N. 3 – Maggio 2004 – Lavori in corso – Contributi

 

forme di governo e forme di opposizione

 

 

giuliana carboni

Università di Sassari

 

 

 

Si pubblica, con l’autorizzazione della Casa Editrice Giappichelli, il capitolo I della monografia: “Introduzione allo studio dell’opposizione politico-parlamentare nella forma di governo italiana Torino 2004. Di seguito anche l’Indice-sommario del volume: Introduzione – PARTE PRIMA: L’OPPOSIZIONE E LO SVILUPPO DELLA FORMA DI GOVERNO ITALIANA – Capitolo I: Forme di governo e forme di opposizione –Capitolo II: L’opposizione nello stato liberale –Capitolo III: L’opposizione nello stato democratico costituzionale –Capitolo IV: L’opposizione e gli sviluppi dell’assetto costituzionale –Capitolo V: L’organizzazione dell’opposizione nel maggioritario – Capitolo VI: Il ruolo dell’opposizione nel maggioritario – Conclusioni

 

 

 

Sommario: 1. – L’opposizione e la suddivisione del potere politico. – 2 Il principio di maggioranza e le sue regole. – 3 La forma di governo parlamentare e il principio di responsabilità. – 4. L’opposizione nei sistemi parlamentari di governo.

 

 

 

1. – L’opposizione e la suddivisione del potere politico

 

Per affrontare il tema dell’opposizione politica è necessario partire dal concetto di potere politico costituito, di cui l’opposizione è l’antitesi, perché il primo condiziona la struttura e l’attività della seconda in modo che ogni forma di organizzazione del potere ha la sua opposizione.

La condizione indispensabile affinché possa esistere un’opposizione legittima al potere e all’azione di governo è che il potere accetti di essere limitato. Quando il potere dello Stato era concentrato in un unico soggetto, che esercitava l’autorità e individuava gli scopi verso i quali indirizzare l’azione di governo, non era ammessa nessuna forma di opposizione. La rivoluzione borghese è riuscita a limitare il potere separandolo e attribuendolo a diversi corpi politici[1].

La separazione dei poteri si è affermata per la prima volta nell’Inghilterra del XVIII secolo, quando si manifestarono i primi segni di cedimento dell’assolutismo monarchico e comparve un Governo separato dal Re, le cui scelte potevano essere perciò contestate dal Parlamento senza investire il sovrano[2]. L’opposizione venne considerata legittima in conseguenza della modifica radicale della concezione del potere, il quale da assoluto divenne limitabile e controllabile.

La distinzione tra le funzioni e l’idea di distribuirle fra diversi poteri fu il prodotto della lunga battaglia iniziata nel XVII secolo tra il Monarca e il Parlamento; essa venne risolta con l’attribuzione di distinte prerogative ai due organi, che rappresentavano le due componenti nelle quali si era divisa la società liberale, aristocrazia e borghesia. Questo spiega perché la teoria della divisione dei poteri, nella formulazione di Locke, che s’ispira alla realtà inglese del suo tempo, non prende in considerazione il potere giurisdizionale, estraneo al conflitto tra i due organi[3].

Il Parlamento venne acquisendo col tempo un ruolo centrale nella vita politica, grazie ai poteri normativi e di controllo delle finanze e per il fatto d’essere l’unico organo in grado di contrapporsi al Re, divenne la sede dell’opposizione al suo Governo. L’opposizione istituzionale del Parlamento al Governo caratterizzò la vita politica inglese per tutto il tempo in cui la decisione politica rimase nelle mani di una ristretta oligarchia, venendo preclusa ai partiti[4].

Quando i parlamentari inglesi, che avevano cominciato ad organizzarsi in partiti nel corso del XVIII secolo, iniziarono a dividersi in gruppi e a istituire un collegamento politico duraturo con la società, l’azione delle istituzioni rappresentative ne fu condizionata al punto da mettere in crisi la natura oligarchica dello Stato liberale e la sua unità politica. L’avvento dei partiti portò il Parlamento inglese ad abbandonare l’organizzazione liberale, basata su una concezione individuale della rappresentanza[5], e ad instaurare un’organizzazione basata sulla rappresentanza partitica, che aveva la funzione di esprimere il pluralismo e di mediare tra interessi diversi. I partiti stabilirono un collegamento tra l’esecutivo e la maggioranza del Parlamento, che condusse al superamento della corrispondenza tra la distribuzione del potere politico e la divisione dei poteri formali[6]. Il raccordo Governo-maggioranza parlamentare costituì il fulcro del potere, mentre la minoranza venne indotta ad assumere un ruolo di opposizione.

Alla metà del XIX secolo l’opposizione inglese era un’entità politica in grado di contrapporsi stabilmente al Governo, ben distinta dalla minoranza politica occasionale, che poteva scaturire da una singola votazione[7]. Dalla monarchia limitata (o costituzionale) è derivato il governo parlamentare, nel quale l’opposizione è diventata un elemento essenziale per il funzionamento del sistema di governo, che viene strutturato in modo da consentire all’opinione pubblica, organizzata in partiti, di influenzare la formazione dell’indirizzo[8].

Mentre oltre la Manica l’idea dei poteri separati e limitati poté affermarsi gradualmente, ben diversa fu l’esperienza della Francia, dove la lotta antimonarchica della nascente borghesia assunse la forma della rivoluzione, ma gli esiti non furono diversi da quelli dell’Inghilterra e condussero al trasferimento di una parte consistente del potere dal Re alle assemblee rappresentative, e dunque alla distribuzione di diversi poteri a più organi.

Sul piano teorico la limitazione del potere sovrano passò attraverso la distinzione tra potere costituente e potere costituito[9]. Il potere costituente del popolo servì a giustificare la nascita del nuovo Stato e ad affermarne l’autonomia nei confronti del Re, ed ebbe per questo natura eccezionale; i poteri costituiti tradussero in atti concreti la supremazia dello Stato nazione e permisero di attribuire a diversi organi le funzioni statali, secondo il principio della separazione dei poteri, che i rivoluzionari francesi assunsero come elemento essenziale dello Stato di diritto, assieme e in funzione della tutela delle libertà.

Montesquieu fu il maggiore interprete della concezione del potere che si era affermata in Francia. La sua teoria intendeva la separazione come divisione soggettiva del potere, mentre sul piano funzionale l’esecutivo era subordinato al legislativo, in modo da preservare l’unità politica[10]. Il problema dell’unicità del potere statale assunse un ruolo centrale nel pensiero politico francese[11]. In questa concezione non vi era spazio per l’opposizione, che avrebbe intaccato l’unità decisionale del Parlamento, nel quale la rappresentanza conservava una struttura individuale e non esprimeva gli interessi della società civile, sicché il contrasto tra la maggioranza e la minoranza si risolveva in una lotta interna all’apparato statale[12]. Mancava l’elemento di collegamento tra la società e lo Stato, quel sistema di partiti che in Inghilterra aveva permesso di riprodurre in Parlamento le divisioni della società civile. Società che in Francia, a causa delle divisioni economiche, appariva eterogenea e poco organizzata per influenzare le istituzioni di governo.

Ancora diversa fu la concezione del potere elaborata negli Stati Uniti d’America, dove la divisione non conseguì allo smembramento di un potere supremo, né si affermò una concezione gerarchica del potere. I fondatori del sistema costituzionale statunitense recepirono la teoria di Montesquieu, ma la arricchirono di ulteriori elementi, prevedendo, da un lato, la separazione verticale del potere tra diversi livelli di governo, e dall’altro lato l’istituzione su uno stesso piano orizzontale di una pluralità di poteri[13].

I costituenti americani idearono un sistema di poteri funzionale alla realizzazione di un processo dinamico e competitivo di decisione, nel quale tutti gli interessi e tutte le istanze possono trovare spazio. Essi stabilirono che il legislativo e l’esecutivo venissero eletti con due distinti procedimenti, così da rendere i due poteri indipendenti l’uno dall’altro. Ad ulteriore difesa dei diritti del cittadino affidarono ai giudici il compito di interpretare e difendere la Costituzione.

L’organizzazione dei poteri statunitense lascia molto spazio all’opposizione interorganica, perché ogni potere può contrapporsi ad un altro, mentre l’assenza di legami istituzionali tra gli organi di governo, che sono realmente separati, fa sì che l’opposizione si svolga attraverso la dialettica legislativo-esecutivo. Il Congresso può limitare notevolmente il Presidente quando all’interno delle assemblee, o in uno dei due rami, si forma una maggioranza non coincidente con quella del partito presidenziale, mentre tende a non ostacolare l’azione dell’esecutivo nel caso in cui il Presidente gode dell’appoggio di una maggioranza a lui favorevole.

Nonostante le differenze che fin dalle origini caratterizzano i modelli dello Stato liberale, per il modo in cui vengono separati i poteri, questi si reggevano sul comune fondamento della rappresentanza politica, che aveva la funzione di legittimare il potere e di mantenere l’unità politica dello Stato. In nome dell’unità della nazione il parlamento aveva il compito di tradurre la pluralità delle opinioni e degli interessi in un’unica decisione, e di stringere insieme la maggioranza vincente e le minoranze perdenti.

In realtà le assemblee dei rappresentanti funzionavano da punto di attrazione e di sintesi di domande politiche limitate e provenienti da un gruppo sociale omogeneo. La teoria liberale della rappresentanza è funzionale agli interessi del gruppo dominante, è una teoria dei poteri rappresentativi, non certo dei diritti dei rappresentati[14]. Infatti, essa veniva accompagnata dal divieto di mandato imperativo, che era la rivendicazione al corpo rappresentativo della sovranità nazionale, sia rispetto al demos sia rispetto al monarca.

Lo Stato liberale entra in crisi quando non riesce più a preservare l’omogeneità politica dei rappresentanti e a escludere dalle istituzioni il conflitto sociale, a causa dell’allargamento della base sociale, della nuova organizzazione degli interessi che consegue all’industrializzazione, dell’attribuzione di nuovi compiti all’amministrazione.

Negli stati democratici del XX secolo le condizioni in cui agisce il potere politico sono profondamente cambiate, e con esse sono cambiati i protagonisti della vita politica.

Per quanto riguarda le prime, l’elemento di maggiore novità è costituito dall’estensione del suffragio e dalla piena affermazione dei principi dello Stato democratico, che le costituzioni liberali avevano solo enunciato e che le costituzioni democratiche s’impegnano a realizzare. A questi si aggiungono, in un clima di rinnovato interesse per il benessere collettivo, i principi dello Stato sociale, che richiedono uno sforzo maggiore da parte dello Stato e di conseguenza l’espandersi del suo apparato organizzativo.

Le costituzioni del secondo dopoguerra sono il prodotto di una nuova cultura costituzionale, che s’ispira ai valori della libertà, dell’eguaglianza e della tolleranza[15] e contengono una serie di norme relative ai principi ideali e di organizzazione dell’apparato statale, che formalizzano i limiti del potere[16]. L’organizzazione del potere politico perde la natura monolitica che aveva nello Stato liberale e viene condizionata dallo sviluppo pluralistico della società e dall’azione di nuovi soggetti politici. La comparsa dei partiti di massa ha trasformato il rapporto tra governanti e governati, e ha permesso una più attiva partecipazione dei secondi ai processi politici. L’assetto e l’azione dei poteri pubblici sono condizionati dalle scelte delle forze politiche, che organizzano la società e agiscono in competizione tra loro facendo emergere le divisioni esistenti e i progetti di governo della comunità[17]. Non vi è dubbio che i partiti abbiano consentito di far emergere sulla scena politica il popolo reale, che conquista la possibilità di aggregarsi e accedere alle istituzioni[18].

La rappresentanza diventa rappresentanza partitica, di interessi diversi e confliggenti, che il parlamento, sede della relazione tra la maggioranza e l’opposizione, non ha più la capacità di attrarre e sintetizzare, perché nel frattempo ha dovuto cedere alcuni dei suoi compiti di indirizzo ad altri organi. In parte perché, nel corso del XX secolo, si è diffuso negli stati nazionali europei il principio autonomistico[19], determinando lo spostamento del potere politico dal centro alla periferia, in parte perché si è avuta un’espansione dei compiti del governo e dell’amministrazione.

Il diffondersi delle organizzazioni regionali e federali ha comportato una modifica rilevante dell’assetto dei pubblici poteri, con l’articolazione territoriale degli organi e delle funzioni a diversi livelli territoriali. Negli ordinamenti federali e regionali esiste una limitazione orizzontale del potere, per cui ad ogni livello di governo corrisponde un’opposizione organizzata per contrastarlo, e una limitazione verticale, nel senso che la struttura regionale o statale di governo può, condizionare e limitare il governo federale e centrale. 

Negli ultimi decenni del XX secolo il potere politico ha conosciuto un ulteriore sviluppo, dovuto alla natura molto complessa della società postmoderna, che si connota per la globalizzazione dei processi economici e la comparsa di istituzioni sopranazionali (e internazionali)[20], che sottraggono allo Stato una parte dei suoi originari poteri e ne mettono in discussione la sovranità[21]. Le cause di questo sviluppo sono complesse, la principale è la perdita da parte dello stato del controllo di alcune attività, come la tecnologia, la stampa, le telecomunicazioni e alcuni settori dell’economia. Queste attività sono ora nelle mani dei privati, di organizzazioni di settore e/o sopranazionali[22].

Una prima conseguenza di quest’evoluzione è stata la pretesa del potere economico di esautorare quello politico nell’assunzione delle decisioni che maggiormente lo riguardano[23]. Le democrazie più sviluppate hanno reagito al pericolo di un eccessivo condizionamento delle loro strutture di governo da parte dei nuovi poteri continuando ad applicare, nell’ambito nazionale, il principio della separazione. Essi prevedono, da un lato, nuove forme di controllo affidate ad autorità indipendenti dal governo, e dall’altro lato un sistema di regole che impediscono la concentrazione di potere politico e poteri economici e/o mediatici, che si pongono anch’essi come un pericolo per le libertà dei cittadini[24].

Sul fronte dei rapporti internazionali e sopranazionali il problema della fondazione e legittimazione del potere, prima ancora del suo contenimento e utilizzazione, non ha trovato una soluzione soddisfacente. Secondo le tradizionali costruzioni teoriche del costituzionalismo, dal principio democratico si fa derivare la necessità che le decisioni che riguardano la collettività siano assunte normalmente con la partecipazione più ampia dei cittadini e sulla base del principio di maggioranza, assicurando al contempo i meccanismi di garanzia e di tutela delle minoranze. Nella dimensione internazionale, ma in parte anche in quella sopranazionale europea, gli elementi di questo percorso democratico sono di difficile individuazione, non essendo possibile parlare in termini giuridici di cittadinanza, di sovranità e di governo mondiali[25].

Nonostante le trasformazioni della struttura e delle funzioni dello Stato[26], le costituzioni conservano un ruolo fondamentale nel dettare le regole sull’organizzazione del potere e nell’applicare il principio della divisione/limitazione del potere politico, che ha perso il carattere di principio di organizzazione, ma sopravvive come principio garantista, per almeno due motivi. Il primo è che le categorie sopranazionali sono ancora in una fase di costruzione ed elaborazione, e nel frattempo vi è la necessità di fondare il potere su regole democratiche[27], giacché le strutture di governo dei singoli stati e il pluralismo che le caratterizza all’interno, non trovano espressione a livello comunitario[28]. Com’è stato acutamente osservato, la democrazia economica non può sostituire quella politica, perché conta sicuramente più esclusi e ignora l’eguaglianza del voto[29].

