N. 4 – 2005 – Memorie

 

 

Carlos Vidal Prado

Universidad Nacional de Educación a Distancia, Madrid

 

La disciplina della Guerra nella Costituzione spagnola*

 

Sommario: 1. Introduzione. – 2. La disciplina della guerra nell’ordinamento spagnolo. – 3. Guerra umanitaria e guerra al terrorismo. – 4. La posizione spagnola in alcuni recenti conflitti. – 4.1. La guerra del Golfo. – 4.2. La crisi del Kosovo. – 4.3. L’intervento in Afghanistan. – 4.4. L'intervento di Perejil. – 4.5. La guerra dell'Iraq.

 

1. – Introduzione

 

I concetti pace e guerra sono due concetti antitetici che sembrano negarsi reciprocamente. Sono un po' come due facce dello stesso problema, perciò è molto difficile parlare della pace senza parlare della guerra e viceversa. Però, nella prospettiva del diritto interno e in particolare nella prospettiva costituzionalistica si è per molti anni parlato prevalentemente della pace. Dal punto di vista degli studi di diritto costituzionale si può riscontrare una specie di esorcizzazione del concetto di guerra: la guerra è stata considerata un illecito internazionale e si è accantonato il problema guerra.

La costituzione spagnola richiama sia la pace che la guerra. Ovviamente la guerra di cui parla il testo costituzionale è quella legittimamente conducibile.

La pace è stata vista come valore costituzionale nettamente preminente e indiscutibile, elemento di riferimento per la politica nazionale. Il Preambolo della nostra Costituzione dice che: «La nazione spagnola, desiderando stabilire la giustizia, la libertà e la sicurezza e promuovere il bene di quanti la compongono, nell'uso della sua sovranità, proclama la sua volontà di: (...) collaborare al rafforzamento di relazioni pacifiche e ad un'efficace collaborazione fra tutti i popoli della terra».

La considerazione della pace come valore e contemporaneamente un fenomeno di rimozione del termine e del concetto di guerra hanno portato, soprattutto nel diritto internazionale, ma anche con una ricaduta nel diritto interno, a usare nel lessico abituale e scientifico, altri concetti, come il concetto di conflitto armato e il concetto di crisi internazionale o grave crisi internazionale.

Quando le realtà dei rapporti internazionali hanno cominciato a coinvolgere la Spagna in episodi che comportavano l'impiego all'estero di corpi armati dello stato ci si è sempre preoccupati di esorcizzare la sola idea di un conflitto armato precisando che si trattava di missioni di pace, come se il fine del mantenimento della pace o della imposizione della pace non potesse implicare il ricorso a procedure comportanti l'uso di una forma di violenza che, senza dar luogo a una guerra, tale per il diritto internazionale, fosse quella tipica dei conflitti armati.

A partire dall'inizio degli anni novanta dello scorso secolo fra i numerosi conflitti localizzabili in aree regionali delimitate si inseriscono conflitti che assumono una dimensione sempre più ampia e che coinvolgono, tramite i meccanismi attivati dalle alleanze, la Spagna. Si tratta di conflitti armati, secondo una terminologia invalsa a livello internazionale, che in realtà coincidono sempre più con il modulo tradizionale della guerra internazionale. Si tratta di conflitti che hanno posto in evidenza come sia stato superato il regime della messa al bando della guerra, legittimando il ricorso dello ius ad bellum con evidente abbandono della convinzione della assolutezza di principi che sembravano consolidati nel diritto internazionale e di riflesso in quello costituzionale.

 

2. – La disciplina della guerra nell’ordinamento spagnolo

 

La Costituzione spagnola (CE) dispone all’art. 63.3, che spetta al Re, previa autorizzazione delle Cortes Generales, la facoltà di dichiarare la guerra e concludere la pace.

Da un lato, tale previsione non è molto adeguata, tenendo conto gli accordi internazionali sottoscritti dalla Spagna: lo «stato di guerra» sembra evocare un istituto illegale cui è vietato ricorrere, per uno Stato di diritto, il quale, in caso contrario, potrebbe addirittura incorrere in un illecito internazionale. Dall'altro lato, com’è evidente, questa facoltà non ammette alcun arbitrio del Monarca: è la risposta alla necessità di imputare formalmente la dichiarazione di guerra ad un organo rappresentativo della Nazione. Soltanto la previa delibera del Parlamento, infatti, costituisce il fattore legittimante di un potenziale intervento militare, assicurando un consenso generalizzato ad una guerra cui la Spagna decida di partecipare. Un rifiuto del Re sarebbe incompatibile con il carattere parlamentare della forma di governo e con la funzione di direzione politica dell’esecutivo. L’art. 97 della CE attribuisce al Governo la direzione della politica interna ed estera, oltre all’amministrazione civile e militare e alla difesa dello Stato.

