N. 4 – 2005 – Contributi

 

Regressione evolutiva degli istituti giuridici: brevi riflessioni sulla nozione di persona giuridica*

 

Antonio Serra

Università di Sassari

 

Indice: 1. La regressione evolutiva nel pensiero di Mancaleoni. – 2. segue: sua proiezione al di fuori del diritto romano. – 3. Regressione ed evoluzione della nozione di persona giuridica. – 4. Società persona giuridica e “uso” della relativa disciplina. – 5. segue: persona giuridica e disciplina della responsabilità. – 6. Considerazioni conclusive.

 

 

1. – La regressione evolutiva nel pensiero di Mancaleoni

 

Nella prolusione al corso di Istituzioni di diritto romano letta nel febbraio del 1920 presso l’Università di Napoli dal titolo “L’evoluzione regressiva negli istituti giuridici”, Flaminio Mancaleoni avvertiva la necessità «di ricercare come nella storia le idee nuove si sono aggiunte e sostituite alle vecchie e hanno operato tra le istituzioni umane piuttosto modificandole che creandole». Ciò al fine di non perdere «il senso di continuità della vita sociale» e di «non tentare i viottoli» (e quindi di non ricorrere alle ideologie e agli apriorismi) per riprendere il cammino dell’umanità. A fondamento di tale impostazione è la convinzione per cui «il concetto di evoluzione organica (…) tende ad estendere ai rapporti di indole etica, economica e giuridica le leggi che governano l’organismo naturale» e segnatamente quelle, fra esse, che riassumono l’essenza della teoria dell’evoluzione, riguardanti «il movimento progressivo, che produce il nascere e lo svilupparsi degli organismi degli esseri organizzati e quello regressivo, che produce la scomparsa di organi e di specie, lasciando gli uni tracce negli organi atrofizzati degli esseri viventi, le altre le loro tracce nelle testimonianze fossili della paleontologia».

In questa prospettiva, facendo tesoro dell’esperienza storica che lo studio del diritto romano consente, il maestro attendeva a studiare il fenomeno regressivo delle istituzioni giuridiche nelle sue diverse articolazioni (dall’ipotesi di annientamento delle stesse all’ipotesi di regressione parziale che ne trasformi l’essenza e lo scopo, ed ancora all’ipotesi in cui sia colpita una categoria di istituzioni e coinvolta tutta un’organizzazione sociale), al fine di cogliere «la nuova via di evoluzione» che introduce nel vecchio organismo «nuovi elementi, che trovano in se stessi e nelle nuove condizioni ragione e forza di espansione evolutiva». Ed in questa prospettiva il Mancaleoni sottolineava che proprio nel dritto romano è consentito cogliere i risultati che l’interpretazione storica ha potuto ricavare «dall’involversi di alcune istituzioni sociali».

Gli esempi in tal senso sono molteplici: dalla materia dell’eredità romana agli istituti potestativi e tutelari ed ai vincoli che stabiliscono determinate forme per gli istituti giuridici, dissolvendosi le quali e scomparendo – come è avvenuto nel diritto romano per i modi di acquisto della proprietà (stipulatio, legati ecc.) – resta con più larga espansione il contenuto sostanziale dei rapporti e degli istituti cui quelle forme aderivano[1].

 

 

2. – segue: sua proiezione al di fuori del diritto romano

 

E’ possibile oggi riproporre – al di fuori del contesto culturale (storico e filosofico) in cui è stata elaborata – l’osservazione del Mancaleoni in ordine all’evoluzione degli istituti giuridici?

La risposta – in termini prettamente “evoluzionistici” – deve essere probabilmente negativa. Ciò non di meno non mancano settori del diritto nei quali sono fioriti istituti ovvero hanno trovato rinnovata ragione di impiego figure giuridiche, la cui funzione poteva considerarsi in parte esaurita ed in parte superata perché non più rispondente alle originarie esigenze che le avevano sorrette.

In via generale può notarsi che tutto quel complesso di figure e di regole, che oggi possono – per generale convenzione – ricondursi nell’ambito della lex mercatoria, affondano le loro radici sia in istituti già noti, il cui schema viene sussunto e spesso piegato – attraverso avvertiti adattamenti – per il perseguimento di nuove esigenze sia in principi, il cui fondamento è rovesciato rispetto agli interessi originariamente tutelati (basti pensare alla vicenda della disciplina relativa al divieto delle usure ed al suo superamento nella riflessione condotta – dagli stessi padri della Chiesa – con riguardo alla “qualità” della persona del debitore ed agli interessi sottostanti al rapporto di mutuo)[2].

