N. 3 – Maggio 2004 – Notizie

 

 

Mario Amelotti

Università di Genova

 

CARATTERI E FATTORI DI SVILUPPO DEL DIRITTO PRIVATO ROMANO NEL IV SECOLO*

 

 

[Saggio pubblicato in De vita et operibus Mari Amelotti a Felice Costabile desciptis, libellisque quinque de sera antiquitate auctis = Minima epigraphica et papyrologica V-VI, 2002-2003, 35-43]

 

 

Il passaggio dal III al IV secolo è caratterizzato da un repentino quanto radicale mutamento, nella forma come nella sostanza, delle costituzioni imperiali, unico strumento ormai rimasto di produzione normativa. L'età di Diocleziano ed ancóra la seconda tetrarchia presentano, in riferimento al diritto privato, l'uso esclusivo del rescritto[1], mentre riservano l'editto ai provvedimenti di carattere pubblico. Costantino si serve, in un caso e nell'altro, della lex generalis. Una nuova terminologia questa, che subentra all'editto, attestata per la prima volta in CTh. XVI 8,3 del 321. Prima di allora lex era quella voluta dal popolo, mentre i provvedimenti imperiali erano indicati complessivamente come constitutiones.

Per rescritto s'intende la risposta dell'imperatore, in pratica della cancelleria imperiale ad un quesito giuridico, attinente ad un caso concreto. Il quesito poteva essere proposto da un funzionario, cui l'imperatore rispondeva con un altro scritto, oppure da un privato, cui 1'imperatore

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rispondeva in calce alla stessa richiesta: ragion per cui, in epoca classica, si parlava rispettivamente di epistula[2] e di subscriptio. Con Diocleziano, fermo rimanendo il diverso tipo di risposta e ricorrendo a termini già noti alla tradizione classica, si parla piuttosto di rescripta ad consultationes emissa e di rescripta ad preces emissa. Esauriti nella loro funzione decreta e mandata, l'età dioclezianea conosce una nuova forma di costituzione imperiale nell'adnotatio, di cui abbiamo la prima menzione in Coll. 1, 10, 1 del 290. Dapprima semplice nota dell'imperatore in calce alla supplica privata, da convertire in successivo rescritto[3], divenne forma autonoma utilizzata per la concessione di privilegi.

È stata pratica costante della cancelleria inviare l'originale del rescritto all'interessato e destinare copia agli archivi imperiali. Ciò è ribadito da Diocleziano in C. 1, 23, 3 del 292 allorché afferma: Sancimus, ut authentica ipsa atque originalia rescripta et nostra manu subscripta, non exempla eorum, insinuentur. In un tempo di facile ricorso a rescritti apocrifi, testimoniato da Paul., sent. 1, 12, 1 e 5, 25, 9, l'imperatore precisa che in sede processuale va sempre presentato l'originale[4]. Ma la dispersione in provincia non pregiudica la notorietà dei rescritti e il loro valore di precedenti autorevoli, d'importanti exempla. Allo scopo i giuristi, ancóra quelli severiani, attingevano agli archivi e inserivano e assimilavano i testi nelle loro opere. Ma ora si preferisce farne delle raccolte. Abbiamo cosi il Codex Gregorianus, strutturato in almeno 14 libri, che parte probabilmente già da Adriano, ma presenta soprattutto rescritti dai Severi ai primi anni di Diocleziano. Lo continua il Codex Hermogenianus, che in un unico libro riunisce rescritti del 293-294. Tali collezioni private ebbero molto successo nella prassi e confluirono infine nel Codex Iustinianus.