Anche se il Re possiede, in virtù dell’art. 62, lettera h, il comando supremo delle forze armate, tale previsione ha un valore strettamente simbolico. È, dunque, necessario, affinché questa attribuzione venga esercitata in concreto, che intervenga il Governo, che costituisce l’unico soggetto a cui sarà sostanzialmente imputabile il comando delle forze armate.

Al fine di definire e delimitare in concreto le funzioni governative, l’art. 8.2, della CE prevede: «La legge organica regolerà le basi dell'organizzazione militare, secondo i principi della presente Costituzione». Questa legge è la Ley Orgánica de Criterios Básicos de la Defensa Nacional y de la Organización Militar, che stabilisce, all’art. 8:

1. Spetta al Presidente del Governo la direzione della politica di difesa. Di conseguenza, egli esercita la propria autorità per ordinare, coordinare e dirigere l’operato delle forze armate.

2. Al Presidente del Governo spetta, inoltre, la direzione della guerra, la formulazione delle direttive per i negoziati con l’estero e la definizione degli obiettivi, tanto strategici quanto della politica militare.

3. Allo stesso modo, il Presidente del Governo definisce i grandi obiettivi strategici, approva i piani che derivano dalla fissazione di tali obiettivi, la distribuzione generale delle forze e i mezzi destinati a provvedere alle necessità degli eserciti[1].

Il Presidente del Governo, dunque, a seguito di una formale dichiarazione dello «stato di guerra», dirige le operazioni militari, dalla Junta de la Defensa Nacional (art. 9.4, della Ley Orgánica de Criterios Básicos de la Defensa Nacional y de la Organización Militar). In una situazione così singolare, il Governo potrà nominare, a capo del Comando operativo delle Forze Armate, il Capo di Stato Maggiore della difesa, il quale, sotto il comando del Presidente del Governo, condurrà le operazioni militari (art. 11 bis. 3, della stessa legge). La Guardia civile dipenderà, in caso di «stato di guerra» o «stato d’assedio», esclusivamente dal Ministro della difesa, il quale, a sua volta, eserciterà i poteri militari di cui all’art. 8, n. 1, solamente in caso di delega espressa da parte del Presidente del Governo[2], dato che la sua peculiare competenza è la ordinaria direzione dell’amministrazione militare, secondo quanto stabilito dagli artt. 4 e ss. della Ley 17/1999 del 18 maggio, del Régimen del Personal de las Fuerzas Armadas.

Nell’ordinamento spagnolo le forze armate possono intervenire anche nel caso in cui sia stato dichiarato lo «stato di assedio» (estado de sitio) per garantire la salvaguardia effettiva dell’ordinamento costituzionale. La Costituzione impone, infatti, al Parlamento di regolare, con lo strumento della legge organica[3], lo stato di “alarma, excepción y de sitio” (art. 116 CE[4]) nonché le limitazioni dei diritti dei cittadini che potrebbero essere legittimamente adottate in tali situazioni. L’art. 116 CE regola le diverse situazioni di «anormalità costituzionale», inquadrandole in tre gruppi: lo «stato di allarme», situazione di scarsa incidenza politica che si riferisce all’esistenza di circostanze eccezionali come catastrofi, calamità naturali, crisi sanitarie o paralisi dei servizi pubblici essenziali[5]; lo «stato di eccezione», che implica un certo rafforzamento del potere del Governo, correlato alla eventuale sospensione di alcune libertà individuali (in virtù di quanto disposto dall’art. 55 CE[6]), e che costituisce la risposta istituzionale a gravi alterazioni dell’ordine pubblico[7]; lo «stato di assedio», che costituisce la situazione più grave prevista dalla Costituzione e che rappresenta la estrema ratio a fronte di atti di forza che minaccino l’integrità o l’indipendenza del Paese[8]. Anche nello "stato di assedio" la Costituzione prevede la possibilità di sospendere, per periodi temporalmente limitati, il libero godimento di alcuni diritti, ampliando momentaneamente l’ambito di competenza del Governo. Il testo costituzionale ammette, inoltre, la facoltà di determinare, nell’atto che dichiara lo «stato di assedio», i delitti che, per tutto il protrarsi di tale stato straordinario, devono essere inderogabilmente sottoposti alla giurisdizione militare[9].

