N. 5 – 2006 – Memorie

 

Leonid L. Kofanov

Accademia delle Scienze di Russia

Mosca

 

Varrone Antiquitates rerum humanarum et divinarume il sistema del diritto pubblico romano

 

 

Parlando del sistema del diritto pubblico romano, è necessario sottolineare che a differenza del diritto romano privato la nostra conoscenza di quello è molto meno profonda, siccome c’è il problema della mancanza delle fonti. Per di più, le nostre opinioni sul sistema del diritto pubblico romano sono sotto l’influenza profonda delle opinioni tradizionali della romanistica occidentale del passato, per esempio, del sistema del diritto statale romano, creato da Th. Mommsen nel suo famoso Römisches Staatsrecht. Nello stesso tempo, la divisione di tutto il diritto romano in pubblico e privato, ben nota dopo Ulpiano, è uno dei principi fondamentali del sistema sia del diritto romano che del diritto contemporaneo europeo.

La definizione ulpinianea permette di individuare tre principali componenti del diritto pubblico romano classico: sacra, sacerdotes, magistratus[1]. Tale divisione trova conferma nella esposizione del diritto pubblico nel trattato De legibus di Cicerone, dove le prime due parti sono dedicate al diritto sacro, dei sacerdoti e magistrati. Noi non sappiamo quali parti c’erano ancora nel trattato di Cicerone, poiché di almeno cinque libri (Macr. Sat. 6.4.8) si sono salvati solo i primi tre. A giudicare dalle ultime parole salvate del trattato[2], Cicerone descrive poi lo ius populi Romani, cioè i diritti concreti sia pubblici, sia privati dei cittadini romani. Può darsi che qui lui descrivesse la divisione di tutte le res in res publicae e res privatae. Almeno da altri lavori di Cicerone è chiaro che collegava la divisione tradizionale di ius publicum e ius privatum con la divisione della competenza dei iudicia publica nella proprietà pubblica e iudicia privata nella proprietà privata.

Su questo punto, vorrei muovere qualche obiezione all’opinione di alcuni studiosi, in particolare di Peter Stein[3], i quali basandosi su un brano ciceroniano del De partitione oratoria[4] affermano che Cicerone vedeva nella divisione tra ius publicum e ius privatum solo una differenza tra le fonti del diritto repubblicano, create sia dallo Stato (leggi, senatusconsulta, patti internazionali), sia dai privati (testamenti, accordi, stipulazioni). Infatti, è ben vero che tale differenza aveva luogo, tuttavia questo non significa che non esistessero diverse competenze tra iudicium publicum e iudicium privatum; né che Cicerone non conoscesse questa differenza di competenze. Nel trattato De oratore, consapevolmente contrappone l’uno all’altro[5], sottolineando in particolare che, a differenza del iudicium privatum, nel iudicium publicum si esamina il diritto pubblico del senato e del popolo che riguarda imperium del magistrato e il governo della res publica.

Torniamo al problema della ricostruzione del sistema del diritto pubblico romano. Senza dubbio, la fonte principale di tutta nostra conoscenza del diritto romano è il Corpus Iuris Civilis di Giustiniano. Però, sia nelle Istituzioni, sia nel Codice, sia nel Digesto di Giustiniano non si può trovare uno chiaro dettagliato sistema del diritto pubblico. Questo fatto non significa che nel diritto preclassico e classico romano del I sec. a.C. - II sec. d.C. questo sistema anche non esisteva, ma mostra che compilatori giustinianei del VI sec. d.C. non avevano necessità di descrivere diritto pubblico dei secoli passati e del sistema giuridico diverso. Ciò nonostante molteplici tracce del diritto pubblico classico si possono trovare anche in queste tarde fonti. Per esempio, nelle Istituzioni di Giustiniano si dichiara la divisione di tutto il diritto in ius publicum e ius privatum (Inst. I.1.4), del diritto reale in res publica e res singulorum (Inst. II.1 pr.); oltre a ciò si da una descrizione breve della divisione delle res publicae in beni comuni, sacrali, religiosi e santi (Inst. II. 1.1-10). Finalmente, nella parte delle azioni si da la divisione in iudicia publica e iudicia privata.

