N. 3 – Maggio 2004 – In Memoriam – Bussi

 

 

Pietro Giuseppe Grasso

Università di Pavia

 

 

 

L' insegnamento di Emilio Bussi sull’“Evoluzione storica dei tipi di Stato” e gli studi di diritto pubblico contemporaneo

 

 

 

 

 

Sommario: 1. Premessa. – 2. Sulle esperienze del diritto pubblico in Germania durante l'ultimo periodo del Sacro Romano Impero. – 3. Gli indirizzi dominanti nella scienza del diritto pubblico contemporaneo e gli studi di storia giuridica. – 4. Declino delle opinioni già dominanti conformate all’immagine ideale  di una scienza “pura” del diritto pubblico. – 5. Sulle concezioni “razionalistiche” e “costruttiviste” circa la formazione delle istituzioni politiche e delle leggi. – 6. Critiche alle stesse concezioni “razionalistiche” e “costruttivistiche”. La concezione “evoluzionistica” delle istituzioni. – 7. Differenze tra i contributi britannici e francesi nella formazione del costituzionalismo occidentale. – 8. La concezione realistica ed evoluzionistica sull'origine delle istituzioni nel pensiero di Emilio Bussi. – 9. Nozioni dello Stato in senso generico estensivo e in senso rigoroso restrittivo. Sulla formazione storica dello Stato europeo continentale. – 10. I fattori determinanti nel passaggio dagli ordinamenti medievali allo Stato moderno. – 11. Il concetto di sovranità in Bodin e le evoluzioni del diritto pubblico in Germania e Francia. – 12. L'organizzazione di una pubblica amministrazione professionale e lo Stato moderno. – 13. I fini dello Stato e i mezzi per attuarli tra assolutismo e costituzionalismo. – 14. Nozioni di popolo nel periodo di fondazione dello Stato moderno. – 15. Aspetti della transizione tra le forme di "Stato assoluto” e "Stato di diritto”. – 16. Di alcune vicende  nelle fasi finali della storia del Sacro Romano Impero rilevanti come preliminari  della formazione del diritto costituzionale come ramo distinto dell'ordinamento. – 17. Lo studio intorno all'evoluzione storica dei tipi di Stato e le questioni connesse alla decadenza dello Stato in generale.

 

 

1. – Premessa

 

A coloro che si dedicano agli studi teorici di diritto pubblico contemporaneo, l'insegnamento di Emilio Bussi va raccomandato per motivazioni che oltrepassano di molto le pur giustificate inclinazioni di una curiosità erudita. Nelle presenti pagine introduttive sono proposte alcune sommarie considerazioni sull'importanza di quell'insegnamento storico anche per la comprensione dei profili contemporanei propri delle istituzioni e del diritto costituzionale come stabiliti nell'Europa continentale. Ai fini di tali considerazioni sono tenute presenti, in particolare, le esperienze giuridiche dell'Italia contemporanea. E' appena da ricordare che, per tanti aspetti, problematica si rivela oggi la conoscenza scientifica, quindi penetrante non solo esteriore, del complesso d'istituzioni, di paradigmi, di pratiche, ancora designato con l'espressione «Stato di diritto» o, in nomenclature più recenti, come “ordinamento liberaldemocratico”, “democrazia costituzionale”, “democrazia classica”.

Il volume "Evoluzione storica dei tipi di Stato" si distingue per cultura vasta e brillante, finezza di analisi, rigore, forza di ragionamento, efficacia di esposizione, ampiezza e valore della bibliografia esaminata. I “tipi” di Stato ivi paiono definiti dal confronto con la classificazione delle forme di Stato più consueta tante volte ripetuta nelle pagine dei manuali: “Stato patrimoniale”; “Stato di polizia”; “Stato di diritto”. L'autore evita però qualsiasi ripetizione pedissequa, col proporre anzi una revisione puntuale dei criteri e delle distinzioni di solito evocate per detta classificazione. Come accennato più oltre, il Bussi perviene a distinguere sostanzialmente come forme successive nel tempo solo tra "Stato assoluto" e "Stato di diritto". Sono perciò intese in senso convenzionale come indicative di due fasi dell'assolutismo le espressioni "Stato patrimoniale" e "Stato di polizia".

L'evoluzione storica dei “tipi” o delle “forme” viene considerata dal Bussi in relazione a quattro aspetti fondamentali di ogni Stato moderno o contemporaneo: costituzione; governo; amministrazione; struttura sociale. Nella presente esposizione pare preferibile, ai fini di un’approfondita riflessione, distinguere essenzialmente tra quanto concerne lo Stato come ordinamento politico e assetto di potere, da un lato, e, dall'altro, garanzie, istituzioni, regole e limiti, dei poteri, che poi trovarono più matura attuazione negli ordinamenti conformi ai principî del costituzionalismo liberale.

 

 

2. – Sulle esperienze del diritto pubblico in Germania durante l'ultimo periodo del Sacro Romano Impero

 

L'insegnamento del Bussi si qualifica anche per un altro carattere significativo: l'attenzione e l'ampiezza davvero notevoli dedicate all'esame del diritto pubblico stabilito nel Sacro Romano Impero durante l'ultimo periodo della sua esistenza, cui seguì la rivoluzione francese. Alla trattazione in materia compresa nel volume "Evoluzione storica dei tipi di Stato", per detti temi, si possono aggiungere il corso di lezioni intitolato "Il diritto pubblico del Sacro Romano Impero alla fine del XVIII secolo" in due volumi (1959-1970) e l’importante raccolta di saggi monografici “Diritto e politica in Germania nel XVIII secolo” (1970).

L’impegno nell’esame di quelle remote esperienze giuspubblicistiche denota uno spirito di ricerca davvero libero da pregiudizi e preclusioni, informato dalla riflessione diretta sulla prassi e sulla dottrina giuridica dell’epoca, senza ripetere altrui valutazioni. In proposito sono noti i giudizi di grandi pensatori assai critici, i quali avevano ravvisato in un tale assetto imperiale una congerie disordinata e assurda, quasi un monstrum, un coacervo di organizzazioni tanto eterogenee, difformi, senza regole chiare di coordinazione. Dal secolo XVII alla soppressione napoleonica la stessa congerie appariva all'opposto della semplicità razionale quasi geometrica dell'ordinamento dello Stato moderno. Fra le diverse voci, si può solo ricordare che, nell'opera giovanile intitolata “1a costituzione della Germania", Hegel sosteneva che il Sacro Romano Impero, a causa del suo grado di dissoluzione, non poteva più essere riconosciuto come uno Stato e che gli studiosi del tempo avevano rinunciato a stabilire un concetto della costituzione tedesca. La conseguenza logica quindi era così enunciata: «Ciò che non può essere compreso, non esiste più»[1].

In un senso opposto alle suddette valutazioni critiche Emilio Bussi riconosce importanza fondamentale nella formazione del diritto pubblico contemporaneo alle esperienze giuridiche della Germania del periodo prerivoluzionario. In quelle remote vicende è dato infatti discernere alcuni preludi della dialettica tra potere dello Stato e diritti del singolo, divenuta poi determinante nel primo assetto costituzionale conformato alle istanze della borghesia liberale. Anche per altre categorie e figure del diritto costituzionale comune ai popoli europei continentali è dato discernere le premesse nel medesdimo ordinamento tardo imperiale.Ricorda inoltre l’autore che, sempre al tempo delle ultime vicende del Sacro Romano Impero, fiorì la prima grande scuola di diritto pubblico nell'Europa moderna, proprio per opera di taluni giuristi germanici pervenuti a notevole altezza di affinamento e perfezione. Egli aggiunge che è da riconoscere: "una dottrina non solo imponente per mole ... ma importante altresì per i punti di vista esposti, per le ingegnose teorie escogitate, per la suggestione che ebbe ad esercitare sul pensiero scientifico e sulla vita pratica”. La stessa dottrina fu chiamata pure alla "creazione di norme giuridiche", quasi fosse venuto a riprodursi dopo secoli quanto già accaduto per “i nostri dottori del diritto comune". Tanto è dato di osservare soprattutto per quel che concerne le regole circa i rapporti fra i sudditi e i loro signori territoriali. Molti segni stanno quindi a denotare l'opera di una grande scuola di giuspubblicisti, non inferiore per meriti e valore a quella “luminosa dei pandettisti" per il diritto romano, i quali avevano però scritto essenzialmente per il diritto privato (v. più oltre, p. 8). A chiarire il proprio pensiero, il professore dell’Università di Modena fa seguire anche un motivo polemico (v. oltre, p. 11 ss.). Nelle sue accurate trattazioni egli mira a confutare il luogo comune secondo cui molti sostengono che nell’Europa continentale le norme circa i rapporti fondamentali fra cittadino e Stato avessero avuto origine dalla rivoluzione francese. La confutazione consegue logicamente una volta dimostrato che già nell’ordinamento dell’Impero e degli Stati territoriali tedeschi del secolo XVIII si potevano riscontrare prescrizioni di diritto positivo in materia, cui erano seguite riflessioni teoriche.

