N. 3 – Maggio 2004 – Memorie

 

 

Antonio Padoa-Schioppa

Università Statale di Milano

 

 

 

 

NOTE SULLE RIFORME ISTITUZIONALI DEL TRATTATO DI AMSTERDAM*

 

 

 

 

 

Sommario: – l. Premessa. – 2. Nomina della Commissione. – 3. Numero dei commissari. – 4. Il Parlamento europeo: dimensioni e procedura elettorale. – 5. La codecisione. – 6. Poteri del Consiglio dei ministri. – 7. La Corte di Giustizia. – 8. Flessibilità e cooperazione rafforzata. – 9. Sussidiarietà. – 10. Conclusioni.

 

 

 

l. – Premessa

 

Scopo di queste note è di esporre e valutare le principali scelte compiute dai Governi dell'Unione europea sul terreno delle riforme istituzionali, a conclusione dei lavori della Conferenza intergovernativa (CIG) del 1996-97[1]. Questo era infatti il compito primario della Conferenza, la convocazione della quale era stata predisposta dal Trattato di Maastricht.

Lasceremo dunque da parte le pur rilevanti questioni legate all'estensione e alla specificazione – nel nuovo Trattato – delle competenze e delle politiche dell'Unione sia nei settori del primo pilastro (unione economica e monetaria: anzitutto in tema di politiche per l'occupazione), sia in quelli del secondo (politica estera, sicurezza) e del terzo pilastro (giustizia, affari interni); nonché le significative innovazioni in materia di diritti fondamentali e di cittadinanza.

 

 

2. – Nomina della Commissione

 

La procedura di nomina del presidente della Commissione e quella dei commissari ha subìto modifiche di rilievo. Il presidente sarà, come prima, scelto di comune accordo dai governi degli stati membri; ma non è più prevista la previa consultazione del Parlamento europeo.

Invece, il Parlamento dovrà approvare formalmente con un voto il nome del presidente designato dai governi (l'art. 158.2 nella sua redazione attuale si limita a prescrivere il voto finale di approvazione del Parlamento sull'intera commissione, al termine dell'iter).

Quanto ai commissari, essi dovranno venir designati di comune accordo tra gli Stati e il presidente della Commissione, il quale sinora veniva semplicemente consultato.

Il ruolo del presidente di viene dunque assai più incisivo, perché i governi non potranno prescindere dalle sue opzioni in ordine all'individuazione dei commissari. A sua volta, il Parlamento europeo potrà avere molta più voce in capitolo sulla scelta del presidente, perché il voto verrà espresso all'inizio della procedura; sicché appare verosimile che i governi dovranno tenere conto delle maggioranze politiche e degli orientamenti del Parlamento nella scelta del presidente, rischiando altrimenti di vedere bocciato il nome da loro proposto.

Permane comunque il requisito del comune accordo dei governi, cioè la necessaria unanimità dei consensi per la scelta dei commissari. Così come rimane prescritta l'unanimità per la scelta del presidente stesso, con gli inconvenienti che una tale procedura – con la quale si attribuisce ad ogni singolo governo un potere di veto – ha già dimostrato in passato. Vi è forse una via per superare l'ostacolo: i partiti europei dei due schieramenti maggiori potrebbero designare il candidato presidente della Commissione prima dell'elezione europea, così che l'esito elettorale venga a determinare anche la scelta dell'uomo da chiamare alla guida dell'esecutivo europeo. In tal caso sarebbe politicamente difficile per i governi non adeguarsi ad una designazione che abbia ricevuto, con l'elezione europea, il sostegno del voto popolare.

 

 

3. – Numero dei commissari

 

Uno dei problemi più frequentemente evocati nella fase di preparazione della CIG concerneva il numero dei commissari. Viva infatti era (ed è tuttora) la preoccupazione per gli effetti negativi di un aumento ulteriore dei commissari nella prospettiva dell'allargamento dell'Unione ad altri Stati, a sua volta preludio all'ingresso di un commissario in più per ogni nuovo membro ammesso a far parte dell'unione: un organo collegiale di governo troppo numeroso non promette di funzionare con l'efficienza necessaria.

Su questo punto la CIG ha stabilito che all'atto del primo futuro allargamento dell'Unione ogni Stato membro non potrà più contare se non su un solo commissario (in luogo dei due commissari che oggi spettano agli Stati di maggiori dimensioni). Ma questa riforma dovrà, per entrare in vigore, essere preceduta da una riforma delle regole di votazione in seno al Consiglio, tale da compensare adeguatamente gli Stati (Francia, Germania, Italia, Inghilterra, Spagna) che oggi hanno un secondo commissario e che lo perderebbero: e questo attraverso una nuova procedura che preveda, alternativamente, o una riponderazione dei voti (tale da ridurre l'attuale sovrarappresentanza dei piccoli Stati in seno al Consiglio), o la necessità di raggiungere un doppio quorum per le decisioni da assumere a maggioranza qualificata: accanto alla prescritta maggioranza dei voti ponderati, quella delle popolazioni rappresentate (ovvero, forse, del numero degli stati membri).

La soluzione adottata dalla CIG è lungi dal rappresentare un risultato ottimale. In prospettiva, infatti, il numero dei commissari potrebbe crescere anche al di sopra di 20; ma soprattutto appare evidente che i governi non sono stati finora in grado di trovare un accordo né su un numero ottimale di commissari (il che avrebbe implicato in linea di principio la rinuncia ad ottenere sempre e comunque almeno un commissario per ogni stato membro), né sulla messa a punto di nuovi criteri di ponderazione del voto in Consiglio (il che peraltro tutti riconosco essere necessario proprio in vista dell'allargamento). La rinuncia al secondo commissario è un segnale di disponibilità che gli stati più importanti hanno manifestato, ma che gli stati minori (o quanto meno alcuni di essi) non hanno voluto sinora far proprio dimostrando analoga disponibilità.