Per quanto riguarda il Codice di Giustiniano, qui il diritto pubblico si presenta in misura abbastanza ampia. Però, è necessario prestare  attenzione al fatto che questo è il sistema del diritto pubblico postclassico del periodo da Adriano a Giustiniano, quando «tutto il diritto ed il potere del popolo romano era stato trasferito nel potere dell’imperatore»[6]; perciò non ha senso cercare qui istituti repubblicani. Però, anche nel Codice si trova la divisione del diritto pubblico in quello sacrale (Cod. I.1-13), dei magistrati (Cod. I.14-57; XII.1-63), diritto penale, diviso in norme riguardanti i crimini contro lo stato (Cod. IX.7-30) ed i delitti privati (Cod. IX.30-40), diritto del fisco (Cod. X.1-78) e della proprietà statale, municipale e dell’imperatore (Cod. XI.1-78). Il diritto privato si espone nei libri da 2 a 8, ripetendo il succedersi dei libri da 2 a 46 del Digesto di Giustiniano.

I Digesta di Giustiniano, anche se soprattutto sono dedicati al diritto privato, sono molto interessanti per lo studio del diritto pubblico classico. Così, nel primo libro si trova la constatazione della divisione di tutto il diritto a quello pubblico e privato (D. 1.1.1.2), di tutto diritto reale alla res publica, res sacra e res privata (D. 1.8.1-10). In questo libro c’è anche descrizione del diritto dei magistrati (D. 1.9-22). Tra le azioni reali del sesto libro dei Digesta anche azione su ager vectigalis si menziona (D. 6.3), poi nei titoli da 7 a 15 del libro 43 si tratta dei interdicta dei pretori per difesa delle res in publico usu[7]. Libro 48 dei Digesta descrive le azioni dei iudicia publica. Finalmente, tutto il libro 50 da il materiale abbastanza dettagliato su diritto pubblico municipale.

Poi, nei Digesta si trova il concetto dei bona publica (D. 50.16.17) del patrimonium populi (D. 41.1.14 pr.) o del patrimonium fisci (D. 18.1.72.1; D. 43.8.2.4; dominium fisci - D. 39.4.14). Anche la definizione della proprietà pubblica del popolo romano, che noi troviamo nel XVI Titolo del Libro 50, ha grandissima importanza, siccome qui da un lato c’è contrapposizione della proprietà pubblica del popolo romano e di quella del municipio, d’altro lato la loro identificazione[8].

Nel Digesto di Giustiniano tutta la proprietà statale si divide in 2 parti principali: i beni pubblici che c’erano in uso diretto del popolo (res in publico usu) e i beni dell’erario del popolo romano o del fisco dell’imperatore (res in pecunia populi)[9]. La divisione della proprietà statale in queste due parti ha carattere principale, poiché il regime di queste parti della proprietà pubblica aveva carattere molto diverso. Come è ben noto, le res in publico usu erano fuori del commercio (res extra commercio) e non potevano essere oggetto della compravendita o delle locazioni[10]. Invece, le res in pecunia populi erano oggetto del commercio delle locazioni o della compravendita dei privati, come Pomponio e Giustiniano mostrano[11]. Perciò nel primo caso le res in publico usu erano in gestione diretta dei magistrati. I pretori, che hanno elaborato diversi interdicta sulla difesa dell’uso pubblico di edifici, strade, fiumi, acquedotti ecc., in questo caso avevano il ruolo principale. Quanto riguarda le res in pecunia populi, quelle si vendevano in appalto ai mancipes secondo i contratti pubblici.

