Immagine in miniaturaSebastiano Tafaro

Professore Onorario

Università di Bari

 

PER LA DEMOCRAZIA *

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Sommario: 1. Democrazia nell’età contemporanea. – 2. Riflessione sul Modello. – 3. Eforato. –4. Tribunato. – 5. Crisi del Modello. Proposte. – Abstract.

 

 

 

1. – Democrazia nell’età contemporanea

 

L’inarrestabile crisi della ‘politica’ e soprattutto dei partiti e dei politici sembra portare ad una progressiva estraneazione dei singoli dalle decisioni comuni e dal ‘potere’, evidenziando un crescente distacco tra i governanti ed il popolo.

Per lungo tempo le società contemporanee e, soprattutto, l’Occidente si sono illusi che la democrazia sia assicurata dal fatto di poter votare periodicamente per i propri ‘rappresentanti’, destinati a ben governare sulla base della “divisione dei poteri”.

Montesquieu gettò le basi di questo diffuso convincimento, proponendo come esempio di democrazia quella esistente in Inghilterra, dove, accanto al Capo dello Stato (che era il Re) vi era un Parlamento eletto dai cittadini e un corpo di giudici, nominati a vita. Egli affermò che essenziale, perché ci fosse democrazia, era l’applicazione di un principio: quello della “separazione dei poteri”.

Da allora in poi proprio la presenza o meno di questo principio fu e viene assunta come prova dell’esistenza o meno della democrazia.

In questa configurazione, come già fece notare il contemporaneo Rousseau, il grande assente finiva per essere il popolo; il quale attraverso la votazione poteva eleggere i propri rappresentanti, cioè il Parlamento, ma poi non poteva più fare quasi null’altro, fino alla successiva votazione[1]. Perciò si parlò, come è noto, di democrazia rappresentativa.

Oggi, a distanza di oltre due secoli, mi pare emergere sempre più che questo tipo di democrazia è inefficace ed in realtà non consente la partecipazione del popolo alla gestione dello Stato; diversamente da quanto era avvenuto nella Respublica di Roma e, ancora prima, nelle città della Grecia.

E’ sempre più facile che gruppi ben organizzati o potentati economici, oggi, assumano il potere. Di modo che, pur se si continua a parlare di democrazia, nella effettività della realtà, si affermano soltanto le Oligarchie, nelle quali vi è una mortificante estraneazione dei singoli rispetto alla gestione della politica[2].

Come porvi rimedio?

 

 

2. – Riflessione sul Modello

 

Mi sembra urgente un’accorta riflessione progettuale sul ‘modello’ organizzativo più consono alle necessità del presente, partendo dalle radici della ‘democrazia’.

Fin dall’Antichità si è cercato di fare in modo che, in primo luogo, il popolo non si sentisse escluso dalle decisioni fondamentali che lo concernono. In secondo luogo si è pensato di prevenire o fermare eventuali abusi da parte dei governanti e di controllare in modo continuo l’esercizio del potere.

Nell’età contemporanea, come dicevo, si è confidato che le finalità enunciate potessero essere soddisfate dall’applicazione del principio della divisione dei poteri.

Il che è del tutto infondato, come ci si può persuadere subito guardando, ad esempio, all’UE. In essa ai Trattati istitutivi della Comunità e agli accordi internazionali successivamente stipulati e sottoposti al vaglio del Parlamento si affiancano le norme (dette di diritto derivato) scaturenti dai Regolamenti CE e dalle Direttive del Consiglio o della Commissione, assieme ad altre: tutte non provenienti dall’Organo legislativo (Parlamento). È poi anche opinione concorde che possano assumere valore normativo le sentenze della Corte di Giustizia (o del Tribunale di primo grado); le quali finiscono per rivestire efficacia diretta negli ordinamenti degli Stati membri, assumendo, quindi, il carattere di ‘fonti del diritto comunitario’.

Della divisione dei poteri non resta quasi nulla!