Anche al riguardo gli esempi sono molteplici e la loro collocazione nell’arco dei secoli può testimoniare che «se ciò che fu non sarà più», non di meno ciò che è stato lascia di sé utile e positiva traccia per lo sviluppo delle istituzioni e dei rapporti fra i privati almeno nel settore delle attività economiche.

A mero titolo di memoria si possono richiamare le pagine di L. Goldschmidt, nelle quali si riconosce «l’involucro del prestito a cambio marittimo» sopra lo schema dell’assicurazione a premio e vengono tratteggiate le origini delle moderne assicurazioni nonché le pagine dedicate alle “diverse radici” delle imprese sociali. E nello stesso senso può essere inteso il rinvio sia ad istituti per i quali può considerarsi pacifico il collegamento fra le loro origini e forme giuridiche conosciute nell’antichità greco-romana (basti pensare alla cambiale ed ai documenti confessionati) sia alle ipotesi di impiego di un «capitale con guadagno comune» a fini speculativi e con possibilità di perdite anche limitate ovvero di associazione produttiva con riferimento allo schema della societas[3].

Riflessioni non troppo lontane da quelle svolte a suo tempo dal Mancaleoni possono farsi altresì – nella prospettiva qui considerata –  per la maggior parte delle figure contrattuali elaborate dalla prassi mercantile (basti pensare alla locazione finanziaria; alle forme di collaborazione – nel settore della vendita al consumo – fra produttori, grossisti e venditori al minuto; alla cessione in via sistematica dei crediti), rispetto alle quali l’originaria funzione economica di uno o più schemi contrattuali (vendita, locazione) nonché la corrispondente disciplina sono indirizzate e rese comunque compatibili con esigenze imposte dalla necessità di rinvenire (nuove) forme di finanziamento, che agevolino l’acquisizione diretta dei beni strumentali o dei prodotti richiesti per l’esercizio dell’attività di impresa ovvero che semplifichino la gestione dei crediti anche attraverso la cessione degli stessi in forme snelle ed in linea di principio autoregolamentate.

 

 

3. – Regressione ed evoluzione della nozione di persona giuridica

 

Al di là delle considerazioni che precedono vi è però – a mio avviso – un istituto, rispetto alle cui vicende può essere di particolare interesse confrontare il metodo di indagine – con le debite riserve già fatte circa il contesto storico filosofico della sua elaborazione – propugnato dal Mancaleoni. Questo istituto è la persona giuridica, rispetto al quale, da un lato, è stato promosso – e non soltanto in anni recenti – un vero e proprio processo di revisione sul piano concettuale e, dall’altro, è dato constatare una rinnovata attenzione al problema del superamento della sua “forma”, atteso che il “rispetto incondizionato” di essa «può, in determinati casi, condurre a risultati non equi»[4].

La ragione di tale apparente contraddizione sta nel fatto che – come universalmente noto – non vi è ordinamento che non abbia costruito la persona giuridica “come un soggetto giuridico autonomo da tenere nettamente distinto dai suoi membri”. Forma (persona giuridica) e realtà (substrato sociale) si presentano così allo stesso tempo intimamente connesse e distinte: la persona giuridica agisce e persegue i suoi fini nell’interesse dei suoi appartenenti; tramite l’agire autonomo della persona giuridica i suoi membri realizzano il loro interesse di appartenenti alla collettività. Di qui anche – tratto essenziale della persona giuridica unitamente alla sua organizzazione corporativa – il tipico regime di responsabilità, riassunto nel celebre passo di Ulpiano: si quid universitati debetur singulis non debetur; nec quod debet universitas singuli debent[5].

La netta distinzione tra universitas (ente sociale) e suoi associati, che si sostanzia nella c.d. alterità della persona giuridica rispetto ai suoi membri – con le conseguenze che ne derivano, soprattutto in termini di organizzazione corporativa al fine di consentire il legittimo agire della persona giuridica e l’imputazione ad essa dei relativi atti – costituisce pertanto (non solo negli ordinamenti moderni) l’essenza stessa dell’istituto.

La giurisprudenza ed oggi anche diversi provvedimenti legislativi sono peraltro giunti a negare il valore assoluto dell’alterità[6]. Di qui l’esigenza di domandarsi se ed entro quali limiti sia ammissibile il superamento di tale principio, e se l’eventuale superamento, che certo comporta “regressione” – “crisi” nella moderna terminologia – dell’istituto, possa considerarsi una fase definitivamente involutiva dell’istituto ovvero un’occasione per la sua rivitalizzazione.