Lo stile dei rescritti è asciutto e preciso, il loro contenuto è diretto a risolvere lo specifico caso. Con Diocleziano abbiamo un continuo

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richiamo dei provinciali, sbandati dopo la Constitutio Antoniniana, all'osservanza del diritto romano. Si respingono le richieste aberranti: ne offrono esempi C. 6, 24, 7 contro l'affratellamento; C. 8, 46, 6 contro l'apokeryxis; C. 8, 47, 4 contro l'adozione per mero atto scritto. Ma in qualche caso Diocleziano attenua la sua opposizione e viene incontro ai postulanti, introducendo prudenti concessioni. Per fare anche qui degli esempi, ricordo l'adrogatio per rescriptum principis, che rende l'istituto più accessibile ai provinciali e rende altresì arrogabili le donne; il caso di C. 8, 47, 5 che ad una donna, rimasta priva di figli, permette una parvenza di adozione; la rinuncia ad insistere, in materia testamentaria, su aspetti puramente rituali, accentrando piuttosto l'attenzione sui testes e i septem signa[5]. È in questo senso che va risolto il conflitto di opinioni, intercorso un tempo tra il Taubenschlag, che parlava di un Diocleziano innovatore ed aperto agli influssi greco-orientali, e l'Albertario, che vedeva in lui un intransigente difensore del diritto classico.

Come già detto, Diocleziano riserva gli editti ai provvedimenti di diritto pubblico. Essi sono caratterizzati da testi prolissi, enfatici, magniloquenti, che derivano da altro ufficio rispetto ai rescritti. Se questi provengono dallo scrinium a libellis, che esigeva persone fornite di specifica competenza giuridica, agli editti provvedeva lo scrinium ab epistulis, in cui prevaleva la preparazione retorica. Di editti si sarà servito Diocleziano per la riorganizzazione dello Stato (ma abbiamo solo generiche notizie letterarie), in materia economica (si pensi all'edictum de pretiis), in materia religiosa (l'editto contro i Manichei di Coll. 15, 3; gli editti contro i Cristiani). La stessa scelta operano i suoi immediati successori: rescritti in tema di diritto privato, editti di contenuto pubblicistico. Ricordo così l'editto di Serdica, con il quale Galerio ammette finalmente tolleranza per i Cristiani; la tavola di Brigetio, che attribuiva privilegi fiscali ai soldati, e l'editto di Nicomedia, che è l'applicazione in Oriente dell'accordo di Milano riguardo ai Cristiani, dovuti entrambi a Licinio[6].

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Dell'editto, o meglio ora lex generalis, si serve in ogni caso Costantino. È generalis perché, preventiva e astratta nella normativa, è dichiarata applicabile a tutti o almeno ad un'intera categoria. Cade in sospetto il rescritto, quale possibile strumento di abusi e ingiusti privilegi. Esso deve essere conforme all'ordinamento, come sancisce l'imperatore in CTh. I 2, 2 del 315: Contra ius rescribta non valeant quocumque modo fuerunt inpetrata. Ma soprattutto Costantino apporta radicali riforme al diritto privato, ascoltando influssi diversi, ma ancor più aderendo alle esigenze dei tempi nuovi. Giustificata la frase di Ammiano Marcellino, che lo qualifica novator turbatorque priscarum legum et moris antiquitus recepti[7].

Ma prima di approfondire il tema costantiniano esaminiamo i tentativi di appianare il contrasto tra Diocleziano e Costantino. Non è qui il caso d'insistere, in quanto attinente piuttosto al diritto pubblico, sulla concezione, cara a molti storici e storici del diritto, di una monarchia dioclezianeo-costantiniana. È vero che Costantino prosegue l'opera di Diocleziano nella instaurazione di un impero assoluto e burocratico, ma diverso è lo spirito che anima i due imperatori. Diocleziano vuole la restaurazione dell'impero romano pagano e questo spiega aspetti importanti della sua politica: designazione del successore, che è insita nel sistema tetrarchico; difesa disperata del denarius, che è la moneta della piccola gente, contro l'inflazione; accanita persecuzione dei Cristiani. Costantino si fa pragmatico interprete della realtà e in questa cerca nuove forze che rinsaldino il suo potere. Trasmetterà questo potere ai figli secondo il principio dinastico. Abbandona il denarius, ancorando saldamente l'economia all'oro, che è nelle mani delle classi superiori. Non si limita a tollerare, ma chiama ad una partecipazione attiva i Cristiani, con una politica di favore e d'intervento. Tornando però alla materia privatistica, abbiamo anzitutto la vecchia tesi del Vernay, per il quale il salto stilistico tra i testi dioclezianei e quelli costantiniani deriva da un fatto estrinseco, perché ci sono trasmesse costituzioni di natura diversa. Lo stile amministrativo, con i suoi caratteri di prolissità e di enfasi, esisteva per gli editti già da molto tempo. Ma l'importante è che Diocleziano, mettendosi sul piano del giurista largitore di pareri, abbia voluto servirsi del rescritto, mentre Costantino sceglie la via autoritativa con la lex generalis. Più pericolosa è la tesi della cosiddetta 'massimazione'