Oggi, peraltro, mi sembra che anche la prorompente esigenza di riconoscimento e protezione dei cosiddetti diritti fondamentali stia dimostrando l’inadeguatezza dei pilastri della ‘democrazia rappresentativa’ e richieda una profonda ridiscussione dei princípi sui quali essa si fonda. I quali credo stiano favorendo una crescente affermazione di oligarchie, con conseguente estraneazione del popolo.

Perciò s’impone una discussione profonda ed in grado di ridisegnare il ‘modello’ di Costituzione, sia formale che materiale, proiettata alla riaffermazione della ‘centralità dell’uomo’.

In questa prospettiva appare proficuo prendere le mosse dal pensiero fondante della ‘democrazia’ contemporanea le cui radici risiedono nelle discussioni dei secoli XVII-XIX. In esse la configurazione delle odierne ‘democrazie’ occidentali partí dall’esame degli istituti dell’antica Grecia e, soprattutto, dell’esperienza del diritto romano.

Perciò mi sembra opportuno che anche oggi sia utile una rivisitazione del passato.

In esso i cardini mi sembrano basati in tre punti:

1.   centralità del popolo;

2.   efficacia del ‘governo’;

3.   controllo dell’esercizio del potere.

Polibio in una lucida analisi di essi ravvisò nella costituzione romana il modello ‘perfetto’ di organizzazione; pur sottolineando che, comunque, vi è sempre un andamento a parabola di ogni civiltà, per il quale parlò di ‘anaciclosi’[3]. Nel modello, che ne risulta delineato, l’accento è posto proprio sulla possibilità di controllo del potere e del suo esercizio.

Richiamiamo gli aspetti più salienti.

 

 

3. – Eforato

 

In Grecia, come ricordava Aristotele, la prospettazione di organi in grado di controllare il potere forse risalgono alla pacifica civiltà cretese, dove i ‘Cosmi’, controllavano i Re.

Sul modello dei Cosmi fu creato a Sparta l’Eforato, introdotto secondo alcuni già dal mitico Licurgo, secondo altri più tardi (130 anni dopo) dal re Teopompo. Gli Efori, dotati di poteri vasti ed incisivi, furono concepiti come freno alla prepotenza dell’oligarchia e dei Re.

La ragione del crescente potere degli Efori risedette nel fatto essi venivano eletti dal popolo e, per questo, erano visti come rappresentanti di esso e quindi anche mallevadori dei diritti dei cittadini. L’ampiezza del potere degli Efori venne bilanciata dalla durata molto breve (soltanto un anno) della magistratura, e dal fatto di poter essere chiamati a rispondere del proprio operato, allo scadere della loro magistratura.

Queste caratteristiche hanno fatto sí che l’Eforato sia stato visto come ‘modello’ per chi proponeva il controllo del potere e la partecipazione popolare. Perciò, a partire dal sec. XVII venne riproposto come argine al potere del Sovrano.

Nel 1603 Johannes Althusius pubblicava un’opera ritenuta l'atto di nascita del diritto pubblico moderno, fondamentale per il pensiero federalista e la riaffermazione della sovranità popolare: Politica Methodice Digesta, Atque Exemplis Sacris et Profanis Illustrata. Secondo l’autore nella comunità politica vi è un momento unitario, costituito dalla confluenza tra l'operato dei sommi magistrati che esercitano il potere ed il concorso del popolo (con le sue molteplici forme di aggregazioni), che si esprime attraverso propri rappresentanti diretti: gli Efori. In tal modo la società si organizza intorno ad un’istanza di guida (espressa dai governanti) e ad un’istanza di partecipazione collegiale, che esprime direttamente la volontà della comunità. Perciò sono gli Efori ad avere l’auctoritas e la potestas più elevata, proprio perché promanano direttamente dal popolo, consentendo al popolo stesso di farsi valere realmente di fronte all’azione di governo del sommo magistrato.

Più tardi Johann Gottlieb Fichte riprenderà le fila del rapporto magistrato-popolo, ma da altra angolatura: non quello positivo della rappresentatività, bensì quello del controllo. Egli ripropose l’Eforato, non come potere positivo, ma come controllo sul potere. L’Eforato sarebbe l’espressione della pluralità degli uomini che il modello basato sulla ‘rappresentatività’ può soffocare, per il fatto che la volontà dei governanti può non essere la sintesi di quella dei governati e certamente è diversa dai voleri particolari dei molti-uomini, che compongono la società.

