N. 3 – Maggio 2004 – Memorie

 

 

 

Ettore Dezza

Università Cattolica

 

 

 

«POUR POURVOIR AU BIEN DE NOTRE JUSTICE»*. LEGISLAZIONI STATALI, PROCESSO PENALE E MODULO INQUISITORIO NELL'EUROPA DEL XVI SECOLO

 

 

 

 

 

 

Sommario: 1. Premessa. – 2. L'intervento statale nel processo di fissazione delle regole procedurali inquisitorie. – 3. Il modello francese. 4. L'Ordonnance di Blois.5. L'Ordonnance di Villers-Cotterets.6. Il modello tedesco nell'età della Recezione.7. La Constitutio Criminalis Carolina.8. Gli interventi di consolidamento normativo nel resto d'Europa.9. Alcune esperienze legislative in Italia.10. Rilievi conclusivi.

 

 

 

1. – Premessa

 

L'indagine storica relativa alle origini e al precisarsi della competenza esclusiva dello Stato in materia penale si ricollega a due fondamentali questioni. La prima è relativa ai momenti nei quali, nel divenire delle istituzioni, è possibile riconoscere e collocare interventi organizzativi e precettivi dello Stato caratterizzati – talora in prospettive di lungo periodo – dalla più o meno esplicita e consapevole rivendicazione della testé menzionata esclusività. La seconda concerne le modalità, gli strumenti e gli oggetti attraverso i quali e sui quali tali interventi statuali si sono manifestati.

Si tratta di questioni che indubbiamente occupano una posizione di grande rilevanza nel contesto storico-giuridico dell'intero continente europeo, e delle quali il presente contributo intende approfondire determinati caratteri e segnalare alcuni specifici aspetti. Non sembra peraltro inopportuno anticipare, in argomento, talune brevi osservazioni che forse potrebbero trovare una più naturale collocazione in sede conclusiva, ma che ci pare utile svolgere in sede di premessa, in quanto contribuiscono a fissare i limiti entro i quali intendiamo muoverci, e possono altresì facilitare – quando le si consideri come ipotesi di lavoro – la comprensione di quanto andremo esponendo.

In ordine al primo punto, relativo alle fasi del processo di fissazione della competenza esclusiva dello Stato in materia penale, conviene dunque rilevare, in via preliminare, come tale processo si manifesti mediante trasformazioni lente e graduali che, se vantano autorevoli precedenti medievali (basti pensare alla legislazione di Federico II per il Regno di Napoli[1] o alla Ley de las Siete Partidas nel Regno di Castiglia[2]), sotto altri aspetti si spingono fino a tutto il XVIII secolo. In questo lento divenire, d'altro canto, a periodi di stasi si alternano improvvise e decisive accelerazioni. In particolare, noi collocheremo al centro della nostra attenzione uno di questi momenti di accelerazione, che si manifesta attorno ai primi decenni del XVI secolo. Questa scelta non è casuale; come speriamo infatti di poter verificare con qualche pretesa di chiarezza nelle pagine seguenti, è precisamente in quegli anni che, a nostro sommesso avviso, si afferma per la prima volta con contorni ben definiti e genericamente moderni, e altresì con caratteri di larga diffusione territoriale, il principio della piena sottoposizione della materia penale all'ambito statuale.

            In ordine poi alla seconda tra le questioni ricordate in precedenza, relativa alle modalità, agli strumenti e agli oggetti dell'intervento dello Stato in ambito penale, ciò che fin d'ora ci preme sottolineare è il fatto che tale intervento si manifesti in primo luogo, nel periodo testé individuato, attraverso la realizzazione di corposi e articolati provvedimenti legislativi consacrati in tutto o in parte alla materia procedurale. Più in particolare, è possibile osservare come i poteri statuali provvedano in quest'epoca, pressoché in tutto il continente europeo, alla definitiva fissazione delle regole e degli istituti di quello che viene variamente definito come 'processo inquisitorio romano-canonico' o come 'processo penale di diritto comune'.

            Fatte queste doverose precisazioni, trasferiamoci ora idealmente nell'Europa del XVI secolo, guardiamoci attorno con gli occhiali del giurista, e cerchiamo di capire che cosa avvenga in ordine ai rapporti tra lo Stato moderno nella sua fase di prima organizzazione e le regole del diritto e – in particolare – della procedura penale.

 

 

2. – L'intervento statale nel processo di fissazione delle regole procedurali inquisitorie

 

Un primo dato si mostra con piena evidenza. Nella prima metà del XVI secolo le procedure inquisitorie appaiono largamente diffuse e sufficientemente collaudate nella pratica dei tribunali europei, ed hanno altresì conseguito – o sono avviate a conseguire in tempi assai brevi – un più che soddisfacente grado di elaborazione tecnica e dogmatica a opera della dottrina di diritto comune. In effetti, i giuristi di diritto comune hanno prima preso atto di nuovi indirizzi processuali affermatisi nella prassi, e hanno poi contribuito efficacemente, partendo dalle risalenti basi romano-canoniche, alla definizione concettuale di tali nuovi indirizzi mediante l'individuazione e lo sviluppo dei necessari supporti teorici[3].

Non appare allora casuale il fatto che proprio durante i primi decenni del Cinquecento in tutto il continente europeo il consolidamento del modello inquisitorio venga riconosciuto e sanzionato anche a livello normativo da una nutrita serie di corposi testi legislativi che costituiscono – giova sottolinearlo – una tra le più significative manifestazioni del nascente Stato assoluto, volto con sempre maggiore energia alla centralizzazione degli apparati e all'affermazione della propria autorità. Tali provvedimenti contribuiscono a delineare, in modo talora conclusivo, i princìpi, gli istituti e i caratteri distintivi della fase di maggiore maturità del processo penale d'Ancien Régime.

Al centro del movimento legislativo di stabilizzazione e di statualizzazione delle regole procedurali si collocano la Francia e la Germania. Qui un ruolo di particolare rilievo è assunto, tra la fine del Quattrocento e la metà del Cinquecento, da alcune ordonnances regie in Francia, e da una serie di interventi legislativi culminati in Germania nella celeberrima Constitutio Criminalis Carolina. Ma anche altrove in Europa – dai Paesi Bassi alla penisola iberica, dall'Italia fino alla lontana (giuridicamente ancor più che geograficamente) Inghilterra – si registrano segnali non equivoci dell'esistenza di una comune e diffusa tendenza a fissare definitivamente nella legislazione dello Stato gli esiti di esperienze e pratiche ormai plurisecolari[4].

Attraverso queste scelte normative, nelle legislazioni rinascimentali si viene a configurare a livello continentale, pur in presenza di particolari soluzioni locali e di talune differenze d'impostazione, la medesima virtuale unità del modulo procedurale già da tempo presente e operante nella prassi e nella dottrina. A tale processo di omogeneizzazione corrispondono (e contribuiscono efficacemente) sia il progressivo accentramento dei poteri giurisdizionali nelle mani dei magistrati e dei funzionari delle corti regie, sia il ragguardevole sviluppo della giurisprudenza – nel contempo autoritativa e uniformatrice – dei grandi tribunali centrali degli Stati europei, sorti in gran numero nel corso del Quattrocento e avviati ad assumere un ruolo di assoluta rilevanza nel panorama delle strutture giurisprudenziali del tardo diritto comune[5].

Le vicende ora accennate comportano ovviamente una serie di rilevanti conseguenze sul piano della quotidiana amministrazione della giustizia penale. Da una parte ne accentuano infatti l'efficacia repressiva, migliorando (quantomeno sulla carta) la funzionalità degli apparati pubblici, e rendendo più agevole il ricorso a una serie di strumenti tecnici talora finemente elaborati (si pensi in primo luogo alle complesse costruzioni dottrinali in tema di prova). Dall'altra cercano di inquadrare in schemi predeterminati i poteri discrezionali di giudici e funzionari, intervenendo sulla situazione di pressoché totale assenza di controllo instauratasi (specialmente in Francia e nei Paesi Tedeschi) nel primo periodo di diffusione del modulo inquisitorio. Nello stesso tempo gli interventi normativi statuali favoriscono un'ulteriore compressione dei poteri d'iniziativa del privato, tendono a disconoscere talora in modo pressoché completo i diritti della difesa, e sanzionano la definitiva affermazione degli aspetti di maggiore iniquità del sistema della prova legale, a cominciare dall'ordinario ricorso alla tortura giudiziaria[6].

 

 

3. – Il modello francese

 

Cerchiamo ora di dare maggiore concretezza al nostro discorso prendendo in esame alcune situazioni paradigmatiche, e spostando innanzitutto la nostra attenzione sulla Francia[7]. Qui le trasformazioni delle strutture procedurali prendono l'avvio nel XIII secolo sotto l'influenza del modello romano-canonico, ma si svolgono sino al XV secolo quasi esclusivamente attraverso la giurisprudenza delle corti reali, che via via viene fissata a livello consuetudinario e, in misura invero assai minore, attraverso l'elaborazione dottrinale. In questo primo periodo gli interventi regi hanno carattere eccezionale e si limitano a sanzionare di tempo in tempo (e talora a riprovare) le regole affermatesi nella prassi. Le norme consuetudinarie, le leggi regie e le pratiche giudiziarie vengono talora riunite in farraginose raccolte che concernono un po' tutti i rami del diritto, e che si risolvono in prontuari a uso di magistrati, funzionari e avvocati. Tra essi spicca il Grand Coutumier de France, composto negli anni Ottanta del XIV secolo dal giudice Jacques d'Ableiges, e opera basilare per gli esperti della giustizia reale fino all'inizio del XVI secolo[8].

            Al fine di ovviare alle situazioni di incertezza e di mancanza di coordinamento tra le fonti e le istituzioni, alle fluttuazioni giurisprudenziali, alle lentezze e ai non pochi abusi determinati dagli sviluppi ora accennati, dalla fine del Quattrocento le regole elaborate dalla pratica iniziano a essere certificate sul piano legislativo su iniziativa della corona. Lo strumento scelto per tale delicata operazione è costituito dall'ordonnance, testo normativo di carattere generale frequentemente utilizzato dalla monarchia francese in età rinascimentale, e nel quale sono solitamente inserite, senza criteri predeterminati, norme appartenenti ai più svariati rami del diritto[9]. I più importanti tra questi interventi sono costituiti, nella materia che ci interessa, dalle due ordonnances di Blois, del 1498, e di Villers-Cotterets, del 1539. Si tratta di provvedimenti di riforma assai corposi (specialmente il secondo), volti a incidere su pressoché tutti gli aspetti delle istituzioni giudiziarie civili e penali, e con particolare riguardo per i problemi di carattere processuale.

            Grazie alle ordonnances di Blois e di Villers-Cotterets le forme procedurali sviluppatesi in Francia nei secoli del basso Medioevo subiscono una prima consistente sistemazione, sulla quale ben presto si innesterà una intensa produzione dottrinale. La stagione legislativa rinascimentale non conclude peraltro il processo di emersione e di formulazione delle nuove regole del processo penale. Essa costituisce piuttosto l'indispensabile premessa di quella che sarà la massima e più limpida espressione legislativa del sistema inquisitorio in Francia, e cioè la grande Ordonnance Criminelle del 1670.

 

 

4. – L'Ordonnance di Blois

 

L'Ordonnance sur la réformation de la justice et l'utilité générale du Royaume viene promulgata nel corso di una assemblea di notabili convocata dal sovrano Luigi XII a Blois nel marzo del 1498. Essa rappresenta non solo la prima regolamentazione d'insieme della procedura penale dello Stato francese, ma anche il primo importante riconoscimento normativo di carattere generale dell'ascesa delle forme inquisitorie in Francia[10].

Nel periodo precedente (secoli XIII-XV), il ricorso all'inquisitio e alla tortura era andato gradatamente estendendosi nella pratica giudiziaria, grazie anche al favore delle corti regie, dei tribunali ecclesiastici e di una parte della dottrina. A tali forme procedurali innovative era stata attribuita la qualifica di rito extraordinarius. La riforma del 1498 non fa che codificare il dualismo manifestatosi nella pratica. Essa sanziona la distinzione e la contemporanea presenza dell'antico rito ordinaire, accusatorio e pubblico, e del nuovo rito inquisitorio, ancora definito extraordinaire, stabilendo la disciplina di entrambi, indicando come si debba scegliere tra le due procedure, e consolidando le regole individuate tra il XIII e il XV secolo, come testé accennato, dalla dottrina e, in special modo, dalla giurisprudenza delle corti reali.

L'ordonnance prevede lo svolgimento di un'informazione preliminare segreta, al termine della quale l'imputato viene citato in giudizio o catturato, ed immediatamente interrogato (artt. 96, 98, 106). Gli esiti dell'informazione preliminare e dell'interrogatorio sono comunicati ai regi procuratori, affinché costoro possano formulare le richieste ritenute opportune nell'interesse della giustizia e del sovrano («requérir pour le bien de justice ou nostre interest», art. 107). A questo punto la corte decide se procedere con il tradizionale rito ordinario, durante il quale le parti saranno udite in pubblico e in contraddittorio («en jugement en pleine auditoire»), ovvero «extraordinairement», e cioè con il rito straordinario, i cui due caratteri fondamentali sono individuati nella segretezza e nel ricorso alla tortura (torture, question) (art. 108).

La segretezza viene imposta in termini estremamente drastici per ogni stato e grado di tale procedimento. L'imputato viene abbandonato a sé stesso e risulta privo di qualsiasi supporto esterno; egli può essere ammesso a proporre le proprie difese ma non gode in modo esplicito del diritto a conoscere i capi d'imputazione (art. 111). Ciò che comunque più importa è che il processo sia condotto con la massima diligenza e la massima segretezza possibili, in modo che nessuno possa conoscerne in qualche modo i contenuti («ledit procès se fera le plus diligemment et secretement que faire se pourra, en manière que aucun n'en soit averti»; la frase è ripetuta senza variazioni per due volte agli artt. 110 e 111). L'Ordonnance di Blois opera dunque una formale e pressoché definitiva ripulsa della pubblicità del procedimento. Da questo momento il pubblico viene in buona sostanza espulso dalle aule giudiziarie francesi: non vi rientrerà che dopo tre secoli, grazie alle riforme attuate dalla legislazione rivoluzionaria.

