N. 4 – 2005 – Tradizione Romana

 

 

Leonid L. Kofanov

Accademia delle Scienze di Russia

Mosca

 

Verso una palingenesi dei documenti sacerdotali romani

 

 

 

I

 

Il problema della palingenesi dei documenti sacerdotali romani è strettamente legato con la questione dell’attendibilità delle fonti, la più grande parte delle quali non è anteriore al I sec. a.C. Queste fonti sono prima di tutto Livio, Dionigi d’Alicarnasso, Varrone e Cicerone. Questi autori spesso riferiscono – e anche citano – le leggi regie, la legge delle XII tavole, i decreta dei pontefici, i libri degli auguri etc. Per esempio, Livio cita i trattati internazionali del re Tullo Ostilio (Liv. 1.24.4-8), il giuramento di Anco Marcio (Liv. 1.32.6-13), la deditio urbis per re Tarquinio Superbo (Liv. 1.38.2); menziona molteplici decreta dei pontefici sui Bacchanalia (Liv. 39.16.7); Cicerone mostra di conoscere i monumenta delle leggi di Numa Pompilio (De rep. II.14.26).

Come possiamo interpretare questa informazione? In che misura possiamo credere a questi autori? Tutto dipende dal livello di conoscenza della storia e del diritto nella società romana del I sec. a.C. in generale. E qui è necessario sottolineare che questa conoscenza del diritto nella società del II-I sec. a.C. era abbastanza alta[1]. Nel tempo di Cicerone la conoscenza del diritto e la possibilità di interpretarlo era molto onorevole per il cittadino[2]. Noi dobbiamo tener conto che durante il I sec. a.C. tutte queste norme erano a disposizione di tutti i Romani, che i Romani stessi da ragazzi conoscevano le norme delle XII tavole a memoria[3]. Poi, in questo periodo esistevano decine di commenti a tutto il ius civile, ed anche trattati su diverse parti speciali del diritto sacro. Per esempio, è noto che il console del 223 a.C. ed augure Gaio Claudio Marcello ha scritto il trattato Auguralis disciplina[4]; che il console del 165 a.C. e pontefice Tito Manlio Torquato era anche un esperto di diritto sacro[5], che il console del 142 a.C. Quinto Fabio Massimo Serviliano ha lasciato per almeno 12 libri del trattato De iure pontificio[6]. Noi abbiamo anche i frammenti del trattato di Numerio Fabio Pittore, il giurista del II sec. a.C. che ha scritto almeno 16 libri sul diritto dei pontefici[7]. Il giurista del I sec. a.C. Lucio Cincio ha scritto l’opera De fastis[8], il console del 54 a.C. ed augure Appio Claudio Pulchro è l’autore del Auguralis disciplina[9].

Tra i giuristi del I sec. a.C. si possono menzionare anche Servio Sulpicio Rufo con il suo libro De sacris detestandis[10]; Gaio Trebazio Testa con suo De religionibus in almeno 10 libri[11]; il console del 64 a.C. Lucio Giulio Cesare con suoi almeno 16 Libri auspiciorum[12]. E` noto anche l’augure M.Valerio Mesalla Corvino, autore del trattato De auspiciis[13]. Veranio, un altro giurista del I sec. a.C., era l’autore dei Libri auspiciorum[14] e dei Libri quaestionum pontificalium[15]. Infine, è necessario menzionare Granio Flacco Liciniano con il suo famoso commento De iure Papiriano[16] e con un altro trattato meno conosciuto De indigitamentis[17].

Allora, si può trarre solamente questa conclusione: in tale società, dove esistono in pubblico non solo le fonti giuridiche dirette, ma anche molteplici commenti su diritto sacro, la falsificazione diretta delle fonti era quasi impossibile e quindi il livello d’autenticità dell’informazione degli autori del I sec. a.C. era abbastanza alto.

Per quanto riguarda l’informazione degli autori del I – V sec. d.C., è necessario sottolineare la seguente caratteristica della storiografia di questi secoli: le fonti principali, per gli autori di questi secoli, erano le stesse che per quelli del I sec. a.C.; però, nel periodo più tardo si sviluppa quello che si può chiamare il metodo (quasi) scientifico della ricerca, cioè il sistema di rinvii alla fonte dell’informazione con indicazione del nome dell’autore, del titolo della sua opera e del numero del libro. Il livello alto di tale storiografia mostrano i commenti storici, linguistici e giuridici di Boezio, Servio, Nonio Marcello, Macrobio e d’altri. Anche autori cristiani che criticavano la religione pagana, per esempio, Tertulliano e Agostino, conoscevano molto bene i trattati dei romani su diritto sacro. Infine, in questi secoli sono abbastanza numerosi i commenti dei giuristi al diritto sacro romano.

