N. 3 – Maggio 2004 – Memorie

 

 

Francesco Artizzu

Università di Cagliari

 

 

 

Il particolarismo dei Giudicati

 

 

 

 

 

 

In questo colloquio "organizzare l'ordinamento" si è parlato di federalismo, di unioni nazionali, di città e leghe come mezzo di formazione dello Stato, di esperienze federalistiche in diversi Paesi d'Europa e di altri continenti, con riferimento a realtà passate e presenti.

Nel ripercorrere le istituzioni della Sardegna medievale si deve riconoscere che, almeno per l'età giudicale – della quale sono stato chiamato a riferire –, tali istanze sono quasi del tutto assenti.

Ciò per le particolari vicende politiche che l'Isola visse, per la sua posizione geografica, e fors' anche per il carattere dell'uomo sardo che dalle condizioni nelle quali è vissuto, è stato condotto a rinchiudersi in sé stesso, a considerar chiuso il suo piccolo mondo, a considerare più il proprio particulare e molto meno la possibilità di comunicare e collaborare con gli altri alla costruzione di una società diversa e migliore.

Mi propongo di ripercorrere, brevemente ma toccando i nodi più importanti, gli avvenimenti che hanno caratterizzato la storia della Sardegna giudicale allo scopo di mettere in risalto la peculiarità delle vicende dell'Isola e dei giudicati.

 

Dopo che Giustiniano riuscì – con una serie di guerre contro le popolazioni barbariche che si erano installate nell'Europa meridionale – a rinnovare l'unità della parte occidentale dell'Impero, che continuò a chiamarsi romano, anche se la capitale era ormai a Bisanzio, ed anche se la penisola italiana sarebbe stata riconquistata agli Ostrogoti dopo una guerra sanguinosa durata diciotto anni, la Sardegna, tolta ai Vandali, entrò a far parte delle sette provincie nelle quali era stata divisa l'Africa, e che erano poste sotto il governo di un Prefetto del Pretorio residente a Cartagine. Essa fu affidata, come la Numidia e la Mauritania, al governo di un Praeses  e di un Dux. Il primo, che ebbe la sua sede a Cagliari, fu preposto all'amministrazione civile, mentre il Dux,  che ebbe la sua sede a Forum Traiani - l'odierna Fordongianus – ebbe affidata l'amministrazione militare col comando delle milizie.  Lo stanziamento a Forum Traiani  trova spiegazione con la posizione geografica del sito, quasi passaggio obbligato, sulle sponde del medio Tirso, per le popolazioni stanziate nel centro dell'Isola use a scendere, fin dai tempi antichi, verso le pianure meridionali allo scopo di razziare bestiame, predare e distruggere messi e  uccidere quanti alla loro violenza si opponessero. Per ordine di Giustiniano tale  importante avamposto fu, secondo quanto afferma Procopio, cinto da mura. Ma nonostante ciò, afferma lo storico di Cesarea, «per i Maurusii stanziati nell'Isola che sono chiamati Barbaricini, in qualunque luogo stiano coloro che la vogliono saccheggiare, essa  (scil. Forum Traiani) si trova accessibile».

Con la riorganizzazione data da Giustiniano ai territori occidentali, la Sardegna rientrava, dopo la parentesi vandalica, nell'orbita della civiltà romano-bizantina.  Rare sono comunque le testimonianze della dominazione bizantina nell'Isola. Le fonti scritte tacciono quasi del tutto (si possono ricordare la professione di fede del vescovo di Sulci Eutalio, la iscrizione di Porto Torres); a testimonianza della presenza della cultura bizantina nell'Isola, emergono però ancor oggi dei reperti archeologici che gettano nuova luce su quei tempi lontani, e affiorano tuttora nel linguaggio parlato relitti di parole e di espressioni del greco bizantino che è possibile riscontrare anche nei sigilli e nei documenti più antichi, i quali ultimi ricordano molto da vicino, nell'impianto e nelle formule, i documenti bizantini.