 

 

3. – Gli indirizzi dominanti nella scienza del diritto pubblico contemporaneo e gli studi di storia giuridica

 

Stando agli indirizzi per lungo tempo dominanti fra i nostri studiosi, potrebbero insorgere dubbi circa l'utilità dell'insegnamento del Bussi ai fini della conoscenza teorica dei fenomeni giuridici contemporanei. A fondamento delle opinioni ancora riguardate come classiche è la premessa secondo che il diritto nella sua intrinseca natura viene inteso come un fatto o complesso di fatti sia pure sui generis. Così sono intese le norme, consuetudini, leggi formali, oggi da molti anche le sentenze delle Corti costituzionali, in effetti imposte e osservate entro un dato gruppo sociale. I fautori delle teorie cosiddette "istituzioniste” accolgono un ordine concettuale alquanto più esteso e perciò annoverano nel giuridico pure le istituzioni ossia organizzazioni sociali e politiche donde traggono origine ed efficacia le stesse statuizioni normative. Correlativa era stata anche elaborata una scienza giuridica cosiddetta "pura", con l’intento di spiegare, classificare, inquadrare entro paradigmi teorici e sistematici, concetti ovvero dogmi, le stesse istituzioni e norme. Da una scienza così concepita doveva rimanere escluso qualsiasi fatto sociale “non giuridico", in genere ritenuto tale in quanto estraneo alle prescrizioni del diritto positivo. Del pari si negava che avessero carattere giuridico insegnamenti propri di altri ordini di studio inerenti a discipline sociologiche, storiche, politiche, filosofiche, siccome diversi dalle analisi di consuetudini, leggi, atti formali di pubblici poteri. Per lo stesso ordine di pensiero le scienze giuridiche rivolte all’interpretazione immediata del diritto postivo vigente, ossia delle norme in vigore al momento, dovevano essere tenute rigorosamente separate dalle indagini di filosofia del diritto e di storia giuridica.

Le concezioni summenzionate toccarono un punto estremo nella dottrina del diritto costituzionale in Germania e anche in Italia durante i secoli diciannovesimo e ventesimo. Era prevalso un convincimento secondo che si riteneva ammissibile pervenire a una conoscenza puramente astratta e logica nonché sistematica delle forme e regole concernenti l'organizzazione e l'esercizio dei supremi poteri politici e dei rapporti degli stessi poteri coi cittadini (diritti fondamentali). Allora si mirava a ricostruire teoricamente un sistema di diritto positivo come in vigore al momento, con la necessità di aggiornamenti anche continui e pure di revisioni di concetti in qualsiasi caso di novità legislative. Il passato soprattutto se remoto, anteriore alla rivoluzione francese, rimaneva quindi ricacciato fuori dalla scienza giuridica vera e propria. Gli studi di storia del diritto erano intesi, al più, come propedeutici ovvero ausiliari rispetto alle trattazioni distinte del diritto positivo vigente. A seguire un tale ordine d’idee, poco di tempo ed energie dovrebbero pertanto dedicare i costituzionalisti alla lettura delle pagine del Bussi, nelle quali sono prese in esame vicende giuridiche ormai passate o, come alcuno usa dire, obsolete.

 

 

4. – Declino delle opinioni già dominanti conformate all’immagine ideale di una scienza “pura” del diritto pubblico

 

E’ da osservare che, dopo tanto trascorrere di tempo, segnato da grandiose trasformazioni politiche, sociali, economiche, oltreché nei sentimenti collettivi, qualche indizio di cambiamento è dato discernere anche negli studi di diritto pubblico positivo. Da più parti si avverte che la stagione del massimo fulgore degli indirizzi intesi a costruire una scienza giuridica "pura", da tempo appare tramontata, specialmente per quanto concerne il diritto costituzionale. A quegli indirizzi sono state mosse rinnovate critiche, in quanto vien fatto osservare che in realtà si tratta di un ramo dell'ordinamento tutto pervaso dalle ideologie e dalle esigenze dell’azione politica. Classica è l'obiezione secondo che irreale e pertanto contraria alle ben intese ragioni della scienza si dice la pretesa di separare l'interpretazione normativa, condotta mediante operazioni logiche, da ogni contaminazione con le conoscenze filosofiche, storiche, sociali concernenti i diritti fondamentali, le istituzioni, le regole dei poteri supremi.[2] Va ricordato che nella dottrina francese, inglese e nordamericana invece si riscontra costante una fedeltà ai metodi conformati all'esigenza di considerare necessario per ben conoscere gli aspetti giuridici costituzionali, mantenere piena armonia coi dettami delle discipline filosofiche, storiche, politiche.

Merita poi accennare a taluni insegnamenti autorevoli secondo cui la concezione di una scienza "pura" del diritto costituzionale, come già dominante in Germania e, in Italia, piuttosto che frutto di ragionamenti teoretici astratti è da ritenere legata a condizioni storico-spirituali di altre epoche che più non sussistono.Fra i nostri costituzionalisti, per vero, le discussioni sul metodo giuridico "puro" risultano di molto attenuate, di guisa che, almeno di principio, appaiono meno rigide le pretese di "chiusura" rispetto alle scienze cosiddette "non giuridiche".

Nella presente esposizione torna particolarmente utile accennare al fatto che taluni costituzionalisti mostrano da qualche tempo un certo interesse per la storia costituzionale.[3] A quanto pare, si tratta però di un interesse rivolto alle vicende dell'Italia unita e soprattutto alla genesi e all'evoluzione dell'ordinamento repubblicano. Rimane poi dubbio se s'intenda proporre lo studio di una disciplina separata, rivolta solo al passato come oggetto esclusivo, del tutto chiuso in sé, ovvero acquisire cognizioni anche ai fini dello studio del diritto costituzionale come stabilito al presente[4].In ragione del suo stesso svolgimento logico, per altro, il rinato interesse per la storia costituzionale importa l'esigenza di estendere la ricerca pure oltre l'atto di fondazione della Repubblica italiana e ancora oltre la formazione dello Stato nazionale unitario.L'ordinamento della Repubblica invero rappresenta uno fra i tanti esempi della grande “famiglia” in cui sono compresi gli ordinamenti statali informati ai principî liberaldemocratici, in particolare fra le forme di governo parlamentare "razionalizzato”.[5] Il significato e l'importanza del vincolo alla comune "famiglia" di ordinamenti erano divenuti financo palesi nelle vicende del secolo scorso segnate da conflitti fra Stati retti secondo principî politici e costituzionali opposti, liberaldemocratici, socialcomunisti, autocratici. Dall'osservazione realistica di tali conflitti si traggono argomenti a conferma del vecchio insegnamento secondo che qualsiasi tipo di ordinamento o regime politico va riconosciuto come storicamente limitato, dipendente da determinate condizioni spirituali e politiche.

Alla rinnovata attenzione per le connessioni fra i regimi liberaldemocratici e determinate condizioni storico‑spirituali sono seguite proposte per un maggior approfondimento delle questioni circa le evoluzioni onde gli stessi regimi avevano tratto origine e sviluppo. Tanto è stato affermato come premessa necessaria a chiarimento dei problemi che oggi si presentano, oltreché alla riflessione sulla realtà democratica vigente. Per vero, è stata avvertita da altro autore l'esigenza di pervenire “ alla comprensione adeguata delle basi storiche della democrazia borghese", rectius liberale, secondo una visione completa sin dal momento della dissoluzione dell'ordine feudale.[6] Sia pur in un diverso contesto di studi, pare quasi da discernere nelle parole accennate un argomento valido per confermare l'importanza dell'opera del Bussi in quanto contributo utile a conoscere le origini dello Stato moderno e del costituzionalismo liberale.

 

 

5. – Sulle concezioni “razionalistiche” e “costruttiviste” circa la formazione delle istituzioni politiche e delle leggi

 

In accordo con le idee del razionalismo dominante nei secoli passati fra i popoli dell'Europa continentale appare l'aspirazione a stabilire istituzioni e leggi conformate a un qualche disegno preventivo.Una siffatta aspirazione presuppone che gli uomini abbiano un potere illimitato nel soddisfare ai propri desideri e che le istituzioni umane riescano adeguate agli scopi degli individui solo se corrispondenti a deliberati progetti.[7] Di epoca in epoca, fin dall'antichità, la stessa aspirazione si riconosce espressa tante e tante volte, sia pur in forme e generi letterari diversi: le utopie, i progetti politici e, come ricordato in particolare dal Bussi, anche i cosiddetti “romanzi di Stato”. Il passaggio dalle enunciazioni ed esercitazioni teoriche e letterarie alle attuazioni reali, in misura più compiuta e costante, avvenne però solo al principio dell'evo moderno, soprattutto nei Paesi dell'Europa continentale. Da quel tempo sino al secolo appena trascorso è da registrare un susseguirsi di tentativi intesi a mandar ad effetto un qualche disegno o programma di ordine futuro concepito in ragione di un paradigma preventivo di perfezione. Fra le attuazioni ispirate alle suaccennate visioni razionalistiche sono da annoverare: la formazione dello Stato moderno definito come un ente razionale, “astratto", diverso dagli ordinamenti politici anteriori; l'imposizione della legge formale come fonte preminente se non esclusiva del diritto positivo; le codificazioni; poi le costituzioni scritte rispondenti al modello francese rivoluzionario, per le quali l'ultimo svolgimento è da riscontrare nelle costituzioni “razionalizzate” che ebbero a prototipo la Costituzione tedesca del 1919 detta "di Weimar”.

