembrava infatti sussistere solo in relazione alle modalità e ai criteri per la produzione di interessi.

A favore della prima ipotesi interpretativa sono state inoltre formulate considerazioni sulla natura delle deliberazioni del C.I.C.R. e la loro collocazione nel sistema delle fonti. Tali deliberazioni, si è infatti osservato, possono «al più assumere valore di mero atto amministrativo generale», comunque privo della portata innovativa della disciplina sostanziale, e dunque «costituiscono fonti normative di rango sub primario» che non possono in alcun modo incidere, neppure in via interpretativa, sulla disciplina sostanziale, che di conseguenza è necessariamente self-executing[42].

Si è poi aggiunto che subordinare l’operatività del divieto di anatocismo alla emanazione della delibera C.I.C.R. avrebbe determinato una situazione di incertezza e possibili conseguenti pratiche disomogenee[43].

Tale problema interpretativo, ancora prima che potesse trovare un definitivo assetto in dottrina e giurisprudenza, è stato superato dall’emanazione del d.l. 14 febbraio 2016, n. 18 [44], il cui art. 17-bis – che rappresenta l’ultimo tornante (per ora) della tormentata evoluzione della disciplina dell’anatocismo – ha riscritto l’art. 120, comma 2, reintroducendo quanto poco tempo prima era stato eliminato[45]. Tale disposizione sembra infatti disporre l’automatica produzione di interessi anatocistici per quanto riguarda gli interessi di mora, mentre per quelli debitori la produzione viene subordinata all’autorizzazione, anche preventiva, da parte del cliente; una potere autorizzativo riconosciuto al cliente che però deve essere letto alla luce dell’asimmetria che ne caratterizza i rapporti con la banca, la cui “forza contrattuale” rimane comunque tale da indebolirne fortemente ogni possibilità di esercizio[46].

La delibera C.I.C.R. alla quale comunque la nuova formulazione dell’art. 120 t.u.b. rinvia (seppure lasciando limitati margini di decisione) è stata adottata il 3 agosto 2016, e per quanto qui di interesse, si è limitata a riprodurre quanto già previsto in tale disposizione.

In questo suo continuo oscillare, il pendolo si trova dunque ora dalla parte degli interessi delle banche che, al momento, nelle considerazioni del legislatore, hanno prevalso su quelli dei loro clienti.

Sulla base dell’evoluzione normativa in tema di anatocismo appena riepilogata, facendo ora ritorno alla vicenda processuale in commento, e considerato che essa riguardava un contratto stipulato il 25 ottobre 1991, e che quindi era già in essere nel momento in cui sono intervenute non poche novità normative, ci si deve innanzitutto chiedere se, ed eventualmente come, queste possano avere prodotto effetti sul contratto[47].

Una prima risposta a tele interrogativo sembra rinvenibile in quanto disposto all’art. 161, comma 6, t.u.b., ai sensi del quale «[i] contratti già conclusi e i procedimenti esecutivi in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo restano regolati dalle norme anteriori».

A prescindere da tale disposizione, si deve poi ricordare il consolidato orientamento giurisprudenziale, dall’ambito di applicazione più ampio di quello del t.u.b., secondo il quale «[l]a validità di un contratto in difetto di un eventuale norma espressamente dichiarata retroattiva dal legislatore deve perciò essere riferita alle norme in vigore nel momento della sua conclusione», e non a quelle della sua applicazione o verifica in sede giudiziale[48]; orientamento sulla base del quale sembra si possa concludere per la generale insensibilità del contratto alle norme di emanazione successiva. Una insensibilità che però non riguarda quelle sopravvenienze che siano espressione di valori di rilievo primario. Queste, infatti, sebbene non siano in grado di determinare l’invalidità dell’atto di autonomia privata – limitata ai casi di vizio genetico originario[49] – possono però portare, attraverso un procedimento interpretativo sistematico che si fonda sulla necessità di adeguare la norma ordinaria a quella costituzionale, all’immediata applicazione ai rapporti in corso delle regole sopravvenute, se queste danno appunto attuazione a princìpi e valori di portata costituzionale[50]. Una immediata applicazione che può dunque determinare la sopravvenuta inefficacia delle clausole contrattuali, rimessa necessariamente alla sensibilità dell’interprete, al quale è dunque affidato il non semplice compito del bilanciamento tra tale necessità di adeguare i contenuti dell’accordo e l’affidamento delle parti nella stabile conservazione dell’assetto che queste si sono date.

Una posizione interpretativa, questa, fatta propria da un consolidato orientamento giurisprudenziale che ricorda come, in base ai princìpi che regolano la successione delle leggi nel tempo, pur non potendo prendere quali riferimenti del giudizio di conformità del contratto alla legge provvedimenti normativi entrati in vigore dopo la sua stipula[51], questi, al ricorrere delle ricordate condizioni, impediscano comunque il prodursi di effetti in contrasto con quanto in essi stabilito[52].

In altre parole, se pure il principio di irretroattività impedisce che si dichiari la nullità per contrasto con una norma sopravvenuta, quest’ultima, con effetto ex nunc, può essere comunque in grado di modificare l’assetto contrattuale, rendendo inoperanti le clausole in contrasto con essa[53].

Nel caso di specie, però, la circostanza che nel tempo si siano succedute disposizioni di segno diametralmente opposto sembra chiaramente dimostrare che sul tema non esistono riferimenti sistematici imprescindibili e, quindi, le norme che si sono succedute nel corso della vita del contratto bancario oggetto del provvedimento in commento non possono essere ritenute espressione di valori di rango primario, e non possono pertanto aver prodotto effetto alcuno su di esso.

Conseguentemente, la vicenda contrattuale in analisi deve avere quale unico riferimento normativo l’art. 1283 c.c., a mente del quale, secondo i più recenti orientamenti interpretativi, deve essere decretata la nullità delle clausole anatocistiche.

Una volta acclarata la nullità della clausola anatocistica, si pone il problema degli strumenti rimediali, per il quale dottrina e giurisprudenza ampiamente maggioritarie individuano l’azione di ripetizione dell’indebito[54].

Problema ancora successivo è invece quello della determinazione del preciso ammontare di ciò che deve essere restituito al cliente, per il quale sono prospettabili tre diverse soluzioni.

Secondo la prima, le banche devono restituire l’intero importo determinato dall’applicazione delle clausole anatocistiche[55].

A mente di altra prospettazione, invece, oggetto del rimborso dovrebbe essere la differenza tra gli importi addebitati secondo una capitalizzazione trimestrale degli interessi e quelli con periodicità semestrale che, secondo tale orientamento, troverebbe legittimazione in un uso normativo in tal senso, e sarebbe a fortiori comunque prevista all’art. 1283 c.c.[56].

La terza soluzione, che sembra essere la più seguita, prevede che l’istituto di credito restituisca al cliente la differenza tra applicazione della capitalizzazione trimestrale e quella annuale[57].

Tale orientamento si fonda sull’idea che dalla disposizione dettata all’art. 1284 c.c. sia possibile desumere il principio della scadenza annuale delle obbligazioni; scadenza annuale che opererebbe in difetto di scadenza convenzionale[58].

Il Tribunale di Sassari, però, come già ricordato, non ha affrontato tale problema ritenendo non provata la domanda di restituzione dell’indebito, in quanto mancanti agli atti non pochi estratti conto periodici.

 

 

4. – Alcune riflessioni conclusive

 

Il tormentato percorso dell’anatocismo si presenta, dunque, come una continua oscillazione tra il riconoscimento di una efficace tutela per la parte debole del rapporto, da un lato, e l’attenzione per un fondamentale elemento della redditività dell’attività bancaria, dall’altro.

