ds_gen N. 4 – 2005 – Cronache

 

 

VII Seminario Internazionale di Studi

 

Tradizioni religiose e Istituzioni giuridiche

del Popolo sardo: il culto di San Costantino

Imperatore tra Oriente e Occidente

 

(Sedilo-Oristano-Sassari, 5-7 luglio 2004)

 

 

Nei giorni 5-7 luglio 2004, organizzato dal Dipartimento di Scienze giuridiche e dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Sassari, dalla Sezione di Roma ‘Giorgio La Pira’ dell’ITTIG-CNR, con il patrocinio del Comitato nazionale per il Centenario di Giorgio La Pira, si è svolto, a Sedilo-Oristano-Sassari, il VII Seminario Internazionale di Studi «Tradizioni religiose e Istituzioni giuridiche del Popolo sardo: il culto di San Costantino Imperatore tra Oriente e Occidente».

La seduta inaugurale, dedicata al tema de “Il culto”, si è tenuta la mattina del 5 luglio, nel Salone San Giuseppe, a Sedilo, (in provincia di Oristano), ove a San Costantino Imperatore è dedicato un santuario, che, in particolare nei giorni della festa (5-7 luglio) in onore del Santo, è centro di preghiera e meta di pellegrinaggio. Momento fondamentale della festa è l’‘Ardia’, la rievocazione equestre dello scontro fra l’esercito di Costantino e di Massenzio.

Dopo i saluti di rito del Sindaco del comune ospite, Renato Nieddu, hanno svolto interventi introduttivi i professori Pierangelo Catalano (Università di Roma “La Sapienza”) e Francesco Sini (Università di Sassari).

Pierangelo Catalano, nel suo intervento, ha tratteggiato la figura di un “grande sindaco”, Giorgio La Pira, del quale, nel 2004, mentre è in corso la causa di beatificazione, ricorre il centenario della nascita. A Giorgio La Pira, romanista si deve il “discorso di avvio” dei Seminari costantiniani che hanno preceduto il presente[1]. Il relatore ha richiamato l’attenzione su alcune “premesse” e “conseguenze” del discorso lapiriano su Costantino Imperatore, su Costantinopoli e su Mosca “città Santa”. Giorgio La Pira, in una lettera, del 1961, nella quale ringrazia il Patriarca ecumenico Atenagora per la “paterna accoglienza” da questi riservatagli nel 1960, a Costantinopoli, afferma il legame tra la sua “anima” e la “Chiesa di Costantinopoli”, “seconda Roma”. Nell’Epifania del 1964, nel messaggio rivolto al corpo consolare, il sindaco La Pira scrive che «il moto irreversibile verso l’unità» ha conseguito il suo «punto di pienezza (davvero: plenitudo temporis) con l’incontro di Paolo VI, sul Monte degli Ulivi, con il Patriarca Atenagora». L’illustre sindaco e romanista, a Sofia, nel 1972, in una sessione della Federazione delle Città Unite di cui egli è presidente, esprime la convinzione della importanza di Costantinopoli in quanto strumento di unità dei cristiani e di tutta l’umanità: il posto occupato dalla Bulgaria e da Sofia costituisce «un autentico ponte storico, culturale, spirituale, politico, collocato fra le due rive dell’Europa: la riva di Occidente e quella di Oriente: la riva di Roma e la riva di Costantinopoli, di Kiev e di Mosca». Nel 1959, Giorgio La Pira si reca per un primo “pellegrinaggio” a Mosca. In una circolare del 1963, indirizzata alle suore claustrali, in cui egli commenta il recente accordo nucleare di Mosca del 5 agosto dello stesso anno, osserva che la Chiesa di Mosca è «la Chiesa orientale fondamentale: ha non meno di 150 milioni di fedeli». Nel 1961, in una lettera al segretario del partito comunista polacco Gomolka, egli scrive che «il tempo dell’ateismo è finito, per sempre! Anche le generazioni nuove della Russia cercano i grandi valori della fede, della preghiera, della bellezza, dell’eternità! Cercano – nella patria russa socialista – la fede e la luce della Santa Russia e della Santa Mosca». Al Cardinale Wyszynsky, prima del Conclave, nell’ottobre 1958, Giorgio La Pira scrive che «la ‘storia sacra’ di domani passa per Varsavia, giunge a Mosca e va oltre, verso gli spazi della Cina e di tutta l’Asia. Un sogno? No: una ‘previsione’ mariana che ha il suo suggello nel ‘segreto’ di Fatima». In una lettera indirizzata a Giovanni XXIII, nel 1961, egli nota che «la pace del mondo passa da Mosca e da Roma e (da Pietro!) (come la Madonna ha detto)». Tali “passioni” del “sindaco romanista”, ha osservato il relatore, corrispondono a quelle da lui assunte, ancora diciottenne, nel 1922, a proposito del Bolscevismo e della Santa Mosca, in uno scritto finora inedito, in cui egli rifiuta il Fascismo, per il quale pure aveva avuto una “qualche tentazione”, scritto ove si trova già delineato il suo pensiero, che si ritroverà negli scritti a partire dal 1950, sulla Santa Mosca e sull’Asia. Pierangelo Catalano, in conclusione, si è soffermato sulla forte convinzione di Giorgio La Pira per il ruolo delle autonomie locali e per la pace.

Francesco Sini, nella sua qualità di responsabile della organizzazione scientifica del ‘Seminario’, ha posto sinteticamente in rilievo, nel quadro degli incontri e degli scontri fra i sistemi giuridici mediterranei e fra le Chiese d’Oriente e Occidente, la importanza del ‘Seminario’ per la «identità politica, giuridica e religiosa» del Popolo sardo.

