N. 5 – 2006 – Tradizione Romana

 

Francesco Paolo Casavola

Presidente emerito della Corte costituzionale italiana

 

Dal diritto romano al diritto europeo*

 

 

 

 

1. – Il tema, così indicato, vuole avere nei nostri giorni un significato diverso di quanto non abbia avuto in passato.

Nel secolo scorso si intendeva collocare, in questa delineazione di percorso, almeno due mete. La prima era quella di ricostruire la seconda vita del diritto romano, dopo la scomparsa della società e dello Stato dei romani, dall’Europa medievale a quella delle codificazioni moderne[1]; la seconda di valutare quanto del diritto romano fosse ulteriormente sopravvissuto nei codici e nella scienza giuridica contemporanea, tanto da giustificarne lo studio ai fini della educazione odierna dei giuristi[2].

 

2. – Per restare per ora nel quadro temporale del Novecento, occorre specificare che a seconda dell’una o dell’altra finalità venivano in gioco due diverse metodologie. Una storiografica, e una dogmatica. Entrambe si contendevano il campo nello studio del diritto romano antico in funzione delle due diagnosi contrapposte, essere cioè il diritto romano un diritto morto, e dunque destinato ad essere oggetto di una scienza storica, o un diritto ancora attuale, e perciò materia di una scienza giuridica[3].

 

3. – Quanto al diritto romano, proveniente dall’antichità ed entrato nella storia europea, lo studio è stato condotto in una prima fase da medievalisti e in tempi relativamente recenti da modernisti. L’interesse dominante è andato su una storia cosiddetta esterna, delle fonti, dei giuristi, delle dottrine. Salvo che per i lineamenti degli istituti fondamentali del diritto civile, il diritto romano come corpo di norme non ha avuto osservatori che ne cogliessero i mutamenti, richiedendo questa attitudine la competenza propria dei romanisti. Sicché l’immensa biblioteca lasciata dagli scrittori del diritto comune non è stata esplorata dall’interno della esperienza giuridica delle società europee ma dall’approccio esterno delle questioni dottrinali.

 

4. – La critica dei riformatori illuministi, che deploravano di essere circondati da libri, ma senza leggi, perché il controversismo dei dottori aveva eliminato la certezza del diritto, fu la prima causa del passaggio dal diritto comune alle codificazioni[4]. La seconda, non meno potente, fu la formazione degli Stati nazionali nel clima della civiltà liberale. In questi si voleva realizzato lo Stato di diritto nel modello di Montesquieu, con i tre poteri indipendenti, legislativo, esecutivo e giudiziario. Il sovrano assoluto di ancien régime doveva cedere dinanzi al nuovo luogo della sovranità, cioè alla legge. E legge non poteva essere la massa caotica del diritto romano comune. Il Codice Frederic del 1750 restò un esperimento della nuova istanza. Il Code Napoléon del 1804, dopo una lunga gestazione, fu il primo corpo organico di norme che, cancellando la stratificazione storificata del diritto comune, richiamava a sue fonti la natura e la ragione. Mentre i codici francesi entravano in vigore, oltre che in Francia, nei paesi d’Europa egemonizzati dai francesi, altri Stati si davano propri codici. La eccezione al generale impianto della codificazione fu rappresentata dalla Germania. Qui Federico Carlo di Savigny difese il diritto romano dalla tendenza alla codificazione propugnata dal Thibaut. Ma era il diritto romano elaborato nel System des heutigen römischen Rechts, il prodotto di una Rechtswissenschaft, di una scienza giuridica moderna che usava materiali della compilazione di Giustiniano.

Il Pandektenrecht tenne il campo in Germania fino a che il 1° gennaio del 1900 non entrò in vigore il Codice Civile dell’Impero tedesco, il BGB.

 

5. – Da allora il diritto romano è sparito dalla scena legislativa e giudiziaria in Europa, guadagnandosi uno spazio soltanto accademico. Gli studiosi di diritto comparato classificano romano-germanico il sistema di civil law continentale, e anglosassone o anglo-normanno quello di common law esistente nelle isole britanniche e in Nord America. Ma se si vuole inseguire lo spirito del diritto romano, esso è più rintracciabile nel common law che nel civil law. Quanto al corpus normativo giustinianeo non si può non constatare che esso appare essersi dissolto nelle costruzioni dei codici. Il termine “tradizione romanistica” sul confine dell’età dei codici si scioglie in due frange: una è quella della formazione culturale dei giuristi nella quale la conoscenza del diritto romano, nei due composti, del diritto comune e della pandettistica, ha certo un grande spazio; l’altra è l’utilizzazione di materiali normativi che rivelano il loro conio nelle fonti romane.

 

6. – Va, ai nostri fini, ribadito il carattere nazionale dei codici, in consapevole voluto contrasto con l’applicazione transnazionale del ius commune. Lo Stato nazione vuole segnare una cesura rispetto ad una fase storica, che aveva esaltato una comune identità giuridica dei popoli europei, in cui sovrani, tribunali e giuristi ricevevano e applicavano il diritto romano a sostituzione o integrazione dei diritti locali, considerandolo manifestazione di una civiltà superiore e universale, rispetto a quelle autoctone.