Verso il primo di tali due poli ha solitamente spinto l’opera della giurisprudenza, in più occasioni però vanificata dall’azione del legislatore[59].

Tale continua tensione tra liceità e illiceità della pratica anatocistica, o, meglio, il relativo dibattito e le soluzioni proposte, sembrano avere spesso dato per scontato il valore meramente ‘contabile’ delle annotazioni in conto, con una serie di necessarie conseguenze in punto di disciplina di riferimento.

Secondo tale ricostruzione – prevalente tanto in dottrina quanto in giurisprudenza – la valenza solo contabile delle annotazioni in conto deriverebbe dalla loro inidoneità a determinare uno spostamento patrimoniale da un soggetto a un altro.

Tale ricostruzione nega dunque la valenza di pagamento delle annotazioni qualificando il saldo disponibile in termini di credito del cliente, e della posta passiva in termini di credito della banca, così consentendo il rinvio alla disciplina delle obbligazioni pecuniarie, e quindi al divieto di anatocismo di cui all’art. 1283 c.c.[60].

A tali annotazioni in conto sembra però possibile attribuire una differente natura, come in effetti ha fatto una attenta dottrina, che sulla base del riconoscimento del loro carattere solutorio ha dedotto l’inapplicabilità dell’art. 1283 c.c.[61].

Più in dettaglio, secondo tale ricostruzione, considerato che col contratto di conto corrente bancario le parti convengono di regolare i rapporti di dare e avere mediante annotazioni sul conto, e che il saldo relativo indica di conseguenza la quantità di moneta bancaria utilizzabile dal correntista (una quantità determinata appunto dalle annotazioni della banca), si è dedotto che tali annotazioni hanno effetto immediatamente estintivo delle rispettive obbligazioni, con la conseguenza che i debiti e i crediti diventano, con l’annotazione in conto, in rapida e automatica successione, dapprima liquidi ed esigibili, e, un attimo dopo, ‘esatti’[62].

Elemento fondamentale di tale ragionamento sarebbe l’art. 1852 c.c., ove si stabilisce che nelle operazioni regolate in conto corrente «il correntista può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito». L’annotazione, pertanto, avrebbe l’effetto immediato della variazione del saldo disponibile ed equivarrebbe a un pagamento[63].

Da tutto ciò conseguirebbe, dunque, che con l’annotazione in conto il rapporto relativo agli interessi si estingue, e non sarebbe più possibile parlare di interessi scaduti che producono altri interessi[64], così arrivando a inquadrare la questione con coordinate diverse da quelle dell’art. 1283 c.c.

Così opinando, è stato poi considerato, non si indebolirebbe la posizione del correntista, per il quale sarebbero comunque utilizzabili altri efficaci strumenti di tutela[65].

Punto centrale del tema è quindi la valenza, solutoria o contabile, da riconoscere alle annotazioni in conto degli interessi, sul quale, è stato attentamente osservato, sembra avere finalmente preso posizione il legislatore. Il nuovo testo dell’art. 120 t.u.b., è stato detto, col riferimento al capitale contenuto al comma 2, lett. b), parrebbe infatti prendere posizione a favore della valenza solutoria, così implicando una più corretta qualificazione del rapporto di conto corrente, al quale diventerebbe di conseguenza estraneo il fenomeno dell’anatocismo[66].

Una nuova formulazione dell’art. 120 t.u.b. che è stata giudicata come idonea ad assicurare una maggiore equità dei contratti di conto corrente bancario, a condizione però che si porti l’attenzione sul piano dell’equilibrio normativo ed economico del contratto, del quale l’esazione degli interessi rappresenta una sola parte[67].

Indipendentemente dalla soluzione che si imporrà sul tema, viene in conclusione da fare una ulteriore considerazione, di carattere più generale, in punto di stabilità delle regole di un settore – quello bancario – di primaria rilevanza nel sistema economico[68].

Una stabilità dalla quale non si può prescindere, perché, come osservava Max Weber, «[l]’imprenditore conta sul futuro e dunque anche su aspettative di carattere giuridico»[69]. Aspettative[70] che però, in subiecta materia, come visto, non possono validamente formarsi, con incalcolabili danni per il sistema economico, la cui efficienza ed efficacia, è stato autorevolmente ricordato, è funzione dell’efficienza e dell’efficacia del sistema giurisdizionale e di quello legislativo; sistema legislativo la cui qualità, come è evidente, è messa in pericolo dalla quantità delle leggi e dalla velocità del loro cambiamento[71].

Tali considerazioni si rafforzano nell’ottica di un’attenta proposta di interpretazione della dimensione del diritto commerciale.

Tale proposta interpretativa, nell’ambito di una generale prospettiva funzionalista del diritto, ha alla base l’idea che il diritto commerciale, quale diritto del mercato – da intendersi quale categoria storica e non ontologica, in un contesto nel quale il mondo della materia ha ceduto il passo al mondo della conoscenza, con conseguente abbandono del c.d. paradigma industriale – deve essere oggi inteso, nella società appunto post-industriale, quale “diritto dell’informazione”, perché il mercato è un sistema di informazioni decentrate e spontanee che può andare incontro a fallimenti a causa dell’asimmetria informativa che solo il diritto può efficacemente correggere[72].

E allora, se ogni decisione è funzione dell’informazione a essa connessa[73], il mercato deve essere letto quale articolato sistema informativo e, di conseguenza, la scienza giuridica non può non riconoscere a tale informazione, e agli innumerevoli processi decisionali a essa connessi[74], il giusto rilievo[75].

Una parte importante di tale informazione è innegabilmente costituita dall’insieme delle regole di un rapporto, la cui instabilità ha l’effetto di amplificare, oltre la sua ragionevole estensione, la dimensione dell’incertezza giuridica[76], e con essa la dimensione del rischio. Inevitabile conseguenza di ciò è il logoramento del clima di fiducia minima necessario per sostenere le dinamiche imprenditoriali, che in definitiva rende il mercato meno attrattivo. Insomma, l’incertezza delle regole incide negativamente sullo sviluppo del sistema economico generale[77].

Quella relativa alle regole è dunque una informazione dalla quale l’operatore economico non può prescindere, in quanto necessaria per contenere il rischio a essa coessenziale[78].

E allora, considerato che la certezza del diritto[79] rappresenta un fondamentale ancoraggio per gli aspetti di intersezione tra economia e diritto[80], è auspicabile che le regole in materia di anatocismo assumano un assetto che garantisca una maggiore prevedibilità[81].

 

 



[1] Il Tribunale di Sassari segue sul tema un consolidato orientamento giurisprudenziale; si v., ex multis, Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2011, n. 1842, in DeJure; Cass. civ., sez. I, 2 agosto 2013, n. 18541, ivi; Cass. civ., sez. I, 20 settembre 2013, n. 21597, ivi; Cass. civ., sez. I, 13 ottobre 2016, n. 20693, ivi; Cass. civ., sez. I, 28 novembre 2018, n. 30822, ivi; Cass. civ., sez. I, 25 novembre 2010, n. 23974, ivi; Cass. civ., sez. I, 19 settembre 2013, n. 21466, ivi; Trib. Cagliari, 20 maggio 2015, n. 1603, in Riv. giur. sarda 2016, 127 ss., con nota di M. Tola.

[2] Forse anche e soprattutto in ragione del rilevato esistente interesse a ottenere una pronuncia sulla validità di alcune clausole contrattuali, il Tribunale di Sassari non ha condannato la parte attrice ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., come in simili occasioni hanno fatto altri tribunali quando hanno rigettato domande analoghe perché hanno ritenuto non raggiunta la prova delle circostanze allegate: cfr. Trib. Cagliari, 20 maggio 2015, n. 1603, cit., 127 ss.; Trib. Torino, 17 settembre 2014, in www.expartecreditoris.it; Trib. Milano, 25 novembre 2014, ivi; Trib. Roma, 14 ottobre 2015, ivi.