Così, nell’ambito del diritto sacro scrivevano anche i più famosi giuristi romani del Principato: sono noti almeno 16 libri De iure pontificali di Marco Antistio Labeone[18]; non meno di 7 libri De iure pontificio e i Libri sacrificiorum di Gneio Ateo Capitone[19]; i Libri fastorum di Masurio Sabino[20]. Non a caso nel VI sec. d.C. Giustiniano scriveva che tutta la genealogia delle leggi cominciando da Romolo è diventata così enorme che non può essere conosciuta da un uomo[21].

È importante porre attenzione al fatto che nel II sec. d.C. il giurista Pomponio, nel suo famoso Enchiridion, mostra quali delle fonti arcaiche esistevano ancora al suo tempo e i quali invece non erano state salvate. Per esempio, Pomponio scrive che le leges regiae si potevano ancora leggere nel libro di Sesto Papirio e che le XII tavole erano state scritte in tavole d’avorio[22], però, i primi commenti delle XII tavole, fatti dai pontefici, non erano scritti[23]; di seguito segnala il caso di commenti giuridici non pervenuti, come ad esempio quello di Appio Claudio Centemmano[24]. Comunque, anche le fonti della tarda antichità erano fondate nella conoscenza diretta del diritto sacro arcaico e quindi possono essere usate per la ricostruzione del sistema del diritto sacro romano.

 

 

II

 

I dati delle fonti ci permettono di costruire uno schema generale della storia della tradizione letteraria del diritto romano arcaico:

 

1. VII sec. a.C.: scrittura delle leggi sacre di Numa Pompilio.

 

2. VI sec. a.C.: ricostruzione delle leggi di Romolo e di Numa Pompilio e supplemento delle leggi di Servio Tullio.

 

3. Fine VI sec.-inizio V sec. a.C.: ricostruzione delle leggi regie, ricostruzione delle leges sacratae dai plebei. Scrittura del ius Papirianum.

 

4. 451-450 a.C.: introduzione e modificazione del ius sacrum (del periodo dei re) nelle leggi delle XII tavole[25].

 

5. IV sec. a.C.: occultamento del diritto sacro ad opera dei pontefici (390 a.C.) e pubblicazione di Gn. Flavio (304 a.C.).

 

6. Inizio del III sec. a.C.: pubblicazione del ius civile insieme con quello sacro con i commenti di Tiberio Coruncanio.

 

7. Inizio del II sec. a.C.: pubblicazione del ius civile insieme con quello sacro nei Tripertita di Elio Peto.

 

 

III

 

Allora, noi abbiamo la tradizione letteraria molto antica e permanente dal VII al II sec. a.C., che era una base abbastanza solida per autori antichi. Però, una semplice raccolta dell’informazione dalle fonti su diritto sacro e documenti sacerdotali non ci permetterà di decidere il problema numero uno di qualsiasi palingenesi. Prima di tutto, è necessario studiare, in che ordine, con quale sistema erano raccolte le norme sacrali, in che misura le norme del diritto sacro presentavano nel diritto pubblico e privato, quale misura della differenza esisteva tra diritto sacro, pubblico e privato? È necessario sottolineare che, a differenza del diritto moderno, il diritto sacro romano non era mai totalmente separato da quello civile, perciò non è a caso che Ulpiano nel II sec. d.C. divide tutto il diritto pubblico romano in tre parti principali: sacra, sacerdotes, magistratus[26]. La stessa divisione si può trovare, nel I sec. a.C., nel trattato di Cicerone De legibus. Ma già nelle XII tavole, se dobbiamo credere alla testimonianza di Ausonio[27], esisteva qualche separazione tra diritto sacro, pubblico e privato. Penso, che nelle leggi di Numa Pompilio tale separazione o differenza ancora non esisteva. Però, noi non abbiamo qualsiasi modello pronto e chiaro per conoscere il sistema del diritto sacro sia per il VII sec. a.C., sia per il V sec. a.C. sia per il I sec. a.C. Tuttavia, abbiamo qualche informazione molto modesta degli autori antichi su tale sistema. Prima di tutto, si tratta del famoso lavoro di Cicerone De legibus, dove c’erano almeno tre parti delle sue cosiddette “leggi ideali”; ma quante erano in totale queste parti non è conosciuto, poiché degli almeno 5 o 6 libri del trattato (Macrob. Sat. VI.4.8) solamente tre primi si sono salvati. È importante notare che Cicerone pone le leges de religione nella prima parte delle sue cosiddette leggi ideali; la seconda parte di queste leggi è dedicata al diritto dei magistrati (Cic. de leg. III.6-11) e la terza al ius populi Romani, cioè al diritto privato[28]. Nella trattazione di Cicerone il diritto sacro ha il suo ordine di esposizione[29]. Si possono distinguere almeno 5 parti: nella prima parte si tratta della situazione delle persone, dei culti religiosi nella città, nel paese, nella gens e nella famiglia; nella seconda parte si tratta dei fasti, cioè del calendario, e dei sacrifici; nella terza, di tre categorie principali dei sacerdoti: pontefici, quindecemviri ed auguri[30]. Francesco Sini molto giustamente sottolinea che Cicerone, descrivendo gli obblighi degli auguri, ci dà il sistema del diritto augurale[31]. Mi pare che questa conclusione in qualche modo si può usare per tutto il sistema del diritto sacro nel De legibus di Cicerone, siccome è evidente che Cicerone lo faceva sotto influenza delle XII tavole. Poi, la quarta parte è dedicata a sacra publica, crimini religiosi, vota publica e consecratio; nella quinta parte si tratta dei sacra privata.