Il secondo motivo è che la comparsa di poteri di dimensioni sopranazionali, e non solo europei, ha rafforzato il potere politico dei governi, riducendo piuttosto quello dei parlamenti. L’incremento di competenze dell’Unione europea non corrisponde al venir meno di un correlativo potere statale e determina la crescita di poteri dei governi nazionali, che partecipano alle decisioni comunitarie. Perciò i governi hanno interesse a consentire l’espansione delle competenze comunitarie, che li avvantaggia nei confronti degli altri organi e delle altre forze nazionali[30].

In virtù di questi processi il potere governativo è divenuto il più alto entro la forma di governo e il sistema politico. Il governo ha perso definitivamente la natura di potere esecutivo, nel senso in cui lo intendeva Montesquieu, per acquisire il ruolo di protagonista dell’attività dello Stato[31]. Esso ha rinunciato all’esecuzione in senso stretto, affidata all’amministrazione, e ha acquisito il compito dell’indirizzo politico[32].

Il governo non ha la disponibilità di tutte le funzioni e recepisce l’influenza delle altre istituzioni, i cui compiti di moderazione e controllo, che perpetuano il principio della divisione dei poteri, variano in relazione alle diverse previsioni costituzionali[33]. La traduzione delle scelte politiche in condotte normative e amministrative coerenti dipende poi dalla forza e dalla stabilità del partito, o dei partiti, che sostengono l’esecutivo, in virtù del consenso ottenuto dalla maggioranza sul governo e sul suo indirizzo.

La concentrazione nel governo di attività di normazione, amministrative e di indirizzo rafforzano il “Potere governante”, destinato perciò ad occupare la posizione di centralità un tempo propria del parlamento e a sottrarre spazio all’opposizione politica[34]. Il parlamento è, infatti, la sede dove stanno e agiscono le forze dell’opposizione, che si fanno carico di rappresentare gli interessi delle minoranze e di contrastare il progetto politico della maggioranza di governo[35].

La centralità e la supremazia del governo si realizza in forme istituzionali diverse, a seconda degli ordinamenti, che adottano forme di governo di tipo parlamentare, presidenziale e direttoriale, alle quali è stata aggiunta da tempo una quarta forma intermedia, quella semipresidenziale[36], e più di recente una quinta, quella neo-parlamentare[37].

A queste forme di governo corrispondono diverse forme di opposizione. Nella forma di governo parlamentare il fatto che il governo debba avere la fiducia del parlamento, in quanto quest’ultimo è l’organo attraverso il quale avviene la legittimazione democratica del potere, fa sì che la relazione tra la maggioranza e la minoranza parlamentare si leghi alle sorti dell’esecutivo[38]. In questo sistema, i partiti di governo derivano la loro forza politica dal rapporto tra la maggioranza parlamentare e la maggioranza del corpo elettorale, mentre i partiti di opposizione stabiliscono un rapporto stabile tra la componente di minoranza del parlamento e le forze politiche rimaste soccombenti nel paese.

Nel sistema di governo presidenziale, nel quale il capo dello Stato è anche il capo del governo, il presidente viene eletto per un mandato a termine e non può essere sfiduciato dal parlamento, perciò non sussiste né una relazione fiduciaria né un rapporto di responsabilità tra i due organi. La minoranza parlamentare non è necessariamente in opposizione al governo, perché la scelta dei rappresentanti avviene con elezioni separate e per mandati di durata diversa rispetto a quello presidenziale, per cui l’opposizione parlamentare è slegata dal procedimento di formazione dell’esecutivo. Negli USA, l’antagonismo tra Governo e opposizione, quando si manifesta fuori dal Parlamento (Congresso), nel corso della campagna elettorale presidenziale, si svolge tra il partito del Presidente uscente e il partito del Presidente alternativo[39]. Una volta eletto il Presidente, le divisioni tra i due partiti che dominano la vita politica americana, e tra i due elettorati, tendono a sfumare e questo spiega perché il Presidente, se ha buoni rapporti con i leaders congressuali, che spesso godono di un ampio seguito popolare, può governare anche se il suo partito non ha la maggioranza.

Nel sistema direttoriale svizzero il Governo (Consiglio federale) è eletto dal Parlamento (Assemblea federale), ma non può essere sfiduciato prima della scadenza fissa del mandato. La dialettica legislativo-esecutivo si svolge in un contesto federale nel quale si riconoscono poteri significativi ai Cantoni e alla partecipazione popolare mediante referendum. La collaborazione tra i partiti, che rappresentano le diverse componenti etnico-religiose del paese, caratterizza la vita delle istituzioni elvetiche, sicchè la logica del compromesso pervade anche i rapporti tra il legislativo e l’esecutivo. Il Consiglio riflette questa logica organizzativa ed è composto dalle maggiori forze politiche rappresentate all’Assemblea, che formano una sorta di regime consociativo. La presenza dei maggiori partiti al Governo (radicali, socialisti, democratici di centro e democristiani) rende inconsistente e difficilmente identificabile l’opposizione parlamentare, mentre l’attività di controllo e critica del Governo è affidata alla società civile, al referendum e ai mass-media[40].

Nel governo semipresidenziale il capo dello Stato, eletto direttamente dal corpo elettorale, condivide i poteri d’indirizzo con il governo, che deve avere la fiducia del parlamento. In Francia il sistema ha funzionato per un certo numero di legislature in modo da valorizzare i poteri del Presidente[41]; fino a che questi è stato anche il leader del partito di maggioranza nell’Assemblea nazionale, il Governo e la componente parlamentare che lo sosteneva sono stati inglobati nella sfera d’influenza del Capo dello Stato, mentre l’opposizione parlamentare si è vista riconoscere, come unico rimedio contro il prevalere della maggioranza, il diritto a ricorrere al Consiglio costituzionale per far accertare l’incostituzionalità di una legge[42].

A partire dal 1986, anno in cui per la prima volta le elezioni politiche hanno portato al Governo un Primo ministro di uno schieramento diverso da quello che sosteneva il Capo dello Stato (coabitazione), si è realizzato un rapporto tra poteri del tutto nuovo, caratterizzato dalla contrapposizione tra il Primo ministro e la maggioranza parlamentare da una parte e il Presidente e la minoranza parlamentare dall’altra. In questo caso si ha un “governo diviso” di  tipo diverso da quello presidenziale perché la presenza di una maggioranza diversa in Parlamento in un sistema semi-presidenziale determina la prevalenza del Primo Ministro.

Nel sistema neo-parlamentare, infine, il rapporto di fiducia tra assemblea ed esecutivo viene accompagnato dall’investitura diretta del capo del governo, con un’elezione contestuale a quella dei rappresentanti[43]. Il sistema contiene elementi della forma parlamentare perché il governo ha bisogno del sostegno della maggioranza parlamentare, che non ha più il potere di esprimere il primo ministro, ma solo quello di dimetterlo. Per effetto dell’elezione diretta del capo del governo, in caso di voto di sfiducia il primo ministro non può essere sostituito, ma si indicono nuove elezioni in attuazione del principio aut simul stabunt aut simul cadent[44]. La forma di governo neo-parlamentare favorisce la competizione tra il governo e l’opposizione, che si identificano nel leader e nel suo programma, quando al primo ministro viene garantito un sostegno parlamentare[45]. Una volta eletto il primo ministro, l’opposizione deve preoccuparsi di controllare l’esecutivo, in attesa di tentare di sostituirlo con le nuove elezioni.

In sintesi, la differenza tra la forma di governo parlamentare (e della variante neo-parlamentare) e le altre forme di governo consiste in questo, che nella prima la sopravvivenza del governo è subordinata al consenso parlamentare, per cui l’articolazione maggioranza-opposizione è connessa con la vita dell’esecutivo, mentre nelle seconde la sopravvivenza del governo è separata dal sostegno parlamentare e dalla dinamica maggioranza-opposizione. Il legame tra governo e parlamento, che si traduce nella concentrazione di potere politico nel raccordo governo-maggioranza parlamentare, conferisce all’opposizione, di riflesso, una funzione di contrappeso che negli altri sistemi di governo è affidata ad altri organi. Con l’avvertenza che, nel caso della forma di governo presidenziale e semi-presidenziale, l’attività oppositoria dell’organo legislativo è condizionata dalla eventuale presenza di una maggioranza diversa da quella che ha eletto il Presidente.

 

 

2. – Il principio di maggioranza e le sue regole

 

Le diverse concezioni del potere che abbiamo visto affermarsi nello Stato liberale, per poi informare di se gli stati democratici, hanno costituito il terreno di sviluppo dei principi di funzionamento dell’organizzazione statale[46]. Fra di essi il principio maggioritario assume una funzione fondamentale per i rapporti tra potere e opposizione al potere.

L’applicazione di questo principio comporta l’individuazione di un sistema di regole, che consentono ai cittadini di scegliere i rappresentanti e a questi ultimi di assumere le decisioni. Nell’uno e nell’altro caso si tratta di dare attuazione all’idea che la maggioranza, in un ordinamento dove i cittadini contano in egual modo, deve prevalere sulla minoranza. Il suo utilizzo conduce inevitabilmente all’esclusione di una parte del popolo dal governo della cosa pubblica, e pone il problema di come vada trattata la minoranza[47]. Per risolvere questo problema occorre distinguere gli effetti che esso produce se viene applicato alle votazioni elettive, per selezionare i rappresentanti (principio di rappresentanza), o a quelle deliberative, per assumere le decisioni (principio funzionale)[48].

Se consideriamo le sue prime applicazioni alle istituzioni rappresentative dello Stato liberale, vediamo che il principio di maggioranza è stato recepito in modi diversi, in corrispondenza alle differenti concezioni del potere limitato alle quali abbiamo fatto riferimento in precedenza.

In Inghilterra, dove come abbiamo visto si era realizzata la graduale compenetrazione tra le istituzioni e la società civile, la minoranza non costituì in alcun modo una parte da annullare, un pericolo per l’unità politica, ma piuttosto una parte con interessi diversi da quelli della maggioranza, la quale ha ugualmente il dovere di considerare gli interessi di tutta la comunità, che vengono individuati attraverso la discussione con la minoranza[49]. L’estensione del suffragio, che ha comportato il passaggio alla democrazia, non ha intaccato l’applicazione moderata del principio maggioritario.

In Francia la minoranza è stata spesso intesa come quella parte che deve adeguarsi ai più, o che deve essere combattuta come nemico dell’unità politica del popolo[50]. Uno dei padri del pensiero democratico, J.J. Rousseau, partendo dall’idea che il potere sovrano non possa mai essere diviso, aveva proposto di affidare alla volontà della maggioranza il compito di interpretare la volontà generale[51].

Questa concezione assolutista del principio maggioritario, alimentata dal dogma dell’unicità del potere, provoca una crisi drammatica quando si compie l’estensione del suffragio a un numero molto ampio di cittadini, con la conseguente rottura dell’omogeneità dei ceti rappresentati.

La deriva totalitaria di alcuni regimi europei del ‘900, che seguirono il modello francese, ha dimostrato come i meccanismi decisionali maggioritari possano essere utilizzati, in quest’ultimo senso, per sopprimere la minoranza[52].

Più equilibrato si è rivelato l’utilizzo pragmatico del principio maggioritario da parte dei padri della democrazia americana, che vi hanno fatto ricorso per far funzionare il complesso dei poteri, reciprocamente bilanciati, con i quali hanno inteso garantire un’ampia sfera di libertà all’individuo e assicurare le condizioni per il concorso di tutti al benessere sociale e alla dialettica civile[53]. Per la dottrina americana la democrazia si fonda sul governo della maggioranza, limitato dal rispetto delle minoranze[54]. La diffusione del principio maggioritario si spiega con la necessità di trovare una regola per giungere alla decisione, non con la pretesa di accertare quale sia la decisione migliore in assoluto.

Benché da un comune principio siano derivati diversi significati, l’esperienza storica ha reso evidente che quella di maggioranza è una regola necessaria al parlamentarismo e all’istituto della rappresentanza[55], pur con i suoi numerosi limiti e aporie[56].

Anche la democrazia, come tutte le forme di organizzazione del potere, deve essere in grado di governare e di compiere le scelte d’indirizzo, e per questo ha bisogno del principio maggioritario. Il processo decisionale può funzionare se, per un certo periodo, la minoranza accetta di trasferire la sua libertà di scelta alla maggioranza[57].

Nelle democrazie contemporanee l’utilizzo del principio maggioritario risulta temperato con il ricorso ad altri meccanismi di decisione, e a un complesso di garanzie che si fondano sull’impiego della ragione e della consapevolezza della relatività del potere, in modo da bilanciare l’esigenza di governabilità ed efficienza del governo pubblico con le crescenti domande di libertà. Le regole procedurali vengono riempite di significato dal riconoscimento dei diritti di libertà come fondamento del sistema. Se mancano le regole il potere diventa autoritario, se non c’è il rispetto dei diritti di libertà la minoranza non ha alcuna possibilità di diventare maggioranza[58].

Tenendo presenti queste premesse, possiamo considerare il funzionamento delle regole di maggioranza negli ordinamenti democratici e gli effetti che la loro applicazione può avere per le minoranze nelle elezioni e nelle decisioni degli organi politici. Ricordiamo rapidamente quali sono le regole di cui parliamo[59].

Nelle elezioni la maggioranza può venire determinata con le più svariate formule, che solo per semplicità si collocano su due aree contrapposte: proporzionale e maggioritaria. Si contrappone la formula elettorale proporzionale al principio maggioritario. In realtà entrambe funzionano con la vittoria dei più, ma la proporzionale "fotografa" al meglio le maggioranze e le minoranze. La formula elettorale maggioritaria è quella che provoca una torsione del principio maggioritario, giacché permette che una minoranza forte escluda le altre.

Guardiamo all'altro aspetto del fenomeno: l'organo politico rappresentativo è chiamato a decidere ancora con il principio maggioritario, ma il collegio rappresentativo non si divide in maggioranza e minoranza/e determinate volta per volta. In realtà la maggioranza tende ad essere sempre la medesima e ad esprimere la base che rappresenta. Nel momento della deliberazione la maggioranza politica è chiamata a decidere, e la minoranza diventa opposizione, con il compito di svolgere il controllo politico delle decisioni.

Riprendendo quanto avevamo anticipato all’inizio del precedente paragrafo, circa la corrispondenza tra le forme di organizzazione del potere politico e le forme di opposizione, possiamo dire che il compito di stabilire le correlazioni tra le une e le altre è affidato al principio maggioritario e alle numerose regole che ne derivano, applicate alla rappresentanza e ai meccanismi di decisione.

In sintesi, ogni forma di potere ha la sua opposizione, secondo la formula elettorale usata per la scelta dei rappresentanti e dal metodo utilizzato nelle assemblee rappresentative per giungere alla decisione[60].

Generalmente la rappresentazione proporzionale si coniuga a un sistema di governo che predilige la ricerca del consenso di tutte le parti, mentre in un sistema dove la rappresentanza è selettiva, il processo di decisione tende a uniformarsi a meccanismi maggioritario-conflittuali.