Nella sua relazione su Il culto di San Costantino tra Gerusalemme e Costantinopoli, Alksej Pentkovskij (Accademia Teologica di Mosca) ha richiamato l’osservazione di Giorgio La Pira, formulata nel 1968, in Tunisia, durante una “Settimana di Studi sull’Uomo mediterraneo”, secondo cui la «civiltà mediterranea» si basa su tre «fondamenti»: Gerusalemme, Atene, Roma. Di queste tre città, solo due sono legate a Costantino, Santo e Imperatore. Nel Mediterraneo esiste poi la città di Costantinopoli, legata al nome del suo fondatore e divenuta assai presto la Nuova Roma. Secondo l’antico lezionario di Gerusalemme, risalente alla seconda metà del VII secolo e pervenutoci in una traduzione georgiana, il ricordo dell’Imperatore Costantino è celebrato il 22 maggio, data della sua morte. Con riferimento a Costantinopoli non abbiamo informazioni dirette riguardanti le particolarità del culto di San Costantino per il periodo preiconoclastico prima del 626. L’appartenenza dell’antico rito costantinopolitano alla tradizione liturgica antiochena induce a ricondurre tale culto all’antico culto gerosolimitano e antiocheno. Durante il periodo iconoclastico, il ricordo di San Costantino è celebrato, nelle fonti liturgiche di provenienza costantinopolitana, il 21 e non il 22 come a Gerusalemme. Nella più antica testimonianza liturgica per Costantinopoli, il Tipico del Patriarca Alessio Studita, conservatoci in una traduzione slava, si trova la descrizione della ufficiatura celebrata il 21 maggio e intitolata alla «Memoria dei Santi re Costantino ed Elena». A Costantino, descritto come il Nuovo Davide, si fa riferimento, inoltre, nel “Troparion” festivo e nella prima preghiera del rito bizantino di incoronazione. In chiusura della sua relazione, Alksej Pentkovskij ha analizzato il rafforzamento del culto di Costantino, nella metà del X secolo, ad opera dell’imperatore Costantino Porfirogenito.

Panayotis L. Vocotopoulos (Università di Atene) ha letto, con l’ausilio di diapositive, una relazione su Remarques sur l’iconographie de Saint Constantin en Grèce. Il relatore ha osservato che il nome di Costantino è fra i più diffusi in Grecia. Al contrario di quanto ci si aspetterebbe, però, solo un numero irrisorio di chiese è dedicato a San Costantino. L’Imperatore, nella iconografia tradizionale greca, è di solito raffigurato con la madre Elena. Non esistono raffigurazioni risalenti al periodo paleo-cristiano. Gli esempi più risalenti sono attribuibili al periodo post-iconoclastico, in cui si registra una grande espansione del culto relativo al Santo Imperatore e alla madre. Il più antico complesso monumentale che raffigura assieme i due Santi, a destra della croce, si trova in Cappadocia. In conclusione, Panayotis L. Vocotopoulos ha esaminato una serie di raffigurazioni dei due Santi, in mosaici, affreschi e sculture, soffermandosi sugli edifici sacri in cui esse sono custodite.

Srdjan Šarkić (Università di Novi Sad), nella sua relazione su Le culte de Sain Constantin dans les sources médiévales serbes, ha considerato la tradizione, ricorrente nelle fonti serbe sin dalla fondazione della dinastia reale, relativa a Costantino il Grande. La vita dell’Imperatore costituisce un modello per il fondatore della dinastia serba, Stefano Nemanja, descritto, nei testi della letteratura agiografica serba, come il Nuovo Costantino. Alla immagine di San Costantino si ricorre per la prima volta nella «Vita di San Simeone» (una biografia di Stefano Nemanja, scritta da suo figlio e successore Stefano Primo Coronato). In tale opera si trova un paragone tra Nemanja e Costantino, in particolare nel primo capitolo, in cui è descritta la battaglia di Pantin a seguito della quale Nemanja assume il potere. Nell’opera agiografica «Vite dei re e degli arcivescovi serbi» dell’Arcivescovo Danilo II, le qualità del re Milutin, nella lotta contro gli infedeli, sono paragonate a quelle dell’Imperatore Costantino. Al monaco Danilo, il futuro Patriarca Danilo III, si deve, inoltre, una descrizione del re Milutin come erede delle qualità dei re dell’Antico Testamento e della pietà di Costantino. E Stefano Decanski, figlio e successore del re Milutin, è celebrato come il Nuovo Costantino nelle fonti agiografiche serbe. Il modello di Costantino il Grande e l’idea di Roma eterna, ancora, ispirano Stefano Dusan nella proclamazione dello Stato serbo come Impero.

Ieromonaco Nestor (Diocesi di Korsun, Parigi), Il culto di San Costantino isoapostolo nella tradizione della Chiesa russa, ha sostenuto che Costantino costituisce, sin dalle origini della Chiesa russa, il modello del governante cristiano, il quale amministra il potere ricevuto da Cristo e costruisce il suo regno secondo quello di Dio. Nella coscienza della Chiesa russa, il culto di San Costantino Imperatore, anche se distante nel tempo, è ben presente. Ivan IV, il primo zar consacrato a Mosca dal Metropolita Macario, è paragonato a Costantino anche sotto il profilo militare. Tracce significative del culto di San Costantino Imperatore si rinvengono, inoltre, negli affreschi della Cattedrale dell’Assunzione a Mosca. L’equilibrio tra potere civile e potere religioso viene meno, in Russia, con Pietro il Grande, che decide di governare lui stesso la Chiesa russa. Egli è paragonato a Costantino Imperatore e la città di San Pietroburgo è considerata santa.

Ivan Biliarsky (Università di Varna) ha letto una relazione su Contribution à l’étude du culte de Saint Constantin en Walachie au XVIIe siècle. Le service du monastère Hurez (BAR, Mss. Sl. 778), nella quale ha presentato un manoscritto, finora sconosciuto, conservato presso il Dipartimento dei manoscritti della Biblioteca dell’Accademia rumena. Nel primo foglio del manoscritto sono raffigurati i Santi Imperatori Costantino ed Elena posti ai lati della croce. Il manoscritto si inserisce in una ricca tradizione costantiniana radicata, in Valacchia e in Moldavia, durante il Medioevo e gli inizi dell’età moderna. Espressione importante di tale tradizione è, fra l’altro, l’elogio predisposto dal Patriarca Eutimio di Târnovgrad, conosciuto in Moldavia sin dal XV secolo, e la traduzione di tale elogio predisposta, al tempo del principe Costantino Bassarab Brancovan, nel XVIII secolo, da un autore, a noi sconosciuto, legato al sovrano. Il richiamo da parte di Costantino Bassarab Brancovan al culto di San Costantino si giustifica al fine di elaborare una base ideologica del predominio del potere laico sul potere ecclesiastico. Il sovrano, secondo l’esempio di Costantino, diviene così il difensore della Chiesa e di tutti i cristiani. L’importanza del culto di Costantino, in seno alla corte della Valacchia, sfocia nella fondazione del monastero di Hurez, consacrato ai Santi Costantino ed Elena, destinato a divenire centro di elaborazione e di diffusione della letteratura costantiniana. Esempio particolarmente interessante di tale letteratura è un libro, pubblicato nel 1696 a Snagov, dal letterato Mihai Stefanović, nel quale sono riportati il canone e altri servizi in onore dei Santi Costantino ed Elena. In tale libro è pubblicato il testo del canone di preghiera del manoscritto BAR, Mss. sl. 778, con l’unica differenza relativa alle rubriche, scritte in rumeno, mentre il testo della preghiera è sempre scritto in slavo. Il libro, inoltre, è quasi certamente da intendersi in relazione ad altri due manoscritti probabilmente redatti nel monastero di Hurez: «Servizio dei Santi Imperatori, scritto a mano in rumeno e in serbo» e «Le vite dei Santi Imperatori».