Un altro modello di esposizione del diritto sacro si può trovare nel trattato di Varrone Antiquitates (Aug. de civ. Dei VI.3)[32]. Francesco Sini nota che Varrone certamente usava nella sua opera Antiquitates la costruzione giuridico-religiosa elaborata dai sacerdoti romani d’età repubblicana[33]. La prima parte, quella rerum humanarum, è divisa in 4 parti: homines, loci, tempora, res. Questa divisione è molto vicina a quella delle Institutiones di Gaio: personae, res, actiones, dove le parti loci e tempora corrispondono con quella delle actiones. Tale similitudine non è casuale e mostra che tutto il sistema del diritto romano sia privato, sia pubblico ha radici comuni nei commenti giuridici religiosi della giurisprudenza pontificale repubblicana.

La seconda parte del trattato di Varrone, rerum divinarum, è composta di 5 parti con 3 libri in ogni parte: la prima parte, De hominibus, è dedicata a pontefici, auguri e quindecemviri. Qui si deve sottolineare l’autenticità della divisione alle tre principali categorie dei sacerdoti sia nel testo di Varrone, sia in quello di Cicerone. La seconda parte, De locis, è dedicata a sacelli, templi e loci religiosi; la terza, De temporibus, ai giorni festivi, ludi circenses e scaenici; la parte quarta, De sacris, è dedicata a consecratio, sacra privata e sacra publica; la parte quinta, De diis, descrive dii certi, incerti e praecipui.

Il modello di Varrone, senza dubbio è abbastanza vicino a quello di Cicerone, però, il testo di Varrone ha una particolarità importante: il suo ordine d’esposizione è contrario a quello tradizionale del diritto sacro nel I sec. a.C. - III sec. d.C. Infatti, F. Sini[34] nota che anche nel trattato De lingua Latina nel capitolo De hominibus Varrone[35] comincia sua esposizione non dai sacerdoti, ma dai magistrati e così cambia l’ordine tradizionale del ius publicum romano, proposto da Ulpiano e Cicerone: sacra, sacerdotes, magistratus.

Lo stesso ordine opposto troviamo nelle Antiquitates di Varrone; prima seguono i libri Rerum humanarum, poi quelli Rerum divinarum. Varrone descrive anche i sacra publica dopo i sacra privata. Forse, questo ordine opposto si spiega del fatto che Varrone non era né giurista, né sacerdote, ma era uno studioso e un filosofo puro, che preferiva comporre la sua opera seguendo il principio scientifico: descrivere le cose cominciando da una forma semplice e finendo con quella complessa, ma non seguendo i principi della composizione delle leggi e dei commenti sacerdotali. Nello stesso tempo è necessario prestare attenzione al fatto che dentro un libro o una parte separata Varrone abitualmente segue un cursus honorum tradizionale. Per esempio, nel trattato De lingua Latina lui enumera i magistrati romani nell’ordine tradizionale: console, censore, questori, tribuni militari, dittatore, magister equitum e magistrati minori (Varr. L.L. V.80-82). Lo stesso si può dire del suo elenco dell’ordo sacerdotum: pontefici, curioni, flamini, salii, luperci, fratelli Arvali, sodali di Tizio, feziali (Varr. L.L. V.83-86).

F. Sini fa attenzione alla somiglianza dell’elenco dei sacerdoti di Varrone e di Livio, quando questo storico descrive la creazione dei sacerdoti da parte del re Numa Pompilio, in quanto i due autori non menzionano gli auguri[36]. Però, il fatto che Livio non menziona gli auguri è molto facile da spiegare: Livio, come Cicerone[37], forse, non pensava di menzionare gli auguri in quanto erano stati creati non da Numa Pompilio, ma da Romolo, e Numa ha solamente incluso gli auguri di Romolo nella sua legislazione. Dall’altro lato, nell’elenco di Livio i pontefici sono messi nell’ultimo posto, non nel primo, come nell’elenco di Varrone. In questo senso l’elenco di Livio è più vicino al modello della legislazione sacra di Numa Pompilio, proposta da Dionigi d’Alicarnasso.