Gli ordinamenti che adottano la formula elettorale proporzionale e ricorrono alle maggioranze allargate, favoriscono la partecipazione delle minoranze al processo decisionale. Gli ordinamenti che utilizzano la formula maggioritaria per eleggere i rappresentanti e la maggioranza semplice per assumere le decisioni, distinguono nettamente la maggioranza dall’opposizione.

La pratica maggioritaria è favorita da alcuni fattori: l’omogeneità del Demos e dei suoi interessi, la forte aspettativa delle minoranze di diventare maggioranza di domani, la convinzione delle minoranze di non vedere pregiudicati i propri diritti[61]. Il criterio proporzionale si afferma più facilmente negli stati dove la società è eterogenea ed è necessario rappresentare in Parlamento tutte le componenti politiche, culturali, etniche, religiose. Il metodo consensuale viene adottato per evitare di emarginare le minoranze nelle procedure decisionali, nel timore che da questo possa derivare un’esclusione permanente.

In Europa l’ostilità verso l’applicazione del principio maggioritario iniziò a rivelarsi fin dal momento della nascita dello Stato democratico, influenzando le regole sulle elezioni. La diffusione della formula elettorale proporzionale, che interessò gli stati europei continentali nella seconda metà dell’800, è stata spiegata con la necessità di evitare che la massa popolare si appropriasse del potere politico nel momento in cui essa diveniva maggioranza politica[62].

La sintesi più lucida degli ideali che furono posti a fondamento delle esperienze democratiche del vecchio Continente è stata compiuta da Kelsen, il quale, dopo aver premesso che la democrazia è una forma dell’ordine sociale, che cerca di realizzare la libertà degli individui attraverso un sistema di governo basato sulla rappresentanza, chiarisce il significato del principio di maggioranza, che “organizza l’insieme degli individui in due soli gruppi essenziali, maggioranza e minoranza, offrendo la possibilità di un compromesso nella formazione della volontà generale”[63]. La sede ideale delle procedure decisionali compromissorie è, per Kelsen, il Parlamento, nel quale la rappresentanza si forma con metodo proporzionale, in modo da correggere gli effetti negativi che si produrrebbero applicando rigorosamente la formula del maggior numero. Se la funzione del Parlamento è di giungere a decisioni che tengano conto delle differenze di interessi, “non è tanto importante la presenza di una sola minoranza in Parlamento, quanto che tutti i gruppi politici, in rapporto alla loro forza, vi siano rappresentati”[64]. L’affermazione coglie uno degli aspetti più importanti del parlamentarismo, la capacità di rappresentare il pluralismo e di contenere allo stesso tempo il conflitto, favorendo una certa collaborazione tra le parti[65]. Questa concezione identifica il parlamentarismo con la democrazia, che a sua volta viene fatta coincidere con una concezione dialettica dei rapporti tra maggioranza e minoranza, in netta antitesi con il parlamentarismo inglese, che adottava il sistema del governo alternativo[66].

L’ideale democratico kelseniano presuppone una concezione del popolo legata a una società attraversata da molteplici divisioni e non in grado di esprimere una volontà unitaria. Lo Stato liberale aveva fatto affidato alla rappresentanza il compito di individuare e perseguire la cura dell’interesse collettivo, e per questo aveva affermato la necessità che i rappresentanti fossero svincolati da mandati imperativi. Per preservare l’unità politica la rappresentanza doveva sacrificare gli interessi particolari, che altrimenti si avrebbe la disgregazione dell’interesse nazionale.

Kelsen non ignorava i pericoli della divisione e affidava ai partiti il compito di trasformare la molteplicità in unità, individuando il parlamento come la sede in cui devono essere presenti tutti i gruppi e tutti gli interessi[67].  Ma la partecipazione dei partiti ai processi rappresentativi insinuava un elemento di trasformazione del rapporto rappresentativo, per cui questo non può più essere ricondotto alla concezione unitaria e individualistica liberale.

Da Rousseau a Kelsen, la linea di continuità del pensiero democratico continentale è data dal rifiuto del parlamentarismo inglese e del modello di governo basato sull’applicazione del principio maggioritario.

Questa continuità sembra essersi interrotta con l’avvento della democrazia pluralista, nella quale all’organizzazione partitica della rappresentanza si è affiancata quella degli interessi. Alla rappresentanza come figura dell’unità (Repräsentation) si è aggiunta la rappresentanza come figura della molteplicità (Vertretung)[68]. Il parlamento è così diventato la sede dove si rappresentano gli interessi particolari e la pluralità, ma l’esigenza di comporli in unità non è venuta meno[69].

Questa esigenza di unità ha spinto il parlamentarismo continentale in direzione del modello maggioritario, che individua l’interesse collettivo sulla base delle scelte di una parte, quella maggioritaria, e non sulla base del compromesso. Nell’ambito del processo elettivo avviene sia la scelta dei rappresentanti, ai quali si chiede di essere disponibili e sensibili agli interessi dei rappresentati (responsiveness), sia quella dei governi, ai quali è affidato il compito di individuare e perseguire l’interesse collettivo. Di conseguenza la sede dell’unità politica non è più solo il parlamento, che conserva il compito di garantire che tutti i gruppi partecipino al processo rappresentativo, ma soprattutto il governo, nel quale sono presenti solo i gruppi di maggioranza[70].

Nell’ultimo quarto del XX secolo, in conseguenza dell’evoluzione dei rapporti tra il potere politico e quello economico, si è consolidata la propensione a valutare il rendimento del sistema rappresentativo-decisionale in termini di efficienza e stabilità. La tendenza al rafforzamento del governo e all’espandersi della logica maggioritaria non ha offuscato completamente le differenze iniziali, che si manifestano nella struttura costituzionale e nelle regole che governano il sistema partitico-elettorale.

Queste differenze sono riconducibili al diverso percorso di democratizzazione compiuto dai Paesi che sono stati la culla della cultura maggioritaria, i quali hanno sperimentato la democrazia competitiva prima dell’estensione del suffragio, mentre quelli nei quali ha prevalso una cultura compromissoria hanno garantito l’estensione del suffragio prima di riconoscere i diritti di contestazione pubblica[71].

La diversità più rilevante tra le democrazie occidentali non è data, per dirla con Dahl, dalla maggiore o minore inclusività, perché il suffragio universale è un diritto universalmente riconosciuto, ma dal diverso modo di affrontare la competizione politica e i rapporti maggioranza-opposizione. In discussione non è il governo della maggioranza ma il potere della maggioranza che governa, che si forma in rapporto al voto e alle altre espressioni di preferenza dei cittadini[72].

 

 

3. – La forma di governo parlamentare e il principio di responsabilità

 

Poiché la forma organizzativa del potere politico nella quale l’opposizione acquista un ruolo fondamentale, al punto da diventare “un insostituibile ingranaggio del sistema”, è quella parlamentare, nella quale la relazione maggioranza-opposizione tende a sovrapporsi naturalmente a quella tra maggioranza e minoranza[73], conviene occuparci del modo in cui si determina il potere della maggioranza, e di riflesso il ruolo dell’opposizione, in questa forma di governo.

Prima di analizzare la relazione tra la forma di governo parlamentare e l’opposizione, è necessario ricordare che la categoria del governo parlamentare è tanto ampia da aver indotto la dottrina costituzionale a tentare di individuare uno o più criteri di sub-classificazione della stessa.

In questa direzione si sono mossi quegli autori che hanno analizzato la forma parlamentare di governo nel suo concreto funzionamento, assumendo come elementi costitutivi della classificazione l’elemento partitico[74].

È nota la divisione tra i sistemi parlamentari bipartitici, a multipartitismo moderato e a multipartitismo estremo, che tiene conto della struttura del sistema partitico e della distanza ideologica tra partiti[75]. Sempre con riferimento ai partiti, ma avendo presenti le regole convenzionali per l’accesso al potere di governo, è stata posta la distinzione tra regimi parlamentari che praticano l’alternanza e regimi che praticano la consociazione[76]. Ancora, l’elemento partitico, o meglio la dinamica della competizione tra partiti, viene in rilievo nella differenziazione tra sistemi parlamentari che adottano un modello conflittuale e sistemi che adottano un modello compromissorio[77].

Il merito maggiore di queste classificazioni è stato quello di cogliere il legame esistente tra un certo assetto dei poteri e i rapporti tra le forze politiche che rappresentano la comunità, “facendo balzare in primo piano, nello studio della forma di governo, quello (il criterio) dei congegni della partecipazione del popolo al processo politico” [78].

Nella stessa prospettiva si collocano le classificazioni delle forme di governo parlamentare che assumono come elemento principale di distinzione il criterio di legittimazione degli organi di indirizzo[79]. Poiché a noi interessa esaminare la relazione tra le diverse forme di governo parlamentare e l’opposizione, la diversità dei processi di legittimazione democratica del potere politico, sui quali ci soffermeremo subito, appare fondamentale, perché questa diversità si riflette sui meccanismi della responsabilità politica, dai quali dipende il ruolo dell’opposizione.

L’utilizzo di questo criterio per la classificazione delle forme di governo (anche di quelle non parlamentari) non è una novità assoluta, essendo alla base della nota distinzione tra le forme monistiche e dualistiche di governo[80]. Monistiche sono le forme di governo nelle quali è previsto un unico circuito di collegamento tra il corpo elettorale e gli organi di governo (forma parlamentare e direttoriale); dualistiche quelle dove è presente una duplicità di circuiti democratici di legittimazione (forma presidenziale, semipresidenziale e neo-parlamentare).

Il criterio della legittimazione democratica, considerato in relazione all’affermarsi  del principio della sovranità popolare, ha dato luogo alla divisione tra le forme di governo a legittimazione diretta e le  forme di governo a legittimazione indiretta, che fa emergere il ruolo che il corpo elettorale è chiamato ad esercitare nella scelta del governo[81]. All’interno di questa dicotomia la forma di governo parlamentare a legittimazione diretta si caratterizza principalmente per un’applicazione forte del principio maggioritario ai meccanismi di deliberazione e al complesso dei rapporti tra corpo elettorale, rappresentanza e governo. Infatti, anche laddove, come in Germania, non si è scelto un sistema elettorale di tipo maggioritario, “si è provveduto comunque ad esaltare il principio maggioritario inteso quale regola per governare”[82].

Infine, una recente classificazione delle forme di governo parlamentari ha distinto, all’interno della categoria delle forme monistiche, il parlamentarismo rappresentativo dal parlamentarismo responsabile[83]. Si tratta di una distinzione che parte dalla considerazione delle funzioni che possono essere assegnate alla rappresentanza elettiva: la funzione rappresentativa e quella dell’immediatezza-responsabilità[84]. Entrambe sono essenziali per la democrazia, ma ogni ordinamento democratico può scegliere di privilegiare una funzione piuttosto che l’altra, agendo sui meccanismi elettivi[85]. In un caso, quello del parlamentarismo responsabile, a prevalere è l’esigenza dell’immediatezza nella formazione dell’esecutivo, mentre viene sacrificata la rappresentazione; nel caso del parlamentarismo rappresentativo, invece, a prevalere è l’esigenza di rappresentazione e ad essere sacrificata l’immediatezza-responsabilità del governo. 

Poiché la classificazione si basa sulle funzioni della rappresentanza, le caratteristiche dei modelli vengono individuate facendo riferimento al sistema di formazione della rappresentanza e ai suoi elementi, il sistema dei partiti e la legge elettorale. Nel parlamentarismo responsabile i meccanismi elettorali e il sistema dei partiti devono essere in grado di tradurre il giudizio dell’elettore sulla condotta del governo in una conferma, se il giudizio è positivo, o nell’alternativa con un altro esecutivo, se il giudizio è negativo.  Nel parlamentarismo rappresentativo è più importante fornire all’elettore un’ampia gamma di partiti e di candidati, perché egli possa essere meglio rappresentato.

Per individuare i tratti essenziali dei due modelli è stato preso in considerazione il loro funzionamento, tenendo conto del fatto che il massimo della rappresentatività si realizza con un sistema elettorale che applica una formula proporzionale, mentre il massimo di responsabilità si ottiene con una formula maggioritaria.

Nel caso del parlamentarismo rappresentativo gli elettori delegano ai rappresentanti la scelta del governo. Nel caso del parlamentarismo responsabile le regole elettorali possono mettere gli elettori nelle condizioni di operare una scelta molto simile negli effetti a quella degli elettori che votano in un sistema presidenziale, rispetto al quale permangono però significative differenze per quanto riguarda i rapporti tra legislativo ed esecutivo[86].

Più sfumata appare la differenza con la forma di governo neo-parlamentare; in sostanza, nel parlamentarismo responsabile si mette il corpo elettorale in condizione di pronunciarsi, al momento del voto, su programmi, schieramenti e governi alternativi, mentre nel sistema neo-parlamentare si fa luogo contemporaneamente e direttamente all’elezione dei rappresentanti e del capo del governo. Nel caso in cui il voto allo schieramento comprende l’indicazione del leader, come è avvenuto in Italia nel 2001[87], la distanza tra le due forme di governo tende a ridursi ulteriormente[88].

Naturalmente la scelta di un sistema elettorale proporzionale o maggioritario ha una serie di vantaggi o svantaggi in termini di rapporto tra rappresentatività e responsabilità, che possono essere precisati se si tiene conto del sistema partitico ai quali si applicano le regole della competizione elettorale. È chiaro che una formula elettorale proporzionale si coniuga facilmente a un sistema dove il numero dei partiti è elevato, in modo da rappresentare fedelmente la maggioranza e le minoranze. Viceversa, la presenza di due partiti e di una formula elettorale maggioritaria consente all’elettore di influire in modo decisivo sulla scelta del governo e sui meccanismi della responsabilità politica.

Per contro, la combinazione formula elettorale proporzionale-pluripartitismo non è in grado assicurare agli elettori alcun potere nella scelta del governo, che viene delegata interamente ai rappresentanti ed è (quasi) necessariamente un governo di coalizione. Infine, la combinazione formula elettorale maggioritaria-bipartitismo è carente sotto il profilo della capacità di rappresentazione delle opzioni politiche dei cittadini.

Si tratta di correlazioni assai note, corrispondenti a quelle che di solito vengono utilizzate per spiegare la differenza tra i modelli di democrazia diretta (o immediata) e indiretta (o mediata)[89]. Il merito di questa teoria è piuttosto quello di aver segnalato, accanto a questi due modelli di parlamentarismo, che discendono da diversi modelli di democrazia, l’esistenza di un terzo tipo, intermedio, di governo parlamentare, che si distingue dal parlamentarismo responsabile, ispirato al modello Westminster, e dal parlamentarismo rappresentativo, orientato verso un modello consociativo.

Si tratta di un governo parlamentare che coniuga elementi dei primi due modelli, mettendo insieme, ad esempio, un sistema multipartitico e una formula elettorale proporzionale o mista con la decisività delle votazioni ai fini della formazione del governo, i governi di coalizione con una chiara distinzione tra governo e opposizione[90].

Per cercare di bilanciare le esigenze della rappresentanza e le esigenze dell’immediatezza-responsabilità, gli ordinamenti che appartengono a questa variante del parlamentarismo ricorrono a formule elettorali miste o in grado di produrre effetti selettivi, che hanno lo scopo di conservare agli elettori un’ampia possibilità di scelta, e ad accordi politici conclusi prima del voto. In questo modo vengono sottoposti all’approvazione degli elettori una maggioranza, un programma e un leader, in modo da consentire loro la scelta di un esecutivo responsabile[91].