Il Bussi dedica inoltre tanta parte della propria opera all'esame delle attività umane rivolte a costruire ordini politici conformati a un qualche disegno razionalistico fissato a priori. Come attività umana diretta alla novità estrema e totale è designata la rivoluzione, la quale trae motivo dalla negazione radicale del passato ( v. oltre, p 78 ss.). Molteplice, varia e differenziata è invece la categoria delle riforme. In alcuni casi le riforme hanno carattere di azioni intermedie tra reazione e rivoluzione, in quanto ordinate a contemperare le esigenze dell'innovazione e della stabilità con la conservazione del salvabile. Altre volte, le riforme sono determinate dagli impulsi rivoluzionari dei governanti, così da risultare come strumenti di una sorta di rivoluzione dall'alto incruenta (v. oltre, p. 90 ss). Anche per le riforme pervase di spirito rivoluzionario riesce preminente l'intenzione d'instaurare governi e d'introdurre sistemi di legislazione come previsti dall'uomo secondo calcoli quanto più precisi e razionali, non risultanti pezzo per pezzo, in forza del caso, dell'arbitrio e anche della violenza, di fuori da progetti preliminari.

 

 

6. – Critiche alle stesse concezioni “razionalistiche” e “costruttivistiche”. La concezione “evoluzionistica” delle istituzioni

 

Alle suaccennate concezioni “razionalistiche” e “costruttivistiche” da più parti viene opposto che, per l'esperienza, irreale e destinato al fallimento si è rivelato qualsiasi disegno di fissare la compagine delle istituzioni e del diritto pubblico in modo conforme a schemi preventivi astratti. Al contrario, si rileva, le istituzioni e il diritto pubblico risultano, nella loro sostanza, prodotto di evoluzioni graduali e di stati di fatto complessi.[8] Persino negli ordinamenti in cui sono stabilite costituzioni rigide, lunghe, minuziose, per comune conoscenza, si avverte che, col trascorrere del tempo, le disposizioni scritte e le istituzioni subiscono le cosiddette “modificazioni tacite", determinate non dalle procedure regolari, ma da "fatti" come consuetudini, prassi, convenzioni fra partiti, tanto che se la lettera dei testi permane invariata nella forma di espressione, ne mutano i significati e le conseguenze giuridiche.Nelle presenti pagine sarebbe impensabile procedere a un’esposizione adeguata delle questioni appena menzionate, di guisa che pare appena consentito qualche riferimento sommario in connessione stretta coi temi qui trattati.

Anche eminenti cultori di diritto positivo riconoscono che soltanto per arbitraria e fittizia supposizione si può immaginare che nella storia vi siano realmente instaurazioni e costruzioni improvvise, uno actu di certe organizzazioni politiche in tutto rispondenti a progetti compiuti. Un'enunciazione esemplare in argomento si riscontra in un saggio di uno fra i più stimati rappresentanti della scuola italiana di diritto pubblico. Tanti anni addietro egli aveva ammonito che, nella storia delle istituzioni, elementi nuovi talora “si manifestano all'improvviso, anche quando sono preparati da processi secolari", così persino quando sorgono istituzioni nuove, rivoluzionarie, tali da sembrare "chiamate a vita dalla bacchetta magica di capricciosi legislatori, sotto gli auspici e i dettami della dea ragione".[9] A rigore, affermazioni del genere denotano un ordine di pensiero evoluzionistico o gradualistico, tale da implicare la necessità logica di una revisione critica di certe teorie sulla rivoluzione alquanto diffuse fra gli studiosi del diritto costituzionale. Riesce invero indimostrato parlare di "creazione" totale di un ordinamento "dal nulla" o, in termini simili, di "nascita" del diritto da grandezze “che non sono diritto”.[10] Anche per le costruzioni razionalistiche nella realtà sono da riconoscere complessi, lenti, incalcolabili processi di formazione.

Le considerazioni che precedono valgono in particolare per quanto concerne la formazione dello Stato moderno, che pure nella configurazione finale appare come un organismo razionale, astratto, artificioso, diverso dagli ordinamenti politici anteriori, determinati secondo criteri ed elementi empirici, come è dato discernere dalle espressioni allo scopo usate, impero, regno, città, confederazione. [11]

 

 

7. – Differenze tra i contributi britannici e francesi nella formazione del costituzionalismo occidentale

 

Quanto al diritto costituzionale, definito come regola dell'organizzazione degli Stati, è appena da ricordare che le costituzioni scritte della rivoluzione francese e quelle ad esse ispirate sono universalmente riconosciute come un portato tipico del "razionalismo" europeo continentale[12] Questa osservazione comune implica, per altro, un chiarimento, posto che, come da alcuno notato, i contenuti istituzionali e normativi delle costituzioni promulgate con la rivoluzione francese furono derivati, sia pure con modificazioni, dalle esperienze giuridiche britanniche e nordamericane. Osservazioni analoghe sono da farsi circa i contenuti dei testi costituzionali successivi introdotti nei Paesi dell'Europa continentale per imitazione della Francia. Di origine anglosassone si riconoscono la formazione di almeno un'assemblea parlamentare eletta dal corpo sociale, la pluralità degli organi costituzionali, la garanzia dei diritti di libertà mediante apposite statuizioni normative e la tutela di essi in sede giurisdizionale. I cosiddetti contributi peculiari del costituzionalismo francese consistono soprattutto in enunciati, definizioni, principî di natura ideologica, astratta e sistematica, come: la concezione universalistica (non empirica-storica) dei diritti dell'uomo; la sovranità nazionale; la teoria della divisione dei poteri; la rappresentanza politica; il principio di legalità rectius di preminenza della legge[13]. E' da aggiungere che le concezioni della sovranità e del primato della legge avevano avuto anticipazioni all'epoca dell'assolutismo, come affermato particolarmente con Jean Bodin.

Notevoli paiono le conseguenze che si possono trarre dalla distinzione sopra accennata tra la formazione storica dei contenuti istituzionali e normativi propri del diritto costituzionale, da un lato, e, dall'altro, le raffigurazioni ideologiche del costituzionalismo europeo continentale di origine francese. In rapporto a una distinzione siffatta sono da riconoscere il carattere e il valore dell'insegnamento del Bussi, inteso a ricercare nell'epoca dell'assolutismo monarchico, soprattutto in Germania, premesse e prodromi di principî, garanzie, istituti introdotti dopo la rivoluzione francese, con l'avvento del costituzionalismo. Certo, a nessuno sarebbe consentito negare che prevalente nell’elaborazione del diritto costituzionale fu la parte dovuta all'evoluzione empirica compiuta in terra britannica, poi imitata o recepita nei diversi Paesi occidentali. Ciò non toglie che anche altrove si ebbero taluni contributi prodotto di sviluppi concorrenti nella formazione di categorie e figure giuridiche comprese nel complesso del diritto pubblico tipico dei popoli europei continentali retti con regimi liberaldemocratici. Contributi dell'esperienza imperiale germanica si riscontrano anche nella formazione del diritto amministrativo.

E' da accennare, d’altro canto, che effetti grandiosi conseguirono dall'infusione dello spirito ideologico d'ispirazione francese nel contesto degli elementi storici del diritto costituzionale derivati soprattutto dalle pratiche britanniche, estranee alle visioni del razionalismo dominanti nel Vecchio Continente. Ma furono effetti di altra natura. Per opinione comune, la pretesa di vedere in un certo sistema di norme e istituzioni un prodotto della ragione umana, contribuì a diffondere una concezione universale del diritto costituzionale europeo occidentale e a promuoverne la recezione in molti Paesi. Nelle attuazioni e applicazioni vennero a manifestarsi aspetti ed elementi particolari in accordo con la storia e l'indole dei singoli popoli, ma è sempre rimasta ferma l'idea dell'adesione a presupposti comuni. Durante il XX secolo, in relazione ai conflitti coi regimi autoritari e socialisti, era venuta a proporsi la questione della necessità di conservare e difendere un comune patrimonio del diritto costituzionale liberaldemocratico, comprensivo e degli ordinamenti anglosassoni e di quelli europei continentali. Come elementi costitutivi di quel patrimonio sono indicati, fra l'altro: la garanzia dei diritti fondamentali; la divisione dei poteri; il governo rappresentativo. A visioni universalistiche pare corrispondere poi la tendenza, divenuta dominante nel secolo trascorso, di trasferire la conservazione e la difesa dei postulati del costituzionalismo occidentale dalle cerchie più ristrette dei vecchi Stati alla più vasta dimensione mondiale[14].

 

 

8. – La concezione realistica ed evoluzionistica sull'origine delle istituzioni nel pensiero di Emilio Bussi

 

Emilio Bussi aderisce a una concezione realistica del diritto conformata a premesse storico‑evolutive, con rigore notevole e originalità di contributi. Quasi criterio della propria trattazione scientifica egli enuncia la massima seguente: "mettere in chiaro come ogni concezione statale posi sempre su elementi precedenti dei quali anzi, bene spesso, non è che una trasformazione non sempre felice”(v. oltre, p. 18). Per un'affermazione siffatta pare proporsi la questione secondo che, nella molteplicità e varietà delle esperienze giuridiche, occorre discernere, frammisti e alternati, momenti di "continuo" e "discontinuo"[15].