[3] Sulla ratio dell’art. 1283 c.c., individuata nella tutela del debitore da eventuali abusi del creditore, in particolare rendendolo edotto del costo del credito, si v. C. Colombo, Anatocismo, in Enc. giur., agg. II, Roma 2000, 1 ss.; M. Semeraro, Divieto di anatocismo e squilibrio contrattuale nel rapporto di conto corrente bancario, nota a Trib. Lecce, 30 maggio 2005, in Rass. dir. civ. 2007, 199. Per il carattere inderogabile della medesima disposizione si v., in part., in dottrina, B. Inzitari, Diversa funzione della chiusura nel conto ordinario e in quello bancario – Anatocismo e commissione di massimo scoperto, nota a Trib. Milano, 4 luglio 2003, in Banca borsa tit. cred. 2003, II, 452 ss.; M. Libertini, Interessi, in Enc. dir., XXII, Milano 1972, 95 ss., e in giurisprudenza, Cass. civ., sez. I, 16 marzo 1999, n. 2374 e Cass. civ., sez. III, 30 marzo 1999, n. 3096, entrambe in Banca borsa tit. cred. 1999, II, 389 ss., con note di E. Ginevra e di A.A. Dolmetta-A. Perrone; Cass.civ., sez. un., 4 novembre 2004, 21095, in Banca borsa tit. cred. 2005, II, 139 ss.

[4] Tale configurazione aveva inoltre importanti riflessi sul piano probatorio, in quanto per gli usi normativi vale il principio “iura novit curia”, e quindi il giudice (anche di legittimità) ha la facoltà di indagare sulla loro esistenza «indipendentemente dalle allegazioni delle parti e dalle considerazioni svolte in proposito dai giudici di merito»: così Cass. civ., sez. III, 15 dicembre 1981, n. 6631, in Vita not. 1982, 738 ss.

[5] Per tale orientamento si v., tra i moltissimi provvedimenti: Trib. Trento, 5 aprile 1963, in Banca borsa tit. cred. 1964, II, 119 ss.; App. Firenze, 13 dicembre 1965, ivi, 1966, II, 100 ss.; App. Milano, 17 febbraio 1976, ivi, II, 332 ss.; Trib. Catania, 31 ottobre 1980, ivi, 1982, II, 270 ss.; Cass. civ., sez. III, 12 novembre 1981, n. 5985, in Giur. it. 1982, I, 1, 1217 ss.; Cass. civ., sez. III, 15 dicembre 1981, n. 6631, cit., 738 ss.; Cass. civ., sez. I, 19 agosto 1983, n. 5409; App. Cagliari, 8 maggio 1986, in Riv. giur. sar. 1987, 659 ss.; Cass. civ., sez. I, 5 giugno 1987, n. 4920, in Banca borsa tit. cred., 1988, II, 578 ss.; Cass. civ., sez. III, 20 giugno 1992, n. 7571, ivi, 1993, II, 358 ss.; Cass. civ., sez. I, 1° settembre 1995, n. 9227, in Fall. 1996, 163 ss.; Trib. Cagliari, 18 agosto 1998, n. 1153, in Riv. giu. sar. 2000, 763 ss., con nota di A. Sassi. Ricordano tale granitico orientamento del passato, tra gli altri, Cfr. C. Colombo, L’anatocismo, Milano 2007, 21; M. Tola, Anatocismo e conto corrente bancario nel diverso approccio alla giustizia, nota a Trib. Cagliari, 20 maggio 2015 e Arbitro ban. e fin., 2015, in Banca borsa tit. cred. 2016, II, 332.

[6] T. Ascarelli, Obbligazioni pecuniarie, nel Comm. del cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma 1959, 593; M. Libertini, Interessi, cit., 137; B. Inzitari, Interessi, in Dig. disc. priv., sez. civ., IX, Torino 1993, 596; E. Quadri, Le obbligazioni pecuniarie, in Tratt. di dir. priv., a cura di P. Rescigno, IX, Torino 1984, 568 ss.; E. Simonetto, Interessi. I) Diritto civile, in Enc. giur., XVII, Roma 1989, 6; C.M. Bianca, Diritto civile. IV. L’obbligazione, Milano 1990, 201, E. Colagrosso, Teoria generale delle obbligazioni e dei contratti, Roma 1946, 88; A. Pavone La Rosa, Gli usi bancari, in Le operazioni bancarie, t. 2, a cura di G.B. Portale, Milano 1978, 32.

[7] Tra i primi a manifestare il proprio dissenso G. Gabrielli, Controllo pubblico e norme bancarie uniformi, in Banca borsa tit. cred. 1977, I, 295. Secondo C. Colombo, L’anatocismo, cit., 100, le voci variamente dissenzienti presentavano una nota comune: l’insoddisfazione verso l’opportunità di abbandonare agli usi un settore delicato come quello dei contratti bancari.

[8] G. Gabrielli, Controllo pubblico e norme bancarie uniformi, cit., 295; D. Sinesio, Interessi pecuniari fra autonomia e controlli, Milano 1981, 90 ss.; E. Quadri, La modificazione della materia degli interessi in alcuni recenti progetti legislativi: risposte ancora inadeguate ad un problema urgente, in Rass. dir. civ. 1984, 320 ss.

[9] L’art. 4 (Contenuto dei contratti) della l. 17 febbraio 1992, n. 154, poi trasfuso nell’art. 117 t.u.b., prevedeva che «1. I contratti devono indicare il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora. 2. L’eventuale possibilità di variare in senso sfavorevole al cliente il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione deve essere espressamente indicata nel contratto con una clausola approvata specificamente dal cliente. 3. Le clausole contrattuali di rinvio agli usi sono nulle e si considerano non apposte. 4. Le clausole che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli resi pubblici sono nulle».

[10] Cfr. N. Salanitro, Evoluzione dei rapporti tra disciplina dell’impresa e disciplina dei contratti nel settore creditizio, in Banca borsa tit. cred. 1992, I, 609; A. Nigro, La legge sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari: note introduttive, in Dir. banc. merc. fin. 1992, 431.

[11] G. Gabrielli, Capitalizzazione trimestrale degli interessi attivi e usi creditizi, in Riv. dir. civ. 1999, I, 452. Per la medesima lettura del dato legislativo Trib. Roma, 18 luglio 1996, in Nuova giur. civ. comm. 1988, I, 183 ss.

[12] Cfr. A. Ambrosio, Il conto corrente bancario: le vicende del rapporto, in AA.VV., I contratti bancari, Milano 1999, 364; G. De Nova, Capitalizzazione trimestrale: verso un revirement della Cassazione?, nota a Cass. civ., sez. I, 16 marzo 1999, n. 2374, in Contratti 1999, 444.

[13] Di avviso contrario Trib. Firenze, 9 gennaio 2001, in Contratti 2001, 596. In dottrina, G. De Nova, op. cit., 442 ss.; G. Cabras, Conto corrente bancario ed anatocismo tra diritto e pregiudizio, in Dir. banca e merc. fin. 1999, I, 272 ss.; F. Dell’Anna Misurale, La nuova giurisprudenza in materia di anatocismo: riflessioni critiche sul revirement della Cassazione, in Giur. it. 1999, 1873; M. Porzio, Riflessioni critiche sulle recenti sentenze della Cassazione in materia di anatocismo, in Banca borsa tit. cred. 1999, II, 651.