Le modalità di applicazione della tortura sono fissate con cura e prevedono l'utilizzo di un ulteriore elemento destinato a caratterizzare il rito inquisitorio, e cioè quello della scrittura. Il ricorso all'esperimento deve essere deliberato nel rispetto di precise forme («en la chambre de conseil, ou autre lieu secret par gens notables et lettrez, non suspects ne favorables» art. 112), mentre lo svolgimento e gli esiti dell'esame devono essere verbalizzati con estrema cura dal cancelliere (greffier), che dovrà perfino indicare quante volte sia stato dato da bere all'imputato (art. 113). Le confessioni ottenute sono considerate valide solo se ripetute di fronte alla corte, senza alcuna costrizione e fuori dalla camera della tortura (art. 113). L'imputato che ricusi di confessare o di confermare la confessione non può essere sottoposto nuovamente a tortura se non in presenza di nuovi elementi indiziari («nouveaux indices», art. 114). La meticolosa disciplina ora accennata costituisce l'effetto di una reazione contro le pratiche abusive diffusesi in Francia nel XV secolo, pratiche che, al di fuori di ogni controllo formale, vedevano l'imputato recalcitrante essere sottoposto più volte di seguito alla tortura anche in assenza di fatti nuovi che potessero in qualche modo giustificarla[11].

Degno di nota è infine il contenuto dell'art. 118, che ristabilisce un collegamento tra il rito ordinario e quello straordinario. Tale articolo prescrive infatti che, qualora il rito straordinario non abbia condotto a conclusioni apprezzabili («si par ledit procès extraordinaire düement fait, on n'aurait pû rien gagner»), sia possibile proseguire e concludere il processo secondo le forme ordinarie («en procès ordinaires»). Si tratta peraltro di un'apertura che, se appare non priva di un certo interesse in linea teorica, non avrà alcun concreto seguito nella pratica e nella legislazione della Francia rinascimentale. Analoga sorte spetterà del resto alla previsione dell'art. 116, secondo il quale quantomeno la lettura della sentenza deve essere fatta in pubblico e in presenza dell'imputato: nella pratica giudiziaria anche questa limitata concessione ai principi della pubblicità sarà ben presto coperta dal velo della desuetudine.

 

 

5. – L'Ordonnance di Villers-Cotterets

 

Quarant'anni dopo Blois, la disciplina inquisitoria dell'Ordonnance del 1498 è integrata, sviluppata e resa ancor più severa da Francesco I con l'Ordonnance sur le faict de la justice (detta anche pour la réformation et abréviation des procès), promulgata a Villers-Cotterets il 15 agosto del 1539[12]. Voluta e redatta dal cancelliere Guillaume Poyet e modellata su una precedente ordonnance, emanata nel 1536 per la riforma dello «style de Bretagne»[13], l'Ordonnance del 1539 conferma le tendenze di fondo già emerse a Blois e delinea un assetto del processo penale destinato a rimanere pressoché immutato fino alla grande Ordonnance Criminelle del 1670.

Il procedimento viene suddiviso in due parti assolutamente diseguali costituite – secondo canoni tipici del maturo modello inquisitorio di diritto comune – da una lunga e articolata fase di istruzione dedicata all'accumulo del materiale indiziario e probatorio, e da una fase di giudizio estremamente scarna e rapida. L'intervento del procuratore regio o signorile (procureur du roi, fiscal, procureur du seigneur) è obbligatoriamente previsto: egli deve essere parte presente e necessaria in qualsiasi procedimento. Viene così stabilito, una volta per tutte, il principio secondo cui la fase d'istruzione richiede il concorso sia di un procuratore pubblico, che solleciti, richieda, presenti conclusioni, sia di un giudice, che istruisca. La corte interviene collegialmente soltanto al momento della decisione. Rimarchevole è l'esplicita esclusione, nelle procedure propriamente criminali, della figura dell'avvocato difensore: il divieto di ogni forma di difesa tecnica, già implicitamente presente per il rito extraordinaire nell'Ordonnance di Blois, viene sanzionato ufficialmente a Villers-Cotterets dalla nuova ordonnance all'art. 162, secondo la quale «en matières criminelles ne seront les parties aucunement ouïes par le conseil ni ministère d'aucune personne, mais répondront par leur bouche des cas dont il seront accusés».

L'istruzione è condotta da un unico giudice – juge criminel, lieutenant criminel, juge seigneurial – che instaura il procedimento avviando, su richiesta della parte civile o del procureur ovvero ex officio, l'information preparatoire (art. 145). Dominus di tutta questa fase procedurale e dunque, in concreto, di tutto il procedimento, il giudice dell'istruzione è dotato di poteri discrezionali di larghissima portata. Al termine dell'information preparatoire decide, sentito il procureur, se archiviare o formalizzare il procedimento (art. 145). In questo secondo caso procede al primo interrogatorio dell'imputato e alla successiva scelta tra il procedimento ordinario e il procedimento straordinario. La distinzione tra i due riti, codificata dall'ordonnace di Blois, viene infatti mantenuta in linea di principio, anche se nei fatti, a partire dal XVI secolo, tutti i casi penali di una qualche gravità risultano condotti in Francia à l'extraordinaire, mentre solo i casi di minore importanza vengono rilasciati al rito ordinario. Il procedimento straordinario viene condotto con metodo inquisitorio, comporta l'arresto (prise de corps) dell'imputato e la sua detenzione preventiva, impedisce – come accennato – il patrocinio professionale, nega la possibilità di accedere alla libertà provvisoria, prevede il ricorso alla tortura. Il procedimento ordinario, ormai ridotto a un ruolo residuale, è invece pubblico e contraddittorio, e consente di accedere all'assistenza legale e alla libertà provvisoria.

Assistito da una folta schiera di collaboratori (enquêteurs, sergents, notaires, ecc.) ai quali può delegare il compimento di una serie cospicua di atti, il giudice dell'istruzione è chiamato a raccogliere il materiale probatorio, certificandolo per iscritto mediante appositi processi verbali indirizzati al collegio giudicante. In particolare, egli sottopone l'imputato a uno o più interrogatori (art. 146) e, quando lo ritenga, può rinviarlo alla tortura (artt. 163-164); riceve le deposizioni dei testimoni e provvede a eseguire verifiche (recolements) e confronti (confrontations) (artt. 153-156); riceve le confessioni e, qualora l'imputato alleghi fatti giustificativi, chiede allo stesso di indicare i relativi testimoni e li interroga (art. 157). Rispetto al passato, la segretezza di tutti gli adempimenti ora elencati viene ulteriormente rafforzata, e la scrittura ne diviene un carattere assolutamente fondamentale. La fase istruttoria è concepita in modo da agevolare la costruzione di una posizione di vantaggio per l'accusa e concede ben poche chances all'imputato. Tra queste, meritano di essere ricordate il diritto di proporre appello alla competente corte sovrana contro il rinvio alla tortura (art. 163), e il diritto non solo alla assoluzione ma anche alla «reparation de la calumnieuse accusation» riconosciuto a colui che sia riuscito a resistere alla tortura e non abbia confessato (art. 164).

La fase di giudizio interviene quando i giochi sono ormai fatti. L'imputato compare davanti all'intera corte, che decide esclusivamente sulla base dell'ultimo interrogatorio e della documentazione scritta elaborata sotto la guida del giudice d'istruzione. Questa documentazione viene raccolta in un apposito fascicolo processuale che, accanto alle risultanze istruttorie, ricomprende anche un rapporto sul processo e le conclusioni del regio procuratore e della parte civile. La sentenza, che secondo l'ordonnance di Blois avrebbe dovuto essere pronunciata in udienza pubblica, viene ormai letta direttamente dal cancelliere (greffier) all'imputato costretto in carcere. La motivazione, per regola affermatasi nella prassi, è assente o viene sostituita da formule di rito.

L'ordonnance di Villers-Cotterets nasce essenzialmente come strumento per rendere più celere l'amministrazione della giustizia civile e penale nel Regno di Francia, e tale scopo è chiaramente espresso nel preambolo del provvedimento: «pour aucunement pourvoir au bien de notre justice, abréviation des procès, et soulagement de nos sujets, avons, par édit perpétuel et irrévocable, statué [...] les choses qui s'en suivent»[14].

Gli intenti di costruire un procedimento in primo luogo rapido, efficace, e rigoroso vengono perseguiti prevalentemente attraverso la regolamentazione dei poteri spettanti ai giudici e ai funzionari nelle varie fasi procedurali. Minore è la cura posta nella definizione degli istituti: il sistema delle prove legali, ad esempio, viene in larga misura dato per scontato e presuppone l'accoglimento della tendenza, propria del primo periodo del diritto comune, a privilegiare la prova testimoniale e la confessione (ottenuta se necessario mediante la tortura) a scapito della prova indiziaria (art. 164).

Gli intenti ora menzionati portano a conseguenze assai pesanti in campo penale, poiché in tale ambito ottengono il risultato di aumentare ulteriormente la già forte pressione inquisitoria. Da questo punto di vista l'ordonnance del 1539 si colloca pienamente nella linea di sviluppo che caratterizza le vicende del processo penale in tutta Europa. Nulla fora la cappa di segretezza che avvolge la procedura. Tutto avviene lontano dagli occhi del pubblico. Privo di assistenza professionale e di contatti con l'esterno, sottoposto a interrogatori carenti di regolamentazione formale, minacciato dalla tortura, l'imputato conosce ben poco della sua situazione e si trova sostanzialmente impedito nella costruzione di un decente impianto difensivo. La macchina inquisitoria si avvia ormai a raggiungere, in Francia, l'articolata perfezione tecnico-formale che caratterizzerà la grande ordonnance seicentesca, ma non manca di suscitare le prime voci di opposizione e le prime vivaci proteste da parte degli spiriti più illuminati, che anticipano nelle loro opere taluni dei temi polemici che saranno ripresi con ben altra fortuna ed efficacia dalla letteratura giuspolitica e giusfilosofica del XVIII secolo[15].

Per il momento, Villers-Cotterets pone un punto fermo nell'evoluzione della procedura penale in Francia. Modifica in senso integrativo ma non abolisce – giova ripeterlo – le ordinanze precedenti e in particolare quella di Blois del 1498[16], stabilisce una struttura procedurale destinata a rimanere sostanzialmente immutata per 130 anni e, sotto un diverso punto di vista, segna una svolta importante nella storia delle istituzioni e della cultura non solo giuridica in quanto, facendo seguito a una ordonnance di Luigi XII del 1510, prescrive l'uso esclusivo della lingua francese in luogo del latino tanto negli atti processuali quanto nella documentazione notarile (art. 111).

Con il 1539 le basi legislative del modulo inquisitorio sono in Francia ormai ben assestate. È vero che gli interventi sovrani in tema di giustizia non mancano nel periodo seguente, ma in materia di procedura penale essi si limitano a confermane o tutt'al più a specificare ulteriormente le linee già fissate a Blois e a Villers-Cotterets. Esemplare al riguardo è la sempre minore rilevanza riconosciuta all'attività della parte privata: l'Ordonnance di Orléans di Francesco II (gennaio 1560), l'Ordonnance di Châteaubriant di Carlo IX (ottobre 1565) e la seconda Ordonnance di Blois di Enrico III (maggio 1579) insistono in particolare sul principio dell'iniziativa ex officio, sancendo l'obbligo per i procureurs du roi e per i giudici delle corti regie di promuovere e condurre comunque l'azione pubblica, anche in assenza di denuncia o di iniziativa della parte civile[17].

Non pare superfluo rammentare come risulti paradossalmente legata agli stessi contenuti dell'ordonnance di Villers-Cotterets la sorte non certo felice del suo autore, il cancelliere Poyet. Accusato di malversazione, arrestato nel 1542 e spogliato di ogni carica, Guillaume Poyet sperimenta infatti di persona la singolare durezza della 'sua' procedura nel corso di un lungo e doloroso processo, conclusosi nel 1545 con un'infamante condanna pronunciata nei suoi confronti dal Parlamento di Parigi[18].

 

 

6. – Il modello tedesco nell'età della Recezione

 

Accennata l'esperienza francese, spostiamoci ora nello spazio, ma non nel tempo, in area germanica. Mentre la monarchia francese si impadronisce, per così dire, delle forme procedurali affacciatesi sulle scene giudiziarie durante gli ultimi secoli del Medioevo e provvede a consolidarle, anche all'interno del composito panorama istituzionale del Sacro Romano Impero si sviluppa un movimento legislativo sotto molti aspetti analogo, destinato a concludersi nel 1532 con la promulgazione di uno dei massimi monumenti normativi nella storia del diritto e della procedura penale di area tedesca, la Constitutio Criminalis Carolina.

All'inizio del XVI secolo in Germania la progressiva riduzione dei poteri spettanti alla corona e il complesso processo di frammentazione politica che interessa da tempo il grande Impero mitteleuropeo ha ormai portato alla graduale emersione di una molteplicità di grandi o piccole entità politiche autonome di carattere regionale o anche semplicemente municipale. Formalmente soggette all'autorità imperiale ma sostanzialmente indipendenti, nel periodo considerato tali entità politiche si confrontano con il potere sovrano (o con quello che di esso rimane) attraverso un complesso rapporto dialettico, al centro del quale si propongono con particolare evidenza e con singolare frequenza i problemi relativi all'amministrazione della giustizia penale.

In effetti, ciascuna delle autonomie territoriali – veri e propri Stati nello Stato – che compongono il mosaico germanico conosce e partecipa, spesso con forme proprie di natura consuetudinaria, alle grandi trasformazioni che investono dal XIII secolo la giustizia penale in generale, e le strutture procedurali in particolare. La resistenza delle tradizionali forme di giustizia di matrice germanica durano all'interno dell'Impero forse un po' più a lungo, ma ben presto anche nei Paesi Tedeschi si manifestano consistenti irruzioni inquisitorie (segnatamente per le procedure avviabili ex officio nei casi di flagranza, di reato notorio e per i comportamenti criminali giudicati di maggiore gravità), e dal XV secolo la presenza delle nuove forme processuali è ormai indubitabile e massiccia[19].