Allora, è molto importante studiare il modello adottato da Dionigi d’Alicarnasso, perché questo storico greco fa molta attenzione all’ordine dell’esposizione del diritto sacro nella legislazione di Numa Pompilio. Prima di tutto, si deve sottolineare il fatto che Cicerone e Varrone, con una certa riserva sul conservatorismo del diritto sacrale romano, descrivevano proprio il diritto sacrale attuale per loro; Dionigi invece cercava di descrivere la legislazione sacrale più antica risalente al VII sec. a.C. Egli divide tutta la legislazione di Numa in 2 parti principali: la prima parte dedicata alle leggi di religione (perˆ t¦ qe‹a nomoqes…a)[38], la seconda parte alle molteplici leggi sulla vita privata dei cittadini romani (tÕn ˜k£stou b…on)[39]. E` curioso di notare che Dionigi nomina la prima parte della legislazione proprio come Cicerone nomina la prima parte sacrale del suo trattato De legibus, solo nella lingua greca antica. Dionigi suddivide la prima parte in 8 parti (II.64; 70.1; 72.1; 73.1): 1. curioni e i sacrifici che i romani chiamavano sacra pro curiis[40]; 2. flamini e sacra pro montibus[41]; 3. celeres e sacra pro sacellis[42].

L’nformazione di Dionigi sulle tre prime parti è da confrontare con la descrizione di Festo dei sacra publica romana[43]. È curioso che Dionigi non menzioni i sacrifici che corrispondono ai sacra pro pagis, perché quelli erano fondati solamente da Servio Tullio. Questo fatto ci permette di pensare che il modello di Dionigi sia storicamente abbastanza autentico. Poi Dionigi descrive le parti della legislazione di Numa Pompilio: la quarta parte sugli auguri[44], la quinta sulle vestali[45], la sesta sui salii[46], la settima sui feziali[47] e infine l’ottava parte tratta dei pontefici[48]. Il fatto che i pontefici siano collocati, così come nei testi di Livio (I.20.5) e di Festo (Ordo sacerdotum, p. 198 L.), alla fine dell’elenco dei sacerdoti, mostra altresì l’autenticità storica del modello di Dionigi d’Alicarnasso. Infatti, è noto che dapprima i pontefici non erano il collegio superiore tra i sacerdoti e che solamente nell’epoca dei Tarquini era cominciato il loro innalzamento. Così, Festo dice che il pontefice è ultimo nell’elenco dei sacerdoti principali, siccome era subordinato al rex sacrorum e ai flamini di Giove di Marte e di Quirino[49].

La considerazione dei tre modelli del sistema del diritto sacro romano permette di confermare la possibilità di una palingenesi del diritto sacro romano. Il modello di Dionigi d’Alicarnasso corrisponde al sistema del diritto sacro del VII-V sec. a.C., cioè del periodo anteriore alle leggi delle XII tavole. Lo sviluppo del diritto sacro, la sua separazione graduale da quello laico o privato, il quale anche si sviluppava molto intensamente, ha causato qualche evoluzione di tutto il diritto sacro durante il V-II sec. a.C. Secondo me, la pietra angolare di tale evoluzione sono state le leggi delle XII tavole, così spesso usate da Cicerone. Nello stesso tempo, i modelli di Cicerone e di Varrone, che corrispondono al diritto sacro del periodo dal V al I sec. a.C., cioè successivo alle leggi delle XII tavole, sono basati certamente sulla legislazione sacra di Numa Pompilio. La differenza tra due sistemi non è così ampia. Perciò, non a caso nel trattato De legibus Cicerone dice delle sue leggi:

 

Sed, uti mihi quidem uidetur, non multum discrepat ista constitutio religionum a legibus Numae nostrisque moribus[50].

 

 



 

[1] Polyb. VI. 11. 4: p©n g¦r ™piginèskontej kaˆ pantÕj pe‹ran e„lhfÒtej di¦ t¾n ™k pa…dwn to‹j œqesi kaˆ nom…moij suntrof…an oÙ tÕ legÒmenon qaum£sousin ¢ll¦ tÕ paraleipÒmenon ™pizht»sousin, oÙd kat¦ prÒqesin Øpol»yontai tÕn gr£fonta paralipe‹n t¦j mikr¦j diafor£j, ¢ll¦ kat' ¥gnoian parasiwp©n t¦j ¢rc¦j kaˆ t¦ sunšconta tîn pragm£twn.

 

[2] Cic. Orat. 1. 44-45. 197-198: His ego de causis dixeram, Scaevola, eis, qui perfecti oratores esse vellent, iuris civilis esse cognitionem necessariam. Iam vero ipsa per sese quantum adferat eis, qui ei praesunt, honoris, gratiae, dignitatis, quis ignorat? … in nostra civitate contra amplissimus quisque et clarissimus vir.

 

[3] Cic. De leg. 2.59: Discebamus enim pueri XII ut carmen necessarium, quas iam nemo discit. Cic. de rep. 2.4.9: A paruis enim, Quinte, didicimus: Si in ivs vocat, atque a<lia> eius modi leges [alias] nominare.