Le caratteristiche dell’Eforato, tuttavia, sono state spesso anche esaltate nei momenti nei quali si cercava di riposizionare il popolo al centro della vita politica e costituzionale, come avvenne intorno alla metà del secolo XVIII, quando l’Eforato è stato talora ripresentato come modello di giustizia e di difesa delle istanze popolari.

Significativa appare la sua riproposizione ad opera del Pagano, il quale lo ipotizzò come organo idoneo a soddisfare l’esigenza di porre in essere degli efficaci strumenti giuridici volti a impedire ogni forma di usurpazione del potere. Compito dell’Eforato era quello di dare spazio al popolo, per garantirlo contro gli abusi di potere e violazione dei diritti, evitando di diventare a sua volta fonte di potere incontrollato.

La ricerca di una forma di controllo efficace e il ricorso all’Eforato (proprio nell’epoca del Pagano) erano oggetto di attenzione e tensioni anche in Francia, attraverso alcune proposte presentate all’Assemblea legislativa. Nel febbraio del 1793, Jacques-Marie Rouzet propose la creazione di un organo collegiale di 85 membri preposto al controllo della costituzionalità delle leggi, da effettuarsi ‘prima’ della loro approvazione da parte dell’Assemblea. Ai membri di tale organo, il Rouzet, molto prima che il Pagano redigesse il suo Progetto, dava il nome di Efori.

A lui si ispirò anche il ben più articolato e complesso progetto presentato, all’Assemblea, dall’abate Sieyès. Il quale, due anni dopo, prevedeva l’introduzione di un jury constitutionnaire (da lui denominato altrove anche tribunal des droits de l’homme) incaricato di una triplice funzione:

1.   vegliare sulla salvaguardia del dettato costituzionale;

2.   proporre dei perfezionamenti della Costituzione;

3.   esercitare un controllo sulle sentenze della giurisdizione ordinaria sulla base del diritto naturale.

Conseguenza del giudizio dinanzi al jury sarebbe stata la possibilità di dichiarare «nuls et comme non avenus» gli atti incostituzionali.

Benché apprezzato da molti, il progetto del Sieyès venne respinto, ma l’istanza della quale si faceva portatore restò un punto di riferimento per la cultura europea.

La suggestione di queste proposte arriva ai nostri giorni. In particolare segnalerei il richiamo dell’Eforato in una penetrante proposta di riforma della costituzione italiana, la quale ha ripresentato l’Eforato al centro del processo riformatore necessario al giorno d’oggi[4].

 

 

4. – Tribunato

 

L’istanza fondamentale della protezione dei deboli e della difesa dei diritti del popolo sia per gli antichi sia per l'età moderna e contemporanea, però, non rimase ancorata all’istituzione spartana dell’Eforato, perché trovò migliore ed efficace collegamento con il Tribunato della plebe.

Il Tribunato suscitò nell’antichità ed ancora oggi promana forti suggestioni, perché evoca l’immagine della contrapposizione tra popolo e potenti in maniera più diretta e performante.

Del Tribunato si è richiamata la carica potenzialmente rivoluzionaria e la capacità di essere vicino alle esigenze dei cittadini; perciò esso è stato riproposto anche ai tempi d’oggi, riconoscendogli una eccezionale attualità e l’idoneità a contribuire alla soluzione della crisi dello Stato moderno, che ha tutto da guadagnare dal richiamo del modello «giuspubblicistico» dell’antica Roma, particolarmente quello della Respublica, ritenuto il più rispettoso della sovranità del popolo. In tale modello i Tribuni erano centrali, al punto che Cicerone arrivava a dire che non si sarebbe potuto parlare di Respublica se non ci fosse stato il Tribunato.

L’origine plebea, il suo inserimento nelle lotte patrizio-plebee e, più in generale, il suo intervento a favore degli oppressi, dettero all’istituzione un fascino trascinante, che perdura ai tempi d’oggi.