Oltre alla necessità dell’intervento del Congresso dei deputati, anche se in misura diversa a seconda della gravità della «situazione di patologia politica»[10], la Costituzione prevede l’impossibilità di sciogliere le Camere, di interrompere il funzionamento dei poteri pubblici - in particolare dei tribunali - e la responsabilità politica del Governo per il proprio operato, alla quale non potrebbe sottrarsi, anche in momenti di eccezionale gravità. Dall’esclusione di ogni eventualità di abuso di potere da parte del Governo in situazioni eccezionali, deriva la possibilità di farne valere la responsabilità penale in caso di violazione (e non di pura limitazione) dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Costituzione.

Lo «stato di assedio» si differenzia dalla guerra, disciplinata dall’art. 63 CE, poiché regola situazioni puramente interne, le c.d. «guerre fittizie» che vanno dall’insurrezione alla guerra civile, mentre il dettato dell’art. 63 si riferisce alle guerre internazionali. Ma ciò non significa che le due previsioni non possano essere utilizzate contestualmente, ossia che non possa rivelarsi necessaria una dichiarazione dello «stato di assedio» in tempi di guerra internazionale[11].

 

3. – Guerra umanitaria e guerra al terrorismo

 

Prima di analizzare la posizione spagnola in alcuni recenti conflitti, vorrei accennare qualche idee sull’attuale concetto e i diversi tipi di guerra, in particolare la guerra umanitaria e la guerra al terrorismo.

Il concetto di guerra umanitaria è stato utilizzato soprattutto con riferimento alla crisi del Kosovo. Tale tipo di guerra, pur giustificata dall'esigenza di tutelare i diritti fondamentali dell'uomo all'interno di un ordinamento di altro stato, quindi con un livello di ingerenza che altrimenti non sarebbe stata consentita dal diritto internazionale, comporti non soltanto un profilo difensivo ma un profilo aggressivo.

Il richiamo alla esigenza di tutelare i diritti umani da gravi violazioni come giusta causa di guerra è agevolmente comprensibile dal punto di vista politico, in quanto costituisce una delle possibili motivazioni attraverso cui legittimare agli occhi della opinione pubblica il ricorso alla forza e addirittura alla guerra. Dal punto di vista giuridico è semplicemente il tentativo di offrire giustificazione per un comportamento che rivela la violazione del principio di non ingerenza nella sfera territoriale dello stato sovrano cui si addebita la violazione. La guerra umanitaria è svolta soltanto da quella potenza che ha la capacità tecnologica e le risorse economiche e militari sufficienti all'impresa, sia singolarmente sia utilizzando organizzazioni regionali di sicurezza o coalizioni formate ad hoc. In questi casi non si può certo escludere in linea di principio che il ricorso alla tutela dei diritti come giusta causa sia fondato. Resta il fatto che la guerra appare conseguenza di una valutazione unilaterale che può non essere fondata da preventive determinazioni degli organi delle Nazioni Unite, come nel caso dell'attività bellica in Kosovo.

L'altro concetto di guerra, la cosiddetta guerra al terrorismo, si riferisce all'esempio dell'Afghanistan e dell'Iraq, ed è effettivamente una figura di grandissimo interesse dal punto di vista internazionalistico, ma di riflesso anche interno. Il terrorismo può essere interno (il caso dell'ETA nel Paese Basco) o internazionale (il caso di Al Qaeda). Il terrorismo internazionale cerca di destabilizzare la comunità internazionale.

La guerra al terrorismo è una ipotesi di guerra che può comportare anche profili di guerra preventiva, concetto che per il modo tradizionale di interpretare giuridicamente questi eventi rappresenta dei profili estremamente problematici.

È una guerra di difficile inquadramento rispetto a quella consolidata nel diritto internazionale. È un tipo di guerra contro un nemico non individuato, almeno all'inizio, o che verrà individuato in un successivo momento. Deve svolgersi in luogo non determinato, è quindi ubiquitaria. Deve svolgersi a tempo indeterminato è infinita. L'idea di una guerra con condizioni così vaghe, contro un nemico indeterminato, in un luogo indeterminato, per un tempo indeterminato, è una guerra a tutto tondo abbastanza nuova.