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allorché postula, in riferimento al nostro problema, che le costituzioni imperiali siano state ridotte, subito dopo l'emanazione e forse dalla stessa cancelleria, a brevi riassunti, in tutto sostituiti alla fantomatica redazione completa. Altro è il discorso sulle manipolazioni che le stesse costituzioni hanno certamente subíto, ma in modi diversi e con finalità diverse, dagli autori delle successive compilazioni che le hanno raccolte. Contro talune esagerazioni in tema di massimazione, che porterebbero a perenne sfiducia nel testo trasmesso delle costituzioni, ho già preso posizione ed altri inviti alla moderazione sono stati espressi, che hanno conseguito un significativo ridimensionamento della tesi originaria[8]. All'evidenza resta la radicale differenza, per stile e contenuto, tra i rescritti dioclezianei e le leges generales di Costantino. Si deve ancora discutere della distinzione recentemente avanzata tra diritto giurisprudenziale e diritto legislativo. «Se, fino all'età dei Severi, il campo delle fonti di produzione normativa ancora attive era stato tenuto saldamente dall'azione congiunta, e spesso in simbiosi mutualistica, di giuristi e princeps, col passaggio dal principato al dominato» si passa altresì da un modello di diritto giurisprudenziale «ad uno di diritto legislativo, derivante esclusivamente dall'attività incontrastata del principe legislatore». In quest'ultima interpretazione che viene proposta si fa perno per il passaggio su Diocleziano, ancor prima di Costantino[9]. Si può obiettare che in età dioclezianea appaiono ancora operanti figure minori di giuristi, Ermogeniano e Arcadio Carisio. Si può osservare che Codex Gregorianus e Codex Hermogenianus vengono allora citati e utilizzati più come opere di letteratura giuridica che come raccolte di costituzioni imperiali. Si può soprattutto ripetere che Diocleziano ha preferito la via 'giurisprudenziale' del rescritto e Costantino quella autoritativa della lex generalis. Resta da dire che la distinzione tra diritto giurisprudenziale e diritto legislativo, di per sé esatta non è che un modo di esprimere

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i due termini della lenta graduale evoluzione dei mezzi di produzione giuridica, senza implicare alcuna soluzione dei problemi.

A dimostrare lo spessore delle riforme costantiniane giova, più di un elenco vanamente esaustivo, l'analisi di alcune costituzioni davvero esemplari. Cominciamo da quella già al primo sguardo più clamorosa. In CTh. III 16, 1 del 331 si prende posizione contro il ripudio, drasticamente limitato a tre casi estremi: contro l'uomo homicida, medicamentarius, sepulchrorum dissolutor; contro la donna moecha, medicamentaria, conciliatrix. In ogni altro caso è punito, qualificandosi addirittura prava cupiditas il desiderio della donna di ripudiare un marito dedito al vino, al giuoco, alle avventure libertine. Per affermare che la donna colpevole d'ingiustificato ripudio perde la dote e la donazione nuziale e viene esiliata, si scrive: oportet eam usque ad acuculam capitis in domo mariti deponere et pro tam magna sui confidentia in insulam deportari. Se invece è il marito ad aver ripudiato illecitamente la donna e ad aver contratto seconde nozze, si scrive, autorizzando l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni, che priori coniugi facultas dabitur domum eius invadere et omnem dotem posterioris uxoris ad semet ipsam transferre pro iniuria sibi inlata. Esagerato è il contenuto, sul quale imperatori successivi torneranno indietro; sorprendente è la forma, piena di termini nuovi e frasi inusitate[10]. Riesce suggestivo pensare che la costituzione provenga da un ambiente cristiano, da uomini nuovi penetrati nella cancelleria di Costantino. La cancelleria dioclezianea, rigorosa e precisa, era finita con Galerio e poi Licinio[11].