Su questo terreno, la CIG ha dovuto pertanto accontentarsi di stabilire un doppio rinvio: un primo rinvio della decisione sulla nuova procedura di voto, cui si aggiunge un secondo rinvio più generale sulla revisione delle istituzioni dell'Unione europea, revisione che si è convenuto di mettere in cantiere, tramite una nuova CIG, almeno un anno prima che l'Unione ecceda il numero di 20 stati membri.

Tale secondo rinvio costituisce un'operazione analoga a quella compiuta a Maastricht. Ma è da osservare che la Commissione ha da parte sua prontamente approvato la proposta di avviare sin d'ora il negoziato per l'ingresso di ben sei nuovi stati nell'Unione; così che il numero di 20, previsto dalla CIG, potrebbe essere raggiunto e superato prima di quanto i governi avessero previsto. Appare evidente che la Commissione ha formulato la sua proposta in tal senso proprio per abbreviare i tempi della troppo a lungo procrastinata riforma delle istituzioni comunitarie: ma naturalmente occorre al riguardo, ai sensi del trattato (art. O), il consenso unanime del Consiglio. E ciò non sarà facile.

Il primo rinvio – che collega, come si è visto, l'accordo sul numero dei commissari all'accordo sulla riforme della ponderazione dei voti e fissa come termine la data del primo nuovo allargamento – rimanda a sua volta a un avvenire non prossimo, se si considerano i tempi necessari alla negoziazione e all'entrata in vigore degli allargamenti futuri. Qui, come nell'altro caso, il Parlamento europeo potrebbe giocare un ruolo forse decisivo: poiché, infatti, l'allargamento – che preme particolarmente a taluni governi dell'Unione, tra i quali la Germania – esige il parere conforme del Parlamento (art. 0), quest'ultimo potrebbe condizionare il proprio voto favorevole alla previa riforma delle istituzioni comunitarie, a cominciare da quella sulle procedure di voto in seno al Consiglio.

 

 

4. – Il Parlamento europeo: dimensioni e procedura elettorale

 

Il ruolo istituzionale del Parlamento europeo (PE) esce parzialmente rafforzato dai lavori della CIG.

Si è già detto dei suoi poteri nella procedura di scelta del presidente della Commissione. Quanto alle dimensioni e alla composizione del Parlamento, il tetto è stato fissato a non oltre 700 membri (p. 121) ; vi è inoltre l'impegno ( anche qui ci si è accontentati di un rinvio, in assenza di accordo tra i governi) a ricalcolare il numero dei parlamentari di ciascuno stato membro in misura meglio corrispondente alla popolazione dei singoli stati (p. 121), dal momento che oggi gli stati più piccoli godono di una posizione di vantaggio.

I doveri dei membri del PE e i regolamenti relativi all'esercizio delle loro funzioni potranno essere stabiliti dal Parlamento stesso, sentita la commissione: ma dovranno essere approvati all'unanimità dal Consiglio dei ministri. Dunque neppure su questo fronte, che riguarda i propri modi di funzionamento, il PE è sovrano.

Quanto all'obbiettivo di una procedura elettorale uniforme per le elezioni europee, il PE mantiene il potere di elaborare proposte (art. 138.3). Anzi, il nuovo trattato gli assegna il compito di elaborare una proposta, che potrà consistere o nell'identificare una procedura comune o nella formulazione di principi comuni a tutti gli stati membri (p. 121): un obbiettivo meno ambizioso, quest'ultimo, reso peraltro non molto realistico dal fatto che è proprio l'assenza di principi comuni (per esempio quanto all'alternativa tra sistemi proporzionali o semiproporzionali e sistemi maggioritari) a impedire l'elaborazione di una procedura elettorale comune. E comunque il PE potrà solo proporre, non decidere.

 

 

5. – La codecisione

 

Due innovazioni di maggior rilievo si hanno riguardo alla codecisione del PE: esse riguardano la procedura e le materie alle quali essa si applica. Sul primo punto, il nuovo trattato ha parzialmente modificato la procedura di codecisione. Il trattato di Maastricht (all'art. 189b) aveva previsto un iter estremamente farraginoso per l'approvazione di decisioni sulle quali non vi fosse accordo tra Consiglio e PE: la navetta poteva protrarsi per ben undici fasi, prima di concludersi con un sì o con un no definitivo del Parlamento. La nuova disciplina messa a punto dalla CIG costituisce un passo avanti notevole sulla via della semplificazione, perché le fasi saranno al massimo sette.

Il PE acquista un ruolo indubbiamente più rilevante nel procedimento legislativo: infatti la proposta iniziale della commissione deve andare subito al Parlamento per il prescritto parere, il quale potrà contenere anche emendamenti, su cui il Consiglio è tenuto a pronunciarsi deliberando a maggioranza qualificata. Se li approva, l'atto è adottato; se no, la posizione comune adottata a maggioranza dal Consiglio tornerà al PE, che potrà a maggioranza assoluta rigettarla ovvero proporre emendamenti ulteriori. Solo ove questi ulteriori emendamenti del PE non siano approvati da Consiglio si apre la procedura di conciliazione, che potrà portare o all'adozione di un testo comune approvato da entrambi gli organi, o alla caduta del progetto.

Questa nuova disciplina sembra senz'altro migliore della precedente: non solo per l'eliminazione di alcune fasi ma perché è verosimile che di norma il procedimento si chiuda già alla terza, o al massimo alla quinta fase. Inoltre, gli eventuali emendamenti votati inizialmente dal PE sulla proposta della Commissione non richiedono più l'assenso della maggioranza assoluta; e questa è un'altra innovazione importante che avvicina il funzionamento del PE a quello di un normale parlamento nazionale.