Ho accennato a quelli che un insigne storico ha indicato come "barlumi dell'età bizantina in Sardegna". Dobbiamo ricordare che, a cavallo fra la fine della dominazione vandalica e il ritorno dell'Impero, l'Isola dovette contare almeno cinque sedi episcopali: Cagliari, Forum Traiani, Sulci, Turris Libissonis, Cornus, intono alle quali esistevano dei nuclei di città. Malgrado la presenza di queste cattedre vescovili, le città come tali andarono declinando fino a scomparire, e la decadenza e la scomparsa di esse comportò anche il rilassamento della fede cristiana se, durante il suo pontificato, il pontefice Gregorio Magno dovette inviare nell'isola il vescovo Felice e il monaco Ciriaco a svolgere opera di missione. Anche le epistole del grande pontefice contribuiscono a illuminare, pur se solamente in modo parziale, la condizione dell'isola. La Chiesa romana  era più vicina di Bisanzio, e il pontefice romano conosceva la situazione meglio di essa e scriveva ai vescovi per dare disposizioni, salvaguardare i beni della Chiesa, dirimere controversie. Da tali lettere apprendiamo anche i nomi di alcuni dei funzionari bizantini succedutisi nell'amministrazione dell'isola.

 

Quando l'ondata araba si rovesciò sulle sponde del Mediterraneo anche la Sardegna ebbe a soffrirne le conseguenze. Caduto nel 697 l'esarcato d'Africa, rimaste in mano ai nuovi dominatori le sponde dell'Africa dal Nilo all'Atlantico, conculcate le popolazioni berbere fieramente anelanti alla libertà ed in parte avvicinatesi al Cristianesimo, a Bisanzio rimasero la Sardegna e le isole Baleari esposte per più di due secoli alle incursioni dei Saraceni. Non è qui il caso di ripercorrere lo svolgimento di tali azioni predatrici essendo state esse illustrate egregiamente dall'Amari e, sulle orme di questo studioso, dal Besta. Le incursioni costrinsero le popolazioni rivierasche e gli abitanti di quelle poche e ormai decadute città, nelle quali avevano sede le cattedre vescovili – il solo vescovato di Forum Traiani era situato lontano dal mare – a ritirarsi nell'interno allo scopo di evitare, per quanto possibile, l'impatto con gli arabi. Dobbiamo anche ipotizzare, sulla scorta dei cronisti Arabi, su alcuni fatti particolari, su alcuni dati archeologici, che nell'isola si siano verificati insediamenti arabi, anche se di breve durata.

La presenza di Bisanzio era ancora viva e fino a un certo momento dovettero perdurare le istituzioni civili e militari create da Gioustiniano. è plausibile argomentare che i legami con l'Oriente siano rimasti vivi, se pure attenuati, almeno sino a quando gli Arabi non ebbero conquistata la Sicilia. Una volta trovatisi isolati, i Sardi cercarono e ottennero l'aiuto dei Franchi. Bonifacio II, figlio di Bonifacio I, conte di Lucca, già succeduto al padre nell'823, preoccupato anch'egli dalle incursioni e dalle scorrerie che i Saraceni compivano sulle coste della Tuscia, tentò, nel luglio- agosto dell'828, di contrastare, con una piccola flotta, il nemico agareno. Venne in Sardegna allo scopo di reclutare nocchieri sardi, e non avendo incontrato il nemico in mare si diresse verso l'Africa e sbarcò fra Utica e Cartagine. Le fonti cristiane parlano di una vittoria di lui, mentre per le fonti arabe egli sarebbe stato sconfitto. è da notare, a questo punto, che l'arruolamento di nocchieri provenienti dalla Sardegna fa pensare che esistessero rapporti fra la Sardegna e l'Africa.

La vita Hludovici parla di "amici sardi"  facendo intravvedere che tra la Sardegna, la quale nominalmente era sotto il dominio bizantino, e la Tuscia, che faceva parte del regno d'Italia, intercorrevano buoni rapporti. Le ultime testimonianze di tali rapporti risalgono all'838.