Per rispondere a tale quesito non può ignorarsi che “i ripensamenti” sull’alterità come essenza della persona giuridica, sono stati suggeriti da circostanze che possono indurre a ravvisare in esse – come già notava il Mancaleoni, seppure con riferimento ad altre ipotesi – la presenza di «un carattere che sempre accompagna le istituzioni decadenti», che si identifica nella contraddizione fra la disciplina propria dell’istituto e la realtà effettiva dei rapporti giuridici.

Tale contraddizione può essere colta, innanzi tutto, sul piano del fatto: sono in verità all’attenzione di tutti ipotesi in cui l’uso della persona giuridica – pur quando ammesso dalla legge – si traduce in strumento per conseguire vantaggi personali altrimenti non perseguibili ovvero per eludere l’applicazione di una disciplina specifica (meno favorevole).

E’ in primo luogo dinanzi a queste ipotesi, che possono dirsi di uso indiretto, quando non di abuso della persona giuridica, che si pone il problema della sua crisi (o, se si vuole,  della sua regressione)[7].

A ben vedere è però proprio l’alterità della persona giuridica rispetto ai propri componenti, nella sua portata pratica (od applicativa) ancor prima che concettuale, ad indicare la strada corretta da seguire per superare la crisi dell’istituto e garantirne la rispondenza della disciplina alle esigenze mutate della società civile e dei singoli.

Senza volere e potere qui riproporre il dibattito fra i sostenitori dell’impostazione tradizionale della nozione di persona giuridica e i fautori della teoria revisionista (segnalando che l’espressione è utilizzata con avvertita approssimazione), una premessa pare comune all’una ed all’altra tesi (almeno per diritto privato): «la persona giuridica non è fenomeno preesistente, bensì una creazione dell’ordinamento giuridico positivo» per il perseguimento di scopi determinati. E’ allora la coerenza tra lo scopo dell’ente e le finalità in concreto perseguite con il suo impiego, che deve guidare l’operatore del diritto nella valutazione della fattispecie concreta al fine di individuare la disciplina di volta in volta in volta applicabile. In altri termini «il problema della repressione degli abusi della personalità giuridica» si porrà negli stessi termini in cui si pone, nella quotidiana esperienza dell’interprete del diritto, ogni problema di applicazione di norme: accertare se sussistono, nel caso concreto, i presupposti di applicazione della norma e di conseguenza applicare o disapplicare la disciplina speciale destinata alla persona giuridica quale organizzazione collettiva di persone e di interessi[8].

 

 

4. – Società persona giuridica e “uso” della relativa disciplina

 

In questa prospettiva la materia commerciale ed in particolare il ricorso alla struttura organizzativa propria delle società di capitali – persone giuridiche per definizione (art. 2331 e art. 2464 c.c.) – si sono nel tempo dimostrati un singolare quanto fertile campo di sperimentazione.

A titolo esemplificativo si possono ricordare talune ipotesi, rispetto alle quali l’accertamento dell’uso (improprio) della persona giuridica è pregiudiziale all’individuazione della disciplina applicabile.

In materia successoria è ben nota la prassi del ricorso alla costituzione di società di capitali, nelle quali conferire parte o tutto il patrimonio destinato a cadere in successione e che si intende sottrarre alle ordinarie vicende ereditarie. In tal caso la società persona giuridica, soggetto terzo rispetto ai suoi soci – a seconda che il conferimento sia effettuato al fine di impedire la frammentazione del patrimonio familiare e di assicurarne la gestione “unitaria” nel tempo ovvero che il conferimento persegua l’intento di pregiudicare l’aspettativa di taluni eredi[9][9] – offre, con un’accorta utilizzazione della sua disciplina, strumenti molteplici per attuare il regolamento di interessi preordinato, fermo il pregiudiziale giudizio sulla liceità degli interessi così disciplinati[10].

Il discorso non è diverso in materia di locazione (ed in particolare in materia di locazione di immobili destinati ad attività imprenditoriali), in quanto da un lato l’alterità può essere utilizzata dai terzi contro lo stesso interesse dei soci e, dall’altro, può costituire strumento legittimo per la cessione dei rapporti, ancor quando dalla cessione possa derivare pregiudizio alla controparte come nel caso di proroga della locazione (l’ipotesi è quella in cui una società di un gruppo si fonde, a seguito di incorporazione, con altra dello stesso gruppo per consentire all’incorporante di proseguire o di subentrare in un contratto di locazione in corso). Anche in questo caso non vi è uso di forme civili vuote di contenuto, ma al contrario utilizzo della forma per realizzare un vantaggio offerto dall’ordinamento (la proroga) nel pieno rispetto della disciplina societaria[11].