In sostanza, quest’ultimo tipo di governo parlamentare si caratterizza per lo sforzo di adattare un’organizzazione partitico-elettorale tipica delle democrazie mediate alle esigenze della democrazia immediata, sfruttando l’unico canale di legittimazione dei governanti di cui dispone il governo parlamentare. 

Costituiscono esempi di questo modello la Spagna, la Germania e l’Italia del periodo maggioritario. In tutti i tre casi il bipolarismo e le condizioni istituzionali consentono agli elettori la scelta del Capo del Governo, ma il Parlamento conserva una funzione di equilibrio nei confronti della legittimazione diretta del Premier. Esiste infatti il pericolo, avvertito anche nelle democrazie contemporanee, che la volontà del popolo venga intesa come potere illimitato e unitario, sulla scia di una foga plebiscitaria che dimentica il carattere articolato del popolo, la necessità di garantire che chi governa possa farlo in condizioni di autonomia, l’importanza dei limiti che devono essere posti alla volontà della maggioranza[92].

L’unicità del circuito democratico di legittimazione, che distingue la forma parlamentare di governo, spiega la difficoltà di bilanciamento delle funzioni della rappresentanza. La ragione per cui è difficile ottenere una soddisfacente composizione della rappresentanza e della governabilità è che non è stato sperimentato, fino ad ora, un sistema elettorale in grado di conseguire in modo ottimale entrambi i risultati[93]. L’osservazione del funzionamento di alcune esperienze riconducibili a questo modello attesta una sostanziale incertezza sull’efficacia dei sistemi elettorali misti[94]. Ciò non toglie però che la classificazione in tre tipi conservi la sua efficacia.

Riprendiamo ora le fila del nostro discorso. Le differenze che si riscontrano tra il parlamentarismo rappresentativo e il parlamentarismo responsabile, per il modo in cui vengono investiti i governi, hanno un effetto diretto sui meccanismi della responsabilità politica.

Vale la pena ribadire che, nell’ambito delle esperienze democratiche, il tratto distintivo del sistema parlamentare è che il governo deriva dal parlamento la legittimazione ad esercitare il potere politico ed è chiamato a rispondere ad esso del suo operato[95]. All’interno delle aule parlamentari si attivano i rapporti tra rappresentanti e rappresentati ma anche dei rappresentanti fra di loro, in modo da sollecitare una rispondenza dei primi verso i secondi, connessa all’interazione con gli altri rappresentanti.

Il giudizio di responsabilità dei governanti riguarda un arco di tempo limitato, durante il quale i medesimi soggetti godono di autonomia decisionale ma sono spinti a rispondere alle aspettative degli elettori dalla prospettiva del voto[96]. Il controllo politico svolto dalle assemblee è funzionale al giudizio degli elettori e l’efficacia del controllo e del giudizio è condizionata dal grado di partecipazione di questi ultimi all’investitura dell’esecutivo. In alcuni casi il grado di partecipazione è tale da esautorare la responsabilità del governo verso il parlamento e da esaltare quella verso il corpo elettorale.

Il giudizio di responsabilità dei cittadini è più efficace nei sistemi parlamentari di tipo immediato, nei quali il voto serve, oltre che a eleggere i rappresentanti, a legittimare i governi. La possibilità della rimozione spinge il governo ad agire in modo da soddisfare i cittadini nel lungo periodo, quindi in modo che la sua responsabilità per le scelte fatte realizzi anche il massimo della responsività. Questo giudizio perde rilevanza nei sistemi parlamentari dove i governanti sono chiamati esclusivamente ad eleggere i rappresentanti, e la legittimazione del governo è un compito esclusivo del parlamento.

Nei sistemi parlamentari il controllo svolto dalle assemblee assume una caratterizzazione particolare, che “deriva dal nesso tra rappresentanza e competizione, in virtù del quale la rappresentanza diventa struttura permanente caratterizzata dalla presenza di un’opposizione eletta nel corso di una campagna elettorale competitiva”[97]. La presenza dell’opposizione consente agli elettori di acquisire con continuità gli elementi necessari per formare il giudizio e di prevederne le conseguenze, nella misura in cui questa sia dotata di strumenti efficaci di contestazione, attraverso i quali può prospettarne il ricambio[98].

 

 

4. – L’opposizione nei sistemi parlamentari di governo

 

A questo punto abbiamo gli strumenti per comprendere come operi la relazione tra l’opposizione e la forma di governo parlamentare, in ragione delle diverse applicazioni del principio di responsabilità.

Sulla base di queste premesse, è possibile individuare tre forme di opposizione, che chiameremo non-alternativa, alternativa e incongruente, corrispondenti al parlamentarismo rappresentativo, responsabile e a quello che è stato individuato come il modello intermedio.

L’opposizione non-alternativa si afferma quando il controllo del parlamento sul governo non è accompagnato da un’effettiva possibilità dell’opposizione di sostituirsi ad esso, o perché l’opposizione è numericamente residuale rispetto al governo consociativo, o perché è considerata anticostituzionale e non ha la legittimità per accedere al governo.

L’opposizione non-alternativa è propria delle società divise sotto il profilo etnico-culturale, o attraversate da fratture politiche rigide, con un sistema partitico articolato[99]. Il sistema rappresentativo-decisionale è quello tipico del parlamentarismo rappresentativo, basato sulla formula elettorale proporzionale e su governi di coalizione[100], nei quali si può manifestare anche l’opposizione interna alla maggioranza[101], con la differenza che nei Paesi connotati da divisioni ideologiche le coalizioni sono chiuse ad alcune forze politiche, mentre negli altri sono aperte a tutti[102]. Il processo d’investitura dei governi di coalizione è nelle mani dei partiti, che stabiliscono convenzionalmente le regole di accesso al governo, nonché quelle d’esclusione[103]. Poiché il sistema politico è multipartitico e multipolare queste condizioni determinano sempre una diffusione del potere di governo e una non chiara distinzione tra chi governa e chi si oppone.

Rientra in questa tipologia l’opposizione italiana del periodo proporzionale, ma anche quella della Francia, prima dell’affermarsi del regime semipresidenziale[104], e di alcuni sistemi dell’area Benelux[105].

Negli ordinamenti di questo tipo, poiché il governo condivide con il parlamento il potere di indirizzo e la distinzione tra maggioranza e opposizione non è mai netta, tra i due organi s’instaura un rapporto di equilibrio e i meccanismi di responsabilità politica sono poco efficaci[106]. La sfiducia è un evento possibile, ma essa serve a rinegoziare i rapporti tra partiti e/o a denunciare una difficoltà dei rapporti interni ai partiti di maggioranza e spesso rivela l’esistenza di una maggioranza parlamentare diversa da quella governativa[107].

L’esclusione dell’opposizione dal governo può condurre a potenziare i procedimenti e le funzioni parlamentari, nei quali è garantita la presenza di tutte le forze politiche,  quando le dimensioni delle forze sono tali da mettere in discussione il carattere democratico dello Stato, che richiede l’inclusione del maggior numero possibile di cittadini nei processi decisionali; o alla quasi scomparsa dell’opposizione, nel caso in cui le forze escluse sono marginali rispetto al governo consociativo dei maggiori partiti[108]. In quest’ultimo caso l’opposizione delle minoranze si limita alla rappresentazione degli interessi e delle posizioni soccombenti, o al più tenta di influenzare le decisioni del governo e la loro esecuzione.

Lo status dell’opposizione coincide interamente con lo status delle minoranze, alle quali vengono riconosciuti una serie di diritti e prerogative, tra i quali sono particolarmente rilevanti quelle che si esercitano in Parlamento, al fine di controllare e limitare il potere decisionale della maggioranza. Si tratta di diritti il cui esercizio produce effetti senza bisogno della collaborazione della maggioranza, come la convocazione delle camere o di particolari organi parlamentari; e di prerogative il cui esercizio è subordinato all’approvazione della maggioranza, perciò meno efficaci, come le proposte e le istanze in materia di regolamento[109]. Questi strumenti consentono al più che si formi e si esprima il giudizio politico sull’azione dell’esecutivo, ma non riescono a impedirne la riconferma totale o parziale[110].

Il secondo tipo di opposizione è quella alternativa, che esercita la funzione di critica, controllo e sostituzione del governo.

L’esempio classico di questo tipo è quello del parlamentarismo inglese, dove il confronto tra maggioranza e opposizione si differenzia nettamente dal rapporto dialettico tra maggioranza e minoranza che è caratteristico dei sistemi ad opposizione non alternativa[111]. L’opposizione alternativa è favorita dal sistema bipartitico, caratterizzato da grande disciplina interna[112], espressione di una società politicamente omogenea, e dalla formula elettorale maggioritaria, che determina in Parlamento la formazione di due parti politiche distinte: la maggioranza e l’Opposizione, alle quali si aggiungono le minoranze che non sono Opposizione.

Il sistema di governo è strettamente legato, fin dalle origini, a quello dei partiti, e funziona in modo da tradurre il tessuto pluralista della società in indirizzo di governo, assicurando un nesso permanente tra opinione pubblica e indirizzo politico[113].

Il funzionamento del sistema è assicurato da una consolidata cultura maggioritaria, che induce tutte le forze politiche ad un uso prudente delle risorse istituzionali, e dalla efficacia dei meccanismi istituzionali, che individuano nel Premier il principale artefice e responsabile delle scelte di indirizzo[114]. Per conservare la responsabilità il sistema rifugge da accordi post-elettorali e individua con il voto la maggioranza e l’opposizione[115].

L’opposizione non mira affatto a correggere le decisioni della maggioranza, che non riesce a mettere in pericolo, ma cerca di denunciarne gli errori e di prospettare le possibili alternative nell’interesse della collettività[116].

All’opposizione è riconosciuto uno specifico statuto che si aggiunge alle garanzie delle minoranze[117]; essa ha un’organizzazione stabile, che si modella su quella del Governo e persegue un indirizzo alternativo ricorrendo agli strumenti assicurati dalle leggi, dai regolamenti parlamentari e dalle convenzioni[118].

In particolare lo status dell’opposizione è riconosciuto al partito di minoranza più consistente; dal punto di vista organizzativo vengono indicati come referenti istituzionali il leader dell’opposizione e il gabinetto ombra, o Shadow Cabinet. L’individuazione del leader dell’Opposizione nel leader del partito di opposizione con la maggior forza numerica è stabilita dal Ministers of the Crown act del 1937; la retribuzione del leader dell’Opposizione è stata introdotta per legge nel 1965. Altri aspetti organizzativi sono regolati da conventions, come quella che in caso di dimissioni del Governo impone al sovrano di convocare il leader dell’Opposizione. Sotto il profilo funzionale sono concessi all’opposizione una serie di poteri di critica e contestazione dell’indirizzo governativo, e al contempo è previsto che essa elabori un indirizzo alternativo[119].

Per favorire il confronto politico l’ordinamento inglese prevede, ad esempio, che il Leader dell’Opposizione parlamentare disponga di un certo numero di interrogazioni supplementari, che sono particolarmente efficaci quando si svolgono nei confronti del Capo del Governo, la Prime Minister question time. Le posizioni alternative assunte in Parlamento dal partito di opposizione, e la struttura del governo ombra, costituiscono un embrione di indirizzo politico e di governo, che verranno concretizzandosi in caso di vittoria elettorale.

Infine, vi sono i sistemi parlamentari, che abbiamo definito intermedi tra il parlamentarismo rappresentativo e responsabile, tra i quali è stata inserita l’Italia, la Spagna e la Germania, dove la situazione costituzionale dell’opposizione viene determinata facendo riferimento alle norme che assicurano le garanzie alle minoranze[120], ma le funzioni che deve assolvere sono quelle tipiche dell’opposizione alternativa; e questa è l’opposizione incongruente.

Quanto al contesto politico si tratta di ordinamenti pluripartitici che, dopo aver recepito con fatica il sistema dei partiti e aver raggiunto una soglia minima di omogeneità politica, eliminando le opposizioni interne alla maggioranza, sono approdati a uno schema bipolare[121].

Sul piano dell’organizzazione istituzionale, questi ordinamenti hanno assistito a una  trasformazione delle funzioni dell’opposizione, causate dallo sviluppo del sistema di governo parlamentare dal tipo rappresentativo in direzione del modello responsabile[122].

Poiché la caratterizzazione di un sistema parlamentare in un senso o nell’altro dipende da fattori istituzionali e politici, a questo sviluppo possono concorrere le riforme elettorali (regole per eleggere) ma anche la rimodulazione dei rapporti tra Parlamento e Governo sulla base di leggi, regolamenti e convenzioni (regole per governare)[123].

Gli ordinamenti che accolgono l’opposizione incongruente hanno adottato un sistema elettorale proporzionale o misto, che consente  ai partiti di formare delle coalizioni e individuano un programma e un leader da sottoporre al voto degli elettori[124].

La stabilità del sistema di governo è prodotta da una serie di strumenti di regolazione della fiducia[125], con i quali si “cerca(..) con forme giuridiche di ottenere un qualcosa che in altri modelli si ottiene attraverso il libero fluire delle forme politiche”[126]. Il parlamentarismo maggioritario è, in queste democrazie, una forma di razionalizzazione, alla quale si affida il compito di migliorare la governabilità del sistema e assicurare l’alternanza.

Quanto a quest’ultima, va detto che è un utile correttivo delle aporie del principio maggioritario, ma non è l’unico modo di limitare gli eccessi e le degenerazioni cui può dare luogo[127]. Tuttavia, l’alternanza si rende necessaria quando viene adottato un criterio maggioritario sia per le decisioni che per l’elezione dei rappresentanti, come avviene nel nostro ordinamento a partire dal 1993, perché altrimenti la concentrazione di poteri nella maggioranza diverrà difficilmente controllabile con il ricorso agli altri limiti alla maggioranza (indipendenza di alcuni poteri, divisione territoriale del potere, controllo di poteri esterni allo Stato, ecc). Se la selezione di chi deve decidere non ammette la rappresentanza proporzionale delle minoranze la decisione diventa difficilmente negoziabile.

L’alternanza al Governo ha caratterizzato le ultime legislature in Germania, Italia e Spagna, dopo anni di grandi coalizioni, di parziali alternanze dei partiti al governo, di progressiva riduzione del peso dei partiti antisistema[128].

Una caratteristica comune a questi ordinamenti è data dal peso sempre maggiore che viene riconosciuto al capo del governo, indicato direttamente o indirettamente dal voto degli elettori[129]. Il ruolo sempre più rilevante del premier è conseguenza, oltre che delle leggi elettorali, della personalizzazione della politica, favorita dall’ingresso dei media nella scena politica, fenomeni che insieme favoriscono uno spostamento dei rapporti di forza tra parlamento e governo, a tutto vantaggio del secondo. La giustificazione che viene offerta alla concentrazione in capo al governo dei poteri di indirizzo, si basa sul presupposto che l’investitura diretta dell’esecutivo legittimi l’organo ad attuare il programma concordato con gli elettori, verso i quali è direttamente responsabile.