In senso concorde al criterio espresso nella massima sopra riferita, l’autore sostiene che va riconosciuta una certa rilevanza alle visioni e costruzioni ideologiche avveniristiche e alle utopie ancorché audaci. A parte gli effetti eventuali come moventi delle azioni umane, che operano sugli eventi, siffatte ideologie possono venir esaminate anche ai fini della conoscenza storica. Fra l'altro, egli osserva che le visioni e i progetti rivolti al futuro, per quanto astratti, esprimono motivi ed esigenze di opposizione cosciente a regimi di fatto stabiliti, col farne palesi i loro reali difetti. Le affermazioni intese ad auspicare un avvenire migliore, poi possono talora rispondere a una giustificazione di ordine etico, da ritenere non indifferente però agli studi propriamente giuridici. Le critiche addotte a sostegno di progetti per nuove città dell'uomo tornano infatti utili al fine di evitare che la mera ricognizione e spiegazione dell'ordine stabilito venga ad essere rivolta a giustificazione delle ingiustizie del presente (v. oltre, p. 66 ss.). Considerazioni analoghe paiono da ripetere anche per molti dogmatici del diritto positivo, fra i quali forte è la propensione di volgersi ad apologie dell'esistente[16].

Come sopra indicato, nell'accennare nelle pagine seguenti a talune parti dell'opera di Emilio Bussi, viene seguita la distinzione tra quanto va riferito allo Stato come ordinamento ovvero ente politico, es. monarchia assoluta o democrazia, e quanto invece alle regole costituzionali concernenti lo stesso Stato, garanzie per i diritti e limiti per i pubblici poteri.

 

 

9. – Nozioni dello Stato in senso generico estensivo e in senso rigoroso restrittivo. Sulla formazione storica dello Stato europeo continentale

 

Due sono le concezioni accolte fra gli studiosi al fine di determinare il significato proprio del termine Stato. In un'accezione più generica e comprensiva, con lo stesso termine si vuol indicare qualsiasi tipo di ordinamento politico dell'antichità, del Medioevo, dell'epoca contemporanea. Più rigoroso e specificato è invece l'assunto secondo che la parola Stato cominciò a venir adoperata nell'evo moderno, a denotare una specie di ordinamento politico dotato di caratteri propri, tali per cui non è dato fare confusione con gli ordinamenti politici delle epoche anteriori e nemmeno con ordinamenti di altre civiltà diverse ( v.oltre, p. 21 ss.). Il Bussi si dichiara convinto fautore della concezione più rigorosa e restrittiva, pure se ammette che sia consentito seguitare, per esempio a scopi pratici, nell'uso convenzionale di applicare l'espressione Stato anche agli ordinamenti anteriori all'evo moderno.

L'autore esclude altresì che lo Stato moderno avesse avuto origine all'improvviso, in un solo momento, riconosciuto nel trattato di Westfalia, quasi per esecuzione immediata e completa di un qualche disegno preordinato, formulato in rottura totale con le esperienze giuridiche precedenti. Al contrario, il Bussi riconosce nella data di quel trattato l'inizio convenzionale, per così dire ufficiale, di un nuovo ciclo storico, ma anche il segno di evoluzioni plurisecolari verso una certa meta. Le connessioni con le epoche precedenti sono bene delineate, nel volume in esame, in rapporto ai tre elementi costitutivi come definiti e distinti, secondo gli insegnamenti più usuali governo, popolo, territorio, in quanto attiene alla loro rilevanza giuridica, piuttosto che all'immediata realtà materiale. Soltanto con lo Stato moderno fu compiuta una costruzione istituzionale organica comprensiva dei tre elementi, ma dovettero prima trascorrere lunghi secoli, durante i quali erano prevalse visioni parziali.

a) Nell'antichità, greca e romana, era stata intravista una concezione unitaria di ordine politico per la comunità di persone designata col nome collettivo popolo; nome poi ripetuto in epoche successive anche se con diversità di significati. Erano rimaste di fuori da specifiche considerazioni di carattere giuridico e politico le questioni concernenti le relazioni fra il territorio e la compagine del potere politico.

b) Le relazioni fra il territorio e l'ordine politico vennero ad acquistare importanza centrale nel Medioevo, in termini per altro incomparabili con quelli propri delle odierne teorie del diritto pubblico e dello Stato. Si devono tenere presenti, in proposito, le condizioni storico-spirituali del Medioevo, come: confusione, non solo teorica ma anche pratica, fra i concetti di diritto pubblico e diritto privato; legami effettivi del potere d'imperio politico col dominio privato o proprietà fondiaria.

Aggiunge il Bussi che anche per altri aspetti, negli ordinamenti medievali, erano venuti a determinarsi i preliminari di evoluzioni fondamentali per la formazione degli ordinamenti statali moderni e contemporanei. Cadde la pretesa identificazione, propria dell'antichità greca e romana, fra assetto politico‑civile e religioso. Tanto era dovuto alla crescita della Chiesa, la quale si era imposta come società perfetta, originaria, solida, stabilita con una propria gerarchia e con un proprio diritto, del tutto indipendente da qualsiasi altra organizzazione umana, titolare di un potere spirituale sciolto dal potere temporale.Ancora nel Medioevo, sempre secondo il professore dell'ateneo modenese, si ebbe la prima formazione degli elementi essenziali della società civile, intesa come organismo collettivo distinto, qualificato per una vita propria, quindi separato dall'organizzazione del potere politico (v. oltre, p. 132 ss.). Di quell'epoca egli ricorda infatti il sorgere di organizzazioni e istituzioni spontanee, con propri fondamenti sociali, come per esempio le corporazioni, e il connesso sviluppo di tutto un insieme di rapporti intersoggettivi, con la produzione di distinte regole giuridiche.

 

 

10. – I fattori determinanti nel passaggio dagli ordinamenti medievali allo Stato moderno

 

All'ampia esposizione intorno alle complesse evoluzioni storiche anteriori, nel volume in esame, si aggiungono trattazioni specifiche dedicate alle ultime fasi di transizione, ossia di decadenza degli ordinamenti medievali

Nello svolgimento del diritto medievale i poteri politici d'imperio erano venuti progressivamente a frazionarsi in quanto trasferiti a un numero crescente di autorità minori e decentrate, spesso a mezzo di contratti di diritto privato aventi per oggetto pubbliche potestà particolari. Raggiunto il grado estremo di dissoluzione e dislocazione delle potestà di comando, per azione delle monarchie destinate a diventare assolute fu intrapreso un graduale moto inverso in senso di accentramento, con recupero lento ma costante, delle potestà pubbliche a favore della corona. La fondazione dello Stato moderno è riconosciuta come connessa a quel progressivo accentramento. E’ noto, in proposito, che non si trattava di una qualche restaurazione dell’universalità ideale sotto l’unico imperatore cattolico, ma della fondazione simultanea di diverse unità politico-territoriali, fra di loro chiuse e divise anche per i contrasti delle confessioni religiose.

Al progredire dell'accentramento avevano concorso fattori diversi, mutevoli quanto alla misura dell'efficacia, con profili differenziati per i singoli Paesi, operanti pure in tempi fra loro lontani. Il Bussi ritiene di potere distinguere e classificare tali fattori in quattro categorie: a) fattori di natura filosofico‑religiosa; b) fattori di natura politica; c) fattori di natura giuridica; d) fattori di natura amministrativa. Va aggiunto che, più volte, l'autore nostra di considerare anche gli effetti sulle istituzioni prodotti dai mutamenti di natura economica.Della notevole trattazione compresa nel volume in esame paiono da trarre diversi spunti di riflessione. L'autore evita d'indicare rapporti di preminenza e pure di prevalenza tra i diversi fattori indicati. Tale criterio pare denotare una preferenza per le scuole di storia del diritto orientate in senso positivistico, intese soprattutto a tracciare una “neutrale” esposizione dei fatti, anziché ricercare un'interpretazione conforme a un principio informatore di carattere spirituale[17].

Nelle pagine del Bussi, in ogni modo, pare dato di discernere indicazioni tali da indurre ad ascrivere importanza particolare ai fattori religiosi e filosofici. E’ ivi ricordato come, per un complesso movimento, fosse venuta a determinarsi una contrapposizione totale alla filosofia cristiano-teocratica già dominante nel Medioevo, in quanto venne attribuita rilevanza assoluta ai fatti ossia all’osservazione del mondo sensibile, anziché a ragioni di giustizia e verità trascendenti. Nelle novità seguite alla riforma protestante, l'autore ritrova le premesse idonee a giustificare sia la libertà originaria e piena dell'individuo, fondata sulla coscienza, da un lato; sia l'estensione illimitata almeno potenzialmente del potere dello Stato, dall'altro. Appaiono quindi delineati i due momenti essenziali della dialettica, Stato e individuo, che attraversa tutto quanto lo svolgimento del diritto pubblico nella storia moderna e contemporanea. Se la dialettica di Stato e individuo può anche venir intesa come lo schema essenziale delle concezioni del diritto pubblico, particolarmente del diritto costituzionale, va anche tenuto presente che le costruzioni concettuali dell’evo moderno appaiono più complesse e variate. Come ricordato dal Bussi, altre figure e costruzioni teoriche venivano a integrare e pure complicare il quadro, come per esempio: la “riscoperta" classicheggiante del concetto di polis, l'affermazione del nuovo concetto di sovranità chiaramente enunciato dal Bodin; la diffusione dell'immagine del contratto sociale. Fra queste espressioni teoriche e ideologiche vi sono certo differenze innegabili, alle quali nemmeno è dato di accennare nelle presenti pagine. Sono da riconoscere, in ogni modo, due risultati comuni: la ricerca di un fondamento temporale, terrestre, immanentistico, “secolarizzato”, non divino, del potere e del diritto costruiti dagli uomini; la giustificazione razionale della subordinazione dei singoli a un siffatto potere e a un siffatto diritto.