La materia dei rapporti di lavoro è particolarmente ricca di attentati alla sicurezza ed alla tutela del lavoratore (basti la disciplina dell’interposizione) e certamente lo schermo della persona giuridica può offrire occasioni e tentazioni allettanti. Le ipotesi sono note: costituzione di società o cooperativa per mascherare un rapporto di dipendenza fra socio di maggioranza e gli altri soci o fra un gruppo di soci e gli altri (coop. di lavoro); costituzione di società cui sono conferiti rami produttivi o aziende di altre società (aventi identica compagine sociale) al fine di licenziare la manodopera ovvero sottrarsi alle condizioni di applicazioni di particolari tutele e procedure sindacali (statuto dei lavoratori). Qui certamente può essere ravvisato, nell’uso degli istituti societari, un intento elusivo, che richiede una tutela puntuale per evitare che restino prevaricati principi fondamentali, quali quello della tutela del lavoratore, che affondano le loro radici nella stessa carta costituzionale[12].

Analoghe considerazioni possono valere in tema di legislazione valutaria e di concorrenza (società sottratta ai divieti valutari in quanto qualificabile come “non residente” e però costituita da tutti i soci residenti; società di capitali costituita fra soci di una collettiva o fra terzi ed uno o più soci di una collettiva al fine di eludere il divieto di concorrenza di cui all’art. 2301 cod. civ.). Sempre in materia di concorrenza, con particolare riguardo al divieto per chi aliena l’azienda di astenersi dall’iniziare una nuova impresa idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta (art. 2557 c.c.), giurisprudenza e dottrina hanno avuto modo di censurare la prassi elusiva del divieto attraverso la cessione (in tutto o in parte) delle partecipazioni della società titolare dell’azienda da parte dei soci e l’inizio, da parte degli stessi, di un’attività concorrente. L’immutata titolarità formale dell’azienda in capo alla società non fa, in tal caso, venire meno l’esigenza di tutela dell’avviamento riconosciuta all’acquirente dell’azienda[13].

Al termine di questa rapida ed incompleta (perché meramente esemplificativa) rassegna si può richiamare il tema della responsabilità limitata. E’ questo certamente il settore in cui maggiormente si avvertono gli abusi, e basta ricordare l’esperienza del socio tiranno. In ipotesi il socio di maggioranza, avvalendosi dello schermo della persona giuridica, crea con l’attribuzione ad altri soci di una minima percentuale del capitale, una situazione di sostanziale responsabilità limitata – sottraendosi al regime di responsabilità fissato nell’art. 2740 cod. civ. – a fronte di un potere dispotico e privo di qualsiasi rispetto della disciplina (imperniata sulla distinzione del patrimonio sociale da quello dei singoli soci e sull’attribuzione del potere gestorio ai soggetti che rivestono la carica di amministratori)[14]. Un fenomeno – per taluni profili – riconducibile sostanzialmente in questo ambito è costituito dai finanziamenti che il socio di maggioranza eroga alla società, precostituendosi la qualità di creditore sociale ai fini della loro (anticipata) restituzione rispetto agli altri creditori sociali. Anche qui l’alterità della persona giuridica svolge un ruolo decisivo, ponendosi quale necessaria condizione perché la società possa assumere la qualità di debitore rispetto al soggetto terzo creditore peraltro suo socio. Attraverso il finanziamento sistematico il socio (di maggioranza) finisce così per svolgere l’attività di impresa, i cui atti ed effetti si imputano peraltro alla società, sua debitrice[15].

 

 

5. – segue: persona giuridica e disciplina della responsabilità

 

Si è peraltro ricordato che non qualsiasi uso “indiretto” della persona giuridica si traduce in abuso e, quindi, in uso illecito della stessa.

Ed invero sono all’attenzione di tutti interventi legislativi volti a garantire un uso della persona giuridica che – quand’anche comporti il superamento del principio di alterità e dei profili strutturali della stessa – è ritenuto ammissibile al fine di consentire (la possibilità di) una più puntuale cura degli interessi dei suoi fruitori ovvero di un più diffuso impiego di un determinato modello associativo.

In queste ipotesi lo schema puro della persona giuridica – si potrebbe dire con il Mancaleoni – regredisce verso forme di soggettività, che – pur consentendo di tenere distinti l’ente dai suoi appartenenti ed il patrimonio del primo da quello dei secondi – utilizzano modelli di agire e criteri di imputazione non esclusivi della persona giuridica.

E’ quanto si è verificato di recente nell’ordinamento italiano in sede di riforma della disciplina della società a responsabilità limitata, per la quale è consentito – tramite l’esercizio delle opzioni consentite all’autonomia statutaria – adottare regimi di gestione analoghi a quelli previsti per le società commerciali personali ovvero disarticolare il sistema, proprio della persona giuridica, dell’agire per organi nel rispetto delle relative competenze attraverso l’attribuzione diretta ai soci dei corrispondenti poteri e la superfluità dell’organizzazione corporativa[16].