Al contempo questi ordinamenti hanno cercato di temperare la foga democratico-plebiscitaria, insita in ogni modello che privilegia la formazione maggioritaria della rappresentanza e della decisione, con altri principi, ugualmente importanti per la democrazia[130]. Tali sono l’equa rappresentanza e la partecipazione delle minoranze ai procedimenti deliberativi, la trasparenza dell’attività di governo, senza la quale ogni forma di responsabilità è impotente[131].

Maggiori incertezze sussistono sul ruolo che deve essere assegnato all’opposizione, che pure ha una funzione fondamentale per il buon funzionamento di una democrazia d’alternanza. D’altra parte, l’opposizione non ha una collocazione rigida nello schieramento dei partiti, che si muovono seguendo uno schema bipolare ma conservano ampi margini di evoluzione.  La fluidità dell’opposizione fa sì che il giudizio di responsabilità politica, in caso di sconfitta elettorale del governo, non venga incanalato in verso una soluzione prestabilita. È possibile che dopo le elezioni si verifichi la parziale rotazione dei ruoli di governo e opposizione, come è avvenuto in Italia nel 1994, con il passaggio della Lega da uno schieramento all’altro[132].

Gli ordinamenti degli stati considerati non riconoscono uno status particolare a un leader o una coalizione di minoranza. L’attività dell’opposizione s’inserisce in contesti politici e istituzionali caratterizzati da una tradizione antimaggioritaria e di debolezza dell’opposizione, che si è sviluppata seguendo un comportamento cooperativo all’interno delle assemblee legislative[133].

In parlamento l’opposizione si avvale dei tradizionali strumenti ispettivi quali l’interrogazione, l’interpellanza e l’inchiesta[134]. Quanto ai procedimenti decisionali, il governo è posto in una posizione di preminenza in tutte le esperienze considerate e le possibilità di usufruire di spazi garantiti di contestazione del governo sono ridotte[135]. Le minoranze di opposizione possono vedersi riconosciuto il potere di incidere sulla formazione di alcuni organi di garanzia, sui procedimenti di revisione costituzionale, o il diritto di ricorrere all’organo di giustizia costituzionale contro i provvedimenti legislativi della maggioranza[136].

Se queste sono le caratteristiche dei sistemi di parlamentarismo intermedio, caratterizzati da un’opposizione incongruente, ogni ordinamento ha una sua specifica disciplina dell’opposizione, legata alle diverse applicazioni che esso fa del principio maggioritario alla rappresentanza e alle procedure decisionali, alla struttura del potere, alla dinamica dei rapporti tra gli organi politici, alla tradizione giuridico-istituzionale.

 

 

 

 

 



 

[1] Il legame tra governo limitato e separazione dei poteri diventò inscindibile a partire dalla rivoluzione borghese, ma la tendenza a limitare il potere politico è più antica. Cfr. n. matteucci, Costituzionalismo, in G. Pasquino (a cura di), Dizionario di politica, Torino, Utet, 1983, 272 ss.; M. Fioravanti, Stato e costituzione, Torino, Giappichelli, 1993, 113 ss.

 

[2] Cfr. G. De vergottini, Opposizione parlamentare, cit., 538 ss.; Id., Diritto costituzionale comparato, Padova, Cedam, 1999, 475 ss. Il punto è colto con particolare lucidità da G. Guarino, Lo scioglimento delle Assemblee parlamentari, Napoli, Jovene, 1948, 6, il quale osserva che «Il rendere autonoma dal Re l’attività esecutiva significa poterla assoggettare alla discussione».

 

[3] Cfr. J. Locke, Two Treatises of Government, (1690), trad. it., Trattato sul governo, XI, Roma, Editori Riuniti, 1984, 148 ss.

 

[4] La ragione dell’opposizione istituzionale è stata acutamente colta da O. Kirchheimer, The Waning of Opposition in Parliamentary Regimes (1957), trad. it., Il tramonto dell’opposizione, in Micromega, 1986, 261.

 

[5] L’avvento dei partiti mise in crisi il rapporto elettori-eletti e determinò in Inghilterra la rinuncia al parlamentarismo liberale e l’adozione di quello maggioritario, al quale non vollero né seppero convertirsi i sistemi continentali. Cfr. G. Guarino, Lo scioglimento delle Assemblee parlamentari, cit. 17 ss.

 

[6] Cfr. G. Amato, Forme di Stato e forme di governo, cit. 27 ss.; G. Silvestri, Poteri dello Stato (divisione dei), in Enc. dir. XXXIV, Milano, Giuffrè, 1985, 678 ss.; a. Cerri, Poteri (divisione dei), in Enc. giur. XXIII, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1990, 4.

 

[7] Cfr. G. De Vergottini, Opposizione parlamentare, cit. 534.

 

[8] Cfr. P. Ridola, Diritti di libertà e costituzionalismo, cit. 1997, 163.

 

[9] Il massimo teorico della distinzione fu, come noto, l’abate E.J. Sieyes, Qu’est-ce que le tiers état? (1789) trad it. Che cosa è il terzo stato? Roma, Editori Riuniti, 1972, che all’idea giacobina del potere costituente del popolo oppose quella moderata della sovranità della nazione. Il potere costituente impersonava, per il teorico francese, la capacità del popolo di unirsi politicamente nell’entità nazione e di volere una costituzione.

 

[10] Si veda C.L. Montesquieu, De L’esprit des lois, (1748), trad. it., Lo spirito delle leggi, Torino, Utet, 1952. La teoria della separazione dei poteri è stata elaborata dall’autore con il fine di garantire la libertà della persona e dei beni, essa è strettamente funzionale alle esigenze della società del suo tempo. Il principio cardine della teoria è la supremazia della legge; l’esecutivo deve essere soggettivamente indipendente perché ad essa subordinato, mentre il giudiziario è un potere non-politico destinato a garantire la legalità. Sarebbe eccessivo però voler trarre dalla teoria del pensatore francese l’idea di una specializzazione funzionale rigida. Cfr. G. Silvestri, Poteri dello Stato (divisione dei), cit. 670 ss.

 

[11] La difesa dell’unità politica è al centro dell’opera di J.J. Rousseau, Du Contrat Social ou Principes du droit politique, (1762), trad. it., Il contratto sociale, Milano, Mursia, 1965, libro secondo, II, 40.

 

[12] Cfr. M. Galizia, Studi sui rapporti fra Parlamento e Governo, Milano, Giuffrè, 1972, 156 ss.

 

[13] Cfr. G. Amato, Il dilemma del principio maggioritario, in Quad. cost. 1994, 175 ss. L’idea del potere costituente non fu estranea al costituzionalismo americano, ma l’esercizio dello stesso da parte del popolo implicava l’arretramento di tutti i poteri, compreso il legislativo. Cfr. G. Silvestri, Poteri dello Stato (divisione dei), cit., 675 ss. Sulle differenze del processo costituente francese e americano cfr. m. fioravanti, Stato e costituzione, cit. 219 ss.; P. Pinna, La costituzione e la giustizia costituzionale, Torino, Giappichelli, 2000, 33 ss.

 

[14] Cfr. M. Dogliani, L’idea di rappresentanza nel dibattito giuridico in Italia e nei maggiori Paesi europei tra otto e novecento, in Studi in onore di L. Elia, Milano, Giuffrè, 1999, 537 ss.

 

[15] Sul concetto di cultura costituzionale, riferita alle democrazie costituzionali, si veda P. Ciarlo, Dinamiche della democrazia e logiche dei valori, in Dir. pub. 1995, 134 ss.

 

[16] Sui principi fondamentali dell’ordinamento cfr. S. Bartole, Principi generali del diritto, in Enc. dir. XXXV, Milano, Giuffrè, 1986, 495, secondo il quale i principi del diritto e i principi generali dell’ordinamento si desumono dalle norme positive attraverso un processo di astrazione. L’idea dominante nella dottrina italiana, come pure nella giurisprudenza della Corte costituzionale, è, invece, che i principi derivino dai valori. Cfr. f. modugno, Ordinamento giuridico (dottrine), in Enc. dir. XXX, Milano, Giuffrè, 1986, 731 ss.; A. Baldassarre, Costituzione e teoria dei valori, in Pol. dir. 1991, 639 ss.; g. zagrebelsky, Il diritto mite, Torino, Einaudi, 1992, 147 ss. Infine, i principi si distinguono dalle regole perché sono suscettibili di ulteriore specificazione. In questo senso a. D’Atena, In tema di principi e valori costituzionali, in Giur. cost. 1997, 3065 ss.; P. Ciarlo, Dinamiche della democrazia e logiche dei valori, cit., 140 ss.

 

[17]L’influenza della società civile sulla forma di governo rivela la stretta dipendenza di questa categoria da quella della forma di Stato. Cfr. C. Mortati, Lezioni sulle forme di governo, Padova, Cedam, 1973, 3 ss.

 

[18] Cfr. P. Avril, Essais sur les partis, (1985), trad. it., Saggio sui partiti, Torino, Giappichelli, 1990, 47.

 

[19] Cfr. A. Reposo, Profili dello Stato autonomico, Torino, Giappichelli, 2000, 2 ss.

 

[20] Gli effetti della globalizzazione economica sulla sfera istituzionale sono analizzati da m.R. Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione, Bologna, Il Mulino, 2000. La tesi che pervade il libro è che il diritto si trovi ad assecondare i mutamenti economici in atto; tuttavia quest’analisi è più convincente-come ammette la stessa autrice- se riferita ai sistemi di common law e alle trasformazioni che interessano la sfera “privata”, degli interessi e dei diritti, mentre riguardo ai Paesi di civil law e ai rapporti tra diritto e politica ci pare ancora da dimostrare la sudditanza degli stati ai poteri economici. A questo riguardo si rifletta sul fatto che l’economia, che sembra volersi disfare in certi momenti dei lacci del controllo statale, ricerchi l’aiuto dello Stato quando ha bisogno di certezza, come sembrano suggerire i recenti fallimenti di alcuni giganti dell’economia finanziaria americana. Del resto questo aspetto di reciproca assistenza è messo in luce nel I capitolo del libro, 20 ss. L’influenza della globalizzazione economica sulle istituzioni statali e sopranazionali è valutata con maggior prudenza da g. bognetti, La divisione dei poteri, Milano, Giuffrè, 2001, 153 ss., secondo il quale lo sviluppo della società in campo economico e sociale non intacca i due pilastri su cui si basa l’odierna organizzazione del potere: la centralità del Potere governante e l’idea che i diritti fondamentali della persona debbano essere il punto di riferimento per l’azione dei pubblici poteri.

 

[21] Per una ricostruzione storica del concetto cfr. G. Silvestri, La parabola della sovranità. Ascesa, declino e trasfigurazione del concetto, in Riv. dir. cost. 1996, 3 ss. Sui problemi attuali della sovranità e sull’erosione delle categorie nazionali ad essa collegate cfr. M. Luciani, L’antisovrano e la crisi delle costituzioni, in Riv. dir. cost. 1996, 171 ss. Sul problema della condivisione della sovranità a livello europeo e sul ruolo degli stati nazionali si vedano gli interventi nel l. Torchia, Modelli di sovranità, fra Unione europea e Argentina, (6 gennaio 2002); L.S. Rossi,  L’Esercito dei Nostalgici della Sovranità Nazionale Però Europeisti (11 gennaio 2002); g. De minico Dall'incontro di Laeken alla Costituzione europea, (27 gennaio 2002); in Forum on line dei Quad. cost. http://web.unife.it/progetti/forumcostituzionale/

 

[22] Cfr. S. Cassese, L’erosione dello Stato: una vicenda irreversibile? in Rass. parl. 2001, 11 ss.

 

[23] Si pensi al ruolo svolto da organizzazioni come il WTO, il FMI e, sul fronte privato, alle multinazionali dell’informazione. Cfr. M.R. Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione, cit., 101 ss. F. Galgano, Il volto giuridico della globalizzazione, in Quad. cost. 2001, 626.

 

[24] Circa il divieto di concentrazione del potere economico e mediatico e di questi con il potere politico, i progressi registrati sul continente europeo sono dovuti in gran parte alle direttive comunitarie. Cfr. S. Cassese, La nuova costituzione economica, Roma-Bari, Laterza, 2000, 11 ss.

 

[25] Cfr. M. Luciani, L’antisovrano e la crisi delle costituzioni, cit., 171ss.

 

[26] Su questi sviluppi cfr. A. Perez calvio, Le trasformazioni strutturali dello Stato-nazione dell’Europa comunitaria, in Quad. cost. 2001, 591 ss.

 

[27] L’esautoramento del potere politico da parte di quello economico ha posto il problema della persistente validità del principio, secondo il quale chi detiene il potere deve anche risponderne all’elettorato. Sulle trasformazioni della responsabilità dovute alla globalizzazione cfr. C. Pinelli, Cittadini, responsabilità politica, mercati globali, in Riv. dir. cost. 1997, 43 ss. Come ha messo in evidenza g. Di minico, nel suo intervento in Forum on line dei Quad. cost. sul tema Veros la Costituzione europea, quando si tratta di assumere decisioni attinenti al governo della cosa pubblica, le istituzioni dell’UE debbono essere legittimate a farlo in virtù di procedure democratiche di rappresentanza. I processi di decisione possono favorire una partecipazione informale quando si tratti di far valere interessi di categoria, ma debbono adottare meccanismi responsabilizzanti quando le decisioni investono alla radice le istituzioni e i loro compiti.

 

[28] Cfr. A. Andreani, Crisi e metamorfosi del potere esecutivo, Padova, Cedam, 1999, 7 ss. Una divisione dei poteri si realizza anche nell’ambito della UE, dove emerge la necessità di un governo forte ma dominano ancora le volontà dei singoli stati. Cfr. G. Bognetti, La divisione dei poteri, cit., 169 ss. Sul piano dell’organizzazione di vertice l’UE non ha un sistema che assomiglia allo Stato federale. La “sovranità” europea non è divisa e ordinata in poteri separati. Nella determinazione delle competenze adotta il criterio degli obiettivi, che sta sostituendo quello delle materie. I processi di integrazione tra costituzioni degli stati e dell’Unione hanno subito un’accelerazione a seguito della progressiva compenetrazione di strutture e competenze. Cfr. A. Manzella, La ripartizione di competenze tra Unione europea e Stati membri, in Quad. cost. 2000, 531 s.

 

[29] Cfr. M. Luciani, L’antisovrano e la crisi delle costituzioni, cit., 184.

 

[30] I rapporti tra sovranità e competenze mostrano una ambiguità di fondo, oscillano tra un criterio funzionale, secondo cui la competenza va attribuita al miglior livello di governo, e uno essenzialista, per la quale vanno fissati dei confini insuperabili tra i due enti in nome della sovranità nazionale. La distinzione è posta da J.H.H. Weiler, L’Unione e gli Stati membri: competenze e sovranità, in Quad. cost. 2000, 5 ss.

 

[31] L’ascesa dell’esecutivo è stata rilevata in sede giuridica da G. Bognetti, La divisione dei poteri, cit., 70, e in ambito politologico da S. Fabbrini-S. Vassallo, Il Governo. Gli esecutivi nelle democrazie contemporanee, Roma-Bari, Laterza, 1999, 17 ss.; S. Cassese, Il potere esecutivo nei sistemi parlamentari di governo, in Quad. cost. 1993, 141 ss.