Ci troviamo in presenza di un'isola, la seconda per estensione nel Mediterraneo, abbandonata a sé stessa, che probabilmente, pur restando idealmente nell'ambito dell'Impero, è portata dalle congiunture temporali, storiche e politiche, ad autogovernarsi, a procurarsi alleanze fuori dal quadro politico – non possiamo dire con quale gradimento della potenza egemone – nel quale rientrava, ma  impedita ad agire in modo diverso perché ormai il cordone ombelicale che la legava a Bisanzio si era strappato. Per molti storici, cito fra tutti il Besta, il periodo che intercorre tra l'avvicinamento ai Franchi e la fine del Millennio sarebbe quello dell'indipendenza della Sardegna. Parlare di indipendenza è forse eccessivo, sarà forse più appropriato parlare di autonomia.

L'isolamento rese necessarie modificazioni dell'ordinamento interno. Un ìpatos, o console, aveva riunito in  sé le due funzioni di praeses e di dux , conglobandone i poteri e mantenendo, accanto al nuovo titolo il secondo dei due. Ricordiamo a tal proposito un sigillo risalente agli inizi del IX secolo che reca impressa la frase, cito in Italiano, «Madre di Dio soccorri il tuo servo Teodoto console e duca di Sardegna». Il duca e ìpatos di Sardegna assumeva in sé maggiori poteri civili e militari in conseguenza della difficile situazione creatasi nel Mediterraneo dopo che gli Arabi ebbero conquistato la Sicilia. Dopo la scomparsa di Ludovico il Pio, l'aiuto dei Franchi era venuto meno.

In alcune epistole pontificie di qesto periodo, indirizzate allo judex Sardiniae è lecito vedere in tale figura colui il quale radunava in sé poteri civili e militari. A lui i pontefici si rivolgevano con l'appellativo di celsitudo vestra, che in passato era usato nei confronti del Prefetto del Pretorio d'Africa. L'ìpatos che deteneva nell'isola il potere di tali prefetti, ormai scomparsi, prendeva anche il titolo di "arconte" cioè di comandante, che esercitava in autonomia la sua potestas.

è opinione pressocchè unanime degli storici che il primo ad assumere in sé il titolo di console e duca, o arconte, sia stato l'ultimo ufficiale bizantino presente nell'isola, o un appartenente alla sua famiglia. Trovandosi ormai isolato egli doveva, allo scopo di sopravvivere, organizzare la difesa e l'amministrazione dell'isola.

è probabile che, durante il periodo che chiamiamo dell'autonomia, l'amministrazione e il comando militare dell'isola si raccogliessero nelle mani della stessa persona; come è sicuro che in un certo momento si sia provveduto a dividere il territorio, secondo criteri di carattere geografico, economico e fors'anche etnico, in quattro parti che presero il nome di giudicati. Ciascuna di tali parti fu assegnata a un membro della famiglia da cui era uscito l'iniziatore del nuovo corso politico. Spia di tale fatto  è che i quattro giudici portavano tutti come cognome di famiglia quello di Laccon.

Altro elemento da tenere presente è che Brancaleone Doria, in una lettera indirizzata nel 1392 al governatore della Sardegna per conto del re d'Aragona, Giovanni di Montbuì, affermava orgogliosamente che la casa d'Arborea esercitava la sua signoria da cinquecento anni. Tale affermazione farebbe risalire la fondazione, e creazione, del giudicato al IX secolo. Evidentemente il marito di Eleonora d'Arborea si riferiva ad una tradizione che si tramandava in famiglia.

All'inizio del nuovo millennio, la Sardegna ci appare già divisa in quattro partes che vengono indicate come giudicati. Esse sono: la Gallura a Nord-Est, il Logudoro, o Torres, a Nord-Ovest, l'Arborea al centro, il giudicato di Cagliari, detto anche Pluminos, nella parte meridionale.

Si tratta di quattro signorie rurali, di carattere patriarcale, fondate su un'economia a carattere agrario e pastorale, di tipo curtense. Le affermazioni che precedono rispecchiano un processo storico; nessuna credibilità hanno i primi commentatori di Dante i quali fondarono la leggenda secondo la quale i quattro giudicati sarebbero stati creati da Pisa.