[14] Per tale posizione Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2003, n. 2593, in Banca borsa tit. cred. 2003, II, 505 ss., con nota di C.M. Tardivo; Cass. civ., sez. un., 4 novembre 2004, 21095, cit., 139 ss.

[15] V. Farina, Recenti orientamenti in tema di anatocismo, in Rass. dir. civ. 1991, 780 ss. Per tale linea interpretativa Trib. Cagliari, 27 maggio 2002, n. 1441, in Riv. giur. sar. 2003, 713.

[16] Critica tale degradazione da usi normativi a usi negoziali C. Colombo, L’anatocismo, cit., 120.

[17] Dell’idea che il riferimento agli usi presente nell’art. 1283 c.c. non sarebbe limitato a quelli normativi, ma riguarderebbe anche quelli negoziali F. Ferro-Luzzi, Prime considerazioni a margine della sentenza della Corte di Cassazione del 16 marzo 1999, n. 2374, in tema di anatocismo, usi e conto corrente bancario, nota a Cass. civ., sez. I, 16 marzo 1999, n. 2374, in Riv. dir. comm. 1999, II, 179 ss.; O.T. Scozzafava, Gli interessi dei capitali, Milano 2001, 171; L. Di Pietropaolo, Gli « usi contrari » di cui all’art. 1283 c.c. e la « validità sopravvenuta » delle clausole bancarie anatocistiche, nota a Cass. civ., sez. I, 11 novembre 1999, n. 12507, in Giust. civ. 2000, I, 2050.

[18] Il primo provvedimento decisorio è il molto noto: Trib. Vercelli, 21 luglio 1994, in Banca borsa tit. cred. 1995, II, 352 ss.

[19] Cfr., ex plurimis, Trib. Busto Arsizio, 15 giugno 1998, in Foro it. 1998, I, 2997 ss.; Trib. Monza, 23 febbraio 1999, in Foro it. 1999, I, 1340 ss.; Trib. Cagliari, 17 febbraio 2006, n. 416, in Riv. giur. sar. 2006, 113 ss., con nota di C. Chessa.

[20] Cass. civ., sez. I, 16 marzo 1999, n. 2374 e Cass. civ., sez. III, 30 marzo 1999, n. 3096, cit., 389 ss.

[21] Cfr., tra le tante, Cass. civ., sez. I, 28 marzo 2002, n. 4490, in Riv. dir. comm. 2002, II, 233 ss., con nota di O.T. Scozzafava; Cass. civ., sez. III, 13 giugno 2002, n. 8442, in Giust. civ. 2002, I, 2109 ss.; Cass. civ., sez. I, 20 agosto 2003, n. 12222, in Foro it. 2004, I, 110 ss.; Cass. civ., sez. I, 25 febbraio 2005, n. 4094, in DeJure.

[22] Cass. civ., sez. un., 4 novembre 2004, n. 21095, cit., 139 ss., ove si è infatti affermato che l’uso di annotare con cadenza trimestrale gli interessi a debito del correntista è un uso meramente negoziale e non normativo e, come tale, risulta inidoneo a derogare al disposto dell’art. 1283 c.c., anche con riferimento al periodo anteriore alle decisioni con cui la Corte di cassazione ha accertato, in difformità rispetto all’orientamento sino ad allora seguito, l’inesistenza di tale uso normativo, difettandone anche in relazione a tale epoca i presupposti.

[23] Cfr. Trib. Roma, 14 aprile 1999, in Foro it. 1999, I, 2370 ss., con nota di R.A. De Rosas; Trib. Roma, 26 maggio 1999, ibidem; Trib. Roma, 17 dicembre 1999, ivi, 2000, I, 452 ss., con note di A. Palmieri e di A. Nigro; Trib. Roma, 9 maggio 2001, ivi, 2001, I, c. 2989 ss., con nota di A. Palmieri; Trib. Roma, 28 marzo 2001, in Riv. dir. comm. 2002, II, 392 ss., con nota di P. Jovino; Trib. Vercelli, 9 febbraio 2001, in Giur. it. 2001, 760 ss.; Trib. Lecce, 30 aprile 2001, in Arch. civ., 2001, 1370 ss.; Trib. Napoli, 17 novembre 2001, in Banca borsa tit. cred. 2002, II, 580 ss.; Trib. Cagliari, 27 maggio 2002, n. 1441, cit., 707 ss. In dottrina si v. A. Caltabiano, Il conto corrente bancario, Padova 1967, 137 ss.; A. Fiorentino, Del conto corrente. Dei contratti bancari, in Commentario del Codice civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma 1972, 164; E. Simonetto, Gli interessi nei rapporti a funzione creditizia, Padova 1981, 62; R. Lotito, Anatocismo e interessi bancari: orientamenti giurisprudenziali, in Riv. crit. dir. priv. 1989, 147 ss.; D. Moscuzza, L’anatocismo nel contratto di conto corrente ordinario e nel contratto di conto corrente bancario, in Giust. civ. 1999, I, 1595 ss.; G. Di Benedetto, Anatocismo e costo della disponibilità nei vecchi contratti e nei sistemi di pagamento elettronici. Tre domande sui futuri contratti di conto corrente, in Dir. banc. 2000, I, 606 ss.; A Nigro, L’anatocismo nei rapporti bancari: una « storia infinita »?, in Dir. banca merc. fin. 2001, 270.

[24] Cfr. M. Porzio, op. cit., 656; R. Zorzoli, Capitalizzazione trimestrale e periodica chiusura del conto, nota a Trib. Roma, 14 aprile 1999, in Contratti 1999, 655 ss.; G. Grasso, Anatocismo bancario: i giudici di merito sono contro la Cassazione (in margine a due pronunce del Tribunale di Napoli), in Contr. e impr. 2002, 977 ss.; L. Di Pietropaolo, op. cit., 2051 ss.; G. Mucciarone, L’anatocismo bancario: tra usi, interventi governativi e clausola Nub, nota a Corte cost., 17 ottobre 2000, n. 425, in Banca borsa tit. cred. 2001, II, 18; V. Farina, Gli interessi « uso piazza », l’anatocismo e la commissione di massimo scoperto, in Squilibrio e usura nei contratti, a cura di G. Vettori, Padova 2002, 410 ss.; B. Inzitari, Diversa funzione della chiusura nel conto ordinario e in quello bancario – Anatocismo e commissione di massimo scoperto, cit., 467 ss.; G.M. Santucci, Riflessioni sulla nuova derogabilità del divieto di anatocismo, nota a Corte cost., 17 ottobre 2000, n. 425, in Giur. comm. 2001, II, 211; D. Sinesio, Il recente dibattito sull’anatocismo nel conto corrente bancario: profili problematici, nota a Trib. Napoli, 24 novembre 2000, in Dir. e giur. 2000, 248.

[25] Si v., ex plurimis, Trib. Napoli, 24 novembre 2000, cit., 248 ss.; Trib. Milano, 4 luglio 2002, in Banca borsa tit. cred. 2003, II, 452 ss., con nota di B. Inzitari; Trib. Roma, 18 ottobre 2002, in Contratti 2003, 812 ss.; Trib. Milano, 23 marzo 2004, in Banca borsa tit. cred. 2004, II, 595 ss.; Trib. Firenze, 25 ottobre 2001, in Foro tosc. 2001, 239 ss.; Trib. Lecce, 30 maggio 2005, in Rass. dir. civ. 2007, 191 ss., con nota di M. Semeraro; App. Lecce, 22 ottobre 2001, in Foro it. 2002, I, 555 ss.; Cass. civ., sez. I, 14 maggio 2005, n. 10127, in Riv. dir. comm. 2005, II, 207 ss., che ragiona sulla base dell’«autonomia strutturale e funzionale» del conto corrente bancario rispetto a quello ordinario.

