N. 4 – 2005 – Contributi

 

La Breve Carriera dell’operazione amministrativa nella dottrina italiana: dall’operazione al procedimento amministrativo*

 

Domenico d’Orsogna

Università di Sassari

 

 

Sommario: 1. L’“operazione amministrativa” nella dottrina italiana di inizio Novecento. – 2. Genesi della figura: dallo studio del fenomeno della “collaborazione giuridica” alla graduale emersione di una nozione di carattere sostanziale affine alla opération administrative francese. – 3. Dalla iniziale indistinzione tra procedimento e operazione alla graduale evoluzione della operazione amministrativa in senso differenziale rispetto al procedimento. – 4. Operazione amministrativa e procedimento “in senso ampio”. – 5. La operazione amministrativa nella dottrina degli anni Trenta. – 6. Luci ed ombre della nozione di operazione amministrativa. – 7. Dalla operazione amministrativa alla nozione formale di procedimento. – 8. L’operazione amministrativa: una nozione “in riserva” del diritto amministrativo.

 

1. – L’“operazione amministrativa” nella dottrina italiana di inizio Novecento

 

L’espressione “operazione amministrativa” è utilizzata nella scienza italiana del diritto amministrativo, come è noto, soprattutto per designare certi aspetti o “momenti” della c.d. attività “materiale” della pubblica amministrazione[1].

Va osservato, tuttavia, che l’utilizzazione della espressione “operazione amministrativa” quale referente pressoché esclusivo dei c.d. “comportamenti materiali” della pubblica amministrazione[2] si è affermata nella nostra tradizione disciplinare solo a partire dagli anni sessanta del Novecento[3].

È in tale periodo che si registra, infatti, il definitivo tramonto della diversa e più risalente accezione della nozione, concettualmente affine alla opération administrative francese, che aveva trovato invece largo accoglimento in quella dottrina amministrativistica italiana dei primi decenni del Novecento che si era rivolta allo studio del fenomeno procedimentale[4] prima di quel fondamentale “punto di svolta”[5] che verrà segnato in materia dalla nota monografia del Sandulli del 1940[6].

I risultati della ricerca del Sandulli resero immediatamente “recessivo” il programma di ricerca seguito dalla dottrina precedente, determinando, sia sul piano della teoria e del metodo della indagine sia su quello del dimensionamento del fenomeno (amministrativo) oggetto di analisi, l’affermazione di una prospettiva molto più avanzata[7], ma, per alcuni versi, anche incommensurabile rispetto a quella invalsa in precedenza[8].

Alcuni degli studiosi delle generazioni precedenti rispetto a quella del Sandulli continuarono, peraltro, a “difendere” la configurazione del fenomeno procedimentale nei termini (prima) tradizionali della “operazione amministrativa”[9].

È questa la ragione per cui, come poc’anzi affermato, il definitivo tramonto della breve carriera della (prima accezione di) “operazione amministrativa” nella dottrina italiana è da appuntare (non già direttamente al 1940, ma) negli anni sessanta del novecento.

In uno dei rarissimi contributi specificamente dedicati dalla dottrina italiana della seconda metà del novecento allo studio della nozione di operazione amministrativa[10] nei termini che seguono fu “fotografato” l’ormai consumato (duplice) riorientamento degli indirizzi della dottrina italiana in tema: “… Il primo problema che si pone per chi intende svolgere una indagine diretta ad individuare il significato tecnico e giuridico del vocabolo ‘operazione’ nel campo del diritto amministrativo è senza dubbio un problema lessicale”[11]; e ciò in quanto “la dottrina amministrativistica ha usato, ed in parte usa, tale termine in due accezioni diverse e distinte: da un lato come sinonimo di procedimento amministrativo, dall’altro, invece, genericamente, per designare certi aspetti o “momenti” della attività materiale della Pubblica Amministrazione. Si tratta, si precisa, di una “alternatività di significato” che ormai “ha rilevanza quasi esclusivamente da un punto di vista storico, essendo assolutamente prevalente, oggi, la seconda delle due accezioni indicate”; tuttavia, aggiunge l’autore, nel delineare la impostazione della sua indagine, “non ci esimeremo peraltro dall’esaminare la prima, anche se brevemente e di scorcio, e ciò se non altro per verificarne la consistenza attuale alla luce dei successivi orientamenti dottrinali”[12].

Tali proposizioni, oltre che registrare in modo efficace, come è facile constatare, lo slittamento, già allora in stadio molto avanzato, del significato dell’espressione, e dell’interesse della dottrina, verso quella accezione di “operazione amministrativa” (intesa quale comportamento o attività c.d. “materiale”) che finirà poi per affermarsi (ed apparire alla dottrina contemporanea) quale “nozione tradizionale” di operazione amministrativa[13], consentono di isolare un dato importante ai fini della presente indagine.

Posto che, differenza dello studio appena menzionato (e dell’indirizzo poi assunto dalla dottrina successiva), l’interesse della presente indagine è orientato (per ragioni che tra breve si avrà modo di esplicitare) sulla prima delle due accezioni di operazione amministrativa, è bene sottolineare come nei passi sopra richiamati sia emblematicamente rappresentato anche il modo parzialmente suggestivo in cui nella dottrina della seconda metà del novecento viene conservata e tramandata “la memoria” della elaborazione dottrinaria dedicata alla (prima accezione della) operazione amministrativa.

L’autore, infatti, riferisce che l’espressione era utilizzata nella dottrina risalente, seppur “con diverse approssimazioni”, come “sinonimo di procedimento amministrativo”, o, più precisamente, per designare “quel fenomeno giuridico che è stato poi sistemato come “procedimento amministrativo” dal Sandulli”[14]. E in termini pressoché identici si è espressa la dottrina successiva, nei (rari) casi in cui ha avuto modo di richiamare la nozione di “operazione amministrativa” accolta dalla dottrina italiana di inizio novecento: basti segnalare che anche in una recente voce enciclopedica si rammenta che “in passato col termine operazione amministrativa si indicavano le attività che poi hanno trovato sistemazione definitiva nella concezione strutturale di procedimento… oppure che si ricomprendevano nella generale categoria dell’atto amministrativo”[15].

Tali formule, esatte, calate tuttavia nell’orizzonte ermeneutico della dottrina contemporanea, assumono una portata suggestiva nella misura in cui inducono lo studioso di diritto amministrativo a pensare che la elaborazione in tema di operazione amministrativa dei primi decenni del novecento ritagliasse quale referente della nozione esattamente la stessa materia poi sistemata nella concezione strutturale del procedimento.

La proposizione del Graziosi, sopra citata, in base alla quale si apprende che la dottrina risalente utilizzava l’espressione “operazione amministrativa” quale “sinonimo” di “procedimento amministrativo”, ad esempio, spinge naturalmente l’interprete a “riempire” la “operazione amministrativa” di quel significato (di uno dei possibili significati) che egli è naturalmente portato ad associare alla espressione “procedimento amministrativo”.

Per lo studioso di diritto amministrativo contemporaneo, in effetti, non è facile, se non attivando un controintuitivo processo di autoriflessione, prendere le distanze da una idea presupposta di procedimento che vede i propri fondamenti e i propri confini estensionali ultimi tracciati, in fondo, proprio nella elaborazione sandulliana.

Se si riflette, infatti, sulla circostanza che la estensione della espressione tecnica “procedimento amministrativo” accolta nella dottrina italiana contemporanea riposa, ancorché grandemente evoluta ed arricchita in diverse direzioni[16], sulla piattaforma della nozione scolpita dal Sandulli nel 1940[17], è evidente che la associazione di significato descritta è idonea a cogliere nel segno, ossia a rappresentare la realtà concettuale della elaborazione in tema di operazione amministrativa, all’unica condizione che il fenomeno assunto a riferimento da tale più risalente elaborazione della dottrina sia interamente contenuto nei confini tratteggiati dalla costruzione sandullliana. Ove, invece, nella dottrina in tema di “operazione amministrativa” si diano eccedenze di materia o di senso rispetto alla (portata estensionale della) nozione moderna di “procedimento amministrativo”, suddetta ascrizione di significato si rivelerebbe del tutto arbitraria.

Detto in altri termini: se è vero, come ricordato puntualmente anche nelle recenti riflessioni, che una parte della dottrina dei primi decenni del novecento giunse ad utilizzare i termini di “procedimento” e di “operazione” in maniera alternativa e, talvolta, anche come sinonimi; è vero anche che, dagli scarni riferimenti e richiami che la recente produzione dottrinaria dedica alla più risalente elaborazione, non è dato ricavare l’elemento più importante, ossia quale fosse il “significato” che la dottrina del tempo associava a ciascuna delle due diverse espressioni nei casi in cui alle stesse faceva corrispondere il medesimo referente.

Prima di posare l’attenzione sui alcuni degli snodi essenziali della vicenda di elaborazione della nozione di operazione amministrativa, tuttavia, si impongono una serie di necessari chiarimenti, che, con l’esplicitare le ragioni che spingono l’indagine nella direzione indicata, traccino, con queste, anche gli obiettivi e i limiti della indagine stessa.

Sono ovviamente i caratteri strutturali di alcuni problemi del presente, e non uno sterile problema “lessicale”, che rendono necessario, a nostro avviso, siffatto orientamento preliminare della indagine.

I dati da cui muovere sono molteplici.

È opportuno anticipare sinteticamente alcune considerazioni cui verrà dato svolgimento nel prosieguo del lavoro: la dottrina non ha dedicato grande spazio all’approfondimento della nozione giuridica di attività amministrativa, intesa questa quale autonoma fattispecie giuridica, né ha elaborato una teoria della attività amministrativa, ma si è concentrata tradizionalmente sulla teoria del procedimento, e relativo provvedimento; tanto che, sovente, è accaduto che la teoria della attività amministrativa sia stata identificata interamente con la teoria del procedimento amministrativo[18].

Ma le dinamiche evolutive del fenomeno amministrativo e l’atteggiarsi della disciplina positiva ad esso relativa hanno di recente condotto la teoria del procedimento, per così dire, ad “urtare” talvolta contro i propri limiti concettuali[19], ponendo lo studioso di diritto amministrativo a contatto con una serie di “vicende” che, contemplando nella attività amministrativa in quanto tale la propria autonoma fattispecie reclamano ormai una sistemazione adeguata anche sul piano teorico[20].

Uno degli obiettivi che la dottrina amministrativistica italiana contemporanea si è di recente assegnata è quello della costruzione di una vera teoria della attività amministrativa, da porre a fianco della (o da innestare sulla) teoria del procedimento e del provvedimento[21].

In questo (nuovo) orizzonte teorico si pone la presente indagine, che intende raccogliere una indicazione di metodo e di lavoro avanzata da una recente ed illustre dottrina[22].

Non si intende, è bene ribadirlo, puntare frontalmente all’obiettivo della elaborazione della auspicata teoria della attività amministrativa, lavoro grandemente superiore alle nostre forze. L’obiettivo di queste riflessioni è quello, certamente più ridotto, di isolare e studiare, in tale direzione di ricerca, un oggetto di indagine più specifico, la cui chiarificazione ci sembra possa tuttavia contribuire a ritagliare per lo meno un tassello utile alla costruzione complessiva: quello degli istituti giuridici di diritto positivo con i quali l’attenzione del legislatore sembra essersi spostata (estesa) dal singolo procedimento, e relativo provvedimento, alla complessiva attività amministrativa necessaria per conseguire un risultato unitario[23].

È proprio con riguardo a tali nuovi istituti, tesi a coordinare e raccordare insiemi (volta per volta) diversi di poteri e procedimenti, tutti quelli necessariamente coinvolti nel perseguimento funzionalmente adeguato di un “risultato amministrativo unitario”, che la dottrina cui si devono i preziosi spunti ispiratori della presente indagine ha proposto la utilizzazione della nozione di “operazione amministrativa”[24], proprio per sottolineare, anche sul piano terminologico, la fuoriuscita dall’orizzonte teorico tracciato dalla teoria del procedimento amministrativo.

La circostanza che l’illustre autore abbia invitato la dottrina amministrativistica a studiare questa “nozione nuova”[25]; ma che, al contempo, abbia proposto per essa una espressione antica, ci è apparsa estremamente significativa.

Per approssimarsi nel modo più adeguato alla costruzione di una “nuova” teoria della operazione amministrativa, sembra ammonirci l’autore, è necessario tener conto anche della elaborazione “antica” in tema di operazione amministrativa, in modo da recuperare al patrimonio disciplinare alcuni spunti teorici di una tradizione di ricerca che divenne recessiva con la affermazione della teoria del procedimento amministrativo.

Tale implicita indicazione di metodo e di lavoro abbiamo voluto raccogliere in modo ampio. Essa ci ha già portato, infatti, ad estendere la ricerca retrospettiva di spunti ricostruttivi in materia anche alla elaborazione francese in tema di opération administrative. Ciò in considerazione della circostanza che gli autori italiani, come tra breve si avrà modo di ricordare, sovente si richiamarono (pur incorrendo, talvolta, in fraintendimenti[26] e azzardati trapianti[27]) in modo espresso alla esperienza francese.

 

 

2.Genesi della figura: dallo studio del fenomeno della “collaborazione giuridica” alla emersione di una nozione affine alla opération administrative francese

 

La dottrina italiana pervenne, nell’arco di primi decenni del novecento, a delineare una figura affine alla opération administrative.

Non è esatto, tuttavia, parlare di una influenza diretta e decisiva degli sviluppi della dottrina francese sulla dottrina italiana[28].

Questa, infatti, giunse ad enucleare una nozione di “operazione amministrativa” seguendo un percorso teorico autonomo rispetto a quello della teoria della opération adminstrative, sia nelle premesse ispiratrici sia negli obiettivi avuti di mira.

Mentre in Francia, come si è ricordato in precedenza, la teoria della opération fu elaborata, fin dalle origini, nell’ambito della teoria della giustizia amministrativa (e mai fu travasata, come si è illustrato, sul piano sostanziale)[29], la dottrina italiana giunse gradualmente a tratteggiare la figura, seppur in modo altamente problematico, muovendo direttamente, come si illustrerà tra breve, dal piano del diritto sostanziale.

La dottrina italiana, se così si può dire, “si imbatté”, strada facendo, nella nozione francese; e se mostrò interesse nei suoi confronti, lo fece soprattutto con riguardo al suo profilo concettuale sostanziale.

È vero che gli autori italiani richiamarono espressamente, nei propri contributi, la nozione francese. Si trattò, peraltro, nella dottrina prevalente, di richiami generici, volti a sottolineare l’assonanza e le affinità della figura con la opération administrative francese, non anche ad affermare una derivazione (concettuale) della prima dalla elaborazione francese[30].

Se derivazione vi fu, essa rimase limitata al piano terminologico della adozione della espressione “operazione amministrativa”. Anzi, fu quasi per rimarcare, sul piano concettuale, la genesi autonoma della nozione italiana rispetto a quella francese, che parte della dottrina, pur accogliendo la sostanza concettuale della figura, ritenne di non dover accogliere, sul piano terminologico, la espressione “operazione amministrativa”, e preferire, invece, la locuzione “procedimento amministrativo”[31].

Fu così che, ad un certo stadio della sua evoluzione, la prevalente dottrina italiana si trovò a parlare di operazioni e di procedimenti amministrativi come di due termini quasi equivalenti, e fungibili tra di loro, per individuare “quel fenomeno sostanziale, dato dal coordinamento di una serie di attività di più agenti tendenti ad un risultato amministrativo comune”[32]  o, in altre prospettazioni, per indicare delle serie di atti successivi, ciascuno dotato di “individualità giuridica propria” (ossia di autonomia funzionale e strutturale), funzionalmente coordinati verso il conseguimento di un effetto finale[33].

Costituirono invece posizioni minoritarie quelle che, cedendo alle suggestioni della rigida configurazione assunta inizialmente dalla teoria della opération administrative francese (ma poi abbandonata, a partire dal 1905, non solo dalla giurisprudenza, ma anche dallo stesso Hauriou)[34], arrivarono a proporre una costruzione ugualmente rigida ed estrema (nelle sue implicazioni) della operazione amministrativa: una entità sostanziale unitaria nell’ambito della quale tutti gli atti in essa raccolti perdono ogni giuridica individualità; e alla cui ricorrenza avrebbe dovuto seguire, sul piano processuale, la impugnabilità (non dei singoli atti, ma) della intera procedura[35].

Oltre che importanti ragioni teoriche, anche la circostanza che, attraverso il ricorso alla nozione di operazione amministrativa, parte della dottrina, ancorché minoritaria, fosse incorsa in siffatte esagerazioni[36] contribuirà a spingere la dottrina successiva, a partire dalla monografia del Sandulli del 1940, verso l’abbandono completo della figura. Fu in effetti su queste prospettazioni che si concentrarono le critiche maggiori[37].

Prima di soffermarci in modo puntuale sulla figura, ricordando sia le principali definizioni offerte dalla dottrina italiana sia la fondamentale successiva acquisizione circa la distinzione della stessa in due nozioni distinte (una più ampia ed una più ristretta)[38], è opportuno rammentare rapidamente il punto da cui prese le mosse il percorso attraverso il quale la dottrina italiana venne delineando in modo autonomo una nozione “che ricalcava, in fondo, la falsariga della opération administrative francese”[39].

Tale origine risale, come è noto, a quella fase di generale riorientamento degli studi pubblicistici[40] che, a cavallo tra ottocento e novecento, produsse un gran fervore di studi, nell’ambito dei quali la dottrina italiana, in prosecuzione di orientamenti che avevano preso avvio in Germania[41], si impegnò anche nello studio del non facile problema (che si soleva designare) della “collaborazione giuridica” delle attività (e determinazioni) di più agenti verso il conseguimento di un risultato giuridico comune.

Posta dinanzi alle diverse “ipotesi di combinazione di atti”, posti in essere da più agenti, i quali coordinano la loro azione verso il conseguimento di un certo risultato giuridico, la nostra dottrina, in sintonia con le allora dominanti teorie funzionali della fattispecie[42], ha dapprima isolato la problematica dell’atto complesso[43] e, dopo aver tentato di distinguere, sul piano strutturale, questa figura dal contratto[44] e da altre fattispecie limitrofe, assunse una direttrice di indagine che confluì nello studio del fenomeno procedimentale[45].

Fu proprio nell’ambito della riflessione dottrinaria dedicata alla (diversa e) travagliata[46] tematica dell’atto complesso, infatti, che, attraverso una serie di esclusioni dalla categoria di una serie di ipotesi che la dottrina più risalente era invece propensa in essa a ricomprendere[47], venne indirettamente individuato l’elemento ricorrente in tutte le ipotesi di preordinazione di una serie di attività umane verso la realizzazione di un certo risultato (pratico per mezzo di un effetto) giuridico: la tensione unitaria verso un risultato finale ultimo che rispetto ai suoi antecedenti si ponga almeno come fine mediato[48].

Si affermo così l’idea, a partire dai chiarimenti decisivi del Donati[49], che il fenomeno procedimentale fosse una figura da tener ben distinta e da contrapporre all’atto complesso; idea da cui prese avvio la messa a punto dei caratteri distintivi delle due nozioni.

E se il percorso di ricerca di tali caratteri tendeva, in principio, a collocare entrambe le figure nel contesto della teoria (e della classificazione) degli atti, la dottrina giunse successivamente a rilevare la eterogeneità e la non comparabilità delle due figure: l’una attinente alla struttura della fattispecie costitutiva degli effetti giuridici (concreti); l’altra alla dinamica di formazione della fattispecie costitutiva di tali effetti, sia questa di carattere complesso o meno.

La dottrina amministrativistica che si apprestò a studiare il problema di dare una collocazione adeguata a tutti quegli atti che erano stati via via esclusi dalla categoria dell’atto complesso giunse a constatare che “questi vari atti, che ben presto, rispetto a quello che si designava come il principale”, furono denominati “secondari o accessori, si trovavano collegati tra di loro e con il principale in quel rapporto necessario di successione preordinata a un fine che caratterizza il fenomeno del procedimento”[50], inteso quest’ultimo in senso ampio e comprensivo.

Fu battendo tale via che la dottrina amministrativistica italiana cominciò a servirsi più frequentemente, quali sinonimi, delle nozioni di procedimento e di operazione amministrativa. Dopo essersi limitata, al principio, “all’osservazione che nella successione di quei vari atti ricorreva il fenomeno procedimentale, e a porre in luce la frequenza con cui il fenomeno era riscontrabile nel diritto pubblico, e in particolare nel diritto amministrativo”, a poco a poco, attraverso “una lenta ma continua evoluzione concettuale”, essa giunse a delineare “un concetto non molto dissimile da quello che la dottrina francese era solita individuare con la qualifica di opération a procedure e, nella sua declinazione in diritto amministrativo, opération administrative”[51].

 

 

3. – Dalla iniziale indistinzione tra procedimento e operazione alla graduale evoluzione della operazione amministrativa in senso differenziale rispetto al procedimento

 

Il terreno degli studi sul fenomeno procedimentale, come è noto, fu “saggiato tra i primi” dal Cammeo[52], il quale, in una “breve ma efficace trattazione”, tracciò “un solco fecondo ad ulteriori elaborazioni”[53].

Il testimone fu raccolto, tra gli altri, soprattutto dal Forti e dal Miele[54], autori ai quali si devono i contribuiti che, nella lenta ma graduale evoluzione concettuale in materia, rappresentarono senza dubbio le punte più elevate raggiunte dalla dottrina anteriore alla sistemazione sandulliana[55].

Nessuno di questi illustri autori accolse, a livello terminologico, la figura della “operazione amministrativa”[56].

Ciononostante, è opportuno ricomprendere anche i contributi di tali autori tra quelli da assumere quali snodi della “breve carriera” della operazione amministrativa nella dottrina italiana.

Ciò tenendo conto, da un lato, della circostanza che in tutti e tre gli autori menzionati la operazione amministrativa, pur negata a livello terminologico, appare accolta (o per lo meno abbozzata) a livello concettuale; dall’altro, della possibilità di isolare, facendo tesoro delle raffinate osservazioni di tali autori, una linea di (parziale, ma) progressiva chiarificazione della nozione, più nitida rispetto a quella emergente dalla configurazione riservata alla stessa nozione da quella larga schiera di studiosi che pur accolsero la operazione amministrativa sul piano terminologico[57].

Prima di ricordare alcune delle definizioni proposte, sia dai primi sia dai secondi, tuttavia, è opportuno sottolineare che non si intende ricostruire per intero l’evoluzione degli studi sul fenomeno procedimentale, lavoro non proporzionato ai limiti e, in ogni caso, fuori quadro rispetto agli obiettivi della presente indagine. Nel campo di tale più generale vicenda ci si propone, piuttosto, di mettere a fuoco la graduale distillazione di una figura, quella della operazione amministrativa, inizialmente indistinta da quella del procedimento amministrativo, non solo sul piano terminologico, ma anche su quello concettuale.

Ciò al fine di raccogliere quegli spunti della tradizione disciplinare più risalente che sembrano riallacciare la nozione del passato a quella “nozione nuova” di operazione amministrativa che sembra emergere dalla recente evoluzione del fenomeno amministrativo e della sua disciplina positiva.

Pur nelle ambiguità di natura terminologica che contribuiscono ad intralciare la apprensione diretta e chiara dei caratteri della figura, ci sembra possibile, infatti, isolare, nella evoluzione degli studi in materia, alcune tappe logiche di progressiva (anche se parziale e incompiuta) definizione della nozione, in senso differenziale rispetto a quella, contigua, del procedimento amministrativo.

È bene esplicitarle immediatamente, prima ancora di appuntarle attorno a tesi e definizioni nominate.

La posizione di partenza contempla, come si è anticipato, una utilizzazione promiscua e indifferenziata delle espressioni operazione amministrativa e procedimento amministrativo, che vengono utilizzate in modo alternativo nei primi tentativi di tratteggiare una (unica) nozione (non ancora isolata e dogmaticamente ricostruita).

La dottrina, in tale fase, si confronta, tra molte incertezze, con due problemi di fondo, che rappresentano, peraltro, due diversi aspetti di una stessa situazione problematica.

Il primo, di carattere preliminare, è quello relativo alla scelta della “riduzione” euristicamente appropriata del campo di osservazione; il secondo è quello della individuazione del “punto di legamento” (o, se si preferisce, del criterio di aggregazione dei vari elementi) della nozione.

Così, nell’ambito di quella unità sul piano della realtà materiale (o, se si preferisce, pregiuridica) attraverso cui il fenomeno della produzione giuridica di diritto amministrativo si svela all’osservatore, è emersa la necessità di ritagliare in modo opportuno la dimensione adeguata (rispetto ai problemi teorici da risolvere) e corretta (rispetto ai dati di diritto positivo) del fenomeno da assumere ad oggetto di analisi sul piano scientifico. Dalle definizioni dei vari autori, tuttavia, sembra trasparire una sorta di tentativo di conciliazione tra un punto di vista analitico e un punto di vista olistico. Tentativo che rende alcune delle definizioni proposte tanto più oscure e contraddittorie quanto più esse sembrano voler annullare la distanza logica che separa i due punti di vista in questione, al fine di abbracciare in una nozione unitaria, che sembra appiattire ogni carattere differenziale, fenomeni eterogenei.