 

[32] Cfr. G. Bognetti, La divisione dei poteri, cit. 93 ss.

 

[33] Cfr. S. Fabbrini-S. Vassallo, Il Governo, cit., VIII.

 

[34] Cfr. G. Bognetti, La divisione dei poteri, cit., 75 ss.

 

[35] Sul pericolo di un indebolimento dell’opposizione per l’accrescersi dei compiti e della forza del governo cfr. G. De Vergottini, Lo “Shadow Cabinet”, cit., 39 ss.

 

[36] Così venne definito da m. Duverger, Les partis politiques, (1951), trad. it., I partiti politici, Milano, Edizioni di Comunità, 1970, 281; Id, La nozione di regime semi-presidenziale e l’esperienza francese, in Quad. cost. 1983, 259 ss., quella che l. Elia, Governo (forme di), cit., 665 ss., ha chiamato “forma di governo a componenti presidenziali e parlamentari”. Si vedano anche G.U. Rescigno, Forme di Stato e forme di governo, in Enc. giur. XIV, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1989; F. Cuocolo, Forme di Stato e di governo, in Digesto delle discipline pubblicistiche, VI, Torino, Utet, 1991, 532; l. Pegoraro-A. Rinella (a cura di), Semipresidenzialismi, Padova, Cedam, 1997; l. Mezzetti-v. Piergigli, Presidenzialismi, semipresidenzialismi, parlamentarismi:modelli comparati e riforme istituzionali in Italia, Torino, Giappichelli, 1997.

 

[37] Cfr. M. Duverger, La sixième Republique, (1958), trad. it., La Repubblica tradita, Milano, Comunità, 1960, 86; a. Barbera, Una riforma per la Repubblica, Roma, Editori Riuniti, 1991, 200 ss., dove si trovano i riferimenti sugli ascendenti teorici e pratici del modello neoparlamentare. Per l’Italia l’idea di eleggere contemporaneamente il Primo ministro e il Parlamento è stata sostenuta da s. Galeotti, Alla ricerca della governabilità, Milano, Giuffrè, 1983, 71 ss.; S. Fabbrini, Quale democrazia, L’Italia e gli altri, cit., 162 ss., che a proposito dell’elezione diretta del primo ministro preferisce parlare di “parlamentarismo presidenziale”.

 

[38] La contrapposizione tra maggioranza e opposizione consentirebbe così la sopravvivenza del principio della divisione dei poteri, ricondotta entro le aule parlamentari. Cfr. G. De Vergottini, Opposizione parlamentare, cit., 533 ss. Contesta questo modo di intendere la divisione dei poteri g. Bognetti, La divisione dei poteri, cit., 82 s., nota n. 5.

 

[39] Il presidente eletto conduce la sua politica ricercando l’appoggio del Congresso, prescindendo in molte circostanze dalla distinzione tra maggioranza e minoranza. Data la scarsa connotazione ideologica dei partiti e la diversa organizzazione degli stessi all’interno dei singoli stati, si comprende come la funzione oppositoria venga esercitata di volta in volta da alcune frange di parlamentari, in rappresentanza di interessi territoriali e settoriali, senza pretesa di omogeneità. Cfr. g. de vergottini, Diritto costituzionale comparato, cit., 647.

 

[40] Cfr. L. Elia, Governo (forme di), cit., 670.

 

[41] La Francia continua ad essere considerata il prototipo di questa forma di governo, ma la tipologia dei sistemi semi-presidenziali è abbastanza ampia, tanto che M. Volpi, Esiste una forma di governo semipresidenziale? in l. Pegoraro-a. Rinella (a cura di), Semipresidenzialismi, cit., 25 ss. pone la necessità di introdurre le sottoclassificazioni del tipo, come avviene per la forma di governo parlamentare.

 

[42] Cfr. G. De Vergottini, Diritto costituzionale comparato, cit., 662. L’opposizione resta complessivamente un’istituzione debole, non può imporre inchieste, non ha la presidenza di alcuna commissione, non viene consultata nelle decisioni più delicate.

 

[43] La nozione di forma di governo neo-parlamentare è nata dall’osservazione della riforma attuata nello Stato d’Israele per razionalizzare il sistema parlamentare. È discussa inece l’appartenenza a questa categoria della forma di governo comunale e regionale italiana, da quando nel 1993 la legge n. 81 ha previsto l’elezione diretta del sindaco, nel 1999 la legge cost. n. 1 ha introdotto l’elezione diretta del Presidente nelle regioni ordinarie e infine, nel 2001 la legge cost. n. 2 ha esteso questa regola alle regioni speciali. Cfr. T.E. Frosini, Forma di governo comunale e sistema elettorale, in Giur. cost. 1994, n. 6, ora in Forme di governo e partecipazione popolare, Torino, Giappichelli, 2003, 155 ss.; Id., Sulla forma di governo delle Regioni ordinarie e speciali, ivi, 214 ss.; C. Fusaro, Le forme di governo regionale, in s. Carli-c. Fusaro, Elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e autonomia statutaria delle regioni, Bologna, Il Mulino, 2002, 138 ss.: S. Ceccanti, La forma neoparlamentare di governo alla prova  della dottrina e della prassi, in Quad. cost. 2002, 107 ss.; P. Pinna, Il diritto costituzionale della Sardegna, Torino, Giappichelli, 2003, 123 ss.

 

[44] In Israele, dove il neo-parlamentarismo è stato introdotto nel 1992, dopo le elezioni il Premier procedeva alla formazione del governo entro 45 giorni; in caso di insuccesso si faceva luogo ad elezioni speciali che investivano solo il Primo ministro; se nuovamente non riusciva a formare un governo non poteva partecipare alle nuove elezioni speciali. Se invece la compagine ministeriale non otteneva la fiducia le nuove elezioni speciali riguardavano sia il premier che l’Assemblea. Questa complessa procedura, prevista dalla legge Fondamentale sul Governo, dimostra che l’elezione del Primo ministro non risolve i problemi di formazione e stabilità dell’esecutivo in un Paese dove i partiti continuano a dominare la virta del Governo e la Knesset conserva un ruolo centrale, perché tra l’altro decide in via esclusiva sul suo scioglimento. Cfr. S. Baldin, La forma di governo dello Stato d’Israele, in l. Pegoraro-a. Rinella (a cura di), Semipresidenzialismi, cit., 288 ss. Secondo G. Sartori, Ingegneria costituzionale comparata, Bologna, Il Mulino, 1998, 128 ss., la riforma non avrebbe modificato nella sostanza la forma di governo parlamentare. Prendendo atto delle insufficienza della riforma il legislatore israeliano ha recentemente modificato questa complessa procedura, disponendo che l’elezione diretta riguardi solo il Premier. Il nuovo sistema prevede elezioni suppletive per il Primo ministro solo in caso che venga votata una mozione di censura da parte di due terzi del parlamento o per la morte, l’incapacità permanente e la rimozione dalla carica per reati gravi del premier. Cfr. E. Ottolenghi, Le elezioni israeliane e la riforma della riforma, in Quad. cost. 2001, 370 ss.

 

[45] Questo avviene ad esempio nella forma di governo comunale, ma non nella forma neo-parlamentare israeliana. Cfr. G. Sartori, Ingegneria costituzionale comparata, cit., 129.

 

[46] Cfr. G. Amato, Il dilemma del principio maggioritario, cit., 175, secondo il quale ad una certa concezione del potere limitato corrisponda una particolare applicazione del principio maggioritario.

 

[47] Cfr. H. Kelsen, Essenza e valore della democrazia, cit., 39 ss., che considera il rapporto tra libertà e autorità come il  dilemma centrale della democrazia.

 

[48] Cfr. G. Amato, Il dilemma del principio maggioritario, cit., 172.

 

[49] Cfr. M. Galizia, Studi sui rapporti fra Parlamento e Governo, cit., 147, nota 25.

 

[50] Cfr. G. Guarino, Lo scioglimento delle Assemblee parlamentari, cit., 20. Nello stesso senso C. Schmitt, Le categorie del politico, cit., 108 ss.

 

[51] Rousseau partiva da un altro presupposto fondamentale, quello che la società fosse omogenea. Cfr. J.J. Rousseau, Il contratto sociale, cit. libro secondo, cap. I e libro quarto, cap. II. e cap. XV, 39, 105 s.

 

[52] Cfr. A. Pizzorusso, Minoranze e maggioranze, cit., 28 ss. L’idea che il potere della maggioranza debba prevalere sulla minoranza per la maggior forza che la prima può esercitare risale ad T. Hobbes, Leviathan, (1651), trad. it., Il Leviatano, Firenze, La nuova Italia, 1976, ma le applicazioni di questa sono antecedenti e numerose nella storia. Cfr. E. Ruffini, Il principio maggioritario, Milano, Adelphi, 1976, 42 ss.; C. Schmitti, Verfassungslehre, (1928), trad. it., Dottrina della costituzione, Milano, Giuffrè, 1984, 366 ss.

 

[53] Il concetto è espresso chiaramente da j. Madison, The Federalist, (1788), trad. it., Il Federalista, Pisa, 1955, 57 ss. Nel suo Democratie en Amerique, trad. it., La democrazia in America, II, Torino, Bollati Boringhieri, 1968, 77 ss. A. De Tocqueville affida alle associazioni, alla religione e all’autonomia locale il compito di rimediare agli eccessi della regola maggioritaria.

 

[54] L’origine di questo principio è pragmatica, come spiega G. Sartori, Democrazia e definizioni, Bologna, Il Mulino, 1957, 143 ss. Nell’opera Considerations on Representative Government, (1861) J. Stuart Mill, citato in D. Fisichella (a cura di), La rappresentanza politica, Milano, Giuffrè, 1983, 124 ss., afferma che “Il governo rappresentativo consiste nel controllo fondamentale del potere che il popolo, od una parte numerosa di esso, esercita attraverso l’elezione periodica di deputati”. Questo controllo viene esercitato dall’assemblea rappresentativa, che nello svolgimento di questa funzione garantisce la libertà della nazione.

 

[55] Cfr. H. Kelsen, Essenza e valore della democrazia, cit., 94 ss.; G. Sartori, Democrazia e definizioni, cit. p. 15 ss. E.W. Bockenforde, Democrazia e rappresentanza, in Quad. cost. 1985, 227 ss. Secondo l’A. la democrazia è una forma di organizzazione dell’autorità che non può fare a meno della rappresentanza, il cui compito è quello di dare stabilità al potere di comando dei rappresentanti sottoponendoli però a processi di legittimazione e di controllo democratici.

 

[56] Sulle incongruenze e i limiti del principio di maggioranza cfr. N. Bobbio, La regola di maggioranza: limiti e aporie, in n. Bobbio-C. Offe-S. Lombardini, Democrazia, maggioranza e minoranze, Bologna, Il Mulino, 1981, 33 ss., il quale fa notare come la democrazia non sia sovrapponibile al principio maggioritario.

 

[57] Cfr. V. Frosini, Maggioranza e minoranza nelle Assemblee rappresentative, in V. Conti-E. Pii, Gli aspetti sociali delle istituzioni rappresentative, Firenze, Centro editoriale toscano, 1987, 15.

 

[58] Cfr. P. Haberle, Die Wesensgehaltgarantie des Art. 19 Abs. 2 Grundgesetz (1983), trad. it., Le libertà fondamentali nello Stato costituzionale, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1993; A. Baldassarre, I diritti fondamentali nello Stato costituzionale, in Scritti in onore di Alberto Predieri, II, cit., 63 ss.

 

[59] Sul principio maggioritario e le sue applicazioni cfr. P. Favre, La decision de majorité,  (1976), trad. it., La decisione di maggioranza, Milano, Giuffrè, 1988; A. Pizzorusso, Minoranze e maggioranze, cit., 3 ss.; G.U. Rescigno, Democrazia e principio maggioritario, in Quad. cost. 1994, 187 ss.; G. Amato, Il dilemma del principio maggioritario, cit., 172; A. Lijphart, Democracies. Patterns of Majoritarian and Consensus Government in Twenty-One Countries, (1984), trad. It., Le democrazie contemporanee, Bologna, Il Mulino, 1988, 11 ss. T.E. Frosini, Sovranità popolare, principio maggioritario e riforme istituzionali, in Dir. soc. 1995, 466 ss.

 

[60] La distinzione tra rappresentanza proporzionale/maggioritaria e sistema politico consensuale/maggioritario è spiegata molto chiaramente da g.u. rescigno, Democrazia e principio maggioritario, cit., 206. Alla dimensione elettorale-partitica e a quella del sistema governo può aggiungersi una terza dimensione di analisi, quella dell’organizzazione statale, che comprende i rapporti centro-periferia e che, ad esempio, in un sistema maggioritario dovrebbe prevedere un’influenza gerarchica della maggioranza nazionale su quelle locali. Cfr. S. Fabbrini, Quale democrazia. L’Italia e gli altri, cit., 13.

 

[61] Cfr. R.A. Dahl, Democracy and its critics, (1989), trad. it., La democrazia e i suoi critici, Roma, Editori riuniti, 1997, 223; a. pizzorusso, Minoranze e maggioranze, cit., 25 ss. T.E. Frosini, Sovranità popolare, principio maggioritario e riforme istituzionali, cit., 466.

 

[62] Cfr. G. Amato, Il dilemma del principio maggioritario, cit., 177 s. La lotta contro il maggioritario fu, come ricorda N. Bobbio, La regola di maggioranza: limiti e aporie, cit., 34 ss., una lotta contro la massa, la maggioranza, e non contro il meccanismo maggioritario.

 

[63] Cfr. H. Kelsen, Essenza e valore della democrazia, cit., 98. Il bisogno di integrazione politica, che si diffonde ra giuristi e filosofi tedeschi dopo i primi decenni del XX secolo, fu interpretato in modo assai diverso da C. Schmitti, Dottrina della costituzione, cit., 48 ss., il quale esprime un giudizio negativo sulle oscurità e i compromessi della costituzione di Waimar, mentre esalta le costituzioni in cui è contenuta una chiara decisione circa la forma politica di uno Stato. A proposito del parlamentarismo egli ricorda che è un metodo di integrazione applicabile solo alla società borghese, che assicura un labile equilibrio di forme politiche, identità e rappresentanza, ivi, 270 ss.

 

[64] Cfr. H. Kelsen, Essenza e valore della democrazia, cit., 102.

 

[65] Cfr. M. Cotta, Parlamenti e rappresentanza, cit., 316 ss.

 

[66] Nel pensiero liberaldemocratico l’impostazione data da Kelsen ai rapporti tra maggioranza e minoranza parlamentare ebbe grande seguito, con l’eccezione di O. Kirchheimer, Il tramonto dell’opposizione, cit., 262 ss., il quale considerò un segno di declino dell’opposizione gli accordi di compromesso che reggevano alcuni dei governi delle democrazie europee del secondo dopoguerra.

 

[67] Il parlamentarismo ottocentesco credeva nel government by discussion come metodo per individuare l’interesse nazionale, che a sua volta era presupposto e legato a una società omogenea.

 

[68] La distinzione è stata posta da G. Leibholz, Die Representation in der Demokratie Parteienstaat und reprasentative demokratie, (1973), trad. it., La rappresentazione nella democrazia, Milano, Giuffrè, 1989, 70 ss.