Il requisito della maggioranza assoluta, con gli inconvenienti che il frazionamento politico e la fisiologia parlamentare possono presentare in seno al PE, resta peraltro confermato nelle fasi ulteriori della procedura descritta.

Sul secondo punto, la procedura di codecisione viene notevolmente estesa. Essa infatti è ormai prescritta per settori per i quali i trattati esistenti prevedevano sinora la procedura di cooperazione (art. l89c) che come è noto attribuisce al PE, nei confronti del Consiglio, poteri più circoscritti rispetto a quelli garantiti dalla codecisione: questo passaggio dalla cooperazione alla codecisione è disposto a proposito di undici materie[2]. In quattro materie la codecisione subentra alla semplice consultazione del PE sino ad oggi vigente[3]. In un caso essa si sostituisce al parere conforme[4]. In altri sette casi la codecisione viene invece prescritta per disposizioni introdotte ex novo dal trattato di Amsterdam[5]. Nell'insieme si tratta di un complesso di materie di non poco rilievo, come risulta dalle indicazioni che abbiamo riportato nelle note.

Si deve osservare, d'altra parte, che le tutte materie più rilevanti, per le quali il PE è chiamato semplicemente ad esprimere un parere attraverso la procedura di consultazione[6] – e sono quelle stesse su cui, di regola, il Consiglio delibera alla unanimità[7] – sono rimaste, con poche eccezioni[8], di pertinenza del solo Consiglio, quanto alla fase decisionale.

Proprio per le materie fondamentali, dunque, l'organo che è l'espressione diretta della volontà popolare al livello europeo non ha acquisito alcun nuovo potere di natura legislativa. La contraddizione di fondo abitualmente designata con la formula di "deficit democratico" non è stata ancora risolta.

 

 

6. – Poteri del Consiglio dei ministri

 

Il Consiglio è indubbiamente l'organo che la CIG ha maggiormente privilegiato.

 

E' bensì vero che l'accordo di Schengen viene "comunitarizzato"[9], estendendolo a tredici stati con esclusione di Inghilterra e Irlanda. Ma sia sul secondo che sul terzo pilastro, i poteri pressoché esclusivi che il trattato di Maastricht ha attribuito al Consiglio (e la corrispondente limitatezza dei poteri della Commissione, per non parlare del PE che viene al massimo informato) sono sostanzialmente confermati dal nuovo trattato.

Anche diverse politiche nuove decise ad Amsterdam sono introdotte con potere decisionale del solo Consiglio, previa semplice consultazione del PE: così in materia di libero movimento di persone, immigrazione, diritto d'asilo[10], politica sociale[11], impiego[12], politica estera e sicurezza[13]. Sono, quelli ora riportati, solo alcuni esempi. La regola costante è che le decisioni più importanti del Consiglio siano assunte alla unanimità: ciò vale per tutti i casi ora citati (incluso l'ambito dell'accordo di Schengen)[14], eccetto che per quello concernente le linee da suggerirsi dal Consiglio in tema di occupazione, ove alla semplice consultazione del PE si accompagna, inusualmente, la procedura a maggioranza qualificata in seno al Consiglio[15].

Vi sono peraltro diverse norme in cui la CIG ha stabilito il principio delle decisioni a maggioranza in seno al Consiglio. In quattro occasioni, alla regola dell'unanimità prescritta dai trattati esistenti subentra la maggioranza qualificata[16]. In una dozzina di casi le politiche introdotte nel nuovo trattato saranno anch'esse adottate con decisioni a maggioranza qualificata: in tema di sanzioni per la violazione di diritti fondamentali[17], riguardo ad alcune categorie di azioni comuni sul terreno della politica estera e della sicurezza[18], su questioni legate al mercato unico e all'unione economica[19]: si tratta per lo più (ma non sempre) delle stesse materie ove al PE è stato concesso il potere di codecisione[20]. Oltre a ciò, il trattato di Amsterdam introduce un nuovo principio istituzionale di indubbio rilievo concernente i modi di decisione del Consiglio. Si tratta della procedura di astensione, con la quale uno o più stati membri possono decidere di non aderire ad un'azione in politica estera o in tema di sicurezza, senza tuttavia impedire agli altri stati di adottarla[21]. Sulle procedure richieste ci soffermeremo più avanti, trattando della clausola di flessibilità.

Il nuovo principio è importante perché consente di superare, a certe condizioni, l'impasse dell'unanimità, sottraendo allo stato o agli Stati dissenzienti il diritto di veto che altrimenti essi potrebbero esercitare. Il diritto di veto, peraltro, permane, perché ogni Stato può decidere di votare contro, anziché semplicemente astenersi. Talune decisioni sul secondo pilastro, esecutive rispetto a strategie comuni o a posizioni comuni, potranno venire assunte maggioranza qualificata, come si è visto[22]. Senonché, c'è una clausola di salvaguardia anche per tali categorie di decisioni: ogni membro del Consiglio può dichiararsi contrario «per importanti e dichiarate ragioni di politica nazionale» a che la decisione venga assunta a maggioranza: e allora sulla proposta di decisione non si passerà al voto, e la decisione potrà essere adottata solo con voto unanime del Consiglio europeo[23].

 

 

7. – La Corte di Giustizia

 

La Corte di Giustizia estende le sue competenze in modo significativo. Essa, infatti, diviene competente anche nelle materie relative alla cooperazione giudiziaria in materia criminale e di polizia, pur con una serie di limiti prescritti dal nuovo trattato[24]. Anche in tema di immigrazione la Corte, pur con talune limitazioni, acquista il potere di giudicare[25]. E così pure nelle materie correlate ai diritti dell'uomo e alle libertà fondamentali, per quanto si riferisca all'azione delle istituzioni[26].