 

 

11. – Il concetto di sovranità in Bodin e le evoluzioni del diritto pubblico in Germania e Francia

 

Qualche accenno particolare meritano le considerazioni dedicate dal Bussi al concetto di sovranità. Piuttosto che una discussione circa i profili teoretici egli si propone di ricostruire le evoluzioni storiche degli ordinamenti giuridici, in particolare quanto all'organizzazione del potere, che avevano condotto alla formazione dello stesso concetto. Pare quindi da proporre un confronto con un'affermazione di carattere generale secondo cui la spiegazione di un concetto costituzionale, ancorché astratto, va ricercata in correlazione con condizioni storico-spirituali, controversie o fatti politici particolari[18]. Nella trattazione in materia l'autore accoglie le definizioni più consuete, di uso comune, nel senso che la nozione di sovranità, designata come attributo o carattere della suprema potestà statale, risulta specificata in due direzioni: a) indipendenza assoluta da altre potestà e altri ordinamenti, per così dire verso l'esterno, come indipendenza da altri Stati e dalla Chiesa; b) preminenza assoluta nei rapporti con altri soggetti all'interno del territorio e dell'ordinamento statale, nei rapporti con Comuni, Province, Regioni. Stando a quanto enunciato dal Bussi, a tali due aspetti compresi nella nozione di sovranità paiono corrispondere le opposte direttrici di sviluppo seguite nella formazione storica dell'ordinamento statale: l'una in Francia; l'altra in Germania.

a) Quanto alla storia della Germania si ricorda che all'antico primato giuridico dell’Impero, definito ordinamento universale, si opponevano gli sforzi dei principi governanti dei singoli territori, i quali miravano all'indipendenza totale. Come già accennato, gradatamente era avvenuto il trasferimento nelle mani dei governanti locali di attribuzioni e potestà poi annoverate come proprie della sovranità statale. Fra i popoli germanici erano venuti a formazione alcuni Stati sovrani, pure se nominalmente ancora legati all'Impero, in particolare il Regno di Prussia. Per l'esistenza di questi Stati era divenuta fin palese la negazione radicale di una potestà superiore, già riconosciuta come qualificata per un carattere universale.

b) In Francia, avvenuto presto il distacco effettivo dal Sacro Romano Impero, stabilito fra le genti germaniche, era stata intrapresa dalla monarchia l'azione rivolta a sopprimere soggetti ed enti politici locali titolari di poteri autonomi e la lotta alle tendenze particolaristiche di minori aggregazioni sociali.Corrispondeva a tutto ciò la costruzione progressiva di un’organizzazione statale accentrata e unitaria, col sostegno di una pubblica amministrazione professionale.Alla stessa azione corrispondevano anche tendenze verso l'unificazione dell'ordine giudiziario e, almeno potenzialmente, della legislazione.

 

 

12. – L'organizzazione di una pubblica amministrazione professionale e lo Stato moderno

 

Per quanto concerne l'organizzazione, essenziale nella formazione dello Stato moderno fu il costituirsi di una pubblica amministrazione distinta per il carattere professionale dei dipendenti e il carattere tecnico delle regole di azione. Il Bussi ritiene di dovere distinguere nel contesto di quell’evoluzione in relazione a tre aspetti: l'organizzazione più propria della pubblica amministrazione nel senso stretto; l'esercito; l’imposizione di tributi. Per tali tre momenti dell'amministrazione in senso lato sono da notare trasformazioni notevoli a confronto del periodo medievale, incentrato sulle strutture feudali. Nel corso impetuoso degli eventi si era, a volta a volta, imposto di ricercare soluzioni inconsuete, per rispondere a necessità pratiche impreviste, anche di fuori da premesse teoriche. E’ da tenere sempre presente, in ogni caso, che gli avvenimenti di quell’epoca erano connessi a conflitti religiosi e spirituali, come del resto ben avvertito dall'autore.

Sia consentito ricordare, in proposito, come la nascita dello Stato moderno venga ricondotta, per voce pressoché unanime, alle guerre di religione, di molto più estese, cruente e anche più dispendiose delle vecchie guerre medievali, fra l'altro, a causa dell'introduzione delle armi da fuoco rapidamente diffuse. Era prevalso perciò l'uso di reclutare eserciti stanziali numerosi composti di mercenari, dipendenti in modo rigido dal potere regio, forniti di arsenali ingenti. Al fine di provvedere alle spese pubbliche cresciute in misura eccessiva, furono stabilite nuove regole concernenti la determinazione e il prelievo dei tributi. Correlativa fu anche la formazione di un complesso di apparati e uffici pubblici affidati a professionisti e tecnici, posti alle dirette dipendenze del potere regio: la pubblica amministrazione, nel linguaggio giuridico; la burocrazia, nel linguaggio comune.Un altro fattore che condusse alla moltiplicazione degli uffici amministrativi era derivato dal fatto che, per gli effetti conseguenti alla riforma protestante, la Chiesa aveva, sia pure gradatamente, dovuto abbandonare certe sue attività come educazione e beneficenza.

 

 

13. – I fini dello Stato e i mezzi per attuarli tra assolutismo e costituzionalismo

 

Ancora attinenti allo Stato come ordinamento giuridico sono le considerazioni svolte dal Bussi su temi come: a) i fini dello stesso Stato; b)la nozione di popolo. Si tratta di questioni per le quali sono da riconoscere variazioni notevoli nel passaggio dall'ultima fase dell'assolutismo, designata con l'espressione "Stato di polizia", al successivo "Stato di diritto".

a) Come carattere essenziale dell'ultimo assolutismo era affermata una facoltà di estensione illimitata per l'azione dei poteri supremi in vista del "bene comune" e anche per la "felicità dei sudditi", ritenuti quasi “eterni minorenni”, incapaci da soli di badare ai propri reali interessi. Secondo la concezione dominante a quell' epoca, si riteneva quindi che i governanti fossero depositari di una potestà suprema, tale da abilitare a una continua, indefinita ricerca di sempre nuovi scopi o fini immediati di azione; potestà per la cui attuazione si rendevano necessarie specificazioni per le nozioni generiche e indeterminate di ” bene comune” e “felicità universale". Quasi corollario indiscusso, si faceva conseguire l'assunto secondo che alla previsione della cura di quei fini tanto generici, multiformi, imprevedibili, era da ritenere connessa, pur se implicita, l'attribuzione illimitata dei mezzi adeguati a conseguirli. Tutto conduceva pertanto a qualificare come legittimo l'esercizio di potestà ritenute a volta a volta necessarie in forza delle condizioni di fatto, ancorché non contemplate in leggi anteriori( v. oltre, p. 275 ss. passim).

Ben altri furono i principî circa la disciplina dei rapporti tra fini e mezzi di azione statale accolti con l'avvento dello "Stato di diritto" conformato alle ideologie del costituzionalismo liberale. Come ricordato dal Bussi, a premessa fondamentale fu stabilito che ciascun singolo uomo fosse da riconoscere come l'unico soggetto legittimato a decidere e disporre, di proprio arbitrio, per tutto quanto fosse attinente alla propria felicità. Riguardo allo Stato fu invece sostenuto che dovesse limitarsi a garantire effettive condizioni di sicurezza pubblica sufficienti a permettere ai singoli il libero svolgimento delle facoltà individuali. L'esercizio delle potestà d'imperio doveva pertanto risultare regolato in misura compiuta e consentito nei casi e modi tassativamente previsti dalla legge, mediante statuizioni generali, astratte, stabili nel tempo. Come criterio generale,i pubblici poteri dovevano risultare principalmente limitati, nella loro possibilità di azione e pure nella loro stessa organizzazione; di contro, il singolo individuo doveva risultare principalmente libero.Come ultima conseguenza di detti principî si può ritenere il fatto che, nelle trattazioni teoriche conformi alle opinioni divenute dominanti, di frequente erano pretermesse disamine apposite dedicate ai fini dello Stato, quasi materia estranea all'ordine delle grandezze propriamente giuridiche. Era ritenuto decisivo che i poteri fossero regolati e circoscritti da sistemi di norme sull'organizzazione e sull'azione, ossia regole talora anche minuziose sulle competenze e procedure.

 

 

14. – Nozioni di popolo nel periodo di fondazione dello Stato moderno

 

b) Fra gli elementi costitutivi dello Stato, per solito, è annoverato il popolo. In proposito il Bussi fa notare come si tratti di una nozione non proprio fissa e immutabile nei secoli, ma a volta a volta intesa secondo accezioni diverse.