Tali forme, ulteriore manifestazione di un indirizzo che abbraccia l'intero continente, in parte si sviluppano all'interno della stessa prassi consuetudinaria germanica, in parte si ricollegano all'influsso operato dalla prassi delle corti ecclesiastiche e dalla dottrina del diritto comune romano-canonico, avviato dalla fine del XV secolo – attraverso il grandioso fenomeno della Recezione (Rezeption)[20] – a divenire il diritto comune di tutti i Paesi Tedeschi. Nel primo caso le procedure inquisitorie sono caratterizzate da una sorta di deregulation, che consente in ogni caso il ricorso alla tortura (consolidatasi in Germania nel XIV secolo[21]) e riconosce amplissimi poteri discrezionali e d'iniziativa ai pubblici ufficiali incaricati dell'istruzione. In presenza di influssi romano-canonici, al contrario, le nuove forme si distinguono per una accentuata complessità tecnica, ricorrono abbondantemente all'elemento della scrittura, e appaiono in buona sostanza meno inclini a favorire l'arbitrium dei magistrati e l'incondizionata utilizzazione della tortura. In entrambi i casi si manifesta poi la tendenza e tende a creare una magistratura togata e professionale, chiamata ad agire in rapporto talora di collaborazione, talora conflittuale con gli scabini (Schöffen), giudici laici chiamati a operare collegialmente e custodi dell'antico principio germanico della partecipazione popolare all'amministrazione della giustizia[22].

Si apre in tal modo una difficile fase di transizione, segnata dal sorgere di una serie di gravi problemi nell'amministrazione della giustizia penale. Le incertezze nell'applicazione del sistema probatorio sono assai frequenti: si pensi al proposito che, mentre le ordalie unilaterali scompaiono in Germania nel XIII secolo, il duello giudiziario è attestato per i reati con effusione di sangue fino a tutto il XV secolo[23]. Proteste si levano da ogni parte contro i poteri largamente arbitrari riconosciuti ai pubblici ufficiali, e ai molteplici abusi verificatisi nella pratica e connessi a tali poteri. Numerose perplessità sono dovute alle inadeguatezze culturali della tradizionale classe giudiziaria, formatasi sulla pratica locale e molto spesso del tutto digiuna dei complessi meccanismi del procedimento romano-canonico. Tutt'altro che sporadiche sono le sovrapposizioni tra le formule proprie della nuova procedura ex officio e le antiche metodologie. Pur se determinate da presupposti non sempre analoghi, anche in Germania si fanno dunque sempre più pressanti, sullo scorcio del Quattrocento, quelle medesime esigenze di riordino della materia processuale che in Francia sono all'origine degli interventi sovrani di Blois e di Villers-Cotterets[24].

Richieste a tal fine vengono più volte avanzate e discusse pressoché a ogni riunione della Dieta imperiale (Reichstag), e segnatamente in quelle di Lindau (1496-97), Freiburg (1497-1498) e Augsburg (1500)[25]. Le prime concrete risposte alla domanda di riforma della giustizia penale sono nondimeno di matrice locale e territoriale, coerentemente con le peculiari forme di organizzazione istituzionale ormai assunte dall'Impero. Tali risposte comportano interventi legislativi di valore, estensione e portata diseguali, ma che appaiono caratterizzati da contenuti talora non dissimili da quelli presenti nelle coeve ordonnances francesi.

Il più risalente tra questi interventi normativi è costituito dalla c.d. Wormser Reformation del 1498, parte di una più generale revisione del diritto municipale realizzata in sei libri a Worms, città libera imperiale. L'ultimo dei sei libri di questa raccolta è dedicato al diritto e alla procedura penale, e si segnala per la tendenza a introdurre, pur nel quadro di una struttura inquisitoria incentrata sull'iniziativa ex officio, sulla scrittura e su un sistema probatorio che prevede il ricorso alla tortura, una serie di limiti formali e di garanzie raramente riscontrabili nelle legislazioni del periodo. Non estranea al tentativo di porre un freno alla da più parti lamentata discrezionalità del funzionario inquirente, la tendenza ora richiamata è chiaramente avvertibile laddove la legislazione in esame introduce un accurato sistema di valutazione degli indizi necessari alla tortura, e laddove prevede una distinzione tra questi ultimi e gli indizi necessari alla condanna. Al rito ex officio viene contrapposta la forma privata di avvio del procedimento, ma quest'ultima risulta definita in termini talmente onerosi per la parte da rendere comunque preferibile il ricorso all'azione pubblica. Fonte precipua del legislatore cittadino è la tradizione dottrinale di matrice romano-canonica che trova il proprio punto di partenza nell'opera di Alberto da Gandino, e da questo punto di vista la Wormser Reformation rappresenta ormai un capitolo, e non secondario, della già ricordata vicenda relativa alla Recezione del diritto comune in Germania[26].

La Wormser Reformation è seguita in ordine cronologico dai due provvedimenti di ben diversa natura, noti sotto il nome di Maximilianischen Halsgerichtsordnungen (Ordinanze Criminali dell'Imperatore Massimiliano I). Si tratta della Tiroler Malefizordnung (Ordinanza Tirolese sui Malefìci), promulgata dall'imperatore Massimiliano I d'Asburgo nel 1499 per la Contea del Tirolo, e della successiva Radolfzeller Halsgerichtsordnung (Ordinanza Criminale di Radolfzell), promulgata dallo stesso sovrano nel 1506 allo scopo di estendere – con qualche lieve modifica – la vigenza della prima a tutti i domini della Casa d'Austria. Al contrario della legislazione della città di Worms, le Ordnungen di Massimiliano I rappresentano la più importante manifestazione a livello legislativo degli sviluppi della prassi inquisitoria svoltisi internamente alla tradizione germanica e in modo indipendente da influssi romano-canonici. La massima discrezionalità attribuita ai funzionari pubblici è in questo caso accompagnata dal particolare ruolo affidato in materia probatoria agli scabini, che assistono alla tortura e con la loro testimonianza sono in grado di rendere irrevocabile e definitiva la confessione in tal modo ottenuta[27].

Assai più importanti ai fini dei successivi sviluppi della legislazione processuale nei Paesi Tedeschi sono le due normative denominate Bambergische Halsgerichtsordnung (Ordinanza Criminale di Bamberg, conosciuta anche sotto la denominazione latina di Constitutio Criminalis Bambergensis, CCB) e Brandenburger Halsgerichtsordnung (Ordinanza Criminale di Brandenburg). La prima viene pubblicata nel 1507 dal principe vescovo di Bamberg; la seconda ripropone quasi alla lettera il testo di Bamberg, e viene promulgata nel 1516 dal principe elettore di Brandenburg. Entrambe sono opera di Johann von Schwarzenberg (1465-1528), abile e versatile funzionario di palazzo che, pur conoscendo probabilmente solo di seconda mano le fonti dottrinali romano-canoniche, costruisce una struttura procedurale di indubbia sapienza mediando tra contenuti sostanziali dedotti da queste ultime e forme esteriori desunte dalla tradizione germanica. La Bambergensis si segnala per certe dichiarazioni di principio che contrastano con la sostanziale severità dei suoi contenuti. Vi si trova ad esempio la massima secondo la quale «è meglio assolvere un colpevole che condannare a morte un innocente» (art. 13)[28], affermazione ricalcata da un noto passo del Digesto (D. 48.19.5) attraverso la probabile mediazione della dottrina tardomedievale italiana, particolarmente incline a enfatizzare siffatti consolanti principi. Ma il dato che maggiormente rileva è che la Bambergensis rappresenta, per usare un'espressione qualificativa particolarmente diffusa nella cultura giuridica tedesca, la mater Carolinae[29]. Essa si propone infatti come modello strutturale e sostanziale non solo per l'Ordinanza di Brandenburg, ma anche per la ben più famosa e importante Constitutio Criminalis Carolina, la grande normativa comune a tutto l'Impero che costituisce il punto di arrivo del processo di risistemazione legislativa della disciplina della procedura penale nella Germania del XVI secolo[30].

 

 

7. – La Constitutio Criminalis Carolina

 

La Constitutio Criminalis Carolina – o più semplicemente la Carolina[31] – rappresenta se non il più ragguardevole certo uno dei maggiori eventi nella storia della Recezione dei princìpi del diritto comune in Germania[32]. Destinata a costituire fin oltre il XVIII secolo la principale fonte del diritto penale sostanziale e processuale nei Paesi Tedeschi, la Carolina viene promulgata dall'imperatore Carlo V d'Asburgo (che le trasmette il proprio nome) il 27 giugno 1532, a 35 anni dal primo riconoscimento ufficiale della necessità di una legislazione penale unica per tutto l'Impero (Dieta di Freiburg, 1497-98), e a un decennio dai primi progetti, realizzati sulla scorta della Bambergensis solo dopo la Dieta di Norimberga del 1521[33]. Decisiva per il felice esito di tale vicenda legislativa è l'inserzione nel testo della Carolina della c.d. Clausola di salvaguardia (salvatorische Clausel, clausula salvatoria), che garantisce il rispetto delle pratiche, delle regole e degli usi locali. Tale clausola consente di superare le obiezioni – connaturate al particolarismo politico tipico della Germania tardomedievale e rinascimentale – sollevate da alcune tra le compagini territoriali autonome (principati, vescovadi, città libere, ecc.) presenti nell'Impero, ben decise a non rinunciare alle rispettive consuetudini in materia penale[34].

La Carolina risulta sotto alcuni aspetti meno rigida rispetto alle contemporanee ordonnances francesi, che si preoccupano in primo luogo di delineare un procedimento rapido e funzionale mediante l'attribuzione di vasti poteri discrezionali a giudici e funzionari. La normativa tedesca risulta in effetti assai più vicina al modello, formalmente assai elaborato, proposto comunemente dalla tradizione dotta di origine italiana, apre qualche spiraglio alla difesa, e si pone altresì in un rapporto del tutto particolare verso le leggi, le consuetudini e le pratiche vigenti nei singoli territori dell'impero. In conseguenza della citata Clausola di salvaguardia, infatti, la Carolina finisce per svolgere all'interno dell'impero il ruolo di fonte di diritto comune sussidiario, che agisce in caso di assenza o di insufficienza della regolamentazione locale. Ciò non significa peraltro che essa non rivesta una funzione importante. Al contrario, tale funzione è di assoluta rilevanza, in quanto la Carolina opera – giova rammentarlo – in un sistema giurisprudenziale e dunque, oltre a presentare una indiscutibile superiorità tecnico-formale, fornisce un modello generale di procedura sempre e comunque percorribile[35]. A tale ruolo di modello generale si ricollega del resto anche la particolare impostazione, quasi manualistica, del testo, attento a guidare il pratico tra i meandri di una procedura non sempre agevole da percorrere[36].

Anche nella Carolina il ricorso alle forme inquisitorie risulta pieno e definitivo ma, al contrario di quanto accade nel modello francese informato alla prassi delle corti regie, si caratterizza per il puntiglio con il quale viene elaborata la teoria degli indizi e costruito il sistema delle prove legali. È inoltre assente una figura analoga a quella del procureur du roi o dell'avvocato fiscale, diffusissima negli ordinamenti europei, ma presente solo sporadicamente nella storia giudiziaria tedesca d'Ancien Régime. Quanto ai poteri del privato, gli spazi che sono formalmente conservati all'iniziativa del singolo vengono in concreto annullati dal severo e continuo controllo esercitato al riguardo dal funzionario pubblico. Tipica della Carolina appare altresì la scelta di conservare in taluni punti della procedura gli apparati propri dell'antico rito germanico, utilizzandoli peraltro come mero contenitore formale di princìpi desunti dal diritto dotto. In omaggio alla tradizione la Carolina presuppone altresì che il giudice togato sia affiancato, nelle imputazioni che comportino pena capitale e nelle inquisizioni criminali che comportino la tortura, da un collegio di scabini[37].

Ma procediamo con ordine. Nella Carolina le norme di diritto penale sostanziale dedicate all'individuazione dei reati e delle relative pene interagiscono, come d'abitudine nei modelli legislativi e dottrinari dell'epoca, con quelle dedicate alla procedura[38]. Queste ultime dedicano ancora un certo spazio alla disciplina dell'accusa privata, ma assegnano incontestabilmente il primo posto all'inquisizione, secondo schemi che presentano molti tra i tipici caratteri della procedura tralatiziamente descritta nelle opere della dottrina romanistica. Primo fra tutti l'elemento della scrittura, sottoposto a una accuratissima disciplina (artt. 181-203), destinata in prospettiva a svolgere un ruolo fondamentale come strumento per fissare la nuova procedura, assicurarne la diffusione, e porre ulteriormente in crisi il tradizionale mondo della giustizia scabinale. Ogni atto della procedura deve essere verbalizzato dal cancelliere sulla scorta delle numerose formule esemplificative offerte dalla stessa Carolina. Ogni verbale viene a sua volta raccolto nell'apposito fascicolo processuale. E il fascicolo processuale costituisce l'unica base sulla quale il giudice togato e gli scabini costruiscono la decisione finale[39].

Di regola il procedimento è avviato ex officio, ed è possibile procedere all'arresto dell'imputato semplicemente sulla base della comune reputazione o della fama. L'accusa privata è ammessa e ampiamente regolamentata ma, al contrario di quanto previsto nella Wormser Reformation, essa viene incardinata nella procedura ex officio come 'preambolo legittimo' (per usare le parole di Giulio Claro[40]) dell'inquisizione: la parte privata può continuare a rimanere attiva con un ruolo di supporto del pubblico funzionario, ma è quest'ultimo che assume il controllo sulle tutte le fasi procedurali successive alla presentazione dell'atto di accusa (artt. 6-17)[41].