Materiale del Digesto ci permette di concludere che proprio nella giurisprudenza preclassica e classica il sistema del diritto pubblico era stato elaborato profondamente; però, a differenza del diritto privato, nelle fonti postclassiche non si era salvato in misura sufficiente.

In quale fonte della nostra disposizione si può trovare l’informazione su questo sistema? Secondo la definizione di Ulpiano[12] la Iurisprudentia altro non sarebbe che divinarum atque humanarum rerum notitia; secondo l’opinione generale dell’antichità, proprio lo studioso ed enciclopedista Marco Terenzio Varrone sarebbe stato il più famoso conoscitore delle res divinae et humanae. E’ molto notevole che studiando diversi termini e istituti del diritto pubblico romano gli antiquari abbastanza spesso lo citano insieme ai più importanti doctissimi iuris publici et privati (D.1.2.2.46; Plin. ep. 8.14.1) giuristi come Tuberone, L. Elio, Servio Sulpicio (Gell. I pr. 1.9; II.10 pr.), Quinto Mucio Scevola (Gell. I pr.3.2; III.2 pr.; III.2.7), Ateo Capitone e Labeone (Gell. I pr.13.10; XIII.12.2-5; Serv. Ad Aen. V.45).

La descrizione del sistema del contenuto dei libri Antiquitates rerum humanarum et divinarum di Varrone si trova nel testo famoso di Agostino (De civ. Dei, VI.3). Francesco Sini nota che Varrone certamente usava nella sua opera Antiquitates la costruzione giuridica religiosa elaborata dai sacerdoti romani d’età repubblicana[13]. La prima parte, quella Rerum humanarum, è divisa in quattro parti: homines, loci, tempora, res.

Questa divisione è assai vicina a quella delle Institutiones di Gaio: personae, res, actiones, dove le parti loci e tempora corrispondono a quella delle actiones. Tale similitudine non è casuale e mostra che tutto il sistema del diritto romano sia privato, sia pubblico ha le stesse radici nei commenti giuridici e religiosi della giurisprudenza pontificale repubblicana. Questo fatto si può trattare nel senso che i principi generali del sistema sia del diritto privato che del diritto pubblico erano identici.

In relazione a questo, è necessario prestare attenzione al rapporto tra la prima parte delle Antiquitates rerum humanarum di Varrone, la quale è chiamata da Agostino De hominibus, e prima parte delle Antiquitates rerum divinarum. In tutte due le parti si tratta delle persone. Nella prima parte delle Antiquitates rerum humanarum si tratta, in particolare, dei re e dei magistrati. Nella prima parte delle Antiquitates rerum divinarum dei pontefici, auguri e quindecemviri, cioè dei sacerdoti del popolo romano[14]. Per quanto riguarda la quarta parte delle Antiquitates rerum humanarum chiamata da Agostino De rebus, quella deve essere comparata con la parte  De sacris delle Antiquitates rerum divinarum[15], dove Varrone descrive le res sacrae. Qui è importante di mettere l’attenzione al contenuto dei libri De sacris: primo libro era dedicato alla consacrazione (l’istituto che corrisponde con quello laico publicatio bonorum), secondo – ai sacra privata, terzo – ai sacra publica. Si può presumere che 6 libri De rebus delle Antiquitates rerum humanarum di Varrone anche avevano una divisione simile. Grazie a molteplici citazioni di questi libri di Varrone in diversi autori antichi si può parzialmente definire il loro contenuto. Così, diversi parti del libro 21 erano dedicate ai questori, edili e tribuni plebei (Gell. XIII.12-13), un’altro libro trattava diritto di guerra e pace (Gell. I.25). I compilatori della versione elettronica dell’edizione delle fonti PHI hanno proposto suoi titoli a diversi libri di questa parte: il libro 20 delle Antiquitates rerum humanarum di Varrone qui si chiama De re publica, il libro 21 – De magistratuum imperio et potestate, il libro 22 – De bello et pace, il libro 23 – De iudiciis e il libro 25 –De rebus in usum publicum inuentis. Dunque, sembra che in tutti i 6 libri si trattava del diritto pubblico e della proprietà statale. Forse, Varrone si occupava anche delle res publicае in pecunia populi. Però, se Varrone in questi libri De rebus ripeteva l’ordine che c’era nei suoi libri De sacris, allora, deve esistere anche un libro delle res privatae.