La nozione copre, infatti, un campo assai esteso, comprensivo di fenomeni procedimentali di dimensioni diverse: da un lato, sequenze procedurali più ristrette, legalmente ordinate alla formazione di un atto amministrativo produttivo di effetti giuridici concreti (un provvedimento amministrativo, diremmo oggi); dall’altro, schemi procedurali più ampi, contemplanti serie legalmente necessarie di più atti amministrativi, ciascuno dei quali dotato di “giuridica individualità” sia sul piano strutturale sia su quello funzionale, ma collegati ed ordinati in vista del conseguimento di un risultato unitario.

Procedimento e operazione amministrativa si mostrano, in tale prima fase, del tutto indistinti sia a livello logico sia a livello terminologico: usati come sinonimi, raccolgono in una sola figura fenomeni procedurali di diversa consistenza ed ampiezza e, in alcuni autori, non si distaccano ancora con chiarezza dalla controversa figura dell’atto complesso.

In una seconda fase la nozione, pur restando unitaria (per sostanza giuridica), contempla due figure di specie: il “procedimento”, inteso quale iter formativo del singolo atto; la “operazione”, intesa quale serialità di più atti funzionalmente autonomi (produttivi di c.d. effetti “esterni”). Alla distinzione terminologica non corrisponde peraltro una netta differenziazione concettuale: procedimento e operazione non sono ancora due nozioni qualitativamente distinte.

È solo in un momento logicamente successivo che operazione e procedimento sembrano distaccarsi sul piano concettuale e dar vita (seppur a livello embrionale) a due nozioni distinte (non semplicemente per ampiezza, dato insufficiente a valere da criterio di differenziazione, ma) per consistenza giuridica. Le due nozioni sembrano riposare a questo punto su piani diversi e, ciò che più conta, sembrano dover essere disegnate sulla base di criteri giuridici differenti: mentre il “punto di legamento” (o, se si preferisce, il criterio di aggregazione dei vari atti) del singolo procedimento è da individuare nell’effetto giuridico preso in considerazione (o nell’atto terminale cui la norma ricollega la produzione di tale effetto); quello (della nozione, posta sul piano distinto e “superiore”) della operazione è da ricercare nello scopo ultimo da perseguire, nel risultato pratico cui la legge predispone più poteri e la (serie della) loro successione.

Risultano adombrate, così, due nozioni concettualmente distinte che, peraltro, sul piano operativo, fisiologicamente coesistono, si combinano ed intrecciano incessantemente[58].

A supporto delle affermazioni che precedono è bene incentrare l’attenzione, per la prima fase, sulle tesi del De Valles[59] e del Cammeo[60]; per la seconda su quella del Borsi[61]; per la terza su quelle del Forti[62] ed anche del Miele[63], con la ovvia precisazione che la netta distinzione del percorso di sviluppo logico della figura della operazione amministrativa in tre fasi distinte risponde soprattutto a finalità conoscitive e a ragioni di chiarezza espositiva. Nessuno degli autori menzionati, infatti, può essere rigidamente costretto entro rigidi confini: basti sottolineare, a titolo esemplificativo, che al Cammeo, le cui tesi si è ritenuto di dover collocare topograficamente nella prima delle tre fasi indicate, si devono importanti anticipazioni e spunti che si trovano raccolti e sviluppati anche dal Forti e successivamente dal Miele.

Non appaia, inoltre, ingiustificato o, addirittura, azzardato l’effettuato accostamento delle posizioni del De Valles a quelle del Cammeo. Si è ben consapevoli che questi due autori, nella materia in esame, si attestarono su posizioni ben distinte.

Ma è proprio la misura della distanza (terminologica e concettuale) che separa le definizioni proposte dai due autori che a nostro avviso consente di meglio lumeggiare alcuni degli indicati elementi caratterizzanti la prima delle tre fasi logiche del percorso di chiarificazione della figura.

È interessante partire dalla rilevazione di un dato comune: entrambi gli autori appena menzionati hanno cura di segnalare l’affinità della figura assunta ad oggetto delle rispettive definizioni alla opération administrative, richiamandosi espressamente alle tesi di Hauriou[64].

Ma, mentre il De Valles, preferendo adottare l’espressione di derivazione francese, si impegna nel tentativo di definire la “operazione amministrativa”; il Cammeo, invece, giustifica la nozione e il nomen juris di “procedimento amministrativo”.

Alle diverse espressioni adottate non corrispondono, tuttavia, due referenti eterogenei: le definizioni dei due autori si occupano (non di due nozioni distinte, ma) della stessa nozione. “Procedimento” ed “operazione” si mostrano così due locuzioni alternative utilizzate per designare grosso modo le stesse entità procedurali.

Il che trae conferma anche dalla constatazione che entrambi gli autori accorpano nelle definizioni da essi proposte sequenze procedurali più ristrette, formative di un singolo provvedimento (operazioni amministrative semplici, nella terminologia del De Valles[65]; procedimenti amministrativi semplici, in quella del Cammeo) e procedure di estensione maggiore, contemplanti serie di più atti collegati, funzionalmente autonomi, produttivi di c.d. effetti “esterni” (“operazioni complesse”, secondo De Valles[66]; “procedimenti complessi”, in Cammeo[67]).

La vicinanza tra le tesi dei due autori, peraltro, si arresta agli appena indicati dati esteriori. Si tratta di dati di certo utili ai fini della rilevazione, che qui interessa, della iniziale indistinzione logica e terminologica tra procedimento e operazione nella dottrina amministrativistica italiana. Essi non autorizzano, tuttavia, una assimilazione, sul piano contenutistico, delle posizioni dei due autori. In De Valles, infatti, la figura “non è delineata con grande chiarezza, né sufficientemente sviluppata”[68] , soprattutto con riguardo, per un verso, alla sua incerta distinzione dall’atto complesso e, per altro verso, al riferimento, all’interno della stessa definizione, sia agli scopi (pratici) sia agli effetti (giuridici della operazione) quali punti di legamento della nozione[69]. Viceversa il Cammeo, con grande lucidità e lungimiranza, traccia uno schizzo della figura i cui tratti sembrano quasi preparare il campo alla elaborazione successiva[70]. Estremamente interessante, ai nostri fini, è che l’illustre autore, pur ricomprendendo in una nozione unitaria (ritagliata peraltro, a differenza del De Valles, sulla base di un criterio coerentemente unitario)[71] procedimenti “semplici” e “complessi”, riconosca però la impossibilità di “una trattazione generale” della materia che riesca a sistemare unitariamente (ponendole sullo stesso piano) sia le forme procedimentali “semplici” sia quelle “complesse”[72] .

È questo uno spunto importante, raccolto (parzialmente) dal Borsi e poi sviluppato maggiormente dal Forti, nel suo tentativo di lumeggiare la figura concettuale della operazione amministrativa (c.d. “procedimento in senso ampio”, nella terminologia dell’autore) in senso differenziale rispetto al procedimento (inteso “in senso stretto”)[73].

Il Borsi segna il passaggio (dalla prima fase) alla seconda fase di sviluppo della figura della operazione amministrativa: il chiarimento offerto sulla figura, rispetto alle posizioni precedenti, peraltro, appare incidere soprattutto sul piano terminologico. Acquistano in Borsi maggiore precisione gli usi rispettivi delle due denominazioni linguistiche in questione.

L’autore distingue, infatti, la figura del “procedimento amministrativo” da quella della “operazione amministrativa”, designando, con la prima, l’iter formativo del singolo atto amministrativo; con la seconda, una ampia “serialità” di più atti amministrativi collegati, ciascuno funzionalmente autonomo[74]. Le due figure, tuttavia, non sostanziano due nozioni (concettualmente) distinte, ma tentano principalmente di mettere a fuoco due diverse “estensioni” dell’atteggiarsi di diritto positivo del fenomeno procedimentale. Una mera differenza di carattere dimensionale, quindi, sembra (materialmente) intercorrere tra le due figure; non anche una distinzione giuridicamente rilevante. Tanto il procedimento quanto l’operazione, infatti, sono definiti in termini di sequenze procedurali (più o meno ristrette) di atti preordinate al conseguimento di un “effetto finale”[75].

 

 

4. – Operazione amministrativa e procedimento “in senso ampio”

 

La evoluzione della figura dell’operazione amministrativa, invece, è portata chiaramente avanti a livello concettuale dal Forti, autore il quale, peraltro, si dichiara espressamente contrario alla adozione della locuzione terminologica di derivazione francese: “non mi par vi sia motivo di preferire” – osserva l’autore – al nomen juris di procedimento amministrativo “quello di operazione amministrativa, mutuato dalla dottrina francese”[76].

Il “procedimento in senso ampio” tratteggiato dal Forti, tuttavia, costituisce senza dubbio il punto di snodo della evoluzione della figura concettuale dell’operazione amministrativa.

A dispetto di quanto sembrerebbe suggerire la denominazione prescelta, infatti, l’autore non si limita a tratteggiare semplicemente una figura di “maggiore ampiezza” (né una nozione contigua) rispetto a quella del “procedimento in senso stretto”, ma mostra di isolare una nozione giuridicamente eterogenea rispetto a quest’ultimo: una nozione di metalivello, da (studiare e) collocare su un piano distinto e “superiore” rispetto a quello in cui riposa l’altra nozione[77].

Sebbene l’attenzione della dottrina successiva si sia concentrata in modo prevalente, come è noto, su quella parte della proposta costruttiva del Forti in cui l’autore propose, “per le esigenze sistematiche di una classificazione degli atti amministrativi”[78] , (di spiegare il procedimento in senso stretto attraverso) la categoria dell’atto-procedimento, arrivando ben presto al rigetto completo di tale controversa nozione; è proprio l’altra nozione abbozzata dall’autore, quella della operazione amministrativa (“procedimento in senso ampio”, nella terminologia suggestiva dell’autore), a lungo rimasta nell’ombra, a destare oggi un rinnovato interesse.

È opportuno allora rivolgere l’attenzione proprio a quelle parti meno valorizzate, ma anche meno criticate, della proposta ricostruttiva dell’illustre studioso; parti in cui l’autore, dopo aver proposto la introduzione, nell’ambito del “campo assai vasto… comunemente assegnato alla nozione di procedimento amministrativo”, della distinzione “tra un procedimento in senso stretto e un procedimento in senso ampio”[79], e dopo essersi impegnato nella definizione del primo in termini di atto-procedimento[80], si impegna a ribadire il rilievo centrale da riconoscere al (lo studio e l’approfondimento) della nozione del procedimento in senso ampio.

A differenza dell’atto-procedimento – osserva l’autore – “la nozione di procedimento in senso ampio si riferisce… ad una serie di atti, che, pur essendo dotati di individualità giuridica propria, son collegati da ciò che intervengono nella vita di un più ampio rapporto, influendo sul nascere, sullo svolgersi o sulla fine di esso. E provenendo or dall’uno or dall’altro dei due (o più) soggetti del rapporto medesimo; […] onde appaiono ricongiunti per così dire in una superiore unità[81].

L’autore porta inoltre una analogia, già utilizzata dal Cammeo, con la teorica del rapporto processuale[82], al fine di sottolineare come i diversi atti e procedimenti (in senso stretto) siano collegati logicamente e giuridicamente nella “superiore unità” della complessa operazione amministrativa, che, però, non annulla l’individualità di ciascuno degli elementi in essa raccolti.

Operazione amministrativa e procedimento (in senso stretto) sono pertanto due nozioni distinte, che possono, in varie forme, “combinarsi ed intrecciarsi”[83]. Esse vanno studiate entrambe[84], sia separatamente sia nelle loro reciproche interrelazioni.

 

 

5. – La operazione amministrativa nella dottrina degli anni Trenta

 

La proposta ricostruttiva del Forti conobbe una breve stagione di relativa fortuna nella dottrina degli anni Trenta del Novecento, la quale, da un lato, accolse largamente la distinzione tra operazione amministrativa e procedimento in senso stretto[85]; dall’altro, tendenzialmente rifiutò, invece, la configurazione della seconda nozione nei termini, proposti dall’autore, dell’atto-procedimento[86].

Ai fini della nostra indagine non appare opportuno né utile seguire le vicende e le sorti dell’atto-procedimento, figura alla quale, peraltro, è stata dedicata una breve trattazione in nota. Questa figura, infatti, assume qui un rilievo solo indiretto ed esteriore, destando interesse nella limitata misura in cui l’attenzione quasi esclusiva che, sul piano dei contenuti, fu dedicata dalla dottrina del tempo (alla critica da rivolgere) a tale figura contribuisce in parte a far luce sulle ragioni per cui, al largo accoglimento dottrinario della distinzione tra operazione amministrativa e procedimento in senso stretto non corrispose alcuno sforzo di approfondimento ulteriore della prima delle due nozioni.

Se l’operazione amministrativa è una nozione (relazionale) da collocare e studiare su un livello “superiore”, che si innesta su quello in cui riposano i procedimenti in senso stretto, era inevitabile che la elaborazione relativa alla prima non potesse logicamente precedere (o prescindere da) quella relativa ai secondi. Il rifiuto (della configurazione del procedimento in senso stretto nei termini) dell’atto-procedimento (del tutto condivisibile) riportava, infatti, sul tavolo degli studiosi il problema di base: quello della costruzione giuridica della nozione del procedimento amministrativo[87].

Spetterà ad una breve ma intensa nota del Miele l’arduo compito di mettere lucidamente a fuoco i termini essenziali dell’intera problematica[88]; preparando così il campo, con notevoli spunti ed anticipazioni, alla successiva costruzione sandulliana.

La trattazione del Miele desta particolare interesse, nella nostra prospettiva, per la seguente circostanza: pur essendo accolta, in astratto, la distinzione tra operazione amministrativa e procedimento (in senso stretto)[89]; i caratteri e l’estensione del secondo[90][91] vengono tratteggiati in modo tale da negare all’operazione amministrativa (quale emergeva dalle riflessioni del Forti) ogni spazio apprezzabile di operatività sul piano della realtà giuridica concreta.

È opportuno rammentare, e far reagire, in tal senso, due noti passaggi argomentativi del contributo del Miele: da un lato, quello in cui l’autore, nel criticare la configurazione del “procedimento in senso stretto” quale procedimento che “si svolge nell’ambito di un unico ente”[92], estende la nozione fino a ricomprendere correttamente in essa anche i “procedimenti nei quali si succedano atti di enti diversi”[93]; dall’altro, secondo le dominanti teoriche sulla fattispecie, quello in cui viene decisamente individuato nell’effetto giuridico il “punto di legamento” corretto da assegnare alla nozione di procedimento amministrativo: è questa la “destinazione ultima e fondamentale, che ben si adatta alla molteplicità dei casi, che serve a delimitare l’estensione del procedimento”[94].

Vengono così fissate alcune solide premesse alla successiva elaborazione della concezione strutturale del procedimento amministrativo ed anche, ci sembra, di quell’accantonamento della operazione amministrativa che caratterizzerà il percorso della dottrina successiva.

È bene sottolineare, tuttavia, la circostanza che l’operazione amministrativa non sia negata dal Miele sul piano concettuale.

Oggetto di confutazione è, infatti, la configurazione offertane dal Forti, in chiave di opposizione con l’atto-procedimento, da un lato; la utilizzabilità della nozione a fini di inquadramento dei procedimenti (c.d. esterni) in cui si succedono ed innestano anche atti emanati (in esito a subprocedimenti) da amministrazioni diverse da quella titolare del potere di provvedere, dall’altro.

Certo è che, in esito a tali acute precisazioni e considerevoli limature, dell’operazione amministrativa sembra restare, per così dire, il puro concetto: una nozione presumibilmente collocata su un piano diverso da quello del singolo procedimento amministrativo (quale che sia la ampiezza da riconoscere a quest’ultimo, a seconda dell’effetto giuridico preso in considerazione), volta a raccogliere in una “superiore unità” (che non annulla, tuttavia, la giuridica individualità degli elementi in essa raccolti) tutti gli atti e i procedimenti cooperanti al conseguimento di un risultato amministrativo unitario.

Una nozione da studiare, senza dubbio; ma non prima della compiuta elaborazione della nozione di base: il procedimento amministrativo.

 

 

6. – Luci ed ombre della nozione di operazione amministrativa

 

Nella ricostruzione tratteggiata nelle pagine precedenti il fuoco della analisi è stato incentrato principalmente attorno a due problemi di fondo dibattuti dalla dottrina dei primi tre decenni del novecento: la individuazione del “punto di legamento” della nozione del procedimento; la “estensione” da assegnare alla nozione stessa.

Tale prospettiva ci è parsa la più adeguata nella conduzione del tentativo di isolare, nel campo della generale evoluzione degli studi di diritto amministrativo dedicati al fenomeno procedimentale nell’arco temporale indicato, il profilo, del tutto particolare, del percorso teorico di approfondimento della controversa figura dell’operazione amministrativa.

Il dato significativo, ai nostri fini, è che proprio attorno ai due punti problematici indicati si condensò lo specifico dibattito relativo alla coppia concettuale procedimento-operazione.

Essi, infatti, si mostrarono alla dottrina, in modo più marcato nella fase iniziale del percorso di elaborazione in tema, come questioni strettamente correlate, quasi due aspetti di un problema unitario di natura preliminare: quello relativo alla individuazione (adeguata e corretta) dell’oggetto stesso della teoria del procedimento.

Vero è che le definizioni proposte dai vari autori, fin dalle fasi iniziali del dibattito, furono immediatamente attratte, nell’individuazione del “punto di legamento” del procedimento (e della operazione, all’inizio indistinta dal primo), soprattutto dal profilo dell’effetto giuridico (o dell’atto, definito principale o centrale, cui la norma ricollega la produzione di tale effetto).

Non va trascurata, tuttavia, la larga schiera di autori che, nello stesso arco temporale, accolse la figura (del procedimento) quale operazione e, richiamandosi espressamente alla teoria della opération administrative francese, ravvisò nel (coordinamento di più attività verso) la unica “finalità pratica” o nel “risultato amministrativo comune” il punctum individuationis della nozione[95].

Detto in altri termini: la coppia concettuale procedimento-operazione non fu letta, dalla dottrina dell’epoca, come riferentesi a due nozioni poste su piani distinti o, se si preferisce, in termini di ordinazione logica di due tappe di un complessivo cammino di elaborazione teorica da percorrere (prima il procedimento; poi la operazione). Essa, piuttosto, fu percepita come una alternativa tra due impostazioni opposte allo studio del fenomeno procedimentale: uno analitico e formale; un altro olistico ed empirico.

La ricostruzione che si è offerta dovrebbe, invece, mostrare che nel percorso della dottrina italiana vi fu un momento in cui, grazie alla parziale chiarificazione concettuale della nozione di operazione amministrativa, in senso differenziale rispetto al procedimento, venne superata quella indistinzione concettuale di partenza, trasformatasi poi in una alternativa tra due punti di vista contrapposti.

Si intuì che procedimento ed operazione sostanziassero due nozioni intrecciate e collegate, ma da studiare su piani distinti: la prima si mostrò espressiva della idea, in prospettiva strutturale (quella di cui allora si andavano ponendo le premesse), “della ordinazione di una sequenza di atti all’interno di un meccanismo unitario di produzione di effetti giuridici”, da studiare in primo luogo nei suoi “nessi interni”[96] ; la seconda, invece, attinente alla realtà “complessa” degli insiemi dei procedimenti collegati e coordinati in vista di un unico risultato pratico.

Con il riferimento al “risultato” e al coordinamento il pensiero corre immediatamente a temi e problemi di grande attualità nell’ambito del diritto amministrativo contemporaneo e della sua scienza: basti richiamare da un lato il recente fiorire di studi dedicati alla c.d. “amministrazione di risultato”[97]; e, dall’altro, quella ampia produzione dottrinaria che, pur da diverse prospettive d’analisi, ha negli ultimi anni affrontato i temi della collaborazione e del coordinamento amministrativi[98], studiando in particolare una serie di originali istituti di raccordo procedimentale emergenti dalla prassi e dal dato normativo[99], volti a fronteggiare i problemi posti dalla frammentazione delle competenze e dei poteri amministrativi, di regola scomposti e frazionati in una molteplicità di centri di imputazione, tendenzialmente equiordinati[100]. La recente dottrina, come è noto, ha anche avuto modo di proporre, al fine di raccogliere i più significativi istituti giuridici di adeguamento della funzionalità complessiva della amministrazione pubblica, che sembrano superare la tradizionale rilevanza giuridica disaggregata (scomposta e frazionata su più poteri e procedimenti) della attività amministrativa, alcune efficaci formule riassuntive: si è parlato così di amministrazione collaborativa[101], cooperativa[102], concertata[103], di coordinamento infrastrutturale[104], di amministrazione della complessità[105], di arena pubblica[106], di coalizione decisionale[107], di superamento del principio tradizionale della “solitudine” della autorità decidente[108], di sussidiarietà dinamica[109], e quant’altro.

Nella risalente ed incerta esperienza di elaborazione teorica della nozione di operazione amministrativa sembrerebbero così potersi rintracciare preziosi spunti, se non vere e proprie anticipazioni, davvero notevoli, rispetto alle dinamiche evolutive oggi in atto nel sistema di diritto amministrativo.

È bene, tuttavia, procedere con estrema cautela nella rilevazione di eventuali nessi ed elementi di continuità; ben avvertiti del rischio, presente in ogni ricostruzione storica, di deformare oltre misura, attraverso le lenti del presente, la realtà oggetto di osservazione[110].

Tale rischio ricorre anche nella materia in esame.

Basti isolare un solo dato: tutte le elaborazioni assunte ad oggetto della nostra indagine ricostruttiva si muovono nel contesto della concezione tradizionale (ed ormai superata) della azione amministrativa, intesa quale azione esecutiva della legge (ed autoritativa).

Tutti gli autori considerati, in linea con tale concezione, infatti, sia che definiscano il procedimento sia che definiscano la operazione, hanno sempre cura di comprendere nelle loro definizioni, accanto al concorso di fatti ed atti che influiscono, rispettivamente, sulla produzione dell’effetto giuridico considerato o sul conseguimento del risultato amministrativo, “la condizione o il requisito… della necessità legale di essi e del loro svolgersi in un certo ordine, parimenti dalla legge determinato”[111].

Nel quadro di tale concezione, cui si affianca la vigenza di un modello accentrato, statocentrico, piramidale, gerarchizzato di organizzazione amministrativa, temi come quello della collaborazione tra amministrazioni diverse ed equiordinate, del coordinamento “laterale” dei poteri amministrativi, della (esigenza di una razionale, completa ed attenta) valutazione comparativa degli interessi pubblici (e privati) coinvolti nel “problema amministrativo”[112], non hanno ancora modo di essere avvertiti quali “problemi” (o, per lo meno, quali problemi centrali)[113].

Ciò accade solo più tardi, ormai vigente la Costituzione repubblicana, sulla base della evoluzione in senso funzionale della concezione generale della amministrazione e della sua azione, da un lato; e con le trasformazioni del modello globale di organizzazione nel senso del policentrismo amministrativo, dall’altro.

La nozione di operazione amministrativa proposta dalla dottrina degli anni trenta non fu pensata, pertanto, guardando a problemi come quello della collaborazione e coordinamento tra amministrazioni diverse e dei raccordi laterali tra procedimenti paralleli, reciprocamente connessi in funzione dell’unico risultato (di pubblico interesse) da soddisfare.

I dati di diritto positivo, armonici innanzitutto con la concezione tradizionale dell’azione amministrativa quale azione esecutiva (della legge) ed autoritativa, offrivano infatti agli studiosi del tempo una materia diversa e più ristretta su cui ragionare.

La nozione di operazione amministrativa da essi messa a punto, quindi, pur essendo molto vasta e comprensiva a livello definitorio, mirava ad inquadrare, soprattutto in esito alle limature e precisazioni apportate dal Miele alla proposta del Forti[114], essenzialmente la realtà amministrativa dei procedimenti che le norme di legge (le quali, indicando il risultato e lo scopo ultimo da perseguire, predispongono determinati poteri e la serie della loro successione) sistemano in una ordinazione seriale[115]; o se si preferisce, la realtà lineare dei procedimenti collegati[116], ricorrenti allorché “il provvedimento conclusivo dell’uno è presupposto legittimante l’esercizio del potere nel successivo procedimento”[117].

Desta comunque grande interesse la circostanza che nelle definizioni di operazione amministrativa proposte dagli autori dei primi decenni del novecento compaia il riferimento al risultato pratico o allo scopo ultimo di pubblico interesse quale “punto di legamento” della nozione.

Anche tale dato, senz’altro da considerare uno spunto prezioso nella economia della presente indagine, va tuttavia valutato con cautela e, soprattutto, contestualizzato.

Nel quadro della concezione dell’azione amministrativa intesa quale azione di esecuzione della legge, infatti, il valore dominante non è il principio di (legalità arricchito della) funzionalità nei confronti dell’interesse pubblico o, se si preferisce, il conseguimento del risultato o scopo pratico, ma è quello del rispetto de (l’ordine seriale stabilito da) la legge.

Ciò contribuisce a spiegare perché anche laddove compare, nelle definizioni della operazione amministrativa, il riferimento al risultato o allo scopo di pubblico interesse, esso risulta quasi sempre doppiato e talvolta del tutto assorbito dal profilo (del rispetto dell’ordine seriale posto dalla legge per il valido prodursi) dell’effetto giuridico.

L’atteggiarsi del diritto positivo e delle concezioni generali dell’amministrazione e del suo ruolo, pertanto, erano tali da negare un ambito apprezzabile di effettività operativa alla figura della operazione amministrativa, pur abbozzata da parte della dottrina nel suo schema concettuale.