È una forma di guerra che manifesta una certa disponibilità ad un conflitto quasi perenne nei confronti di soggetti che si definiranno e in luoghi non individuati con precisione.

 

4. – La posizione spagnola in alcuni recenti conflitti

 

La previsione dell’art. 63.3 della CE, secondo cui ogni intervento militare necessiterebbe di una formale dichiarazione di guerra del Re, preceduta dall’autorizzazione del Parlamento, oltre a non essere mai stata realizzata, sembra alquanto anacronistica, dal punto di vista del diritto internazionale.

Peraltro, una autorizzazione parlamentare risulta costituire una previsione eccessivamente formalista in caso di conflitti internazionali che - ripensando a quanto accaduto, ad esempio, in occasione dell’attacco terroristico agli Stati Uniti dell’11 settembre - richiedono un’immediata reazione da parte dei Paesi appartenenti alla NATO[12]. Proprio per motivi di urgenza procedimentale, di coerenza nella definizione del conflitto e per l’evidente necessità di un celere appoggio militare alle cosiddette «operazioni di pace», la Spagna non usa utilizzare una formale dichiarazione di guerra.

Ci si chiede, a questo punto, quale possa essere il fondamento costituzionale di qualsivoglia utilizzo delle forze armate - sia esso denominato «operazione di pace» o «aiuto militare» in una guerra di difesa - da parte del Governo spagnolo.

L’art. 8.1 CE prevede, infatti, che alle forze armate spetti il compito di garantire la sovranità e l’indipendenza della Spagna, di difenderne l’integrità territoriale e l’assetto costituzionale. Grazie, non solo a questa disposizione, ma anche alla luce di quanto affermato nel Preambolo della Costituzione spagnola - che, come si è già detto, proclama la volontà della Nazione di collaborare al rafforzamento delle relazioni pacifiche e ad una fruttuosa cooperazione tra tutti i popoli della terra – sarebbe possibile concludere che le uniche guerre legittimate dall’ordinamento costituzionale spagnolo sono quelle di tipo difensivo. Inoltre, leggendo in combinato l’art. 8.1, il Preambolo della Costituzione e l’art. 4.2 della Carta delle Nazioni Unite - recepita dall’ordinamento spagnolo grazie all’art. 94 CE[13] - si ricava che né l’utilizzo delle forze armate è limitato ad una formale dichiarazione di guerra, né esiste una norma che vieti l’intervento, anche militare, della Spagna in difesa dei princìpi di collaborazione tra i popoli.

Il fondamento costituzionale dell’utilizzo delle forze armate, dunque, oltre a derivare dal disposto che ha autorizzato l’ingresso nella NATO (art. 94 CE[14]), potrebbe risiedere primariamente nel citato Preambolo, che ha il pregio di aver costituzionalizzato il principio di collaborazione tra i popoli della terra al fine di rafforzare le relazioni pacifiche fra Stati.

Quanto precede trova conforto nella direttiva de la Defensa Nacional 1/96 e - anche se in termini differenti - dalla direttiva de la Defensa Nacional 1/2000, per cui «la Spagna si impegna al conseguimento di un ordine internazionale più stabile e sicuro, basato sulla convivenza pacifica, sulla difesa della democrazia e dei diritti umani e sul rispetto delle norme del diritto internazionale. Questo impegno è evidenziato dalla nostra presenza e decisa partecipazione alle operazioni di pace».

 

4.1. – La guerra del Golfo

 

La Spagna partecipò al conflitto contribuendo al controllo dell’embargo marittimo decretato dall’ONU. La Spagna fu pronta ad intervenire, inviando con celerità le forze che gli erano state richieste. In altri termini, non si attese - dato che non si trattava di una formale operazione di guerra, ma di un intervento teso al ristabilimento della pace - alcuna delibera parlamentare, né una formale dichiarazione dello stato di guerra da parte del Re.