 

 

8. – Flessibilità e cooperazione rafforzata

 

Un capitolo nuovo sul quale deve essere richiamata l'attenzione riguarda l'ipotesi della cosiddetta "flessibilità". Si tratta di una procedura che consente di porre un atto una cooperazione più stretta ("closer cooperation") tra un numero di Stati membri non inferiore alla maggioranza di essi (dunque, almeno otto su quindici), avvalendosi delle istituzioni dell'Unione europea. Le azioni decise in ottemperanza a questa procedura valgono solo per gli Stati che l'abbiano legittimamente intrapresa, senza che gli altri possano impedirne l'adozione[27].

Occorre considerare distintamente due aspetti della nuova disciplina: in primo luogo le condizioni preliminari prescritte per poter dare avvio alla procedura di flessibilità; in secondo luogo le regole prescritte per la validità delle decisioni assunte.

Il nuovo trattato fissa infatti alcune condizioni perché tale cooperazione più stretta possa venire avviata: oltre al numero minimo degli Stati favorevoli, costituito da almeno otto Stati, gli dei obbiettivi debbono essere quelli dell'Unione, nel rispetto trattati e del quadro delle istituzioni comunitarie; la cooperazione deve intervenire come ultima via alternativa, dopo che si sia accertata l'indisponibilità degli altri stati; l'iniziativa non deve infirmare l' acquis communautaire; e deve restare aperta agli altri stati[28].

La decisione che apre la via all'adozione della nuova procedura di flessibilità deve essere assunta sulla base di regole che non sono identiche nei diversi settori di competenza dell'Unione europea.

Nell'ambito del trattato sulla Comunità europea (primo pilastro), la decisione di fare ricorso alla procedura flessibile viene assunta a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, dopo aver consultato il Parlamento europeo[29]. È comunque prevista una via d'uscita: se uno Stato non partecipante alla cooperazione più stretta ritiene, per ragioni importanti e dichiarate di politica nazionale, di opporsi alla richiesta di autorizzazione presentata a maggioranza qualificata dagli Stati favorevoli alla cooperazione, non si passerà al voto sull'autorizzazione stessa[30]; e pertanto la nuova procedura non verrà intrapresa.

Nell'ambito delle competenze dell'Unione in materia di polizia e di giustizia criminale (terzo pilastro), invece, il nuovo trattato richiede che l'iniziativa della cooperazione più stretta parta dal Consiglio, sia semplicemente accompagnata dal parere della Commissione e inoltrata (per conoscenza) al Parlamento europeo[31]. Anche qui, ogni membro del Consiglio può preliminarmente bloccare l'iniziativa se dichiara di opporsi all'autorizzazione per ragioni importanti e dichiarate di politica nazionale[32].

Nell'ambito della competenze dell'Unione in tema di politica estera e di sicurezza (secondo pilastro), infine, vale una procedura analoga: come si è visto sopra, agli Stati dissenzienti è consentito di astenersi anziché votare contro. Quando i trattati richiedono una decisione unanime (come di regola è prescritto per le decisioni sul secondo pilastro), il voto dello Stato o degli Stati che si siano astenuti – purché rappresentanti, in complesso, un numero di voti non superiore a un terzo di quelli previsti dall'art. 148.2 sulla ponderazione: dunque non più di 25 voti ponderati su 76 – non viene computato[33]. Peraltro, da quanto dispone l'articolo in questione sembra chiaro che lo Stato o gli Stati dissenzienti possono decidere liberamente se esercitare il diritto di astenersi (permettendo così agli altri Stati di procedere) ovvero votare contro la decisione proposta impedendo che la decisione sia assunta. Se la decisione è di astenersi, alle condizioni e nei limiti di cui si è detto l'azione decisa dagli altri Stati impegna l'unione europea, anche se non coinvolge direttamente gli Stati che si siano astenuti[34]. Ma anche nei casi ove è prevista una possibile decisione a maggioranza, è egualmente possibile (come si è visto sopra) che ogni Stato si opponga per dichiarate ragioni di politica nazionale[35].

Dunque, per tutti e tre i pilastri la nuova procedura può venire intrapresa solo se nessuno tra gli Stati decide di opporsi preliminarmente. Il diritto di veto, pertanto, non è caduto. Ma si deve comunque osservare che esso ha subìto un'attenuazione, perché può venire esercitato solo "per importanti e dichiarate ragioni di politica nazionale": è ragionevole prevedere che quanto meno in alcuni casi nei quali in precedenza uno Stato si sarebbe limitato a imporre il suo veto senza particolari obblighi di motivazione, in futuro sarà più difficile esercitare il veto adducendo "importanti e dichiarate ragioni", ove queste in realtà non sussistano o non siano esplicitabili.

Quanto al secondo aspetto – le regole procedurali che renderanno operativo il ricorso alla nuova procedura di flessibilità – il trattato dispone anzitutto che tutti i membri del Consiglio possano essere presenti e partecipare alle relative deliberazioni, ma che solo gli Stati promotori della cooperazione adottino con il voto le decisioni conseguenti: nei casi in cui i trattati prescrivono l'unanimità, questa sarà costituita da tutti gli Stati partecipanti all'iniziativa, mentre nei casi ove è consentita la maggioranza qualificata, essa verrà calcolata proporzionalmente secondo le prescrizioni dell'art. 148.2[36]. Ciò mi sembra significhi, nel proposito degli autori del trattato, che dalla somma dei 76 voti ponderati si sottraggono preliminarmente i voti corrispondenti agli Stati che non partecipano alla cooperazione; e che la maggioranza qualificata si calcola stabilendo una proporzione tra la somma dei voti degli stati partecipanti e i voti favorevoli all'azione, che sia corrispondente a quella tra i 76 voti totali e i 54 voti richiesti dall'art. 148.2[37]. Da ciò risulta chiaro che la nuova procedura è applicabile non solo ai settori per i quali i trattati prevedono la possibilità di decidere a maggioranza, ma anche a quelli ove è prescritta l'unanimità. Ciò premesso, per i diversi settori sono prescritte regole specifiche. Se l'iniziativa della cooperazione stretta è assunta nel quadro del trattato sulla Comunità europea (dunque nell'ambito del primo pilastro), il nuovo trattato prescrive che essa non concerna le aree di competenza esclusiva della Comunità[38].