La fine della breve carriera della operazione amministrativa fu a livello teorico agevolata, peraltro, anche dalla circostanza che la prevalente dottrina non aveva posato grande attenzione a quel percorso di graduale evoluzione della nozione in senso differenziale rispetto al procedimento che era giunta a rilevare una collocazione delle due nozioni su piani ben distinti.

La nozione continuò ad essere prevalentemente percepita come una ambigua alternativa complanare al procedimento amministrativo, da abbandonare per la sua genericità ed ampiezza, per la sua nota di empirismo, per la sua non chiara distinzione dall’atto complesso: una entità sostanziale unitaria che confonde ed oscura tutti i caratteri differenziali degli elementi in essa raccolti.

 

 

7. – Dalla operazione amministrativa alla nozione formale di procedimento

 

Dalla ricostruzione che si è offerta nelle pagine che precedono esula, pertanto, qualsiasi intento di “difesa” della figura della operazione amministrativa, come abbozzata dalla dottrina italiana dei primi decenni del novecento, rispetto a quella solidissima concezione strutturale del procedimento amministrativo che, grazie allo sforzo e al rigore di elaborazione del Sandulli, riuscì invece ad affrancare definitivamente gli studi del fenomeno procedimentale dalle vincolanti ipoteche della teoria degli atti, gettando così le basi della moderna teoria del procedimento.

L’illustre autore, come è noto, nell’edificazione teorica del procedimento quale nozione formale, ebbe modo e cura di rivolgere critiche molto penetranti alle teoriche della operazione amministrativa; critiche cui riservò, nella economia complessiva della sua monografia, uno spazio molto consistente[118], quasi a rimarcare la “necessaria discontinuità”[119] della nuova sistemazione teorica del procedimento sul piano strutturale (e formale) rispetto alle ambiguità ed incertezze in cui era incorsa la più risalente dottrina della operazione amministrativa.

Un generale riorientamento teorico del programma di ricerca in materia, pertanto, che fu consapevole e dichiarato: “nella sua attuale direzione” ebbe modo di affermare espressamente l’autore– “l’indirizzo della dottrina amministrativistica… non appare correttamente orientato”[120].

Che l’opera del Sandulli abbia segnato un fondamentale “punto di svolta” negli studi del fenomeno procedimentale, del resto, è dato noto, unanimemente riconosciuto nel panorama della dottrina amministrativistica italiana, sul quale non è opportuno indugiare[121].

Alla analisi di tale momento di decisivo passaggio della nostra tradizione disciplinare la dottrina ha dedicato una produzione vastissima, e di grande spessore teorico: tutti gli studi in tema di procedimento amministrativo non hanno potuto non dedicare grande attenzione alla fondamentale elaborazione sandulliana[122].

La nostra analisi, peraltro, pur avendo intercettato in vari punti tale elaborazione, non ha inteso né intende ricostruire il farsi della teoria strutturale del procedimento. È interessata, invece, alla vicenda, a questa connessa, dell’incerto percorso evolutivo battuto dalla figura dell’operazione amministrativa nel periodo in cui si andarono faticosamente[123] ponendo le premesse della teoria del procedimento.

Essa, pertanto, può arrestarsi alle soglie della sistemazione sandulliana: quest’ultima, infatti, della breve carriera della operazione amministrativa ha marcato non una ulteriore tappa evolutiva, ma, come la dottrina, anche di recente, espressamente ha avuto modo di ribadire, la sua conclusione[124].

Alcune brevissime considerazioni, tuttavia, si impongono proprio perché si ritiene che, a dispetto di quanto si è appena affermato, dalla generale impostazione della elaborazione sandulliana sia possibile indirettamente ricavare un ultimo spunto utile alla messa a fuoco dell’operazione amministrativa.

Se si esaminano con attenzione, infatti, le critiche che il Sandulli puntualmente rivolse alle teoriche della operazione amministrativa e, in particolare, alle tesi del Forti[125], è possibile isolare un dato interessante. Da tali critiche risulta senz’altro demolita con grande acutezza e rigore di analisi la proposta di costruire il procedimento in termini di operazione, ove questa sia intesa come una nozione “più ampia” (rispetto al procedimento in senso stretto), rivolta a raccogliere la realtà dei cd. procedimenti esterni[126], da un lato, e quella delle sequenze lineari di più provvedimenti funzionalmente autonomi, coordinati verso il conseguimento di una unica finalità pratica di pubblico interesse[127], dall’altro. Non appare peraltro attaccata né intaccata dalle stesse critiche anche la possibilità astratta di costruire (non una nozione semplicemente “più ampia” di procedimento, chiamandola operazione, ma) una nozione (diversa e) “superiore” di operazione amministrativa, da innestare su quella dei singoli procedimenti amministrativi.

Ciò che viene definitivamente superata, in Sandulli, è proprio quella configurazione incerta e confusa della operazione amministrativa, dominante nella dottrina precedente, quale alternativa complanare (ma di natura sostanziale) al procedimento amministrativo.

Riguardata da tale prospettiva, alla fondamentale elaborazione del Sandulli può essere ascritto addirittura un merito ulteriore: quello di aver contribuito indirettamente a chiarire, attraverso una serrata critica alle configurazioni inaccettabili della figura della operazione, che lo studio della operazione amministrativa fosse, più che da abbandonare, uno studio da rimandare, ossia da posticipare rispetto a quello del procedimento amministrativo; studio necessario, quest’ultimo, per dare innanzitutto una risposta alla preliminare “esigenza di dare rilievo giuridico autonomo alla nozione stessa di procedimento”[128].

Prima di potersi occupare dei “nessi esterni” ai procedimenti; prima, cioè, di poter studiare il modo del relazionarsi e coordinarsi giuridico di più procedimenti (e poteri) verso un risultato concreto unitario, era necessario, sul piano logico, dapprima costruire i poli tra cui far correre, se possibile, tali relazioni.

Era necessario concentrarsi sui “nessi interni” ai singoli procedimenti, individuando, in prospettiva strutturale, gli elementi costitutivi delle serie procedurali ordinate legalmente al valido prodursi dell’effetto giuridico concreto; cogliendo, tra quelli, i momenti di collegamento in relazione al venire in essere dell’effetto giuridico considerato.

 

 

8. – L’operazione amministrativa: una nozione “in riserva” del diritto amministrativo

 

Sarà necessario attendere, tuttavia, più di sessanta anni perché la dottrina amministrativistica potesse avvertire di nuovo l’esigenza di proporre il “rilancio” dello studio della operazione amministrativa[129].

Perché tale esigenza potesse imporsi, infatti, non era sufficiente portare ad emersione, sul piano strutturale, la nozione di procedimento amministrativo. Oltre a tale tappa, di certo preliminare anche sul piano logico, era necessario attendere la assimilazione, da parte del sistema, degli enormi sviluppi della progressiva evoluzione (dapprima a livello teorico, poi anche sul piano giurisprudenziale e della disciplina giuridica) in senso funzionale del procedimento e della concezione generale dell’azione amministrativa, da un lato[130]; e, dall’altro, che i temi e i problemi messi a fuoco dalla concezione funzionale dell’azione amministrativa venissero finalmente posti a contatto e fatti reagire con quelli emergenti dalla graduale affermazione di un nuovo modello globale di organizzazione amministrativa, decentrata e policentrica, orizzontale e flessibile[131].

Quanto al primo dei due profili indicati era necessario, soprattutto, che il problema “principe” della attività amministrativa divenisse, nella considerazione generale, quello della adeguata e completa “comparazione degli interessi” pubblici (e privati)[132] e che di tale attività fosse, correlativamente, avvertita la natura essenziale di “processo decisionale”[133].

Nella opera fondamentale del Sandulli l’accantonamento della elaborazione della operazione amministrativa rappresentò una risposta coerente rispetto al contesto della tradizionale concezione dell’azione amministrativa: in questa, infatti, la ponderazione degli interessi non aveva motivo di essere considerata come un problema.

La definizione ed il ruolo del procedimento, in Sandulli, si riconnettevano pertanto a criteri strettamente formali, in linea con la tradizionale concezione dell’azione amministrativa, nella quale prevalevano i caratteri di azione esecutiva (della legge) ed autoritativa.

Ognuno dei due caratteri, anche preso singolarmente, era sufficiente a marginalizzare il problema della completa ed adeguata valutazione comparativa degli interessi: se l’attività amministrativa è intesa quale “attività esecutiva della legge, si presuppone che il conflitto degli interessi sia già stato risolto dalla legge stessa, e che la soluzione debba essere soltanto realizzata in concreto dall’(azione) dell’Amministrazione (anziché ricercata attraverso un’attività di valutazione comparativa)”[134]; il carattere autoritativo, inoltre, era tale da premiare “la conduzione unilaterale (per così dire solitaria) del procedimento amministrativo” e, quindi, supponeva logicamente che fosse “coessenziale alla disciplina del potere e al modo dell’esercizio del potere stesso la scelta discrezionale del come e del quando esercitarlo, prescindendo da qualsiasi collaborazione con altri centri di imputazione di interessi diversi dall’interesse affidato alle cure dell’Amministrazione procedente”[135].

L’affluenza nel procedimento degli interessi pubblici, non a caso, contemplava uno strumentario limitatissimo, condizionato per giunta da un rigido formalismo: la disciplina positiva di taluni procedimenti prevedeva sporadicamente atti di concerto, previe intese, pareri in senso tecnico[136]; e, in linea con tali dati positivi, si riteneva a livello teorico che fossero soltanto questi i modi per introdurre interessi pubblici nel procedimento amministrativo.

Si trattava di atti formali, legati a presupposti determinati, che erano di per sé “inidonei a superare quella che è stata definita la “solitudine” dell’autorità decidente” e che non potevano sospingere verso una effettiva ponderazione unitaria e globale di tutti gli interessi coinvolti nel problema amministrativo.

Con l’evolversi in senso funzionale della concezione dell’amministrazione e della sua azione, invece, “l’accento, inizialmente posto sul potere (azione intesa come esercizio di potere sovrano) è stato alla fine spostato sull’interesse pubblico (azione finalizzata alla soddisfazione di interessi pubblici)”. Il senso di tale evoluzione è consistito nel diverso rilievo dato alle caratteristiche del potere e poi alle esigenze dell’interesse pubblico: nella concezione iniziale “l’interesse pubblico svolgeva piuttosto il ruolo di giustificazione politica dell’attribuzione del potere; sul piano degli istituti giuridici esso non aveva rilievo; ne aveva esclusivamente il potere con le sue caratteristiche”[137].

Grazie, soprattutto, alle ricerche dottrinali svolte da un lato in tema di discrezionalità amministrativa[138] e dall’altro in tema di funzione, intesa come nozione intermedia tra il potere e l’atto (l’azione nel suo farsi)[139], l’attenzione centrale si è infine spostata sulla nozione di interesse pubblico; che “solo nella nuova ottica… non è più stato inteso come la giustificazione extragiuridica del potere, ma piuttosto come finalità concreta (giuridicamente rilevante) che il potere deve, attraverso il suo esercizio, consentire di raggiungere. Il potere è pertanto diventato niente altro che lo strumento idoneo alla soddisfazione dell’interesse pubblico”[140].

In prospettiva funzionale, pertanto, si è affermata la esigenza di collegare la struttura del procedimento, la sua articolazione formale, alla realtà sostanziale sottostante, ossia al (le esigenze di pertinente rilevazione dei termini della situazione problematica reale e di sua traduzione adeguata, nella costruzione del) “problema” da risolvere nella decisione.

“Problema amministrativo” i cui termini devono trovare gradualmente[141] proprio nel procedimento, attraverso gli atti e le operazioni di cui questo si compone, progressiva emersione e precisazione[142].

Sulla base di tali premesse si è potuto anche definire il procedimento amministrativo quale sede di emersione dei fatti e degli interessi, pubblici e privati, rilevanti per l’esercizio dei poteri amministrativi[143]; procedimento a cui, del resto, la stessa disciplina di principio garantisce di regola una “struttura partecipata”[144].

L’approccio funzionale, affiancatosi a quello strutturale, ha pertanto offerto (non una alternativa, ma) una prospettiva complementare allo studio del procedimento: mentre in prospettiva strutturale l’attenzione è incentrata sulla analisi dei momenti e dei nessi di collegamento in relazione alla produzione dell’effetto giuridico; l’approccio funzionale ha inteso invece valorizzare la ragion d’essere di ciascuno degli elementi stessi in relazione allo scopo, al risultato, dell’esercizio del potere.

Si tratta di aspetti noti, a cui la dottrina ha dedicato importanti e numerose pagine chiarificatrici, alle quali senz’altro è bene rinviare.

Ciò che appare opportuno mettere in luce è, tuttavia, che la feconda dialettica tra questi due punti di vista complementari, solo a partire dal momento in cui è stata posta a contatto con le profonde modificazioni che hanno riguardato, in modo particolarmente marcato a partire dalla seconda metà degli anni novanta, il piano della organizzazione amministrativa, ha reso pensabile la rilevazione, per così dire, di alcuni limiti euristici della teoria del procedimento (e del provvedimento)[145].

Si è così gradualmente affermata la consapevolezza che per studiare l’attività amministrativa in prospettiva funzionale, oggi che tale attività è chiamata a fronteggiare, più di ieri, per un verso una realtà problematica eterogenea e multiforme, per altro verso un contesto organizzativo complesso, policentrico e reticolare (dunque ben distante da quello tradizionale: compatto, piramidale, facente riferimento allo Stato, gerarchizzato, burocratizzato)[146], pervaso altresì da dinamiche contrapposte (si pensi, ad esempio, da un lato all’esigenza di coordinamento ed unificazione funzionale; dall’altro a quella di valorizzazione e rispetto delle autonomie decisionali, e locali)[147], è necessario adeguare la prospettiva tradizionale di analisi[148]. La prospettiva del “singolo” procedimento amministrativo, infatti, si mostra inidonea, in particolare, a cogliere il senso dell’insieme: la funzionalità e la razionalità (e dunque la legalità) di una attività amministrativa che, divenuto recessivo lo schema della decisionalità solitaria[149] e, più in generale, superato dalla evoluzione stessa del diritto positivo il risalente principio della “solitudine”[150] della amministrazione procedente, e decidente, va inquadrata e spiegata nell’orbita di un principio diverso: quello dello svolgimento necessariamente coordinato (o collegato o unificato, a seconda dei casi) di tutte le competenze, i poteri, i procedimenti, le decisioni e (se necessari) i provvedimenti cooperanti verso (o condizionanti) il raggiungimento di un risultato concreto unitario[151].

Se l’attività amministrativa è (deve essere), in tesi, una attività razionale[152], il giurista non può certo arrendersi, dinanzi alla complessità crescente del fenomeno amministrativo, alla pace della rinuncia[153]: non può ritenere a priori che l’agire amministrativo, abbandonato il tradizionale modello della razionalità semplice, lineare ed olimpica[154] della Autorità “solitaria” chiamata ad eseguire la legge (concretizzando un singolo potere in un singolo procedimento, nello svolgimento di una funzione che trova trasformazione in un atto), non risponda più ad alcuna razionalità o, il che è lo stesso, risponda ormai ad una razionalità (quale quella suggerita dal modello di teoria della decisione “a cestino dei rifiuti”) che può essere ricostruita soltanto a posteriori[155].

È probabile, invece, che essa risponda ad una razionalità complessa[156], da studiare in un piano collegato, ma diverso, rispetto a quello in cui riposano i singoli procedimenti amministrativi.

La operazione amministrativa, da tale prospettiva, appare una nozione “in riserva” del diritto amministrativo.

 

 



 

* Si pubblica il capitolo II della monografia di Domenico D’Orsogna: «Contributo allo studio dell’operazione amministrativa», Napoli, Editoriale Scientifica, 2005. Di seguito anche l’Indice del volume: I. Le “due carriere” della opération administrative nella esperienza giuridica francese. – II. La breve carriera della nozione di operazione amministrativa nella dottrina italiana: dall’operazione al procedimento amministrativo. – III. Amministrazione di risultato  e operazione amministrativa complessa. – IV. L’operazione amministrativa complessa quale fattispecie.

           

[1] Le trattazioni manualistiche o istituzionali del diritto amministrativo definiscono le “operazioni amministrative” quali comportamenti o attività “materiali” della pubblica amministrazione: cfr., da ultimo, Casetta E., Manuale di diritto amministrativo, VI ed., 2004, Milano, 467, in cui si ricorda che “…l’amministrazione può porre in essere comportamenti giuridicamente rilevanti che non sono atti amministrativi in senso proprio (e, prima ancora, non sono atti giuridici), atteso che in essi non si ravvisano manifestazioni, dichiarazioni o pronunce di volontà, di desiderio o di rappresentazione: si tratta in particolare di operazioni materiali (in esecuzione di atti o di doveri scaturenti da norme: sopralluoghi, misurazioni e così via)…”; nello stesso senso Rossi G., Diritto amministrativo, I, Principi, Milano, 2005, 290-291; Cerulli Irelli V., Corso di diritto amministrativo, Torino, 2002, 663; Lariccia S., Diritto Amministrativo, Padova, 2000, 404; Landi G., Potenza G., Italia V., Manuale di diritto amministrativo, XI edizione, 1999, Milano, 183; Virga P., Diritto Amministrativo, II, Milano, 1999, 5, il quale così definisce le “operazioni: atti materiali e meri comportamenti che non comportano una manifestazione di volontà o che costituiscono semplice esecuzione materiale di precedenti atti amministrativi o di norme di legge o di regolamento”. È interessante rilevare che nella edizione del 2001 (la VI) della stessa opera non si faccia più riferimento ad alcuna nozione di operazione. Il che appare in linea con il “sostanziale superamento” della “problematica relativa alla ‘attività materiale’ della pubblica amministrazione, sorta nella dottrina meno recente dall’esigenza di ricondurre al principio di legalità anche l’attività amministrativa non consistente in dichiarazioni. La scienza giuridica nega ormai consistenza giuridica alla nozione, rilevando che le operazioni materiali possono dare luogo ad attività interna ovvero ad attività avente rilievo esterno, variabili in base ai rapporti giuridici nei quali le operazioni stesse si collocano”: così Mattarella B.G., L’attività, in Trattato di diritto amministrativo, Parte Generale, a cura di Cassese S., I, Milano, 2003, 733. Di recente la distinzione stessa “tra attività giuridica e materiale” è stata definita una classificazione delle attività amministrative del tutto “inaccoglibile”, dato che “sia la prima che la seconda, per essere considerate fatti giuridicamente rilevanti, devono consistere in accadimenti o situazioni materiali che vengono peraltro presi in considerazione dal diritto”: così Scoca F.G., Attività amministrativa, in Enc. dir., VI aggiornamento, Milano, 2002, 75 ss., in part. 78. I presupposti di tale decisa presa di posizione, che riprende e sviluppa alcuni spunti di Massimo Severo Giannini (oltre a le Lezioni di diritto amministrativo del 1950, sulle quali cfr. infra, in nota; è utile richiamare Giannini M.S., Atto amministrativo, in Enc. dir., vol. IV, Milano, 1959, 170: “In ordine all’attività materiale della pubblica amministrazione la confusione prima è di vocabolario. Taluni infatti la intendono nel senso di attività che si esprime in fatti o atti materiali, privi di rilevanza giuridica esterna… Secondo altri, l’attività materiale si contraddistingue per il suo contenuto… si direbbe che secondo questo punto di vista l’attività materiale sia determinabile per un tratto: il compimento di atti non burocratici. Questo punto di vista è inaccettabile, in ogni sua parte”. Riguardo al problema “specifico degli atti amministrativi i quali consistono nello svolgimento di attività materiale”, l’illustre autore osserva che… “il problema non è risolubile in diritto amministrativo, essendo di teoria generale, nel quale si deve altresì prospettare tutto ciò che attiene agli elementi e ai requisiti di questi atti”), risiedono in una ben definita impostazione di teoria generale, compiutamente sviluppata in Scoca F.G., Contributo sul tema della fattispecie precettiva, Perugia, 1979, in cui l’esperienza giuridica, nella sua complessità, viene ordinata su tre piani: oltre alla realtà normativa astratta e alla realtà materiale, diviene apprezzabile il piano “relazionale” della realtà giuridica concreta, grazie al superamento di quella “contaminazione” tra rilevanza giuridica ed efficacia giuridica rilevabile nelle precedenti trattazioni della teoria della fattispecie (o, se si preferisce, di quella impostazione che, ricavando la giuridicità del fatto dalla sua “idoneità a produrre effetti”, non riusciva ad isolare chiaramente il profilo della rilevanza dal quello della efficacia). La tradizionale opposizione tra operazioni (e più in generale attività) materiali e attività giuridiche era stata, infatti, modellata sulla identificazione degli atti giuridici con le dichiarazioni (“produttive” di effetti giuridici). La questione, nel campo del diritto amministrativo, è stata inoltre a lungo condizionata, e complicata, dalla circostanza che la categoria delle operazioni, elaborata dapprima in ambito processualistico (sebbene l’emersione della categoria proveniva dal diritto amministrativo: cfr. ampie indicazioni già in Raggi L., Sull’atto amministrativo, in Riv. dir. pubb., 1917, 145 ss.), venne presto travasata in teoria generale, e da questa sede fece avvertire il suo peso: il riferimento è, ovviamente, alle elaborazioni del Carnelutti, al quale risale la distinzione tra gli “atti a evento fisico” (le “operazioni”) e gli “atti a evento psichico” (… ispezioni oppure dichiarazioni): così Carnelutti F., Teoria generale del diritto, II ed., Roma, 1946, 263; cfr. anche Id., Sistema del diritto processuale civile, II, Padova, 1938, in part. 96. Su tali basi si è mossa la dottrina amministrativistica: cfr. soprattutto Gasparri P., Corso di diritto amministrativo, vol. II, Padova, 1957, 77-78, il quale costruisce le operazioni quali atti amministrativi che costituiscono esercizio non di un potere giuridico, ma di una “forza materiale”; ma cfr. anche, tra gli altri, Fragola U., Gli atti amministrativi non negoziali, Milano, 1942, 75, il quale desta in questa sede particolare interesse perché, oltre a richiamare espressamente le tesi del Carnelutti, precisa che il “concetto di operazione” non è da “confondersi con quello di procedimento chiamato da taluni giuristi francesi operation juridique”. La dottrina di diritto amministrativo si orientò a ravvisare il principale elemento di individuazione della categoria delle operazioni amministrative nel carattere di “materialità”, dividendosi poi, al suo interno, nella qualificazione di esse in termini di atti o fatti. Cfr. altresì Zanobini G., Corso di diritto amministrativo, I, VIII edizione, Milano, 1958. Sulla intera questione vedi Graziosi B., Note per una definizione delle “operazioni amministrative”, in Rass. dir. pubbl., 1968, 499 ss. e Sala G., Operazione amministrativa, cit., passim: entrambi gli autori ravvisano nella “materialità” delle operazioni un dato qualificante della categoria. V’è da dire, peraltro, che al tema delle operazioni amministrative la dottrina ha dedicato rarissimi contributi: la produzione specifica è in sostanza limitata ai due lavori, appena menzionati, di Graziosi e Sala. Quest’ultimo autore così ha definito, da ultimo, l’operazione amministrativa: “attività materiale posta in essere dall’amministrazione pubblica nell’esercizio della funzione, di attuazione del potere o comunque di distribuzione di utilità sociale, che ne costituisce il fine istituzionale”; in questo senso essa è “assoggettabile ai principi che regolano la funzione” (324). Spunti interessanti, nella dottrina recente, anche in Casetta E., Attività amministrativa, in Dig. disc. pubbl., vol. I, Torino 1987, 522. Va ricordata inoltre la fondamentale elaborazione del Pototschnig U., I pubblici servizi, Padova, 1964, in cui largo uso è fatto della nozione di operazione. Nella prospettiva dell’autore, tuttavia, la nozione assume una portata più ampia: essa è strettamente collegata alla rilevanza giuridica della attività, intesa quale fattispecie autonoma; e al perseguimento del risultato, inteso quale situazione finale.

 

[2] Sul problema dell’inquadramento delle operazioni amministrative è opportuno ricordare la posizione peculiare che, sin dalle Lezioni del 1950, fu adottata da Giannini, secondo il quale il problema della distinzione tra operazioni e dichiarazioni giuridiche è un problema di “distinzione tra … atti giuridici”. L’illustre autore, dopo aver ricordato che “la distinzione consisterebbe in questo: le dichiarazioni producono modificazioni del mondo giuridico in quanto “pronunce”, cioè atti che, sotto l’aspetto materiale, consistono in sequenze di parole – o di succedanei di parole – …; le operazioni invece producono modificazioni giuridiche in quanto apportano modificazioni effettuali della realtà, attraverso un agire materiale del soggetto, che racchiude in sé una molteplicità di atti singoli (per esempio il fare lezione, lo stendere una rete telefonica, il pilotare la nave)”, rileva criticamente che “questo criterio di distinzione è però solo in parte fondato. Ogni agire umano comporta in realtà una operazione materiale, cioè una sequenza di singoli atti o azioni…”. È che “l’ordine del diritto non già forza la realtà effettiva – come si dice – ma procede con una qualificazione giuridica autonoma considerando “atto puntuale” ciò che di fatto è invece un agire articolato in una molteplicità di momenti logici e materiali (qualificazione sintetica). Altre volte invece l’ordine del diritto procede mediante qualificazione analitica, cioè attribuisce rilievo ad alcuni atti, o persino all’intera serie degli atti che, logicamente o materialmente, articolano un’azione… Il criterio di distinzione prevalente risulta quindi… fondato solo per questo aspetto: che mentre le dichiarazioni non possono essere che “pronunce” – cioè sono delle pronunce “puntualizzate” –, le operazioni possono essere tanto delle pronunce precedute da altri atti rilevanti, quanto delle materializzazioni della volontà direttamente modificative della datità: per esempio compimento di lavoro manuale, ispezioni, accertamenti per mezzo di strumenti, ecc. … Per lungo tempo la scienza giuridica non si è accorta delle operazioni giuridiche; fu invero il sorgere del diritto amministrativo che ne diede consapevolezza; e furono delineate le figure del reato continuato, e, in diritto privato, degli atti dovuti ad esecuzione continuata. Per quanto attiene al diritto amministrativo può stabilirsi un altro criterio, che… vale …in linea di massima (salvo cioè eccezioni): tutti gli atti dell’amministrazione sono operazioni giuridiche”: così Giannini M.S., Lezioni, cit., 284-287.