Ciò che legittimò quest’intervento fu proprio quella dichiarazione d’intenti contenuta nel Preambolo della Costituzione, che, anche dinanzi all’opinione pubblica, autorizzava e conferiva una legittimazione politica a qualsivoglia determinazione del Governo spagnolo. Nell’agosto del ‘90 il Governo prese la decisione di autorizzare la partenza del contingente spagnolo verso la zona mediorientale, ed in pochissimi giorni questa risoluzione, a seguito di una breve informativa al Congresso dei deputati[15], fu materialmente attuata. Tale intervento non provocò particolari reazioni da parte dell’opinione pubblica spagnola e delle minoranze parlamentari, poiché non fu necessario l’uso delle armi. L’unico obiettivo dell’esercito navale spagnolo, infatti, era realizzare, in concreto, l’embargo - decretato dal Consiglio di sicurezza dell’ONU nei confronti dell’Iraq - contestualmente alla protezione delle unità logistiche che si occupavano dell'apporto umano e materiale alla guerra.

 

4.2. – La crisi del Kosovo

 

Dalle prime avvisaglie della crisi del Kosovo, il Governo spagnolo mostrò il suo totale appoggio alla Comunità internazionale e collaborò pienamente, tanto sul terreno militare come su quello diplomatico e umanitario.

Molto prima dell’inizio delle ostilità, l’esecutivo avvertiva il Parlamento della possibilità che avesse inizio una azione armata. Dal 6 ottobre 1998, in cui i Ministri Abel Matutes e Eduardo Serra comparirono congiuntamente dinanzi alla Commissione degli affari esteri e della difesa del Congresso dei deputati, il Parlamento fu periodicamente tenuto al corrente delle decisioni dell’esecutivo.

Nel febbraio 1999, il Consiglio dei Ministri prese la decisione di apportare forze nazionali a tutte le operazioni di pace che l’Alleanza Atlantica intendesse porre in essere per riportare la pace nella zona balcanica. Il 30 marzo la maggioranza del Congresso approvò la politica militare dell’esecutivo.

La differenza sostanziale rispetto alla partecipazione alla guerra del Golfo si spiegò in tutta la sua evidenza nel momento in cui si attuò in concreto la cooperazione con la NATO. Infatti, solamente un mese dopo la delibera del Consiglio dei Ministri spagnolo, il Consiglio Atlantico diede inizio alla Operazione “Forza Alleata” che consisteva in una serie di bombardamenti selezionati nei confronti di punti militari strategici delle forze serbe, e la Spagna, fondando il proprio intervento sulla previa delibera dell’esecutivo, non dubitò nel partecipare all’azione militare.

È evidente come, in questo caso, la giustificazione costituzionale dell’intervento effettivo in una vera e propria azione militare poteva difficilmente rinvenirsi in una scelta del Governo. Inoltre, l’opposizione parlamentare non mancò di sottolineare come, agendo al di fuori di un mandato dell’ONU, si violava la risoluzione del Congresso dei deputati del 1995 che a tale mandato condizionava qualsiasi partecipazione militare delle truppe spagnole. A quest’obiezione il presidente del Governo rispose che tale risoluzione non rispondeva più alla realtà storica corrente, poiché si intendeva creare un nuovo concetto strategico della NATO, che avrebbe permesso all’Alleanza di intervenire militarmente anche senza l’autorizzazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, fatto che, peraltro, era già accaduto nella prassi proprio in occasione dell’intervento in Kosovo. Proprio in questo momento, si moltiplicarono le proposte dell’opposizione per creare dei meccanismi specifici di consultazione del Parlamento nei casi di partecipazione della Spagna ad interventi militari, proposte che tuttora non hanno avuto alcun seguito.

Nell’aprile 2000, per garantire la partecipazione spagnola nei Balcani, il Consiglio dei Ministri approvò una risoluzione con la quale si prorogava l’intervento delle unità spagnole nella zona e si ampliava temporalmente l’entità massima degli effettivi.

La Spagna partecipò attivamente anche agli sforzi diplomatici per raggiungere una soluzione negoziata del conflitto. Mostrò il suo appoggio negli accordi di Rambouillet, al piano di pace del G-8 e accolse con soddisfazione l’accordo tecnico militare sul Kosovo che permetteva l’azione della KFOR[16], di cui la Spagna ha fatto parte sin dal giugno 1999.

 

4.3. – L’intervento in Afghanistan

 

In seguito agli attentati terroristici dell’11 settembre, il Governo collaborò pienamente, con tutta la prontezza che lo stato di tensione richiedeva ai paesi appartenenti alla NATO.

Il Governo dichiarava la piena legittimità dell’intervento militare, poiché la legittima difesa invocata dagli Stati Uniti è un diritto riconosciuto dall’articolo 5 del Trattato Nord Atlantico e che, pertanto, le azioni militari - nel rispetto dei princìpi di proporzionalità e legalità - godono del pieno appoggio del diritto internazionale.