In questa prospettiva vi è chi ha segnalato che lo stesso principio della responsabilità limitata, “principio fondamentale [di tutto il diritto azionario] della stessa persona giuridica”, sarebbe di fatto destinato a sostanziale “disgregazione”[17]. Si rileva, infatti, che è tendenza degli ordinamenti moderni riconoscere la responsabilità della persona giuridica sia in materia penale sia in materia amministrativa, al fine  di garantire ai terzi danneggiati la tutela risarcitoria che, bene spesso, il patrimonio degli autori dell’illecito (siano essi amministratori o dirigenti dell’ente) non sarebbe in grado di soddisfare.

Il problema, che una disciplina di tale contenuto introduce, non concerne – in questa sede – la questione, peraltro risalente, se possa configurarsi o meno una responsabilità in materia penale o amministrativa in capo alla persona giuridica[18], ma quella ben diversa se – ammettendo tali responsabilità – si finisca effettivamente per concorrere alla “disgregazione” di uno dei tratti essenziali della persona giuridica (appunto, la responsabilità limitata).

Sotto il profilo squisitamente tecnico dell’attività, la risposta più corretta sembra essere quella di segno negativo, nel senso che la responsabilità della persona giuridica è pur sempre conseguente ad un atto alla stessa imputabile (tale è in linea di principio l’atto illegittimo o illecito compiuto dall’amministratore o dal dirigente nella rispettiva qualità). Né sembra venir meno, in ipotesi, il principio di separatezza dei patrimoni (quello della persona giuridica e quello dell’autore dell’illecito), in quanto il destinatario del risarcimento è, in primo luogo, creditore della persona giuridica, chiamata per legge a rispondere dell’obbligazione (illecita)del proprio amministratore o del proprio dirigente.

E’ stato peraltro osservato che quando si estenda la responsabilità penale della persona giuridica[19] fino a ricomprendervi qualsiasi reato, dal momento che “chi risarcisce è la società, i soci divengono indirettamente responsabili per i reati commessi dai manager”; si è pertanto di fronte ad un attacco alla “separatezza dei patrimoni”, sintomo della “crisi” del sistema e “minaccia alle sue strutture portanti”[20]. Il problema così posto non pare risolvibile, peraltro, esclusivamente in termini di superamento dell’alterità (o separatezza dei patrimoni). La responsabilità patrimoniale (indiretta) del socio (e più in generale del membro della persona giuridica) per gli atti di coloro che sono investiti del potere di gestione è insita nella stessa qualità di socio (o di appartenente all’istituzione). In questo senso nessuno ha mai dubitato che nel caso di mala gestio i soci divengano indirettamente responsabili (patrimonialmente) degli atti colposi o dolosi posti in essere dagli amministratori (salvo l’esercizio dell’azione di responsabilità e l’esperimento delle altre possibili forme di tutela)[21].

Anche in questo caso la soluzione del problema e la sua giustificazione possono essere ricercate, piuttosto, proprio nella necessità sia di adeguare la disciplina dell’istituto considerato ad esigenze di equità sociale sia di prevenire eventuali abusi perpretabili a seguito della rigida applicazione delle norme sull’alterità e l’organizzazione corporativa.

Domandarsi se gli adattamenti che la disciplina della persona giuridica ha subito siano riconducibili nell’ambito del fenomeno della regressione evolutiva tratteggiata  dal Mancaleoni può oggi risultare certamente non decisivo.

Decisivo appare, invece, cogliere nell’attuale evoluzione della (nozione di) persona giuridica e della sua disciplina l’esigenza di continuità di una disciplina differenziata dell’umano agire a seconda che lo stesso si esplichi come azione individuale e quindi espressione di un interesse proprio ovvero come attività di più soggetti, espressione di un interesse comune da perseguire all’interno di una collettività organizzata. E’, invero, in tale continuità che può trovare ragionevole giustificazione la revisione della stessa nozione di persona giuridica, ispirata dalla necessità di una sua ricostruzione compatibile con la realtà fenomenolagica di cui la struttura giuridica è proiezione, quale “segno indicatore – come da altri rilevato[22] – di una determinata normativa, pur sempre risolvibile in una normativa di relazione tra uomini”.

 

 

6. – Considerazioni conclusive

 

Dalle considerazioni sinora svolte e dagli esempi addotti possono ricavarsi talune conseguenze.