 

[3] Cfr. infra, nel testo e in nota

 

[4] Come ricorda Giannini M.S., Diritto amministrativo, vol. II, Milano, 1970, 813, “di procedimento amministrativo si era cominciato a parlare verso la fine del secolo scorso, per indicare una sequenza di atti di autorità amministrative, tra loro collegate e tendenti a un unico scopo”. Tale sequenza veniva anche chiamata “operazione amministrativa”.

 

[5] Per tale affermazione cfr. di recente Sandulli A., Il procedimento, in Trattato di diritto amministrativo, Parte generale, a cura di Cassese S., Tomo II, Milano, 2003, 1035 ss., in part. 1036.

 

[6] Ci si riferisce, ovviamente, alla monografia Sandulli A.M., Il procedimento amministrativo, Milano, 1959, ristampa della prima edizione del 1940. La dottrina contemporanea riconosce unanimemente che essa segnò “un punto di svolta della dottrina italiana”: così si esprime, da ultimo, Schinaia M.E., Aldo M. Sandulli: il procedimento amministrativo, in un saggio pubblicato in un recentissimo volume interamente dedicato alla vicenda scientifica e al pensiero dell’illustre Maestro del diritto amministrativo italiano: AA.VV., Aldo Maria Sandulli (1915-1984): attualità del pensiero giuridico del Maestro, Milano, 2004, 331 ss.; volume al quale si rinvia senz’altro il lettore per un accurato esame dell’importanza “fondamentale” della monografia del 1940 per gli sviluppi successivi della scienza del diritto amministrativo e della giurisprudenza. Osserva lo stesso Schinaia M.E., Aldo M. Sandulli, cit., 331 che “Ancora oggi chi voglia occuparsi del procedimento amministrativo non può non attribuire rilievo centrale” al pensiero di Sandulli; “in particolare non… può prescindere dalla sua opera giovanile, ma scientificamente matura e fondamentale, edita nel 1940”. In termini analoghi si esprimono tutti gli autori dell’opera citata. Cfr., ad esempio, le pagine di Romano A., Aldo M. Sandulli amministrativista, in op. ult. cit., 280, il quale sottolinea il “nettissimo stacco” rappresentato dall’opera del 1940 rispetto allo stato dell’arte della dottrina precedente.L’attualità del pensiero del Sandulli è sottolineata in modo particolare, fin dal titolo prescelto per il suo saggio, anche da Pajno A., Aldo M. Sandulli oltre il tempo di Aldo M. Sandulli, in op. ult. cit., 347 ss., il quale così apre il suo lavoro: “…ancora oggi chi voglia approfondire le vicende culturali e scientifiche concernenti il procedimento amministrativo, non può non riconoscere un rilievo del tutto peculiare al pensiero di Sandulli… Chi, pertanto, intenda studiare il procedimento amministrativo, nell’ordinamento italiano, non può non prendere le mosse dal “disegno” di Aldo M. Sandulli, o, comunque, fare i conti con esso: ed infatti, nonostante la pluralità degli approcci al tema e la feconda “rilettura” delle sue tematiche alla luce della nozione di funzione, i tratti fondamentali del disegno di Sandulli, costituiscono ancora oggi altrettanti capitoli della riflessione teorica e dell’esperienza pratica sul procedimento amministrativo”. Pajno riassume in modo efficace una posizione che è condivisa da tutta la dottrina amministrativistica italiana: si rinvia, per tutti, alle trattazioni di Cardi E., Procedimento amministrativo, in Enc. giur., vol. XXIV, Roma, aggiornamento (1995); Villata R. - Sala G., Procedimento amministrativo, in Dig. disc. pubb., vol. XI, Torino, 1995; Morbidelli G., Il procedimento amministrativo, in Diritto amministrativo (a cura di Mazzarolli L., Pericu G., Romano A., Roversi Monaco F.A., Scoca F.G.), Bologna, 2005, vol. I, 531 ss. In ordine alle origini della nozione di procedimento amministrativo, lo studio di riferimento è quello di Tezner F., Handbuch des österreichischen Administrativverfahrens, Wien, 1896. Il processo di sviluppo, in anticipo sui tempi, svoltosi in Austria, sulla scia di tale studio, condusse poi all’adozione, nel luglio 1925, delle leggi sul procedimento amministrativo, su cui cfr. il classico studio di Herrnritt R.H., Das Verwaltungsverfahren, Wien, 1932. Sul pensiero di Tezner si vedano le riflessioni di Cognetti S., Profili sostanziali della legalità amministrativa, Milano, 1993, nonché Cardi E., Cognetti S., voce Eccesso di potere (atto amministrativo), in Dig. disc. pubbl., Torino, vol. V, 1990, 340 ss.

 

[7] Come ebbe modo di rilevare Giannini M.S., Diritto amministrativo, vol. II, Milano, 1970, 831, l’opera del Sandulli “sembrava non solo aver fatto recuperare il tempo perduto, ma addirittura aver posto la dottrina italiana in una posizione avanzata nello stesso tema”. Il giudizio di Giannini, come ha ricordato di recente Schinaia M.E., Aldo M. Sandulli, cit., “non è solitario. Vi è infatti una communis opinio nel ritenere la monografia del Sandulli il primo contributo sistematico allo studio del procedimento”; anche se non va dimenticato, sottolinea l’autore, “che la sintesi concettuale cui approda Sandulli rappresenta, a sua volta, il punto di arrivo di un dibattito dapprima avviatosi…”. Di Schinaia è utile consultare anche Id., Profili evolutivi nella problematica del procedimento amministrativo, in Atti del Convegno di Varenna 1986 sul procedimento amministrativo, Milano, 1989, 107 ss., contributo in cui è analizzato il pronto recepimento della elaborazione sandulliana da parte della giurisprudenza. La giurisprudenza, infatti, ben presto accoglierà l’ordine sistematico delle idee espresse dall’insigne autore nello studio del procedimento (sia riguardo alle nozioni di atto continuato, atto complesso e composto, concordando nel ritenere che atto strutturalmente complesso e procedimento stanno su piani diversi e non comparabili, sia) aderendo allo schema concettuale ed anche allo stesso lessico dell’opera sandulliana, specie per quanto attiene alla distinzione in fasi del procedimento e al dispiegamento degli effetti del suo atto terminale.

 

[8] È che la scienza, anche in campo giuridico, non procede solo linearmente e per mera accumulazione di conoscenza, ma anche attraverso tagli epistemologici (nella terminologia di Bachelard), mutamenti di paradigma (in quella di Kuhn) o di stile di pensiero (in quella di Fleck). Al successo di tali vicende si accompagnano di regola fenomeni di “intraducibilità” (per lo meno parziale) delle categorie precedenti nei termini delle nuove categorie affermate e condivise nel campo disciplinare: in tal senso cfr. Kuhn T., The Structure of Scientific Revolution, cit.; dello stesso autore cfr. anche l’accurata raccolta di saggi curata da Stefano Gattei, dal titolo Id., Dogma contro critica. Mondi possibili nella storia della scienza, Milano, 2000, con Prefazione di Paul Hoyningen Huene. Sui programmi di ricerca, e sulla importanza di non trascurare, nel procedere dello sviluppo della scienze, alcune delle prospettive e degli spunti suggeriti da programmi di ricerca (prima “recessivi” e poi) accantonati, cfr. Lakatos I. - Musgrave A. (a cura di), Criticism and the Growth of Knowledge, Cambridge, 1970 (tr. it. a cura di Giorello, Critica e crescita della conoscenza, Milano, 1976); Feyerabend P.K., Against Method. Outline of an Anarchic Theory of Knowledge, London, 1988 (tr. it. di Libero Sosio, Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, Milano, 1979); Lakatos I., Feyerabend P.K., Sull’orlo della scienza, cit. Sul concetto di “coupure epistemologique”, quale repentino mutamento di impostazione che fa nascere una nuova scienza, una nuova prospettiva di indagine cfr. Bachelard G., La formazione dello spirito scientifico: contributo a una psicoanalisi della conoscenza oggettiva, nella edizione italiana a cura di E. Castelli Gattinone, Milano, 1995 (titolo originale: La formation de l’esprit scientifique. Contribution à une psychanalyse de la connaissance objective, Vrin, Paris, 1938); su quelli, analoghi, di mutamento di paradigma o di Denkstill cfr., oltre alle opere già citate di Kuhn, cfr. Fleck L., Enstehung und Entwicklung einer wissenschaftlichen Tatsache, Basel, 1935 (tr. it., Genesi e sviluppo di un fatto scientifico. Per una teoria dello stile e del collettivo di pensiero, Bologna, 1983), opera che lo stesso Thomas Kuhn riconobbe come ispiratrice della sua teoria dei paradigmi scientifici. Sul rapporto (in direzione di Kuhn) tra il pensiero di questi due autori cfr., ampiamente, Campelli E.M., Un rapporto imaginabilis? Ludwig Fleck e Thomas Kuhn, in Campelli E., T.S. Kuhn: come mutano le idee sulla scienza, Milano, Franco Angeli, 1999, 5 ss. La breve indagine ricognitiva che verrà dedicata alla elaborazione anteriore alla monografia del Sandulli del 1940 è mossa dal preciso e limitato obiettivo di ricordare l’origine e la breve carriera della figura della operazione amministrativa, i suoi caratteri, le sue (poche) luci e le sue (tante) ombre, indagando attorno ad una vicenda che ha visto tale figura lentamente emergere, gradualmente affermarsi nel linguaggio dottrinario, ed anche, gradualmente, parzialmente distaccarsi dalla nozione contigua di procedimento amministrativo, per poi improvvisamente scomparire dal dibattito, contestualmente alla affermazione di una nozione (formale) di procedimento amministrativo più avanzata a livello sistematico, più rigorosa e precisa sul piano dogmatico, più adeguata e pertinente rispetto ai problemi, teorici e pratici, che erano da risolvere; ma anche posta – ci sembra – su un piano diverso. In tale ricognizione si annida in primo luogo una difficoltà di ordine terminologico: l’uso promiscuo che molti autori dell’epoca riservarono alle espressioni “operazione amministrativa” e “procedimento amministrativo”. In considerazione di tale dato si tenterà di semplificare il quadro ricostruttivo cercando di accoppiare, dando conto ovviamente della denominazione effettivamente utilizzata dagli autori, alla espressione “operazione amministrativa” il referente corrispondente, ove diverso da quello correntemente associato alla espressione “procedimento amministrativo”.

 

[9] Cfr. La Torre M., Nozioni di diritto amministrativo, Roma, 1960, 226; DeValles A., Lezioni di diritto amministrativo, 1956, 157, nota 2. Entrambi offrono peraltro una configurazione della operazione amministrativa che sembra costruita sulla falsariga del “procedimento in senso lato” del Forti U., “Atto” e “Procedimento” amministrativo, in Studi di diritto pubblico, Roma, vol. I, 1937, 456 ss. Sul punto, anche per un esame specifico della peculiare posizione del De Valles, si veda ampiamente infra.

 

[10] Graziosi B., Note per una definizione delle “operazioni amministrative”, in Rass. dir. pubbl., 1968, 498 ss.

 

[11] Come ha sottolineato di recente anche Sala G., Operazione amministrativa, cit., 319-320, il “termine operazione è già polisenso nel linguaggio comune, lo è ancora di più in quello giuridico, in modo particolare poi nel diritto amministrativo… Nel linguaggio comune l’operazione è l’azione dell’operare: il compimento cioè di un’attività che si caratterizza per il suo prevalente aspetto tecnico o pratico e, insieme, che è costituita da una serie di atti, coordinati a un fine o comunque giustificati da una funzionalità, anche generica. Nel linguaggio del legislatore il termine trova impiego frequente ma con significati non sempre univoci, in relazione all’accentuarsi dell’una o dell’altra prospettiva della ricordata comune accezione. […] la locuzione atti e operazioni è così a volte intesa come endiadi ad abbracciare il complesso delle attività dell’amministrazione pubblica, il “prodotto” globale di uffici pubblici. In quest’ultima accezione le operazioni amministrative individuano il contenuto della prestazione lavorativa di pubblici dipendenti con riguardo in genere ad attività materiali a non elevato contenuto professionale… Non è peraltro affatto raro anche nel linguaggio legislativo l’uso del termine operazione per significare l’attività seriale, estrinsecatasi in atti giuridici e azioni materiali, coordinata ad uno scopo o comunque individuata dall’oggetto: così si parla di operazioni elettorali, di operazioni concorsuali, di operazioni di collaudo… In realtà anche nel linguaggio legislativo il termine è usato, a ben guardare, nei due significati ricorrenti nel linguaggio comune: …come attività materiale”… ovvero “per indicare una serie, anche strutturalmente eterogenea, di attività, materiali e non, orientate a un risultato […]”. È interessante rilevare che l’autore poi segnali, quasi incidentalmente, che “…in passato col termine operazione amministrativa si indicavano le attività che poi han trovato sistemazione definitiva nella concezione strutturale del procedimento amministrativo, oppure anche che si comprendevano nella generale categoria dell’atto amministrativo”. Sul punto vedi infra, nel testo.

 

[12] Così Graziosi B., Note, cit., 498.

 

[13] Che quella indicata sia considerata dalla dottrina amministrativistica contemporanea la “nozione tradizionale” di operazione amministrativa è riconosciuto espressamente anche da Scoca F.G., Attività amministrativa, cit., 84, in nota 43.

 

[14] Così Graziosi B., Note, cit., 498, nota 1.

 

[15] Sala G., Operazione, cit., 320.

 

[16] Si utilizza una formula di estrema sintesi, a fini di mera chiarezza espositiva, sebbene ci si stia riferendo incidentalmente all’intero percorso evolutivo della teoria del procedimento battuto dalla dottrina italiana della seconda metà del novecento a partire dai noti studi del Benvenuti (Benvenuti F., Eccesso di potere amministrativo per vizio della funzione, in Rass. dir. pubbl., 1950, 1; Id., Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1952, 122 ss.) che, come è noto, aprirono la via della analisi del procedimento in prospettiva funzionale, preparando così il campo ai notevoli approfondimenti della dottrina successiva (sia consentito qui richiamare, nello sterminato panorama dottrinario, oltre alle opere già citate del Benvenuti, e alle anticipazioni contenute nel noto studio di Giannini M.S., Il potere discrezionale della pubblica amministrazione - concetti e problemi, Milano, 1939, che risulteranno preziose per il successivo innesto della tematica della discrezionalità nella riflessione su potere, funzione e procedimento, solo alcuni dei contributi più significativi tra quelli anteriori alla legge n. 241 del 1990: Piras A., Interesse legittimo e giudizio amministrativo, Milano, 1962; Piras A., Discrezionalità amministrativa, in Enc. dir., vol. XIII, Milano, 1964, 65; Ledda F., Il rifiuto di provvedimento, Torino, 1964; Allegretti U., L’imparzialità amministrativa, Padova, 1965; Levi F., L’attività conoscitiva della pubblica amministrazione, Torino, 1967; Berti G., La pubblica amministrazione come organizzazione, Padova, 1968; Cassese S., Il privato e il procedimento amministrativo, in Arch. giur., 1970, 25 ss.; Scoca F.G., Il silenzio della pubblica amministrazione, Milano, 1971; Pugliese F., Il procedimento amministrativo tra autorità e contrattazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1971, 1469; Meloncelli A., L’iniziativa amministrativa Milano, 1976; Nigro M., Procedimento amministrativo e tutela giurisdizionale contro la pubblica amministrazione (il problema di una legge generale sul procedimento amministrativo), in Riv. dir. proc., 1980, 252 ss.; Id., Il nodo della partecipazione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1980, 223; Romano Tassone A., Note sul concetto di potere giuridico, in Annali dell’Università di Messina, 1981, II, 405 e ss.; Cardi E., La manifestazione degli interessi nei procedimenti amministrativi, I-II, Perugia, 1983 e 1984; Ledda F., L’attività amministrativa, in Il diritto amministrativo degli anni Ottanta, Milano, 1987, 83; Villata R., La trasparenza dell’azione amministrativa, in Dir. proc. amm., 1987, 528; Sorace D., Promemoria per una per una nuova “voce”: Atto amministrativo, in Scritti in onore di M.S. Giannini, III, Milano, 1988, 745; Pubusa A., Procedimento amministrativo e interessi sociali, Torino, 1988; Nigro M., Il procedimento amministrativo tra inerzia legislativa e trasformazioni dell’amministrazione (a proposito di un recente disegno di legge), in Dir. proc. amm. 1989, 5. Lo scarno riferimento di cui al testo non intende, è bene precisarlo, affatto sottovalutare la importanza dell’enorme percorso evolutivo battuto dalla teoria del procedimento amministrativo; anzi, è proprio il patrimonio delle acquisizioni offerte da tale percorso a mostrarsi prezioso nell’indirizzo da imprimere all’indagine. Per il momento si sta semplicemente facendo leva su un dato del tutto pacifico (cfr. nota seguente) nell’ambito della dottrina amministrativistica (il fatto che le diverse prospettive di analisi via via affinate dalla dottrina abbiano offerto degli approcci – non alternativi, ma – “complementari” allo studio della realtà del “procedimento” rispetto a quello strutturale; o, se si preferisce, che è sempre alla concezione strutturale che bisogna guardare per avere una risposta alla basilare domanda: che cosa è il procedimento?) nell’esposizione delle ragioni che spingono la presente indagine a interessarsi di quella risalente vicenda di elaborazione della nozione di operazione amministrativa che occupò parte della dottrina italiana dei primi decenni del novecento.

 

[17] La dottrina riconosce unanimemente che gli approcci allo studio del procedimento via via emersi ed affinati nella seconda metà del novecento siano “complementari” rispetto a quello strutturale: cfr., per tutti, Cardi E., La manifestazione, cit.; Villata R., Sala G., Procedimento amministrativo, in Dig. disc. pubbl., vol. XI, Torino 1995; AA.VV., Aldo Maria Sandulli (1915-1984): attualità del pensiero giuridico del Maestro; già citato. La dottrina più recente, proprio prendendo sul serio la complementarietà e la dialettica tra i diversi modi di guardare al procedimento amministrativo, e più in generale alla attività amministrativa, sembra aver gradualmente messo a fuoco alcuni limiti euristici della teoria del procedimento. Alcuni di questi parrebbero risiedere nei confini ad esso ritagliati in prospettiva “strutturale”. La prospettiva funzionale, innestata sulla struttura del “singolo procedimento”, sembrerebbe cioè segnalare, dinanzi all’evoluzione del fenomeno amministrativo e della sua disciplina, la inadeguatezza (funzionale appunto) della prospettiva del singolo procedimento a valere da campo di rilevazione adeguata delle situazioni problematiche da fronteggiare con l’azione amministrativa o, se si preferisce, a servire alla adeguata costruzione del problema amministrativo da risolvere nella decisione. Se la prospettiva del singolo procedimento non appare adeguata a rappresentare e spiegare adeguatamente la complessità dell’azione amministrativa, e in particolare i nessi del pluralismo istituzionale, non è detto, tuttavia, che essa sia scorretta ovvero da abbandonare. È probabile, invece, che l’approfondimento analitico della teoria del (singolo) procedimento costituisca la base preziosa su cui innestare una teoria ulteriore, che tenti (di adeguare la rilevazione della struttura dell’agire, ossia del modo di svolgimento di tale agire, in) una ricomposizione complessa della attività amministrativa. Sul punto cfr. infra, nel testo e nelle note. Per il momento è utile richiamare, senza alcuna pretesa di completezza (non verranno menzionati, ad esempio, gli studi in tema di consensualità, sui quali si rinvia, per tutti, a Scoca F.G., Autorità e consenso, in Dir. amm., 2002, 431 ss.) alcuni dei contributi dottrinari che, stimolati dalle riforme avviate a partire dai primi anni novanta, hanno contribuito ad evolvere la teoria del procedimento: Serra M.T., Contributo ad uno studio della funzione istruttoria del procedimento amministrativo, Milano, 1991; Cassese S., La disciplina legislativa del procedimento amministrativo. Una analisi comparata, in Foro it., 1993, V, 27; Merusi F., Il coordinamento e la collaborazione degli interessi pubblici e privati dopo le recenti riforme, in Dir. amm., 1993, 21; Cavallo B., Provvedimenti e atti amministrativi, in Trattato di diritto amministrativo diretto da G. Santaniello, Padova, vol. III, 1993; Ledda F., Problema amministrativo e partecipazione al procedimento, in Dir. amm., 1993, 133 e ss.; Sala G., L’eccesso di potere amministrativo dopo la legge 241/1990: un’ipotesi di ridefinizione, in Dir. amm., 1993, 173 ss.; Sala G., Potere amministrativo e principi dell’ordinamento, Milano, 1993; Benvenuti F., Il nuovo cittadino, Venezia, 1994; Clarich M., Termine del procedimento e potere amministrativo, Torino, 1995.; Benvenuti F., L’impatto del procedimento nell’organizzazione e nell’ordinamento (quasi una conclusione autobiografica), in Le ragioni del diritto, Scritti in onore di Luigi Mengoni, III, Milano, 1995, 1723 e ss.; Scoca F.G., La teoria del provvedimento dalla sua formulazione alla legge sul procedimento, in Dir. amm., 1995, 1 e ss.; Bombardelli M., Decisioni e pubblica amministrazione. La determinazione procedimentale dell’interesse pubblico, Torino, 1996; Comporti G., Il coordinamento infrastrutturale. Tecniche e garanzie, Milano, 1996; Zito A., Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, Milano, 1996; Iannotta L., Scienza e realtà: l’oggetto della scienza del diritto amministravo tra essere e divenire, in Dir. amm., 1996, 579 ss.; Guerra M.P., Funzione conoscitiva e pubblici poteri, Milano, 1996; Picozza E., Attività amministrativa e diritto comunitario, in Enc. giur Treccani., vol. VI aggiornamento, Roma, 1997; Police A., La predeterminazione delle decisioni amministrative. Gradualità e trasparenza nell’esercizio del potere discrezionale, Napoli, 1997; Figorilli F., Il contraddittorio nel procedimento amministrativo (dal processo al procedimento con pluralità di parti), Napoli, 1997; Immordino M., Legge sul procedimento amministrativo, accordi e contratti di diritto pubblico, in Dir. amm., 1997, 103; Corso G., L’attività amministrativa, Torino, 1999; Scoca F.G., Il coordinamento e la comparazione degli interessi nel procedimento amministrativo, in Studi in onore di G. Abbamonte, Napoli, vol. II, 1999, 1261 e ss.; Scoca F.G., Analisi giuridica della conferenza di servizi, in Dir. amm., 1999, 255 ss.; Sandulli M.A., Il procedimento amministrativo fra semplificazione e partecipazione: un difficile contemperamento fra accelerazione e garanzie, in Procedimento amministrativo fra semplificazione e partecipazione. Modelli europei a confronto (a cura di Sandulli M.A.), Milano, 2000, I, 1 ss.; Cerulli Irelli V., Luciani F., La semplificazione dell’azione amministrativa, in Dir. amm., 2000, 617 e ss.; Sandulli A., Il procedimento, cit.; Scoca F.G., La discrezionalità nel pensiero di Giannini e nella dottrina successiva, in Riv. trim. dir. pubbl., 2000, 1045 e ss.; Ferrara R., Procedimento amministrativo, semplificazione e realizzazione del risultato: dalla “libertà dall’amministrazione” alla libertà dell’amministrazione, in Diritto e soc., 2000, 101 e ss.; Iannotta L., Principio di legalità e amministrazione di risultato, in Amministrazione e ordinamenti (Atti del Convegno di Macerata del 21 e 22 maggio 1999), Milano, 2000, 37 ss.; Comporti G.D., Tempus regit actionem, Torino, 2001; Cassese S., L’arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, 601 e ss.; La Barbera R., La previsione degli effetti. Rilevanza giuridica del progetto di provvedimento, Torino, 2001; Romano Tassone A., Sulla formula “Amministrazione per risultati”, in Scritti in onore di Elio Casetta, II, Napoli, 2001, 815 ss.; D’Orsogna M., Programmazione strategica e attività decisionale della pubblica amministrazione, Torino, 2001; Pastori G., La disciplina generale dell’azione amministrativa, in Annuario AIPDA 2002, Milano, 2003, 33; Cammelli M., Amministrazione di risultato, in Annuario AIPDA 2001, Milano, 2002, 107; D’Orsogna D., Conferenza di servizi e amministrazione della complessità, Torino, 2002; Occhiena M., Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano, 2002; Spasiano M., Funzione amministrativa e legalità di risultato, Torino, 2003; Police A. - Immordino M. (a cura di), Principio di legalità e amministrazione di risultato, Torino, 2004.