I Tribuni della plebe erano presenti in alcune città medievali: è rivelatrice la circostanza che il governo popolare cittadino instauratosi a Bologna nel 1300 fosse articolato intorno ai Tribuni della plebe e desse vita a costumi che durarono fino al 1700.

Nell’età moderna troviamo il Tribunato al centro del dibattito, tra il nobile Montesquieu (Charles-Louis de Secondat, barone de La Brède e de Montesquieu) e il popolano Jean-Jacques Rousseau, intorno al ‘modello’ più adatto all’età contemporanea. Al primo, contrario al Tribunato perché convinto che esso fosse inconciliabile con la democrazia rappresentativa di matrice inglese, da lui perseguita, il Rousseau controbatteva con la proposta di introduzione di una magistratura di mediazione (un magistrat intermédiaire) forgiata in assonanza con il Tribunato romano.

I rivoluzionari Robespierre e Babeuf addirittura mitizzarono il Tribunato. Robespierre però diffidò dei travisamenti degli eletti e propose che fosse il popolo stesso ad esercitare il Tribunato. Babeuf fece del Tribunato il suo modello di eccellenza; tanto che (il 5 ott. 1774) ribattezzò il suo giornale (Journal de la liberté) con il nuovo nome di Tribun du peuple e vide nel Tribunato lo strumento per la giustizia e la lotta dei poveri contro i ricchi ed i potenti, nel perseguimento della vera democrazia.

Tra i filosofi, il Tribunato, ignorato da Kant, fu riproposto da Schlegel (Karl Wilhelm Friedrich von Schlegel), nella rivalutazione pre-romantica del popolo, il quale vide nell’istituzione di un hochheiliger Tribun lo strumento ultimo di difesa della parte migliore del popolo.

Il Tribunato è stato considerato la figura cui ispirarsi per superare i limiti della ‘democrazia’, consistente nella possibile deriva della ‘tirannia della maggioranza’. Si è infatti affermato che la sola maggioranza, contrariamente a quanto si crede sulla scorta del modello di democrazia degli Stati Uniti d’America, non può essere garanzia di democrazia, poiché può diventare facilmente ‘oligarchia’, per il fatto che essa ha trascurato di sottoporre il ‘potere’ (espressione della ‘maggioranza’) ad un sindacato permanente di legalità e di merito, pari a quello che nella Roma repubblicana fu esercitato dai Tribuni plebis.

In quasi tutte le proposte, tuttavia, più che al complesso dei poteri e delle prerogative dei Tribuni, il riferimento prevalente è alla possibilità di opporsi al ‘potere’ dei magistrati e degli organi della repubblica, qualificato ed invocato (anche per l’oggi) come ‘potere negativo’[5].

Talora si sono ispirate a queste antiche figure le moderne innovazioni con le quali si è inteso dare ‘voce ai cittadini’; vale a dire le molteplici e prolifiche strutture che, con linguaggio generalizzante e necessariamente approssimativo, possiamo denominare Ombudsman[6]. Infatti va registrata la copiosa propensione a creare (a datare dalla fine della seconda guerra mondiale) figure che, con varie denominazioni (Ombudsman, Médiateur, Defensor del pueblo, Parliamentary Commissioner, Avvocato del popolo, Difensore civico, Défenseur des droits), in quasi tutto il mondo, ad eccezione degli USA, della Cina e dell’Italia, ripropongono l’antica aspirazione al controllo del potere non solo a posteriori, attraverso i processi (di legittimità o di merito), spesso insostenibilmente lunghi e, di conseguenza, poco efficaci. Esse hanno suscitato entusiasmo e speranze. Ciò perché queste nuove figure (secondo alcuni, eredi degli antichi Efori o dei Tribuni plebis ovvero dei Defensores Civitatum) sono nate, in Svezia[7], proprio come intermediarî tra potere e governati, sicché spesso hanno creato l’illusione di potere colmare il solco (sempre più profondo) esistente tra ‘potere’ e uomini, oggi avvertito come fonte di disparità ed ingiustizie[8].

 

 

5. – Crisi del Modello. Proposte

 

Oggigiorno siamo di fronte ad una crisi esponenziale del modello di ‘democrazia rappresentativa’ e del suo preteso radicamento nella divisione dei poteri.