[26] Tale orientamento è stato condiviso in dottrina da: D. Moscuzza, op. cit., 1595 ss.; A. De Simone-M.R. De Simone, Legittimità della prassi bancaria di capitalizzazione trimestrale degli interessi, nota Trib. Napoli, 17 novembre 2001, in Banca borsa tit. cred., 2002, II, 605 ss.; P. Oliva, Capitalizzazione trimestrale degli interessi di conto corrente e incostituzionalità dell’art. 25, 3° comma, d.lgs. 342/1999, nota a Corte cost., 17 ottobre 2000, n. 425, in Fallimento 2001, 34; L. Panzani, La disciplina dell’anatocismo dopo la recente sentenza della Corte costituzionale, ivi, 30; C. Colombo, L’anatocismo, cit., 134 ss.

[27] L’art. 25 del d.lgs. n. 342/1999 aveva infatti aggiunto un secondo comma all’art. 120 t.u.b. dal seguente tenore: «[i]l CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori».

[28] Al terzo comma dell’art. 25 del d.lgs. n. 342/1999 si stabiliva infatti che: «[l]e clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilirà altresì le modalità e i tempi dell’adeguamento. In difetto di adeguamento, le clausole divengono inefficaci e l’inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente». La Corte costituzionale con la sentenza n. 425 del 17 ottobre 2000 ha dichiarato l’incostituzionalità di tale disposizione.

[29] Tra le varie ordinanza di rimessione si v., in part., Trib. Lecce, 21 ottobre 1999, in Foro it. 1999, I, 367 ss.; Trib., Brindisi, 8 novembre 1999, ivi, 2000, I, 453 ss.; Trib. Civitavecchia, 14 gennaio 2000, in Dir. banca e marcato fin. 2000, 284 ss. In dottrina, hanno sollevato dubbi di legittimità costituzionale V. Carbone, Interessi anatocistici tra interventi giurisprudenziali, salvataggi normativi e questioni di costituzionalità, in Corr. giur. 1999, 1494 ss.; S. Rizzini Bisinelli, Le novità in tema di raccolta del risparmio, mutui fondiari e anatocismo, in Contratti 1999, 1145; A. Palmieri, L’anatocismo, le banche e il tramonto degli usi: un «perspective overruling» del legislatore?, in Foro it. 2000, I, 458 ss.

[30] Per alcuni primi commenti al provvedimento si v., tra i molti disponibili, P. Ferro-Luzzi, Dell’anatocismo, del conto corrente bancario e di tante cose poco commendevoli, in Riv. dir. priv. 2000, 216 ss.; C. Garilli, L’anatocismo nei rapporti bancari alla luce della deliberazione CICR 9 febbraio 2000, in Dir. banc. 2001, I, 165 ss.; C.M. De Iuliis, Riflessioni in tema di capitalizzazione degli interessi alla luce della deliberazione Cicr 9 febbraio 2000, in Contr. impr. 2001, 736 ss.

[31] Hanno severamente criticato la scelta di affidare a un organo amministrativo una così delicata disciplina dei rapporti tra privati A Nigro, L’anatocismo nei rapporti bancari: una « storia infinita »?, cit., 274 ss.; A.A. Dolmetta, Il divieto di anatocismo per le banche dalla gestione del pregresso ai rapporti attuali. Per un uso laico della “certezza del diritto”, nota a Cass., sez. un., 4 novembre 2004, 21095, cit., 139 ss.; C.M. De Iuliis, op. cit., 749.

[32] V. Farina, Le recenti modifiche all’art. 120 TUB e la loro incidenza sulla delibera CICR 9 febbraio 2000, in Riv. dir. banc. 2014, 3, osserva che il C.I.C.R. si è «limitato in buona sostanza […] a ribadire, legittimandola, quella che era la censurata prassi corrente nell’ambito della contrattazione standardizzata».

[33] Cfr. M. Tola, Anatocismo e conto corrente bancario nel diverso approccio alla giustizia, cit., 333.

[34] Hanno fortemente criticato la formulazione dell’art. 1, comma 629, l. 27 dicembre 2013, n. 147, giudicandola decisamente mal scritta: C. Colombo, L’anatocismo tra legge di stabilità e instabilità della legge, in Corr. giur. 2015, 1092; R. Marcelli, L’anatocismo e le vicissitudini della delibera CICR 9/2/00. Dall’anatocismo sfilacciato al divieto dell’art. 1283 c.c.: nell’indifferenza dell’Organo di Vigilanza, l’intermediario bancario persevera nella capitalizzazione degli interessi, con oltre € 2 mil. di illegittimi ricavi nell’anno in corso, in www.ilcaso.it, 12 dicembre 2014, 4; V. Farina, Le recenti modifiche dell’art. 120 T.U.B. e la loro incidenza sulla delibera C.I.C.R. 9 febbraio 2000, cit., 9.

[35] Critica la formulazione del comma secondo dell’art. 120 t.u.b. introdotta con la legge 147/2013 M. Tola, Anatocismo e conto corrente bancario nel diverso approccio alla giustizia, cit., 333.

[36] F. Maimeri, La capitalizzazione degli interessi tra legge di stabilità e decreto sulla competitività, in Riv. dir. banc. 2014, 1; C. Colombo, L’anatocismo tra legge di stabilità e instabilità della legge, cit., 1091.

[37] L’art. 31 del d.l. 24 giugno 2014, n. 91, prevedeva infatti che: «1. Il comma 2 dell’articolo 120 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, è sostituito dal seguente: "2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione, con periodicità non inferiore a un anno, di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni disciplinate ai sensi del presente Titolo. Nei contratti regolati in conto corrente o in conto di pagamento è assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nell’addebito e nell’accredito degli interessi, che sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, comunque, al termine del rapporto per cui sono dovuti interessi; per i contratti conclusi nel corso dell’anno il conteggio degli interessi è comunque effettuato il 31 dicembre". 2. Fino all’entrata in vigore della delibera del CICR prevista dal comma 2 dell’articolo 120 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, continua ad applicarsi la delibera del CICR del 9 febbraio 2000, recante "Modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi scaduti nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria (art. 120, comma 2, del Testo unico bancario, come modificato dall’art. 25 del d.lgs. 342/99)", fermo restando quanto stabilito dal comma 3 del presente articolo. 3. La periodicità di cui al comma 2 dell’articolo 120 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, si applica comunque ai contratti conclusi dopo che sono decorsi due mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto; i contratti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e quelli conclusi nei due mesi successivi sono adeguati entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con l’introduzione di clausole conformi alla predetta periodicità, ai sensi dell’articolo 118 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385».

[38] Per le vicende relative al d.l. si v. F. Maimeri, Interessi e commissioni nei rapporti bancari. Il nuovo art. 120 T.U.B., in Dir. banc. merc. fin. 2014, 708 ss.

[39] U. Morera-G. Olivieri, Il divieto di capitalizzazione degli interessi bancari nel nuovo art. 120, comma 2, t.u.b., in Banca borsa tit. cred. 2015, I, 289 s.; C. Colombo, Gli interessi nei contratti bancari, cit., 97 s.; Id., L’anatocismo tra legge di stabilità e instabilità della legge, cit., 1095. In giurisprudenza, Trib. Cosenza, 27 maggio 2015, in DeJure; Trib. Torino, 16 giugno 2015, ivi; Trib. Torino, 5 agosto 2015, in Foro it. 2016, 3, I, 1059 ss.; Trib. Bologna, 9 dicembre 2015, in DeJure.