 

[18] Lo scarso interesse prestato dalla dottrina alla nozione di attività amministrativa è rilevato con forza da Casetta E., Attività amministrativa, cit., 522 e da Scoca F.G., Attività, cit., al quale va ascritto il merito di aver aperto una nuova prospettiva di indagine in tema: cfr. ampiamente nel Capitolo Quarto.

 

[19] Sia consentito richiamare sul punto D’Orsogna D., Una terapia sistemico-relazionale per la pubblica amministrazione: l’operazione amministrativa, in Police A. - Immordino M., Principio di legalità, cit., 287 ss.

 

[20] In tal senso Scoca F.G., Attività, cit., 76: “con la legge sul procedimento, e con le leggi successive di riforma, l’attività della amministrazione pubblica è diventata essa medesima, oltre al provvedimento, oggetto di una ormai cospicua disciplina positiva, acquisendo rilevanza giuridica sempre più marcata: si pensi al c.d. controllo di gestione o di efficienza, al c.d. controllo strategico, alla responsabilità dirigenziale e alla responsabilità dell’amministrazione verso terzi, tutte “vicende” che trovano nell’attività in quanto tale la loro fattispecie. Una volta, peraltro, che l’attività è entrata nel campo visuale della speculazione teorica, conviene anche tentare di sceverare tra i principi e gli istituti finora indiscriminatamente riferiti al provvedimento, riferendo all’attività quello che le è proprio e lasciando al provvedimento solo ciò che lo riguarda direttamente. Costruendo una teoria dell’attività amministrativa da collocare accanto alla teoria degli atti, e, in particolare, del provvedimento”

 

[21] Cfr. Id., Attività, cit., 76.

 

[22] Ibidem.

 

[23] Si pensi, a mero titolo di esempio, e senza pretesa di completezza, all’istituto giuridico della conferenza di servizi (sul quale sia consentito richiamare D’Orsogna D, Conferenza di servizi, cit.); allo sportello unico (cfr., ex multis, Gardini G. - Piperata G. (a cura di), Le Riforme amministrative alla prova: lo sportello unico per le attività produttive, Torino, 2002; al c.d. procedimento unificato in materia energetica (sul quale cfr.il volume curato da Picozza E., Il nuovo regime autorizzatorio degli impianti di produzione di energia elettrica, Torino, 2003; Police A., Legislazione delle opere pubbliche e dell’edilizia, Torino, 2004, in particolare 191 ss.; Scoca F.G., Condizioni e limiti alla funzione legislativa nella disciplina della pubblica amministrazione, in AA.VV., Aldo M. Sandulli, Attualità del pensiero giuridico, cit., 173 ss.: in partic. 201 ss.); e più in generale al sistema dei raccordi procedimentali, che le recenti riforme hanno inteso collegare a livello apicale con il sistema dei raccordi istituzionali, cui è da riconoscere una rilevanza, o per lo meno un ruolo funzionale, sul piano costituzionale. Su questi temi cfr., da ultimo, Carloni E., Lo Stato differenziato. Contributo allo studio dei principi di uniformità e differenziazione, Torino, 2004. Cfr. altresì Bottari C. (a cura di), La riforma del Titolo V, parte II della Costituzione, Quaderni della Spisa, Dogana, 2003 (in particolare i contributi di Pizzetti F., La ricerca del giusto equilibrio tra uniformità e differenza: il problematico rapporto tra il progetto originario della Costituzione del 1948 e il progetto ispiratore della riforma costituzionale del 2001, 599 ss.; Corpaci A., Il sistema amministrativo nel nuovo quadro costituzionale: alcuni profili, 107 ss.; Caia G., Il problema del limite dell’interesse nazionale nel nuovo ordinamento, 136 ss.; Torchia L., Cooperazione, e concertazione tra livelli di governo nel nuovo titolo V, 333 ss.; Carpino R., Il nuovo ruolo della conferenza Stato-regioni-autonomie, 353 ss.); Ruggeri A., Forme e tecniche dell’unità, tra vecchio e nuovo regionalismo, in La definizione del principio unitario negli ordinamenti decentrati, Atti del convegno dell’Associazione di Diritto pubblico comparato ed europeo, Pontignan, Università degli studi di Siena, 10-11 maggio 2002, 91 ss.; Bin R., L’interesse nazionale dopo la riforma: continuità dei problemi, discontinuità della Giurisprudenza costituzionale, in Le Regioni, 2001, 1231 ss.; Ferrara A., Dell’indirizzo e coordinamento dopo la riforma del Titolo V prime osservazioni alla luce del disegno La Loggia, in www.federalismi.it; Caretti P., Indirizzo e coordinamento e potere sostitutivo nella più recente giurisprudenza della Corte costituzionale, in Le Regioni, 2002, 338 ss.; Cuocolo L., Gli interessi nazionali tra declino della funzione di indirizzo e coordinamento e potere sostitutivo del governo, in Quaderni Regionali, 2002, 423 ss.; Mainardis C., I poteri sostitutivi statali: una riforma costituzionale con (poche) luci e (molte ombre), in Le Regioni, 2001, 1357 ss.; Merloni F., La leale collaborazione nella Repubblica delle autonomie, in Dir. pubbl., 2002, 827 ss. Tra le opere collettanee e monografiche cfr., ex multis, Angiolini V. - Violini L. - Zanon N (a cura di), Le trasformazioni dello Stato regionale italiano, Milano, 2002; Bottari C. (a cura di), La riforma del Titolo V, parte II della Costituzione, Rimini, 2003; Calvieri C., Stato regionale in trasformazione: il modello autonomistico italiano, Torino, 2002; Caravita di Toritto B., La Costituzione dopo la riforma del Titolo V, Torino, 2002; Chieffi L., Clemente di San Luca G., Regioni ed enti locali dopo la riforma del Titolo V della Costituzione fra attuazione ed ipotesi di ulteriore revisione, Torino, 2004; D’Atena A., L’Italia verso il federalismo. Taccuini di viaggio, Milano, 2001; Gambino S. (a cura di), Il “nuovo” ordinamento regionale, Milano, 2003; Groppi T., Olivetti M. (a cura di), La Repubblica delle autonomie, II ed., Torino, 2003; Mangiameli S., La riforma del regionalismo italiano, Torino, 2002; Panizza S., Romboli R. (a cura di), L’attuazione della Costituzione. Recenti riforme e ipotesi di revisione, Pisa, 2002.

 

[24] Una nozione, precisa l’autore, volta a raccogliere “l’insieme delle attività necessarie per conseguire un risultato concreto” (così Scoca F.G., Attività, cit., 84).  La figura dell’operazione, lumeggiata da Scoca, è stata prontamente accolta da diversi autori nell’ambito delle proprie ricostruzioni, tra questi: D’Orsogna D., Una terapia sistemico-relazionale per la pubblica amministrazione: l’operazione amministrativa, in Police A. - Immordino M., Principio di legalità e amministrandone di risultati, atti del Convegno Palermo 27-28 febbraio 2003, Torino, 2004, 287 ss.; D’Orsogna D., Conferenza di servizi e amministrazione della complessità, Torino, 2002; D’Orsogna M., Programmazione strategica e attività decisionale della pubblica amministrazione, Torino, 2001; Figorilli F., Semplificazione amministrativa e amministrazione di risultati, in Principio di legalità, cit.; Cangelli F., Potere discrezionale e fattispecie consensuali, Milano, 2004; Giani L., Funzione amministrativa ed obblighi di correttezza. Profili di tutela del privato, Napoli, 2005; Cacciavillani C., Sul ricorso per motivi aggiunti di cui all’art. 21 della legge TAR, come modificato dalla legge n. 205 del 2000, in Dir. proc. amm., 2005, 181 ss.

 

[25] Cfr. Id., Attività, cit., 84. L’illustre autore precisa che la “nuova nozione” proposta “non ha nulla ha che vedere” con la nozione tradizionale di operazione amministrativa, significante una attività c.d. materiale della pubblica amministrazione.

 

[26] Così Graziosi, Note, cit., 498.

 

[27] In tal senso Sandulli A.M., Il procedimento, cit., in partic. 33, 34, 35, 78, nel criticare l’idea (del Borsi U., L’atto amministrativo complesso, in Studi senesi, 1900-1901, 52) secondo cui l’azione del cittadino non si risolve nella impugnativa di “un mero atto finale coronativo di un procedimento”, ma nell’impugnativa dell’intera complessa attività posta in essere dall’amministrazione che comunque abbia portato al risultato di ledere un suo interesse. A tale posizione concettuale si era parzialmente accostata la giurisprudenza in alcune decisioni: Cons. St., V sez., 28 aprile 1934, in Foro amm., 1934, I, 2, c. 193, che aveva espressamente alluso alla impugnativa di una “intera procedura”. Il Sandulli rilevò che mentre nel sistema positivo francese, mancando una espressa menzione della inammissibilità di far valere l’illegittimità dell’azione amministrativa se non mediante l’impugnativa di un atto, risulta implicitamente ammessa la possibilità che venga presa a oggetto di considerazione, come suscettibile di proficuo impiego, una nozione della ampiezza della opération, nel sistema italiano tale possibilità è da ritenersi esclusa dall’art. 26 del T.U 26 giugno 1024, n. 1054 sul Consiglio di Stato. L’autore aggiunge che la configurazione che viene offerta della operazione amministrativa dal Borsi, per giunta, prende le mosse da “un concetto troppo esteso dell’atto complesso” e, in sostanza, pare configurare la operazione quale entità sostanziale unitaria, che si sostituisce, oscurandola, alla realtà dei singoli atti in essa ricompresi. Sul punto cfr. infra. Sul pensiero (e le notevoli anticipazioni) di Borsi si veda, da ultimo, la approfondita trattazione di Comporti G.D., L’atto complesso di Umberto Borsi e il coordinamento procedimentale: ovvero il nome e la cosa, in Dir.amm., 2005, 275 ss., scritto dal quale emerge un giudizio più equilibrato rispetto alla ricostruzione offerta dal Sandulli.

 

[28] In tal senso anche Graziosi B., Note, cit., 504-505, il quale (richiamandosi a Sandulli A.M., Il procedimento, cit., 33-34) aggiunge, tuttavia, “che il concetto di opération administrative – offrendo ai nostri autori un qualche interesse solo per il suo malcerto profilo sostanziale – costituì una delle principali remore alla sistemazione definitiva del “procedimento amministrativo” inteso come mero schema formale”. Tale osservazione ci sembra significativa, ma non condivisibile: in essa la sistemazione sandulliana è innalzata al rango di “destino logico” dell’intera elaborazione precedente del “fenomeno procedimentale”.

 

[29] Cfr. supra Capitolo Primo

 

[30] La affinità della figura tratteggiata dalla dottrina italiana con la opération administrative è segnalata dal Cammeo F., Corso di diritto amministrativo, 1914, Padova, 1085, nota 1; dal Forti U., “Atto” e “procedimento”, cit., 456 e dal Lucifredi R., Inammissibilità di un esercizio ex post della funzione consultiva, in Raccolta di scritti di diritto pubblico in onore di Giovanni Vacchelli, Milano, 1938, 296, in nota: questi autori non accolsero peraltro la terminologia di derivazione francese. Oltre a richiamare la nozione francese, parlarono espressamente di “operazione amministrativa”, invece, De Valles A., La validità degli atti amministrativi, Roma, 1917, 23 ss.; Ferraris C.F., Diritto amministrativo, I, Padova, 1922, 268 ss.; La Torre M., Sull’interesse ad agire, a ricorrere, a resistere, in Studi in onore di Cammeo, II, Padova, 1933, 47; Petrozziello M., Il rapporto di pubblico impiego, Milano, 1935, 167 ss.; Bracci M., Dell’atto complesso in diritto amministrativo, Siena, 1927, 35, nota 5 (l’autore, peraltro, pur non adottando la espressione “operazione amministrativa”, la reputa “molto più corretta”); Ragnisco, I ricorsi amministrativi, Roma, 1937, 51 ss., il quale utilizza le espressioni procedimento ed operazione come sinonimi. I riferimenti della dottrina italiana alla esperienza francese, peraltro, rimasero limitati alla fase di elaborazione iniziale della teoria della opération administrative.

 

[31] Cammeo F., Corso, cit., nota 1, 1085; Forti U., “Atto” e “procedimento”, cit., 456; Lucifredi R., Inammissibilità di un esercizio ex post, cit., 296; Miele G., Alcune osservazioni sulla nozione di procedimento amministrativo, in Foro it., 1933, 375

 

[32]Così riassume Graziosi B., Note, cit., 506 ss., il nucleo concettuale comune alle posizioni di autori quali Borsi U., La giustizia amministrativa, Padova, 1941, 33, 34, 288.; Bracci M., Dell’atto complesso, cit., 35, in nota; Ragnisco, I ricorsi, cit., 51; Petrozziello M., Il rapporto di pubblico impiego, cit., 165; Forti U., “Atto” e “procedimento”, cit., 456, 457, il quale però adotta il termine procedimento (in senso ampio); De Valles A., La validità degli atti amministrativi, Roma, 1917, 22-26. Sulle tesi di Borsi, Forti, De Valles cfr. infra.

 

[33] La ricostruzione abbozzata nel testo si discosta nettamente da una rappresentazione tuttora abbastanza diffusa, ancorché largamente criticata, del percorso evolutivo che avrebbe seguito la dottrina dei primi decenni del novecento. Tale rappresentazione tende a rimarcare, nei primi studi dedicati al “fenomeno procedimentale”, una netta oscillazione della impostazione teorica tra due poli contrapposti: da un lato la riduzione del fenomeno procedimentale alla categoria dell’atto (e per tale orientamento viene di solito richiamata emblematicamente la figura dell’“atto-procedimento” del Forti); dall’altro la configurazione del procedimento quale categoria esclusivamente formale. Tale rappresentazione è affermata in modo radicale, ad esempio, già in Galeotti S., Osservazioni sul concetto di procedimento giuridico, in Jus, 1955, 504-506 ss. (dello stesso autore cfr. anche la nota monografia Id., Contributo allo studio del procedimento legislativo, Milano, 1957). Questa costruzione pecca, tuttavia, di eccessiva semplicità proprio nella misura in cui trascura la vasta schiera di autori che concepirono il procedimento come operazione, in un senso analogo a quello (che fu) recepito dalla dottrina francese. Come osserva espressamente il Graziosi, proprio in risposta al Galeotti: tra i due “poli di oscillazione” ne va inserito un altro, quello “rappresentato dal procedimento considerato empiricamente come sinonimo di “operazione”” (così Graziosi B., Note, cit.).

 

[34] Si rinvia, sul punto, al Capitolo Primo.

 

[35] Cfr.supra in nota.

 

[36] In tal senso Sandulli A.M., Il procedimento, cit., passim.

 

[37] Cfr. diffusamente infra.

 

[38] Ma si vedrà che, più che riconoscere ad una stessa nozione due diverse dimensioni, una di maggiore e un’altra di minore ampiezza, la dottrina giunse in realtà a configurare due nozioni separate, eventualmente intrecciate, da porre (e studiare) su piani distinti, e da ritagliare sulla base di due criteri diversi. Cfr. infra.

 

[39] Così Graziosi B., Note, cit., del quale peraltro non si condivide l’idea, implicitamente affermata, secondo cui “anche” in Italia la elaborazione della categoria delle operazioni amministrative trovò giustificazione sul piano (delle esigenze) del processo: egli afferma, infatti, che “… se si ammette… che anche in Francia la categoria delle opérations ha trovato il suo unico, e labile, fondamento, nell’ordinamento giurisdizionale, si può comprendere come, data la profonda diversità dei due sistemi positivi, in Italia tale concetto sia stato in parte frainteso, e in parte utilizzato nella faticosa costruzione del procedimento amministrativo”. Le tesi cui il Graziosi sembra fare implicitamente riferimento rappresentarono proposte minoritarie nel panorama della dottrina italiana. Senza considerare che, come anche il Graziosi ricorda, alla elaborazione della categoria della operazione amministrativa la dottrina italiana non era affatto pervenuta muovendo (come avvenne in Francia) dal piano processuale, ma direttamente dal piano della elaborazione sostanziale, partendo dallo studio del fenomeno della “collaborazione giuridica” delle determinazioni di più agenti per il venire in essere di un effetto.

 

[40] Sul generale riorientamento che a fine ottocento interessò l’impostazione degli studi di diritto pubblico in Italia la letteratura è ormai molto ampia: cfr. per tutti Mannori L., Sordi B., Storia del diritto amministrativo, Roma-Bari, 2001. La ricerca di uno statuto teorico del diritto amministrativo scevro dai condizionamenti derivanti dal diritto comune è, come noto, alla base del “metodo” di Orlando V.E., delineato nella nota prolusione I criteri tecnici per la ricostruzione del diritto pubblico, in Arch. giur., 1889, XLII, 107 ss. Sul metodo orlandiano cfr. Cianferotti G., Il pensiero di V.E. Orlando e la giuspubblicistica italiana fra ottocento e novecento, Milano, 1980; Azzariti G., Forme e soggetti della democrazia pluralista. Considerazioni su continuità e trasformazioni dello stato costituzionale, Torino, 2000, 19 ss.; Costa P., Lo Stato immaginario. Metafore e paradigmi nella cultura giuridica italiana fra Ottocento e Novecento, Milano, 1986; Fioravanti M., Costituzione, amministrazione e trasformazione dello Stato, in Schiavone A. (a cura di), Stato e cultura giuridica in Italia dall’unità alla Repubblica, Bari, 1990, 3 ss., in particolare 13 e ss

 

[41] Ci si riferisce a quel vasto movimento di studi che, nell’ambito della dottrina germanica di fine ottocento, si concentrò sul fenomeno della c.d. collaborazione giuridica delle attività o delle determinazioni di più agenti al venire in essere di un effetto giuridico o, se si preferisce, della produzione di un effetto giuridico riconnesso non ad un solo atto di volontà di un solo soggetto, ma al “concorso di più volontà”. La prima figura tipica riconosciuta e fatta oggetto di studio era stata quella del contratto: dalla sua messa a fuoco era emersa la contrapposizione tra atti unilaterali e bilaterali o plurilaterali. Nel quadro di questa indagine classificatoria va inquadrata anche la emersione del concetto di atto complesso (così Lucifredi R., Atti complessi, in Novissimo dig. it., I, Torino, 1958, 1500), concetto su cui si concentrerà poi la attenzione della dottrina italiana, a partire dal Brondi. Nella dottrina tedesca, come ha evidenziato con estrema chiarezza il Falcon, non vi fu, tuttavia, quella sovrapposizione completa tra il concetto di Vereinbarung (da cui pur prese le mosse la dottrina italiana) e quello di atto complesso che la dottrina italiana ha spesso dato per presupposta. Il concetto di Vereinbarung, infatti, era stato originariamente messo a fuoco dal Binding quale fattispecie normativa (cfr. ampiamente Falcon G., Le convenzioni pubblicistiche, Milano, 1986). Non è possibile né opportuno qui ricostruire l’ampio dibattito svoltosi in tema nella dottrina tedesca di fine ottocento (ed inizio novecento). Sia sufficiente quindi ricordare, con il Sandulli (cfr. in partic. 202 ss., nota n. 7), che i primi riferimenti chiari a un atto, il quale, pur essendo diverso dal contratto, risultasse dal concorso di più volontà individuali si ebbero nel campo del diritto privato (da parte di von Gierke O., Die Genossenschaftstheorie und die deutsche Rechtsprechung, Berlin, 1887, 132 ss., che utilizzò il concetto dell’atto complesso nella definizione della natura dell’atto di fondazione corporativa, e di Karlowa O., Zur Lehre von den juristischen Personen, in Grühnhuts Zeits, 1888, 402). È con il Binding (Binding K., Die Gründung des norddeutschen Bundes, in Festgabe der Leipziger Juristenfakultät für B. Winscheid zum 22.12.1888, Leipzig, 1889, 69 ss), tuttavia, che si ebbe la prima vera formulazione del concetto della Vereinbarung, e si affermò la sua distinzione strutturale dal Vertrag (idea da cui prese le mosse la dottrina successiva, a partire da Jellinek G., System der subjektiven öffentlichen Rechte, Freiburg, i.B., 1892, 204 ss., il quale spostò parzialmente il dato differenziale tra le due figure maggiormente sul profilo funzionale). Un ordine di idee diverso, che eserciterà grande influenza sulla dottrina italiana, fu quello del Kuntze J.E., Der Gesammtakt, ein neuer Rechtsbegriff (Festg. D. Leipz. Juristenfakultaet O. Mueller, Leipzig, 1892, 29-87), che intravide la differenza tra le due figure unicamente nel fatto che mentre il Vertrag produce solo effetti tra le parti; il Gesammtakt – nozione che si preferì opporre alla prima – soltanto verso i terzi. Peraltro fin da allora vi fu chi criticò l’eccessiva estensione della categoria della Vereinbarung (che diveniva così figura ampia e comprensiva delle figure di specie del Vertrag e del Gesammtakt), e ravvisò in essa una assenza di omogeneità: in tal senso Brokhausen, Vereinigung und Trennung von Gemeinden, Wien, 1893, 57 ss. I contributi più alti in tema furono tuttavia quelli del Triepel H., Völkerrecht und Landesrecht, Leipzig, 1899, in part. 45 ss., il quale, sulla scia del Binding, propose una distinzione tra Vereinbarung e Gesammtakt fondata sul fatto che vi sia tra le varie volontà cooperanti un fine unico o un fine comune. Una applicazione e uno svilippo delle tesi di questo autore (che aveva elaborato le sue proposte guardando al diritto internazionale) nell’ambito del diritto amministrativo si ebbe poi da parte di Anschütz G., Allgemeine Begriffe und Lehren des Verwaltungsrechts nach der Rechtsprechung des Oberverwaltungsgerichts, nel Preussisches Verwaltungsblatt, 1900, 83 ss., che segnò il momento di massimo successo della categoria nella dottrina germanica. Dopodiché, come riferisce Sandulli (Il procedimento, cit., 203) iniziò il periodo di inesorabile declino, fino al “rifiuto” della figura: dapprima in Gleitsmann, Vereinbarung und Gesammtakt, in Verwaltungsarch., 1902, 395 ss. e poi nelle affilate critiche di Heck P., Gesellschaftsbeschlüsse und Willensmängel bei der Gesellschaft des bürgerlichen Gesetzbuchs, nella Festschrift zum 70. Geburtstag von Otto von Gierke, Weimar, 1911, 354 ss. Di modo che, osserva sempre il Sandulli, l’atto complesso cominciò in Italia “a incontrare fortuna proprio mentre nella dottrina tedesca” iniziava il suo inesorabile declino. Alla dottrina italiana sfuggì tuttavia il nesso che, nella vicenda tedesca, “collegava il decadere della figura della Vereinbarung” all’affermazione del contratto di diritto pubblico (così Falcon G., Le convenzioni, cit., 72).

 

[42] Ossia di quelle teorie, sviluppate dalla dottrina legata alla tradizione pandettistica, che nella relazione tra fatto ed effetto giuridico hanno ravvisato la (essenza stessa della) giuridicità del fatto, che poteva qualificarsi “giuridico” solo se ed in quanto idoneo a produrre effetti giuridici. Non è questa la sede per ripercorrere l’evoluzione delle teoriche della causalità giuridica. Si rinvia pertanto a Scoca F.G., Contributo sul tema della fattispecie precettiva, Perugia, 1979, passim.

