N. 4 – 2005 – Cronache

 

 

Convegno Internazionale di Studi

Il Mediterraneo nel Settecento: identità e scambi

Sassari e Alghero, 19-21 maggio 2005

 

 

Nella storia il Mediterraneo è sempre stato teatro di contatti e confronti tra differenti identità culturali e religiose, crocevia di popoli e culture, e per queste sue peculiarità ha sempre costituito un mondo a sé stante, assai diverso per le sue caratteristiche dagli altri spazi europei, africani e asiatici. I recenti mutamenti nel quadro internazionale seguiti ai fatti dell’11 settembre, e la conseguente ideologizzazione dei conflitti tra la civiltà occidentale e quella mediorientale, hanno sollecitato la comunità scientifica a recuperare e a riattualizzare il ruolo dello spazio mediterraneo come crogiolo di entità diverse ma capaci, nei secoli, di dialogare e comprendersi reciprocamente. 

Diversi spunti e contributi alla ridefinizione del concetto storico-antropologico di «identità mediterranea» si sono avuti recentemente con il convegno internazionale di studi Il Mediterraneo nel Settecento: identità e scambi, svoltosi a Sassari e Alghero dal 19 al 21 maggio scorso, promosso dalla Società italiana di Studi sul Secolo XVIII, insieme con il Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari e con la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pavia. Il convegno, coordinato da un comitato esecutivo composto dai professori Anna Maria Rao, Alberto Postigliola e Piero Sanna, ha visto confrontarsi un buon numero di storici di diverse discipline specialistiche, provenienti da prestigiose università e istituzioni di vari paesi europei e nord-africani. Filo conduttore dell’evento è stata una rilettura critica della storia del Mediterraneo settecentesco, con lo scopo di riandare alle origini del confronto tra i modelli politico-culturali dei paesi che vi si affacciano e tentare di dare una risposta ad alcune esigenze fondamentali: la prima, quella di avviare un confronto storiografico che mettesse a fuoco le identità culturali, politiche e religiose delle civiltà mediterranee nel XVIII secolo, facendo dialogare, dai diversi punti di vista, le principali esperienze di ricerca degli studiosi dei paesi mediterranei; la seconda, quella di contribuire a costruire, anche attraverso una riflessione storiografica multilaterale e di ampio respiro, un’identità europea capace di comprendere culture e apporti diversi, nello spirito della «proposta Delors».

 

L’apertura dei lavori si è svolta nell’Aula Magna dell’Ateneo di Sassari, la mattina di giovedì 19 maggio, con la presentazione del programma da parte del professor Piero Sanna, docente di Storia moderna nella Facoltà di Scienze politiche della stessa università, con i saluti del Rettore e dei rappresentanti delle istituzioni patrocinatrici, tra cui figuravano la Société Internationale des Historiens de la Méditerranée, l’International Society for Eighteen Century Studies, la Presidenza del Consiglio regionale della Sardegna, la Fondazione Banco di Sardegna e la Fondazione «G. Siotto» di Cagliari. Dal pomeriggio dello stesso giorno il convegno è proseguito ad Alghero dove, in una pausa dei fitti lavori, c’è stato anche spazio per ospitare, la sera di venerdì 20 maggio, l’incontro annuale della Società italiana di Studi sul Secolo XVIII, per la seconda volta in Sardegna dopo l’occasione del convegno Il Settecento e l’antico, svoltosi ad Alghero dal 14 al 16 giugno del 2001.

 

La prima sessione, dedicata al tema «Geografia e politica», ha fornito il quadro delle tematiche del convegno, focalizzando l’attenzione sulla percezione che i contemporanei ebbero del processo di marginalizzazione economica e culturale dell’area mediterranea in atto nel Settecento, nonché dei rapporti di “scambio” e dei motivi di reciproco interesse tra l’Europa e il mondo ottomano. Filo rosso di questa introduzione è stato il ridefinirsi di tali rapporti e il ruolo che nel mutare o perdurare di essi ebbe in primo luogo la Francia, promotrice di una serie di trattati e alleanze con la Sublime Porta, e soprattutto protagonista di una crescente curiosità culturale verso il mondo arabo e musulmano già dagli ultimi decenni del XVII secolo. Le relazioni di Maurice Aymard, Geografia ed economia del Mediterraneo settecentesco, e di Giuseppe Giarrizzo, Cultura e modelli politici – letta, in assenza dell’autore, da Anna Maria Rao, presidente della Società italiana di Studi sul Secolo XVIII –, hanno messo a fuoco le problematiche principali suscitate, nel Settecento, dalla definitiva presa di coscienza delle distanze culturali e sociali tra le civiltà sviluppatesi sulle diverse sponde del Mediterraneo. Gli interessi intellettuali che il mondo arabo-islamico suscitò nell’Europa settecentesca, in un primo tempo figli della curiosità illuministica della “scoperta dell’altro”, quando non addirittura dell’ormai emergente gusto per l’esotico, toccarono il culmine all’epoca della spedizione napoleonica in Egitto, quando cioè si determinò quel grande spartiacque storico-ideale che trasformò la mera curiosità in “coscienza” della superiorità europea e in spirito di conquista.

Il nuovo “legame” tra l’Europa e il mondo ottomano, cercato e voluto da entrambe le parti, ma reso difficile da oggettive diversità culturali e interessi economici, è stato poi messo in luce dalla relazione di Salvatore Bono, incentrata sugli ultimi strascichi della guerra di corsa e sui trattati marittimi che, soprattutto per iniziativa ottomana, costituirono nel Settecento un’importante occasione di incontro tra civiltà. Da questa relazione, come pure da quella di Edhem Eldem, docente dell’Università Bogazici di Istanbul, è emerso quanto furono fitti, nel XVIII secolo, i rapporti politici e commerciali tra le due sponde mediterranee e soprattutto tra la Turchia e la Francia, che anche nel Settecento si confermò il paese europeo più interessato a intrecciare i suoi destini marittimi con la Sublime Porta.