Nell'evo moderno, particolarmente dai fautori di novità animati di spirito rivoluzionario, era stata sostenuta una concezione che appare distante dalle ideologie imposte successivamente con la rivoluzione francese. Gli scrittori denominati “monarcomachi”, nel contrapporre il popolo al principe, facevano riferimento alle organizzazioni storiche stabili come i ceti, le corporazioni, i comuni. Gli stessi monarcomachi recisamente escludevano qualsiasi confusione fra l'immagine della società ordinata per ceti e la moltitudine disordinata, plebs incondita et confusa turba, bellua multorum capitum[19]. In questi termini appare evocato un ordine di pensiero inconciliabile con le opinioni posteriori secondo cui il corpo sociale viene rappresentato come un gigantesco soggetto collettivo dotato di propria capacità unitaria di giudicare e volere. Una rappresentazione astratta di un vero e proprio soggetto collettivo si ritiene recepita nei testi costituzionali ove il corpo sociale, popolo o nazione, è definito come titolare del potere giuridico supremo. E' appena il caso di ricordare che la stessa rappresentazione è sempre stata oggetto di controversie. Fra l'altro, alcuno ha anche parlato di "finzione utile", col negare che nelle dichiarazioni di sovranità popolare si possa riconoscere il riferimento a un qualche aspetto della realtà[20].

Di fatto, i cittadini risultano sempre divisi e frazionati fra tanti gruppi diversi ed eterogenei, in ragione di legami religiosi, sociali, ideologici, professionali, economici. Gli stessi gruppi costituiscono le organizzazioni immediate e anche spontanee della società, intesa come coesistenza complessa, varia, frammentata. Com'è noto, una tale condizione di pluralismo socio‑politico trova riscontro in alcune costituzioni più recenti, nelle quali sono incluse disposizioni con riferimenti testuali a gruppi e “formazioni sociali” particolari, differenti dall'immagine di un corpo sociale omogeneo. A ben osservare, tali disposizioni, in quanto ritenute espressioni di visioni “pluralistiche”, paiono in contrasto oggettivo con le contestuali proclamazioni solenni della sovranità popolare[21].

Per quanto concerne i rapporti politici, sono da menzionare essenzialmente i partiti, dai quali dipende la designazione effettiva dei titolari delle cariche elettive. A proposito può anche riuscire interessante ricordare che, durante il secolo diciannovesimo, il padre Taparelli aveva riconosciuto nei partiti organismi artificiosi costituiti al fine sostituire gli storici naturali "consorzi", alias "corpi intermedi", soppressi nelle turbinose vicende rivoluzionarie[22]. Pare giustificato aggiungere che in una costruzione teorica più prossima nel tempo fu sostenuto che il popolo può venire configurato come depositario dei poteri supremi solo in quanto organizzato in partiti politici[23].

 

 

15. – Aspetti della transizione tra le forme di "Stato assoluto” e "Stato di diritto”

 

Accurata nel volume in esame è la trattazione dedicata dal passaggio dallo "Stato assoluto" allo "Stato di diritto".

a) Dalla riflessione critica sulle esperienze storiche il Bussi trae argomenti per negare qualsiasi fondamento alla pretesa separazione, pure tanto condivisa, tra le forme di "Stato patrimoniale” e "Stato di polizia". Semmai, a dire dell'autore, sono da distinguere due fasi successive, ricomprese nel paradigma più ampio dello “Stato assoluto", la cui esistenza deve quindi ritenersi prolungata nel tempo. Si può anche notare che, a rigore, sempre secondo lo stesso Bussi, per il periodo dal Medioevo fino alla data convenzionale del trattato di Westfalia, sia consentito parlare di Stato, eventualmente anche con l'attributo di “patrimoniale”, solo in senso generico e improprio, convenzionale, non nel senso specifico ristretto, proprio delle epoche moderna e contemporanea. Un segno dell’avvenuta trasformazione potrebbe venire ravvisato nel fatto già rilevato che, nelle ultime fasi dell'assolutismo, designate spesso con l'espressione "Stato di polizia", si ebbe l'accrescimento graduale, ma costante dell'amministrazione pubblica. E’ da ricordare, di sfuggita, che alla parola “polizia” era allora ascritta un’accezione generica, comprensiva di tutte le attività pubbliche ordinate alla cura del “bene comune”, pressappoco in senso paragonabile all’espressione contemporanea di pubblica amministrazione.

b) Avverte l'autore che, pure nello stesso periodo per solito designato come "Stato di polizia", ancora erano rimasti in vigore elementi di carattere patrimonialistico con notevoli confusioni fra il potere politico d'imperio e il “dominio eminente" del principe sul territorio, informato alla categoria giuridica della proprietà privata. Il persistere di tali elementi privatistici denota altresì il ritardo e la difficoltà con cui era venuto a stabilirsi un apposito ramo di diritto pubblico, con caratteri propri, differente dal diritto privato. In particolare ciò viene osservato per quanto concerne la Germania. Pare anche da tenere presente che, come dimostrato da studi recenti, alquanto tardiva fu la "recezione" nei Paesi germanici del concetto di sovranità, come enunciato in Francia per opera di Jean Bodin[24].

c) Solo più tardi, nel periodo della restaurazione, fu affermato il principio secondo che lo Stato viene qualificato come persona giuridica, soggetto titolare di pubblici poteri oltreché di diritti privati. E’ da ricordare, per altro, che una tale qualificazione già aveva avuto un'anticipazione, sia pure con un ordine di competenze circoscritto, mediante la configurazione del “fisco”, inteso come persona giuridica distinta, titolare esclusivamente dei diritti e delle pretese di carattere privato, più propriamente patrimoniale, spettanti allo Stato, dalla quale restavano fuori le potestà di comando, iure imperii[25].

d) Secondo un altro insegnamento del Bussi nel passaggio dallo "Stato assoluto" allo "Stato di diritto” è da escludere che fossero intervenuti fatti di separazione e rottura radicale, con contrapposizione totale. Nel1’una e nell'altra forma è dato discernere frammisti e confusi elementi sia dello "Stato di polizia" sia dello "Stato di diritto”. Nell’un caso, la preminenza dei poteri d'imperio era più estesa, ma non fino a sopprimere del tutto le garanzie e i diritti dell'individuo. Nell’altro, la tutela dei diritti risulta maggiore e assai più intensa, ma non tanto da eliminare qualsiasi soggezione ai pubblici poteri.

 

 

16. – Di alcune vicende nelle fasi finali della storia del Sacro Romano Impero rilevanti come preliminari della formazione del diritto costituzionale come ramo distinto dell'ordinamento

 

Oltre a quanto attiene alla formazione dello Stato come organizzazione politica, il Bussi tratta in particolare delle vicende che furono preludio alla differenziazione del ramo più specifico del diritto pubblico successivamente denominato diritto costituzionale.

Pure senza trascurare le esperienze storico-giuridiche di altri Paesi, come già ricordato, l'autore dedica particolare attenzione all’ordinamento del Sacro Romano Impero, durante la sua ultima fase, precedente alla rivoluzione francese. Proprio in quel periodo di storia del diritto germanico si riconoscono anticipazioni di regole e limiti, imposti ai supremi poteri statali, e di garanzie dei diritti personali. Sarebbe, per altro, errore pretendere di ritrovare, in quello stesso periodo, caratteri d'identità e di continuità per istituti e paradigmi poi attuati con l'avvento dei regimi rappresentativi. E’ preferibile ritenere invece che si tratti piuttosto di preludi a svolgimenti successivi ovvero dei primi passi d'itinerari complessi, irregolari e pure contraddittori. Le nuove tendenze paiono inoltre affacciarsi in maniera sporadica e frammentata, senza unità di direttrici, come svolgimenti particolari propri di un ordinamento pluriverso e plurilegislativo.

Dal confronto con esperienze posteriori è dato discernere il delinearsi di due criteri essenziali per un sistema di diritto costituzionale di stampa occidentale. Da un lato, sia pur in modo parziale e insufficiente, pare affacciato il principio secondo che in ogni uomo va riconosciuto un soggetto indipendente, libero, titolare di situazioni giuridiche soggettive, diritti e interessi, per il cui godimento e la cui disposizione ad libitum devono essere contemplate garanzie sancite dall'ordinamento. Come esempio si potrebbe richiamare il paradigma storico della disciplina della proprietà privata, regolata in ragione delle facoltà piene di godere e disporre. A tutela di quelle situazioni giuridiche soggettive, al tempo del Sacro Romano Impero era venuta a svilupparsi una prassi in sede giudiziaria, con azione dei singoli contro i pubblici poteri. D'altro canto è dato di riconoscere un assetto di organizzazione plurima, complessa, qualificata per una molteplicità di poteri statali dotati, almeno per un certo grado, d'indipendenza reciproca. Si possono quindi fare seguire alcune indicazioni circa le attuazioni più specifiche dei due menzionati criteri nell'ordinamento imperiale.