Quella dell'isola era una civiltà essenzialmente rurale; le città, che avrebbero potuto esercitare una funzione di aggregazione, erano del tutto scomparse; lo stesso nome di città esisteva per indicare l'antica Fausania o Fausina (Civita); anche Cagliari come l'avevano costruita Fenici e Romani e Bizantini era scomparsa. La sede del giudice era nella villa di Santa Igia, così come in piccole ville avevano sede le piccole corti della Gallura, del Logudoro, dell'Arborea. La storia della Sardegna medievale, è stato autorevolmente affermato, non è storia di città, essa è storia di villaggi.

Il giudice esercitava, a somiglianza dei praesides et iudices delle province dell'Impero romano, che erano tenuti a spostarsi  per singulos agros et loca sollicita inquisitione,  un' attività ambulatoria, spostandosi di villa in villa col suo seguito, allo scopo di amministrare la giustizia, dirimere controversie fra religiosi, partecipare a celebrazioni di culto, visitare chiese sulle quali, non di rado, esercitava il diritto di giuspatronato.

A giudicarlo dal di fuori e con atteggiamento superficiale, questo sembrerebbe un piccolo mondo arcadico nel quale gli uomini, quelli appartenenti al ceto infimo, come quelli appartenenti al ceto più alto, vivevano la loro vita quotidiana senza problemi, in una condizione di idillica tranquillità. Ma così non era; come se osservando una calma distesa di acqua dovessimo ignorare che al di sotto della superficie di essa si muovono e lottano esseri viventi.

Dalla attenta lettura di alcune schede del Condaghe di San Nicola di Trullas pare di notare, per esempio, una sorta di rivalità, non recente e forse risalente ai primordi del giudicato, tra la famiglia giudicale che deteneva il potere, e quella degli Athen, ricchi proprietari terrieri che si tengono quasi sempre lontani dal potere e, quando possono, lo contrastano.

Dalla lettura del condaghe di San Pietro di Silki è possibile rilevare rivolte di servi che rivendicano la loro libertà e l'atteggiamento di una sorta di clan familiare (la "isclatta de sos Varithos") che fortemente si oppongono all'autorità del monastero ed a quella giudicale. Non sono rari i casi di omicidio ed i casi di confezione di falsi documenti allo scopo di attestare una libertà mai ottenuta.

Ho citato alcuni episodi non ordinati cronologicamente. Ricorderò che in quella povera e arretrata società in cui, per esempio, la moneta era quasi scomparsa, il soldo aureo ed il tremisse venivano presi, negli acquisti e nelle vendite, solamente come punto di riferimento, riducendosi vendite e acquisti al primitivo baratto.

 

Quando sulla scena politica dei giudicati si presentarono i Pisani e i Genovesi ebbe inizio l'avvio verso la decadenza.

La prima presa di contatto delle repubbliche marinare con l'isola si manifestò con la presenza degli esponenti degli enti che soprintendevano all'amministrazione dei beni appartenenti alla genovese cattedrale di san Lorenzo ed alla cattedrale pisana intitolata a santa Maria. I giudici, furono larghi di donazioni di chiese con le loro dotazioni, di vaste estensioni di territorio comprendenti pascoli, bestiame, boschi,terre coltivate, corsi d'acqua e servi che su quelle terre vivevano la loro quotidiana fatica. La penetrazione che sollecitava il sentimento religioso di chi donava fu, si può dire, il preludio alla penetrazione commerciale e, successivamente, politica.