Certamente, tutta questa ricostruzione del sistema dei libri di Varrone è abbastanza ipotetica; ma a mio avviso si può concludere che, descrivendo gli usi e il diritto dei romani del periodo repubblicano, nei libri del suo trattato Antiquitates rerum humanarum et divinarum Varrone divideva tutto il diritto tra quello umano e quello divino; a sua volta ciascuno di questi due si divideva in persone, azioni e beni. Allora, secondo Varrone la divisione del diritto sacro e pubblico seguiva il principio generale del diritto privato: personae - res - actiones.

Questa conclusione non è solamente una ipotesi, perché a nostra disposizione abbiamo una serie di fonti giuridiche eccellenti del I sec. a.C. - I sec. d.C. Si tratta delle leggi municipali lex coloniae Genetivae, lex municipii Malacitani, lex municipii Salpensani e lex municipalis Irnitana, le quali avevano il ruolo di legge principale, lo statuto dei municipi romani. Nella letteratura moderna esiste l’opinione che la composizione delle leggi municipali è raccolta da diverse leggi romane tematiche come leges agrariae, leges iudiciariae, ma la loro base originaria, la fonte principale non è chiara[16]. Secondo me, la risposta al problema dell’origine dei statuti municipali romani si deve cercare nelle parole di Livio, secondo cui già nella fine del IV sec. a.C. gli alleati dei romani cominciarono a pregare di dare loro il diritto e il sistema giudiziario romano[17]. Anche Festo racconta la penetrazione ampia del diritto romano nelle diverse res publicae degli alleati romani nel IV e III sec. a.C.[18], e Velleio Paterculo ci dà un elenco abbastanza dettagliato e ampio delle città che hanno ricevuto la cittadinanza romano in questo periodo (Vell. I.14.3-8). Quale diritto usavano i romani nel IV sec. a.C. per darlo agli alleati? La risposta può essere unica: le leggi delle XII Tavole nell’interpretazione del praetor urbanus romano[19]. Infatti, molte norme delle XII Tavole si ripetono nelle leggi municipali[20]. Da Livio è ben conosciuto che la legge delle XII Tavole fons omnis publici priuatique est iuris[21], e Cicerone aggiunge che nelle leggi delle XII Tavole si può trovare tutta la ciuilis scientia,… totam hanc, descriptis omnibus ciuitatis utilitatibus ac partibu[22]. Anche Ausonio dà in breve la caratteristica del sistema delle XII Tavole, secondo la quale il codice decemvirale era di tre parti: sacrum, priuatum, populi commune[23].

Lo studio del contenuto delle leggi municipali permette di pervenire ad alcune conclusioni su struttura e contenuto. La più ben conservata, la lex Irnitana ha cinque parti, nelle quali insieme al diritto dei magistrati (duoviri, edili, questori - 18-29), dei decurioni (30-44), dei comizi popolari e della procedura giudiziaria sulle res privatae (86-91), una parte molto ampia (60-83) è dedicata al regime delle finanze municipali e della proprietà pubblica. Questa descrizione del diritto pubblico reale ha stretta corrispondenza con la parte De rebus di Varrone. Quasi lo stesso ordine del contenuto si può trovare nelle altre leggi municipali, le quali, però, colmane le lacune della lex Irnitana. Così, la lex coloniae Genetivae Ursonensis descrive il diritto sacrale dei pontefici e auguri (66-68) e anche il carattere d’uso delle res sacrae: i soldi pubblici per riti sacri e sacrifici (65), i contratti d’appalto delle res sacrae (69), le fonti finanziari per ludi e sacrifici (70-72). Nella lex Malacitana si è salvata la tavola che descrive abbastanza dettagliatamente la procedura dei comizi popolari (51-59). Allora, in tutti questi statuti municipali si tratta del carattere della proprietà pubblica municipale e del regime di quella e questo premette di sottolineare le seguenti specialità molto importanti:

1. Negli statuti esiste la divisione di tutti i beni pubblici nelle res in usu communi[24], res in pecunia communi[25].

2. Si deve sottolineare che la proprietà municipale era data in appalto secondo le obbligazioni pubbliche[26], controllate dai decurioni e dai cittadini del municipio, i comizi dei quali accanto ai recuperatores rappresentavano l’istanza giudiziaria dei iudicia publica del municipio[27].

Dunque, in modo schematico si può disegnare il sistema del diritto pubblico romano municipale in tal’ordine:

1. Diritto sacrale diviso tra quello dei sacerdoti (pontefici ed auguri) e quello dei sacra. L’ultimo includeva l’enumerazione sia delle stesse res sacrae, sia le obbligazioni del loro appalto (divisione persone - res);

2. Diritto dei magistrati che includeva le norme sui magistrati stessi, sui decurioni e sui comizi popolari (diritto delle persone).

3. Diritto della proprietà municipale (res publica), con la divisione di tutti i beni tra quelli in uso comune e quelli in commercio (diritto reale con separazione degli elementi del diritto delle obbligazioni pubbliche);

4. La procedura giudiziaria con la divisione evidente tra iudicium publicum e iudicium privatum.

Allora, il contenuto delle leggi municipali permette di immaginare il sistema del diritto pubblico romano in maniera più chiara. E’ molto importante che una grande parte di questo diritto sia legato con le res publicae e obligationes pubbliche. Quindi, c’è la ragione abbastanza fondata di affermare che Th. Mommsen nel suo sistema del Römisches Staatsrecht ha perso la parte così importante del diritto pubblico romano come la proprietà del popolo. Secondo me questa parte riguardava almeno il 35% di tutta la struttura del diritto pubblico romano. Ancora il 35 % si deve aggiungere per diritto sacro. E’ evidente, però, che anche il sistema del diritto pubblico e sacro, assieme con quello del diritto privato, si sviluppava più profondamente nelle opere dei giuristi romani, non salvate per il nostro tempo.

Concludendo, si può dire che nel sistema del diritto pubblico romano rappresentato da Mommsen manca almeno il 70 % del contenuto e non solo del diritto sacro, dove assieme con gli istituti religiosi puri c’erano strumenti giuridici sociali, abbastanza importanti dal punto di vista odierno; ma anche di elementi essenziali del diritto pubblico, della stessa res publica: cioè della proprietà pubblica e dell’uso di quella nell’interesse del popolo e da parte dello stesso popolo. Forse, proprio grazie anche a questo modello parzialmente sbagliato, noi abbiamo oggi un diritto pubblico contemporaneo più dei magistrati, cioè dei burocrati, che del sistema di utilizzazione della proprietà popolare? Mi pare che sia arrivato il tempo dello studio profondo del sistema del diritto pubblico romano, e che tale studio può cambiare le nostre idee dogmatiche tradizionali in misura abbastanza rilevante.

 

 



 

[1] Ulp. D.1.1.1.2: Publicum ius in sacris, in sacerdotibus, in magistratibus consistit.

 

[2] Cic. De leg. 3.20.49: De iure populi Romani, quem ad modum instituisti, dicendum nihil putas?... Faciam breuiter si consequi potuero... Nos autem de iure naturae cogitare per nos atque dicere debemus, de iure populi Romani, quae relicta sunt et tradita.

 

[3] Stein P.G., Ulpian and the Distinction between ius publicum and ius privatum, in Collatio iuris Romani. études dédiées à Hans Ankum à l’occasion de son 65ème anniversaire, II, Amsterdam 1995, 500 ss.