In una relazione su I gosos dei Santi e in particolare quelli di San Costantino, Antonio Francesco Spada (Istituto Magistrale ‘Sedes Sapientiae’, Bosa) ha richiamato l’attenzione sul significato, nella poesia “popolare” e “colta”, del termine gosos, dal latino medievale gaudium, verosimilmente attraverso il castigliano gozo. Il termine gosos, nel sardo logudorese, indica una «composizione poetica religiosa extraliturgica», che si canta, dopo le novene o le messe, in occasione delle feste popolari dedicate alla Trinità, al Redentore, alla Vergine o ai Santi. Antonio Francesco Spada si è soffermato su due questioni fondamentali: la prima relativa alla origine della struttura formale e della melodia dei gosos; la seconda relativa alla natura popolare o no dei gosos. Con riferimento alla prima questione, egli ha messo in rilievo le differenze fra i gosos e i componimenti iberici denominati gozos e goigs e quelle fra i gosos e le laudi, che hanno tratto origine dalla spiritualità francescana medievale. È opinione oggi diffusa che le composizioni sarde siano di «matrice locale». È però probabile, secondo il relatore, che esse derivino dalla innografia bizantina, sorta, fra il V-VI secolo in Siria, a seguito delle numerose conversioni al cristianesimo. Con riferimento alla seconda questione, Antonio Francesco Spada ha sostenuto la necessità di valutare la questione in maniera distinta a seconda che ci si riferisca al testo o alla melodia dei gosos. Non ci sono dubbi che per la melodia dei gosos si possa parlare di un «canto popolare». Per quanto riguarda i testi, invece, egli, dopo una sintetica rassegna della letteratura sulla questione ora analizzata, ha sostenuto che i gosos non siano «poesia popolare in senso stretto», poiché essi non sono espressione istintiva dell’animo di un popolo. Frutto della attività di “poeti semidotti” (l’espressione è di Giovanni Spano), i gosos, pur non avendo una origine popolare, acquisiscono una natura popolare con l’uso da parte del popolo. Il relatore ha chiuso l’intervento con una rassegna delle raccolte principali di ‘gosos’, soffermandosi su quelli in onore di San Costantino, composti dal sacerdote Bachisio Michele Carboni, nato a Sedilo nel 1823, autore di una «Novena in onore de Santu Costantinu Magnu Imperatore», che si recita nel Santuario sedilese dedicato al Santo Imperatore dal 23 al 31 agosto.

 

 

La seduta di martedì 6 luglio, presieduta dal Prorettore della Università di Sassari, Attilio Mastino, si è aperta, nella Sala Consiliare della città di Oristano, dopo i saluti del sindaco, Antonio Barberio, e del Prefetto della città ospite, Giovanni Battista Tuveri, con un intervento di Francesco Sini, il quale, in riferimento alla identità del Popolo sardo, ha ricordato l’importanza di Oristano, città di Eleonora d’Arborea, simbolo della legislazione sarda medievale, in particolare con la Carta de Logu, fondata sulla tradizione giuridica romana. La Carta de Logu è stata la legislazione che, dal 1390 circa, ha rappresentato, fino al 1827, la legge fondamentale del regno di Sardegna, legge fatta propria dai Catalani, dagli Spagnoli e dai Piemontesi. In questa città, i Sardi tentano l’«ultima resistenza autonomistica» contro i Catalani: è qui, infatti, che si verifica l’ultimo tentativo di riprodurre il Giudicato di Arborea ad opera di Leonardo Alagón. La diocesi di Oristano, ha ricordato in chiusura Francesco Sini, conserva ancora il titolo di Arborea. Un luogo, quindi, carico di suggestioni per la autonomia del Popolo sardo.

Vladislav Zypin (Accademia Teologica di Mosca), in una relazione su Attualità dell’editto di Milano di San Costantino nella Russia contemporanea, ha esordito osservando che la civiltà europea è oggi in crisi. L’esito di tale crisi non è naturalmente prevedibile, ma è certo che la civiltà europea non può esistere senza fare riferimento al suo patrimonio cristiano. Il relatore ha sostenuto che l’editto dell’Imperatore Costantino è impregnato del valore della tolleranza religiosa. L’editto contiene una difesa di coloro che professano diverse religioni. Allo stesso tempo, esso si rivolge ai fedeli del vero Dio e a coloro che si allontanano dalla fede. Vladislav Zypin ha poi messo in luce la consapevolezza, da parte di Giorgio La Pira, dell’importanza del cristianesimo per la civiltà europea. La visita di Giorgio La Pira alla città di Mosca, «roccaforte dell’ateismo», non in qualità di turista, ma di pacificatore, costituisce un momento di una attività importantissima finalizzata ad evitare una nuova guerra mondiale. Il suo invito a tagliare i rami secchi dell’ateismo è stato profetico: oggi, in Russia, l’ateismo è morto. Il relatore ha chiuso il suo intervento osservando che il Seminario costantiniano può essere una testimonianza per il mondo cristiano, secondo una prospettiva che dall’Imperatore Costantino conduce a Giorgio La Pira.

Giovanni Maria Vian (Università di Roma ‘La Sapienza’) ha presentato un contributo su Il rapporto tra sacerdozio e impero nelle vicende della donazione di Costantino, nel quale ha rilevato che il problema centrale della donazione di Costantino concerne il rapporto tra il Papa e l’Imperatore, e quindi il ruolo del “sovrano” nella Chiesa dopo Costantino. Tale problema, stando a Eusebio di Cesarea, si pone già prima della morte di Costantino (nell’anno 337) e giunge fino alle soglie della “età moderna”. La concezione del potere politico, che in età ellenistica vede protagonista assoluto il sovrano, è ripresa da diversi filosofi, si trasmette al giudaismo ellenistico e quindi al cristianesimo. Dopo Eusebio, un autore latino, alla fine del IV secolo, Ambrosiaster, utilizza una formula espressione di tale concezione: Dei enim imaginem habet rex. Rex enim adoratur in terris quasi vicarius dei. Con riferimento alle basiliche reclamate da cattolici e da ariani, i quali ultimi l’Imperatore vorrebbe favorire, Ambrogio sostiene che non può essere “diritto di Cesare il tempio di Dio”. Un secolo dopo Ambrogio, Gelasio, Papa lui stesso, teorizza fra il 492 e il 496 il rapporto fra sacerdotium e regnum. Infine, nel Constitutum Silvestri, resoconto di un concilio immaginario, scritto tra il 498 e il 507, si legge: “Nessuno giudicherà la prima sede perché tutte le sedi desiderano essere regolate con giustizia e il giudice (scil. il Papa) non sarà giudicato dall’Imperatore, né da qualsiasi clero, né dal re, né dal popolo. In conclusione, il relatore ha espresso la opinione secondo cui il nucleo fondamentale del Constitum Constantini, la donazione costantiniana, coincida con la questione della supremazia del Papa sulle altre sedi e la supremazia anche temporale in Occidente, resa possibile a causa del venire meno della autorità imperiale. Nel 1054, la donazione giunge a Costantinopoli. Nell’XI secolo, è tradotta in greco e più tardi in russo. Nel 1653, entra nel diritto canonico della Chiesa russa. Solo nel 1805, in una opera a stampa, essa è considerata apocrifa. Nicolò Cusano dimostra la falsità della donazione e Valla riprende la dimostrazione.