Gli esponenti di alcune grandi casate continentali sposarono figlie di giudici e divennero, essi stessi e i loro figli, giudici. Così abbiamo a Cagliari il marchese Guglielmo di Massa, i Visconti di Gallura, Enzo figlio di Federico II marito di Adelasia di Torres, vedova di un Visconti. L' Arborea perseguì quasi sempre una politica antipisana e filogenovese. A tale proposito è da ricordare la figura di Barisone d'Arborea che tentò, con l'aiuto dei Catalani diventati suoi alleati – un gruppo dei quali si trasferì in Arborea al seguito di Agalbursa di Bas che egli sposò nel 1157, dopo aver ripudiato la moglie Pellegrina di Laccon dalla quale aveva avuto molti figli – e con l'aiuto dei Genovesi, di allargare i confini del suo dominio fino alla conquista dell'isola, con una serie di guerre ai giudicati di Cagliari e di Torres che in parte, e temporaneamente, ebbero esito positivo. Barisone fu incoronato re di Sardegna nell'Agosto del 1164 in Pavia, da Federico Barbarossa ma questo "re da commedia" – così lo definisce Volpe – si trovò sommerso da un mare di debiti contratti – per pagare all'Imperatore l'incoronazione – con i Genovesi ed anche con i Pisani; tali debiti egli non  riuscì ad onorare e fu trattato da Genova alla stregua di un qualsiasi debitore moroso.

L'idea di unità era estranea ai Sardi, e in Barisone agiva probabilmente la volontà di affermare solamente un disegno di conquista. Fra la seconda metà del secolo XIII e la fine di esso, i giudicati sardi videro la loro fine sotto l'incalzare della potenza pisana e di quella genovese. Sopravvisse per quasi due secoli il giudicato di Arborea, che attraversò alterne vicende. Sugli altri si affermò la supremazia pisana. Scomparve nel 1258, diviso fra importanti famiglie pisane (Visconti, Gherardeschi, Capraia) e sotto il dominio eminente di Pisa il giudicato di Cagliari. Il giudicato di Torres  finì con Adelasia, ed anche su quel giudicato si affermò, se pure in parte contrastata da Genova, la potenza pisana (1255); ultimo a scomparire fu il giudicato di Gallura che era già passato sotto la famiglia pisana dei Visconti: ultimo giudice (1298) fu il  "giudice Nin gentil" ricordato da Dante.

Nel Settentrione dell'Isola sopravvissero per qualche tempo, anche dopo la conquista aragonese, i domini dei Doria e dei Malaspina. La caduta e lo svuotamento dei giudicati sono da ricondurre alla dissennata politica dei primi giudici, i quali si trovavano a partecipare, nei confronti delle potenze marinare, ad un giuoco inadeguato alle loro forze, un giuoco che li coinvolse e infine li stritolò. Mancò un'idea unitaria, mancò un'idea di federazione che li avrebbe potuti riunire e avrebbe loro permesso  di mantenere l'indipendenza economica e politica dell'isola.   

Si potrà ricordare che la presenza dei Pisani favorì la costituzione dei Comuni. Ma è d'uopo sottolineare che si trattò di un prodotto di importazione: i Comuni sardi sono da considerare come comuni pazionati, costituiti dalla potenza pisana, governati da persone inviate da Pisa, tesi a salvaguardare gli interessi dei cittadini pisani ivi stabiliti per i loro traffici e le loro intraprese, dal governo dei quali i Sardi erano quasi del tutto esclusi. Mancò quella iniziativa che fu propria dei liberi Comuni sorti nella Penisola e mancò quindi una forma che aggregasse i Sardi; mancò quello sviluppo che doveva essere la base della vita cittadina perché mancò l'esistenza e l'idea di città come centro di coesione politica, sociale ed economica.

A questo punto il mio discorso potrebbe concludersi. Mi pare comunque di poter ricordare che nei trent'anni che trascorsero fra la infeudazione del regno di Sardegna e Corsica (creazione di puro opportunismo politico) da parte del pontefice Bonifacio VIII a Giacomo II d'Aragona, e la conquista dell'isola (1323-1326), le popolazioni sarde rimasero un soggetto passivo. La venuta dei Catalano-Aragonesi fu fortemente auspicata e favorita dai giudici d'Arborea, che in tal modo credevano di liberarsi dagli odiati Terramagnesi e non comprendevano che, al contrario, si mettevano il nemico in casa.

I signori delle terre settentrionali che avevano fatto atto di omaggio e di sottomissione alla Corona sperando di salvare il potere si resero ben presto conto di avere sbagliato.

Dopo la conquista cominciò per l'Isola un'epoca di ulteriore decadenza e di più pesante sudditanza.