 

[4] Cic. De partit. orator. 130: Scriptorum autem privatum aliud est, publicum aliud: publicum lex, senatusconsultum, foedus, privatum tabulae, pactum conventum, stipulatio.

 

[5] Cic. De orator. I.201: quam ob rem existimem publica quoque iura, quae sunt propria civitatis atque imperi, tum monumenta rerum gestarum et vetustatis exempla oratori nota esse debere; nam ut in rerum privatarum causis atque iudiciis depromenda saepe oratio est ex iure civili et idcirco, ut ante diximus, oratori iuris civilis scientia necessaria est, sic in causis publicis iudiciorum, contionum, senatus omnis haec et antiquitatis memoria et publici iuris auctoritas et regendae rei publicae ratio ac scientia tamquam aliqua materies eis oratoribus, qui versantur in re publica, subiecta esse debet.

 

[6] Cod. Iust. 1.17.1.7: cum enim lege antiqua, quae regia nuncupabatur, omne ius omnisque potestas populi romani in imperatoriam translata sunt potestatem, nos vero sanctionem omnem non dividimus in alias et alias conditorum partes, sed totam nostram esse volumes.

 

[7] Vedi, Alburquerque J.M., La protección o defensa del uso collectivo de las cosas de dominio público: especial referencia a los interdictos de publicis locis (loca, itinere, viae, fluminae, ripae), Madrid 2002, 55 ss.

 

[8] D. 50.16.15: Bona ciuitatis abusiue 'publica' dicta sunt: sola enim ea publica sunt, quae populi Romani sunt. D. 50.16.16: Eum qui uectigal populi Romani conductum habet, 'publicanum' appellamus. nam 'publica' appellatio in compluribus causis ad populum Romanum respicit: ciuitates enim priuatorum loco habentur. D. 50.16.17: Inter 'publica' habemus non sacra nec religiosa nec quae publicis usibus destinata sunt: sed si qua sunt ciuitatium uelut bona. sed peculia seruorum ciuitatium procul dubio publica habentur. 'Publica' uectigalia intellegere debemus, ex quibus uectigal fiscus capit: quale est uectigal portus uel uenalium rerum, item salinarum et metallorum et picariarum.

 

[9] Res publicae in publico usu D. 43.8.2. (Ulp.); D.18.1.6 pr. (Pomp); D. 45.1.83.5 (Paul); D. 43.14.1.4-6 (Ulp); D. 45.1.137.6 (Venul); D. 1.8.4.1 (Marcian.); D. 43.8.2.3 (Ulp.); res publicae in pecunia populi: D. 18.1.6 (Pomp.); D. 18.1.72.1 (Pap.); D. 41.1.14 pr. (Nerat.); C. 11.31.1; C. 11.31.3; sulla differenza tra res publicae in publico usu e res publicae in pecunia populi vedi: D. 43.8.2.4-5 (Ulp.); D. 18.1.6 pr. ((Pomp.); D. 18.1.72.1 (Pap.); D. 11.7.8.2 (Ulp.); D. 45.1.137.6 (Venul.); D. 45.1.83.5 (Paul.). E’ necessario sottolineare che io sono d’accordo con l’opinione di N.S. Suvorov secondo il quale, originariamente, il fisco imperiale veniva trattato come amministrazione della proprietà privata dell’imperatore; però, «tale ordinamento è esistito per poco tempo» e già al tempo dei Severi era sparita la differenza tra fisco imperiale e erario del senato (Suvorov N.S, Ob juridiceskich litsach po rimskomu pravu, Moskva 2000, 190).