Nina Sinizyna (Istituto di Storia Russa dell’Accademia delle Scienze di Russia, Mosca), nella relazione su Il paradigma di Costantino il Grande nella dottrina su sacerdozio e impero (secondo i testi giuridici e narrativi russi), ha sostenuto che la importanza di Costantino il Grande, per la storia della cristianità, non si limita agli eventi del IV secolo. Anche nelle età successive il cristianesimo trova, nella immagine dell’Imperatore, il modello per la formazione di alcune idee fondamentali. La prima di tali idee è la immagine del “sovrano ideale”; la seconda è la “sinfonia dell’impero”; la terza, meno nota, riguarda la presenza del nome di Costantino il Grande nella periodizzazione della storia mondiale, anche del XX secolo. La relatrice ha ricordato l’opinione, espressa nel 1918, dal teologo russo S.N. Bulgakov, secondo il quale, nella storia della Chiesa, la epoca di Costantino sarebbe finita solo nel 1917, con il crollo dell’impero. Per il teologo è fondamentale considerare la sinfonia del sacerdozio e dell’impero, il legame tra la religione ortodossa in Russia e la monarchia. Le idee di S.N. Bulgakov influenzano A.V. Kartašev, secondo il quale la Chiesa e lo Stato non devono essere considerati come contendenti, ma in “armonia” e in “consenso”. È ciò che nel linguaggio ufficiale si designa col termine “sinfonia”. Negli anni 1946-1955, A.V. Kartašev polemizza con A. Šmeman sulla valutazione del principio della “sinfonia”. A.V. Kartašev è dell’opinione che le violazioni non risolvano nel nulla la vigenza e la forza del principio della sinfonia, a differenza di quanto ritiene A. Šmeman, secondo il quale le continue violazioni mettono in dubbio l’esistenza del principio della sinfonia. Più recentemente il tema della sinfonia è stato ripreso da G. Dagron e da C.G. Pitsakis. Il primo ha fatto uso del vecchio concetto di cesaropapismo[2]. Il secondo ha riconosciuto, nella sinfonia, il principio ideologico fondamentale sul piano politico, filosofico e morale di Bisanzio, con riferimento specifico alla unità politica e giuridica dell’impero e della Chiesa[3]. La relatrice si è dunque soffermata sulla importanza di Costantino il Grande e di Giustiniano nella formulazione della dottrina sulla sinfonia, la quale, espressa in modo più “dettagliato” nel XI secolo, diviene parte del diritto canonico russo, fino a quando essa è oggetto di un espresso riferimento, nel XVI secolo, nello Stoglav. All’inizio dello Stoglav, nella premessa dello Zar Ivan IV, si trova un riferimento a Elena e a Costantino, considerato il primo zar cristiano russo. Con riferimento ai tentativi delle autorità secolari di limitare i diritti della Chiesa, le autorità ecclesiastiche fanno riferimento alla donazione di Costantino. Una tappa importante di tale formulazione è il battesimo del Principe Ivan III il Grande nominato come il “nuovo Costantino”. Mosca diviene, quindi, la “città di Costantino”. In chiusura, Nina V. Sinizyna ha ricordato la importanza nella storia della Russia, di Massimo il Greco, il quale, nell’intento di descrivere la immagine del monarca ideale, richiama Costantino il Grande e Papa Silvestro come esempio di consenso reciproco tra sacerdozio e impero.

M. Marcella Ferraccioli e Gianfranco Giraudo (Università di Venezia), con una relazione su Costantino ed il rapporto tra imperium e sacerdotium nella ricerca storiografica dei Gesuiti Riceputi e Farlati (1720-1773). I codici ritrovati del ‘Museo Illirico’, hanno presentato i primi risultati di una ricerca condotta nella Biblioteca del Museo Correr di Venezia, presso la quale sono stati rinvenuti undici codici, già oggetto di un precedente lavoro incompiuto di raccolta di materiali, poi andati dispersi. Emanuele Cicogna, al quale si deve una descrizione dei codici e dell’imponente lavoro di raccolta condotto dai gesuiti Padre Filippo Riceputi, Padre Daniele Farlati e Padre Iacopo Coleti, fra il XVIII e il XIX secolo, per la progettazione e la realizzazione dell’Illyricum Sacrum, attribuisce ai codici 3219-3221 il “titolo generico” di Constantiniana. Di tali codici, i primi due sono excerpta da opere antiche e moderne relative al battesimo dell’Imperatore, mentre il terzo è dedicato alla madre di Costantino, Santa Elena. In tali codici, degno di attenzione è che il battesimo di Costantino sia presentato come un momento importante del contrasto fra la Chiesa romana e la Chiesa orientale, connesso alla famosa donazione di Costantino, della quale è messo in rilievo, con tono pungente, il carattere di falso storico.

A conclusione della seduta, Vladislav Zypin ha letto una sintesi della relazione su L’incoronazione del primo Zar russo, inviata dell’Archimandrita Makarij (Accademia Teologica di Mosca), impossibilitato a partecipare ai lavori del Seminario. L’Archimandrita Makarij ha preso in considerazione gli eventi che hanno segnato l’incoronazione dello zar nel XVI secolo. Il Metropolita Macario incorona, all’età di 17 anni, lo zar Ivan IV il Grande, nella Cattedrale Uspenskij del Cremlino. Al termine di una cerimonia, fortemente influenzata dalle tradizioni di Bisanzio, il Metropolita invita lo zar a governare secondo le leggi di Dio e a trattare con giustizia i sudditi. L’avvenimento costituisce una tappa importante verso la formazione, testimoniata nell’opera di Massimo il Greco, dell’autorità spirituale dello zar. L’incoronazione dello zar da parte del Metropolita Macario ha favorito il prestigio della politica estera della Russia. L’importanza di tale evento è grandissima, anche perché, prima del 1547, l’incoronazione degli zar ortodossi è appannaggio del Patriarca di Costantinopoli, mentre nella occasione essa avviene di fronte al capo della Chiesa russa.