In primo luogo non vi è dubbio da un lato che, in linea di principio e come può desumersi dalle indicazioni normative a proposito della destrutturazione dell’organizzazione corporativa e del riconoscimento della responsabilità penale della persona giuridica, non sia necessario – per reprimere gli abusi – negare il principio dell’alterità e, dall’altro, che il rimedio vada ricercato piuttosto nella disciplina degli atti in frode alla legge, anche se il ricorso a tale disciplina ha necessità di essere ancorato ad una serie di dati oggettivi, con attento vaglio degli interessi in giuoco[23].

Ciò perché – come si è detto – non tutte le ipotesi di uso “indiretto” della persona giuridica sono necessariamente illecite. Anzi può dirsi, almeno in via generale, che soltanto laddove l’abuso si concreta nell’assoluto disprezzo e comunque nella violazione “delle regole fondamentali” che governano il modello di persona giuridica utilizzato, lì emerga l’intento elusivo e la conseguente frode alla legge. Soltanto quando il disprezzo svuota di ogni contenuto la forma giuridica, ciò comporta che cessi la tutela dell’organizzazione collettiva, perché l’interesse da questa perseguito è non più interesse comune a tutti i componenti della collettività ovvero l’interesse istituzionale della persona giuridica, ma interesse individuale dei singoli associati,  dei suoi fondatori od anche di terzi[24].

Il che è dire, in termini diversi, quanto già sostenuto dai primi fautori della revisione del concetto di persona giuridica: risolvendosi l’alterità della persona giuridica nell’interesse dei soggetti che la compongono, è a questi interessi che bisogna far capo al fine di decidere della loro meritevolezza, per poter poi concludere se essi – quando in conflitto con quelli di terzi (dai creditori all’amministrazione finanziaria fino ai lavoratori dipendenti) – debbano ancora godere della disciplina speciale approntata dalla legge e di cui i singoli sono destinatari uti universi. Questa prospettiva – ed è la seconda conseguenza – consente di cogliere l’altro aspetto connesso al superamento dell’alterità, rappresentato dalla necessità di tutelare i soci dagli abusi dei terzi, ogni qual volta si pretenda di invocare l’alterità in loro pregiudizio.

Ne discende che è possibile ritenere che la frode alla legge non debba essere l’unica via per reprimere gli abusi; che accanto ad essa debba innanzi tutto collocarsi «l’istituto millenario della exceptio doli», sempre utilizzabile allorché vi sia la volontà di nuocere o di eludere una norma imperativa[25]; che, ancora, attenta riflessione debba essere posta per il ricorso agli strumenti “tradizionali” previsti dall’ordinamento a tutela della garanzia patrimoniale, anche soprattutto perché molti degli abusi della persona giuridica appaiano essere piuttosto che abusi (presunti), effettive violazioni di ben altri principi (vendita in frode ai creditori, sottrazione della garanzia ai creditori, mancato – perché preordinato – esercizio dei propri diritti ed eventualità consimili). Quindi non negazione dell’alterità o suo superamento, ma adattamento della disciplina della (nozione di) universitas, come soggetto terzo rispetto ai suoi appartenenti, alle concrete esigenze meritevoli di tutela, nella continuità di un insegnamento giuridico risalente fino alla glossa accursiana ove può leggersi, già proposto con l’incisività propria della lingua latina, il criterio garante dell’adeguamento della persona giuridica alle mutate esigenze dei tempi ed agli usi “impropri” della stessa: «universitas nihil est nisi singuli homines qui ibi sunt».

 

 

 


 



 

* Testo della relazione tenuta al Convegno Internazionale “Flaminio Mancaleoni e gli studi di diritto romano fra ottocento e novecento. Prospettive nel XXI secolo” (Sassari 22-24 novembre 2001) aggiornato e corredato dai riferimenti bibliografici agli autori espressamente richiamati.

 

[1] I passi riportati nel testo si leggono in MANCALEONI, L’evoluzione regressiva negli istituti giuridici, in Studi Sassaresi, 1921, 2, 5 s., 9.

 

[2] In argomento si veda la sintesi in ASCARELLI, Corso di diritto commerciale, Milano 1962, 17 ss. e 40; sul concetto di usura SAPORI, Studi di storia economica, I, Firenze 1982, 181 (anche con riferimento allo statuto del comune di Pistoia del 1296); per ulteriori riferimenti sul piano della evoluzione storica si rinvia a GAMBA, Licita usura, Roma 2003.

 

[3] Cfr. al riguardo GOLDSCHMIDT L., Storia universale del diritto commerciale, Torino 1913, 201 (con specifico riferimento alle radici delle forme principali delle “imprese sociali”) e 268 ss. (con riferimento al prestito a cambio marittimo ed alle origini “dell’assicurazione”).