Essa uscì dalla storia d'Italia e gravitò, per quattrocento anni, nell'orbita iberica.

Mentre nel resto dell'Italia il feudalesimo scompariva, esso venne introdotto nell'Isola dai nuovi dominatori e vi permase ben oltre la venuta dei Savoia.

Tutto accadde per la mancanza di coesione dell'elemento locale, per le discordie, per l'assenza di senso dell'identità, per l'assenza di una aspirazione all'unità.

Colse nel segno chi disse che i Sardi erano "pocos, locos, y malunidos". Pochi, sciocchi e privi di senso dell'unità.

 

 

 

cenni bibliografici

 

Per la conoscenza della storia della Sardegna medioevale  è tuttora valida l'opera di E. Besta, La Sardegna medioevale, I-II, Palermo 1908-1909; ad essa devono essere affiancati i Saggi storici sulle istituzioni della Sardegna nel Medioevo, di A. Solmi, Cagliari 1917; sono altresì utili alla conoscenza del periodo al quale si fa riferimento, D. Filia, La Sardegna cristiana, I-II, Sassari 1909-1913, C. Bellieni, La Sardegna e i Sardi nella civiltà dell'Alto Medioevo, I, Cagliari 1973, A. Boscolo, La Sardegna bizantina e alto-giudicale, Sassari 1978; nelle opere suddette il Lettore troverà ampi riferimenti alle fonti accennate nel testo, lo stesso dicasi per B.R. Motzo, Barlumi dell'età bizantina in Sardegna, Cagliari 1987 (postuma raccolta di scritti che l'Autore andò pubblicando durante la sua attività di studioso).

Per le incursioni arabe si rimanda al cit. Besta, che ripercorre la via tracciata da M. Amari, Storia dei Musulmani in Sicilia, Palermo 1866, e nella Biblioteca arabo-sicula, raccolta dallo Stesso, versione italiana, Torino 1880. La situazione della Sardegna è rilevabile anche da alcune lettere di Pontefici e dal Liber pontificalis, ed. Duchesne.

La lettera di Brancaleone Doria nella quale si accenna all'antichità del giudicato di Arborea si trova nel Archivo de la Corona de Aragòn in Barcellona; un ampio regesto di essa è pubblicato da L. D'Arienzo, Carte diplomatiche di Pietro il Cerimonioso re d'Aragona, riguardanti l'Italia, Padova 1970, 432 ss.

Per quanto riguarda la quadripartizione dell'isola si rimanda ai citt. Besta e Solmi Le tesi del Solmi sono suffragate dalla lettura delle Carte volgari dell'Archivio arcivescovile di Cagliari, testi campidanesi dei secoli XI-XIII, che egli pubblicò nel 1907 a Firenze. A tale documentazione sono da aggiungere altri documenti latini e volgari pubblicati dal Solmi in Appendice agli studi cit.

Importantissimi per la conoscenza della vita economica, politica e sociale dell'epoca giudicale sono Il Condaghe di San Pietro di Silki, edito da G. Bonazzi, Sassari 1900, Il Condaghe di San Michele di Salvenor, edito da R. Di Tucci, Cagliari 1907, I Condaghi di San Nicola di Trullas e di Santa Maria di Bonàrcado, pubblicati da E. Besta e A. Solmi, Milano 1937; dei due ultimi citati esistono l'edizione procurata da R. Carta Raspi , Cagliari 1937, e le più recenti curate da P. Merci, Il condaghe di San Nicola di Trullas, Sassari 1992,  e da M. Virdis, Il Condaghe di S. Maria di Bonarcado, Oristano 1982.

Per la presenza pisana e genovese si veda F. Artizzu, La Sardegna pisana e genovese, Sassari 1985.

Importanti riferimenti alle vicende ed alle istituzioni sarde in questo periodo sono in G. Volpe, Studi sulle istituzioni comunali a Pisa, n.e. , Firenze 1970, e in E. Cristiani, Nobiltà e popolo nel Comune di Pisa, dalle origini del  podestariato alla signoria dei Donoratico, Napoli 1962.