Più moderate, all'apparenza, altre costituzioni. In C. 7, 32, 10 del 314 si finisce per dire che vero possessore è chi ha il diritto di possedere. Concezione volgare che più non distingue tra proprietà e possesso. Non è qui il caso di riprendere la discussione ormai superata su diritto volgare e volgarismo. Basti dire che alla prima espressione, come indicativa di un imprecisato sistema normativo, è da preferire la seconda,

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intendendo il volgarismo come atteggiamento culturale, o magari piuttosto inculturale, che vede il diritto con l'occhio dell'uomo della strada. In Fr. Vat. 249, del 323, meglio che 316, Costantino subordina la validità della donazione al concorso di tre requisiti formali: redazione scritta, traditio solenne advocata vicinitate, allegazione nei gesta. La donatio ne risulta implicitamente, ma radicalmente riformata. Non è più una causa di acquisto, e non di soli diritti reali, come era nella concezione classica e ancora dioclezianea, in quanto ora si presenta come negozio tipico, che implica sempre acquisto di proprietà. Diventa un contratto, soggetto a prestabilite formalità e produttivo di effetti reali. La riforma non risponde a fattori insiti nello sviluppo dell'istituto, ma a motivi esteriori di certezza e forse di ordine fiscale, ma soprattutto traduce quella forma di donazione, la donazione reale, che normalmente si conosce nella prassi. In Fr. Vat. 35, del 337 meglio che 313, si prevedono per la compravendita di immobili, oltre alla redazione scritta e al fine dichiarato di evitare evasioni fiscali ed escludere il commercio di cose altrui, i requisiti della inspectio consualis e del compimento solenne del negozio dinanzi ai vicini, i quali forniscano testimonianza che il venditore è proprietario. Motivi immediati sono anche qui la certezza e l'interesse fiscale, ma implicita nella riforma è la concezione di una compravendita produttiva di effetti reali. Nulla nella costituzione rispecchia la concezione classica di contratto consensuale. Si sente forse l'eco delle dottrine greche ed ellenistiche, che sopravvivono nelle province, ma si percepisce comunque la mentalità volgare, che identifica il vendere e il comprare con l'effettivo scambio della cosa contro il prezzo.

Per chiudere consideriamo ancora una legge, pervenutaci in frammenti, che l'inscriptio attribuisce a Costantino, ma la data del 339 ritarda di poco ai figli e successori, nel caso specifico a Costanzo[12]. Gli uomini della cancelleria erano ancora gli stessi. La legge rende inutile nelle disposizioni testamentarie l'osservanza delle parole solenni, in particolare per l'istituzione d'erede e i legati. Il testatore può usare le parole che vuole e alla sua volontà ci si deve rimettere. Emanata in Oriente per venire incontro agli orientali, la costituzione esprime una riforma certamente moderna, che elimina vecchi formalismi, ma che al contempo rispecchia e fomenta il caos nella documentazione

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già prodotto, dopo la constitutio Antoniniana, dalla legge di Severo Alessandro che aveva loro permesso di testare in greco.

Costantino apre veramente per il diritto privato una nuova epoca, si chiami pure postclassica o tardoantica[13]. Le costituzioni degli imperatori successivi seguono una linea discontinua, con avanzamenti e arretramenti, mossa spesso da motivi occasionali. Su un piano più generale si mescolano esigenze economiche, concezioni volgari, influenze cristiane, tradizioni orientali. È unilaterale parlare solo di crisi economico-sociale o di diritto volgare o di diritto romano-cristiano o di diritto romano-ellenico.

La necessità di tener conto delle diverse influenze e dell'andare e venire della legislazione rende inattuabile una puntuale ricostruzione del diritto privato del IV secolo. È maggiormente valido sottolineare alcune linee di tendenza.