Una tale limitazione restringe enormemente la portata della nuova procedura, perché la parte centrale della disciplina sulla libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali ne risulta esclusa[39]. Così come ne è espressamente escluso il settore della cittadinanza[40]. Inoltre viene precisato che la cooperazione non può modificare la politiche, le azioni e i programmi stabiliti dalla Comunità né creare discriminazioni tra gli Stati membri[41].

Per la cooperazione in materia di polizia e di giustizia (terzo pilastro), le decisioni da assumere a maggioranza qualificata richiederanno il voto positivo di almeno 10 Stati per un complesso di almeno 62 voti[42].

Ciò sembra indicare che anche le decisioni da assumere all'unanimità dovranno essere votate da almeno 10 Stati con non meno di 62 voti positivi[43].

Gli stessi criteri (almeno 10 Stati, almeno 62 voti favorevoli) debbono valere per l'adozione delle decisioni sul terreno della politica estera e della sicurezza, ove sia adottata la nuova procedura dell'astensione[44].

La portata della nuova disciplina sulla flessibilità è, in linea di principio, davvero notevole.

La procedura introdotta dal nuovo trattato consente infatti di adottare decisioni di rilievo anche a ranghi non completi, seguendo il metodo comunitario. Restano due limitazioni molto pesanti, che gravemente riducono le potenziali positive della nuova procedura: la possibilità per ogni Stato di esercitare preliminarmente il veto; e l'esclusione dalla flessibilità per tutte le materie di competenza esclusiva della Comunità.

 

 

9. – Sussidiarietà

 

Il nuovo trattato dedica un protocollo apposito ai principi sussidiarietà e di proporzionalità[45] (quest'ultima consistente nel limitare le azioni della Comunità a ciò che è necessario per raggiungere gli scopi stabiliti dai trattati).

Sulla sussidiarietà vengono fissati criteri abbastanza precisi con riferimento ai compiti della Commissione, alla necessità che questa provveda a esplicitare la coerenza delle sue proposte rispetto all'osservanza del principio di sussidiarietà, alla limitazione entro lo stretto necessario dell'attività legislativa, ai margini lasciare agli stati nella recezione delle direttive, e ad altro ancora.

Si stabilisce inoltre che il principio di sussidiarietà di cui al trattato non concerne i settori per i quali la Comunità ha competenza esclusiva, ma solo quelli di competenza concorrente[46]. Questa limitazione appare discutibile, in quanto il criterio di base della sussidiarietà appare applicabile anche alle decisioni e alle normative concernenti i settori di competenza esclusiva, specie se si pone mente al meccanismo delle direttive e al rapporto ottimale tra i principi comuni e le specificazioni nazionali:. l'eccesso di regolamentazione al livello europeo può venire corretto anche facendo ricorso al principio di sussidiarietà.

Ma soprattutto è importante l'aver esplicitato un carattere fondamentale della sussidiarietà, cioè il suo aspetto biunivoco, che nel trattato di Maastricht non era stato espresso: essa può operare, a volta a volta, o depotenziando il ruolo del livello superiore quando l'azione può essere effettuata al livello inferiore, ovvero potenziandolo quando il livello inferiore si riveli inadeguato a raggiungere efficacemente lo scopo voluto[47].

 

 

10. – Conclusioni

 

Ci limiteremo, in via conclusiva a sottolineare alcuni aspetti – positivi e negativi – della nuova disciplina, nella prospettiva che chi scrive ha espresso a più riprese negli anni passati a proposito delle riforme istituzionali dell'Unione europea[48].

La definizione di una gerarchia delle norme, che valga a distinguere le norme di natura propriamente legislativa dalle norme di natura regolamentare – con lo scopo di limitare alle prime l'intervento del Parlamento europeo – non è stata ancora realizzata, quantunque il trattato di Maastricht l'avesse preannunciata. Il maggior coinvolgimento dei Parlamenti nazionali nel processo di elaborazione e di approvazione delle proposte della Commissione[49], deciso dalla Conferenza, può contribuire a rendere più effettivo e partecipato il contributo dei singoli governi alla costruzione di politiche comuni ma non uniformi al livello europeo: a condizione, però, di non introdurre un ulteriore livello di decisione che intralci la già complessa procedura comunitaria.

La mancata individuazione di un nuovo calcolo del voto ponderato – che sia meno sproporzionato a favore degli Stati di piccole dimensioni – e la mancata definizione del numero ottimale dei commissari si debbono all'incapacità di pervenire ad un accordo unanime, anche se tutti i governi sono persuasi che a ciò si debba arrivare: di qui il rinvio ad una nuova Conferenza. Ma con le regole attuali in materia di riforma dei trattati non sarà facile superare l'impasse.

Diverse e più profonde sono le ragioni di altri obbiettivi mancati.