 

[4] Бартошек М. , Римское право. Понятия, термины, определения. М., 1989, 338.

 

[5] Бартошек М.,  Op. cit., 338.

 

[6] Macr. Sat. I.16.25: Sed et Fabius Maximus Servilianus pontifex in libro duodecimo (iuri pontificii).Ved. anche: Бартошек М. Op. cit., 334.

 

[7] Macr. Sat. III.2.11; Libri iuris pontificii; Gell. X.15.1: in libris, qui de sacerdotibus publicis; Nonn. 19.11 p. 544 M: Fabius Pictor lib. XVI… Vedi anche: Gell. I.12.14; Serv. ad Georg. I.21; Fest. Puilia. p. 298 L.; Nonn. 12.3 p. 218 M.; 3. 197 p. 223 M.

 

[8] Macr. Sat. I.12.12, 18.30; Lyd. de mens. IV.44.92

 

[9] Бартошек М., Op. cit., 333.

 

[10] Gell. VII(6).12.1-2.

 

[11] Macr. Sat. III.3.2: Trebatius libro primo de religionibusSat. III.3.5: Trebatius libro decimo religionumСfr. Macr. Sat. I.16.28; III.5.1; III.7.5-8; Serv. ad Aen. XI.316; Arnob. adv. gent. 7.31.

 

[12] Macr. Sat. I.16.29: Iulius Caesar sexto decimo auspiciorum libroСfr. Priscian. 6.16.86; Fest. Maiorem p. 154 L.

 

[13] Gell. XIII.15.4: liber de auspiciis primusСfr. Fest. Marspedis p. 161 M.; Pecunia p. 253 M.; Macr. Sat. I. 16. 28.

 

[14] Fest. Referri, p. 289M.; Silentio, p. 348M; Paludat, p. 253 M.

 

[15] Macr. Sat. III.5.6; Fest. Praesentanea, p. 250 M.

 

[16] Macr. Sat. III.11.5.

 

[17] Censorin. 3.2: Gr. Flaccus in libro, quem ad Caesarem de indigitamentis scriptum reliquit… Macr. Sat. I.16.30: Apud Granium Licinianum libro secundo diligens lector inveniet… Cfr.: Macr. Sat. I.18.4; Arnob. III.31; III.38; V.18; Fest. Ricae, p. 277 M.; Gramm. inc. gloss. ad Aen. XII. 234.

 

[18] Fest. Proculiunt, p. 253 M.: ait… Antistius de iure pontificali libro VIIII…; Fest. Spurcum, p. 348 M.: ait Labeo Antistius libro X commentarii iuris pontificii…; Fest. Prox, p. 253 M.: Labeo de iu re pontificio l. XI…; Fest. Sistere, p. 351 M.: Ant. Labeo ait in commentario XV. iuris pontificii…; Fest. Prox, p. 253 M.: Labeo sexagesimo et octavo libro intulitСfr. Fest. Subigere, p. 351 M.; Prosimerium, p. 249 M.; Nautea, p. 166 M.; Oluatum, p. 205 M.

 

[19] Gell. IV.6.10: verba Atei Capitonis ex quinto librorum, quos de pontificio iure composuit…; Fest. Mundus, p. 157 M.: ait Capito Ateius in l. VII pontificali…; Macr. Sat. VII.13.11; Gell. I.12.8; Plut. Q.R. 50; Macr. Sat. III.10.3: (Atei Capitonis) verba ex libro primo sacrificiorumСfr. Fest. Propudianus, p. 238 M.; Porcam, p. 238 M.; Rutilae, p. 285.

 

[20] Macr. Sat. I. 4. 6: Masurius fastorum l. secundo. Сfr. Macr. Sat. I.4.15; I.10.5;8.

 

[21] Just., De concept. digestorum, 1: Cum itaque nihil tam studiosum in omnibus rebus invenitur quam legum auctoritas, quae et divinas et humanas res bene disponit et omnem iniquitatem expellit, repperimus autem omnem legum tramitem, qui ab urbe Roma condita et Romuleis descendit temporibus, ita esse confusum, ... extendatur et nullius humanae naturae capacitate concludatur.

 

[22] Pomponius, D.1.2.2.2: Quae omnes conscriptae exstant in libro Sexti Papirii...; Pomponius. D.1.2.2.3-4: quas in tabulas eboreas perscriptas pro rostris composuerunt, ut possint leges apertius percipi.

 

[23] Pomponius, D.1.2.2.5: Haec disputatio et hoc ius, quod sine scripto venit compositum a prudentibus.

 

[24] Pomponius. D.1.2.2.36: Post hunc Appius Claudius eiusdem generis maximam scientiam habuit: hic Centemmanus appellatus est, Appiam viam stravit et aquam Claudiam induxit et de Pyrrho in urbe non recipiendo sententiam tulit: hunc etiam actiones scripsisse traditum est primum de usurpationibus, qui liber non exstat.