Diversi interventi dei membri del Governo offrivano i dettagli della posizione spagnola nel conflitto. Aznar riteneva, in intervento parlamentario del 18 ottobre, di dover ribadire la qualifica dell’«operazione di pace» in corso, come un «atto di legittima difesa», quasi ad evidenziare il rispetto in toto dei presupposti che la Costituzione spagnola prevede per la guerra legittima che, come evidenziato, coincidono con le caratteristiche delle guerre di tipo difensivo. Nell’esprimere i particolari della partecipazione materiale al conflitto, si rinviene, nel discorso di Aznar, la tendenza a giustificare il ricorso alla forza militare principalmente comparando il proprio atteggiamento con quello degli altri paesi delle Nazioni Unite. La qualifica di operazione di legittima difesa, infatti, trovava forte appoggio nella risoluzione delle Nazioni Unite e un impressionante riscontro nella reazione quasi unanime della comunità internazionale. Dinanzi al Congresso, il Presidente Aznar provvedeva anche a delineare, nei tratti essenziali, il modus di partecipazione dello Stato spagnolo al conflitto con l’Afghanistan, per cui la Spagna collaborava con le sue forze navali, con le forze aeree e dando tutto l’appoggio necessario per qualsiasi tipo di operazione potesse necessitare delle basi militari spagnole, oltre all’invio delle forze di terra.

Nella riunione plenaria delle Camere del 18 ottobre, quasi tutti i partiti politici appoggiavano la posizione adottata dal Governo nel conflitto ed erano d’accordo nel qualificare l’intervento militare come azione di legittima difesa. Le critiche al Governo riguardavano esclusivamente la politica informativa dell’esecutivo nei confronti del Congresso dei deputati e della società.

Nella relazione alla Camera, Aznar si trovò nella condizione di non poter evitare di compiere un parallelo tra il terrorismo spiegatosi nell’attacco dal 11 settembre negli Stati Uniti ed il terrorismo nazionalista che sgomenta, da decenni, la Nazione spagnola; chiese, in particolare, ai parlamentari ed all’opinione pubblica di non creare una «gradazione del terrore» evitando di definirlo in differenti modi. Il terrorismo costituisce, di qualunque specie esso sia, un fenomeno che va inderogabilmente affrontato e combattuto, indipendentemente dal fatto che le radici siano religiose, nazionaliste o culturali, unicamente in quanto si pone al di fuori del potere costituito e lascia spazio alla violenza per raggiungere i propri scopi.

 

4.4. – L'intervento di Perejil

 

Il 17 luglio 2002, la Spagna sviluppò un piccolo intervento militare nella isola di Perejil, molto vicina alla città spagnola di Melilla, nel Nord Africa. Il Marocco aveva inviato i suoi soldati sulla isola, e la Spagna, con l'appoggio diplomatico degli Stati Uniti, e senza l'appoggio espresso della Unione Europea, inviò le truppe e recuperò l'isola.

In questo caso non aveva autorizzazione parlamentare, e non si può parlare di guerra, ma quanto meno, di "incidente". Il conflitto richiedeva un’immediata reazione da parte spagnola, e il Governo informò dopo l’intervento.

 

4.5. – La guerra dell'Iraq

 

Per quello che riguarda alla guerra dell'Iraq, l’appoggio spagnolo fu soltanto esterno, diplomatico. Le truppe spagnole sono arrivate solo alla fine delle operazioni militari di occupazione. Il governo spagnolo di Aznar ha sempre sostenuto che quella era una missione di pace, sulla base di ragione umanitarie. I partiti della opposizione richiamavano la dichiarazione di guerra, poiché consideravano che la Spagna era lì come potenza occupante.

Infatti, le truppe spagnole non hanno avuto partecipazione nelle operazioni militari, ma soltanto nella ricostruzione del paese, dopo aver finito la guerra, al meno nei termini ritenuti dagli Stati Uniti.

 

 



 

* Testo dell’intervento svolto a Porto Conte, il 30 aprile 2004.

 

[1] Art. 8.1. Le forze armate, costituite dall'esercito di terra, la marina e l'aeronautica, hanno il compito di garantire la sovranità e l'indipendenza della Spagna, difenderne l'integrità territoriale e l'assetto costituzionale.