 

[4] Il rilievo è già in SERICK, Forma e realtà della persona giuridica, Milano 1966, 1 dell’introduzione.

 

[5] Sul punto, diffusamente, BASILE e FALZEA, Persona giuridica, in Enc. Dir., vol. XXXIII, Milano 1983, 268; il riferimento è, peraltro, anche nella dottrina risalente, e cfr. FERRARA Fr. sr., Teoria delle persone giuridiche, Napoli-Torino, 1915, 9.

 

[6] La necessità di superare lo schermo della persona giuridica è ormai presente in una pluralità di vicende sottoposte al vaglio della giurisprudenza di legalità e di merito (cfr. fra le altre Cass., 25.1.2000, n. 804  in Giur. it., 2000, I, 1663; Cass., 24.2.1990 n. 1439 in tema di holding di fatto e Tr. Messina, 15.2.1996 in Giust. Civ., 1996, I, 1739 con nota di Lo Cascio).

Analoga esigenza è fatta propria in talune discipline volte a garantire la trasparenza della titolarità di determinati rapporti e situazioni, come nel caso di divieto di interposizione ovvero di intestazione fiduciaria nelle attività finanziarie (per taluni esempi si veda infra, nel testo).

 

[7] In questo senso può costituire un esemplare punto di riferimento l’ammissione – a livello di legislazione comunitaria – della società a responsabilità limitata unipersonale [la forma della società di capitali unipersonale è, oggi, consentita anche alla società per azioni (art. 2328 c.c.) ]. L’attribuzione della personalità giuridica alla società così costituita e la conseguente alterità della stessa rispetto al suo unico socio consentono di conseguire quella limitazione di responsabilità patrimoniale in capo all’unico socio normalmente non consentita in conformità al principio per il quale – almeno in materia societaria – quando la persona giuridica si identifica in un unico socio cessa il beneficio della responsabilità limitata (in coerenza anche con il principio dell’art. 2740 c.c. per l’ordinamento italiano). Sui vari profili che riguardano la società unipersonale si rinvia per tutti a IBBA, La società a responsabilità limitata con unico socio, Torino 1995 nonché a DI CATALDO e SERRA, Spa e srl con unico socio, in CAMPOBASSO (a cura di) Armonie e disarmonie nel diritto comunitario delle società di capitali, Milano 2003, II, 1575.

 

[8] Al riguardo cfr. GALGANO, Società per azioni, in Trattato di dir. comm. e di dir. pubbl. dell’economia diretto da Fr. Galgano, VII, Padova 1984, 125.

 

[9] In proposito basti pensare da un lato alle differenze di disciplina fra società e comunione (anche ereditaria) con riguardo alla titolarità dei beni conferiti ed al diritto, in capo a ciascun comunista, di chiedere lo scioglimento della comunione, diritto di scioglimento negato al singolo socio e, dall’altro, alla disciplina dell’aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione e rinuncia al suo esercizio da parte dei soci al fine di consentire l’ingresso in società esclusivamente a quei soggetti che si intende privilegiare rispetto agli altri potenziali eredi.

In materia gli esempi sono molteplici, come può suggerire il fatto che il conferimento comporta la sostituzione dei singoli beni con la partecipazione sociale e la conseguente possibilità di trasferimento della seconda in luogo dei primi (circostanza, a sua volta, che può avere rilevanza decisiva anche nei rapporti con i terzi nel caso di vigenza dell’anonimato azionario nonchè nei rapporti con il fisco, quando sia previsto un regime di imposizione differenziata per il trasferimento delle partecipazioni rispetto al trasferimento dei singoli beni, potendosi al riguardo ulteriormente distinguere se il trasferimento avviene a titolo di successione mortis causa ovvero fra vivi).

 

[10] Giudizio che, a sua volta, non può essere assoluto nel senso di ritenere censurabile un qualsiasi uso indiretto della persona giuridica. E’, in verità, ragionevole ritenere ad es. che l’interesse alla conservazione ed alla gestione del patrimonio familiare possa essere ritenuto meritevole di tutela rispetto al concorrente diritto di ciascun (co)erede a ricevere la propria quota del patrimonio potenzialmente destinato a cadere in successione. In via generale la S.C. ha avuto modo di rilevare già in una risalente decisione proprio con riguardo agli usi impropri (od agli abusi) in materia di persona giuridica, che il problema della frode alla legge «si risolve praticamente con lo stabilire se si siano verificate situazioni che la norma elusa prevede e nel disattendere le forme di diritto civile vuote di contenuto che le parti hanno fittiziamente posto in essere per frodare la legge»; è infatti «compito del giudice valutare i rapporti sostanziali al di là della concreta situazione economica» al fine di individuare e smascherare l’intento elusivo perseguito dalle parti (così Cass., 29.11.1983, n. 7152; al riguardo cfr. anche GALGANO, Società per azioni, cit., p. 111 nonché INZITARI, La “vulnerabile” persona giuridica, in Contratto e impresa, 1985, 680 ss.).