a) Nella sua ultima fase il Sacro Romano Impero era stabilito come un'organizzazione interstatuale, quasi monarchia federativa, con la corona imperiale sovrastante a una serie di organizzazioni minori, monarchie e anche città anseatiche. Chiara è in argomento l'espressione accolta dal Bussi: organizzazione imperiale "sovrastante all'organizzazione espressa con l'idea di Stato”, comprendente più Stati, come Prussia, Baviera, Sassonia e altri. Era quindi stabilita una ripartizione generale di tutto il diritto pubblico germanico, inteso come “l’insieme di tutte le leggi e dei patti che riguardano la costituzione interna ed esterna del Reich”: il "diritto statuale imperiale vero e proprio”, il "diritto statuale territoriale” vigente per le singole organizzazioni stabilite nei territori onde era diviso l'Impero, o Stati membri[26]. Si può parlare anche di un assetto normativo duplice: “diritto statuale imperiale vero e proprio; diritto statuale territoriale”. Al fine di mantenere ferma e ordinata una tale ripartizione di potestà, si pensava che sia il governo del Reich sia i governi dei singoli ordinamenti territoriali di minor estensione dovessero operare in senso conforme alle leggi e ai patti. Non sarebbe consentito in questo luogo procedere a confronti fra le menzionate esperienze del Sacro Romano Impero e le questioni che si propongono per gli odierni ordinamenti plurilegislativi, federali e regionali. Pare da pretermettere pure qualsiasi richiamo alle costruzioni teoriche più comprensive delle cosiddette “unioni di Stati”.

            b) Per alcuni aspetti al carattere di ordinamento plurilegislativo si ricollegava un'altra ripartizione nel diritto positivo. Erano infatti tenute distinte tre categorie di leggi: 1) leggi civili attinenti alle persone e alla loro vita propria, nelle quali erano comprese anche le leggi penali; 2) leggi di polizia nel senso più estensivo concernenti la pubblica amministrazione in generale; 3)"leggi fondamentali" o”politiche” (v. oltre, p. 302 ss.). Sotto quest’ultima espressione era indicata una congerie di testi, alcuni atti legislativi imperiali e anche patti fra l'Imperatore e i principi, oltreché fra l’Imperatore e il Papa. Le stesse "leggi fondamentali" erano ritenute inviolabili e pertanto inderogabili per mezzo di atti imperiali e principeschi. L'autore perciò ritiene giustificato affacciare un paragone con le "leggi costituzionali” in senso formale, corrispondenti alle costituzioni cosiddette “rigide” dell'epoca contemporanea, non modificabili mediante procedure di legge ordinaria. Dette “leggi fondamentali" del Sacro Romano Impero risultavano qualificate anche per un proprio contenuto materiale, distinte perciò dalle altre leggi, civili e amministrative. L'analogia col diritto costituzionale dell'epoca presente si può avvertire anche per un altro aspetto importante. Si trattava in quell’ Impero di norme ritenute dotate di efficacia formale superiore, ma aventi carattere di diritto positivo. Erano quindi norme poste dalla volontà umana, logicamente separate e diverse dal diritto naturale, nel quale si diceva rientrare, come parte integrante, il "diritto pubblico universale" in tedesco denominato anche allgemeines Staatsrecht[27]. Come “diritto pubblico universale" era inteso un sistema di regole originarie, esistenti di per sé, prima di leggi dell'uomo, consuetudini, contratti; regole valide per tutti gli Stati, secondo quanto stabilito da leggi divine e dal naturale senso comune. Indipendentemente da scelte delle volontà umane, oggettivamente nell'ordine della natura, si pensava di trovare prestabiliti i principî circa i diritti soggettivi e i doveri "del principe e dei sudditi e le loro reciproche obbligazioni".

c)Con l'accrescimento notevole di uffici della pubblica amministrazione, o burocrazia, dotata di attribuzioni proprie, aveva avuto ampio svolgimento una serie di attività dirette a fini concreti e perciò stesso informate a criteri tecnici. Tali attività amministrative, per il loro stesso sviluppo, erano destinate a mostrare via via una sostanziale diversità rispetto alle magistrature e all'attività giudiziaria. Per il continuo esercizio delle stesse attività amministrative erano derivati dei comportamenti costanti, ripetuti nel tempo, da parte dei diversi singoli uffici, con la formazione di propri criteri quasi autoregolazione spontanea dei poteri. In linguaggio giuridico si parla anche di prassi. Ma quanto avvenuto di fatto permaneva poco chiaro e definito nelle forme, anche perché nelle norme giuridiche mancavano limiti rigorosi e definiti tra le diverse funzioni pubbliche. Né erano stabilite garanzie sicure per l'indipendenza dei giudici dal potere politico. L'affermazione del principio di divisione fra i poteri storicamente appare quindi intervenuta in un momento successivo, quasi novazione formale, a prescrivere e pur assicurare i criteri di un assetto pubblico già preparato per evoluzione dei fatti. E' da aggiungere che, per lo stesso principio di divisione dei poteri, furono tratti nuovi paradigmi per la giurisdizione.

d) Nel suo itinerario di studioso il professore modenese aveva dedicato particolare attenzione alla tutela in sede giudiziaria dei diritti soggettivi e degli interessi dei privati contro gli atti d'imperio delle pubbliche autorità. E' appena da ricordare che una siffatta tutela costituisce uno dei momenti essenziali nella concezione dello “Stato di diritto". La storia del diritto pubblico vigente nel Sacro Romano Impero, nell'ultima sua fase, offre numerosi esempi davvero notevoli. Ivi è dato di riscontrare pure se incerta, sporadica, contraddittoria, la formazione di pratiche giudiziarie, soprattutto per opera di diversi magistrati cívili. Era venuta invero a formarsi una pratica di condanna al risarcimento dei danni provocati dagli atti dei principi e di alti funzionari amministrativi. Come già accennato, una prima sistemazione anche in teoria si era avuta, con l'introduzione della figura del “fisco”, in quanto rappresentazione unitaria dello Stato come persona giuridica sia pure con competenza circoscritta ai rapporti patrimoniali. Era divenuto così giuridicamente ammissibile convenire in giudizio come responsabile anche il potere supremo sovrano.

 

 

17. Lo studio intorno all'evoluzione storica dei tipi di Stato e le questioni connesse alla decadenza dello Stato in generale

 

Da più parti viene oggi affermato che l'epoca della statualità è ormai arrivata alla fine. Dopo le due guerre mondiali l'Europa ha perduto l’antico ruolo di centro della politica mondiale. Lo Stato nazionale aveva rappresentato l'organizzazione propria tipica della vita politica e della formazione del diritto positivo presso ciascuno dei popoli europei. Ma, dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, i singoli Stati del Vecchio Continente si dimostrano insufficienti a soddisfare alle proprie necessità di esistenza e anche di coesistenza. D'altro canto, non è stato ancora concepito alcun nuovo organismo ídoneo a sostituire le istituzioni e i paradigmi normativi dello Stato e del suo diritto pubblico. Una siffatta perdita della capacità d’ innovare appare connessa ai fenomeni più generali della decadenza della civiltà informata alle visioni del razionalismo, ossia al preteso primato della ragione umana. Segno di quella decadenza si considera il fatto che, da tempo, più non vengono concepiti e propugnati sistemi di pensiero o visioni generali del mondo[28]. Ne deriva che nel secolo appena trascorso fu dato di assistere a persistenti tentativi di comprendere fatti nuovi imprevisti mediante applicazioni di categorie e schemi già escogitati in diverse condizioni storico-spirituali.

Considerazioni analoghe si possono ripetere per le questioni accennate nelle presenti pagine. Nella pratica, ancora prima che negli studi, si continua a proclamare la fondazione di nuovi Stati sovrani e a scrivere nuove costituzioni conformate ai consueti modelli liberaldemocratici, a mantenere fermo il principio di legalità, col definire la legge come la regola più usuale dei rapporti sociali. Di particolare importanza è l'osservazione secondo che nella costruzione dell'Unione europea si riconoscono riferimenti a figure e modelli del costituzionalismo liberale, nelle forme dello "Stato di diritto". Fra di essi sono anche i richiami agli insegnamenti circa lo "Stato federale", già trattati come parte integrante della teoria dello Stato.

Per tale ultima osservazione pare giustificato pensare che, almeno in alcuni casi, gli adattamenti di figure del diritto positivo e di costruzioni teoriche del passato corrispondano a un certo indirizzo. In considerazione delle vicende storiche, anche i tentativi per costruire un' Unione europea paiono da ricondurre a un movimento più generale, divenuto preminente nel secondo dopoguerra. Allora venne via via ad imporsi il disegno di trasferire in un contesto mondiale, oltre i limiti ristretti dei vecchi Stati nazionali, la protezione dei diritti fondamentali e anche l'attuazione dei principî del costituzionalismo per i pubblici poteri, legislativo, amministrativo, giudiziario[29]. Ai fini della riflessione adeguata sulle questioni connesse a un movimento così grandioso appare confermata l’importanza degli studi storici.

In proposito va ricordato che, secondo un autorevole insegnamento, occorre distinguere, nella compagine degli ordinamenti liberaldemocratici, tra gli elementi cosiddetti di natura propriamente giuridica, compresi sotto la denominazione "Stato di diritto", come garanzia dei diritti fondamentali e divisione dei poteri, da un lato, e, dall'altro, forma politica, come democrazia in senso stretto di governo popolare e un tempo monarchia[30]. Da una distinzione siffatta è dato di trarre un argomento logico utile a dimostrare la possibilità che gli stessi elementi costitutivi dello “Stato di diritto" possano venire combinati e coordinati con tipi di assetto politico anche diversi dalle forme di regime politico popolare rappresentativo presupposte nelle costituzioni scritte del primo e del secondo dopoguerra. Nel senso or indicato, per quanto dato di osservare, si riconoscono conferme di carattere storico: prima della rivoluzione francese, ossia prima dell’avvento degli Stati conformati ai principi liberali; successivamente al decadere degli stessi Stati per le vicende del ventesimo secolo donde sono derivate le spinte all'integrazione in assetti di estensione più ampia, quando non mondiale.