 

[25] Sul diritto sacro nelle XII tavole vedi: Kofanov L., Sul problema della palingenesi delle XII tavole, in Le leggi delle XII tavole., Mosca, 1996, 175-210.

 

[26] Ulp. D.1.1.1.2: Publicum ius in sacris, in sacerdotibus, in magistratibus consistit. La storiografia su questo brano d’Ulpiano ved. in: Sini F., Varr. de ling. lat. 5,86 e il “diritto internazionale” romano (riflessioni su fides, bellum, hostis, pax), in Ius Antiquum 12, 2003, 45. n. 14.

 

[27] Auson. Idyll. 11.61-62: Ius triplex, tabulae quod ter sanxere quaternae, sacrum, priuatum, populi commune quod usquam est.

 

[28] Cic. de leg. III.20.49: De iure populi Romani, quem ad modum instituisti, dicendum nihil putas?... Faciam breuiter si consequi potuero... Nos autem de iure naturae cogitare per nos atque dicere debemus, de iure populi Romani, quae relicta sunt et tradita.

 

[29] Cic. De leg. II.19-22: [19] Ad diuos adeunto, caste, pietatem adhibento, opes amouento. Qui secus faxit, deus ipse uindex erit. Separatim nemo habessit deos neue nouos neue aduenas nisi publice adscitos; priuatim colunto quos rite a patribus acceperint. In urbibus delubra habento. Lucos in agris habento et larum sedes. Ritus familiae patrumque seruanto. Diuos et eos qui caelestes semper habiti sunt colunto et ollos quos endo caelo merita locauerint, Herculem, Liberum, Aesculapium, Castorem, Pollucem, Quirinum, ast olla propter quae datur hominibus ascensus in caelum, Mentem, Virtutem, Pietatem, Fidem, earumque laudum delubra sunto nec ulla uitiorum. Sacra solemnia obeunto.

Feriis iurgia amouento, easque in famulis operibus patratis habento, itaque, ut rite cadant in annuis anfractibus, descriptum esto. Certasque fruges certasque bacas sacerdotes publice libanto, hoc certis sacrificiis et diebus.

[20] Itemque alios ad dies ubertatem lactis feturaeque seruanto, idque nec omitti possit, ad eam rem rationem habento, cursus annuos sacerdotes finiunto, quaeque quoique diuo decorae grataeque sint hostiae, prouidento.

Diuisque aliis alii sacerdotes, omnibus pontifices, singulis flamines sunto. Virginesque Vestales in urbe custodiunto ignem foci publici sempiternum.

Quoque haec et priuatim et publice modo rituque fiant, discunto ignari a publicis sacerdotibus. Eorum autem genera sunto tria: unum quod praesit caeremoniis et sacris, alterum quod interpretetur fatidicorum et uatium effata incognita, quorum senatus populusque adsciuerit. Interpretes autem Iouis optumi maxumi, publici augures, signis et auspiciis postera uidento, [21] disciplinam tenento sacerdotesque docento, uineta uirgetaque ad salutem populi auguranto; quique agent rem duelli quique popularem, auspicium praemonento ollique obtemperanto. Diuorumque iras prouidento ostentisque apparento, caelique fulgura regionibus ratis temperanto, urbemque et agros et templa liberata et efflata habento. Quaeque augur iniusta nefasta uitiosa dira deixerit, inrita infectaque sunto; quique non paruerit, capital esto.

Foederum pacis, belli, indotiarum oratores fetiales sunto, uindices non sunto, bella disceptanto. Prodigia portenta ad Etruscos [et] haruspices, si senatus iussit, deferunto, Etruriaque principes disciplinam doceto. Quibus diuis creuerint, procuranto, idemque fulgura atque obstita pianto. Nocturna mulierum sacrificia ne sunto praeter olla quae pro populo. Neue quem initianto nisi, ut adsolet, Caereri Graeco sacro.

[22] Sacrum commissum, quod neque expiari poterit, impie commissum, esto; quod expiari poterit, publici sacerdotes expianto. Loedis publicis [...], quod sine curriculo et sine certatione corporum fiat, popularem laetitiam et cantu et fidibus et tibiis moderanto eamque cum diuom honore iungunto. Ex patriis ritibus optuma colunto. Praeter Idaeae Matris famulos eosque iustis diebus ne quis stipem cogito. Sacrum sacroue commendantum qui clepserit rapsitue, parricida esto. Periurii poena diuina exitium, humana dedecus esto. Incestum pontifices supremo supplicio sanciunto. Impius ne audeto placare donis iram deorum. Caute uota reddunto. Poena uiolati iuris esto. [Quocirca] nequis agrum consecrato. Auri argenti eboris sacrandi modus esto. Sacra priuata perpetua manento. Deorum Manium iura sancta sunto. Humanos leto datos diuos habento. Sumptum in ollos luctumque minuunto.