 

[69] Cfr. G. Zagrebelsky, La sovranità e la rappresentanza politica, in Accademia Nazionale dei Lincei, Lo stato delle istituzioni italiane. Problemi e prospettive, Milano, Giuffrè, 1994, 85 ss.

 

[70] Cfr. G. Pitruzzella, Forme di governo e trasformazioni della politica, cit., 25.

 

[71] La sequenza dei processi di inclusione/contestazione si trova descritta in R. Dahl, Poliarchia, cit., 54 ss. Per esempio gli Stati Uniti hanno acquisito una notevole pratica nella tolleranza del dissenso prima di estendere il suffragio, mentre l’Italia ha seguito la sequenza inversa. Un approccio analogo, riferito alla sequenza crisi di legittimazione/crisi di suffragio si trova in D. Fisichella, Sviluppo democratico e sistemi elettorali, cit., 11 ss.

 

[72] Le differenze riguardano, quindi, il modo di organizzare le elezioni e le istituzioni preposte ad assicurare un governo democratico. Cfr. A. Lijphart, Le democrazie contemporanee, cit., 12, il quale riprende da R.A. Dahl, Poliarchia, cit., 29, le 8 garanzie istituzionali della democrazia: libertà di costituzione e di adesione ad organizzazioni, libertà di espressione, diritto di voto, eleggibilità alle cariche pubbliche, diritto dei leader politici di competere per il governo, fonti alternative di informazione, elezioni libere e corrette, esistenza di istituzioni che rendano le politiche alternative dipendenti dal voto e da altre espressioni di preferenza.

 

[73] Cfr. M. Cotta, Parlamenti e rappresentanza, cit., 310.

 

[74] Una parte della dottrina rimane ferma nel considerare i partiti estranei alla classificazione delle forme di governo, pur riconoscendo il rilievo del sistema politico per l’evoluzione dell’assetto degli organi politici. Cfr. G. Amato, Forme di Stato e forme di governo, cit., 31.

 

[75] Cfr. L. Elia, Governo (forme di), cit., 645 ss., che riprende la classificazione del sistema dei partiti di g. sartori, Partiti e sistemi di partito, Firenze, Editrice universitaria, 1968, 16 ss.

 

[76] Cfr. C. Chimenti, Noi e gli altri, L’ordinamento italiano, Torino, Giappichelli, 2000, 40 ss.

 

[77] Cfr. G. De Vergottini, Diritto costituzionale comparato, cit., 461 ss.

 

[78] Cfr. P. Ridola, Diritti di libertà e costituzionalismo, cit., 128 ss., il quale osserva poi che il governo parlamentare è stato sostanzialmente strutturato per consentire l’influenza delle forze politiche. Non diversamente si pone quella dottrina che giustifica la molteplicità degli esiti ai quali può dar luogo la forma di governo parlamentare con la sua adattabilità a elementi del sistema politico. Cfr. L. Elia, Governo (forme di), cit., 643 s.

 

[79] Cfr. L. Primicerio, Forme di governo parlamentare e modelli di democrazia rappresentativa, Torino, Giappichelli, 2002, 36. Secondo l’A. questo criterio precede e modella quello dei rapporti tra organi nella classificazione di tutte le forme di governo dello Stato democratico.

 

[80] Su questa distinzione si veda ancora P. Ridola, Diritti di libertà e costituzionalismo, cit., 136 ss.

 

[81] Cfr. T.E. Frosini, Forme di governo e partecipazione popolare, cit., 3 ss.

 

[82] Ibidem, 36 s.

 

[83] Cfr. L. Primicerio, Forme di governo parlamentare e modelli di democrazia rappresentativa, cit., 60 ss.

 

[84] Ibidem, 64.

 

[85] Più avanti vedremo perché in un sistema parlamentare è difficile bilanciare le due funzioni.

 

[86] Anche in Inghilterra, dove si è realizzato spesso uno schema di tipo presidenziale, è possibile che avvenga la sostituzione parlamentare del primo ministro, com’è avvenuto con la Sig.ra Thatcher, senza ricorso al corpo elettorale. Sostituzione che non è invece realizzabile in un sistema presidenziale.

 

[87] Com’è noto nelle schede elettorali è apparso, per la prima volta, il nome del leader, collegato al simbolo dello schieramento.

 

[88] Le due forme di governo hanno in comune un capo dell’esecutivo che emana dal voto, ma permangono le differenze legate al fatto che nel sistema neo-parlamentare la sostituzione del premier avviene necessariamente con le elezioni, mentre nel parlamentarismo responsabile ciò non è sempre vero. Inoltre, nel sistema neo-parlamentare prevale una democrazia d’investitura, nella qiale la scelta dell’indirizo è rimessa al capo del governo, mentre nel parlamentarismo responsabile si può realizzare una democrazia d’indirizzo, nella quale la scelta cade, oltre chè sul premier, sul programma e la coalizione di governo. Sulle differenze tra parlamentarismo, neo-parlamentarismo e semipresidenzialismo cfr. A. Cantaro, (Semi)presidenzialismo e governo del primo ministro: rappresentanza e forma di governo alla bicamerale, in R. Di Leo-G. Pitruzzella (a cura di), Modelli istituzionali e riforma della Costituzione, Bologna, Il Mulino, 1999, 297 ss.

 

[89] La distinzione fu posta in origine da M. Duverger, La République des citoyens, Paris, 1982, 41 ss., per differenziare le forme di governo in ragione del ruolo giocato dai partiti nella designazione del governo. La modellistica della democrazia conosce un’altra importante dicotomia, quella basata sulla copia democrazia-maggioritaria/democrazia consensuale, che è stata collegata dal suo autore ai caratteri della società politica, con cultura politica omogenea quella dei sistemi maggioritari, con cultura politica eterogenea i sistemi consensuali. Cfr. A. Lijphart, Le democrazie contemporanee, cit., 11 ss.

 

[90] Così, quasi testualmente, l. Primicerio, Forme di governo parlamentare e modelli di democrazia rappresentativa, cit., 88 ss.

 

[91] Ibidem, 20 ss. Dipende poi dal singolo contesto politico e istituzionale il fatto che la scelta del Premier preceda quella della coalizione e del programma, dando luogo a una democrazia d’investitura, o sia un tutt’uno con questi elementi, formando la democrazia d’indirizzo. Cfr. A. Barbera, Una riforma per la Repubblica, cit., 226 ss.

 

[92] Cfr. G. Pitruzzella, Forme di governo e trasformazioni della politica, cit., 29 ss. Il tema del confronto tra democrazia rappresentativa e plebiscitaria è stato trattato da E. Fraenkel, Die reprasentative und die plebiszitare Komponente im demokratischen Verfassungsstaat, (1958), trad. it., La componente rappresentativa e plebiscitaria nello Stato costituzionale democratico, Torino, Giappichelli, 1994, 39 ss.

 

[93] Critico sulla funzionalità dei sistemi misti G. Sartori, Ingegneria costituzionale comparata, cit., 88 ss. per quanto riguarda l’Italia, dopo tre esperienze elettorali con la formula prevalentemente maggioritaria, si può constatare come nonostante il carattere misto, abbia finito col prevalere una notevole di sproporzionalità del sistema, nel semso che la distorsione voti-seggi è stata abbastanza elevata. Cfr. E. Melchionda, L’alternanza prevista. la competizione nei collegi uninominali, in Riv. it. sc. pol. 2001, 406 ss.

 

[94] Ibidem, 92 ss. Il riferimento è soprattutto alla Spagna e alla Grecia.

 

[95] Cfr. L. Elia, Governo (forme di), cit., 642; M. Volpi, Le forme di governo contemporanee tra modelli teorici ed esperienze reali, in S. Gambino, (a cura di) Democrazia e forme di governo, Rimini, Maggioli, 1997, 38. L’identificazione del governo con la maggioranza può essere più o meno intensa a seconda della coesione della/e forza/e politica/che maggioritaria/e.

 

[96] Cfr. V. Angiolini, Le braci del diritto costituzionale ed i confini della responsabilità politica, in Riv. dir. cost. 1998, 57 ss. Il contenuto del giudizio di responsabilità è oggetto di riflessione ed è un problema aperto delle democrazie. Le regole dei giudizi di responsabilità prescrivono, innanzitutto, la pubblicità dell’azione politica, che consente la formazione del giudizio. In secondo luogo intervengono le garanzie della libertà personale, a difendere l’autonomia della valutazione e della scelta politica. I sistemi democratici stabiliscono, infine, la periodicità del voto, attraverso il quale si esprime il giudizio di valore sull’operato dei governanti, con la conseguenza di determinarne la conferma o la sostituzione. Cfr. E.W. Bockenforde, Democrazia e rappresentanza, cit. 245. Sui rapporti tra responsabilità e responsvità cfr. D. Fisichella, Introduzione, in D. Fisichella (a cura di), La rappresentanza politica, cit., 21 ss.

 

[97] Cfr. D. Fisichella, Introduzione, in La rappresentanza politica, cit., 10.

 

[98] Cfr. O. Massari, Natura e ruolo delle opposizioni politico-parlamentari, cit., 31.

 

[99] In questo gruppo vi sono ordinamenti con un partito di centro permanentemente al governo, come quello italiano, e altri che si basano su un’ampia partecipazione delle forze politiche al governo, con minoranze anche numericamente residuali, come accadeva in Austria fino al 1966 e dal 1987 al 1999. Sostanzialmente si tratta di due dei quattro casi considerati nel tipo della forma di governo parlamentare a multipartitismo moderato da L. Elia, Governo (forme di), cit., 654 ss. Il parlamentarismo a multipartitismo moderato conserva i requisiti di stabilità del sistema inglese, ma impedisce alle consultazioni elettorali di funzionare da congegno per la messa in opera della responsabilità del partito di maggioranza e di opposizione; quello a multipartitismo esasperato sacrifica sia la stabilità che la responsabilità del governo.

 

[100] La dinamica delle coalizioni di governo è oggetto di analisi da parte della scienza politica. Cfr. A. Pappalardo, Partiti e governi di coalizione in Europa, Milano, Franco Angeli, 1978.

 

[101] Il fenomeno è tipico del governo parlamentare a multipartitismo estremo. Cfr. L. Elia, Governo (forme di), cit., 654 ss.

 

[102] Cfr. S. Fabbrini, Quale democrazia. L’Italia e gli altri, cit., 19 ss.

 

[103] Cfr. C. Chimenti, Addio prima Repubblica, cit., 19 ss.

 

[104] Cfr. M. Duverger, La nostalgie de l’impuissance, Paris, Albin Mochel, 1988, G. De Vergottini, Opposizione parlamentare, cit., 544 ss.

 

[105] L’Olanda è stata per anni il simbolo del modello consensuale, nel quale l’opposizione diviene una componente residuale delle larghe coalizioni, fino a che negli anni ’70 il partito socialista non ha avviato una strategia competitiva che ha in parte attenuato la logica collaborativi del sistema politico, che ricorre ancora a coalizioni ampie, ma tende a una ridotta polarizzazione. Il sistema partitico belga si articola in tre gruppi, socialista, democristiano e liberale. I democristiani, con poche eccezioni hanno occupato il centro e formano le coalizioni con gli altri partiti, coalizioni complicate dalla divisione territoriale fra Fiamminghi e valloni. In Austria vi è stato un alternarsi di pratiche consociative e di governi dell’alternanza. Cfr. S. Fabbrini-S. Vassallo, Il Governo, cit., 98 ss.; L. Elia, Governo (forma di), cit., 653, A. Lijphart, Le democrazie contemporanee, cit., 68 ss.

 

[106] Vi è inoltre la possibilità che sia il Parlamento a porsi in posizione di preminenza nei confronti dell’esecutivo, ma questa ipotesi appare di difficile individuazione empirica nelle democrazie parlamentari contemporanee. In passato questa situazione si è verificata in alcuni periodo della storia francese e italiana. Cfr. G. De Vergottini, Diritto costituzionale comparato, cit., 461 ss; S. Tosi, Regime parlamentare e regime assembleare (per un ammodernamento di antichi modelli definitori), in Studi per il XX anniversario dell’Assemblea Costituente, IV, Firenze, Vallecchi, 1969, 599 ss.

 

[107] Questa possibilità si verifica quando esistono dei partiti che, pur essendo esclusi dalle coalizioni di governo, appoggiano la maggioranza in parlamento, com’è avvenuto ripetutamente nella storia dei governi italiani. Cfr. A. Manzella, Intervento alla tavola rotonda su La forma di governo dell’Italia odierna, in Quad, cost. 1991, 21 s. Cfr., Fabbrini-Vassallo, Il Governo, cit., 39.

 

[108] Per un’efficace descrizione delle cause del declino dell’opposizione in alcuni regimi parlamentari europei del dopoguerra cfr. O. Kirchheimer, Il tramonto dell’opposizione politica, cit., 262 ss.

 

[109] Cfr. L. Mezzetti, Opposizione politica, cit., 357 ss.; S. Sicardi, Maggioranza, minoranze e opposizione nel sistema costituzionale italiano, cit., 72 ss.

 

[110] Si tratta delle funzioni di “dissenso” e “limite” di cui parla G. De Vergottini, Opposizione parlamentare, cit., 536 ss.

 

[111] Sugli sviluppi dell’opposizione inglese cfr. G. De Vergottini, Lo “Shadow Cabinet”, cit., 49 ss.; Id., Opposizione parlamentare, cit., 538 ss.

 

[112] In Inghilterra sono presenti più di due partiti, ma due sono i partiti che contano, laburisti e conservatori, in virtù di una formula elettorale che premia il vincitore e sottorappresenta gli altri partiti. Tuttavia, se si considera la consistenza dei due partiti più importanti, è abbastanza normale che la maggioranza di governo si formi sulla base della maggioranza relativa dei voti. Cfr. C. Chimenti, Noi e gli altri. Sintesi di ordinamenti stranieri. Gran Bretagna, Stati Uniti, Germania, Torino, Giappichelli, 2000, 12 ss.; A. Lijphart, Le democrazie contemporanee, cit., 15.

 

[113] Cfr. P. Ridola, Diritti di libertà e costituzionalismo, cit., 155 ss. Il comportamento dell’elettorato inglese risponde a logiche definite “negoziali”, nel senso che l’elettore percepisce il processo politico come rivolto alla soluzione pragmatica dei problemi e conseguentemente si esprime su di essi, al momento del voto, tenendo conto delle conseguenze pratiche a cui conducono le soluzioni proposte dai diversi partiti. L’atteggiamento opposto è quello “dogmatico”, tipico dell’elettorato e dei processi politici ideologicamente determinati. Cfr. D. Fisichella, Sviluppo democratico e sistemi elettorali, cit., 65 ss. Il primo atteggiamento facilita il giudizio di responsabilità dell’elettore, che non è mai aprioristico, ma piuttosto viene dato a posteriori e riguarda la concreta soluzione di problemi politici.

 

[114] Sul ruolo del Premier e sull’organizzazione del governo inglese cfr. L. Elia, Governo (forme di), cit., 644 ss.; G. De Vergottini, Diritto costituzionale comparato, cit., 621 ss., con ampi riferimenti bibliografici. Sugli sviluppi del rapporto Premier-partito cfr. G. Caravale, Accountability del Premier conservatore alla luce di due recenti episodi, in Rass. parl. 1996, 497 ss.