Il processo informativo è totalmente segreto, non prevede alcuna forma di difesa tecnica, e trova il proprio momento qualificante nell'accurata disciplina relativa ai mezzi di acquisizione e di valutazione della prova (artt. 18-77). Evidente appare la scelta a favore della prova legale. Con una scelta che sarà fatta propria pochi anni dopo anche dall'ordonnance di Villers-Cotterets, la Carolina privilegia la confessione e la prova testimoniale, mentre mostra una profonda diffidenza per le presunzioni e le prove indiziarie, sulle quali vieta espressamente di fondare la condanna (art. 22). La piena prova risulta dalla confessione o dal detto di «due o tre testimoni buoni e credibili» (artt. 65, 67). In difetto di piena prova si ricorre alla tortura.

La complessa regolamentazione delle condizioni richieste per procedere all'esame sotto tortura (il testo usa l'espressione redliche anzeygung, «sufficiente indizio») e per verificare la confessione in tal modo ottenuta costituisce la parte della Carolina nella quale sono maggiormente evidenti gli effetti della recezione della dottrina romano-canonica di provenienza italiana. Presupposti di tale regolamentazione sono il divieto di tortura in assenza di «indizi sufficienti» (art. 20)[42], e il principio secondo cui gli indizi richiesti per la tortura non sono mai sufficienti per la condanna (art. 22)[43]. Gli indizi necessari alla tortura sono ricompresi in accurati elenchi non tassativi e suscettibili di estensione analogica (art. 24). Vengono in primo luogo considerati gli indizi remoti, tra i quali sono enumerati la reputazione, le abitudini, le amicizie, il fatto di trovarsi sulla strada che conduce al luogo del delitto, il fatto di presentare abiti o altri caratteri simili a quelli presentati da chi è stato visto commettere il reato, e così via. La presenza di almeno due indizi remoti autorizza la tortura, ma in tal caso la decisione viene comunque rimessa alla prudente valutazione del giudice, che è invitato a tenere conto delle difese e delle giustificazioni addotte dall'imputato (art. 28). Seguono poi gli indizi prossimi, ognuno dei quali è considerato «sufficiente»; tra questi sono ricompresi, in via d'esempio, il ritrovamento sul luogo del delitto di una cosa di proprietà dell'imputato, la flagranza presuntiva o contestata, l'esistenza di una sola idonea testimonianza a carico, la denuncia di un complice, la confessione stragiudiziale (artt. 29-32). Vengono infine enumerati una serie di specifici indizi che autorizzano la tortura qualora si proceda per taluni determinati reati (quali ad esempio l'omicidio, l'avvelenamento, la rapina, il furto, la magia), a conferma della stretta relazione che all'epoca collega e sovrappone il diritto sostanziale a quello processuale. Specifico indizio che autorizza la tortura in un caso di avvelenamento è ad esempio il fatto che una persona in cattivi rapporti con la vittima si sia procurata sostanze velenose (art. 37)[44].

La composita disciplina dell'«indizio sufficiente» è solo una delle formali salvaguardie con cui la Carolina circonda l'istituto della tortura. Essa infatti ne prevede altre in ordine alle modalità dell'esperimento e alla verifica dei risultati. L'imputato deve essere «esortato» a indicate eventuali fatti giustificativi prima della tortura, e il giudice li deve accuratamente verificare, «poiché molti, per semplicità d'animo o per terrore, benché innocenti non sanno come procedere per giustificarsi» (art. 47). Il giudice controlla con apposite indagini i contenuti della confessione, che deve chiarire ogni minimo aspetto del fatto in modo che l'autoincriminazione abbia contenuti conclusivi (artt. 54-55). La confessione deve essere spontaneamente confermata almeno due giorni dopo la tortura (art. 56), fatto ovviamente salvo il rinvio alla tortura dell'imputato che ritratti (art. 57). L'intensità della tortura e l'eventuale ripetizione della stessa devono essere commisurate al peso dei sospetti che gravano sull'imputato; ogni valutazione in proposito è rimessa alla discrezionalità del giudice, mentre la dovuta verbalizzazione non deve essere realizzata nel corso della tortura ma dopo la fine della stessa (art. 58). La Carolina giunge a prevedere una cautela garantista destinata a divenire patrimonio comune delle normative procedurali solamente dopo secoli, e cioè il divieto per il giudice di ricorrere a domande suggestive (art. 56)[45]. Riesce a preoccuparsi di eventuali ferite o lesioni presenti sul corpo del torturato, che in questo caso dovrà soffrire il minor danno possibile (art. 59). Prescrive infine sanzioni per il giudice che abbia inflitto la tortura in violazione delle norme vigenti, e in tal caso riconosce all'imputato il diritto al risarcimento (art. 61)[46].

Il catalogo è questo, e si tratta certo di un brillante catalogo di garanzie, che distingue la legislazione imperiale da analoghe coeve esperienze normative, a cominciare dalle ordonnances francesi, e la avvicina alla main stream della dottrina penalistica europea. In effetti, la Carolina sembra essere la prima a non fidarsi pienamente della confessione sotto tortura che essa stessa prevede come chiave di volta del sistema, visto che la richiede come suggello formale anche nei casi di indubitabile e manifesta colpevolezza, a cominciare dalla flagranza (art. 16). Più volte nel testo si sottolinea come la confessione non debba semplicemente rappresentare una squallida e mera ammissione di colpa volta a facilitare il lavoro del giudice ne delicta remaneant impunita, ma debba costituire uno strumento per conoscere il fatto nei minimi dettagli, e cioè per conseguire la piena, assoluta, indiscutibile verità. Malauguratamente, anche nel caso della Carolina l'esperienza ha insegnato come tutti i menzionati strumenti di salvaguardia si siano sempre dimostrati impotenti a contrastare il vizio di base della tortura, del resto già pienamente riconosciuto dalla dottrina coeva maggiormente dotata di senso critico[47]. La tortura resta infatti il mezzo ideale per verificare la capacità di un imputato a resistere al dolore più o meno intenso, più o meno prolungato, più o meno ripetuto. Ma è perfettamente neutra nei confronti della veridicità di quanto affermato dal torturato, per il semplice motivo che essa costringe nello stesso modo tanto alla falsità quanto alla verità[48].

'Teatrale' e 'scenografico' sono probabilmente gli aggettivi adatti a descrivere la fase conclusiva del procedimento descritto nella Carolina (artt. 78-103). Il giudizio finale (entliche Rechtstag) si svolge infatti in seduta pubblica e conserva gli elaborati formalismi e il complesso apparato del tradizionale rito germanico, ma si risolve in una mera rappresentazione in forma drammatica di quanto è stato già altrove deciso. Su questo punto la Carolina è assai chiara: giudici e scabini si riuniscono in seduta segreta «prima del Rechtstag», e decidono «fra di loro» la sentenza sulla base della lettura integrale e della discussione della documentazione scritta raccolta nel fascicolo processuale (art. 81).

A sentenza già scritta, il Rechtstag si apre al suono della campana nel luogo ove si amministra la giustizia punitiva (solitamente la Marktplatz, la piazza principale della città). Il giudice togato, che reca in mano il bastone o la spada sguainata simbolo di giustizia, e il collegio scabinale giungono in solenne corteo e, assisi sui rispettivi scranni, introducono il giudizio pronunciando una serie di formule fisse. L'imputato viene introdotto accompagnato dalla non del tutto rassicurante figura del boia. L'accusa viene formalmente contestata in presenza dell'eventuale accusatore privato. Due oratori (Fürsprechen), uno per l'accusa (che parla in nome del sovrano o, se esiste, dell'accusatore privato) l'altro per la difesa, pronunciano brevi discorsi preconfezionati dalla stessa Carolina (artt. 89-91) per chiedere rispettivamente l'irrogazione della pena o l'assoluzione. Il giudice e gli scabini fingono, in buona sostanza, di deliberare per iscritto la sentenza già decisa prima del Rechtstag, e la consegnano al cancelliere perché la legga ad alta voce. Al termine il giudice togato scioglie l'assemblea e, in caso di sentenza capitale, consegna il condannato al boia per l'immediata esecuzione.

Niente più che una cerimonia rituale, dunque. Una cerimonia conservata per rispondere alle aspettative della gente comune e per deferenza verso l'antico costume, ma svuotata di ogni sostanza per impedire che l'incompetenza tecnica degli scabini possa pregiudicare gli esiti dell'inquisizione condotta dal giudice togato. L'autentico momento deliberativo è ora collocato nella fase formalmente preliminare del procedimento, dai contenuti sostanzialmente romano-canonici, mentre l'antica e pubblica procedura decisoria è ormai divenuta semplice rito e routine[49].

Vi è un ultimo istituto disciplinato dalla Carolina che merita di essere accennato, in quanto si risolve in un contributo indubbiamente originale e di lunga durata allo sviluppo delle istituzioni giudiziarie in Germania. Si tratta della rimessione degli atti del giudizio alla competente corte superiore, o alla più vicina facoltà giuridica, in caso di persistenti dubbi del giudice in ordine a taluni momenti chiave del procedimento, quali il ricorso alla tortura, la valutazione della prova legale o la deliberazione circa la colpevolezza dell'imputato. Tale rimessione, che a livello dottrinale assumerà la denominazione tecnica di Actenversendung («rimessione degli atti»), è prevista da numerose norme specifiche[50] ed è ripresa come rimedio generale dall'art. 219, ultimo della Carolina[51]. Si tratta di una scelta gravida di conseguenze, poiché l'Actenversendung, destinata a radicarsi profondamente nel costume giudiziario tedesco, segna nel contempo una svolta nella Recezione e la crisi per molti aspetti definitiva della tradizionale giustizia scabinale. Essa infatti non solo stabilisce un meccanismo di controllo indipendente dall'iniziativa delle parti, ma contribuisce a sviluppare ulteriormente alcuni caratteri romano-canonici della nuova procedura, quali il tecnicismo, la lunga durata e il ricorso sistematico alla scrittura, coinvolgendo nell'amministrazione della giustizia i centri di studio del diritto dotto, e cioè quelle che diventeranno ben presto vere e proprie «facoltà giusdicenti» (Spruchfakultäten), e anticipando il carattere teorico di Professorenrecht (diritto dei professori) che sarà tipico dell'esperienza giuridica tedesca in età moderna[52].

 

 

8. – Gli interventi di consolidamento normativo nel resto d'Europa

 

Nel corso del XVI secolo il consolidamento normativo delle forme procedurali inquisitorie si manifesta, come accennato, non solo in Francia e in Germania, ma un po' dappertutto in Europa, anche laddove le correnti dottrinali romano-canoniche si manifestano con minore intensità. Nella stessa Inghilterra la fedeltà a modelli procedurali alternativi rispetto a quelli affermatisi sul continente non impedisce l'entrata in vigore di norme volte a incidere non superficialmente sull'amministrazione della giustizia penale. L'esempio più significativo al proposito è offerto dai Marian Statutes, promulgati tra il 1554 e il 1555 dalla regina Maria Tudor. Si tratta di una serie di provvedimenti che disciplinano l'attività istruttoria dei giudici di pace, ai quali viene imposto un preciso dovere di verbalizzazione degli atti giudiziari. In tal modo nella procedura accusatoria tipicamente inglese basata sulla giuria (Trial by Jury) viene iniettato l'elemento di origine continentale della scrittura[53].

In Spagna la Nueva Recopilación de las Leyes, poderosa consolidazione-raccolta promulgata da Filippo II nel 1567, riprende, in tema di procedura penale, i principi e gli istituti di schietta impronta romano-canonica già presenti nella Ley de las Siete Partidas, realizzata nel 1265 da Alfonso X il Saggio per il Regno di Castiglia. Alla disciplina inquisitoria già delineata nelle Partidas la Nueva Recopilación si limita ad aggiungere la regolamentazione (contenuta nel titolo XIII del Secondo Libro) dell'attività dei «procuratores fiscales», comparsi sull'orizzonte giudiziario iberico nella prima metà del XV secolo[54].

Di particolare interesse è il caso dei Paesi Bassi spagnoli, ai quali il 5 e il 9 luglio 1570 il Duca d'Alba – il «duca di ferro» – impone, in nome del sovrano Filippo II, l'entrata in vigore di due Ordonnances Criminelles/Criminele Ordonnantien, redatte sia in francese che in neerlandese-fiammingo. La prima, l'Ordonnance sur le fait de la justice criminelle/Ordonnantie op het stuk der criminele justitie, è dedicata al diritto penale sostanziale, e cioè al sistema dei reati e delle pene. La seconda regola la procedura penale; si intitola Ordonnance sur le fait du stile général aux procédures des causes criminelles/Ordonnantie op den stijl van procedeeren in crumineele zaken, ed è nota con il nome di Stil o Style Criminele[55]. Lo Style Criminele presenta tutti i caratteri peculiari del modulo inquisitorio romano-canonico. Non a caso vi ha messo mano un giurista di scuola, Viglius van Aytta, romanista di qualità, assistito da Joos de Damhouder, criminalista dalle grandi fortune editoriali, che nel 1554 aveva pubblicato la Praxis Rerum Criminalium di Philipp Wielant[56]. La procedura è rigidamente scritta e segreta, accoglie il sistema della prova legale, attribuisce una funzione decisiva alla confessione e conseguentemente alla tortura, prevede l'intervento del procuratore fiscale.

Le due Ordonnantien si inquadrano nel fallito tentativo di pacificazione della regione, lacerata da profondi contrasti di natura politica e confessionale. Esse aboliscono gran parte dei privilegi locali in materia penale e, grazie anche a taluni contenuti giudicati particolarmente iniqui e vessatori nei confronti della popolazione, finiscono per fornire ulteriori motivazioni al vasto movimento insurrezionale che da anni scuote i Paesi Bassi spagnoli. Fallita la repressione, le Ordonnantien vengono infine sospese in seguito alla pace di Gand dell'8 novembre 1576. Ciò nonostante, per oltre due secoli lo Style Criminele continua a rappresentare la normativa di riferimento per le corti fiamminghe e olandesi, a ulteriore conferma dell'ormai generalizzata accettazione delle forme inquisitorie, che anche nei Paesi Bassi si erano venute insediando fin dal XIV secolo, e dunque ben prima della promulgazione delle Ordonnantien. E le poche modifiche che vengono apportate al testo del 1570 non fanno che accentuarne il rigore. È il caso del ricorso alla tortura anche nei casi manifesti, esplicitamente vietato nello Style Criminele, ma ben presto reintrodotto dalla pratica giudiziaria fiamminga[57].