[40] F. Maimeri, Art. 120, comma 2, TUB e le decisioni del Tribunale di Milano, in www.expartecreditoris.it, 3.

[41] Tra i sostenitori di tale posizione A.A. Dolmetta, Sopravvenuta abrogazione del potere bancario di anatocismo, in Banca borsa tit. cred. 2015, I, 279, il quale ritiene che la disposizione debba trovare automatica applicazione «senza bisogno di stampelle amministrative»; V. Farina, L’immediata operatività del (nuovo) divieto di anatocismo, in Contratti 2015, nota a Trib. Milano, sez. VI, 3 aprile 2015, 88. In giurisprudenza, App. Genova, 17 marzo 2014, in www.dirittobancario.it; Trib. Milano, 25 marzo 2015, in Banca borsa tit. cred. 2015, II, 310 ss.; Trib. Milano, 3 aprile 2015, ibidem; Trib. Cuneo, 19 giugno 2015, in DeJure; Trib. Biella, 7 luglio 2015, in Giur. it. 2015, 2150 ss.; Trib. Milano, 1° luglio 2015, in www.movimentoconsumaotri.it; Trib. Milano, 29 luglio 2015, in www.ilcaso.it; Trib. Milano, 8 agosto 2015, ivi.

[42] Cfr. M. TOLA, Anatocismo e conto corrente bancario nel diverso approccio alla giustizia, cit., 335 ss.

[43] Ivi, 337 s.

[44] Recante “Misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio”.

[45] L’art. 17-bis del d.l. 14 febbraio 2016, n. 18 così dispone: «1. Al comma 2 dell’articolo 120 del decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, le lettere a) e b) sono sostituite dalle seguenti: “a) nei rapporti di conto corrente o di conto di pagamento sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori, comunque non inferiore ad un anno; gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del rapporto per cui sono dovuti; b) gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale; per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento, per gli sconfinamenti anche in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido: 1) gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1º marzo dell’anno successivo a quello in cui sono maturati; nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili; 2) il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l’addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l’autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l’addebito abbia avuto luogo”».

[46] P. Serrao D’Aquino, L’anatocismo bancario vietato, ma non troppo. La legge 49 del 2016 modifica ancora l’art. 120 T.U.B., in giustizia civile.com, 31 agosto 2016, 7, osservato che «di libertà negoziale nei rapporti standardizzati, ed a maggiore ragione in quelli bancari ve ne è poca o nessuna», conclude che «l’anatocismo/capitalizzazione degli interessi sarà automaticamente incluso nei contratti tra banche e clienti» e che il risultato della novella sarà «quello di tenere insieme un principio favorevole ai consumatori e, più in generale ai clienti (ma inconsueto nella prassi bancaria), ma di consentire una realtà ben diversa di sostanziale ritorno al passato».

[47] Sul generale problema della disciplina applicabile ai contratti di durata ancora in esecuzione al momento dell’entrata in vigore di una nuova discipline si v., in part., G. Porcelli La disciplina degli interessi bancari tra autonomia ed eteronomia, Napoli 2003, 40 ss.; F. Maisto, Diritto intertemporale, Napoli 2007, 1 ss.; F. Di Marzio, Forme della nullità nel nuovo diritto dei contratti. Appunti sulla legislazione, sulla dottrina e sulla giurisprudenza dell’ultimo decennio, in Giust. civ. 2000, II, 466 ss.

[48] Cfr. Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 1996, n. 267, in DeJure; Cass. civ., sez. III, 29 novembre 1999, n. 13339, in Corr. giur. 2000, I, 1219 ss., con nota di F. Conti. In senso conforme, ex plurimis, Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1993, n. 4926, in Foro it. 1994, I, 1884 ss.; Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1994, n. 8651, in Foro it. 1995, I, 150 ss.; Cass. civ., sez. I, 21 febbraio 1995, n. 1877, in DeJure; Cass. civ., sez. III, 2 aprile 1996, n. 3028, in Foro it. 1996, I, 2036 ss.; Cass. civ., sez. II, 28 marzo 1997, n. 2776, in DeJure. Per tale posizione in dottrina si v. A. Ciatti, Retroattività e contratto. Disciplina negoziale e successione di norme nel tempo, Napoli 2007, 216. Per un profilo critico si v., invece, G. Furgiuele, Diritti acquisiti, in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino 1989, 389 ss.

[49] A. Ciatti, op. cit., 216; Id., Contratto e applicazione di norme sopravvenute (sofortwirkung), in Diritto intertemporale e rapporti civilistici. Atti del 7° Convegno nazionale, 12-13-14 aprile 2012, Napoli 2013, 168; C. Ferrini, Sulla invalidazione successiva del negozio giuridico, in Arch. giur. 1901, VII, 223 ss.; R. Scognamiglio, Sulla invalidità successiva dei negozi giuridici, in Ann. dir. comp. 1951, XXVII, 54 ss., e ora in Scritti giuridici, Padova 1996, 230 ss. (dal quale si cita); Id., Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli 1950, 386; R. Tommasini, Invalidità (dir. priv.), in Enc. dir., XXII, Milano 1972, 592 ss.; Id., Nullità, (dir. priv.), in Enc. dir., XXVIII, Milano 1978, 899 ss.

[50] A. Ciatti, Retroattività e contratto. Disciplina negoziale e successione di norme nel tempo, cit., 171 ss.; Id., Contratto e applicazione di norme sopravvenute (sofortwirkung), cit., 179; P. Perlingieri, Mercato, solidarietà e diritti umani, in Rass. dir. civ. 1995, 84 ss.; Id., Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, III ed., Napoli 2006, 497; M. Libertini, Il ruolo del giudice nell’applicazione delle norme antitrust, in Giur. comm. 1998, I, 670 ss.; Id., Legge antitrust nazionale e sua applicabilità ai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge, in Riv. dir. priv. 1997, 356 ss.; F. Maisto, op. cit., 185 ss.; M. Schinnà, La nullità delle intese anticoncorrenziali, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2004, 428 ss. Sui termini generali del problema si v. M. Nuzzo, Utilità sociale e autonomia privata, Milano 1975, passim e in part. 87 ss.

[51] Cass. civ., sez. I, 21 febbraio 1995, n. 1877, in DeJure; Cass. civ., sez. II, 27 ottobre 1995, n. 11196, in Foro it. 1996, I, 2866 ss.

[52] C. cost., 27 giugno 1997, n. 204, in Foro it. 1997, I, 2033 ss.; Cass. civ. sez. III, 2 maggio 2002, n. 6258, in Giust. civ. 2003, I, 457 ss.; Cass. civ., sez. I, 28 marzo 2002, n. 4490, cit., 233 ss.; Cass. civ., sez. I, 18 settembre 2003, n. 13739, in Contratti 2003, 156 ss.

[53] Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2000, n. 15024, in Giust. civ. 2001, I, 689 ss.; Cass. civ., sez. I, 28 marzo 2002, n. 4490, cit., 233 ss.; Cass. civ., sez. I, 20 agosto 2003, n. 12222, cit., 110 ss.; Cass. civ., sez. I, 18 settembre 2003, n. 13739, cit., 156 ss.