 

[11] In argomento si veda Pret. Genova, 9.4.1984 ricordata da Inzitari nel saggio richiamato alla nota precedente.

 

[12] In materia è entrata in vigore, recentemente, la legge 3 aprile 2001, n. 142, che ha disciplinato la prestazione di attività lavorativa nelle cooperative di lavoro. Tale disciplina ha lo scopo di promuovere una più intensa tutela del socio lavoratore, anche se – come è intuitivo – non può eliminare il rischio di abusi. Si aggiunga che i risultati accennati nel testo possono essere perseguiti attraverso altri istituti, quali ad es. la scissione.

 

[13] In punto si vedano le recenti decisioni della giurisprudenza, con le quali si è ritenuto che il divieto di concorrenza previsto dalla legge per le ipotesi di alienazione dell’azienda trovi applicazione, in via analogica, anche nel caso di cessione delle quote di una società di capitali (Cass.,  24.7.2000, n. 9682).

 

[14] In argomento, anche per gli effetti riconducibili a tali ipotesi di abuso, si vedano i riferimenti giurisprudenziali alla nota 6.

 

[15] Anche in questi casi – come si è verificato per l’ordinamento italiano (art. 2467 c.c.) – l’intervento legislativo può fornire una più adeguata tutela ai creditori della società concorrenti ma non eliminare (la potenzialità del) l’abuso (sul fenomeno della società sottocapitalizzata e le conseguenti problematiche si rinvia, per tutti, a PORTALE, Capitale sociale e società per azioni sottocapitalizzata, in Trattato delle società per azioni diretto da Colombo e Portale, Torino 2004, I.2, 41 ss.

 

[16] In argomento si possono utilmente consultare gli interventi, destinati a sottolineare i profili qui accennati, svolti in coincidenza con l’entrata in vigore della riforma del diritto societario (d. leg.vo 17.1.2003, n. 6), fra i quali cfr. ZANARONE, Introduzione alla nuova s.r.l., in Riv. società, 2003, 58 (ed in particolare 68 e 96 ss.); SPADA, La società a responsabilità limitata come tipo, in Riv. dir. civ., 2003, I, 489; per un quadro generale delle innovazioni introdotte con la riforma si veda anche RIVOLTA, Profilo della nuova disciplina delle società a responsabilità limitata, in Banca, borsa, 2003, I, 683.

 

[17] ROSSI; Il conflitto epidemico, Milano, 139.

 

[18] Sul principio per cui universitas delinquere non potest (ed il suo contrario) si veda il riferimento in BASILE e FALZEA, Persona giuridica, cit., 268.

 

[19] In ipotesi il riferimento è alle società per azioni  (ROSSI, op. cit., p. 140), ma non può sfuggire la sua potenziale rilevanza generale a seguito dell’emanazione del d. leg.vo 11.4.2002, n. 61 portante la disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali a norma dell’art. 11 legge 3 ottobre 2001, n. 366. In argomento, per i necessari riferimenti allo stato della questione si rinvia a COSSEDDU, Responsabilità da reato degli enti collettivi: criteri di imputazione e tipologia delle sanzioni, in Riv. trim. dir. pen. dell’economia, 2005, 1.

 

[20] E’ il giudizio di ROSSI, op. cit., 140.

 

[21] E’ intuitivo che il contenuto di tale responsabilità assuma portata diversa in relazione alla persona giuridica, cui – in concreto – l’agire degli amministratori e dei dirigenti è imputabile.

Nella società per azioni – come nel caso richiamato nel testo – la responsabilità patrimoniale (indiretta) coincide con (la perdita del ) l’ammontare del conferimento; discorso sostanzialmente simile può farsi per il contributo versato dagli associati nei vari tipi di associazioni mentre le stesse considerazioni non valgono per le fondazioni a struttura meramente patrimoniale.

 

[22] Così ASCARELLI, Personalità giuridica, cit., 237.

 

[23] Si veda quanto detto nel testo, n. 5 nonché nota 14.

 

[24] Il punto è stato posto in luce – in materia societaria – con  riguardo all’interesse extrasociale.

 

[25] Il rilievo è di PELLIZZI, La società persona giuridica: dove è realtà e dove è vuota formula (esperienze delle banche), in Riv. dir. civ., 1981, I, 492.