Se è vero che in tema di codecisione e di nomina della Commissione il Parlamento europeo acquisisce prerogative certo non irrilevanti, che sarebbe miope ignorare, la procedura di codecisione – notevolmente migliorata nel nuovo trattato: e ciò è molto importante – resta ancora esclusa per tutti i settori più significativi, nei quali è sempre e soltanto il Consiglio a decidere. Il deficit democratico non è dunque stato colmato. Questo fatto risulta tanto più grave se si considera che la massima parte della nuova legislazione economica degli Stati dell'Unione europea è ormai di origine comunitaria. Inoltre, l'avvio ormai prossimo dell'unione monetaria secondo il modello dell'indipendenza della Banca centrale – una tappa fondamentale nel processo di unione economica – renderà sempre più urgente la necessità di assumere decisioni democraticamente condivise sul terreno della politica economica dell'Unione europea. È impensabile restare a lungo legati a un assetto che prevede una gestione sovranazionale della politica monetaria senza che a questa corrisponda la possibilità di attivare misure di politica economica al medesimo livello e con la medesima capacità operativa. Sebbene i trattati conferiscano alla Comunità le competenze necessarie, oggi questo non è possibile perché il processo decisionale al livello europeo è in troppi campi viziato da un difetto di legittimazione (cui solo il Parlamento europeo può ovviare, mediante la codecisione); e perché il potere di veto nel Consiglio blocca le decisioni controverse.

Le procedure di decisione in seno al Consiglio dei ministri hanno subito infatti solo modesti ritocchi. Tutte le materie di maggior rilievo del primo pilastro restano affidate a decisioni prese all'unanimità. E ciò vale ancor più per il secondo e per il terzo pilastro. È appena il caso di sottolineare che questa procedura ha per effetto di fermare ogni una sulla quale anche un solo Stato sia decisamente contrario: ciò conduce alla paralisi in troppe occasioni in cui, invece, sarebbe importante decidere. L'allargamento dell'Unione renderà ancora più grave la situazione. Eppure, sarebbe stato agevole prevedere quanto meno un processo graduale di transizione dall’unanimità alle decisioni a maggioranza in tutta una serie di settori del primo, del secondo e del terzo pilastro: come i trattati CEE degli anni Cinquanta avevano intelligentemente disposto. Neppure questo è stato fatto.

Non meno grave è il perpetuarsi del requisito dell'unanimità del Consiglio e dell'unanimità delle ratifiche nel processo di revisione dei trattati comunitari: la riforma in senso maggioritario dell'art. N (ex art. 236) del trattato costituisce in realtà un ostacolo formidabile sulla via di ogni futura riforma; un ostacolo che presto o tardi occorrerà affrontare e superare.

Certo, le nuove procedure di astensione (nella politica estera e di sicurezza) e di cooperazione flessibile (nel primo e nel terzo pilastro) consentiranno di procedere anche a ranghi ridotti, senza la necessità di un accordo unanime. Si tratta di un passo avanti notevole, che Maastricht aveva avviato a proposito della moneta unica e della politica sociale, e che ora viene generalizzato. Ma anche qui i governi hanno avuto timore di spingersi troppo oltre, ed hanno introdotto nel trattato la clausola di salvaguardia: il richiamo ad un interesse di politica nazionale "importante e dichiarato" consente ad ognuno degli Stati membri di bloccare sul nascere il ricorso alle nuove procedure. Inoltre, non si è innovato quanto al requisito dell'unanimità, che rimane operante, nei casi previsti dai trattati, tra gli Stati della cooperazione stretta. Il diritto di veto rinasce così dalle ceneri, o meglio si perpetua a tutti i livelli. Questi due capitali difetti – il deficit democratico causato dalla mancata estensione della codecisione del Parlamento europeo; e l'incapacità decisionale causata dal mantenimento del potere di veto dei governi nazionali – sono dunque ancora presenti. Essi costituiscono gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento di un assetto istituzionale e costituzionale soddisfacente per l'Unione europea. E con esso, al raggiungimento della soglia della irreversibilità nel lento processo di unione su basi federali del nostro continente, iniziato quasi mezzo secolo fa e condotto innanzi con risultati straordinari sul terreno dell'economia e del benessere collettivo dei popoli europei.

Se ci si chiede quali siano le vie per il superamento di tali limiti, non si può non concludere che, sulla base delle esperienze di questi anni, chiedere ai governi di rinunciare alle prerogative del potere di veto e dell'esclusività del potere legislativo è evidentemente chiedere troppo. La "natura delle cose" impedisce ad un potere – salvo circostanze eccezionali che erano ben presenti nei primi anni del dopoguerra, ma che oggi più non sussistono – di autolimitarsi spontaneamente. La spinta decisiva può venire solo da un'opinione pubblica debitamente informata e mobilitata, dalle pressioni delle comunità locali e regionali, dall'intervento energico del solo organo che rappresenta legittimamente i cittadini europei, il Parlamento europeo. Quest'ultimo potrebbe condizionare il proprio voto positivo sull'allargamento dell'Unione all'avvio di una nuova fase costituente che lo veda infine partecipe attivo del processo di riforma istituzionale.

Dopo le timide innovazioni del trattato di Amsterdam, la struttura costituzionale dell'Unione europea rimane dunque incompiuta. E la costruzione europea – uno dei massimi eventi storici della seconda metà del nostro secolo – appare ormai, nella prospettiva pur altamente positiva dell'allargamento, esposta a gravi rischi involutivi.

 

 

 

 

 



 

* A distanza di sette anni, queste pagine scritte nel 1997 e dedicate al Trattato di Amsterdam possono forse indurre a qualche riflessione sulle vicende successive dell’Unione europea per quanto concerne i profili istituzionali e costituzionali. Nel frattempo è intervenuto dapprima il trattato di Nizza del 2000 (sul quale rinvio a quanto da me esposto in Una costituzione per l’Europa, in “Il Mulino”, 50 (2001), n° 393, pp. 48-55) con l’approvazione contestuale della Carta dei diritti, quindi il Progetto di Trattato-Costituzione licenziato dalla Convenzione nel luglio 2003 (sul quale rinvio alle mie valutazioni espresse in Le istituzioni europee nel Progetto della Convenzione, in "Il Mulino",  52 (2003), pp. 899-912). Ora (giugno 2004), alle soglie dell’approvazione del Progetto da parte della Conferenza intergovernativa, può essere interessante valutare quanta parte degli obiettivi a suo tempo segnalati sia per essere conseguita, ma soprattutto quanto lungo e impegnativo sia ancora il cammino che resta da percorrere per raggiungere infine la meta.