 

[2] L’art. 10, comma 1° della Ley Orgánica de Criterios Básicos de la Defensa Nacional y de la Organización Militar dispone che: «Il Ministro della Difesa, su delega del Presidente del Governo, esercita le facoltà indicate nel comma 1° dell’articolo 8».

 

[3] La legge organica che disciplina nello specifico i tre stati eccezionali e l’ambito in cui possono intervenire le eventuali limitazioni dei diritti e libertà costituzionalmente garantiti ai cittadini è la Ley Orgánica de Estados de Alarma, de Excepción y de Sitio (legge organica n. 4/1981 del 1° giugno).

 

[4] Art. 116 CE - 1) Una legge organica regolerà gli «stati d'allarme», «di eccezione» e «d'assedio», nonché le competenze e restrizioni corrispondenti. 2) Lo «stato d'allarme» sarà dichiarato dal Governo, con decreto deciso dal Consiglio dei ministri, per un termine massimo di quindici giorni, informandone il Congresso dei deputati riunito immediatamente allo scopo; senza l'autorizzazione di quest'ultimo detto termine non potrà essere prorogato. Il decreto stabilirà l'ambito territoriale a cui si estendono gli effetti della dichiarazione. 3) Lo «stato di eccezione» sarà dichiarato dal Governo, con decreto deciso dal Consiglio dei ministri, previa autorizzazione del Congresso dei deputati. L'autorizzazione e la proclamazione dello «stato di eccezione» dovrà indicare espressamente gli effetti di quest'ultimo, l'ambito territoriale a cui si estende e la sua durata è di trenta giorni, prorogabile per altri trenta alle stesse condizioni. 4) Lo «stato d'assedio» sarà dichiarato dal Congresso dei deputati a maggioranza assoluta, su esclusiva proposta del Governo. Il Congresso ne determinerà l'ambito territoriale, la durata e le condizioni. 5) Non si potrà procedere allo scioglimento del Congresso mentre sia in atto qualcuno degli «stati» contemplati nel presente articolo, restando automaticamente convocate le Camere, qualora non siano in sessione. Il loro funzionamento, come quello degli altri Poteri costituzionali dello Stato, non potrà essere interrotto mentre siano in atto i suddetti «stati». Sciolto il Congresso o spirato il suo mandato, qualora si verifichi una situazione che possa dar luogo ad uno qualunque degli stati suddetti, le funzioni del Congresso saranno assunte dalla sua Commissione permanente. 6) La dichiarazione dello «stato d'allarme», «di eccezione» o «di assedio» non modificherà il principio della responsabilità del Governo e dei suoi rappresentanti, riconosciuto dalla Costituzione e dalle leggi.

 

[5] Cfr. art. 4 della Ley Orgánica 4/1981.

 

[6] Art. 55 CE – 1) I diritti di cui agli artt. 17 e 18, comma 2° e 3°, artt. 19, 20 comma 1°, a) e d) e 5, artt. 21, 28, comma 2°, e art. 37, comma 2°, potranno essere sospesi quando venga dichiarato lo «stato d'eccezione» e lo «stato d'assedio», nei termini previsti dalla Costituzione. Si esclude, da quanto sopra stabilito, il 3° comma dell'art. 17 per l'ipotesi di dichiarazione dello «stato d'eccezione».

 

[7] Lo «stato di eccezione» può essere dichiarato quando il libero esercizio dei diritti e delle libertà dei cittadini, il normale funzionamento delle istituzioni democratiche, dei servizi pubblici essenziali per la comunità o qualsivoglia altro aspetto dell’ordine pubblico, risulti così gravemente alterato che l’esercizio delle potestà ordinarie si riveli insufficiente per ristabilirlo o mantenerlo (art. 13 della Ley Orgánica n. 4/1981).

 

[8] Lo «stato di assedio» può essere dichiarato quando si sia prodotta o esista la minaccia di

un’insurrezione o di un atto di forza contro la sovranità o l’indipendenza della Spagna, la sua integrità territoriale o l’assetto costituzionale, che non possa essere risolto con altri mezzi (art. 32 Ley Orgánica 4/1981).

 

[9] Cfr. art. 35, Ley Orgánica 4/1981. Quanto disposto dall’art. 35 è strettamente collegato con l’art. 117, 5° comma della Costituzione. Tale disposizione permette espressamente l’attivazione – in via legislativa e nel rispetto dei principi costituzionali - della giurisdizione militare nel caso in cui sia stato proclamato lo «stato di assedio».