 

[43] Il concetto di atto complesso passò dalla dottrina tedesca alla dottrina italiana, ove fu accolto in vario modo e sviluppato da pandettisti (quali Fadda e Bensa, Note al Windscheid, vol. I, Torino, 1902, 845), civilisti (come Coviello N., Manuale di diritto civile italiano, 3 ed., Milano, 1924, 320), e giuspubblicisti. Tra questi spettò proprio agli amministrativisti il merito di aver approfondito la indagine nel tentativo di pervenire a una esatta determinazione del concetto. Una linea di pensiero che si affermò immediatamente, già con il Brondi V., L’atto complesso nel diritto pubblico, in Studi giuridici dedicati a F. Schupfer, Torino, 1898, III, 552 ss. (poi in Scritti minori, Torino, 1934, 4 ss.), si orientò a riconoscere alla figura una portata molto vasta, riconducendo tendenzialmente all’atto complesso tutte le forme di atti nascenti dal concorso di più volontà, in cui non fossero ravvisabili le caratteristiche del contratto. Il pensiero del Brondi, ad esempio, risalta con chiarezza da queste parole (20): “Della partecipazione di due o più volontà alla costituzione di un negozio od atto giuridico due sono le forme che si possono precisare: o una manifestazione di voleri incrociantisi, o una manifestazione di voleri paralleli. L’incrocio delle volontà è caratteristica specifica del contratto… il parallelismo delle volontà è invece la caratteristica che si pone dell’atto complesso” (la influenza del Kuntze è evidente: cfr. supra). Una ampia estensione della figura si ravvisa anche in Borsi U., L’atto amministrativo complesso, Torino, 1903 (ora in Studi di diritto pubblico, Padova, 1976, 189 ss.; dello stesso autore cfr. anche Id., Complesso (atto), in Nuovo dig. it., vol. III, Torino, 1938, 478) il quale fa rientrare nella categoria la maggior parte di quei casi in cui, riscontrandosi più dichiarazioni tendenti concordemente a un solo fine ultimo, la terminologia corrente soleva parlare di collaborazione giuridica (atti su proposta, su autorizzazione, accordi, atti soggetti ad approvazione); e in Presutti E., Il controllo preventivo della Corte dei Conti sulle spese pubbliche, Torino, 1908, 85 ss.; Id., Istituzioni di diritto amministrativo italiano, 2 ediz., Roma, 1920, vol. I, 168-172. Fu merito tuttavia delle più rigorose impostazioni del Donati D., Atto complesso, autorizzazione, approvazione, in Arch. Giur. 1903, 3 ss. (ora in Scritti di diritto pubblico, Padova, 1966, 387 ss.), ed anche del Bracci M., Dell’atto complesso, cit., quello di tratteggiare con maggior precisione ed equilibrio i confini di limitata accoglibilità della categoria. Al Donati si deve la messa a punto della impostazione poi divenuta a lungo dominante in dottrina: egli si mostrò contrario ad attribuire alla nozione un estensione troppo comprensiva, e fu piuttosto propenso a limitarne la applicazione a quei soli casi in cui si riscontrino delle dichiarazioni aventi identico contenuto e miranti a un medesimo effetto, per la realizzazione di un interesse unico e solo; in modo da escludere che le proposte, i pareri, le autorizzazioni, i visti, potessero venir considerati come facenti parte, insieme con l’atto cui si riferiscono, di un solo atto complesso. Più tardi sarà invece il Gasparri P., Studi sugli atti giuridici complessi, Pisa, 1939 ad accogliere di nuovo la figura in una ampiezza talmente comprensiva da includervi persino quelli che egli chiama atti monopersonali (o continuati), quelli cioè che sono costituiti da più atti successivi e complementari di uno stesso agente.

 

[44] In esito al percorso di riflessione sul punto (che non è possibile né utile qui ripercorrere) la esistenza di una distinzione sul piano strutturale tra le due figure fu negata: “mentre a considerare il fenomeno dal punto di vista psicologico, le singole dichiarazioni si atteggiano nei loro reciproci confronti in modo molto diverso nei due casi” (del contratto e dell’atto complesso), “invece… a esaminare il fenomeno …dal punto di vista strettamente giuridico …la posizione che le varie dichiarazioni assumono di fronte all’ordinamento, per ciò che riguarda il lato strutturale, non può apparire diversa nel contratto e nell’atto complesso… tanto nel contratto, quanto nell’atto complesso, ci si trova di fronte a un incontro di più dichiarazioni omogenee e concordanti di agenti diversi, dalle quali il diritto, pel fatto stesso che tale incontro si è verificato e che quelle dichiarazioni coesistono, lascia scendere certe conseguenze giuridiche… Il diritto vede l’incontro coordinato di più dichiarazioni (quale che sia il loro contenuto), poste in essere da agenti diversi… Sia nell’un caso sia nell’altro l’effetto sorge se e in quanto, in relazione ad esso, sia intervenuta la concorde dichiarazione degli agenti”: così Sandulli A.M., Il procedimento, cit., 206-207 che, in linea con le posizioni del Kormann K., System der rechtsgeschäftlichen Staatsakte, Berlin, 1910, 44, ravvisando tra contratto e atto complesso una diversità che attiene “unicamente al contenuto delle dichiarazioni”, nega “valore strettamente giuridico alla distinzione”; riconoscendole una utilità solo sul piano gnoseologico: “gli studi compiuti su tale distinzione” – concluse l’autore – hanno apportato “un merito indiscutibile… alla teoria degli atti giuridici. È proprio per il loro tramite, che son riuscite… precisazioni sul fenomeno della collaborazione giuridica. Per tale via …si sono differenziati i casi in cui è corretto parlare di un pari potere determinante di più atti su un effetto giuridico e della loro unificazione in un atto unico, dai casi nei quali invece ci si trova di fronte ad attività, che conservano la propria autonomia funzionale e strutturale. Esaurito tale compito… la figura dell’atto complesso è venuta a esaurire quasi interamente la sua missione”: così Sandulli A.M., Il procedimento, cit. 224, al quale si rinvia il lettore per l’esame della problematica e per complete indicazioni bibliografiche.

 

[45] Le “discussioni e le stesse polemiche in merito all’accoglibilità o meno del concetto e, comunque, alla sua portata” arrecarono un “indubbio contributo… al progredire dell’indagine scientifica”: uno dei risultati più importanti fu proprio la scoperta della “impossibilità di inserire in questa categoria una serie di altre figure”, che pure vi erano “state, più volte, ricondotte dalla dottrina. Così si dica, innanzitutto, di quegli atti che, in vario modo, costituiscono elementi di un procedimento amministrativo”: così Lucifredi R., Atto complesso, cit., 1500-1501 Sull’atto complesso, e sulla sua differenziazione dal procedimento, oltre a Donati D., Atto complesso, autorizzazione, approvazione, in Arch. giur., 1903, 3 ss. (ora in Scritti di diritto pubblico, Padova, 1966, 387 ss.), cfr. Bracci M., Dell’atto complesso in diritto amministrativo, Siena, 1927; Virga P., Il provvedimento amministrativo, Palermo, 1956, 109 ss.; Migliarese F., Atto complesso, in Enc. giur. Treccani, IV, Roma, 1988. Va ricordato peraltro che la distinzione tra atto complesso e procedimento compare già in De Valles A., La validità degli atti amministrativi, Roma, 1916, 145 ss. (rist. anastatica, Padova, Cedam, 1986), che ricalca le tesi di Tezner. Per una ricognizione aggiornata (sui limiti attuali) dell’atto complesso cfr. da ultimo, Sandulli A., Il procedimento, cit., 1102 ss. Sulla peculiare posizione del Borsi in tema di atto complesso cfr., invece, Comporti G., L’atto complesso di Umberto Borsi, cit.

 

[46] Forti U., “Atto” e “procedimento”, cit., 460-461, il quale rileva come “un po’ empirica” fosse “l’idea di una cooperazione di più volontà, necessaria al conseguimento di un effetto giuridico finale, che era servita ad identificare questo tipo di atti” alle origini del dibattito in tema. Proprio tale ragione, osserva l’autore, spiega da un lato perché essa dava risultati poco soddisfacenti; dall’altro perché “le felici e ben note indagini del Donati” e la “formula più rigorosamente sistematica da lui suggerita” abbiano impresso “un diverso indirizzo alla dottrina successiva”

 

[47] Quali, ad esempio, le proposte, i pareri, le autorizzazioni, le approvazioni, considerate insieme con l’atto cui si riferiscono: cfr. supra, in nota, e diffusamente Sandulli A.M., Il procedimento, cit.

 

[48] In tal senso Donati D., Atto complesso, cit., 3 ss. Sulla importanza dei chiarimenti del Donati per la distinzione del procedimento dall’atto complesso cfr. diffusamente Sandulli A.M., Il procedimento, cit., in partic. 4, nota 8 e 192 ss., al quale si rinvia per l’esame dell’intera problematica.

 

[49] Donati D., Atto complesso, cit., passim.

 

[50] Sandulli A.M., Il procedimento, cit., passim.

 

[51] Sandulli A.M., Il procedimento, cit., 28.

 

[52] Cammeo F., Corso di diritto amministrativo, Padova, 1914

 

[53] Così Forti U., “Atto” e “procedimento”, cit., 467, che riconosce al Cammeo il merito di aver “tracciato lo schema di una possibile trattazione futura”.

 

[54] Così Miele G., Alcune osservazioni, cit., 375, il quale ricorda che, a differenza della dottrina austriaca, “la dottrina italiana, malgrado contributi pregevolissimi, è ancora ai primi passi in questa materia”: dopo il Cammeo, che “ha saggiato tra i primi il terreno, aprendo un solco fecondo ad ulteriori elaborazioni”, osserva il Miele, “il suo tentativo è rimasto per lungo tempo isolato, fino agli studi dedicati all’argomento dal Forti”

 

[55] Si vedano gli studi appena citati. Che le tappe principali del percorso degli studi sul fenomeno procedimentale prima della opera fondamentale del Sandulli furono segnate dagli studi del Cammeo, del Forti e del Miele è riconosciuto anche nella dottrina recente: cfr., ad esempio, Bombardelli M., Decisioni, cit., 75, in nota 19, il quale sottolinea che nel contributo del Miele, già citato, “già si possono individuare alcune affermazioni in linea con quella che poi sarà la costruzione del Sandulli”.

 

[56] Il Cammeo, pur segnalando la affinità della nozione da egli proposta con la opération administrative, preferì infatti alla locuzione “operazione amministrativa” il nomen juris di “procedimento amministrativo”. Sulla stessa linea si pose poi il Forti U., “Atto” e “procedimento”, cit., 467, appoggiandosi espressamente alla presa di posizione del Cammeo; nonché il Miele G., Alcune osservazioni, cit., 375 ss. (cfr., in particolare, 377, nota n. 6).

 

[57] Cfr. gli autori citati poc’anzi.

 

[58] Il piano terminologico, tuttavia, interviene di nuovo a complicare la questione: proprio la dottrina (Forti U., “Atto” e “procedimento”, cit., 456) che riesce ad abbozzare una distinzione concettuale delle nozioni di operazione e di procedimento non utilizza, per la prima, la espressione “operazione amministrativa”, ma quella (suggestiva) di “procedimento in senso ampio”. Sul punto cfr. infra, nel testo e in nota.

 

[59] De Valles A., La validità, cit., 23 ss

 

[60] Cammeo F., Corso di diritto amministrativo, II, Padova, 1914, (nella ristampa del 1992 curata dalla Cedam).

 

[61] Borsi U., La giustizia amministrativa, IV edizione, Padova, 1934 (la I edizione è del 1930).

 

[62] Forti U., “Atto” e “procedimento”, cit., 456.

 

[63] Miele G., Alcune osservazioni, cit., 375 ss.

 

[64] Cfr. De Valles A., La validità, cit., 24, in nota 1; Cammeo F., Corso, cit., nota 1, 1085.

 

[65] De Valles A., La validità, cit., 23.

 

[66] De Valles A., La validità, cit., 23, 26.

 

[67] Cammeo F., Corso, cit., 1234.

 

[68] Così Miele G., Alcune osservazioni, cit., 377, in nota 6, il quale, nel rilevare la oscurità della posizione del De Valles, osserva: “sembra” che per il De Valles “l’operazione amministrativa… non sia la deliberazione collegiale, né l’accordo, né la volontà plurima; bensì il coordinamento estrinseco e accidentale di più voleri accessori intorno a una volontà principale nelle varie figure che esso assume secondo che le prime siano motivo, motivo-presupposto, condizione di validità o di efficacia, attività recettive della volontà principale”

 

[69] De Valles A., La validità, cit., 26, “Ogni operazione amministrativa, che tende a realizzare uno degli scopi per i quali l’attività amministrativa delle persone giuridiche pubbliche si svolge, non consta quasi mai di un atto semplice: normalmente al raggiungimento d’un effetto concorre una serie di atti, dei quali l’uno è la premessa logica e giuridica dell’altro, sino alla fine della serie”.

 

[70] Cammeo F., Corso, cit., 1234, ravvisa la ricorrenza del fenomeno del “procedimento amministrativo”, cui dedica un apposito paragrafo, “quando la produzione di effetti giuridici risulta dal concorso di più atti, o anche da atti e fatti, purché questo concorso sia regolato da norme che disciplinano l’ordine della successione loro e le relative forme”.

 

[71] La nozione è ritagliata infatti sulla base della destinazione legale di una serie di più atti e fatti alla produzione degli effetti giuridici. È in questi ultimi che è individuato il punto di legamento della nozione.

 

[72] Dopo aver definito il fenomeno del procedimento amministrativo (cfr. supra, in nota), l’autore subito precisa “Questo è fenomeno, però non generale e costante, bensì accidentale: quando si verifica può assumere forme diverse, essendovi procedimenti semplici e procedimenti complessi. Non è quindi possibile una trattazione generale in proposito” (così Cammeo F., Corso, cit., 1234). Nella dottrina contemporanea ricorda che il Cammeo, e, in seguito, il Forti, “si mostravano scettici circa l’utilità di una costruzione unitaria del procedimento” Sandulli A., Il procedimento, cit., 1092.

 

[73] Forti U., “Atto” e “procedimento”, cit., 456. Sul punto cfr. infra.

 

[74] Borsi U., La giustizia, cit., 34, il quale propone di distinguere il procedimento formativo di ciascun atto dall’operazione amministrativa: “È vero che l’osservanza dell’ordine di successione stabilito dalla legge per i vari atti di uno stesso procedimento costituisce un elemento della legittimità dei medesimi; che, di regola, il contenuto negativo di uno di tali atti preclude l’emanazione dei successivi, rendendoli invalidi se emanati, e che l’impugnativa di alcuni non può avvenire che attraverso l’impugnativa di altri che logicamente ne dipendono, ma non si deve dimenticare che anche singoli atti hanno una loro individualità giuridica e che le modalità sostanziali e formali ed il particolare effetto di ciascuno possono essere distintamente valutati. In materia di giustizia amministrativa, di solito, oggetto diretto di considerazione sono appunto i singoli atti, mentre i procedimenti offrono punti di riferimento per l’indagine circa la legittimità degli atti stessi. Occorre però non confondere tali procedimenti col procedimento formativo di ciascun atto, onde sarebbe forse opportuno assegnare ai primi un diverso nome, come, ad esempio, quello, già introdotto in dottrina ed usato in qualche decisione, di “operazioni amministrative””.

 

[75] Il riferimento all’“effetto finale” è stato definito “indecifrabile” da Graziosi B., Note, cit. 505; ciò nel senso che da esso non è dato ricavare con chiarezza se il punto di individuazione della nozione sia da ravvisare nello scopo pratico (o nel risultato) ovvero nell’effetto giuridico. Tale circostanza, tuttavia, sembra indirettamente avvalorare la nostra scelta di sistemare la posizione del Borsi in una fase intermedia del percorso logico di chiarificazione delle due figure. Sul punto si vedano i recenti chiarimenti di Comporti G., L’atto complesso di Umberto Borsi, cit., il quale, attraverso un esame esteso all’intero percorso di riflessione del Borsi, riesce a far emergere la posizione originale assunta da questo studioso nel panorama della dottrina pubblicistica del primo novecento, concludendo che egli, “attratto dal mondo dinamico dell’attività e delle funzioni, indagate sempre con occhio attento alla prassi e alla natura delle cose, ... non è rimasto prigioniero delle classificazioni correnti e, pure a costo di alcune inevitabili imprecisioni di carattere logico-concettuale, ha così potuto mettere a fuoco l’idea della collaborazione quale asse portante di ogni sistema amministrativo, anche di tipo accentrato o statocentrico quale era nella sostanza quello a lui contemporaneo, in grado di ordinare ed integrare le varie potestà in cui esso si articola in vista della realizzazione dei risultati avuti di mira. È il momento produttivo ed unificante dell’effetto finale, più che il profilo statico e disaggregante dell’assetto normativo delle competenze ad attirare l’attenzione dello studioso e ad orientarne l’analisi: da essa prende progressivamente corpo l’ipotesi che il piano oggettivo dell’attività, lungi dal riflettere il carattere irrelato delle distinte soggettività autrici di singolari manifestazioni di volontà, evidenzia momenti di sintesi e di integrazione mediante le quali le varie competenze amministrative e la pluralità di atti che ne sono la fattuale espressione, si convertono giuridicamente in unitarie fattispecie di poteri tendenti al loro naturale esplicitamento” (così alle pp. 312-313).

 

[76] Così Forti U., “Atto” e “procedimento”, cit., 467.

 

[77] Forti U., “Atto” e “procedimento”, cit., 469, 470.

 

[78] Così Forti, “Atto” e “procedimento”, cit., 467.

 

[79] Forti U., “Atto” e “procedimento”, cit., 467, pone il “quesito se, per le esigenze sistematiche di una classificazione degli atti amministrativi”, classificazione da operare, precisa l’autore, non sulla base dello scopo pratico, ma degli effetti giuridici che a ciascun tipo di atto il diritto attribuisce (così a p. 463), “non sia più utile una nozione di procedimento ristretta ad un campo assai meno vasto di quello che comunemente le viene assegnato”: in questo “largo campo sarebbe utile distinguere un procedimento in senso stretto e uno in senso ampio…”.

 

[80] L’autore nei termini che seguono tratteggia la configurazione del “procedimento in senso stretto”: è questa la figura “che meglio e direi anche letteralmente aderisce alla nozione che la dottrina ha delineato del procedimento … quando si dice, parola più o meno, che l’effetto giuridico può derivare più che da un “atto” da un procedimento, se esso è riconesso ad una serie di comportamenti consecutivi, legati in successione logica e legalmente necessaria”. Ciò può correttamente affermarsi, prosegue l’autore, “quando invece di un atto consistente in unica dichiarazione si abbia… una serie …di comportamenti successivi che si potrebbe designare come atto-procedimento, tanto per intenderci”, perché “qui il procedimento, dal punto di vista sistematico, tien luogo dell’atto”. L’autore così argomenta la proposta di configurare il procedimento in senso stretto in termini di “atto-procedimento”: “… se è vero che in ogni procedimento c’è un atto tipico (che credo sia sempre quello finale) che sta in primo piano …, che nella pratica a questo solo atto si riconnettono gli effetti, e che… altrettanto suol farsi scientificamente; non è men vero però che in questi casi l’effetto è riconnesso ad una serie di atti successivi e come ad un atto solo. Ma perché questo si possa esattamente dire, occorre che ciascuno degli atti, meno l’ultimo, risulti individuato da un effetto che sia prodromico e parziale nei confronti dell’atto finale”. Solo in questi casi, osserva l’autore, si avrà un procedimento “in luogo di un semplice atto”; perché se uno degli atti diversi dall’ultimo fosse individuato da un effetto giuridico autonomo ci si troverebbe dinanzi ad “un procedimento più un atto”. Sulla base di tale rilievo il Forti passa ad illustrare il punto più controverso e criticato (vedi infra) della sua proposta ricostruttiva, in cui delinea il procedimento in senso stretto, costruito ormai in termini di atto-procedimento, inteso quale procedimento che si svolge all’interno di un unico ente: “…se è vero … che la formazione successiva di un atto amministrativo è fenomeno normalmente connesso alla struttura delle persone giuridiche, a me pare che quel requisito dei singoli atti del procedimento… (produzione di effetti parziali nei confronti dell’effetto finale) si riscontri soltanto quando questi emanino da più organi dello stesso soggetto. Cioè che solo in questo caso si abbia quello che ho chiamato l’atto-procedimento” (così Forti U., “Atto” e “procedimento”, cit., 467, 468, 469). Sulle principali critiche che furono rivolte alla categoria dell’atto-procedimento, presto superata dalla dottrina, cfr. infra, in nota.

 

[81] Così Forti U., “Atto” e “procedimento”, cit., 469-470.

 

[82] L’autore la richiama nella formulazione del Chiovenda G., Principi di diritto processuale civile. Le azioni. Il processo di cognizione, Napoli, 1923, § 3 e 51 bis.

 

[83] L’autore subito soggiunge: “Non nego che possa apparire compito un po’ faticoso distinguere e separar l’uno e l’altro nell’apparente unità empirica del fenomeno giuridico: ma, se le cose stanno così, l’opera faticosa non sarà perciò meno utile e necessaria alla costruzione del sistema. Per la quale, come si sa, bisogna spesso percorrere vie seminate di triboli”.

 

[84] È questo il senso principale di una nota proposizione del Forti, che spesso è stata richiamata, invece, in modo non del tutto pertinente, a mo’ di condanna della nozione di operazione amministrativa: “Se la nozione di “procedimento” si limita a quello che ho chiamato procedimento in senso ampio … la nozione stessa, esatta in sé, sarà applicata a casi diversi tra loro. Può diventare di conseguenza non un criterio che illumini ma un mantello che ricuopra e nasconda caratteri differenziali, …come è avvenuto… nelle prime, per quanto pregevoli, elaborazioni della nozione dell’atto complesso (prima delle chiarificazioni che vi ha apportato il Donati), le quali accomunano serie di atti dotati ciascuno di vita giuridica autonoma (es. deliberazione e approvazione tutoria) e serie di atti che concorrono a costituire una volontà complessa”: così Forti U., “Atto” e “procedimento”, cit., 470-471.

 

[85] Come ricorda anche Sandulli A.M., Il procedimento, cit., 29-30, in nota 32.

 

[86] La figura dell’atto-procedimento destò immediate perplessità (cfr., ad es. Biscaretti Di Ruffia P., La proposta nel diritto pubblico, Roma, 1936, 75 ss.; De Valles A., Teoria giuridica della organizzazione dello Stato, I, Macerata, 1931, 249, nota 2; Carnelutti F., Forma degli atti complessi, in Riv. dir. comm., 1937, I, 458; Gasparri P., Studi sugli atti giuridici complessi, Pisa, 1939, 44; Miele G., Alcune osservazioni, cit., 377 ss.), anche in quella parte della dottrina che pur accolse la distinzione tra procedimento in senso stretto e procedimento in senso ampio. Essa, come è noto, fu poi oggetto di critiche fondate e definitive da parte del Sandulli. Già il Miele, tuttavia, aveva in precedenza messo a fuoco i principali punti critici della categoria, sui quali si appuntò poi l’approfondimento del Sandulli. È opportuno concentrarsi brevemente sulle considerazioni di questi due illustri autori. Il primo in pochi efficaci tratti di penna così riassume la posizione del Forti: nella proposta dell’atto – procedimento avanzata dal Forti “procedimento in senso proprio sarebbe soltanto quello che è prescritto invece di un atto, caratterizzandosi tutti gli elementi di cui consta dai loro effetti parziali e non autonomi nei confronti dell’effetto “pieno e indipendente” che si ricollegherebbe solo praticamente ad uno di essi, l’atto centrale. Importa, questa definizione, che l’atto-procedimento può dar vita a un atto-complesso e, di regola, l’atto complesso è formato da un procedimento; che l’atto-procedimento si ha, concorrendo le condizioni poste, nell’ambito di un solo soggetto, dove è possibile riscontrare la unicità di interessi” (così Miele G., Alcune osservazioni, cit., 377). È proprio quest’ultimo punto, in cui i procedimenti esterni vengono esclusi dalla categoria dei procedimenti in senso stretto, che, secondo il Miele, desta la maggiore perplessità; il Forti afferma tale esclusione sulla base del “principio… della distinzione degl’interessi conseguente alla pluralità di soggetti”; “principio in sé irrefutabile” – osserva –, “ma non tale tuttavia da farci dimenticare che anche ogni organo di una persona morale costituisce un proprio centro d’interessi, autonomo e per sé stante rispetto a quelli propri di altri organi del medesimo ente. Sicché le incertezze sono tutt’altro che eliminate” (Miele G., Alcune osservazioni, cit., 379). Tale spunto è ripreso espressamente da Sandulli A.M., Il procedimento, cit., in partic. 32, in nota 3, il quale dedica ampio spazio all’approfondimento della critica dell’atto-procedimento (cfr. in partic. 29, 30 32, 84, 97 ss.). È opportuno limitare i richiami ad alcuni passi essenziali: “…non pare possa ritenersi che, di fronte al diritto, il procedimento che si svolga all’interno di una persona giuridica, e che in fondo anch’esso risulta da una successione di attività giuridiche, e cioè di fatti giuridici, si atteggi in modo diverso, e anzi abbia addirittura una natura diversa, da quello che si svolge tra più soggetti…Né …le singole attività… che vengono poste in essere nell’esplicazione della stessa funzione giuridica (p. es. un’approvazione), possono venir considerate come dotate di una natura radicalmente diversa, a seconda che siano rivolte ad altri organi dello stesso ente o a enti diversi, di talché nel primo caso sarebbero da configurare come gli elementi costitutivi di un atto, e nel secondo come degli atti in sé” (così a p. 32, nota 3); “non esiste alcuna ragione per tener differenziato nella natura giuridica il procedimento che si svolga nell’interno di un unico ente, da quello che si sviluppi attraverso una successione di attività di enti diversi”; “l’essenza del procedimento è sempre la medesima, quale che possa essere l’ampiezza della fattispecie in funzione della quale essa si svolga”; se una differenza dovesse ammettersi “tra le due specie di procedimento, essa … potrebbe, tutt’al più, essere di carattere meramente quantitativo. E ciò unicamente nel senso che è più facile riscontare l’ipotesi che i singoli momenti di un procedimento esterno siano venuti in essere a seguito di procedimenti interni, di quanto sia possibile imbattersi nella ipotesi inversa” (così a p. 84). Cfr. soprattutto 97 ss., in cui l’autore approfondisce la critica alla categoria dell’atto-procedimento dalla prospettiva più ampia del dibattito relativo alla giuridicità delle relazioni interorganiche: in tale parte della opera il Sandulli, con una notevole anticipazione, utilizza “la strutturale connessione fra procedimento e organizzazione” (così Pajno A., Aldo M. Sandulli, cit., 358) per escludere, sulla linea del Miele, una diversa, speciale valenza dei procedimenti interni, rispetto ai procedimenti esterni. Cfr. inoltre pag. 114, in cui l’autore perentoriamente conclude che con “l’atto-procedimento… rientra dalla finestra quella nozione troppo ampia di unificazione di attività diverse in un solo atto, che efficacemente è stata messa fuori dalla porta, allorché sono state vittoriosamente battute in breccia quelle concezioni, le quali erano solite dare eccessiva estensione alla figura dell’atto complesso”

 

[87] Non agì, ovviamente, solo un ostacolo di natura logica: era, più in profondità, da un lato la concezione generale dell’azione amministrativa quale azione autoritativa ed esecutiva (della legge); e, dall’altro, i caratteri del modello globale di organizzazione amministrativa (accentrata, piramidale e gerarchizzata, statocentrica e burocratizzata), ad impedire (la esigenza stessa di) una raffigurazione unitaria dell’attività amministrativa cooperante al conseguimento di un risultato amministrativo unitario in termini di operazione amministrativa. Sul punto si veda più diffusamente tra breve, nel testo. Sia sufficiente richiamare, per il momento, per il profilo relativo alla attività amministrativa, le considerazioni di Scoca F. G., Il coordinamento e la comparazione degli interessi nel procedimento amministrativo, in Studi in onore di G. Abbamonte, Napoli, vol. II, 1999, 1261 ss.; per quello organizzativo le pagine di Di Gaspare G., Organizzazione amministrativa, in Dig. disc. pubbl., vol. X, Torino, 1995, 513 ss.