 

[10] D. 18.1.6 pr. (Pomp): Sed Celsus filius ait ... te emere non posse nec cuiuscumque rei ... quorum commercium non sit, ut publica, quae non in pecunia populi, sed in publico usu habeatur, ut est campus Martius.  D.45.1.137.6 (Venul): Cum quis sub hac condicione stipulatus sit, si rem sacram aut religiosam titius vendiderit vel forum aut basilicam et huiusmodi res, quae publicis usibus in perpetuum relictae sint: ubi omnino condicio iure impleri non potest vel id facere ei non liceat, nullius momenti fore stipulationem, proinde ac si ea condicio, quae natura impossibilis est, inserta esset. Cfr.: Iust. Inst. III.19.2: Idem iuris est, si rem sacram aut religiosam, quam humani iuris esse credebat, uel publicam, quae usibus populi perpetuo exposita sit, ut forum uel theatrum, uel liberum hominem, quem seruum esse credebat, uel cuius commercium non habuit, uel rem suam dari quis stipuletur; D.45.1.83.5

 

[11] D.18.1.72.1 (Pap.): lege venditionis illa facta "si quid sacri aut religiosi aut publici est, eius nihil venit", si res non in usu publico, sed in patrimonio fisci erit, venditio eius valebit, nec venditori proderit exceptio, quae non habuit locum.

 

[12] D.1.1.10.2: Iurisprudentia est divinarum atque humanarum rerum notitia.

 

[13] Sini F., Varr. de ling. lat. 5,86 e il “diritto internazionale” romano (riflessioni su fides, bellum, hostis, pax) [russo, con riassunto italiano], in Ius Antiquum-Drevnee pravo 12, 2003, 47, 49.

 

[14] August. De civ. Dei, VI.3: qui ad homines pertinent, ita subdivisit, ut primus sit de pontificibus, secundus de auguribus, tertius de quindecimviris sacrorum

 

[15] August. De civ. Dei, VI.3: quartorum trium ad sacra pertinentium uni dedit consecrationes, alteri sacra privata, ultimo publica 

 

[16] Spicenko N.K., Grazdanskij sostav munitzipiev Flavija po dannym lex municipalis Irnitana. Avtoreferat dissertatzii kandidata istoriceskich nauk., Moskva 2006, 4. Ved. anche: Galsterer H., La loi municipal des Romains: chimère ou réalité?, RHD 65 (2) 1987, 181-203; Le Roux P., Rome et le droit latin, RHD 76 (3) 1998, 315-341; Simshäuser W., La jurisdiction municipale à la lumière de lalex Irnitana, RHD 67 (4) 1989, 619-650; Lamberti F., Tabulae Irnitanae: municipalità e ius Romanorum, Napoli 1993; Luraschi G., Sulla lex Irnitana, SDHI 55, 1989, 349-368.

 

[17] Liv. IX.20.5 (318 a.C.): eodem anno primum praefecti Capuam creari coepti legibus ab L. Furio praetore datis, cum utrumque ipsi pro remedio aegris rebus discordia intestina petissent... 10. et postquam res Capuae stabilitas Romana disciplina fama per socios uolgauit, Antiatibus quoque, qui se sine legibus certis, sine magistratibus agere querebantur, dati ab senatu ad iura statuenda ipsius coloniae patroni; nec arma modo sed iura etiam Romana late pollebant.

 

[18] Fest. p.262 L.: Praefecturae eae appellabantur in Italia, in quibus et ius dicebatur, et nundinae agebantur; et erat quaedam earum res publica, neque tamen magistratus suos habebant. in qua his legibus praefecti mittebantur quotannis qui ius dicerent. Quarum genera fuerunt duo: alterum, in quas solebant ire praefecti quattuor viginti sex virum nu pro populi suffragio creati erant, in haec oppida: Capuam, Cumas, Casilinum, Volturnum, Liternum, Puteolos, Acerras, Suessulam, Atellam, Calatium: alterum, in quas ibant, quos praetor urbanus quotannis in quaeque loca miserat legibus, ut Fundos, Formias, Caere, Venafrum, Allifas, Privernum, Anagniam, Frusinonem, Reate, Saturniam, Nursiam, Arpinum, aliaque conplura. Fest. Municeps, 142 L.: Municeps est, ut ait Aelius Gallus, qui in municipio liber natus est… At Servius filius aiebat initio fuisse, qui ea conditione cives fuissent, ut semper rempublicam separatim a populo Romano haberent, Cumanos, Acerranos, Atellanos, qui aeque <cives Romani erant et in legione merebant, sed dignitates non capiebant.>