 

[1] Nell'esporre i risultati del Consiglio europeo di Amsterdam del 16-17 giugno 1997 ci basiamo sulla versione inglese del documento intitolato Draft Treaty of Amsterdam, pubblicato in data 19 giugno 1997 (CONF/4001/97 CAB), pp. 119. I rinvii saranno alla pagina di questo testo ancora provvisorio.

 

[2] E precisamente: proibizione di discriminazioni basate sulla nazionalità. (art. 6); politiche dei trasporti (art. 75.1); trasporti marittimi e per via aerea (art. 84); aspetti delle politica sociale (art. 2.2 del relativo protocollo); Fondo sociale europeo (art. 125); formazione professionale (art. 127.4); reti transeuropee (art. 129d.3); Fondo europeo di sviluppo regionale (art. 130e); ricerca e sviluppo tecnologico (art. 1300.2); ambiente (art. 130s.1); cooperazione allo sviluppo (art. 130w) (pp. 116-117). Si noti che non l'intero settore a volta a volta menzionato passa al regime della codecisione, bensì soltanto quelle parti di ciascun settore che sinora erano assoggettate al regime della cooperazione, secondo le indicazioni contenute nei rinvii agli articoli e ai paragrafi del trattato di Maastricht sopra citati.

 

[3] Salute pubblica, trapianti di organi e misure veterinarie e fitosanitarie (ex art. 43, nuovo art. 129); regole di sicurezza sociale per i lavoratori migranti degli stati membri (art. 51); diritto di stabilimento dei cittadini stranieri (art. 56.2); regime delle professioni e del lavoro autonomo (art. 57.2) (pp. 116-117).

 

[4] Diritto di mobilità dei cittadini all' interno dell'Unione europea (art. 8a.2) (p. 116).

 

[5] Incentivi per l'impiego (nuovo titolo, art. 5); politica sociale, pari opportunità (nuovo art. 119); trasparenza (nuovo art. 191a); frodi contabili a danno della Comunità (nuovo art. 209a); cooperazione doganale (nuovo articolo); statistiche (art. 213a); protezione dei dati personali (art. 213b) (p. 116).

 

[6] La semplice consultazione del Parlamento è dunque tuttora (anche dopo le innovazioni di cui sopra, alla nota 3) prevista nei seguenti casi: Elettorato attivo e passivo per le elezioni municipali e per quelle del Parlamento europeo (art. 8b); completamento delle disposizioni sulla cittadinanza (art. 8e); dazi doganali (art. 14 §7); grave pregiudizio dell'occupazione in materia di trasporti (art. 75§3); trasporti marittimi e aerei (art. 84 §3); armonizzazione delle legislazioni fiscali (art. 99); ravvicinamento delle legislazioni nazionali (art. 100); circolazione di cittadini degli Stati terzi sino al 1995 (art. 100c§1); misure specifiche per assicurare la competitività dell'industria (art. 130§3); azioni al di fuori dei Fondi nell'ambito della coesione economico-sociale (art.. 130b) ;-creazione di imprese comuni per ricerca e sviluppo tecnologico (art. 130n-1300); decisioni e azioni relative all'ambiente e all'assetto del territorio (art. 130s§2); modalità di esecuzione delle norme approvate dal Consiglio (art. 145, terzo trattino); categorie di ricorsi avanti al Tribunale di primo grado (art. 168a§2); modifiche allo statuto della Corte di giustizia (art. 188); nomina della Corte degli Auditori (art. 188b); sistema delle risorse proprie di cui si raccomanda l'adozione agli Stati membri (art. 201); verifica dei conti, controllo delle responsabilità e regolamenti di esecuzione del bilancio comunitario (art. 209); accordi internazionali (art. 228§3); poteri d'azione impliciti (art. 235); azioni in tema di sicurezza, protezione sociale, rappresentanza dei lavoratori ed altre misure nell'ambito della politica sociale (All.. 1/14, Accordo a undici sulla politica sociale, art. 2§3); politica estera e di sicurezza (art. J. 7); affari interni e di giustizia (art. K. 6). In materia di unione monetaria, tra i casi ove si richiede una decisione unanime del Consiglio, la procedura di consultazione è prevista in tema di deficit eccessivi (art. 104c§14); di tassi di cambio dell'ECU (art. 109§1); di nomina del presidente dell'Istituto Monetario Europeo (art. 109f§1); di compiti ulteriori dell'IME (art. 109f§7).

 

[7] Nei seguenti casi - in cui è prevista la possibilità che il Consiglio deliberi a maggioranza - i trattati prescrivono che il Parlamento europeo si pronunci con la procedura di consultazione: soppressione di restrizioni alla libera prestazione di servizi (art. 63§2); disposizioni sulla concorrenza (art. 87); aiuti concessi agli Stati (art. 94); circolazione di cittadini di Stati terzi (art. 100c§3); programmi specifici di ricerca e sviluppo tecnologico (art. 130i§4); misure in materia d'ambiente e di assetto del territorio sulle quali si sia convenuto (all'unanimità) di procedere con decisioni a maggioranza (art. 130s§2). In tema di Unione monetaria, tra i casi ove il Consiglio si pronuncia a maggioranza qualificata, la procedura di consultazione è prevista per l'adozione dello Statuto del Sistema Europeo di Banche Centrali (art. 106§6); per le regole di consultazione dell'Istituto Monetario Europeo da parte del Consiglio (art. l09f§7); per le decisioni relative all'inizio della terza fase (art. 109j §§2; 4); per l'abrogazione di deroghe (art. l09k§2).