 

 

La seduta mattutina del 7 luglio, tenutasi nell’Aula Magna della Università di Sassari e presieduta dal Direttore del Dipartimento di Scienze umanistiche e dell’Antichità dell’Università di Sassari, Luciano Cicu, si è aperta con i saluti del Preside della Facoltà di Giurisprudenza, Giovanni Lobrano, e con un intervento introduttivo di Pierangelo Catalano. Quest’ultimo, nel ricordare che il Seminario si colloca nel quadro delle celebrazioni del Centenario della nascita di Giorgio La Pira, ha letto il messaggio inviato dal prof. Mario Primicerio della Università di Firenze, già sindaco della stessa città, il quale, nella sua qualità di Presidente delle celebrazioni del Centenario della nascita di Giorgio La Pira, ha portato i saluti della Fondazione La Pira e del Comitato nazionale per il Centenario di Giorgio La Pira. Egli ha rilevato che il Seminario costantiniano si ricollega a due “assi portanti” del pensiero di Giorgio La Pira. Il primo è relativo al dialogo tra i “due polmoni dell’Europa”, che si riflette nel costante impegno ecumenico di Giorgio La Pira. Il secondo è relativo al rapporto tra l’edificazione della città di Dio e l’impegno quotidiano nelle città dell’uomo, che si esprime, in Giorgio La Pira, nella sacrale laicità della politica. Giorgio La Pira, ha concluso Mario Primicerio, riesce ad essere, in virtù della sua “prorompente fede religiosa” e della sua formazione giuridico-romanistica, “profondamente e responsabilmente laico nelle scelte politiche”.

Costantinos G. Pitsakis (Università della Tracia, Komotini) ha presentato una relazione su Saint Constantin, fils naturel, protecteur des enfants naturels: un thème marginal de l’historiographie juridique byzantine, in cui ha posto in risalto l’importanza che la famiglia assume nella legislazione costantiniana. Costantino è il “protettore” della famiglia naturale e dei figli naturali, poiché egli stesso è nato fuori del matrimonio di Costanzo Cloro. Il relatore ha preso in esame il problema della santità di Costantino e di Elena, soffermandosi in particolare sulla analisi della “Vita di Costantino”, attribuita al Vescovo Ignazio, in cui sono messe in evidenza le nobili origini della madre dell’Imperatore. Costantinos G. Pitsakis, in chiusura, ha ricordato l’opera di Matteo Blastares, l’ultimo grande canonista bizantino, che ha redatto, nel 1334-1335 a Salonicco, la sua opera principale, divenuto il veicolo più importante di trasmissione del diritto canonico bizantino nell’Oriente ortodosso.

Nella sua relazione, Per lo studio delle costituzioni imperiali in Sardegna: cursus publicus e humanitas costantiniana, Pietro Paolo Onida (Università di Sassari) ha richiamato l’attenzione sul significato della svolta costantiniana, che, secondo la tesi di Giorgio La Pira, deve essere individuato nel dialogo, instaurato da Costantino, fra Chiesa e Impero, in una costante apertura verso l’Oriente, in nome della tolleranza fra i popoli. Nel novero delle costituzioni emanate da Costantino, in tema di cursus publicus, è presente, con una intensità particolare, quel carattere della legislazione costantiniana che ha indotto la dottrina a parlare di provvedimenti umanitari. Eusebio, che in generale descrive le qualità dell’Imperatore con il termine “eÙsšbeia”, con riferimento specifico alle relazioni tra Imperatore e i suoi sudditi, impiega il termine filanqrwp…a, che si esercita concretamente, fra l’altro, nella riscossione dei tributi (vita Const. 1,14,1-6) e nel governo delle province (vita Const. 1,25,1). La filanqrwp…a è una qualità “universale”, espressione importante della tolleranza, in quanto si manifesta non solo nei riguardi di coloro che, fuori dall’Impero, sono sotto la oppressione della tirannide (hist. eccl. 10,9,2; vita Const. 2,3,1), ma anche nei riguardi dei nemici (hist. eccl. 10,9,3; vita Const. 2,11,1-2; 4,54,1). Pietro Paolo Onida ha presentato una rassegna sintetica delle costituzioni costantiniane aventi relazione con la Sardegna, tra le quali la costituzione, CTh. 2,8,1, pubblicata a Cagliari, nel 321, indirizzata a Helpidius, vicarius urbi, con la quale l’Imperatore stabilisce che in occasione della domenica non si tengano processi, ma sia lecito emancipare i servi e quella, CTh. 2,25,1, con la quale, nel 325, Costantino interviene nella questione della separazione delle cosiddette “famiglie servili”, ordinando che le “adgnationes servorum” debbano rimanere unite. Il relatore ha quindi preso in considerazione la disciplina del cursus publicus, nei secoli IV e V d.C., alla quale è indissolubilmente connesso, con risvolti particolarmente significativi per il giurista, il tema della comunicazione fra il potere centrale e quello periferico. Rispetto agli abusi, che si erano verificati in passato con riferimento a tale disciplina, Costantino interviene, per impedire gli abusi nella organizzazione del cursus publicus e per alleviare le condizioni economiche disagiate nelle quali anche la Sardegna versava, con la costituzione, del 315, CTh. 8,5,1, con cui si stabilisce il divieto di distrarre i buoi dal lavoro dei campi per il cursus publicus, e con la costituzione, del 316, CTh. 8,5,2, con cui si proibisce di sottoporre gli animalia publica a maltrattamenti. Da ultimo, Pietro Paolo Onida ha analizzato le fonti che attestano, con particolare riguardo al cursus publicus, l’atteggiamento di Costantino per gli animali non umani, ancora oggi perdurante, nella tradizione del Popolo sardo, con la Ardia di Sedilo. Tra le fonti, il  relatore ha richiamato quelle che attestano il rifiuto dei sacrifici cruenti (Eusebio, vita Const. 4,9-10; Zosimo 2,29,1-5) e le costituzioni che vietano il compimento di pratiche sacrificali legate alla aruspicina (CTh. 9,16,1; CTh. 9,16,2; CTh. 16,10,1; CTh. 9,16,3 ) e quelle che introducono limiti ai riti cruenti in onore delle divinità romane (CTh. 16,10,2; CTh. 16,2,5; CIL XI,5265 = ILS 705; Eusebio, vita Const. 2,45,1; Eusebio, vita Const. 2,44). L’atteggiamento di Costantino, nei riguardi degli animali non umani, non deve essere inteso come mera zoofilia, ma come parte di una più ampia concezione del potere politico e del diritto.