Per quanto riguarda i diritti patrimoniali le novità sono profonde, ma poco appariscenti. Si perde il rigore giuridico nella concezione dei diversi negozi; scompaiono le forme tipiche, orali e rituali, sostituite da una generale ma anodina redazione scritta; l'interpretazione fa richiamo, più che ai dati obiettivi del negozio, alla voluntas. Da notare, tra i diritti reali, lo svilupparsi di stabili concessioni di terre, anche per rimediare al fenomeno degli agri deserti: esse si unificheranno nella nozione di enfiteusi.

Più evidenti le novità nei diritti della persona e della famiglia. Tende a svuotarsi la fondamentale distinzione tra liberi e servi per la crisi della schiavitù. Il fenomeno è dovuto non solo all'influsso cristiano, di cui è espressione la manumissio in ecclesia, ma al venir meno di guerre vittoriose e ancor più alla diversa organizzazione del lavoro. La schiavitù appare ridursi all'ambito domestico. Le distinzioni sono ora tra i liberi, di cui la più grave per conseguenze civili e penali è quella tra honestiores e humiliores. Tutti sono però vincolati, per esigenze economiche che la legislazione fa proprie, a corporazioni, in una scala che dalle curie cittadine scende alle associazioni dei più modesti mestieri. La posizione infima è occupata dai contadini, che sono sempre più legati alla terra da complessi, diversificati rapporti che si suole raccogliere sotto la nozione di colonato. Il fenomeno, secondo alcuni, preluderebbe

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alla futura servitù della gleba. È però da aggiungere che la nozione stessa di colonato, oscillante tra prospettive continuistiche e richiami al nuovo e al particolare, tra interpretazioni privatistiche, come forma di dipendenza personale, e spiegazioni pubblicistiche, come conseguenza del sistema fiscale, è adesso oggetto di viva discussione e revisione[14]. Una posizione privilegiata acquistano invece le chiese e clerici e monachi, che godono di favori e di esenzioni fiscali. Particolare è il prestigio dei vescovi, sul piano politico, amministrativo e anche giudiziario, ricorrendo spesso le parti alla loro episcopalis audientia.

In materia matrimoniale crescono d'importanza gli sponsalia, rafforzati da arrhae sponsaliciae. Il matrimonio stesso acquista maggiore stabilità, per sfavore al divorzio, ma di contro trova favore anche il celibato, contro cui viene meno la legislazione augustea. Se per gli sponsalia possiamo pensare a influssi orientali, per gli altri fatti è palesemente operante la dottrina cristiana. Si diffonde, in corrispettivo alla dote, l'uso di donazioni nuziali da parte del marito, con finalità diverse come praemium pudicitiae o beni assicurati alla vedova o penalità contro il divorzio.

Nel regime familiare assistiamo al venir meno del rapporto potestativo e al prevalere della parentela nel nostro senso. Anche l'adozione diventa una filiazione fittizia, che si accosta alla greca uƒoqes…a: ne abbiamo esempi in papiri egizi di quell'epoca, che ne regolano per atto scritto e in forma contrattuale i vari effetti[15]. Tutela e cura tendono ad assimilarsi e la seconda si presenta come continuazione della prima.

Altro ancora si potrebbe dire sul diritto privato del IV secolo, che ai richiami al passato unisce radicali innovazioni che con quei richiami si accavallano e s'intrecciano. Sarebbe vano cercare razionali evoluzioni e tanto meno tentare costruzioni geometriche. Il secolo successivo porterà un ulteriore sviluppo ma anche un maggior ordine, almeno in Oriente, per merito del Codex Theodosianus e della stabilizzata documentazione notarile in attesa della sistemazione giustinianea.

 

 

 

 



 

* Per questa relazione sono partito, per tener poi conto della letteratura più recente, dal mio libro Per l'interpretazione della legislazione privatistica di Diocleziano, Milano1960, integrato per la seconda tetrarchia e la prima età constantiniana dallo scritto «Da Diocleziano a Costantino. Note in tema di costituzioni imperiali», in Studia et Documenta Historiae et Iuris XXVII (1961), pp. 241 ss. (ora in Scritti giuridici, Torino 1996, pp. 492 ss.).