 

[30] Nel trattato De natura deorum Cicerone sottolinea anche queste tre categorie dei sacerdoti come principali: Cic. De nat. deor. III.2.5: cumque omnis populi Romani religio in sacra et in auspicia divisa sit, tertium adiunctum sit si quid praedictionis causa ex portentis et monstris Sibyllae interpretes haruspicesve monuerunt, harum ego religionum nullam umquam contemnendam putavi.

 

[31] Sini F., Sua cuique civitati religio. Religione e diritto pubblico in Roma antica, Torino 2001, 156-158.

 

[32] August. De civ. Dei, VI.3: Quadraginta et unum libros scripsit Antiquitatum; hos in res humanas divinasque divisit, rebus humanis viginti quinque, divinis sedecim tribuit, istam secutus in ea partitione rationem, ut rerum humanarum libros senos quattuor partibus daret. Intendit enim qui agant, ubi agant, quando agant, quid agant. In sex itaque primis de hominibus scripsit, in secundis sex de locis, sex tertios de temporibus, sex quartos eosdemque postremos de rebus absolvit. Quater autem seni viginti et quattuor fiunt. Sed unum singularem, qui communiter prius de omnibus loqueretur, in capite posuit. In divinis identidem rebus eadem ab illo divisionis forma servata est, quantum attinet ad ea, quae diis exhibenda sunt. Exhibentur enim ab hominibus in locis et temporibus sacra. Haec quattuor, quae dixi, libris complexus est ternis: nam tres priores de hominibus scripsit, sequentes de locis, tertios de temporibus, quartos de sacris, etiam hic, qui exhibeant, ubi exhibeant, quando exhibeant, quid exhibeant, subtilissima distinctione commendans. Sed quia oportebat dicere et maxime id exspectabatur, quibus exhibeant, de ipsis quoque diis tres conscripsit extremos, ut quinquies terni quindecim fierent. Sunt autem omnes, ut diximus, sedecim, quia et istorum exordio unum singularem, qui prius de omnibus loqueretur, apposuit. Quo absoluto consequenter ex illa quinquepertita distributione tres praecedentes, qui ad homines pertinent, ita subdivisit, ut primus sit de pontificibus, secundus de auguribus, tertius de quindecimviris sacrorum; secundos tres ad loca pertinentes ita, ut in uno eorum de sacellis, altero de sacris aedibus diceret, tertio de locis religiosis; tres porro, qui istos sequuntur et ad tempora pertinent, id est ad dies festos, ita, ut unum eorum faceret de feriis, alterum de ludis circensibus, de scaenicis tertium; quartorum trium ad sacra pertinentium uni dedit consecrationes, alteri sacra privata, ultimo publica. Hanc velut pompam obsequiorum in tribus, qui restant, dii ipsi sequuntur extremi, quibus iste universus cultus impensus est: in primo dii certi, in secundo incerti, in tertio cunctorum novissimo dii praecipui atque selecti.

 

[33] Sini F., Varr. de ling. lat. 5,86, 47, 49

 

[34] Idem, 44-45.

 

[35] Varr. L.L. V.80-94.

 

[36] Liv. I.20.1-5; Sini F., Varr. de ling. lat. 5,86, 47.

 

[37] Cic. De nat. deor. III.2.5: mihique ita persuasi, Romulum auspiciis Numam sacris constitutis fundamenta iecisse nostrae civitatis, quae numquam profecto sine summa placatione deorum inmortalium tanta esse potuisset. Cfr.: Liv. I.7.1.

 

[38] Dionys. II.63.4: perilabën d ¤pasan t¾n perˆ t¦ qe‹a nomoqes…an grafa‹j die‹len e„j Ñktë mo…raj, Ósai tîn ƒerîn Ãsan aƒ summor…ai.

 

[39] Dionys. II.74.1: T¦ d' e„j eÙtšlei£n te kaˆ swfrosÚnhn ¥gonta tÕn ˜k£stou b…on kaˆ e„j ™piqum…an katast»santa tÁj fulattoÚshj ™n Ðmono…v t¾n pÒlin dikaiosÚnhj ple‹sta Ósa, t¦ mn ™ggr£foij perilhfqšnta nÒmoij, t¦ d' œxw grafÁj e„j ™pithdeÚseij ¢cqšnta kaˆ sunask»seij cron…ouj.

 

[40] Dionys. II.64.1: 'Apšdwke d m…an mn ƒerourgiîn di£taxin to‹j tri£konta kour…wsin, oÞj œfhn t¦ koin¦ qÚein Øpr tîn fratriîn ƒer£.

 

[41] Dionys. II.64.2: t¾n d deutšran to‹j kaloumšnoij ØpÕ mn `Ell»nwn stefanhfÒroij, ØpÕ d `Rwma…wn fl£mosin, oÞj ™pˆ tÁj for»sewj tîn p…lwn te kaˆ stemm£twn, § kaˆ nàn œti foroàsi fl£ma kaloàntej, oÛtw prosagoreÚousi.