Paolo Ferretti (Università di Trieste) ha svolto una relazione su Duo … unum (Gen. 2,24; Matt. 19,5-6): Costantino e il ripudio, nella quale ha richiamato l’osservazione di Giorgio La Pira secondo cui la famiglia è «sorgente della storia», una unità bipolare «Duounum! (Genesi, I, 26-27; II, 23-24; Matt., XIX, 3-6)» che costituisce «la pietra d’angolo sulla quale si edifica la storia di Israele e del mondo (e la storia romana): e Cristo divinamente la conferma»[4]. Il relatore ha ricordato, in tema di ripudio, l’insegnamento di Cristo, secondo il quale, contro la tradizione israelitica nella quale è vivo il ricordo della poligamia dei patriarchi e il libello di ripudio, il matrimonio è monogamico e indissolubile (Gen. 1,27;2,24). Al tempo di Gesù, due scuole, quella di Hillel e quella di Shammai, discutono sulle cause che possono determinare il divorzio: la prima scuola ritiene che il divorzio sia ammissibile anche per cause futili; la seconda ammette il divorzio esclusivamente in caso di «disordini sessuali gravi», probabilmente solo nel caso di adulterio. Gesù, di fronte al tentativo dei farisei di coglierlo in contraddizione in materia di ripudio (Matt. 5,31; 19,3; Marc. 10,1; Luc. 16,18), afferma il principio: «Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non separi» (Matt. 19,4-6). Paolo Ferretti ha esaminato la costituzione riportata in CTh. 3,16,1, indirizzata al Prefetto del Pretorio Ablavio, nella quale Costantino stabilisce il divieto di ripudio per la moglie nei confronti del marito e viceversa, salvo il caso in cui il marito sia un assassino, un preparatore di veleni o un violatore di sepolcri o la moglie una adultera, una preparatrice di veleni o una mezzana. È discusso in dottrina se il cristianesimo abbia avuto oppure no una influenza su tale costituzione. Entrambi tali orientamenti dottrinali sono, secondo il relatore, criticabili, in quanto in essi si tende a ridurre il problema esclusivamente al binomio dissolubilità-indissolubilità del vincolo. Il relatore ha proposto, invece, di interpretare tale costituzione alla luce della tradizione giuridica precedente. Una influenza sulla costituzione, riconducibile alla “tradizione pagana”, è ravvisabile nel fatto che lo scioglimento del matrimonio rimane illimitato anche nella costituzione di Costantino, che, secondo la opinione pressoché unanime, sarebbe una legge meno che perfetta, la quale proibirebbe e sanzionerebbe l’atto di ripudio, ma non sancirebbe l’inefficacia. Può essere intravista, invece, una influenza del cristianesimo sulla costituzione nell’inasprimento del sistema sanzionatorio, con la deportatio in insulam per la moglie e con l’obbligo per il marito di non sposarsi. D’altra parte, la repressione per fini di ordine pubblico dei tria crimina, per il caso del marito omicida, preparatore di veleni o violatore di sepolcri, in quanto “crimini particolarmente odiosi” non può essere attribuita né a influenze pagane, né a influenze cristiane. Paolo Ferretti ha quindi preso in considerazione un filone, di origine cristiana, finora non messo adeguatamente in luce, secondo il quale la relazione tra i coniugi appare riconducibile a regole particolari rispetto a quelle comuni relative alle relazione tra persone e cose. Nell’ambito di tale filone, egli ha richiamato Crisostomo[5], per il quale, mentre si può ammettere la restituzione di una abitazione o di un servo inetto, non è possibile restituire la moglie. Crisostomo sostiene che il matrimonio non sia una negotiatio, con la quale si acquista un bene che è possibile in un qualsiasi momento derelinquere, ma una vitae societas[6]. Costantino sembra dunque essersi proposto, con la costituzione, l’obiettivo di punire il coniuge, il quale, con il suo comportamento nei confronti della moglie, appare aver trattato quest’ultima come un «bene patrimoniale»: placet, mulieri non licere … marito repudium mittere exquisita causa … nec vero maritis per quascumque occasiones uxores suas dimettere.

Con una relazione su Costantino e il riconoscimento della ‘familia’ servile. Riflessioni su CTh. 2.25.1, Rosanna Ortu (Università di Sassari) si è interessata delle problematiche legate alla cosiddetta “famiglia” del servus, prendendo il via dall’esame della costituzione di Costantino, CTh. 2,25,1, del 29 aprile 325, in materia di fondi patrimoniali ed enfiteutici della Sardegna, con la quale si sancisce il divieto di separare i nuclei di servi stretti da vincoli di parentela. La relatrice ha osservato che l’impiego, da parte di Costantino, della espressione servorum agnatio, con riferimento alla parentela tra i servi, e del termine coniuges, con riferimento alle “compagne dei servi”, rivela il convincimento imperiale che non vi sia differenza tra i vincoli di parentela che riguardano la persona libera e quelli che riguardano il servus. Il divieto di smembramento della famiglia, pur essendo influenzato dal cristianesimo, può essere spiegato, come risulta dall’opera di Varrone (rust., 1,17,5; 2,10,6) e di Columella (1,8,5; 1,8,19), anche sulla base del legame tra le famiglie dei servi e il fondo. Fra i giureconsulti romani è Ulpiano a dedicare una attenzione particolare al tema delle “unioni familiari servili”, anzitutto in due frammenti, D. 33,7,12,33 (Ulpianus libro vicesimo ad Sabinum) e D. 33,7,12,7 (Ulpianus libro vicesimo ad Sabinum), relativi al legato di instrumentum fundi. Nel primo frammento, Ulpiano, rispondendo positivamente al quesito se nel fundus instructus si debbano comprendere anche le contubernales dei servi e i figli, qualifica le compagne dei servi come uxores. Nel secondo frammento, ugualmente in tema di legato, il giureconsulto, sulla base di una presunzione di volontà da parte del testatore, ritiene che anche le uxores e gli infantes dei servi siano da comprendere nel legato di instrumentum fundi, poiché essi dimorano nel luogo in cui i servi prestano la attività lavorativa. Il giureconsulto giustifica la decisione del testatore di comprendere nel legato anche i “nuclei familiari servili”, sulla base di motivazioni anche di carattere umanitario (neque enim duram separationem iniunxisse credendus est), e non semplicemente economiche. La “inseparabilità” della “famiglia” del servus è oggetto di esame, sempre da parte di Ulpiano, in D. 21,1,35 (Ulpianus libro primo ad edictum aedilium curulium), in cui si rileva, fra l’altro, che nella restituzione di mancipia si consegnano, assieme ai morbosa, anche gli individui sani, qualora non sia possibile separarli sine magno incommodo vel ad pietatis rationem offensam. Dal frammento emerge che l’actio redhibitoria non conduce necessariamente allo smembramento del «nucleo familiare servile». Risulta, quindi, un orientamento giurisprudenziale teso a garantire la “inseparabilità” della “famiglia” servile, in cui accanto a ragioni di carattere economico, cominciano a emergere ragioni di «opportunità e pietà». In conclusione, Rosanna Ortu ha rinviato alla tesi, secondo la quale la costituzione di Costantino, CTh. 2,25,1, sarebbe influenzata da Ulpiano, per il tramite di Lattanzio, il quale, da un lato (inst. 5,14,17), disapprova la servitù per sostenere la eguaglianza fra tutti gli uomini, dall’altro (inst. 5,15,3), propone alcuni espedienti per mitigare il rigore della condizione servile. La costituzione di Costantino, influenzata dalla dottrina cristiana, trasforma in «principio legislativo» l’orientamento giurisprudenziale, relativo alla “inseparabilità” della “famiglia” servile, fino ad allora motivati da ragione prevalentemente economiche.