 

 

9. – Alcune esperienze legislative in Italia

 

Il fervore legislativo che, enfatizzando l'intervento statuale nella repressione criminale, interessa tutta l'Europa cinquecentesca contribuisce a sottolineare per contrasto alcune singolarità della situazione italiana. Segnata sul piano politico dalla frammentazione e dalla relativa debolezza degli apparati pubblici, la penisola è infatti caratterizzata sul piano giuridico da una accentuata autonomia del ceto giudiziario-forense, dal ruolo cardinale della produzione dottrinale, e dalla presenza di una risalente legislazione statutaria e municipale capillarmente diffusa. Abbiamo già più volte accennato alla posizione di avanguardia assunta dalla dottrina italiana di diritto comune nella fissazione dei dogmi e delle tecniche del procedimento romano-canonico. La legislazione statutaria, dal canto suo, pur avendo ormai esaurito all'inizio del XVI secolo la fase di maggiore dinamicità creativa, ha già da tempo – e precisamente dal XIII e ancor più dal XIV secolo – disegnato sul territorio una fitta ragnatela di microsistemi procedurali in tutto o in parte fondati sul modulo inquisitorio[58]: «communiter in Italia vigent statuta – scrive Egidio Bossi nella prima metà del Cinquecento – quod omni casu officiales possint inquirere»[59].

I peculiari caratteri testé segnalati non impediscono peraltro che anche nella penisola si manifesti, pur se in misura inferiore e con esiti meno rilevanti, il movimento normativo che interessa il resto del continente.

Esemplari al proposito sono le Nuove Costituzioni dello Stato di Milano (Constitutiones Dominii Mediolanensis), testo legislativo di portata generale entrato in vigore nella Lombardia spagnola nel 1541[60]. Pressoché coeve tanto alla Carolina quanto all'Ordonnance di Villers-Cotterets e destinate a rimanere in vigore fino alla fine del XVIII secolo, le Nuove Costituzioni intervengono sulla materia del processo penale mediante un mosaico di regole settoriali[61] che presuppongono l'esistenza delle varie normative municipali di origine statutaria e l'ormai comune accettazione dei moduli inquisitori[62]. I punti qualificanti della disciplina – che trova la propria giustificazione in un principio ormai tralatizio: «ne delicta ipsa impunita remaneant»[63] – sono individuabili nell'ordinarietà del procedimento ex officio, nella particolare visibilità all'avvocatura fiscale, e nel ruolo di cardine del sistema attribuito al Senato.

Il procedimento viene avviato ex officio dal giudice e ha ordinariamente come presupposto l'accusa o la querela della parte privata ovvero la denuncia di un pubblico ufficiale[64]. La denuncia è obbligatoria per i reati di maggiore gravità, e spetta in particolare agli anziani eletti nelle parrocchie e ai consoli delle comunità locali[65]. Una volta avviato, il procedimento deve essere condotto e definito secondo le forme e i tempi prescritti dalle singole legislazioni statutarie, e comunque in tempi assai ristretti[66]. In tutti le cause criminali la partecipazione dell'avvocato fiscale è espressamente richiesta a pena di nullità, onde garantire la tutela degli interessi pubblici e, ovviamente, la condanna dei colpevoli («ne condemnandi absolvantur»[67]). Le Nuove Costituzioni non impongono espressamente al fiscale l'onus accusandi, che spetta ai consoli e agli anziani; egli deve piuttosto collaborare alla formazione dell'inquisizione non solo mediante la presentazione di istanze, voti e conclusioni, ma anche assistendo il giudice nella cattura e detenzione del reo, intervenendo all'esame dei testimoni, e partecipando all'assunzione del materiale probatorio[68]. Il fiscale deve altresì sottoscrivere (annotando il proprio eventuale dissenso) la relazione con la quale il giudice è chiamato a trasmettere al Senato, per la decisione finale, le cause istruite in sede locale nei casi che si possono concludere con l'irrogazione delle pene di morte, di mutilazione di un arto, o di confisca dei beni[69].

Quest'ultima previsione comporta la riserva alla competenza senatoria di tutti i più importanti processi penali, e indica dunque il ruolo di assoluta centralità ormai assunto dal supremo organismo giurisdizionale dello Stato[70], in piena assonanza con una linea tendenziale presente in tutta Europa. L'incidenza delle competenze senatorie nell'amministrazione della giustizia penale è vieppiù accentuata dal fatto che le Constitutiones vietano bensì l'appello ed ogni altra forma di impugnazione in criminalibus, ma lasciano sempre aperta la via del ricorso al Senato, che provvede «secundum qualitatem casuum» ricorrendo a poteri in buona sostanza arbitrari[71].

Nelle Nuove Costituzioni la disciplina relativa all'avvio del procedimento e alle funzioni dell'avvocatura fiscale e del Senato risulta particolarmente curata. Altrettanto non si può dire per la regolamentazione di altri caratteri propri del modulo inquisitorio che, come accennato in precedenza, dal legislatore del 1541 vengono dati per scontati e abbandonati alla disciplina statutaria. È il caso della segretezza, alla quale si fa riferimento quando si impone ai fiscali il dovere di non propalare adempimenti, atti e documenti pertinenti al procedimento[72]. Analogo è il discorso relativo all'elemento della scrittura, che affiora ogniqualvolta si menzionino i doveri di verbalizzazione e di sottoscrizione degli atti imposti a giudici e funzionari[73]. Per quanto riguarda poi la materia probatoria, vi è un'indubbia attenzione per le regole relative all'assunzione della prova testimoniale[74], ma le Nuove Costituzioni accennano solo indirettamente alla tortura[75], lasciando peraltro intendere che si tratta di rimedio del tutto pertinente all'ordinaria amministrazione della giustizia penale[76].

In un panorama caratterizzato dalla preminenza delle istanze repressive e da una evidente sproporzione di poteri e diritti tra Stato e individuo, qualche scrupolo garantista affiora nel precetto che limita la carcerazione preventiva ai casi punibili con pena afflittiva corporale[77], e nelle norme che, definendo inammissibili le denunce anonime, dichiarano «nullius valoris, et momenti» i procedimenti basati su tali «delationes criminum»[78]. Non è escluso che in questi casi i redattori delle Nuove Costituzioni abbiano voluto porre un freno a particolari abusi riscontrati nella prassi giudiziaria.

Accanto alle Constitutiones Dominii Mediolanensis del 1541, un secondo notevole esempio della diffusione in Italia del movimento legislativo volto a fissare a livello statuale gli assetti definitivi delle forme procedurali inquisitorie è offerto dalla legislazione emanata da Emanuele Filiberto per i domìni della Casa di Savoia, e in particolare dal Libro quarto dei Novi Ordini, promulgato nel 1565 con il titolo Delle cause criminali, et il modo di proceder in esse[79].

Il Libro quarto dei Novi Ordini si inquadra in un'ampia riforma politico-istituzionale voluta dal duca, rientrato nei suoi domini dopo un quarto di secolo di occupazione francese (1536-1559). Durante tale periodo tanto in Savoia quanto in Piemonte nell'amministrazione della giustizia penale erano state comunemente utilizzate – nel loro testo originale o in versione latina – le ordonnances regie francesi, tra le quali la stessa Ordonnance di Villers-Cotterets. Di particolare importanza era stata, durante questa fase critica, la nascita dei due tribunali supremi, i Parlamenti di Torino e di Chambéry, che gli occupanti avevano creato sul modello dei parlements d'oltralpe, innestandoli su preesistenti organi consultivi ducali[80].

Emanuele Filiberto sa far tesoro delle innovazioni giudiziarie e procedurali introdotte dai Francesi. Mantiene e anzi trasforma in Senati i Parlamenti di Torino e di Chambéry, promulga nel 1561 i Novi Ordini in materia civile, e aggiunge a questi, nel 1565, i Novi Ordini in materia criminale, destinati a rimanere a lungo alla base della procedura negli Stati sabaudi e i cui contenuti confluiranno, almeno in parte, nelle Leggi e Costituzioni di Vittorio Amedeo II del 1723. Il modello francese è presente sullo sfondo di questa azione di riforma, e si manifesta in primo luogo nella scelta di utilizzare la lingua volgare nella redazione dei testi legislativi, e nella norma degli Ordini civili del 1561 che, analogamente a quanto disposto dall'Ordonnance di Villers-Cotterets, prescrive l'uso dell'italiano (o del francese nei territori «di là de' monti») in luogo del latino tanto negli atti processuali quanto nella documentazione notarile[81].

Destinati a «porre forma et ordine al proceder de le cause criminali», i Novi Ordini del 1565[82] operano in un rapporto di complementarietà rispetto al diritto comune[83], e tradiscono una impostazione manualistica nel contempo espositiva e sistematica[84], simile per certi versi a quella riscontrabile nella Constitutio Criminalis Carolina. La riforma di Emanuele Filiberto attribuisce la giurisdizione penale alle corti ordinarie ducali stabilite in materia civile, fatte salve le competenze delle giudicature feudali, privilegiate o statutarie[85]. Il giudice che si dimostri lento o negligente viene punito, e in tal caso la cognizione passa alla corte superiore[86]. Come in Francia (ma il dato è riscontrabile anche nelle Nuove Costituzioni milanesi), un ruolo di primo piano è assegnato ai procuratori (o avvocati) fiscali, che erano già comparsi nei domìni sabaudi all'inizio del Quattrocento durante il regno di Amedeo VIII, e i cui compiti vengono ora ulteriormente precisati e razionalizzati. Presso ogni corte viene infatti istituito un ufficio fiscale che, oltre a promuovere l'inquisizione per tutti i reati, partecipa all'esame degli imputati e dei testimoni, replica alle difese, e presenta al giudice le proprie conclusioni[87].

L'inquisizione costituisce l'asse portante di tutto il procedimento e viene iniziata ex officio dal giudice non appena conosciuto il reato[88]. Tutto si svolge nel pieno rispetto dei principi della segretezza e della scrittura, secondo l'ormai consueta impostazione volta al conseguimento della prova regina, la confessione, passando se necessario attraverso la tortura. Gli imputati detenuti vengono sottoposti a un primo interrogatorio alla presenza del fiscale entro ventiquattro ore dall'arresto[89], e vengono esonerati dal prestare giuramento, «poiché verisimilmente si può giudicare che essi per salvar la vita et l'honore non si faranno coscienza di negar il vero et giurar il falso»[90]. Il ricorso alla tortura è deliberato con decisione che – analogamente a quanto previsto dall'art. 163 dell'Ordonnance di Villers-Cotterets – può essere impugnata davanti «al giudice del'apelatione o vero al Senato»[91]. In caso di mancata confessione, i testimoni possono essere nuovamente sentiti alla presenza dell'imputato qualora il giudice lo ritenga necessario per scoprire la verità[92].

Compiuta l'inquisizione, una copia delle deposizioni testimoniali viene consegnata all'imputato, che ha dieci giorni di tempo per presentare le proprie difese[93]. Il ricorso alla difesa tecnica, rappresentata da un «procurator o altro difensore deputato», è espressamente prevista[94]. La fase deliberativa è ridotta al minimo indispensabile e si fonda sulla documentazione contenuta nel fascicolo processuale[95]. La sentenza è appellabile. Il fiscale può impugnare la sentenza di assoluzione presso il Senato nei casi punibili con pena di morte, con mutilazione di un arto, con fustigazione o con altra pena corporale. Il condannato può a sua volta appellare per gradi, ovvero adire direttamente il Senato, salvo che si tratti di suddito di feudatario dotato della cognizione di secondo grado. Allo stesso Senato è attribuita la facoltà di avocare e decidere le cause criminali relative ai delitti pubblici punibili con pena corporale o pecuniaria di notevole entità[96]. Queste ultime prescrizioni fanno chiaramente comprendere come anche negli Stati della Casa di Savoia la suprema magistratura senatoria svolga ormai una funzione di primo piano nei processi penali sia come giurisdizione di ultima istanza sia, nei casi di maggiore gravità, come organo chiamato a realizzare un unico grado di giudizio.

Nei Novi Ordini la rigidità della procedura e la particolare severità delle pene[97] trovano qualche temperamento nelle norme dirette a escludere, nei casi di minore gravità, l'arresto e la detenzione preventiva dei presunti colpevoli[98], e a condizionare tali provvedimenti, negli altri casi, alla presenza di sufficienti indizi[99]. Anche il ricorso alla tortura viene incanalato entro rigidi schemi formali tendenti a prevenire per quanto possibile la commissione di abusi[100].

 

 

10. – Rilievi conclusivi

 

L'esame testé condotto di talune tra le normative italiane, e la considerazione del fatto che anche nella particolare situazione della penisola non mancano, nell'epoca considerata, evidenti manifestazioni di una tendenza legislativa presente su tutto il continente europeo, ci consentono ora di tirare brevemente le fila del discorso condotto fino a questo momento.

Innanzitutto, rileviamo come la pur celere e incompleta rassegna che abbiamo tentato di compiere abbia comunque fornito una congrua serie di conferme alle osservazioni che abbiamo svolto nell'esordio del presente contributo, e che abbiamo assunto come ipotesi di lavoro. I dati cronologici che abbiamo potuto individuare sembrano infatti convergere nell'individuazione del XVI secolo come momento decisivo nel lungo e complesso processo di assunzione, da parte dello Stato, di una competenza tendenzialmente piena ed esclusiva in materia penale. Parallelamente, l'esame contenutistico dei testi normativi segnalati permette di indicare nella disciplina del processo lo strumento e l'oggetto privilegiato di tale assunzione.