 

[8] Sopra, nota 3.

 

[9] Protocollo su Schengen, art. B (p. 46).

 

[10] Nuovo art. G (p. 20).

 

[11] Nuovo art. 118 (p. 61).

 

[12] Nuovo titolo sull'occupazione, art. 4.2 (p. 56).

 

[13] Nuovo art. J. 13 (p. 105).

 

[14] Protocollo su Schengen, art. B.l (p. 46).

 

[15] Nuovo titolo sull'occupazione, art. 4.2 (p. 56).

 

[16] Montanti compensativi per materie prime (art. 4513); diritto di stabilimento per cittadini stranieri (art. 56.2); programmi-quadro scientifici e tecnologici (art. 130i.1-2); programmi comuni di ricerca e sviluppo tecnologico (art. 1300).

 

[17] Sospensione di norme dei trattati nei confronti di uno stato membro che violi i principi sulla democrazia, i diritti umani e le libertà fondamentali (nuovo art. Fa. 1, p. 5).

 

[18] Implementazione di strategie comuni o azioni comuni in tema di politica estera o di sicurezza (nuovo art. J.13.2, p. 105). Sulle questioni procedurali in tema di politica estera e di sicurezza si decide invece a maggioranza semplice dei membri del Consiglio (nuovo art. J.13.3, p. 105) (p. 122).

 

[19] Linee-guida per l'occupazione (nuovo titolo, art.4); incentivi per l'occupazione (nuovo titolo, art. 5); ambiente di lavoro ed esclusione sociale (art. 118.2); pari opportunità (art. 119.3); sanità (art. 119.3); trasparenza (art. 191a); frode contabile (art. 209a); statistiche (art. 213b); regioni d'oltremare (art. 227.2); cooperazione doganale (nuovo articolo) (p. 122).

 

[20] Sopra, nota 5.

 

[21] Nuovo art. J. 13.1 (p. 105).

 

[22] Sopra, nota 18.

 

[23] Nuovo art. J. 13.2 (p. 105).

 

[24] Nuovo titolo VI, art. K.7 e K.12 (pp. 36; 41); nuovo art. L(b) (p. 126).

 

[25] Nuovo titolo sul movimento di persone, asilo e immigrazione, art. H (p. 21).

 

[26] Nuovo art. L(c) (p. 126). Non è chiaro se con ciò ci si riferisca alle sole istituzioni comunitarie o anche a quelle nazionali.

 

[27] Nuovo titolo sulla flessibilità, Clausola generale, art. 1.1 (p. 139).

 

[28] Ivi, art. 1.2 (p. 139).

 

[29] Ivi, nuovo art. Sa.2 (p. 141).

 

[30] Nuovo titolo sulla flessibilità, Clausole specifiche CEE, nuovo art. 5a.2 (p. 141).

 

[31] Nuovo art. K.12.1 (l° capoverso) (p. 40).

 

[32] Nuovo art. K.12.1 (2° capoverso) (p. 40).

 

[33] Nuovo art. J.13.1 (p. 105).

 

[34] Nuovo art. J.13.1 (p. 105).

 

[35] Nuovo art. J.13.2 (p. 105); vedi sopra, nota 23 e testo corrispondente.

 

[36] Nuovo titolo sulla flessibilità, Clausola generale, art. 2 (p. 139).

 

[37] Ad esempio, se i voti totali degli stati partecipanti alla cooperazione ammontassero a 59, la maggioranza qualificata richiesta sarebbe di 42 voti (76 : 54 = 59 : x; dunque, 54 * 59 : 76 = 41.9); se i voti degli stati partecipanti fossero in totale 46, la maggioranza sarebbe di 33 voti (76 : 54 = 46 : x; dunque 54 * 46 : 76 = 32.6).

 

[38] Nuovo titolo sulla flessibilità, Clausole specifiche CEE, nuovo art. 5a.1(a), (p. 141).

 

[39] Un'indagine specifica sarà da compiere in altra sede per valutare a quali settori del primo pilastro sia tuttavia applicabile la cooperazione più stretta con la procedura prevista dalla clausola di flessibilità.

 

[40] Nuovo titolo sulla flessibilità, Clausole specifiche CEE, nuovo art. 5a.1(c) (p. 141).

 

[41] Ivi, nuovo art. 5a.1(b); 5a.1(e) (p. 141).

 

[42] Nuovo art. K.12 (pp. 40-41); il criterio di ponderazione è quella previsto dall'art. 148(2).

 

[43] In effetti tale conclusione è avvalorata dal rinvio ai "criteri addizionali" dell'art. K.12, compiuto dall'art. 1.l(h) del nuovo titolo sulla flessibilità, clausole generali (p. 139).

 

[44] Nuovo art. J.13(2) (p. 105).

 

[45] Protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità (pp. 87-90).

 

[46] Ivi, art. 3.

 

[47] Ivi, art. 3 ("[il principio di sussidiarietà] permette che un intervento della Comunità entro i limiti dei suoi poteri venga potenziato quando le circostanze lo richiedono e, viceversa, che esso venga limitato o interrotto quando non sia più giustificato").

 

[48] A. Padoa-Schioppa, Dalla CEE all'Unione europea: una riforme istituzionale necessaria in "Il Federalista" , 31 (1989), pp. 267-276; Id., Notes on che Institutional Reform of che EEC and on Po1itica1 Union, in "The Federalist" 33 (1991), pp. 62-72; Id., Sur les institutions po1itiques de l'Europe nouvelle, in "Commentaire" n. 58 (1992), pp. 283-292; Id., Verso la costituzione europea, principi e procedure, in Quale federa1ismo per quale Europa, Brescia 1996, pp. 425-446.

 

[49] Protocollo sul ruolo dei Parlamenti nazionali (p. 136).