Giorgio Barone Adesi (Università ‘Magna Grecia’, Catanzaro) ha parlato di Principi tradizionali e innovazioni cristiane nella legislazione di Costantino. Lo studio della età costantiniana, in particolare per quanto attiene ai rapporti tra sacerdotium e imperium non ha valore per i «pii popoli ortodossi» solo come «memoria storica», ma anche come occasione importante di approfondimento dei rapporti odierni tra Chiesa e “poteri civili”. Costantino costituisce uno dei temi che divide l’Oriente, ove egli è venerato come Santo, dall’Occidente, ove egli è spesso giudicato come un freddo calcolatore. Il relatore ha quindi preso in esame le costituzioni, riportate in CTh. 1,4,1 e 1,4,2, che contengono importanti riferimenti, nella legislazione imperiale del IV secolo, alla utilizzazione dei responsa prudentium. Nella prima costituzione, l’Imperatore esprime il desiderio che siano evitate, per una necessità di “ordine forense”, le contese sulle opinioni di Papiniano e le note di Paolo e Ulpiano. Costantino ritiene che, sebbene tali note siano espressione dell’ingegno dei loro autori, esse non aiutano a interpretare meglio il testo papiniano, ma lo corrompono. Egli, pertanto, stabilisce di «escluderne la vigenza». Nella seconda costituzione, l’Imperatore conferma tutti i corpora delle opere di Paolo, mostrando per esse grande stima e stabilendo la possibilità di utilizzare le sentenze di tale giureconsulto per la loro chiarezza e perfezione. In chiusura del suo intervento, Giorgio Barone Adesi ha sostenuto che l’aspetto più importante della legislazione costantiniana è la «matura attitudine» a conservare le tradizioni giuridiche del passato, introducendo novità che ai suoi predecessori sono apparse impensabili.

 

 

La seduta pomeridiana del 7 luglio si è svolta, a Sassari, nella Aula Magna del Palazzo dell’Università, sotto la presidenza del Direttore del Dipartimento di Scienze giuridiche, Antonio Serra.

Con la relazione sul tema Costantino, l’Oriente e la pace, Vincenzo Poggi (Pontificio Istituto Orientale) ha messo in rilievo la relazione tra Costantino e l’Oriente: l’Imperatore è nato a Niš, nel centro della Serbia, attraversata dalla strada che porta a Sardica, l’odierna Sophia, e a Costantinopoli. Costantino, ancora ventenne, è una prima volta in Oriente, nel 293, al seguito di Diocleziano. Eusebio di Cesarea ricorda (vita Const. 1,49-56) la sofferenza patita da Costantino alla notizia delle atrocità alle quali Licinio sottopone le popolazioni dell’Oriente. Con la morte di Licinio, Costantino ricostituisce la unità fra i popoli dell’Oriente e dell’Occidente (vita Const. 2,19). Nell’editto agli eparchi orientali (vita Const. 2,48,60), dell’autunno del 324, Costantino contrappone la crudeltà degli imperatori a lui precedenti, che hanno mancato di clemenza nei confronti dei cristiani, alla umanità dei barbari (i Persiani) che, invece, hanno accolto benevolmente i cristiani. L’Imperatore, rivolgendosi agli eparchi orientali, auspica la pace per “il bene comune di tutto l’Impero e di tutti gli uomini” (vita Const. 2,56,1). Vincenzo Poggi, dopo avere richiamato l’invito rivolto da Costantino alla concordia e alla libertà comune (vita Const. 2,72,1), ha ricordato la raccomandazione dell’Imperatore, rivolta negli anni 327-328 ai cristiani antiocheni, di evitare divisioni nella scelta del vescovo (vita Const. 3,60,4). Costantino, nell’affermare che «chi mira piuttosto alla pace, mi sembra faccia ancor meglio che vincere», sembra sostenere, secondo il relatore, lo “stesso principio” formulato, nel XVI secolo, dal dominicano spagnolo Francisco de Vitoria, fondatore del diritto internazionale, secondo il quale «se una guerra è utile a un solo Stato, ma produce danno all’insieme del genere umano, la ritengo ingiusta». L’epoca di pace preannunziata da Costantino e da Giorgio La Pira non è ancora instaurata. Costantino, Fundator Quietis, non ha solo guardato all’Oriente, ove è sorto il cristianesimo, ma ha riconosciuto nella pace la condizione naturale per la salvezza dell’umanità.