 

[10] Il Congresso dei deputati, anteriormente alla proclamazione dello «stato di eccezione», deve autorizzare il Governo, determinando espressamente gli effetti dello stato stesso, l’ambito territoriale a cui si estende e la sua durata.

Lo «stato di assedio» deve, invece, essere necessariamente dichiarato dal Congresso, il quale ne determinerà l’ambito territoriale di applicazione, la durata e le condizioni (v. supra, nota n. 6).

 

[11] Sembra, comunque, che il disposto dell’art. 15 della Costituzione, che prevede l’abolizione della pena di morte, con l’eccezione di quanto disposto dalle leggi penali militari in tempo di guerra, sia applicabile anche allo «stato di assedio».

 

[12] La Spagna è entrata a far parte dell’Alleanza Atlantica il 30 maggio del 1982, momento che ha rappresentato la fine di un lungo periodo di isolamento e differenziazione della Spagna nei confronti della comunità internazionale. La partecipazione della Spagna è stata, però, messa in discussione, pochi anni dopo, nel momento in cui il PSOE è salito al Governo, al punto che, nel 1986, si è celebrato un referendum per permettere alla Nazione di pronunciarsi sulla permanenza della Spagna nella NATO.

L’esito della consultazione popolare è stato positivo ma il quesito comportava automaticamente il mancato ingresso nella struttura militare della NATO. Il contributo militare della Spagna è stato invece definito, tra il 1990 e il 1992, tramite la firma di sei accordi di collaborazione tra le autorità militari spagnole e quelle della NATO. Con questi patti si sono regolate le modalità di assegnazione delle forze spagnole a missioni specifiche dell’Alleanza, che il Governo spagnolo avrebbe dovuto, comunque, autorizzare in ogni singolo caso. Le autorità militari spagnole avrebbero conservato il comando delle proprie forze armate, cedendo ai comandanti alleati esclusivamente il controllo operativo. Sotto il Governo del partito popolare, nel 1996, il Congresso dei deputati ha accordato l’autorizzazione al Governo a negoziare la piena partecipazione della Spagna alla nuova struttura di comando militare della NATO. In occasione del vertice atlantico dei Ministri della difesa di Bruxelles del dicembre 1997, la Spagna è entrata a pieno titolo nell’organizzazione militare della NATO, e gli è stato assegnato il Quartiere generale subregionale del sud est, con sede a Madrid.

 

[13] Art. 94 CE – 1) La prestazione da parte dello Stato del consenso ad impegnarsi mediante trattati od accordi sarà subordinata alla autorizzazione delle Cortes nei seguenti casi:

a) trattati di carattere politico;

b) trattati o accordi di carattere militare;

c) trattati o accordi che interessino l'integrità territoriale dello Stato o i diritti e doveri fondamentali stabiliti nel Titolo I;

d) trattati o accordi che implichino obblighi finanziari per la finanza pubblica;

e) trattati o accordi che implichino una modifica o una deroga di qualche legge o esigano misure legislative per la loro attuazione.

 

[14] È interessante rilevare che, per l’adesione alle Comunità europee, la Spagna ha utilizzato il procedimento previsto dall’art. 93 CE, che prevede che si autorizzi con legge organica l’adesione a trattati internazionali con cui si attribuiscono ad un'organizzazione od istituzione internazionale l'esercizio di competenze contemplate dalla Costituzione. Nel caso dell’adesione alla NATO si è, invece, utilizzata l’autorizzazione semplice richiesta dall’art. 94. Ciò ha provocato dure critiche da parte dell’opposizione parlamentare che ha minacciato, in diverse occasioni, di far valere l’incostituzionalità dell’adesione, assumibile in quanto basata sull’utilizzo del disposto costituzionale errato. È incontestabile, infatti, che la NATO può privare gli Stati membri di alcune competenze di difesa militare e che, dunque, sarebbe stato più adeguato l’utilizzo del procedimento ex 93 CE.

 

[15] L’art. 108 della Costituzione spagnola prevede che il Governo risponda solidalmente del suo operato politico dinanzi al Congresso dei deputati.

 

[16] Forza multinazionale di sicurezza per il Kosovo. L’accordo concluso tra la NATO e la Repubblica iugoslava il 9 giugno 1999 stabilì la fine delle ostilità, il ritiro delle truppe serbe dalla provincia e lo spiegamento della KFOR.