Invero, la distinzione tra le prerogative dei differenti poteri è quasi dappertutto venuta meno nell’esperienza giuridica degli Stati ed è stravolta nell’UE. Sono dunque le formazioni più moderne ad ignorare, nel concreto, la divisione dei poteri.

La vera strada, da imboccare con sollecitudine e coraggio, è quella del ridisegno delle Costituzioni, di una nuova stagione costituzionale, la quale, proponga un nuovo ‘modello’, nel quale un ruolo fondamentale e centrale dovrà spettare al Controllo del potere, con la consapevolezza che, come già nel 1789 osservò Sièyes, «le régime représentatif n’est pas, et ne saurait être, la démocratie».

Perciò occorrono proposte nuove, occorre configurare la Democrazia continua[9] ovvero ipotizzare un nuovo assetto, che indicherei come Democrazia ricorrente[10], sapendo che occorre ricominciare da zero[11].

Alle osservazioni e idee enunciate aggiungerei alcuni ulteriori suggestioni:

 

       oggi c’è bisogno di figure eredi dei Tribuni plebis e dei Defensores civitatium, per la difesa di interessi comuni e dei ‘beni comuni’. Pertanto andrebbe prevista la creazione di difensori dei diritti (la figura esiste in Francia, dove ha sostituito il Médiateur de la République française), da prevedere a tutti i livelli, come difensore degli uomini, dotato di prerogative incisive[12], come il diritto di séguito (cioè l’obbligo dell’Autorità a dare risposta motivata alla lamentela dei cittadini entro 20 giorni, superando i costi e le lungaggini dei ricorsi e delle cause) e, in alcuni casi, con la potestà di bloccare gli atti ritenuti ingiusti, fino a quando le Autorità ne dimostrino la fondatezza e la giustezza.

       L’esperienza degli Ombudsman potrebbe essere innervata dall’innesto, per la loro attività, dei cultori del diritto e, nello specifico, delle Facoltà di Giurisprudenza, creando un connubio tra scienza ed esperienza a vantaggio del bene comune.

       L’introduzione, sull’esempio dell’antica actio popularis, dell’azione popolare, esperibile da chiunque (anche non avente un interesse personale, immediato e diretto), per la tutela dei beni comuni e degli interessi pubblici.

       Forme di consultazioni (referendum) propositivi e vincolanti; promuovibili anche dai singoli, sulle questioni fondamentali per la comunità (ad esempio, ambiente, sostenibilità, lavoro, sviluppo, crescita …).

       Ricorso diretto alle Corti Costituzionali.

       La previsione, sull’esempio delle contiones, che nell’esperienza romana potevano precedere la riunione ed il deliberato dei comitia[13], di periodiche concioni: sedi di discussione pubblica ed aperta a tutti (eventualmente via Internet) sulle leggi e sui provvedimenti che (a livello nazionale e locale) si intendano approvare, in modo che il popolo sia posto al centro di ogni decisione o atto.

       La introduzione del procedimento di amparo. Previsto in Mexico fin dal 1936 [14] è un rimedio concesso ai singoli contro l’onnipotenza del ‘potere’, il quale consente ricorsi-segnalazioni privi di qualsiasi formalità e, oltre ad essere un diritto dei cittadini, esercita in qualche modo anche il controllo sulle azioni di funzionari e autorità incaricati di applicare in modo soddisfacente e corretto la normativa vigente. Si trova anche in altri ordinamenti latino-americani ed in Spagna, dove si sostanzia in una forma di ricorso costituzionale diretto[15].

 

Sono soltanto spunti che vorrebbero stimolare una radicale riflessione per una ancora più radicale revisione che ridia voce e centralità agli uomini[16].

 

 

 

Abstract

 

Today we no longer debate the model of democracy, as we did in the eighteenth century. Democracy is assumed to be representative democracy, the model of which is seen as that of democracy tout court. This has resulted in the alienation of the people from any fundamental decision and from the exercise of power.

Instead, it is necessary to reconsider the model of democracy by placing man at the center and introducing forms, not only formal and judicial, of control of power during its exercise.