Mihai Valentin Vladimirescu (Università di Craiova), con la sua relazione su Saint Constantin le Grand dans la spiritualité du peuple roumain, ha considerato il valore della santità nella storia della Europa. La coscienza religiosa cristiana si è formata, in Europa, attraverso la influenza dei Padri della Chiesa, la cui opera ha avuto una larga parte anche nella cristianizzazione dei popoli slavi. Lo studioso ha ricordato che la lingua dei rumeni è fortemente influenzata dal latino popolare, anche a causa della diffusione del cristianesimo, delle relazioni con i romani a sud del Danubio, della utilizzazione del sistema monetario romano, del governo “romano-bizantino”, a nord del Danubio, ai tempi di Costantino il Grande e di Giustiniano. Le versioni rumene delle leggende relative a Costantino il Grande derivano, più o meno direttamente, da fonti bizantine. Lo studioso si è soffermato sulla importanza del Sinassario greco nella diffusione di tali leggende e sulla collezione slavo-russa della “Vita dei Santi” di Dimitri, arcivescovo di Rostow (Russia), e sulla “Vita di San Costantino” di Simone Metafraste. I traduttori rumeni del XVII e del XVIII secolo utilizzano il Sinassario greco in tre versioni: 1) il testo dei Menei di Venezia nelle edizioni di N. Glykys del XVII secolo; 2) una versione “neo-greca” del testo bizantino del vescovo di Citera, Massimo Margounios; 3) una versione “medio-bulgara”, tuttora inedita, che compare nei Menei slavi, nella Chiesa rumena, verso la fine del XVIII secolo.

Aleksej Dolgov (Dipartimento per le Relazioni Esterne della Chiesa del Patriarcato di Mosca) ha presentato una relazione su Giorgio La Pira messaggero di pace e di unità. Il pensiero di Giorgio La Pira ha oggi, in Russia e nel mondo, una importanza sempre maggiore, con riferimento specifico ai rapporti tra la Chiesa russa ortodossa e la Chiesa romana cattolica, per il richiamo costante nell’opera lapiariana alla unità della Chiesa e al dialogo tra le diverse Chiese. In questo senso, l’azione di Giorgio La Pira ha avuto una grande influenza nello sviluppo del dialogo ortodosso-cattolico. Giorgio La Pira visita la Unione Sovietica per la prima volta nell’agosto del 1959. Il suo interesse per la Unione Sovietica risale, però, ad anni prima, precisamente al 1951, quando egli tenta di mettersi in contatto con Stalin per porre fine alla guerra in Corea. Firenze, nella sua politica di pace, sarebbe dovuta diventare città della mediazione tra Oriente e Occidente, come in passato, quando nel 1439, è teatro di un tentativo d’unione tra la Chiesa d’Oriente e la Chiesa d’Occidente. Il sindaco La Pira, in occasione del “Convegno dei sindaci delle capitali del mondo”, nell’ottobre 1955, a seguito del quale è invitato dal sindaco di Mosca, Jasnov, a visitare l’Unione Sovietica, ricorda i legami particolari intercorsi in passato tra Firenze e Mosca, come attestato dal fatto che San Massimo il Greco, personaggio di grande importanza nella storia russa, riceve la sua formazione religiosa e culturale nella città toscana. Quattro anni dopo, nell’agosto del 1959, quando Giorgio La Pira non è più sindaco di Firenze, compie il suo pellegrinaggio in Unione Sovietica. Nella sua azione di pace, Giorgio La Pira è animato da una grande fede. Egli, prima di parlare al Soviet Supremo, nell’agosto 1959, si reca in visita di preghiera alla SS. Trinità di Zagorsk e alle tombe dei Santi Sergio di Radonež e Massimo il Greco. In occasione dell’incontro con i rappresentanti del Soviet Supremo, Giorgio La Pira chiede ai capi del Partito comunista di tagliare «il ramo secco dell’ateismo statale dall’albero fastoso di questo popolo dalla storia millenaria». Il relatore ha richiamato alcuni momenti particolarmente significativi di tale azione. Risale all’agosto del 1959, l’incontro fra Giorgio La Pira e il Direttore del Dipartimento per le relazioni esterne della Chiesa, Metropolita Nikolaj, che partecipa, come il professore, ai lavori del Consiglio Mondiale per la Pace. Nel dicembre del 1963, Giorgio La Pira visita Mosca per la seconda volta, per partecipare alla prosecuzione dei lavori dell’Assemblea per la Pace e per la Civiltà Cristiana, già iniziati a Firenze nel 1952. Durante tali lavori, ai quali prendono parte importanti esponenti politici, Giorgio La Pira ha la possibilità di parlare con Nikita Sergeevic Krusciov della cessazione della corsa agli armamenti nucleari. Alla fine dell’autunno del 1971, Giorgio La Pira giunge di nuovo in Unione Sovietica. Visita ancora una volta la città di Zagorsk, l’Accademia Teologica di Mosca, il Seminario. In suo onore è organizzato un incontro con gli studenti dell’Accademia Teologica di Mosca e del Seminario. Al novembre del 1971, nell’ottica di un rafforzamento dei rapporti tra la Chiesa russa ortodossa e la Chiesa romana cattolica, risale l’incontro fra Giorgio La Pira e il Patriarca di Mosca e di tutta la Russia, Pimen. L’attività di Giorgio La Pira, infine, influenzando le decisioni del Concilio Vaticano II, in merito al dialogo tra cristiani e non cristiani, apre nuovi orizzonti nelle relazioni tra il Vaticano e il resto del mondo cristiano. Dopo la morte di Giorgio La Pira, nel 1977, ha chiuso il relatore, le sue idee non sono state dimenticate in Russia.

 

 

La seduta pomeridiana si è conclusa con una tavola rotonda con interventi di Philippe Luisier (Vice Rettore del Pontificio Istituto Orientale, Roma), Costantinos G. Pitsakis e Vladislav Zypin. Ha chiuso i lavori, con un discorso di sintesi e i saluti, il prof. Antonio Serra.

 

 

Pietro Paolo Onida

Università di Sassari

 

 



 

[1] Si veda G. La Pira, “Riflessione storico-politica”, in Chiesa e Stato dal IV al VI secolo (Prospettive, Quaderno 2), Firenze 1974, pp. 134-137; ora in F. Sini-P.P. Onida (a cura di), Poteri religiosi e istituzioni: il culto di San Costantino Imperatore tra Oriente e Occidente, Torino 2003, 461-467.

 

[2] G. Dagron, Empereur et Prêtre. Etude sur le “césaropapisme”, Paris 1995.

 

[3] C.G. Pitsakis, “Empire et Eglise le modèle de la Nouvelle Rome: la question des ordres juridiques”, in Diritto e religione. Da Roma a Costantinopoli a Mosca. Rendiconti del XI Seminario “Da Roma alla terza Roma” Campidoglio, 21 aprile 1991, 107-123.

 

[4] G. La Pira, “La famiglia sorgente della storia”, in G. La Pira, Il sentiero di Isaia, Firenze 1978, 611 ss.

 

[5] Chrys., laud. Max. 1 (in Migne, PG, LI, 226).

 

[6] Chrys., laud. Max. 1 (in Migne, PG, LI, 230).