 

[42] Dionys. II.64.3: t¾n d tr…thn to‹j ¹gemÒsi tîn keler…wn, oÞj œfhn ƒppe‹j te kaˆ pezoÝj strateuomšnouj fÚlakaj ¢pode…knusqai tîn basilšwn, kaˆ g¦r oátoi tetagmšnaj tin¦j  ƒerourg…aj ™petšloun.

 

[43] Fest. p. 284 L.: Publica sacra, quae publico sumptu pro populo fiunt, quaeque pro montibus, pagis, curis, sacellis: at privata, quae pro singulis hominibus, familiis, gentibus fiunt.

 

[44] Dionys. II.64.4: t¾n d tet£rthn to‹j ™xhgoumšnoij t¦ qeÒpempta shme‹a kaˆ diairoàsi t…nwn ™stˆ mhnÚmata pragm£twn „d…v te kaˆ dhmos…v, oÞj ¢f' ˜nÕj e‡douj tîn qewrhm£twn tÁj tšcnhj `Rwma‹oi kaloàsin aÜgoraj, ¹me‹j d' ¨n e‡poimen o„wnopÒlouj, ¡p£shj tÁj mantikÁj par' aÙto‹j Ôntaj ™pist»monaj tÁj te perˆ t¦ oÙr£nia kaˆ t¦ met£rsia kaˆ t¦ ™p…geia.

 

[45] Dionys. II.64.5: t¾n d pšmpthn ta‹j fulattoÚsaij tÕ ƒerÕn pàr parqšnoij, a‰ kaloàntai prÕj aÙtîn ™pˆ tÁj qe©j ¿n qerapeÚousin ˜sti£dej, aÙtÕj prîtoj ƒerÕn ƒdrus£menoj `Rwma…oij `Est…aj kaˆ parqšnouj ¢pode…xaj aÙtÍ quhpÒlouj·.·

 

[46] Dionys. II.70.1: “Ekth d mo‹ra tÁj perˆ t¦ qe‹a nomoqes…aj Ãn ¹ prosnemhqe‹sa to‹j kaloumšnoij ØpÕ `Rwma…wn sal…oij, oÞj aÙtÕj Ð NÒmaj ¢pšdeixen ™k tîn patrik…wn dèdeka toÝj eÙprepest£touj ™pilex£menoj nšouj, ïn ™n Palat…J ke‹tai t¦ ƒer¦ kaˆ aÙtoˆ kaloàntai Palat‹noi.

 

[47] Dionys. II.72.1: `H d ˜bdÒmh mo‹ra tÁj ƒer©j nomoqes…aj tù sust»mati prosetšqh tîn kaloumšnwn fetial…wn. oátoi d' ¨n e‡hsan kat¦ t¾n `Ellhnik¾n kaloÚmenoi di£lekton e„rhnod…kai. e„sˆ d' ™k tîn ¢r…stwn o‡kwn ¥ndrej ™p…lektoi di¦ pantÕj ƒerèmenoi toà b…ou, NÒma toà basilšwj prètou kaˆ toàto `Rwma…oij tÕ ƒerÕn ¢rce‹on katasthsamšnou·.

 

[48] Dionys. II.73.1: Teleuta‹oj d' Ãn tÁj NÒma diat£xewj merismÕj Øpr tîn ƒerîn, ïn œlacon oƒ t¾n meg…sthn par¦ `Rwma…oij ƒerate…an kaˆ ™xous…an œcontej. oátoi kat¦ mn t¾n ˜autîn di£lekton ™f' ˜nÕj tîn œrgwn Ö pr£ttousin ™piskeu£zontej t¾n xul…nhn gšfuran pont…fikej prosagoreÚontai, e„sˆ d tîn meg…stwn pragm£twn kÚrioi.

 

[49] Fest. Ordo sacerdotium, p. 198 L.: Ordo sacerdotum aestimatur deorum <ordine, ut deus> maximus quisque. Maximus videtur Rex, dein Dialis, post hunc Martialis, quarto loco Quirinalis, quinto pontifex maximus. Itaque in soliis Rex supra omnis accumbat licet; Dialis supra Martialem, et Quirinalem; Martialis supra proximum; omnes item supra pontificem. Rex, quia potentissimus: Dialis, quia universi mundi sacerdos, qui appellatur Dium; Martialis, quod Mars conditoris urbis parens; Quirinalis, socio imperii Romani Curibus ascito Quirino; pontifex maximus, quod iudex atque arbiter habetur rerum divinarum humanarumque.

 

[50] Cic. De leg. II.10.23: Sed, uti mihi quidem uidetur, non multum discrepat ista constitutio religionum a legibus Numae nostrisque moribus.