E’ da aggiungere che da più voci anche autorevoli, ai fini di una visione più generale, si è cercato di stabilire dei confronti fra le vicende dell’Europa negli ultimi decenni trascorsi e gli svolgimenti storici anteriori allo stabilirsi dello Stato moderno. La compagine già “chiusa” dello Stato sovrano pare, per così dire, aprirsi, e forse tendere alla dissoluzione, in forza di un duplice contestuale trasferimento di potestà: nel senso delle “integrazioni” sovrannazionali e del nuovo ordine mondiale, da un lato; nel senso delle attribuzioni a poteri intermedi autonomi, dall’altro. Per procedere a comparazioni appropriate fra le esperienze che furono prima dello Stato costituzionale e quelle successive alla seconda guerra mondiale, per altro, sarebbero necessarie analisi accurate non solo degli aspetti simili, ma anche delle tante diversità. Pure per le ragioni appena accennate risulta che agli studi acuti e rigorosi di Emilio Bussi sulle esperienze costituzionali della Germania nell'ultimo periodo del Sacro Romano Impero è quindi da ascrivere un significato che oltrepassa e di molto i limiti dell'oggetto pur importante del suo esame. Nelle pagine del professore di Modena pare di riconoscere un contributo fondamentale alla comprensione storicizzata e problematizzata del complesso istituzionale e normativo del diritto costituzionale oggi stabilito presso i popoli dell’Europa continentale, in senso conforme alle ideologie liberaldemocratiche.

 

 

 

 



 

[1] G.G.F. HEGEL, Scritti politici (1795-1806), trad. it., ed. Laterza, Bari 1961, 11 ss. passim, ivi nel saggio La costituzione della Germania.

 

[2] Per un’esposizione esemplare intorno alla suddette questioni è da menzionare ancora C. CARISTIA, Il diritto costituzionale italiano nella dottrina recentissima, ed. Bocca, Torino 1915, es. 9 ss. e 201 ss.

 

[3] Es. v. L. PALADIN, La questione del metodo nella storia costituzionale, in AA.VV. Il diritto costituzionale a duecento anni dall’istituzione della prima cattedra in Europa, (Atti del Convegno di Ferrara, 2-3 maggio 1997) a cura di L. Carlassare, ed. Cedam, Padova 1998, 31 ss.

 

[4] In proposito si possono richiamare le brevi osservazioni in S. CASSESE, Presentazione al n. 4 della Riv. trim. dir. pubbl. 2001 (intitolato Il diritto pubblico nella seconda metà del XX secolo), ivi 1013 ss.

 

[5] Per la nomenclatura accolta nel testo si rimanda a P. BISCARETTI di RUFFIA, Introduzione al diritto costituzionale comparato. Leforme di Stato” e le “forme di Governo”. Le costituzioni moderne, ed. Giuffrè, Milano 1988, 600 ss. passim.

 

[6] Nel testo è fatto riferimento al volume di W. SCHLANGEN, Democrazia e società borghese, trad. it., ed. “Il Mulino”, Bologna 1979, 7 ss. e passim.

 

[7] F. A. v. HAYEK, Legge, legislazione e libertà, trad. it. , ed. “il Saggiatore”, s. d. ma Milano 1986, 13 s.

 

[8] HAYEK, op. cit., 13 ss.

 

[9] S. ROMANO, Lo Stato moderno e la sua crisi (1910), in Scritti minori, I, Diritto costituzionale, ed. Giuffrè, Milano 1950, 311 e passim. e nella raccolta Lo Stato moderno e la sua crisi, ed. Giuffrè, Milano 1969, 5 e passim. Va notato che in altri scritti il Romano aveva accolto la teoria della rivoluzione come “fonte del diritto”, sia pure in ragione di particolari premesse ossia in accordo con l’adesione alla concezione del principio di effettività riferito all’ordinamento (definito secondo la concezione “istituzionista”) e non a determinate norme. Cfr. L’instaurazione di fatto di un ordinamento costituzionale e la sua legittimazione, in Scritti, cit., 107 ss. passim.

 

[10] Per la natura del presente scritto non è consentito prender in esame le teorie sulla rivoluzione come “fonte del diritto” alquanto diffuse fra i giuristi italiani. In ogni modo si v. M. A. CATTANEO, Il concetto di rivoluzione nella scienza del diritto, ed. Cisalpino, Milano 1960; G. FIASCHI, Rivoluzione, voce in Enciclopedia del Diritto, XLI, ed. Giuffrè, Milano 1989, 68 ss. In senso critico, p. es., si v. F. ELIAS de TEJADA, La monarchia tradizionale, trad. it., ed. dell’Albero, s. d. ma Torino 1966, 81 ss. passim e anche I. MANCINI, Diritto e società. Studi e testi, ed. Argalia, Urbino 1993, 208 s. e Filosofia della prassi, ed. Morcelliana, Brescia 1987 411 ss.

 

[11] Per tutti si ricorda M. VILLEY, Préface, in Archives de philosophie du droit, t. 21, Genèse et déclin de l’Etat, Paris 1976, 10

 

[12] Per una trattazione rigorosa in proposito va ancora tenuto presente G. SOLARI, La formazione storica e filosofica dello Stato moderno, ed. Guida, sd. ma Napoli 1988, es. 53 e passim.

 

[13] Per accenni in argomento cfr. BISCARETTI di RUFFIA, op. cit., 55 ss.

 

[14] Tanto era stato avvertito in teoria dopo la seconda guerra mondiale, come per es. nella trattazione paradigmatica di C. J. FRIEDRICH, Governo costituzionale e democrazia, trad. it., ed. Neri Pozza, Vicenza, s. d., spec. 48 s.

 

[15] La terminologia indicata nel testo è liberamente ripresa da S. PUGLIATTI, Continuo e discontinuo nel diritto, e Nota su continuo e discontinuo, ora nella raccolta di saggi dell’A., Grammatica e diritto, ed. Giuffrè, Milano 1978, 79 ss. e 257 ss.

 

[16] Sulla frequenza di un tale orientamento apologetico fra i costituzionalisti aveva fermato l’attenzione G. CAPOGRASSI, Il problema di V. E. Orlando (1952-1953), ora in Opere, ed. Giuffrè, Milano 1959, V, 374 ss.

 

[17] Per gli aspetti generali delle questioni sopra accennate ancora si può menzionare F. OLGIATI, Il concetto di giuridicità in San Tommaso d’Aquino, ed. “Vita e pensiero”, s. d. ma Milano 1955, 20 ss. Passim.

 

[18] La suddetta considerazione rappresenta una costante nel pensiero di C. SCHMITT, come p. es. nel saggio Hugo Preuss. Il suo concetto di Stato e la sua possizione nella dottrina tedesca dello Stato, trad. it., nella raccolta di studi dell’A., Democrazia e liberalismo, ed. Giuffrè, Milano 2001, 91 ss.

 

[19] Per considerazioni in senso analogo si può menzionare C. SCHMITT, La dittatura. Dalle origini dell’idea moderna di sovranità alla lotta di classe proletaria, trad. it., ed. Laterza, Bari 1975, 35 s.

 

[20] Nei termini suindicati è un’affermazione di G. SARTORI, Democrazia e definizioni, ed. “il Mulino”, Bologna 1979, 68 ss. passim.

 

[21] P. BISCARETTI di RUFFIA, Diritto costituzionale, ed. Jovene, Napoli 1989, 45 ss.

 

[22] L. TAPARELLI, Esame critico degli ordini rappresentativi nella società moderna, tip. della “Civiltà cattolica”, II, spec. 57 ss. e passim.

 

[23] Tale pare il senso più profondo della nota costruzione teorica di C. MORTATI, La costituzione in senso materiale, rist., ed. Giuffrè, Milano 1998, spec. 53 ss. passim.

 

[24] H. QUARITSCH, Souveränität. Entstehung und Entwicklung des Begriffs in Frankreich und Deutschland vom 13. Jh. bis 1806, ed. Duncker & Humblot, Berlin s. d. ma 1986, passim.

 

[25] Sull’argomento si ricordano le trattazioni di F. VASSALLI, Concetto e natura del fisco (1908), ora in Studi giuridici, ed. Giuffrè, III, 1, Milano 1960, spec. 115 ss.; E. CORTESE, Fisco, b) Diritto intermedio, voce in Enciclopedia del Diritto, XVII, ed. Giuffrè, Milano 1968, 683 s.

 

[26] E. BUSSI, Il diritto pubblico del Sacro Romano Impero alla fine del XVIII secolo, I, ed. Giuffrè, Milano 1970, 5.

 

[27] BUSSI, Il diritto pubblico, cit., 3 ss.

 

[28] Per questa parte va tenuto presente U. SPIRITO, Dall’attualismo al problematicismo, ed. Sansoni, Firenze 1976, 9 ss. passim.

 

[29] Si rinvia alla nt. 14 retro.

 

[30] La ripartizione fra le parti del diritto costituzionale accennata sopra nel testo è derivata da C. SCHMITT, Dottrina della costituzione, trad. it. a cura di A. Caracciolo, ed. Giuffrè, Milano 1984, 171 s., 265 s.