 

[115] La perdita di poteri decisionali del Parlamento a vantaggio del Cabinet ha indotto gli elettori già alla fine del 1800 a votare il partito, che ha la possibilità e la responsabilità, in caso di vittoria, di controllare la politica legislativa ed esecutiva. Cfr. O. Massari, Gran Bretagna: un sistema funzionale al governo di partito responsabile, in o. Massari-G. Pasquino, Rappresentare e governare, Bologna, Il Mulino, 1994, 25 ss.

 

[116] Nei sistemi parlamentari competitivi il voto di sfiducia è usato raramente ed è poco efficace, perché i parlamentari della maggioranza hanno interesse a proteggere il governo, così da consentirgli di realizzare il suo programma e da assicurargli il successo che costituisce la garanzia della loro rielezione. Cfr. Fabbrini-Vassallo, Il Governo, cit., 38

 

[117] Cfr. M.E. Gennusa, La posizione costituzionale dell’opposizione, cit., 73 ss. che individua due “statuti” distinti, uno dell’Opposizione e uno delle minoranze parlamentari.

 

[118] Cfr. G. De Vergottini, Opposizione parlamentare, cit., 549 ss.; C. Chimenti, Noi e gli altri. Sintesi di ordinamenti stranieri. Gran Bretagna, StatiUniti, Germania, cit., 20.

 

[119] Il sistema parlamentare inglese ha dotato il Governo e il Premier di reali poteri di indirizzo e degli strumenti per la sua realizzazione; la procedura parlamentare è funzionale a questa logica e lascia poco spazio all’ostruzionismo. Cfr. C. Chimenti, Noi e gli altri, Sintesi di ordinamenti stranieri. Gran Bretagna, StatiUniti, Germania, cit., 9 ss.

 

[120] In Germania e Italia vi sono stati tentativi di imitazione del governo ombra. Cfr. L. Mezzetti, La forma di governo tedesca, cit., 180. P.L. Lucifredi, Appunti di diritto costituzionale comparato, Il sistema tedesco, Milano, Giuffrè, 2001, 76; M. Carducci, Un nuoo modello di organizzazione dell’opposizione parlamentare: il”Governo ombra del PCI”, in Pol. dir. 1990, 612 ss.

 

[121] I partiti italiani, dopo la svolta degli anni ’90, sono più numerosi e di dimensioni diverse, ma comunque si assestano su due poli contrapposti. Cfr. S. Fabbrini, Quale democrazia. L’Italia e gli altri, cit. 33 ss. Il sistema partitico tedesco è sostanzialmente bipolare, imperniato su due grandi partiti-socialdemocratici e democristiani- a cui se ne affiancano almeno altri tre di minore consistenza: liberali, verdi ed ex comunisti. Alla costruzione di un sistema omogeneo ha contribuito il fatto che i partiti antisistema sono stati esclusi dalla competizione elettorale grazie alla clausola dell’art. 21, applicata dal Tribunale federale nel 1952 e 1956 contro il SRP e il KPD. P.L. Lucifredi, Appunti di diritto costituzionale comparato, Il sistema tedesco, cit., 91 ss. Il sistema spagnolo appare dominato da due partiti, uno socialista e uno conservatore, attorniati da altre formazioni minori, ma che non sembrano in grado di esercitare un potere di ricatto. Il partito simpatizzante dell’ETA, Batasuna, è stato recentemente dichiarato illegale dal Tribunale costituzionale a seguito dell’attivazione  della procedura prevista dalla legge organica n. 2 del 2002. Cfr. I. Nicotra, La nuova legge organica sui partiti politici in Spagna al primo banco di prova: il procedimento di “illegalizzazione” di Batasuna, (4 ottobre 2002), in Forum on line dei Quad. cost. Sui sistemi spagnolo e tedesco cfr. C. Chimenti, Noi e gli altri, Sintesi di ordinamenti stranieri. Spagna, Francia, Austria. Torino, Giappicchelli, 2001, 11 e Gran Bretagna, StatiUniti, Germania, cit., 97 s.; De Vergottini, Diritto costituzionale comparato, cit., 666 ss.

 

[122] Sulla costruzione dei modelli democratici cfr. A. Lijphart, Le democrazie contemporanee, cit., 69 ss. Nella dottrina italiana cfr. F. Lanchester, Riflessioni sulle innovazioni istituzionali ed i pericoli delle “democrazie a basso rendimento”, in Quad. cost. 1995, 145 ss. Ricerche politologiche recenti mostrano una certta insoddisfazione per la distinzione tra due modelli di democrazia, che necessitano di essere meglio precisati e contestualizzati. Cfr. S. Bartolini, Democrazia dell’alternanza e democrazia consociativa, in Associazione per gli Studi e le Ricerche Parlamentari, Quaderno n. 10, Seminario 1999, Torino, Giappicchelli, 2000, 59 ss.

 

[123] Il binomio regole per eleggere-regole per governare è usato da G. Pitruzzella, Verso una democrazia maggioritaria: ambiguità e limiti dell’ingegneria costituzionale in Italia, in R. Di Leo-G. Pitruzzella, (a cura di) Modelli istituzionali e riforme della costituzione, cit., 332.

 

[124] In Spagna ad esempio, vige un sistema elettorale proporzionale, ma i suoi effetti sono molto simili quelli di una formula maggioritaria per via delle ridotte dimensioni dei collegi, della formula D’Hondt, della soglia di sbarramento del 3% e infine del tipo di lista utilizzata, chiusa e bloccata, che favorisce la personalizzazione del voto nei confronti del capolista. Cfr. T. Groppi, Sistemi elettorali e forma di governo: il caso spagnolo, in S. Gambino, Forme di governo e sistemi elettorali, cit., 117 ss.; M. Caciagli, Spagna: proporzionale con effetti (finora) maggioritari, in O. Massari-G. Pasquino, Rappresentare e governare, cit., 129 ss. In Germania l’elettore ha due voti, uno per il collegio uninominale e l’altro per una delle liste regionali presentate dai partiti con candidature in ordine fisso, che servono ad eleggere l’altra metà dei membri del Bundestag.. L’effetto della contaminazione è di prevalenza degli elementi proporzionali, perché il secondo voto serve a determinare la vittoria della coalizione e per questo viene utilizzato dall’elettore, che conosce prima gli accordi tra partiti. Un altro fattore di cui tenere conto è la soglia di sbarramento del 5%. Cfr. L. Mezzetti, La forma di governo tedesca, cit., 178 s.; P.L. Lucifredi, Appunti di diritto costituzionale comparato, Il sistema tedesco, cit., 40 ss.; S. Mangiameli, La forma di governo parlamentare, Torino, Giappichelli, 1998, 33 ss.; C. Chimenti, Noi e gli altri, Sintesi di ordinamenti stranieri. Gran Bretagna, StatiUniti, Germania, cit., 98 s.

 

[125] Si tratta del rafforzamento del ruolo del Capo del Governo e dalla sfiducia costruttiva in Spagna; del controllo dei partiti e dalla sfiducia costruttiva in Germania, delle elezioni semimaggioritarie e dal ruolo del Capo dello Stato in Italia. Cfr. per la Spagna G. Ruiz.Rico Ruiz, Modelli di governo parlamentare razionalizzati: l’esperienza spagnola, in s. gambino, (a cura di) Democrazia e forme di governo, cit., 393 ss. Per la Germania cfr. V. Gotz, Modelli di governo parlamentare razionalizzati. Esperienza tedesca: modello costituzionale e prassi, ivi, 384; D. Schefold, Sistema elettorale e forma di governo in Germania, in M. Luciani-m. Volpi, (a cura di) Riforme elettorali, Roma-Bari, Laterza, 1995, 337 ss.

 

[126] Cfr. G. Lombardi, Modelli di governo parlamentare razionalizzato. Riflessioni introduttive, in S. Gambino, (a cura di) Democrazia e forme di governo, cit., 329. L’idea che la democrazia parlamentare possa ricevere beneficio dalla correzione dei meccanismi rappresentativi è assai diffusa nel pensiero costituzionale europeo. Cfr. H. Kelsen, Essenza e valore della democrazia, cit., 80 ss.; E.W. Bockenforde, Democrazia e rappresentanza, cit., 247 s.; P. Avril, Saggio sui partiti, cit., 118.

 

[127] Cfr. S. Cassese, Maggioranza e minoranze. Il problema della democrazia in Italia, Milano, Garzanti, 1995, 37 ss.; A. Lijphart, Le democrazie contemporanee, cit., 14 ss.

 

[128].Cfr. i dati aggiornati al 1998 di S. Fabbrini-s. Vassallo, Il Governo, cit., 73; S. Fabbrini, Il Principe democratico: la leadership nelle democrazie contemporanee, Roma-Bari, Laterza, 1999, 6 ss. Il riferimento alla Spagna e alla Germania è incentivato dal fatto che si tratti di Stati di notevoli dimensioni, con un passato di governi non democratici e una comune tradizione antimaggioritaria. L’instaurazione della democrazia maggioritaria come veicolo per l’alternanza e la designazione del Capo di governo sarebbe, secondo una recente ricostruzione, una tendenza in atto nelle democrazie europee di medie dimensioni, mentre quelle dei piccoli stati possono organizzare processi decisionali consensuali.

 

[129] Con la differenza che in Germania il Capo del Governo è un primo tra ineguali, mentre in Italia un primo tra eguali. Cfr. G. Sartori, Ingegneria costituzionale comparata, cit., 116 ss. Il ruolo del Cancelliere è definito dalla L.F. come preminente all’interno del Governo. L. Mezzetti, La forma di governo tedesca, cit., 186 ss. Diverso il discorso della Spagna, dove il bipolarismo si sta avvicinando sempre più al bipartitismo e i leader del Governo possono essere espressione di un solo partito. S. Fabbrini-s. Vassallo, Il Governo, cit., 90 ss. In Spagna la costituzione vincola la scelta del Presidente all’esito elettorale ed alla posizione dei partiti. Cfr. L.L. Guerra, Gli elementi che caratterizzano il potere esecutivo nella costituzione, in G. Rolla, (a cura di) Le forme di governo nei moderni ordinamenti policentrici, Milano, Giuffrè, 1991, 31 ss. Sul ruolo del Capo di governo nelle democrazie competitive cfr. S. Fabbrini, Il Principe democratico: la leadership nelle democrazie contemporanee, cit. La concentrazione di poteri nel capo dell’esecutivo, che segue all’elezione di fatto da parte del corpo elettorale del leader del maggiore partito, non si traduce necessariamente nel potere di scelta e revoca dei ministri e in quello di determinare le linee dell’indirizzo politico e dell’iniziativa legislativa, come avviene in Inghilterra. Infatti, il capo del governo, in contesti multipartitici bipolari, deve agire entro i limiti posti dalla coalizione che lo sostiene, entro la quale i partiti conservano un forte potere di condizionamento. Il caso inglese, assieme al presidenzialismo americano, costituisce l’esempio più chiaro di quella democrazia con leader che viene descritta da L. Cavalli, La democrazia con un leader, in Mondoperaio, 1990, n. 10, 72 ss., sulla base delle seguenti caratteristiche: concentrazione di potere nel capo dell’esecutivo, elezione popolare diretta in un contesto che contrappone persone e programmi personali piuttosto che partiti e programmi di partito, capo dell’esecutivo che è anche leader del partito maggioritario, capo del governo che sceglie i ministri, ha l’iniziativa legislativa e l’indirizzo politico, si rivolge direttamente al popolo, si presenta al popolo per la conferma nelle elezioni. I sistemi europei che riconoscono la preminenza del capo del governo sono per molti aspetti differenti da questi due modeli di democrazia, come si evince dalle osservazioni che seguono nel testo.

 

[130] Cfr. S. Bartole, Democrazia maggioritaria, in Enc. dir. Aggiornamento, V, Milano, Giuffrè, 2001, 354 ss.

 

[131] Cfr. R.A. Dahl, on Democracy, (1998), trad. it., Sulla democrazia, Roma-Bari, Laterza, 2000, 148.

 

[132] Qualcosa di simile è accaduto in Germania, dove il partito liberale si è alleato in passato sia con la CDU-CSU che con la SPD determinando l’alternanza al governo di questi partiti (nel 1969 e nel 1982). Cfr. G. De Vergottini, Diritto costituzionale comparato, cit. 676 ss.

 

[133] Per tutto l’800 la Germania non ebbe una opposizione parlamentare propriamente detta, ma piuttosto un opposizione antinazionale. L’ordinamento tedesco, per la sua impronta autoritaria, difficilmente avrebbe potuto tollerare un nemico interno al Reich. Cfr. A. Missiroli, I governi dell’opposizione: Gran Bretagna e Repubblica federale tedesca, in g. Pasquino (a cura di), Opposizione, governo ombra, alternativa, cit., 113 ss. In Germania come in Italia il comportamentoi dell’opposizione a livello legislativo è stato prevalentemente cooperativo, mentre si è caratterizzato in senso nettamente antagonista nelle decisioni di politica estera.

 

[134] Cfr. A.J. Sanchez Navarro, La oposicion parlamentaria, Madrid, Congreso de los Deputatos, 1997, 63 ss. Interrogazioni e interpellanze sono riservate alla firma di un certo numero di deputati in Germania. In Germania, a differenza dell’Italia, l’art. 44, Ic. LF, prevede che l’inchiesta possa essere disposta da una minoranza qualificata, ma la Commissione è formata in modo da rispettare la proporzionalità dell’Assemblea, e dunque l’attività della commissione rimane sottoposta alla maggioranza. Cfr. C. Chimenti, Noi e gli altri. Gran Bretagna, Stati Uniti,Germania, cit., 103. P.L. Lucifredi, Appunti di diritto costituzionale comparato, Il sistema tedesco, cit., 59 ss. In Spagna è prevista in Costituzione la Commissione d’inchiesta all’art. 76.1, la richiesta di informazioni, all’alrt. 109, la presenza dei membri del governo di fronte alle istanze parlamentari, all’att. 110 e la formulazione di interpellanze e domande all’art. 111. Cfr. L.L. Guerra, Considerazioni sulla preminenza del potere esecutivo, in G. Rolla, (a cura di) Le forme di governo nei moderni ordinamenti policentrici, Milano, Giuffrè, 1991, 90 s.

 

[135] L’art. 33, I c. del regolamento del Bundestag prevede che dopo l’intervento di un membro del governo venga sentita un’opinione dissenziente, che viene espressa dal capo dell’opposizione. Cfr. G. De Vergottini, Diritto costituzionale comparato, cit., 675.

 

[136] Cfr. l’art. 93, I co. n. 2 della LF che riconosce ad 1/3 dei membri del Bundestag la possibilità di ricorrere al Tribunale federale; l’art. 162 della Costituzione spagnola, che prevede il diritto di 50 senatori o deputati a ricorrere al Tribunale costituzionale; l’art. 140 della Costituzione austriaca, che riserva a un terzo dei membri del Consiglio nazionale un’identica prerogativa. In questo caso l’attività dell’opposizione assolve ad un ruolo di protezione della costituzione. Cfr. L. Mezzetti, Opposizione politica, cit., 354 s. Id., La forma di governo tedesca, cit., 182. P.L. Lucifredi, Appunti di diritto costituzionale comparato, Il sistema tedesco, cit., 85 ss.