[54] Cfr. C. Colombo, L’anatocismo, cit., 156; Id., Interessi anatocistici ed operazioni bancarie regolate in conto corrente: cosa va e cosa non va in archivio dopo l’intervento delle Sezioni Unite, nota a Cass. civ., sez. un., 7 novembre 2004, n. 21095, e Cass. civ., sez. I, 14 maggio 2005, n. 10127, in Riv. dir. comm. 2005, II, 207; G. De Nova, op. cit., 446; D. Maffeis, Anatocismo bancario e ripetizione degli interessi da parte del cliente, in Contratti 2001, 409 ss.; Id., Banche, clienti, anatocismo e prescrizione, nota Cass. civ., sez. un., 7 novembre 2004, n. 21095, in Banca borsa tit. cred. 2005, II, 145 ss.; V. Farina, Gli interessi «uso piazza», l’anatocismo e la commissione di massimo scoperto, cit., 419 ss.; Id. Le questioni dell’anatocismo e del conto corrente bancario nel corso dei procedimenti monitori, in Dir. banc. 2001, I, 519 ss.; N. Salanitro, Gli interessi bancari anatocistici, in Banca borsa tit. cred., suppl. al n. 4/2004, 14; G. Fauceglia, I contratti bancari, in Trattato di diritto commerciale, diretto da V. Buonocore, Torino 2005, 202. Va inoltre detto di quell’orientamento dottrinale incline a riconoscere quale strumento rimediale non già l’azione di ripetizione dell’indebito, bensì quella di ingiustificato arricchimento, la cui misura sarebbe data dalla differenza tra la somma che la banca si è attribuita e gli interessi da calcolare con decorrenza dalla domanda giudiziale sugli interessi scaduti da almeno sei mesi; importo che potrebbe essere rideterminato dal giudice secondo equità: cfr. P. Pisani, Anatocismo bancario ed ingiustificato arricchimento, in Squilibrio e usura nei contratti, cit., 548; M. Semeraro, Conto corrente bancario e anatocismo: vecchie qualificazioni e novità di sistema, in Riv. dir. imp. 2011, 268; Ead., Equilibrio del contratto e del rapporto nel c.d. anatocismo bancario, nota a Cass. civ., sez. un., 2 dicembre 2010, n. 24418, in Rass. dir. civ. 2011, 991.

[55] Cfr. A. Riccio, La capitalizzazione degli interessi passivi è, dunque, definitivamente nulla, in Contr. e impr. 2004, 965 ss.; P. Ferro-Luzzi, Una nuova fattispecie giurisprudenziale: « l’anatocismo bancario », postulati conseguenze, in Giur. comm. 2001, I, 20. I giurisprudenza, Trib. Brindisi, 13 maggio 2002, in Foro it. 2002, I, 1887 ss.; Trib. Patti, 23 giugno 2003, in Banca borsa tit. cred. 2004, II, 594 ss.; Trib. Patti, 27 novembre 2003, ivi, 595 ss.; Trib. Milano, 23 marzo 2004, cit., 594 ss.; Trib. Urbino, 27 marzo 2004, in Corti marchigiane 2006, 1, 123 ss.; Trib. Roma, 12 gennaio 2002, in Foro it. 2007, I, 1947 ss.

[56] Cfr. D. Maffeis, op. cit., 406 ss.

[57] Trib. Terni, 16 gennaio 2001, in Foro it. I, 2001, 1772 ss.; Trib. Roma, 18 ottobre 2002, cit., 813 ss.; Trib. Roma, 28 novembre 2002, in Giur. mer. 2003, 898 ss.; Trib. Reggio Calabria, 28 giugno 2002, ivi; Trib. Lecce, 11 febbraio 2005, in DeJure; Trib. Rimini, 29 settembre 2005, in Corr. mer. 2006, 301 ss.

[58] Trib. Milano, 22 febbraio 2001, in Banca borsa tit. cred. 2004, II, 594 ss.; Trib. Cassino, 29 ottobre 2004, in Corr. mer 2005, 12 ss.; Trib. Trani, 9 dicembre 2004, in Nuova giur. civ. comm. 2006, I, 28 ss. Per tale posizione in dottrina A.A. Dolmetta, Il divieto di anatocismo per le banche dalla gestione del pregresso ai rapporti attuali. Per un uso laico della “certezza del diritto”, cit., 131, nt. 3; V. Farina, Gli interessi uso piazza, l’anatocismo e la commissione di massimo scoperto, cit., 417.

[59] Cfr. M. Semeraro, Conto corrente bancario e anatocismo: vecchie qualificazioni e novità di sistema, cit., 253; 2011; Ead., Anatocismo bancario, divieto di anatocismo e relativo ambito di operatività, in Riv. dir. banc. 2017, 177 s., ha parlato di «un vero e proprio terreno di scontro tra un legislatore troppo frettoloso e una giurisprudenza assai attenta […] alla tutela della parte debole del rapporto». U. Morera-G. Olivieri, op. cit., 289, hanno ragionato in termini di interventi di ‘demolizione’ operati della giurisprudenza e di ‘ricomposizione’ del regolatore.

[60] Cfr., ex plurimis, per la dottrina, V. Farina, I diritti nascenti dall’annotazione in conto corrente e ripetizione dell’indebito, in Contratti 2011, 718 ss., e per la giurisprudenza, Cass. civ., 21 novembre 2011, n. 24418, in DeJure.

[61] Cfr. M. Semeraro, Dal 120 tub al 120 tub: sintesi di un lungo percorso in materia di anatocismo bancario, in Giustiziacivile.com, 27 febbraio 2014, 1 ss.; Ead., Anatocismo bancario, divieto di anatocismo e relativo ambito di operatività, cit., 175 ss.; C. Colombo, Interessi anatocistici ed operazioni bancarie regolate in conto corrente: cosa va e cosa non va in archivio dopo l’intervento delle Sezioni Unite, cit., 199 ss.; G. Di Benedetto, Anatocismo « eventuale » nell’« appuramento del conto » e nei pagamenti elettronici, in Riv. dir. priv. 2001, 298, nt. 26.

[62] M. Semeraro, Divieto di anatocismo e squilibrio contrattuale nel rapporto di conto corrente bancario, cit., 202, ricorda come tale posizione si fondi sulla ricostruzione del contratto di conto corrente in termini di deposito o apertura di credito misti a mandato; per tale ricostruzione si v. A. Fiorentino, Del conto corrente. Dei contratti bancari, cit., 162 ss.

[63] Cfr. P. Ferro-Luzzi, Dell’anatocismo; del conto corrente bancario e di tante cose poco commendevoli, cit., 213; U. Morera, Sulla non configurabilità della fattispecie « anatocismo » nel conto corrente bancario, in Riv. dir. civ. 2005, II, 21 ss.; M. Semeraro, Divieto di anatocismo e squilibrio contrattuale nel rapporto di conto corrente bancario, cit., 205; Ead., Conto corrente bancario e anatocismo: vecchie qualificazioni e novità di sistema, cit., 262 ss.

[64] P. Ferro-Luzzi, Lezioni di diritto bancario, Torino 1995, 162; Id., Dell’anatocismo, del conto corrente bancario e di tante cose poco commendevoli, cit., 201 ss.; Id., Una nuova fattispecie giurisprudenziale: « l’anatocismo bancario », postulati conseguenze, cit., 5 ss.; G. Cabras, op. cit., 281 ss.; Id., La capitalizzazione degli interessi nel conto corrente bancario: l’equivoco della sineddoche, in Giur. comm. 200, I, 352 ss.; R. Alessi, Squilibrio negoziale e interventi normativi nei contratti bancari, in Squilibrio e usura nei contratti, cit., 373 s.; U. Morera, Sulla non configurabilità della fattispecie « anatocismo » nel conto corrente bancario, cit., 17 ss.; C. Colombo, Interessi anatocistici ed operazioni bancarie regolate in conto corrente: cosa va e cosa non va in archivio dopo l’intervento delle Sezioni Unite, cit., 205; Id., Gli interessi nei contratti bancari, cit., 75 ss.; U. Morera-G. Olivieri, op. cit., 288 ss.