But the 'model' cannot be unique and valid for every place and every time. Instead, it must be continually remodeled.

 

Democracy - Power - People.

 

 

Oggi non si dibatte più sul modello di democrazia, come si faceva nel secolo XVIII. Si dà per scontato che democrazia sia la democrazia rappresentativa, il cui modello viene visto come quello della democrazia tout court. Questo ha prodotto l’allontanamento del popolo da ogni decisione fondamentale e dall’esercizio del potere.

Occorre, invece, riconsiderare il modello di democrazia riponendo al centro l’uomo ed introducendo forme, non soltanto formali e giudiziarie, di controllo del potere durante il suo esercizio.

Ma il ‘modello’ non può essere unico e valevole per ogni luogo e per ogni tempo. Deve, invece, essere continuamente rimodellato.

 

Parole C.: Sovranità –Potere – Popolo.

 

 

 



 

* Saggio sottoposto a revisione secondo il sistema peer review.

Articolo destinato anche alla pubblicazione per gli SCRITTI IN OMAGGIO A DOMENICO GAROFALO.

 

[1] Sul punto v. G. LOBRANO, Diritto pubblico romano e costituzionalismi moderni, 2a ed., Sassari rist. 1994; ID., Res publica res populi. La legge e la limitazione del potere, Torino 1996, ed ivi bibl.

[2] Vedi, alla successiva nt. 7, Il controllo del potere: ieri ed oggi.

[3] Tra i tanti, v. D. MUSTI, Polibio e l'imperialismo romano, Napoli 1978; Giorgio GALLI, Storia delle dottrine politiche, Mondadori, Milano 2000; A. CESARO, Lo storico acheo e il filosofo ateniese. La teoria dell’anaciclosi di Polibio tra idealismo platonico e realismo aristotelico, in Heliopolis Culture, Civiltà, Politica (ISSN 2281-3489), Anno X, N.1 – 2012.

[4] Vedi F. DE GIORGI, Note per una costituzione nuova, in Il Margine, Archivio, nr. 4, aprile 1994.

[5] Mallevadore dell’espressione e delle sue implicazioni è stato Pierangelo Catalano. L’a. ne ha trattato in moltissime sedi. Qui mi limito a menzionare: P. CATALANO, Sovranità della Multitudo e Potere Negativo – un Aggiornamento, Giappichelli, Torino 2005; P. CATALANO, G. LOBRANO, E. SPÒSITO CONTRERAS, Teoria del diritto e dello Stato. Potere negativo e costituzioni boliviane, Aracne, Roma 2008.

[6] In particolare la figura fu auspicata dalla Conferenza internazionale del giugno 1999 per la Sicurezza e Cooperazione in Europa e dalla Dichiarazione di Vienna del 1993, prevista dalla Conferenza mondiale dell’ONU del giugno dello stesso anno.

[7] Dove venne concepito come una delle istituzioni rivolte alla progressiva limitazione dell’assolutismo del Re. In proposito si suole fare riferimento all’art. 96 della Costituzione del 1809. In realtà il suo nome risale a quasi un secolo prima e più precisamente ad un decreto del 1713 di Carlo XII che, per l’appunto, istituí l’Högste Ombudsman, il cui atto di nascita infatti risiede in un decreto di Carlo XII del 1713 con il quale venne introdotto l’Högste Ombudsman.

[8] Su questi aspetti e sulle relative problematiche rinvio, anche per i riferimenti bibliografici, al mio articolo La democrazia ricorrente. Democrazia o Oligarchia?, in Civitas et Lex, ISSN 2392-0300, 2015/2(6), Uniwersytet Warmińsko-Mazurski W Olsztynie - University Of Warmia And Mazury In Olsztyn.

[9] Sul punto v. D. ROUSSEAU, La démocratie continue, LGDJ, Bruylant, Bruxelles 1995; ID., Radicaliser la démocratie. Propositions pour une refondation, Paris 2015.