In effetti – e per affrontare subito questo secondo punto – è innanzitutto alla disciplina processual penalistica che si rivolge lo Stato nel momento in cui inizia faticosamente a muoversi lungo un itinerario di modernizzazione e di ricostruzione dell'ordinamento destinato a sfociare in un edificio dotato di solide fondamenta e di razionali architetture. Nell'ambito di tale itinerario, indispensabile si presenta l'assunzione di una piena titolarità in una materia quale quella del diritto penale, sentita come decisiva per il buon funzionamento della cosa pubblica, per la conservazione della pace interna e della civile convivenza, e altresì per il controllo – e qui le motivazioni di natura politica non mancano – dei singoli e delle strutture sociali.

Il canale attraverso il quale tale assunzione si svolge e si manifesta è innanzitutto quello della creazione di opportune strutture processuali e giudiziarie, in quanto queste strutture sono quelle che meglio garantiscono l'efficienza del sistema e l'effettività del controllo. Alla creazione di strutture processuali nuove si accompagna poi la massiccia statualizzazione di strutture processuali già esistenti o in via di affermazione. Ci riferiamo in particolare ai moduli procedurali che già dal XIII secolo appaiono informati a principi e criteri inquisitori. Si tratta di principi e criteri che appaiono particolarmente opportuni a coloro che prendono parte alla riorganizzazione dell'ordinamento su basi assolutiste. Nella Germania della Recezione il processo di statualizzazione si rivolge principalmente agli esiti dottrinali italiani; in Francia l'influenza dottrinale non manca, ma qui vengono privilegiati gli esiti della prassi giudiziaria, corretti e adattati alle esigenze di accentramento della nascente monarchia assoluta. In ogni caso, le istituzioni statali insistono in modo particolare su strutture di natura inquisitoria, in un processo di mutuo sviluppo e di reciproco rafforzamento tra le prime e le seconde del quale i testi normativi da noi richiamati in precedenza sono indubitabile testimonianza. Da questo punto di vista, possiamo ben affermare che la storia del modello inquisitorio nel processo penale è anche la storia dell'intervento dello Stato nel processo penale, che non inizia certo nel XVI secolo, ma che in tale periodo sembra assumere i contorni della ordinarietà e diremmo quasi della quotidianità.

Strettamente collegato all'intervento sulla disciplina processuale è poi il sorgere di strutture giurisdizionali che concorrono al raggiungimento dei medesimi fini che si vogliono conseguire anche a livello legislativo. Ci riferiamo alle istituzioni giudiziarie che, nel periodo considerato, nascono come strumenti di salvaguardia del sistema, o che tali divengono nel tempo. Queste strutture sono fondamentalmente rappresentate da un lato dai grandi tribunali, dai senati, dai parlamenti, in una parola dalle corti centrali degli Stati europei grandi e piccoli, dall'altro da quell'organo che vediamo affermarsi quasi dappertutto nel continente proprio nell'epoca considerata, e che viene variamente denominato procuratore regio, procuratore fiscale, avvocato fiscale[101]. Il compito di tale organo, che appare essenziale per i delicati equilibri che si vanno lentamente costituendo nel cammino di fissazione dei nuovi ordinamenti di stampo assolutistico, è quello di garantire le prerogative e gli interessi di un sovrano che tende sempre più a perdere la propria identità personale e a trasformarsi in simbolo dello Stato[102].

E torniamo, per finire, sul dato cronologico. Abbiano individuato nei pochi decenni che vanno dallo scorcio del XV secolo alla seconda metà del XVI uno dei momenti decisivi, se non il momento decisivo, nell'emersione del rapporto per così dire preferenziale tra il nascente Stato moderno e i molteplici profili – legislativo innanzitutto, ma anche giurisdizionale, politico e ideologico – della materia penale. All'interno di tale periodo un ruolo particolarmente rilevante è poi svolto dalle scelte operate intorno agli anni Trenta del Cinquecento. Sono questi, in effetti, gli anni che sembrano segnare una sorta di giro di boa o, se si vuole, un punto di non ritorno nel complesso processo di assorbimento da parte delle istituzioni statali delle competenze penalistiche. E sono questi gli anni nei quali la fino ad allora indiscussa giurisprudenzialità del sistema giuridico dell'Europa continentale si trova, forse per la prima volta, a dover fare seriamente i conti con un massiccio, mirato e diffuso intervento di tipo legale, posto in essere da organismi che non possono non essere definiti statali. I tempi non sono ancora maturi, ma la crisi del sistema di diritto comune affonda le proprie radici anche nelle scelte operate nel periodo preso in considerazione, e anche nei testi normativi prodotti da tali scelte.

Non a caso, dunque, i più importanti tra i testi che abbiamo avuto modo di ricordare in questa occasione, e cioè la Constitutio Criminalis Carolina, del 1532, e L'Ordonnance di Villers-Cotterets, del 1539, si presentano come sostanzialmente coevi. E non a caso questi due monumenti, nel bene e nel male, della storia del diritto penale scaturiscono da quegli stessi ambiti non solo politici e territoriali ma anche culturali e ideologici destinati in prospettiva ad assumere un ruolo guida nella creazione di quel complesso fenomeno cui diamo oggi il nome di Stato moderno.

 

 

 

 


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* Dal preambolo all’Ordonnance sur le faict de la justice, promulgata da Francesco I a Villers-Cotterets nel 1539 (cfr. infra, nt. 14).

 

[1] Sulla legislazione federiciana, cfr. Constitutiones Regni Siciliae, ristampa anastatica dell'edizione di Napoli del 1786 curata da G. Carcani con una introduzione di A. Romano, [Monumente Iuridica Siciliensia, 1] Messina 1992 (con ampie indicazioni bibliografiche alle pp. xxxiv-xxxix). In argomento segnaliamo inoltre la recente e accurata edizione di un’epitome in volgare del Liber Augustalis risalente al XV secolo: D. Maffei, Un’epitome in volgare del “Liber Augustalis”. Il testo quattrocentesco ritrovato ed edito, Roma-Bari 1995.

 

[2] Sulle Partidas, ampi ragguagli bibliografici sono reperibili in A. Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa. Le fonti e il pensiero giuridico, 1, Milano 1979, 672-673.

 

[3] Ci permettiamo, in argomento, di rinviare il lettore a E. Dezza, Accusa e inquisizione dal diritto comune ai codici moderni, I, Milano 1989, in particolare 3-53.

 

[4] Alcuni tra i più importanti testi normativi cinquecenteschi consacrati in tutto o in parte alla procedura penale (e precisamente i Marian Statutes, la Constitutio Criminalis Carolina, e l'Ordonnance di Villers-Cotterets) sono stati accuratamente studiati da J.H. Langbein, Prosecuting Crime in the Renaissance. England, Germany, France, Cambridge, Massachusetts, 1974. Si tratta di una ricerca che offre un importante contributo alla conoscenza della materia, ma che è stata nondimeno oggetto di critiche (ad esempio da parte di J.S. Cockburn, nella recensione apparsa in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis 43, 1975, 347-349) in quanto, come nota Jean-Marie Carbasse, «cet ouvrage s'en tient à la comparaison des sources législatives», mentre «en la matière la pratique est beaucoup plus importante que la législation, souvent détournée ou ineffective» (J.-M. Carbasse, Introduction historique au droit pénal, Paris 1990, 164). Sulle grandi legislazioni penali del Cinquecento cfr. anche L.-T. Maes, Die drei grossen europäichen Strafgesrtzbücher der 16. Jahrhunderts. Eine vergleichende Studie, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, Germanistische Abteilung 94, 1977, 207-217.

 

[5] Sul ruolo e sui caratteri della giurisprudenza dei grandi tribunali europei nell'età del tardo diritto comune, cfr. Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa, cit., in particolare 155-171 (bibliografia alle pp. 638-639), e M. Ascheri, Tribunali, giuristi ed istituzioni dal medioevo all'età moderna, Bologna 1989 (bibliografia alle pp. 255-258). Non possono non essere ricordati, in argomento, anche i numerosi e magistrali contributi di Gino Gorla, per lunghi anni attento indagatore della materia; tali lavori sono complessivamente segnalati e singolarmente discussi in A. Cavanna, La storia del diritto moderno (secoli XVI-XVIII) nella più recente storiografia italiana, Milano 1983, ad indicem (in particolare 72 e nt. 68).

 

[6] In tema di tortura, l'opera di Piero Fiorelli, La tortura giudiziaria nel diritto comune, 2 voll., Milano, Giuffrè, 1953-1954, a quasi mezzo secolo dalla sua pubblicazione «ha ancora il potere di rendere del tutto superflua» la produzione di un «ennesimo titolo» in materia. Ci pare comunque opportuno segnalare il volume di J.H. Langbein, Torture and the Law of Proof. Europe and England in the Ancien Régime, Chicago-London 1976, e le numerose indagini raccolte in La parola all'accusato, a cura di J.-C.M. Vigueur e A. Paravicini Bagliani, Palermo 1991. Tra queste ultime figura (alle pp. 17-32) il meditato contributo di M. Sbriccoli, «Tormentum idest torquere mentem». Processo inquisitorio e interrogatorio per tortura nell'Italia comunale, dal quale abbiamo mutuato il giudizio (espresso dall'autore alla nt. 2, 17-18) riportato in precedenza sull'opera di Piero Fiorelli. Rammentiamo ancora che il tema dei rapporti tra la tortura e il ruolo della confessione nel processo penale in età moderna è stato di recente approfondito da P. Marchetti, Testis contra se. L'imputato come fonte di prova nel processo penale dell'età moderna, Milano 1994.

 

[7] Un sicuro punto di riferimento per la storia del processo penale in Francia è tuttora costituito dalla classica opera di Adhémar Esmein, Histoire de la procédure criminelle en France, et spécialement de la procédure inquisitoire depuis le XIIIe siècle jusqu’a nos jours, Paris 1882 [rist. an. Frankfurt am Main 1969]. Tra le sintesi più recenti, ricordiamo: A. Laingui-A. Lebigre, Histoire du droit pénal, II, La procédure pénale, Paris 1980; Carbasse, Introduction historique au droit pénal, cit.; A. Laingui, Histoire du droit pénal, Paris 1993.

 

[8] Cfr.: Esmein, Histoire de la procédure criminelle en France, cit., 66-134; Laingui, Lebigre, Histoire du droit pénal, II, cit., 45-70; Carbasse, Introduction historique au droit pénal, cit., 105-203; Laingui, Histoire du droit pénal, cit., 37-49. Sul Grand Coutumier de France e sul suo autore cfr. M. Vincent-Cassy, Dottrina e pratica dell'interrogatorio nella Francia del XIV secolo: Jacques d'Ableiges e il «Grand Coutumier», in La parola all'accusato, cit., 85-101.

 

[9] Per un primo approccio in tema di ordonnances, cfr. Carbasse, Introduction historique au droit pénal, cit., 107, e R.C. van Caenegem, Introduzione storica al diritto privato, Bologna 1995, 116-120 (bibliografia alle pp. 136-142).

 

[10] Sull'Ordonnance di Blois del 1498 cfr. innanzitutto Esmein, Histoire de la procédure criminelle en France, cit., 135-139. Sul medesimo argomento cfr. inoltre le sintesi di Laingui-Lebigre, Histoire du droit pénal, II, cit., 79-83, e di Carbasse, Introduction historique au droit pénal, cit., 146. Per il testo dell'Ordonnance, cfr. Recueil général des anciennes lois françaises depuis l'an 420 jusqu'à la Révolution de 1789, a cura di F.A. Isambert et al., Paris 1823-1833, 29 voll., XI, Paris 1827, 323-379. I più importanti articoli dell'Ordonnance sono riportati in Y. Jeanclos, La législation pénale de la France du XVIe au XIXe siècle, Paris 1996, 5-10.

 

[11] Carbasse, Introduction historique au droit pénal, cit., 146. Cfr. inoltre Fiorelli, La tortura giudiziaria, I, cit., 110-113.

 

[12] Sull'Ordonnance di Villers-Cotterets, cfr.: A. Allard, Histoire de la justice criminelle au seizième siècle, Gand-Paris-Leipzig 1868 [rist. an. Aalen 1970]; Esmein, Histoire de la procédure criminelle en France, cit., 139-158; Langbein, Prosecuting Crime in the Renaissance, cit., 210-251; Id., Torture and the Law of Proof, cit., 49-51; Maes, Die drei grossen europäichen Strafgesrtzbücher der 16. Jahrhunderts, cit., 207-217; Laingui-Lebigre, Histoire du droit pénal, II, cit., 79-83; Carbasse, Introduction historique au droit pénal, cit., 146-147. Per il testo dell'Ordonnance, cfr. Recueil général des anciennes lois françaises, cit., XII, 2, Paris 1827, 600-640. I più importanti articoli dell'Ordonnance sono riportati in Jeanclos, La législation pénale de la France, cit., 11-13. Una versione inglese degli articoli relativi alla giustizia penale è contenuta in Langbein, Prosecuting Crime in the Renaissance, cit., 309-313.

 

[13] Esmein, Histoire de la procédure criminelle en France, cit., 139.

 

[14] Il breve preambolo è, nella sua integrità, così concepito: «François, etc.: Sçavoir faisons, à tous présens et advenir, que pour aucunement pourvoir au bien de notre justice, abréviation des procès, et soulagement de nos sujets, avons, par édit perpétuel et irrévocable, statué et ordonné, statuons et ordonnons les choses qui s'en suivent» (Isambert, Recueil général, cit., 600-601).

 

[15] Ci riferiamo alle critiche prese di posizione manifestate da Jean Constantin, da Charles Dumoulin e, in primo luogo, da Pierre Ayrault. Per un approfondito esame delle vicende relative a tali proteste dottrinali, rinviamo in primo luogo all'indagine per molti aspetti ancora pienamente valida di Esmein, Histoire de la procédure criminelle en France, cit., 158-168. Per una sintesi sul tema, e per le relative indicazioni bibliografiche, cfr. anche Dezza, Accusa e inquisizione, cit., 98-103.