 

[1] Troviamo un solo editto, in tema d'impedimenti matrimoniali, in Coll. 6, 4 del 295. La generale finalità di vietare nozze incestuose spiega il carattere edittale, che si manifesta anche nella prolissità e nell'enfasi.

 

[2] Sulla specifica tipologia delle epistulae e la loro efficacia ved. ora la ricerca di F. Arcaria, Referre ad principem. Contributo allo studio delle epistulae imperiali in età classica, Milano 2000.

 

[3] Ancora Costantino in CTh. I 2, 1 ne afferma l'invalidità senza susseguente rescritto.

 

[4] Su questa problematica e in particolare l'interpretazione di C. 1, 23, 3 ved. N. Palazzolo, «Le modalità di trasmissione dei provvedimenti imperiali nelle province (II-III sec. d.C.)», in Iura XXVIII (1977), pp. 40 ss.

 

[5] Per il contrasto in questa materia tra la cautela di Diocleziano e l'intervento ben altrimenti eversore di Costantino rimando al mio volume Il testamento romano attraverso la prassi documentale, I, Firenze 1966, pp. 240 ss.

 

[6] Questo mio discorso significa che non credo al preteso editto di Milano del 313, ma ad un accordo politico ivi intercorso tra Costantino e Licinio, che il secondo applica malvolentieri, con un mero editto di tolleranza, mentre il primo lo traduce in azioni positive, di favori e privilegi alle chiese e d'intervento nelle controversie religiose.

 

[7] Amm. Marc., XXI 10, 8.

 

[8] Ved. l'ampia replica alle mie obiezioni di E. Volterra, « Il problema del testo delle costituzioni imperiali», in La critica del testo. Atti del II Congr. Intern. Soc. it. stor. dir., Firenze 1971, pp. 821 ss. (ora in Scritti giuridici, VI, Napoli 1994, pp. 3 ss.), e la pacata puntualizzazione di G.G. Archi, «Sulla cosiddetta ‘massimazione’ delle costituzioni imperiali», in Studia et Documenta Historiae et Iuris LII (1986), pp. 161 ss. (ora in Studi2, Cagliari 1990, pp. 99 ss.).

 

[9] Ved. L. Maggio, in Le fonti di produzione del diritto romano. Epoca classica e postclassica, a cura di F. Arcaria, Catania 2001, pp. 83 ss.

 

[10] Faticheranno nel V secolo i redattori dell'interpretatio a dare al testo una veste giuridicamente più corretta, sostituendo intere frasi.

 

[11] È plausibile infatti che gli appartenenti a tale cancelleria siano passati al servizio di quegli imperatori che, per legittimità costituzionale e atteggiamento, nonché per sede territoriale, apparivano del grande predecessore i più diretti eredi, anziché seguire l'avventura di Costantino. Questa mia ipotesi, rimasta inosservata, è ora ripresa da R. Cardilli, La nozione giuridica di fructus, Napoli 2000, p. 334 nota 24.

 

[12] C. 6, 9, 9. 23, 15. 37, 21.

 

[13] Per una visione d'insieme di quest'epoca, con particolare attenzione alla storia politico-costituzionale e alle fonti giuridiche, ved. L. De Giovanni, Introduzione allo studio del diritto romano tardoantico, Napoli 1997.

 

[14] Provocate soprattutto dai polemici saggi di J.-M. Carrié. Ved. da ultimo il vol. miscellaneo Terre, proprietari e contadini dell'impero romano. Dal'affitto agrario al colonato tardo antico, a cura di E. Lo Cascio, Roma 1997, con scritti dello stesso Carrié e di altri studiosi.

 

[15] Mi riferisco a P. Oxy. IX 1206 del 335, riedito in Arangio- Ruiz, Negotia, n. 16, e a P. Lips. 28 del 381, riedito in Mitteis, Chrest. n. 363, sui quali è in corso uno studio approfondito di M. Migliorini.