[65] M Semeraro, Conto corrente bancario e anatocismo: vecchie qualificazioni e novità di sistema, cit., 253; Ead., Anatocismo bancario, divieto di anatocismo e relativo ambito di operatività, cit., 176; Ead., Divieto di anatocismo e squilibrio contrattuale nel rapporto di conto corrente bancario, cit., 207 ss., individua nella nullità parziale e nel potere del giudice di riportare a equità il rapporto adeguati rimedi allo squilibrio contrattuale.

[66] Cfr. M Semeraro, Anatocismo bancario, divieto di anatocismo e relativo ambito di operatività, cit., 181 ss., la quale attribuisce un determinante valore, ai fini interpretativi, al riferimento al capitale contenuto nel comma 2, lett. b dell’art. 120 t.u.b.

[67] Ivi, 190. Per l’idea che la prospettiva dalla quale analizzare il fenomeno dell’anatocismo debba essere quella dell’equilibrio contrattuale M. Semeraro, Divieto di anatocismo e squilibrio contrattuale nel rapporto di conto corrente bancario, cit., 206 ss.; Ead., Conto corrente bancario e anatocismo: vecchie qualificazioni e novità di sistema, cit., 266 ss.; Ead., Equilibrio del contratto e del rapporto nel c.d. anatocismo bancario, cit., 977. Sul tema dell’equilibrio contrattuale, in termini più generali, si v. P. Perlingieri, Equilibrio delle posizioni contrattuali ed autonomia privata, in Il diritto dei contratti fra persona e mercato, a cura di L. Ferroni, Napoli 2002, 466 ss.; G. Vettori, Squilibrio e usura nei contratti, in Studi in onore di P. Schlesinger, II, Milano 2004, 1677 ss.

[68] C. Colombo, L’anatocismo tra legge di stabilità e instabilità della legge, cit., 1090, ritiene che la stabilità degli orientamenti interpretativi sia di fondamentale importanza nei rapporti tra banche e clienti.

[69] M. Weber, Economia e società. Comunità, a cura di W.J. Mommsen in collaborazione con M. Meyer, ed. it a cura di M. Palma, Roma 2005, 52 ss.

[70] N. Irti, Per un decalogo sulla calcolabilità giuridica, in Calcolabilità giuridica, a cura di A. Carleo, Bologna 2017, 22, osserva che «[c]alcolabilità e affidamento si tengono insieme: il diritto calcolabile è un diritto su cui fare affidamento, su cui riporre aspettative. La fiducia nella legge è attesa di rigorosa applicazione, di stabilità nel tempo, di continuità interpretativa. Soltanto ciò che dura merita affidamento».

[71] A. Quadrio Curzio, Presentazione, in Calcolabilità giuridica, cit., 7 s. Sul punto mette conto ricordare che la qualità della regolazione è uno degli indicatori del rapporto Doing Business ogni anno pubblicato dalla Banca mondiale, e rappresenta dunque uno degli elementi sulla base dei quali maturano le scelte di localizzazione degli investimenti.

[72] Per tale teoria che, partendo dalle ricerche in tema di economia dell’informazione di G.A. Acherlof, M.A. Spence e J.E. Stiglitz, ricostruisce il diritto commerciale quale composito sistema informativo si v. E. Bocchini, Diritto commerciale nella società dell’informazione, Padova 2011, 1 ss.

[73] La considerazione fatta nel testo sembra valida malgrado i più recenti sviluppi nell’ambito dell’economia comportamentale abbiano messo in luce il carattere sovente irrazionale delle scelte, anche quelle relative agli investimenti finanziari (cfr. R. Thaler, Behavioral Economics: Past, Present and Future, 2016, disponibile on-line all’indirizzo https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2790606; Id., Misbehaving. The Making of Behavioral Economics, trad. it. La nascita dell’economia comportamentale, a cura di G. Barile, Torino 2018, spec. 245 ss.). Tale carattere irrazionale è infatti proprio del piccolo investitore non sofisticato, al quale non può però che riconoscersi un ruolo nel mercato decisamente marginale per effetto dell’affermarsi del processo di intermediazione degli investitori professionali (cfr. L. Zingales, The Future of Securities Regulation, in Journal of Accounting Research 2009, vol. 47, n. 2, 391 ss.).

[74] Per i problemi legati ai profili evolutivi della materia si v., in part., G. Strampelli, L’informativa societaria a quindici anni dal TUF: profili evolutivi e problemi, in Riv. soc. 2014, 991 ss.

[75] Sul tema dell’informazione si v. i rilievi critici mossi da V. Buonocore, La riforma delle società quotate, in La riforma delle società quotate. Atti del Convegno di studio-Santa Margherita Ligure (13-14 giugno 1998), a cura di F. Bonelli-V. Buonocore-F. Corsi-R. Costi-P. Ferro-Luzzi-A. Gambino-P.G. Jaeger-A. Patroni Griffi, Milano 1998, 69, il quale ha avvertito del fatto che «più sono le informazioni richieste e meno si è informati . . . più minute sono le notizie domandate e meno si raggiunge l’obiettivo della trasparenza e dell’utilità».

[76] Sulla certezza del diritto si v., in part., F. Lopez de Oñate, La certezza del diritto, Milano 1968, spec. 45 ss., il quale ha affermato che «è necessario che ciascuno sappia, una volta concepita l’azione, […] come l’azione sarà qualificata, e come l’azione si inserirà nella vita storica della società»; M. Corsale, La certezza del diritto, Milano 1970, 1 ss.; C. Luzzati, L’interprete e il legislatore. Saggio sulla certezza del diritto, Milano 1999, in part. 239 ss.; G. Gometz, La certezza giuridica come prevedibilità, Torino 2005, 1 ss.

[77] F. Lopez de Oñate, op. cit., 52, ha affermato che «[l]a certezza del diritto si traduce in certezza dell’azione ed in possibilità dell’azione».

[78] Per l’importanza delle informazioni nell’efficienza allocativa degli investimenti si v. C. Angelici, Note in tema di informazione societaria, in La riforma delle società quotate, cit., 252.

[79] Ha affermato V. Buonocore, Il diritto commerciale « nascosto » ovvero dell’etica del legislatore e della certezza del diritto, in Giur. comm. 1998, I, 16 che «la “certezza del diritto”, se intesa nel suo significato reale, lungi dall’essere un mero momento convenzionale del contratto sociale o un irraggiungibile traguardo ovvero ancora un’affermazione tralaticiamente ripetuta per comodità didattica, costituisce un momento fondamentale nella vita di ogni comunità. In realtà, soprattutto se non la si concepisca come sicurezza soggettiva della verità, ma come garanzia oggettiva di una conoscenza, la certezza del diritto si identifica con la stabilità».

[80] Per fare un esempio, si pensi al c.d. Piano Junker per gli investimenti in Europa (consultabile all’indirizzo web: https://ec.europa.eu/commission/strategy/priorities-2019-2024/jobs-growth-and-investment/investment-plan-europe-juncker-plan_it), ove si individua nella prevedibilità e nella qualità della regolamentazione un fattore determinante per la crescita dell’economia.

[81] N. Irti, Per un decalogo sulla calcolabilità giuridica, cit., 17, ci ricorda che il tempo futuro è una «dimensione costitutiva del diritto». Sulla peculiare instabilità della normativa bancaria si v., in part., A.A. Dolmetta, Operazioni bancarie e sopravvenienze legislative, in Contratti bancari, a cura di E. Capobianco, Torino 2016, 591 ss.