 

[88] L’autore mette a fuoco innanzitutto le “principali difficoltà” inerenti al problema della individuazione della nozione del procedimento: “Come ogni problema, il quale si pone raramente isolato, anche il nostro pone in gioco concetti limitrofi, quali, ad es., quello di atto complesso, di contratto, di deliberazione collegiale (nel suo stadio ultimo di formazione della volontà); e richiede la necessaria determinazione di altri che ne sono, a quanto pare, necessaria conseguenza; definitività, pendenza, perfezione, retroattività, invalidità derivata; o elementi per la sua soluzione: effetti principali e secondari, effetti autonomi ed effetti accessori”: così Miele G., Alcune osservazioni, cit., 376-377. L’autore sottolinea, inoltre, come tutte le definizioni del procedimento proposte dalla dottrina comprendano, “accanto al concorso di fatti che influiscono sulla produzione dell’effetto giuridico considerato, la condizione o il requisito della necessità legale di essi e del loro svolgersi in un certo ordine, parimenti dalla legge determinato”. Pur condividendo in linea di massima, con la totalità della dottrina del tempo, l’indicato ordine di idee (sul punto cfr. infra, nel testo e in nota), l’autore abbozza una precisazione importante laddove, nell’enunciare una distinzione tra procedimento giuridicamente necessario (che ricorre laddove la serie degli atti, nel numero e nell’ordine, è prescritta tassativamente dalla legge, con la conseguenza che eventuali infrazioni si ripercuoteranno sulla validità o sull’efficacia dell’atto principale…) e procedimento non necessario (ricorrente nei casi in cui il concorso e l’ordine dei comportamenti non ha giuridicamente alcuna influenza sull’atto principale), chiarisce che anche del secondo va riconosciuta rilevanza giuridica: Id., Alcune osservazioni, cit., 381.

 

[89] Miele G., Alcune osservazioni, cit., 377: “Entrambe le nozioni possono coesistere, perché ammetterne una non equivale a rigettarne l’altra o ritenerla erronea”.

 

[90] Miele G., Alcune osservazioni, cit., 378-379. L’autore si sofferma puntualmente sul problema, aperto nella dottrina del tempo, della individuazione del “punto di legamento” del procedimento e su quello, strettamente correlato al primo, della sua estensione. Dopo aver rilevato che il problema del “rapporto fra i vari comportamenti” che si succedono nel procedimento è quello “che offre le maggiori difficoltà” teoriche; ed aver osservato che esso “non è del tutto individuato nelle formule usuali, degli atti con effetti parziali e prodromici nei confronti dell’atto autonomo o finale; o dell’ordine legale e necessario con cui si presentano i comportamenti che costituiscono il procedimento” (formule da cui dipendono le varie divergenze dottrinarie nella delimitazione dei confini del procedimento – così rileva il Miele, richiamando espressamente le soluzioni cui erano pervenuti, tra gli altri, il Cammeo F., Corso, cit., vol. III, 1272 ss., e il Forti U., “Atto” e “procedimento”, cit., 458 ss.), conclude nel modo seguente: “la esistenza di atti accessori e dell’atto principale resta un postulato della nozione di procedimento, intendendo per atto principale quello a cui il diritto riannoda l’effetto giuridico che rappresenta la destinazione ultima e fondamentale dei diversi comportamenti. È appunto questa destinazione ultima e fondamentale, che ben si adatta alla molteplicità dei casi, che serve a delimitare l’estensione del procedimento… Dal che non si deve inferire che siffatta destinazione sia l’emanazione dell’atto centrale… La qualifica di atto centrale deriva da un dato positivo, quale il ricollegarsi ad esso dell’effetto giuridico considerato, ed è in questo che deve ravvisarsi il punto di legamento dei vari atti e fatti che intervengono nel procedimento”.

 

[92] Si rinvia alle note in cui ci si è già soffermati sulle critiche rivolte dal Miele (e dal Sandulli) all’atto-procedimento.

 

[93] Cfr. supra, in nota, ove si è posta in luce, sul punto, la continuità tra la posizione del Miele e le soluzioni affermate dal Sandulli.

 

[94] Miele G., Alcune osservazioni, cit., 379.

 

[95] Si vedano gli autori già citati supra.upra.

 

[96] Così Cardi E., Procedimento, cit., 1-2.

 

[97] Cfr. ampiamente Police A. - Immordino M. (a cura di), Principio di legalità e amministrazione di risultato, cit.; Spasiano M., Funzione amministrativa, cit. L’impulso a rassodare parte della riflessione scientifica attorno alla formula della “amministrazione per risultati” (coniata negli anni sessanta da Giannini) si deve a Iannotta, che ha dedicato numerosi appassionati lavori all’argomento: cfr. Iannotta L., Scienza e realtà: l’oggetto della scienza del diritto amministravo tra essere e divenire, in Dir. amm., 1996, 579 ss.; Id., La considerazione del risultato nel giudizio amministrativo: dall’interesse legittimo al buon diritto, in Dir. proc. amm., 1998, 299 e ss.; Id., Previsione e realizzazione del risultato nella Pubblica amministrazione: dagli interessi ai beni, in Dir. amm., 1999, 57 e ss.; Id., Principio di legalità e amministrazione di risultato, in Amministrazione e ordinamenti (Atti del Convegno di Macerata del 21 e 22 maggio 1999), Milano, 2000, 37 ss.; Id., Merito, discrezionalità e risultato nelle decisioni amministrative (l’arte di amministrare), in Dir. proc. amm., 2005, 1. Per alcuni lucidi e sintetici chiarimenti sulla intera tematica cfr. Romano Tassone A., Sulla formula “Amministrazione per risultati”, in Scritti in onore di Elio Casetta, II, Napoli, 2001, 815 ss.; Cammelli M., Amministrazione di risultato, in Annuario AIPDA 2002, Milano, 2003, 107; Corso G., Amministrazione di risultato, in Annuario AIPDA 2002, 127; Pastori G., La disciplina generale dell’azione amministrativa, in Annuario AIPDA 2002, 33; Cassese S., Che vuol dire “amministrazione di risultati?, in Giornale dir. amm., 2004, 941.

 

[98] Cfr., in particolare, Scoca F.G., Il coordinamento, cit., 1261 ss.; Comporti G., Il coordinamento, cit.; Merusi F., Il coordinamento e la collaborazione degli interessi pubblici e privati dopo la riforma delle autonomie locali e del procedimento amministrativo, in Atti del Convegno di Varenna 19-21 settembre 1991, Milano, 1994, 39 ss. Per una trattazione sintetica, in cui si pone in evidenzia la tendenza della dottrina più recente a considerare il coordinamento non come potere o come una relazione organizzativa, bensì come “risultato” di una azione (coordinata) di più uffici o più strutture organizzative, si veda Scoca F.G., I modelli organizzativi, in Diritto amministrativo (a cura di Mazzarolli L., Pericu G., Romano A., Roversi Monaco F.A., Scoca F.G.), Bologna, 2005, vol. I, 386 ss. Per il dibattito più risalente in tema cfr. AA.VV., Coordinamento e collaborazione nella vita degli enti locali (Atti del V Convegno di Studi di scienza dell’amministrazione, Varenna, 17-20 settembre 1959), Milano, 1961; Bachelet V., L’attività di coordinamento nell’amministrazione dell’economia, Milano, 1957; Bachelet V., Profili giuridici dell’organizzazione amministrativa, Milano, 1965; Bachelet V., voce Coordinamento, in Enc. dir., vol. X, Milano, 1962, 635 ss.; Orlando L., Contributo allo studio del coordinamento amministrativo, Milano, 1974; Amato G. - Marongiu G. (a cura di), L’amministrazione della società complessa. In ricordo di Vittorio Bachelet, Bologna, 1982, 129 ss.; Piga F., voce Coordinamento (principio del), in Enc. giur. Treccani, vol. IX, Roma, 1988, 1 ss.

 

[99] Cfr. Cammelli M., I raccordi tra i livelli istituzionali, in Le istituzioni del federalismo, 2001, 1079 ss.; Torchia L., Cooperazione, e concertazione tra livelli di governo nel nuovo titolo V, in Bottari C. (a cura di), La riforma del Titolo V, parte II della Costituzione, Dogana, 2003, 333 ss.

 

[100] Cfr. Scoca F.G., Analisi giuridica della conferenza di servizi, in Dir. amm., 1999, 255 e ss.; Bombardelli M., Decisioni, cit.; Romano Tassone A., Sulla formula, cit., 815. Dello stesso autore cfr., ampiamente, Id., Note sul concetto di potere, cit.

[101] Sciullo G., Il federalismo amministrativo e l’attribuzione di funzioni, in www.federalismi.it, 14/2005; Ricci S., Riflessioni su buon andamento e principio di sussidiarietà anche alla luce della più recente giurisprudenza della Corte costituzionale, in www.federalismi.it, 9/2005; Larat F., Le Regioni nel sistema di multi-level governance. Adattare e trasformare la governance e le sue sfide, in Le istituzioni del federalismo, 2004, 93; Amato G., La riforma del Titolo V. Una rivoluzione amministrativa, in Parlamenti regionali, 2001, 23 ss.; Berti G - De Martin G. (a cura di), Il sistema amministrativo dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, Milano, 2002; Bin R., La funzione amministrativa nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Le Regioni, 2003, 365 ss.; Cassese S., L’amministrazione nel nuovo titolo quinto della Costituzione, in Giornale di diritto amministrativo, 2001, 1193 ss.; Cerase F.P., Indirizzo, controllo ed “accountability” nella pubblica amministrazione italiana, in Riv. trim. dir. pubbl., 1999, I, 803 ss.; Corpaci A., Revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione e sistema amministrativo, in Le Regioni, 2001, 1305 ss.; Corso G., Una nuova amministrazione?, in Nuove autonomie, 2003, 3, 301 ss.; D’Atena A., Il nodo delle funzioni amministrative, in www.associazionedeicostituzionalisti.it; Marini F. S., La “pseudo collaborazione” di tipo organizzativo: il caso della conferenza Stato-Regioni, in Rassegna Parlamentare, 2001, II, 649 ss.; Albanese A., Il principio di sussidiarietà orizzontale: autonomia sociale e compiti pubblici, in Dir. pubbl., 2002; Cammelli M., Principio di sussidiarietà e sistema amministrativo nel nuovo quadro costituzionale, in Atti del convegno “Il sistema amministrativo dopo la riforma del Titolo V della Costituzione”, Roma, 2002; Cassese S., L’aquila e le mosche. Principio di sussidiarietà e diritti amministrativi nell’area europea, in Foro it., 1995, 373 ss.; Rimini, 1997; Chiti M.P., Principio di sussidiarietà, pubblica amministrazione e diritto amministrativo, in Dir. pubbl., 1995, 516 ss.; D’Atena A., Il principio di sussidiarietà nella Costituzione italiana, in Riv. trim. dir. pubbl. com., 1997, 603 ss.; Duret P., La sussidiarietà “orizzontale”: le radici e le suggestioni di un concetto, in Jus, 2000, 1, 95 ss. Tra le monografie vanno ricordate: D’Alessandro D., Sussidiarietà, solidarietà e azione amministrativa, Milano, 2004; De Carli P., Sussidiarietà e governo economico, Milano, 2002; Vittadini G. (a cura di), Sussidiarietà. La riforma possibile, Milano, 1998; Moscarini A., Competenza e sussidiarietà nel sistema delle fonti, Padova, 2003; Bifulco R., La cooperazione nello Stato unitario composto, Padova, 1995; Buzzacchi C., Uniformità e differenziazione nel sistema delle autonomie, Milano, 2003; Duret P., Sussidiarietà e autoamministrazione dei privati, Padova, 2004; Bombardelli M., La sostituzione amministrativa, Padova, 2005. In prospettiva comparata cfr. Pepe V., La sussidiarietà nella comparazione giuridica. L’esperienza francese, Napoli, 2002.

 

[102] In tal senso Cartei G.F., voce Servizi (conferenza di), in Dig. disc. pubbl., vol. XIV, Torino, 1999, 65-66, che parla del “principio … di cooperazione tra soggetti pubblici titolari di interessi contermini”. Tale principio è oggetto di un acceso dibattito nella dottrina tedesca, alla quale si richiamano in Italia quegli autori che di recente hanno ad esso fatto riferimento: come riferisce Voßkuhle A., “Concetti chiave” della riforma del diritto amministrativo nella Repubblica Federale Tedesca. Una ricognizione critica, in Dir. pubbl., 2000, 730, l’intera discussione attuale sulla riforma amministrativa in Germania “sta sotto il segno dei concetti di cooperazione e di diritto cooperativo”.

 

[103] Così Ferrara R., Gli accordi di programma, Padova, 1993, 117.

 

[104] Comporti G., Il coordinamento infrastrutturale. Tecniche e garanzie, Milano, 1996.

 

[105] D’Orsogna D., Conferenza di servizi, cit.

 

[106] Cassese S., L’arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato, in Riv. trim. dir. pubbl., 2001, 601 e ss.

 

[107] Bombardelli M., Decisioni, cit.

 

[108] Scoca F.G., Il coordinamento e la comparazione degli interessi nel procedimento amministrativo, in Studi in onore di G. Abbamonte, Napoli, vol. II, 1999, 1261 e ss.

 

[109] Berti G., Sussidiarietà e organizzazione dinamica, in Jus, 2004, 171; Id., La giuridicità pubblica e la riforma del Titolo V, parte II della Costituzione, in Jus, 2002, 147 ss.

 

[110] Cfr. Hespanha A.M., Introduzione alla storia del diritto europeo, Bologna, 1999, 14-15: che avverte del rischio “di una prospettiva deformata del campo storico, in cui gli oggetti e le questioni vengono ritagliati a partire di dal modo di vedere e concepire il diritto odierno. Così il presente è imposto al passato; ma anche, il passato è imprigionato in categorie, problematiche e angosce del presente, perdendo così il suo stesso spessore e la sua stessa specificità, il suo modo di immaginare la società, di organizzare i temi, di porre le questioni e risolverle”. Detto in altri termini: nel passato “è sempre possibile trovare segni e anticipazioni di quanto poi si è verificato. Ma normalmente si perdono di vista tanto le altre possibilità di sviluppo, come le perdite che l’evoluzione che si è verificata ha originato”. In senso analogo già Giannini M.S., Diritto amministrativo, in Enc. dir., vol. XXII, Milano, 1964, 855 ss. (in partic. 856), quando ebbe modo di criticare chi ha scritto “degli atti amministrativi dei consoli o degli imperatori romani” o, più in generale, che “i Cinesi e i Romani, gli Ebrei e gli Spartani avevano un diritto amministrativo, ma non erano riusciti ad elevarne una scienza”.

 

[111] Il punto è sottolineato espressamente dal Miele G., Alcune osservazioni, cit., 377, il quale richiama anche le definizioni (qui già richiamate, cfr. supra) di De Valles, Forti, Cammeo.

 

[112] Si utilizza l’espressione nel significato fissato da Ledda F., Problema amministrativo e partecipazione al procedimento, in Dir. amm., 1993, 133 ss.

 

[113] “In un sistema in cui il postulato di partenza della personalità dello Stato richiedeva l’esistenza di un’unica fonte della sua volontà e, di conseguenza, la concentrazione della capacità creativa-innovativa di assetti e rapporti del mondo civile nel comando legislativo, unica sorgente del diritto, riconoscendosi al comando amministrativo la sola funzione di provvedere alla cura di un interesse già definito “esplicando” un rapporto giuridico (di supremazia) già esistente fra l’autorità emanante e il soggetto o organo destinatario, l’esame degli atti del potere esecutivo non poteva che ridursi ad una classificazione statica dei loro elementi, condotta non nella prospettiva unificante e dinamica del conseguimento del risultato finale ma secondo la retrospettiva dello schema formale del singolo comando normativo di riferimento”: così Comporti G., L’atto complesso di Umberto Borsi, cit., 305-306, il quale osserva che in tale quadro generale anche le ricerche attorno agli atti complessi (da cui germinò la figura dell’operazione) divennero “occasione non già per comporre visioni di sintesi dei poteri concorrenti verso la realizzazione di risultati comuni, ma per scomporre l’attività degli enti pubblici  in una vasta serie di atti singoli (autorizzazioni, pareri, visti, approvazioni), distinti secondo il valore specifico dei rispettivi effetti, ovvero secondo la peculiare loro capacità di dare svolgimento concreto a relazioni giuridiche precostituite da  appositi comandi legislativi. Un’analisi condotta con lo sguardo costantemente rivolto alla fonte normativa (delle condizioni legali) di ogni manifestazione del potere amministrativa non poteva, del resto, consentire di ordinare le sue vicende esplicative se non secondo un rigido criterio di serialità e causalità meccanica capace di identificare esattamente la intima forza motrice di ogni anello della catena di comandi destinati a dare pieno esplicamento alla fattispecie legale. Quello che indubbiamente si acquistava in termini di rigore e precisione di analisi, si perdeva d’altra parte in termini di visione complessiva del fenomeno e dei momenti informali di collaborazione che si registrano nei rapporti tra amministrazioni deputate alla cura di interessi concorrenti e del loro possibile inquadramento entro una unitaria vicenda procedimentale di composizione delle varie posizioni di potere capace di rendere effettivo ed implementare l’astratto assetto organizzativo delle competenze”.

 

[114] Ci si riferisce alla esclusione, operata dal Miele, dei procedimenti c.d. “esterni” dall’ambito di estensione della categoria dell’operazione amministrativa (procedimento in senso ampio, nella terminologia del Forti), e la loro inclusione in quella del procedimento in senso stretto, di cui il Miele rifiuta, però, la costruzione quale atto-procedimento. Vedi supra, in nota.

 

[115] Che si tratti di una “realtà” alla quale corrisponda nel suo insieme il dovere generale dell’amministrazione pubblica di perseguire gli scopi indicati dalla legge è una verità, tuttavia, la cui acquisizione, favorita dalla ormai matura assimilazione della concezione funzionale della azione amministrativa, è molto più tarda rispetto alla epoca della elaborazione della figura della operazione amministrativa: cfr., per tutti, Scoca F.G., Il silenzio della pubblica amministrazione, Milano, 1971. Sul punto cfr. in particolare Meloncelli A., L’iniziativa amministrativa, Milano, 1976, 165 ss. (per alcune anticipazioni cfr. anche Daniele L., L’obbligo dell’amministrazione di provvedere, in Cons. Stato, 1959, II, 330 ss.). L’individuazione di tale “realtà giuridica amministrativa” è suggerita dalla considerazione che “la norma indica lo scopo ultimo da perseguire e che, di conseguenza, predispone determinati poteri e la serie della loro successione”; il che impone di estendere la rilevazione giuridica ai casi in cui “un provvedimento amministrativo, cioè un atto dotato di autonomia funzionale, non sia di per sé idoneo a soddisfare lo scopo ultimo indicato dalla legge, non sia cioè idoneo a realizzare l’utilità totale che solo la serie completa dei procedimenti riesce a garantire”. L’esempio classico è quello del bando di concorso o della dichiarazione di pubblica utilità, atti dotati di “autonomia funzionale” e “idonei a produrre una lesione diretta nella sfera giuridica degli amministrati”, ma inidonei a realizzare di per sé lo scopo che la legge pone all’amministrazione pubblica, il quale potrà dirsi soddisfatto solo quando sarà adottato “l’atto finale, non di un solo procedimento, ma di una serie di procedimenti, predisposti nel loro insieme in vista di un unico scopo”. Così si esprime Meloncelli A., L’iniziativa, cit., 169-170, in nota 9, il quale così prosegue: “Ad osservare il fenomeno da altro punto di vista, si potrebbe anche pensare che l’utilità totale è realizzata, nel procedimento di espropriazione, ad esempio, non dal decreto di occupazione d’urgenza, né dal decreto di espropriazione, perché è solo la realizzazione dell’opera o comunque l’effettiva destinazione del bene espropriato allo scopo sociale per il quale è stata disposta l’espropriazione, che può dirsi satisfattiva dell’interesse pubblico in maniera totale”.

 

[116] Sui collegamenti tra procedimenti cfr. Sandulli A.M., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, 658 ss. e Giannini M.S., Diritto amministrativo, II, 1993, 650 ss.; nonché, più di recente, Morbidelli G., Procedimento amministrativo, cit., 589 ss.

 

[117] Si utilizza qui la formula proposta da Villata R. - Sala G., Procedimento, cit., 586. Non è questo il luogo per riaprire le spinose tematiche (sostanziali, processuali e di teoria generale) della presupposizione nel diritto amministrativo. Oltre alle note pagine del Sandulli (Sandulli A.M., Il procedimento, cit., in partic. 332), che hanno impresso l’indirizzo tuttora dominante nella dottrina ed anche nella giurisprudenza amministrativistica, ci si limita a richiamare alcuni dei principali contributi in materia: Corso A.M., Atto amministrativo presupposto e ricorso giurisdizionale, Padova, 1990; Lubrano F., L’atto amministrativo presupposto (spunti di una teorica), Roma, 1992; Ramajoli M., La connessione nel procedimento amministrativo, Milano, 2002; Gattamelata S., Effetti dell’annullamento sugli atti consequenziali, in Dir. proc. amm., 1991, 308 ss.; Garofalo L., Impugnazione dell’atto presupposto e onere dell’impugnazione dell’atto consequenziale, in Dir. proc. amm., 2000, 2; Cacciavillani C., Sul ricorso per motivi aggiunti, cit., 181 ss. I vari problemi relativi ai presupposti si riallacciano tutti al problema di fondo, che in teoria generale è stato tradizionalmente disegnato quale problema di determinazione della “estensione” della fattispecie. A tale impostazione si è obiettato che “il problema va inquadrato piuttosto nella tematica relativa alla natura degli elementi costitutivi della fattispecie, che non a quella relativa alla estensione della medesima… perché non si tratta tanto di vedere se il presupposto stia dentro o fuori della fattispecie che comprende il fatto presupponente (o principale o condizionato), quanto di esaminare che cosa il presupposto sia ed in che modo condiziona il fatto principale”: così Scoca F.G., Contributo sul tema della fattispecie, cit., il quale così delinea la “figura del presupposto: esso consiste in un fatto giuridicamente rilevante per una norma il cui effetto entra a far parte della fattispecie che comprende, assieme all’effetto del fatto presupposto, il fatto principale. Si hanno così due successive norme, le quali implicano due fatti giuridici e due situazioni effettuali. Il fatto giuridico descritto nella fattispecie della prima norma si pone come presupposto del fatto giuridico descritto nella fattispecie della seconda norma, se ed in quanto l’effetto al primo relazionato qualifica il secondo, il che, in termini di corretta dinamica giuridica, significa che entra alla pari del fatto (materiale) qualificato nella sua descrizione normativa. Si ottiene in questo modo anche una chiara costruzione della cd. influenza indiretta del presupposto, nozione sulla quale la dottrina ha spesso sorvolato: l’influenza del presupposto rispetto al prodursi dell’effetto principale è indiretta perché la presenza (giuridica) del presupposto condiziona, attraverso il prodursi dell’effetto ad essa normativamente correlato, la realizzazione nella realtà concreta dell’effetto principale. La fattispecie principale descrive quindi un fatto (materiale) e una situazione effettuale di caratterizzazione; l’entità descritta – fatto giuridico – sarà quindi un fatto caratterizzato dalla compresenza di una situazione effettuale… Il problema del presupposto coincide con quello della fattispecie includente tra i suoi elementi costitutivi una situazione effettuale. Il presupposto infatti non è altro il fatto che realizza la fattispecie della norma che questa situazione effettuale è destinata a produrre … Da quanto detto deriva come conseguenza che, in linea generale, la presenza del presupposto condiziona non soltanto un determinato modo di essere giuridico del fatto principale (così invece Sandulli A.M., Il procedimento, cit., 46 ss.) ma la sua stessa esistenza come fatto giuridico: la fattispecie principale, comprendendo la descrizione della situazione effettuale al presupposto relazionata, in mancanza di quest’ultimo, non può realizzarsi completamente, per cui non determina la qualificazione giuridica degli elementi materiali in essa descritti che eventualmente fossero presenti”. (66 ss.; in partic. 78, 79, 80, 81). Proprio sulla base della adozione di tale impostazione di teoria generale ha di recente affrontato il tema della presupposizione nel diritto amministrativo il lucido studio di Dettori S., Il rapporto di presupposizione tra atti nel diritto amministrativo, Università degli Studi di Foggia, Tesi dottorale, 2002-2003, tra breve in edizione monografica, al quale si rinvia senz’altro il lettore per l’esame dell’intera problematica.