 

[19] Pellecchi L, La legge e il magistrato.Intorno a una tecnica normativa romana, in Le Dodici Tavole. Dai Decemviri agli Umanisti, a cura di M.Humbert, Pavia 2005, 51-116; Mantovani D., La diei diffissio nella lex Irnitana. Contributo all’interpretazione e alla critica testuale del capitolo LXXXXI, in Iuris vincula. Studi in onore di M. Talamanca, V, Napoli 2001, 236 ss.; Idem, Il diritto e la costituzione in età repubblicana , in Introduzione alla storia di Roma, Milano 2000, 246.

 

[20] Ved., per esempio: lex coloniae Genetivae, 61 (= lex XII tab. III. 1-4; 73-74 (= lex XII tab. X. 1); 66 (=lex XII tab. VIII, 26).

 

[21] Liv. III.34.6-7: Cum ad rumores hominum de unoquoque legum capite editos satis correctae uiderentur, centuriatis comitiis decem tabularum leges perlatae sunt, quae nunc quoque in hoc inmenso aliarum super alias aceruatarum legum cumulo fons omnis publici priuatique est iuris. Uulgatur deinde rumor duas deesse tabulas, quibus adiectis absolui posse uelut corpus omnis Romani iuris.

 

[22] Cic. De orat. I. 43.193: Nam, siue quem haec Aeliana studia delectant, plurima est et in omni iure ciuili et in pontificum libris et in XII tabulis antiquitatis effigies, quod et uerborum uetustas prisca cognoscitur et actionum genera quaedam maiorum consuetudinem  uitamque declarant; siue quem ciuilis scientia, quam Scaeuola non putat oratoris esse propriam, sed quiusdam ex alio genere prudentiae, totam hanc, descriptis omnibus ciuitatis utilitatibus ac partibus, XII  tabulis contineri uidebit.

 

[23] Auson. Idyll. 11.61-62: Ius triplex, tabulae quod ter sanxere quaternae, sacrum, priuatum, populi commune quod usquam est. Cfr.: Quint. Instit. II. 4.33: nam et genera sunt tria sacri, publici, priuati iuris. Più dettagliatamente sulla struttura e contenuto delle leggi delle XI Tavole ved.: Kofanov L.L., Lex e ius: origine e sviluppo del diritto romano nei VIII-III sec. a.C., [russo, con riass. Italiano] Mosca 2006, 337 ss.

 

[24] Ved.: lex coloniae Genetivae Ursonensis, 75-79; lex Malacitana, 62; lex Irnitana, 82-83.

 

[25] Ved.: lex coloniae Genetivae Ursonensis, 82; lex Malacitana, 63-64; 67; lex Irnitana, 60; 63-65; 71; 76.

 

[26] Ved.: lex coloniae Genetivae Ursonensis, 80: negotii publice in colonia de decurionum sententia datum erit…; lex Malacitana, 67: rationes communes negotiumve…; lex Irnitana, 18: negotium commune municip{i}um…; 45: quive rationes negoti[ave] communia…; 67: rationes communes negotiumve…; 76: decu/riones conscriptive negotium dederint decreverint

 

[27] Iudicium publicum: lex Malacitana, 66: de ea decurionum conscriptorumve iudicium esto…; lex Irnitana, 68: causam publicam agant iique qui ita lecti erunt tem/pus ab decurionibus conscripti(s)ve quo [caus]am cognoscant actio…; 71: in iudicio publico testimonium dicereIudicium privatum: lex Irnitana, 86: iudices rerum privatarum; 87:  de re privata lis controversiave, 91: de re privata iudices arbitri … legis Iuliae quae de iudiciis privatis.