[10] L’ho proposta in La democrazia ricorrente. Democrazia o oligarchia?, cit., nel quale espongo la convinzione che la democrazia deve sapere come rinnovarsi e ridefinirsi costantemente e regolarmente, secondo un modello di democrazia che si potrebbe definire come modello di democrazia ricorrente.

[11] Vedi M. AINIS, La cura. Un decalogo per ricominciare da zero, Chiarelettere, Milano 2009.

[12] Loi constitutionnelle n° 2008-724 du 23 juillet 2008 de modernisation des institutions de la Ve République, art 41: «Le Défenseur des droits veille au respect des droits et libertés par les administrations de l'État, les collectivités territoriales, les établissements publics, ainsi que par tout organisme investi d'une mission de service public, ou à l'égard duquel la loi organique lui attribue des compétences».

[13] Cfr. F. GRELLE, Voce «Contio», in NDI IV, Torino 1959, 407-408; J.P. MOREL, Las contiones civiles y militares en Roma, in Rev. Étud. Lat. 42 (1964), 375-388; F. PINA POLO, Elections and Electioneering in Rome. A Study in the Political System of the Late republic, Historia: Einzelschriften, Heft 128 Univ. de Zaragoza, Zaragoza 1989; ID., «Pube praesenti in contione, omni poplo» (Plaute, Pseudolus, v. 126) Pubes et contio d'après Plaute et Tite-Live, in Klio 77 (1995), 203-216.

[14] L’amparo trovava prefigurazione nella Costituzione del 1824 e venne introdotto nel 1936 come Ley Orgánica de los artículos 103 y 107 de la Constitución Federal, fu indicata nel 1968 come Ley de Amparo, Reglamentaria de los artículos 103 y 107 de la Constitución Política de los Estados Unidos Mexicanos.

[15] V. il quaderno della fondazione Adenauer, al sito https://escuelajudicialpj.poder-judicial.go.cr/Archivos/bibliotecaVirtual/otrasPublicaciones/2_recurso_amparo.pdf, dove si evidenzia che: «Puede ser presentado por cualquier persona, sea mayor o menor de edad, nacional o extranjero; sin importar sus posibilidades económicas, su religión, sus tradiciones o cultura. El recurso puede ser utilizado para defenderse personalmente o para defender los derechos de otra persona». Lo strumento dell'amparo è utilizzabile anche dal difensore del popolo e dal pubblico ministero, come prevede l'art. 162, lettera b della Costituzione.

[16] La riflessione vuol essere la sintesi di miei precedenti articoli; tra i quali: S. TAFARO, L'eredità dei «tribuni plebis», in [cur. Maria Pia Baccari e Cosimo Cascione] Tradizione romanistica e Costituzione, diretta da Luigi Labruna, (vol. II, 1841-1880); Collana «Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica italiana», Napoli 2006. - ID., La herencia de los Tribuni Plebis, in Diritto@Storia (riv. on line). n. 7 - Nuova Serie (2008). - ID., Le radici. Proposte, in [cur. A. Loiodice, S. Tafaro e N. Shehu], L’avvocato Del Popolo Albanese, vol. 2, Torino 2008, 3-24. - ID., Continuidad de la función tribunicia, in Estudios en homenaje a Mercedes Gayosso y Navarrete, [cur. José Luis Cuevas Gayosso], 353-375, Universidad Veracruzana, México, 2009. – ID., Identità comunitaria e cittadinanza, partecipazione e mediazione: la suggestione di Bantia, in Annali della Facoltà di Giurisprudenza di Taranto, anno III, Bari 2010, 375-388. - ID., Il controllo del potere: ieri ed oggi, in Studi in memoria di Giuseppe Panza [cur. G. Tatarano e R. Perchinunno], Napoli 2010, 713-737. – ID., Democrazia e controllo del potere, in Diritto@Storia (riv. on line) n. 10 Nuova Serie (Luglio 212), Il diritto per l’oggi, in Mater familias. Scritti romanistici per Maria Zablocka - A cura di Zuzanna Benincasa e Jakub Urbanik, Varsavia 2016, 993-1024. – ID., Giustizia e diritti, in Zeszyty Naukowe, 2017/3, 170-200, consultabile al sito http://www.kul.pl/2017-3,art_78496.html.