 

[118] Le critiche all’operazione amministrativa (o, secondo la terminologia utilizzata sovente dal Sandulli, al procedimento inteso come “figura sostanziale”) percorrono l’intera opera dell’autore: cfr. tuttavia, in particolare, pp. 6, 16, 17, 24 ss., 32, 33, 41 ss., 53, 56, 57, 77, 78, 81, 84, 97 ss., 113, 114.

 

[119] Si mutua l’espressione dal noto volume Orsi Battaglini A. (a cura di), La necessaria discontinuità, Bologna, 1990.

 

[120] Così Sandulli A.M., Il procedimento, cit., 31, dopo aver affrescato nei seguenti tratti di penna il percorso della dottrina italiana: “Partita dalla negazione della possibilità di unificare i vari elementi giuridici, a causa della loro mancanza di omogeneità, entro l’ambito dell’unico atto, […] la dottrina, battendo una strada del tutto diversa, è pervenuta di nuovo alla riunificazione di quegli stessi elementi nella sfera di una nozione sostanziale unitaria, e talora di un solo atto giuridico”.

 

[121] Si rinvia pertanto a quanto brevemente osservato in apertura del presente capitolo, e alle opere ivi citate, alle quali si rinvia anche per ulteriori indicazioni bibliografiche.

 

[122] Cfr. le opere citate supra.

 

[123] In tal senso Graziosi B., Note, cit., 505.

 

[124] Cfr. in AA.VV., Aldo Maria Sandulli (1915-1984): attualità del pensiero giuridico del Maestro, Milano, 2004, passim.

 

[125]Il Forti è l’autore maggiormente citato, e criticato, nell’opera del Sandulli: ben 113 volte (cfr. l’Indice delle fonti letterarie, 429). Il Sandulli, in alcuni passi centrali della sua opera, fa leva, anzi, proprio sulle critiche alla figura dell’atto-procedimento proposta dal Forti (per costruire il procedimento “in senso stretto”) per appoggiare e rinforzare le critiche rivolte alle elaborazioni in tema di operazione amministrativa. Il che trova spiegazione nel fatto che la preoccupazione che stava alla base delle critiche rivolte dall’illustre autore alle teoriche della operazione amministrativa era soprattutto quella di superare definitivamente quelle proposte, ambigue e generiche, che della operazione stessa offrivano una configurazione in termini di “procedimento come figura sostanziale”, analoga a quella proposta dal Forti per la figura (diversa e più ristretta) dell’atto-procedimento: il procedimento non deve essere considerato – osserva espressamente il Sandulli – “come la struttura sostanziale di un fenomeno”; esso, invece, “è categoria che sta a rappresentare il procedere, …e cioè lo svolgersi di un fenomeno verso la sua conclusione. Quindi vale a designare non tanto la serie dei singoli fatti che nel corso di tale svolgimento trovano la loro concretizzazione, …quanto piuttosto il modo del loro susseguirsi… Quella del procedimento è dunque nozione formale – nel senso in cui questo aggettivo si contrappone a sostanziale – attinente all’aspetto dinamico di un fenomeno che si concreta in più momenti nel tempo” (così Sandulli A.M., Il procedimento, cit., 35-36).

 

[126] Cfr. supra, ove ci si è già soffermati sull’accoglimento sandulliano delle critiche rivolte dal Miele alla proposta del Forti (e in particolare: la configurazione, proposta da quest’ultimo, del procedimento cd. esterno quale procedimento “in senso ampio”).

 

[127] Il momento di individuazione di ciascun procedimento è infatti fissato dall’autore ne “l’effetto giuridico, in funzione del quale esso si svolge”: dato che “ciascun effetto giuridico si riporta a una determinata fattispecie” – osserva l’autore – “ne discende che fine immediato di ogni svolgimento procedurale, e quindi suo elemento di individuazione, sarà sempre quella specifica fattispecie, alla quale l’ordinamento ricollega l’effetto che nell’ipotesi che si esamini viene in considerazione”. Sulla base di tale premessa, e ribadito il concetto della “relatività della fattispecie”, il Sandulli aggiunge che “se l’elemento individuatore di ciascun procedimento è l’effetto giuridico, e quindi la fattispecie alla quale questo si riporta, risulta ben chiaro, in stretta dipendenza della relatività di quest’ultima nozione, il carattere relativo del concetto di procedimento”, cosicché, ogni volta che si esamini “un certo procedimento, è imprescindibile la necessità di tenere in evidenza la specifica fattispecie cui si ha riguardo”. In tal modo, “se l’estensione del procedimento va sempre determinata in funzione della fattispecie, ne risulta specificata la nozione in modo più preciso …Infatti, solo su tale presupposto può dirsi che dalla nozione venga eliminata quella nota di empirismo, che generalmente la inficia, quando la si accolga nel senso vago e indeterminato, in cui la si suole impiegare. Quale che possa essere la sua ampiezza – e questa varia in relazione all’importanza della fattispecie cui ci si riferisce –, la natura, i caratteri, e la funzione del procedimento sono sempre gli stessi. Onde appare dunque improprio voler vedere… una distinzione tra un concetto più ampio e uno più ristretto del procedimento, a seconda della proporzione del risultato cui si mira, e cioè a seconda che si tratti del procedimento che si svolge in funzione del risultato più vasto, verso il quale sia coordinata un’ampia serie di elementi o solo del procedimento che si svolga in funzione della concretizzazione di uno qualsiasi degli elementi che nel primo dovranno inquadrarsi… Se anche apparentemente una disparità può esistere, in quanto il sistema, in genere, non può prendere il secondo ad oggetto della sua immediata considerazione in relazione al problema della impugnabilità, … ciò non dipende affatto da una diversa natura dell’uno rispetto all’altro … Si tratta invece di una conseguenza che discende esclusivamente dal fatto che, ai fini del problema pratico – quello della impugnabilità – che qui viene in questione il diritto prende in considerazione il secondo solo in funzione dell’altro. E ciò unicamente perché non avrebbe un interesse sufficiente all’impugnativa chi non fosse stato leso dal risultato ultimo dell’intero svolgimento giuridico che si sta producendo. Per modo che, se e in quanto alla nozione di procedimento si debba riconoscere un valore giuridico, … questo sarà sempre il medesimo, qualunque abbia a essere la sua estensione. Questa, infatti, … è sempre in funzione della specifica fattispecie, alla quale di volta in volta ci si riferisca”: così Sandulli A.M., Il procedimento, cit., in partic. 41 e 42 (in nota 4). I noti passi che precedono, centrali nella costruzione sandulliana, si sono riportati anche per ricordare che il procedimento, nel pensiero di Sandulli “era stato concepito… principalmente come passaggio necessario per la eventuale reazione giurisdizionale avverso l’azione dell’Amministrazione”. Anche se non è questa la ragione e la funzione esclusiva che l’autore gli riconosce, è comunque “il profilo dell’effetto, lesivo di una situazione giuridica soggettiva, che individua l’atto considerato finale, appunto perché impugnabile davanti al giudice amministrativo, e il correlato insieme seriale” (così Schinaia M.E., Aldo M. Sandulli, cit., 339; ma si tratta di un rilievo pacifico: cfr., per tutti, Cardi E., Procedimento amministrativo, in Enc. giur., vol. XXIV, Roma, aggiornamento (1995); Villata R. - Sala G., Procedimento, cit.). Ai nostri fini è utile sottolineare che la tesi della inaccoglibilità di una nozione di procedimento costruita sulla falsariga del “procedimento in senso ampio”, già presente nella impostazione del Sandulli, risultò confermata dagli sviluppi teorici successivi. Dal momento in cui la dottrina, con la maturazione della teoria del provvedimento (Giannini M.S., Lezioni, cit.), prese gradualmente, ma quasi inavvertitamente, a travasare i risultati di tale elaborazione sul piano della teoria del procedimento, ravvisando nel provvedimento stesso il punctum individuationis dei vari elementi del procedimento, risultò rafforzata la impossibilità di configurare sul piano giuridico una nozione volta a raccogliere più provvedimenti (e procedimenti) autonomi e distinti, ordinati serialmente verso una unica finalità pratica. Una volta ricondotto “il fenomeno procedimentale nell’orbita della teoria del provvedimento amministrativo”, ed individuato il “punctum unionis degli elementi del procedimento” nel provvedimento, il cui “fondamento e carattere distintivo… è il nesso funzionale di strumentalità ad una esplicazione unitaria di potere verso la cura di un unico interesse pubblico, nesso che lega i diversi momenti del procedimento”, ne consegue che, non essendo ravvisabile, nel c.d. procedimento in senso ampio, una unitaria funzionalità (giuridica) delle diverse manifestazioni di potere, diviene impossibile “assumere tutte le attività coordinate in unità giuridica”: il “coordinamento alla unica finalità pratica resta, dal punto di vista giuridico, un dato contingente ed estrinseco ai singoli elementi (provvedimenti) che compongono la catena del procedimento in senso lato”: così Graziosi B., Note, cit., 505.

 

[128] Cardi E., Procedimento amministrativo, in Enc. giur., vol. XXIV, Roma, aggiornamento (1995), 2.

 

[129] Il riferimento è agli spunti, già richiamati, di Scoca F.G., Attività, cit. Le esigenze che stanno alla base della proposta dell’autore, tuttavia, sono avvertite e condivise da gran parte della dottrina amministrativistica.

 

[130] Cfr. supra, anche per i riferimenti bibliografici essenziali.

 

[131] Basti richiamare, nell’ambito della ormai amplissima produzione in materia, stimolata notevolmente dalle riforme del Titolo Quinto della parte seconda della Costituzione, il recente e lucido saggio di Berti G., Sussidiarietà e organizzazione dinamica, cit., 171. Per un quadro chiaro in tema di organizzazione amministrativa cfr. le trattazioni di Scoca F.G., La pubblica amministrazione come organizzazione, in Diritto amministrativo (a cura di Mazzarolli L., Pericu G., Romano A., Roversi Monaco F.A, Scoca F.G.), Bologna, 2005, vol. I, 283 ss. e Di Gaspare G., voce Organizzazione amministrativa, in Dig. disc. pubbl., vol. X, Torino, 1995, 513 e ss. Dello stesso autore cfr. anche Id., Il potere nel diritto pubblico, Padova, 1992; e Id., Miti e paradossi della riforma amministrativa tra simmetria informativa e indirizzo politico amministrativo. Verso un nuovo modello neocavouriano di amministrazione pubblica?, in Dir. pubbl., 2001, 653 ss. Sui profili indicati nel testo è utile consultare anche Benvenuti F., L’impatto del procedimento nell’organizzazione e nell’ordinamento (quasi una conclusione autobiografica), in Le ragioni del diritto, Scritti in onore di Luigi Mengoni, III, Milano, 1995, 1723 e ss.; Spasiano M., Spunti di riflessione in ordine al rapporto tra organizzazione pubblica e principio di legalità: la “regola del caso”, in Dir. amm., 2000, 131 e ss.; Longobardi N., Sulle implicazioni tra organizzazione ed attività amministrativa, Intervento all’Incontro dell’associazione dei docenti di diritto amministrativo San Giustino, sul tema “A dieci anni dalla L. 241/90”, Chia, 16 giugno 2001. Notevoli anticipazioni già in Marongiu G., Il coordinamento come principio politico di organizzazione della complessità sociale, in Amato G. - Marongiu G. (a cura di), L’amministrazione della società complessa. In ricordo di Vittorio Bachelet, Bologna, 1982, 141 e ss.

 

[132] Così Scoca F.G., Il coordinamento e la comparazione degli interessi nel procedimento amministrativo, in Studi in onore di G. Abbamonte, Napoli, vol. II, 1999, 1261 ss. Per ulteriori spunti cfr. Id., La discrezionalità nel pensiero di Giannini e nella dottrina successiva, in Riv. trim. dir. pubbl., 2000, 1045 e ss.

 

[133] Le premesse del percorso evolutivo battuto dalla recente dottrina vanno rintracciate, in particolare, nei risultati cui pervenne la dottrina negli anni sessanta allorché mise a fuoco il collegamento degli istituti che ritraggono giuridicamente il processo decisionale amministrativo: la discrezionalità, il procedimento, la funzione (basti richiamare Piras A., voce Discrezionalità amministrativa, in Enc. dir., vol. VIII, Milano, 1964, 65 ss.). La dottrina più recente ha dedicato grande attenzione allo studio della attività amministrativa assumendo la prospettiva del procedimento quale processo (o campo o arena) “decisionale”: cfr. Cardi E., La manifestazione degli interessi, cit.; Ledda F., L’attività amministrativa, in Il diritto amministrativo degli anni Ottanta, Milano, 1987, 83; Ledda F., Problema amministrativo e partecipazione al procedimento, in Dir. amm., 1993, 133 ss.; Scoca F.G., La teoria del provvedimento dalla sua formulazione alla legge sul procedimento, in Dir. amm., 1995, 1 e ss.; Zito A., Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, Milano, 1996; Bombardelli M., Decisioni e pubblica amministrazione. La determinazione procedimentale dell’interesse pubblico, Torino, 1996; Police A., La predeterminazione delle decisioni amministrative. Gradualità e trasparenza nell’esercizio del potere discrezionale, Napoli, 1997; Scoca F.G., Analisi giuridica, cit.; Cassese S., L’arena pubblica, cit.; Cognetti S., “Quantità” e “qualità” della partecipazione, Milano, 2000; D’Orsogna M., Programmazione strategica e attività decisionale della pubblica amministrazione, Torino, 2001; D’Orsogna D., Conferenza di servizi e amministrazione della complessità, Torino, 2002; Scognamiglio A., Il diritto di difesa nel procedimento amministrativo, Milano, 2004.

 

[134] Così Scoca F.G., Il coordinamento, cit., 1262.

 

[135] Id., op. ult. cit.

 

[136] Pareri, quindi, che non servono a interpretare disposizioni o a valutare fatti, ma che servono ad introdurre interessi o punti di vista di altre Amministrazioni.

 

[137] Id., op. ult. cit.

 

[138] Giannini M.S., Il potere discrezionale, cit.

 

[139] Benvenuti, a partire dal saggio Funzione amministrativa, procedimento, processo, cit.

 

[140] Così Scoca, Il coordinamento, cit., 1263, 1265, il quale rammenta come l’emergere della doverosità dell’azione amministrativa, e tutte le conseguenze che scaturirono da questa caratteristica fondamentale, attengono a questa differente valutazione delle relazioni reciproche tra potere e interesse: sull’intera problematica cfr. ampiamente Scoca F.G., Il silenzio della pubblica amministrazione, Milano, 1971; Ledda F., Il rifiuto, cit.

 

[141] Police, La predeterminazione, cit.

 

[142] Ledda F., Problema, cit.

 

[143] La concezione sostanziale o funzionale si deve principalmente agli studi di Feliciano Benvenuti, Massimo Severo Giannini e Mario Nigro.

 

[144] Così Villata R. - Sala G., voce Procedimento, cit.; Zito A., Le pretese partecipative, cit.

 

[145] Cfr. Scoca F.G., Analisi giuridica, cit.; Id., Attività amministrativa, cit.; Sia consentito richiamare, inoltre, D’Orsogna D., Conferenza di servizi e amministrazione della complessità, cit. e Id., Una terapia sistemico relazionale, cit., passim.

 

[146] Cfr. ampiamente Ost F. - van de Kerchove M., De la piramide au reseau? Pour une théorie dialectique du droit, Bruxelles, 2002, la tesi fondamentale dei quali è che “dalla crisi del modello piramidale… emerge progressivamente un paradigma concorrente, quello del diritto in rete, nell’ambito del quale restano tuttavia dei residui importanti del primo”, circostanza questa “che non manca di complessificare ulteriormente la situazione…”. Gli autori sottolineano il “pericolo di sottostimare le sopravvivenze, talvolta considerevoli (così come i ritorni comunque possibili) del modello anteriore”. Troppo spesso “non ci si interroga troppo… sulla sparizione dei valori (comunque) positivi associati al modello piramidale”: una scienza del diritto critica, dinanzi alla crisi o alla problematizzazione dei paradigmi tradizionali, “dovrebbe tentare di formulare un nuovo quadro teorico, più inglobante dell’antico, suscettibile alla volta di rendere conto delle sopravvivenze del modello precedente, delle ragioni delle sue numerosi trasformazioni e delle forme inedite che esse rivestono” (15-17). Degli stessi autori è utile richiamare anche l’opera, disponibile in edizione italiana, Il diritto ovvero i paradossi del gioco, Milano, 1995 (titolo originale: Le droit ou le paradoxes du jeu, PUF, Paris, 1992), in cui è contenuta una efficace messa a problema di quella “rappresentazione… ricorrente del diritto consegnataci dalla tradizione, largamente veicolata sia dalla dogmatica giuridica che dalla filosofia del diritto, ed oggi ampiamente condivisa dai sociologi, …segnata da un ideale di linearità, …univocità e semplicità della razionalità”, in cui “il diritto viene inoltre associato ad un modo di ordine gerarchizzato, nel quale la diversità degli organi, delle norme e dei sistemi non è concepibile altro che sotto forma di rigorosa subordinazione degli uni rispetto agli altri”. Gli autori ritengono che vi siano oggi “delle buone ragioni per pensare che questa idea di semplicità non sia in grado di dar conto in profondità della realtà giuridica e che debba lasciare il passo ad un’altra idea di complessità” (IX e 90). Al tentativo di mettere a punto tale idea i due autori hanno dedicato numerosissimi lavori: complete indicazioni bibliografiche sono contenute nel primo dei due volumi qui segnalati.

 

[147] Nell’ambito delle teoria generale dell’organizzazione, del resto, si afferma espressamente che “l’organizzazione è un fenomeno complesso, perché intrinsecamente contraddittorio”; essa “ha una natura duale: è – concettualmente, fisicamente, spesso giuridicamente, “una” – ma è anche molteplice, fatta di elementi numerosi e diversi, ciascuno con una propria identità costitutiva originaria. Ciò comporta che al suo interno si sviluppino dinamiche centripete, tendenti a rispondere alle esigenze di unitarietà mettendo in campo forze e strumenti volti a coordinare, controllare, integrare i contributi e le prestazioni dei diversi elementi in una logica, appunto, unitaria. Ma al tempo stesso, e contraddittoriamente, quegli stessi elementi esercitano spinte centrifughe, nel tentativo di affermare la propria identità e di vedere riconosciute le proprie peculiarità” (così Romei P., L’organizzazione come trama, Padova, 2000, 49). Queste forze, contrapposte ma compresenti, configurano l’organizzazione come “unitas multiplex” (così Morin E., La méthode. La nature de la nature, Paris, 1977; tr. it. Il metodo. Ordine, disordine, organizzazione., Milano, 1983), segnata da una contraddizione strutturale, costitutiva, tra l’esigenza di coordinamento e di riconduzione all’unitarietà propria dell’organizzazione come tale, che si traduce nell’imposizione di regole vincolanti, e le opposte esigenza di divergenza dei singoli elementi costitutivi, che si traducono nella richiesta di spazi di autonomia. Cfr. anche Lawrence P.R. - Lorsch J.W., Organization and Environment. Managing Differentiation and Integration, Harvard University Press, 1967, in cui sono ben focalizzati i concetti di “differenziazione” e di “integrazione”, riferentesi ai due processi fondamentali su cui si fonda l’azione organizzativa e la costruzione degli assetti organizzativi. Questi due processi evocano la poc’anzi richiamata contraddizione di base dell’organizzazione come unitas multiplex, e rappresentano una delle fondamentali antinomie in cui essa si concretizza, che va “gestita” in termini di ricerca di equilibri dinamici: quanti dell’una (in risposta alle esigenze di valorizzazione e rispetto della molteplicità, della diversità e delle autonomie decisionali) e quanto dell’altra (per soddisfare l’esigenza contrapposta di ricondurre i contributi diversificati ad una logica complessivamente unitaria); in ultima analisi: quanto di autonomia, quanto di regole.

 

[148] L’esigenza è avvertita di recente anche da Dettori S., La conferenza di servizi come regola di coordinamento dell’azione amministrativa: spunti ricostruttivi, in Tar, 2002, 107 ss., il quale ha proposto, tuttavia, un “allargamento” della nozione tradizionale di procedimento.

 

[149] 148Un auspicio a rompere lo “schema della decisionalità solitaria” si trova già in Marongiu: cfr. Marongiu G., Il coordinamento come principio politico di organizzazione della complessità sociale, 141 ss., in Amato G. - Marongiu G. (a cura di), L’amministrazione della società complessa, cit., 143, ripreso da Bombardelli M., Decisioni, cit., passim.

 

[150] Scoca F.G., Il coordinamento, cit.

 

[151] Così Scoca F.G., Analisi giuridica, cit. Cfr. altresì Comporti G., Conferenze, cit., 239, il quale ha rilevato che “la centralità assunta dall’ottica del risultato nella ricostruzione dei fenomeni amministrativi” porta ad emersione “il principio della (tendenzialmente) necessaria corrispondenza tra unitarietà della vicenda concreta da governare ed unitarietà della sede di formazione della relativa disciplina amministrativa”; circostanza questa che “induce a guardare al procedimento non più come ad una sequenza che si giustifica in relazione al proprio esito provvedimentale, e che quindi ha come unità di misura l’interesse o gli interessi pubblici “dati” dall’ordinamento, ma come strumento di definizione di una coerente disciplina che consenta la “produzione di utilità reali””. Nello stesso senso cfr., ex multis: Torchia L., Tendenze recenti della semplificazione amministrativa, in Dir. amm., 1998, 385 ss.; Villata R. - Sala G., Procedimento amministrativo, in Dig. disc. pubbl., vol. XI, Torino 1995, in part. 579; Travi A., La riforma del procedimento amministrativo nella L. 537/1993, in Le Regioni, 1994, in part. 1308. L’evoluzione della disciplina positiva degli ultimi anni ha ormai tratteggiato diversi “modi” del coordinamento dell’agire amministrativo in funzione del risultato o, se si preferisce, diversi modi in cui il risultato si fa “attrattore” della forma adeguata della funzione: si rinvia al Capitolo Quarto del lavoro

 

[152] Ledda F., Il problema amministrativo, cit.; Scoca F.G., Attività, cit.; Ferrara A., Procedimento amministrativo, cit.; Zito A., Le pretese, cit., il quale si richiama al concetto di ragionevolezza, sul quale cfr., tra gli innumerevoli studi disponibili, Mac Cormick N., On reasonableness, in Les notions a` contenu variable en droit, a cura di C. Perelman e R. Van der Elst, Bruxelles, Bruylant, 1984, 131 ss.; Fletcher G.P., The right and the reasonable, in Harv. Law Rev., 1985, vol. 98, 949 ss. Sull’evoluzione del principio di ragionevolezza nel diritto costituzionale si v., tra gli altri, Lavagna C., Ragionevolezza e legittimità costituzionale, in Studi in memoria di Carlo Esposito, Milano, Giuffrè, 1973, 1673 ss.; Sandulli A.M., Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale, in Dir. soc., 1975, 574 ss.; Zagrebelsky G., La giustizia costituzionale, Padova, 1988, 147 ss.; Barile P., Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in AA.VV., Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte costituzionale. Profili comparatistici, Milano, 1994, 21 ss.; Scaccia G., Gli strumenti della ragionevolezza nel giudizio costituzionale, Milano, 2000. Sulla ragionevolezza dell’azione amministrativa cfr., tra gli altri, Merusi F., L’affidamento del cittadino, Milano, 1970; Ledda F., L’attività amministrativa, cit. Tra i contributi recenti, si cfr. Sala G., Potere amministrativo e principi dell’ordinamento, Milano, 1993; Vipiana P.M., Introduzione allo studio del principio di ragionevolezza nel diritto pubblico, Padova, 1993; Morbidelli G., Il procedimento amministrativo, in AA.VV., Diritto amministrativo, cit., 560 ss.

 

[153] Monod J., Le hasard et la nécessité, Seuil, Paris, 1970, 187-188 (tr. it. Il caso e la necessità, Milano, 1976, 136).

 

[154] L’immagine del decisore “olimpico” è di Bombardelli M, Decisioni, cit.

 

[155] Il garbage can model è oggetto del noto studio di Cohen M.D., March J.C, Olsen J.P., Un modello di scelta organizzativa a “cestino dei rifiuti”, in March J.C. (a cura di), Decisioni e organizzazioni, Bologna, 1993, 287 ss. (il titolo della edizione originale è Decisions and organizations, Basil Balckwell Ltd., Oxford, 1988).

 

[156] Morin E., Introduction à la pensée complexe, 1990 (trad. it. di Monica Carboni, Introduzione al pensiero complesso, Milano, Sperling § Kupfer, 1993); van de Kerchove M. - Ost F., Il diritto ovvero i paradossi del gioco, cit. Cfr. altresì Burdeau F., La complexité n’est-elle pas inhérent au droit administratif?, in Université de Paris, Clefs pour le siècle, Paris, 1999, 417.