 

[16] Ordonnance di Villers-Cotterets, art. 167: «Le surplus des ordonnances de nous et de nos prédécesseurs, cidevant faictes sur le faict desdites matières criminelles, demeurant en sa force et vertu, en ce qu'il ne seroit trouvé dérogeant ou préjudiciable au contenu de ces présentes».

 

[17] I giudici delle corti regie devono procedere in materia di crimini e delitti «sans attendre la plainte des parties civiles» (Ordonnance di Orléans, art. LXIII); i procureurs du roi «sont tenus faire diligente pursuite et recherche des crimes, sans attendre qu'il y ait instigateur, dénonciateur ou partie civile» (seconda Ordonnance di Blois, art. 184). Cfr. Jeanclos, La législation pénale de la France, cit., 14, 20.

 

[18] Poyet muore povero e dimenticato nel 1548, dopo aver dovuto pagare l'ingente somma di 10.000 livres. Cfr. Esmein, Histoire de la procédure criminelle en France, cit., 161-162, e Carbasse, Introduction historique au droit pénal, cit., 125.

 

[19] La storia del processo penale nei Paesi Tedeschi durante il Basso Medioevo ha assai per tempo attirato l'attenzione della storiografia giuridica. Numerose e talvolta piuttosto risalenti – anche se tuttora proficuamente utilizzabili – sono infatti le opere dedicate all'argomento. In questa occasione ci limitiamo a segnalare taluni classici contributi, che espongono in modo compiuto quanto in questa occasione viene riferito solo per brevi cenni: F.A. Biener, Beiträge zu der Geschichte des Inquisitionsprozesses und der Geschworenengerichte, Leipzig 1827; R. Stintzing, Geschichte der deutschen Rechtswissenschaft, I, München-Leipzig 1880; R. His, Geschichte des deutschen Strafrechts bis zur Karolina, München-Berlin 1928 [rist. an. München 1967]; E. Schmidt, Einführung in die Geschichte der deutschen Strafrechtspflege, 3a ed., Göttingen 1965. Sempre proficua è anche la consultazione di F. Wieacker, Privatrechtsgechichte, Göttingen 1967 (trad. ital. a cura di U. Santarelli e S.A. Fusco, Storia del diritto privato moderno con particolare riguardo alla Germania, 2 voll., Milano 1980).

 

[20] Le cause e gli aspetti della Recezione del diritto comune romano-canonico in Germania sono puntualmente illustrati in Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa, cit., 443-471.

 

[21] Fiorelli, La tortura giudiziaria, I, cit., 105-107.

 

[22] Cfr. Schmidt, Einführung in die Geschichte, cit., 42-98; Langbein, Prosecuting Crime in the Renaissance, cit., 140-155; W. Trusen, Strafprozess und Rezeption. Zu den Entwicklungen in Spätmittelalter und den Grundlagen der Carolina, in Strafrecht, Strafprozess und Rezeption. Grundlagen, Entwicklung und Wirkung der Constitutio Criminalis Carolina, Herausgegeben von P. Landau und F.-C. Schroeder, [Juristische Abhandlungen, XIX] Frankfurt am Main 1984, 29-118, in particolare 29-77.

 

[23] Cfr. R.C. van Caenegem, La preuve dans le droit du Moyen Age occidental, in La Preuve, II, Moyen Age et Temps Modernes, [Recueils de la Societé Jean Bodin pour l'histoire comparative des institutions, XVII] Bruxelles 1965, 691-753, in particolare 717 e 724-725.

 

[24] Cfr. Langbein, Prosecuting Crime in the Renaissance, cit., 155-158, e Trusen, Strafprozess und Rezeption, cit., 77-89.

 

[25] G. Kleinheyer, Tradition und Reform in der Constitutio Criminalis Carolina, in Strafrecht, Strafprozess und Rezeption, cit., 7-27, in particolare 7-8.

 

[26] Sulla Wormser Reformation, cfr.: Wieacker, Storia del diritto privato, cit., 288; Langbein, Prosecuting Crime in the Renaissance, cit., 159-162; Kleinheyer, Tradition und Reform, cit., 15-17; Trusen, Strafprozess und Rezeption, cit., 74 e 90.

 

[27] In ordine alle Maximilianischen Halsgerichtsordnungen, cfr.: E. Schmidt, Die Maximilianischen Halsgerichtsordnungen für Tirol (1499) und Radolfzell (1506) als Zeugnisse mittelalterlicher Strafrechtspflege, Bleckede an der Elbe 1949; Langbein, Prosecuting Crime in the Renaissance, cit., 158-159; Kleinheyer, Tradition und Reform, cit., 15; Trusen, Strafprozess und Rezeption, cit., 90.

 

[28] CCB, art. 13, «Ist besser den schuldigen ledig zulassen dass den unschuldigen zum tode zuverdampnen».

 

[29] L'Ordinanza di Brandenburg, dal canto suo, viene denominata soror Carolinae. Cfr., sul punto, H. Rüping, Die Carolina in der strafrechtlichen Kommentarliteratur. Zum Verhältnis von Gesetz und Wissenschaft im gemeinen deutschen Strafrecht, in Strafrecht, Strafprozess und Rezeption, cit., 161-176, in particolare 169.

 

[30] Sulla Bambergensis, sull'Ordinanza di Brandenburg e su Johann von Schwarzenberg, cfr.: Wieacker, Storia del diritto privato, cit., 230-231; Langbein, Prosecuting Crime in the Renaissance, cit., 163-165; Kleinheyer, Tradition und Reform, cit., 15-17; Trusen, Strafprozess und Rezeption, cit., 92-118; Deutsche Juristen aus fünf Jahrhunderten. Eine biographisce Einführung in die Rechtswissenschaft, Herausgegeben von G. Kleinheyer und J. Schröder, 3a ed., Heidelberg 1989, 247-250; C. Pott, Schwarzenberg, Johann von (1463/65–1528), in Juristen. Ein biographisches Lexikon. Von der Antike bis zum 20. Jahrhundert, Herausgegeben von M. Stolleis, München 1995, 550-551.

 

[31] La denominazione ufficiale tedesca è Kaiser Karls des fünften und des heyligen römischen Reichs peinlich Gerichtsordnung. Secondo il costume germanico, la Carolina viene sovente indicata con la sigla corrispondente all'intitolazione latina del testo, e cioè CCC. I testi e le varie redazioni (con le eventuali aggiunte) della Carolina, della Bambergensis e delle altre normative minori a esse collegate sono reperibili nelle seguenti edizioni critiche: H. Zoepfl, Die peinliche Gerichtsordnung Kaiser Karls V. nebst der Bamberger und der Brandenburger Halsgerichtsordnung, Leipzig 1876 (1a edizione 1842); J. Kohler-W. Scheel, Die Carolina und ihre Vorgängerinnen. Text, Erläuterung, Geschichte, 4 voll., Halle 1900-1915; Die Carolina. Die Peinliche Gerichtsordnung Kaiser Karls V. von 1532, Herausgegeben von F.-C. Schroeder, Darmstadt 1986. Su alcune tra le edizioni della Carolina, cfr. Langbein, Prosecuting Crime in the Renaissance, cit., 259-260, che offre altresì una parziale traduzione del testo in lingua inglese (261-308).

 

[32] Ampia è la letteratura storico-giuridica fiorita intorno alla Carolina. Abbiamo già segnalato e utilizzato in precedenza alcune tra le numerose e approfondite indagini riunite in Landau-Schroeder (hrsg.), Strafrecht, Strafprozess und Rezeption, cit. Tra i restanti contributi, ci limitiamo qui a segnalare: Biener, Geschichte des Inquisitionsprozesses, cit., 149-160; Allard, Histoire de la justice criminelle, cit., 419-423; C. Güterbock, Die Entstehungsgechichte der Carolina auf Grund archivalischer Forschungen und neu auf gefundener Entwürfe dargestellt, Würzburg 1876; Stintzing, Geschichte der Deutschen Rechtswissenschaft, I, cit., 608-648; Esmein, Histoire de la procédure criminelle en France, cit., 303-309; E. Schmidt, Die Carolina, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, Germanistische Abteilung 53, 1933, 1-34; Id., Einführung in die Geschichte, ed. cit., 107-211; F. Schaffstein, Die europäische Strafrechtswissenschaft im Zeitalter des Humanismus, Göttingen 1954; H. von Weber, Die peinliche Halsgerichtsordnung Kaiser Karls V., in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, Germanistische Abteilung 77, 1960, 288-310; G. Schmidt, Sinn und Bedeutung der Constitutio Criminalis Carolina als Ordnung des materiellen und prozessualen Rechts, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, Germanistische Abteilung 83, 1966, 239-257; G. Radbruch, Die peinliche Gerichtsordnung Karls V. von 1532, Stuttgard 1967; Langbein, Prosecuting Crime in the Renaissance, cit., 140-209; Maes, Die drei grossen Strafgesetzbücher, cit., passim (con ulteriori indicazioni bibliografiche a 208, ntt. 7-8).

 

[33] Langbein, Prosecuting Crime in the Renaissance, cit., 165-166, e Kleinheyer, Tradition und Reform, cit., 7-9.

 

[34] La salvatorische Clausel consente altresì l'entrata in vigore di normative regionali parzialmente derogatorie rispetto alla disciplina comune dettata dalla Carolina. Tra queste spicca quella pubblicata nel 1535 da Filippo il Magnanimo, landgravio d'Assia, e detta di conseguenza Philippina. Circa la salvatorische Clausel, cfr.: Schmidt, Einführung in die Geschichte, ed. cit., 130-135; Wieacker, Storia del diritto privato, cit., 200; J. Gilissen, La preuve en Europe du XVIe au debut du XIXe siècle, in La Preuve, cit., 755-833, in particolare 771; Kleinheyer, Tradition und Reform, cit., 8-9.

 

[35] Cfr. Schmidt, Einführung in die Geschichte, ed. cit., 120-126, e Rüping, Die Carolina in der strafrechtlichen Kommentarliteratur, cit., 161-176.

 

[36] Sull'impostazione quasi manualistica della Carolina, cfr. i rilievi formulati in Stintzing, Geschichte der deutschen Rechtswissenschaft, I, cit., 629.

 

[37] La procedura prevista dalla Carolina è complessivamente illustrata in Langbein, Prosecuting Crime in the Renaissance, cit., 177-192, e in Kleinheyer, Tradition und Reform, cit., 9-14.

 

[38] Cfr. F. Schaffstein, Die Bedeutung der Carolina für die Entwicklung strafrechtlicher Deliktstatbestände, in Strafrecht, Strafprozess und Rezeption, cit., 145-159.

 

[39] Langbein, Prosecuting Crime in the Renaissance, cit., 193-194.

 

[40] Cfr., sul punto, Dezza, Accusa e inquisizione, I, cit., 32-53.

 

[41] Schmidt, Einführung in die Geschichte, cit., 126; Langbein, Prosecuting Crime in the Renaissance, cit., 177-178.

 

[42] La garanzia prevista dall'art. 20 della Carolina è di carattere generale: in assenza dei richiesti presupposti indiziari la confessione sotto tortura e la conseguente condanna sono nulle, e in questo caso la violazione delle regole costituisce giusta causa di risarcimento per l'imputato.

 

[43] Ad esempio, una sola testimonianza a carico costituisce una 'semiprova' o 'mezza prova', sufficiente per la tortura ma non per la condanna (CCC, artt. 23, 30).

 

[44] Sul sistema probatorio nella Carolina, cfr.: Esmein, Histoire de la procédure criminelle en France, cit., 306-307; Gilissen, La preuve en Europe, cit., 770-771; Langbein, Prosecuting Crime in the Renaissance, cit., 179-183; Id., The Constitutio Criminalis Carolina in Comparative Perspective: An Anglo-American View, in Strafrecht, Strafprozess und Rezeption, cit., 215-225, in particolare 220-222; Kleinheyer, Tradition und Reform, cit., 24.

 

[45] Il dato è sottolineato da Langbein, The Constitutio Criminalis Carolina in Comparative Perspective, cit., 221.

 

[46] Sulla tortura nella Carolina, cfr.: Fiorelli, La tortura giudiziaria, I, 107; Gilissen, La preuve en Europe, cit., 790; Langbein, Prosecuting Crime in the Renaissance, cit., 183-186; Id., Torture and the Law of Proof, cit., 12-16, 27-28, 49-50, 168 nt. 21; Kleinheyer, Tradition und Reform, cit., 23-25.

 

[47] Nella Praxis rerum criminalium di Philipp Wielant, pubblicata per la prima volta a Lovanio nel 1554 da Joos de Damhouder (cfr. infra, nt. 56), si osserva (cap. XXXIX, 44) che sotto «sufficiente coercizione» anche gli innocenti possono arrendersi «al dolore e al tormento e confessare cose che non hanno mai fatto» .

 

[48] In ordine alla tortura e alle norme di garanzia previste nella Carolina, rinviamo alle considerazioni svolte da Langbein, The Constitutio Criminalis Carolina in Comparative Perspective, cit., 221-222.

 

[49] Sull'entliche Rechtstag, cfr. Langbein, Prosecuting Crime in the Renaissance, cit., 187-192, e W. Schild, Der "entliche Rechtstag" als das Theater des Rechts, in Strafrecht, Strafprozess und Rezeption, cit., 119-144.

 

[50] Ad esempio in caso di dubbio sulla sufficienza degli indizi ad torturam (CCC, art. 7) o di incertezza sulla sentenza (CCC, art. 81).

 

[51] Cfr. Kleinheyer, Tradition und Reform, cit., 13-14.

 

[52] Cfr.: Wieacker, Storia del diritto privato, cit., 266-268; Langbein, Prosecuting Crime in the Renaissance, cit., 172-174, 182, 193-194, 198-202; Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa, cit., 456-466; F. Cordero, Criminalia. Nascita dei sistemi penali, 2a ed., Roma-Bari 1986, 405-409.