 

La sessione «Economie e civiltà» ha consentito di mettere in evidenza differenti punti di osservazione settecenteschi del Mediterraneo: confine naturale con l’Occidente, per gli ottomani; obiettivo di conquista e teatro di scontro con la Francia, per i britannici; origine di esodi forzati ma anche di eclatanti conversioni all’altra religione, per gli schiavi delle attività di corsa cristiani e musulmani. Le considerazioni fatte sulla politica mediterranea dell’Algeria e sulla diffusione nel mondo ottomano dei modelli europei di riforma, illustrate rispettivamente da Moulay Belhamissi dell’Università di Algeri e da Rachida Tlili Sellaouiti dell’Università di Tunisi, hanno fatto da contraltare alle relazioni di Jean Mondot, presidente della Société d’Études du XVIIIème siècle, Le Sud et la critique de la civilisation (Kulturkritik) chez quelques auteurs allemands du XVIIIème siècle, e di Kalifa Chater, dell’Università di Tunisi, La Méditerranéè vue du Maghreb au XVIIIème siècle: horizon absédant et/ou centralité d’une aire d’affrontement: un confronto di modelli che ancora una volta ha ricordato che il Settecento è stato l’età della prima matura e consapevole “scoperta dell’altro”.

 

Sempre sulla scia del confronto reciproco tra i due mondi, la più ampia sessione del convegno è stata dedicata al tema «Politiche, culture, sguardi incrociati», introdotta dalle relazioni di Giuseppe Ricuperati e Marcello Verga, che hanno magistralmente ricostruito lo sguardo che la storiografia – quella settecentesca il primo e quella contemporanea il secondo – ha rivolto (e rivolge) al Mediterraneo come entità a sé all’interno del quadro internazionale. Le stimolanti considerazioni di Giuseppe Ricuperati hanno mostrato come la storiografia settecentesca pose come centro del mondo, e crocevia di civiltà, l’Europa continentale, scegliendo come centro nevralgico talvolta la colta e potente Parigi, talaltra la Roma dei Cesari e dei papi, in conflitto con le spinte provenienti dal nord “barbarico”. Una visione che invece non era condivisa né dal relativista Spinoza né da Voltaire, che individuando nell’incontro-scontro tra mondi cristiano e arabo il conflitto di civiltà più forte del Medio Evo, e sottraendo importanza a quello tra latini e germani, individuò nel bacino Mediterraneo il teatro principale degli eventi chiave della storia dell’uomo. Il problema dell’individuazione dei “confini storiografici” – geografici e temporali – della storia dell’Europa, ha diviso e continua a dividere gli storici. Come ha ricordato anche Marcello Verga, che ha ricostruito il percorso della storiografia dal XIX secolo sino ai nostri giorni, a tutt’oggi la comunità degli storici non è concorde nell’individuazione di questi parametri, e l’ambiguità di una questione storiografica tanto importante rende difficile anche l’individuazione di un cammino culturale comune a tutti i paesi europei.

Ma la volontà di creare un’identità europea non è stata (e non è) solo lavoro dello storico: la storia culturale del Settecento mostra come la costruzione di una coscienza europea abbia preso forma anche attraverso il confronto e la separazione culturale dall’“altro”. Allo scopo di attirare l’attenzione su questa problematica il convegno ha dedicato ampio spazio agli «sguardi incrociati» tra cultura cristiana e cultura arabo-islamica nel XVIII secolo, inquadrando i motivi di reciproco interesse tra le due civiltà, europea e ottomana, dal punto di vista specificamente culturale. La relazione di Marina Formica, dell’Università di Roma “Tor Vergata”, ha raccontato con ricchezza di citazioni le Immagini del turco nella stampa italiana, ovvero la curiosità dei lettori italiani del Settecento nei confronti delle abitudini, ma anche delle “stranezze”, del vicino-nemico. Altre relazioni si sono soffermate sugli influssi dell’arte arabo-islamica sul gusto europeo: in particolare nel campo musicale, nelle relazioni di Cecilia Campa, del Conservatorio di Pescara, e di Maria Rosa De Luca, dell’Università di Siracusa; e nelle arti figurative, nelle relazioni di Susanne Adina Meyer dell’Università di Roma “La Sapienza” e di Karen Barzman della Binghamton University.

 

Nell’ultima sessione, «Mobilità, identità, rapporti politici», lo scambio tra civiltà è stato infine rivisitato dal punto di vista della cultura materiale, delle acquisizioni scientifiche e della circolazione di uomini e di idee tra le diverse sponde del Mediterraneo, rappresentata non solo dai viaggi dei mercanti o degli uomini politici ma anche dagli espatri forzati di esuli o prigionieri. E se, da un lato, l’intervento di Daniel Nordman – della parigina École des Hautes Études en Sciences Sociales – ha dato modo di parlare diffusamente delle questioni igieniche derivanti dalla «mobilità» settecentesca, le relazioni di László Nagy, sull’emigrazione politica ungherese in Turchia nel XVIII secolo, e di Antonio Pellitteri, sulle vicende e le memorie del maghrebino nazil Dimashq, hanno focalizzato l’attenzione sulle problematiche connesse all’integrazione civile e culturale tra i diversi “mondi”. Un dialogo possibile, al quale il convegno internazionale di studi di Sassari-Alghero ha voluto dare il suo contributo, ribadendone le basi storiche e dando così un importante segnale della vitalità e dell’attenzione della comunità scientifica alle problematiche del mondo attuale.

 

 

Barbara Mastino

Università di Sassari