 

[53] L'argomento viene particolarmente approfondito in Langbein, Prosecuting Crime in the Renaissance, cit., 3-125.

 

[54] Cfr. F. Tomás y Valiente, El Derecho Penal de la Monarquía absoluta (Siglos XVI-XVII-XVIII), Madrid 1969, che ricostruisce in particolare (23-84) l'evoluzione storica del diritto penale e processuale penale nella penisola iberica durante il Basso Medioevo e l'Età Moderna. Cfr., inoltre: Esmein, Histoire de la procédure criminelle en France, cit., 294-300; Fiorelli, La tortura giudiziaria, I, cit., 99-102; Gilissen, La preuve en Europe, cit., 771. Per il Regno d'Aragona Langbein, Prosecuting Crime in the Renaissance, cit., 129, nt. 1, segnala un'ordinanza del 1521 visibilmente ispirata ai principi del processo inquisitorio romano-canonico.

 

[55] Sulle vicende e sui contenuti delle due ordinanze del 1570 (e sulla relativa bibliografia), cfr. O.M. Van Kappen, Die Kriminalordonnanzen Philipps II. für die Niederlande im Vergleich zur Carolina, in Strafrecht, Strafprozess und Rezeption, cit., 227-252.

 

[56] Philipp Wielant (Gent/Gand, 1442-1520), presidente del Consiglio di Fiandra e giudice del Gran Consiglio di Mechelen/Malines, lascia manoscritte una Practycke criminele e una Practycke civile che, con annotazioni e aggiunte, vengono pubblicate nell'originale versione fiamminga e nelle traduzioni latina e francese, a partire dal 1554 e dal 1558, ad opera di Joos de Damhouder (Brugge/Bruges, 1507-Anversa, 1581), magistrato e funzionario, sotto Carlo V, dell'amministrazione finanziaria dei Paesi Bassi Spagnoli. Assai numerose sono le edizioni delle due pratiche, ma è in special modo la Praxis Rerum Criminalium che assegna a Damhouder una posizione di primo piano, anche se forse immeritata, nella storia della criminalistica europea. Ed è appunto grazie alla fama raggiunta che Damhouder viene chiamato a collaborare con Viglius van Aytta alla redazione delle Criminele Ordonnantien per i Paesi Bassi spagnoli del 1570. Cfr.: E.I. Strubbe, Joos de Damhouder als criminalist, in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis XXXVIII, 1970, 1-65; van Caenegem, Introduzione storica al diritto privato, cit., 67-68.

 

[57] Cfr., sul punto, Fiorelli, La tortura giudiziaria, cit., 109-110.

 

[58] In argomento cfr., da ultimo, Sbriccoli, «Tormentum idest torquere mentem», cit., in particolare 18-27.

 

[59] E. Bossi, Tractatus Varii, ed. Venetiis 1570, tit. «De inquisitione», n. 8 Inquisitio potest formari, f. 24r. (cfr. Dezza, Accusa e inquisizione, I, cit., 51-52, nt. 169). Su Egidio Bossi (1488-1546), solido espositore della scienza penalistica cinquecentesca, v. ora M.G. di Renzo Villata, Egidio Bossi, un criminalista milanese quasi dimenticato, in Ius Mediolani. Studi di storia del diritto milanese offerti dagli allievi a Giulio Vismara, Milano 1996, 365-616.

 

[60] Le Nuove Costituzioni vengono elaborate da una commissione chiamata dall'ultimo duca di Milano, Francesco II Sforza (1521-1535) a riordinare la legislazione di età visconteo-sforzesca, e sono portate a termine quando Carlo V acquista il Milanese dopo l'estinzione degli Sforza; tra i membri della commissione figura il testé citato senatore Egidio Bossi. Accurate informazioni bibliografiche sulle ricerche consacrate dalla storiografia giuridica alle Constitutiones Dominii Mediolanensis sono reperibili in di Renzo Villata, Egidio Bossi, cit., 381-382, in particolare nt. 32.

 

[61] Concentrate per lo più nel titolo De advocatis et syndicis fiscalibus del Liber Primus, e nei titoli De accusationibus et denuntiationibus e De poenis del Liber Quartus. Nella presente occasione viene utilizzata l'editio undecima delle Nuove Costituzioni, curata nel 1747 da Gabriele Verri e introdotta dal noto Prodromus de origine et progressu juris mediolanensis: Constitutiones Dominii Mediolanensis, decretis et senatus-consultis nunc primum illustratae, Curante comite Gabriele Verro, Editio undecima, Accessit Prodromus de origine et progressu juris mediolanensis eodem authore, Mediolani 1747.

 

[62] Una puntuale illustrazione del concreto svolgersi del procedimento penale nello Stato di Milano del XVI secolo, basata non solamente sui dati normativi ma anche sulle fonti dottrinali e sugli elementi desumibili dalla pratica e dalla giurisprudenza, è offerta in G.P. Massetto, Un magistrato e una città nella Lombardia spagnola. Giulio Claro pretore a Cremona, Milano 1985, 239-331.

 

[63] La nota formula (sulla quale cfr. Sbriccoli, «Tormentum idest torquere mentem», cit., in particolare 19-21) è impiegata nell'esordio del tit. De accusationibus et denuntiationibus del Liber Quartus delle Nuove Costituzioni, cap. Ratione et usu (ed. cit., 118).

 

[64] IV, tit. De accusationibus, cap. Delatis criminibus (ed. cit., 119).

 

[65] IV, tit. De accusationibus, cap. Ratione et usu, § Qui Antiani et Consules (ed. cit., 118).

 

[66] IV, tit. De accusationibus, cap. Delatis criminibus (ed. cit.,119).

 

[67] I, tit. De advocatis et syndicis fiscalibus, cap. Advocati et Syndici (ed. cit., 47).

 

[68] I, tit. De advocatis et syndicis fiscalibus (ed. cit., 46-48), e IV, tit. De accusationibus, capp. Eo amplius Jusdicentes e Omnes Jusdicentes (ed. cit., 119-121).

 

[69] I, tit. De advocatis et syndicis fiscalibus, capp. Advocati et Syndici e Ad dictos (ed. cit., 47), e IV, tit. De poenis, cap. Nullus officialis (ed. cit., 142).

 

[70] Cfr. U. Petronio, Il Senato di Milano. Istituzioni giuridiche ed esercizio del potere nel Ducato di Milano da Carlo V a Giuseppe II, Milano 1972.

 

[71] IV, tit. De accusationibus, cap. A sententia lata (ed. cit., 122).

 

[72] I, tit. De advocatis et syndicis fiscalibus, cap. Non debent Fiscales (ed. cit., 48).

 

[73] Ad esempio in I, tit. De advocatis et syndicis fiscalibus, cap. Advocati et Syndici (ed. cit., 47), e in IV, tit. De accusationibus, cap. Iudices in causis capitalibus (ed. cit., 120).

 

[74] I, tit. De advocatis et syndicis fiscalibus, cap. Curabuntque Fiscales, §§ Necesseque habent e Quod si alio modo (ed. cit., 47), e IV, tit. De accusationibus, cap. Iudices in causis capitalibus (ed. cit., 120).

 

[75] Ad esempio in IV, tit. De accusationibus, cap. A sententia lata, § Concessis per Senatum (ed. cit., 123).

 

[76] Cfr., in argomento, Massetto, Un magistrato e una città, cit., 291-301.

 

[77] IV, tit. De accusationibus, cap. Rei carceribus (ed. cit., 120).

 

[78] IV, tit. De accusationibus, cap. Omnibus Jusdicentibus, § Nec etiam (ed. cit., 120-121).

 

[79] Cfr. Il libro quarto degli "Ordini Nuovi" di Emanuele Filiberto, Introduzione a cura di C. Pecorella, Torino 1994.

 

[80] Cfr.: C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, Torino 1881, 2 voll., I, 90-98; G. Astuti, Legislazione e riforme in Piemonte nei secoli XVI-XVIII, in La Monarchia piemontese nei secoli XVI-XVIII, Roma 1951, 79-111, ora in G. Astuti, Tradizione romanistica e civiltà giuridica europea. Raccolta di scritti, a cura di G. Diurni, Napoli 1984, 3 voll., II, 583-620, in particolare 587-589 (bibliografia a 618); I. Soffietti, La costituzione della Cour de Parlement di Torino, in Rivista di Storia del Diritto Italiano XLIX, 1976, 301-308; P. Merlin, Gli Stati, la giustizia e la politica nel ducato sabaudo nella prima metà del Cinquecento, in Studi Storici 29, 1988, 2, 502 ss.; Il libro terzo degli "Ordini Nuovi" di Emanuele Filiberto, Note e introduzione a cura di C. Pecorella, Torino 1989; I. Soffietti-C. Montanari, Problemi relativi alle fonti del diritto negli Stati sabaudi (secoli XV-XIX). Appunti dal corso di Esegesi delle fonti del diritto italiano (a. a. 1992-1993), Torino 1993, 40-43.

 

[81] Cfr.: Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, cit., I, 98-124; Astuti, Legislazione e riforme in Piemonte, cit., 588-598 (bibliografia a 618-619); P. Merlin, Giustizia, amministrazione e politica nel Piemonte di Emanuele Filiberto. La riorganizzazione del Senato di Torino, in Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino LXXX, 1982, 35-94; Pecorella, Il libro terzo degli "Ordini Nuovi", cit.; Soffietti-Montanari, Problemi relativi alle fonti del diritto, cit., 43-49. Cfr., inoltre: G.S. Pene Vidari, Stato sabaudo, giuristi e cultura giuridica nei secoli XV-XVI, in Studi Piemontesi XV, 1986, 135-141; C. De Benedetti, Sulla crisi della giustizia sabauda nel sec. XVI. Le proposte di Melchiorre Scaravelli, in Rivista di Storia del Diritto Italiano LXIII, 1990, 373-408; P. Casana Testore, Note biografiche su un giurista del XVI secolo: Antonino Tesauro, in Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino XC, 1992, 281-309.

 

[82] Il testo del Libro Quarto dei Novi Ordini – che reca il titolo Libro Quarto. Delle cause criminali, et il modo di proceder in esse – è riprodotto in Pecorella, Il libro quarto degli "Ordini Nuovi", cit., 7-33. La frase riportata tra virgolette nel testo è desunta dal preambolo (ed. cit., 9).

 

[83] Parte Prima, cap. Delli officiali delle cause criminali (ed. cit., 9-10): i giudici «procederanno secondo la dispositione delle Leggi comuni, salvo nelle parti che fossero vietate, corrette, aumentate e ristrette per gli ordini seguenti».

 

[84] Tale carattere viene sottolineato ed esaminato in Pecorella, Il libro quarto degli "Ordini Nuovi", cit., XVII-XXI.

 

[85] Parte Prima, cap. Delli officiali delle cause criminali (ed. cit., 9-10).

 

[86] Parte Prima, cap. In qual tempo si debano formar i processi criminali (ed. cit., 11-12).

 

[87] Parte Prima, Dell'officio delli avvocati et procuratori fiscali (ed. cit., 14-18).

 

[88] Parte Prima, cap. Come s'habbi da proceder alle informationi (ed. cit., 10-11).

 

[89] Parte Prima, cap. Come s'habbi da proceder alle informationi (ed. cit., 10-11), e Parte Seconda, cap. Del reo (ed. cit., 23-26).

 

[90] In verità la norma – che riguarda gli imputati «incarcerati» e chiunque altro «a cui venga apposto alcun delitto» – non è contenuta negli Ordini criminali del 1565 ma viene per così dire 'anticipata' nel Libro Terzo degli Ordini Nuovi, promulgato nel 1561 e consacrato alla regolamentazione del processo civile. Il testo della normativa del 1561, che si intitola De gli Ordini Nuovi Libro Terzo. Delle forma et stile che si ha da osservar nelle cause civili, è riprodotto in Pecorella, Il libro terzo degli "Ordini Nuovi", cit., 1-91. La norma relativa all'esenzione dal giuramento «nelle cause criminali» è contenuta nel cap. [25], Del giuramento (ed. cit., 56-61, in particolare 60).

 

[91] Parte Prima, cap. Della tortura (ed. cit., 14), e Parte Seconda, cap. Delle appellationi (ed. cit., 26-27).

 

[92] Parte Seconda, cap. Del reo (ed. cit., 23-26).

 

[93] Il termine si riduce a cinque giorni se il reo è confesso: Parte Seconda, cap. Del reo (ed. cit., 23-26).

 

[94] Parte Prima, cap. Della tortura (ed. cit., 14), e Parte Seconda, cap. Delle appellationi (ed. cit., 26-27).

 

[95] Parte Seconda, capp. Del reo e Delle sentenze (ed. cit., 23-26).

 

[96] Parte Seconda, cap. Delle appellationi (ed. cit., 26-27).

 

[97] Gli Ordini criminali del 1565 terminano con tre capitoli dedicati alla materia sostanziale, e segnatamente alla ricettazione, alla bestemmia e all'«insulto con animo deliberato» (ed. cit., 30-33).

 

[98] Parte Seconda, cap. Del reo (ed. cit., 23-26).

 

[99] Parte Prima, cap. Della captura (ed. cit., 11); Parte Seconda, cap. Del accusatore et denonciatore (ed. cit., 22-23).

 

[100] Parte Prima, cap. Della tortura (ed. cit., 14). Cfr., sul punto, Astuti, Legislazione e riforme in Piemonte, cit., 595.

 

[101] Cfr. in argomento, anche per le opportune indicazioni bibliografiche, G.P. Massetto, Avvocatura fiscale e giustizia nella Lombardia spagnola: note su un manoscritto secentesco, in Diritto comune e diritti locali nella storia dell'Europa, Atti del Convegno di Varenna (12-15 giugno 1979), Milano 1980, 389-456.

 

[102] Sul punto, ormai classico è divenuto lo studio di E.H. Kantorowicz, The King's Two Bodies: a Study in Mediaeval Political Theology, Princeton 1957 (trad. ital.: I due corpi del re: l'idea di regalità nella teologia politica medievale, introduzione di A. Boureau, Torino 1989).