A mano a mano che i sovrani furono riconosciuti come fonti e interpreti del diritto, la rappresentazione culturale, nelle due forme della storicità e della razionalità, andò arretrando dinanzi ad una concezione politica e statuale del diritto. Nella raggiunta fusione di statualità e nazionalità la esclusione dell’orizzonte europeo divenne il dogma del diritto codificato. Non a caso la Juristenzeitung salutò l’entrata in vigore del BGB con il motto «Ein Staat, ein Volk, ein Recht» (uno Stato, un popolo, un diritto).

Se si vuole misurare la portata di questa rivoluzione concettuale, oltre che ordinamentale, si ricordi lo scandalizzato stupore di un professore dell’Imperialregia Facoltà giuridico-politica di Padova, nel precedente secolo XIX, dinanzi alla ipotesi che potessero darsi tanti diritti quanti sono gli Stati.

 

7. – Nel XVII secolo il cardinale Giambattista De Luca guardava da giurista l’Europa chiamandola il nostro mondo, orbis civilis nostrae Europae communicationis.

Ancora nel successivo XVIII secolo Edmund Burke poteva affermare che in qualunque parte d’Europa si viaggiasse non ci si sentiva mai del tutto fuori della propria patria. Nel XIX secolo la diffusione della codificazione napoleonica insieme con la lingua e la cultura dei francesi dava un ultimo colore omogeneo all’Europa continentale[5].

Nel XX secolo, il binomio «razza e diritto», come ricorda Paul Koschaker, soprattutto nell’uso politico che ne fece il nazionalsocialismo, frantumò quel che restava di un comune passato europeo. Germanesimo e romanesimo diventavano gli antagonisti ideologici del diritto nuovo rispetto a quello della vecchia Europa. Con gli esiti paradossali che Koschaker descrive: da un lato una «inaudita fioritura» dello studio accademico del diritto romano, dall’altro la germanizzazione universale del diritto privato anche nell’area anglo-americana e in quella francese. Quanto all’Italia, il codice fascista del 1942 «che voleva rappresentare la romanità, è in qualche punto più germanico del diritto privato dei tedeschi, alfieri del germanesimo»[6].

 

8. – L’Europa comincia a riapparire negli ultimi anni della transizione tra ventesimo e ventunesimo secolo su due quadranti: quello accademico dello studio dei fondamenti del diritto europeo e quello di un diritto prodotto da organi dell’Unione Europea.

Peter Stein e John Shand[7], uno storico ed un pratico, muovendo dall’esperienza del common law e affacciandosi da essa sulla cosiddetta «civiltà occidentale» danno conto di «valori» come legge e ordine, giustizia, legge giusta e decisione giusta, individualismo e responsabilità, libertà personale, il valore della vita, il diritto alla riservatezza, la proprietà, il contratto, concorrenza e conflitti d’interesse economico. Per «fondamenti» Stein intende istituti consolidati, processuali e sostanziali, che attraversano diritto romano e diritto moderno, common law e civil law, società senza Stato e società assorbite nello Stato. Da questo ultimo punto di vista, interessante è notare la non equivalenza di Rechtsstaat e rule of law, espressioni comunemente intese come Stato di diritto. La prima vale ad indicare quella fase moderna dello Stato costituzionale che si sottomette al diritto, la seconda è l’emblema di una società senza Stato che crea il suo diritto limitando il potere corrispondente dello Stato di produrre diritto.

Che cosa significhino queste due opere ai fini della fondazione di una educazione accademica al diritto europeo è difficile dire. La tradizione inglese della jurisprudence, che abbraccia filosofia, sociologia, etnologia, comparazione e storia giuridica può servire ad una introduzione enciclopedica agli studi di diritto, ma certo non a presentare esperienze storiografiche o dogmatiche utili ad intendere e guidare il compito attuale dei giuristi in Europa.

Del resto l’incontro di studio tenutosi nell’Università di Ferrara il 27 febbraio dello scorso anno 2004 su «Fondamenti del diritto europeo», insegnamento introdotto in Italia nelle Scuole di specializzazione per le professioni legali nel 1999 e collocato nell’area disciplinare del Diritto romano e dei diritti dell’Antichità, ha dimostrato, qualora ce ne fosse stato bisogno, l’eterogeneità e l’incertezza delle opinioni dei romanisti intervenuti, sui metodi, gli obiettivi, i temi di una tale materia di studio[8].

La attribuzione sua al settore romanistico e antichistico postula quel salto acrobatico cui si obbligavano i romanisti per trasvolare dal VI secolo di Giustiniano al XX secolo dei codici di pretesa ispirazione romanistica[9].

 

9. – Il carattere ideologico di una siffatta impostazione è evidente. A meno che non si voglia cadere nella ingenua cavalcata di millenni dei programmi universitari francesi, che tendono un unico filo tra il Codice di Hammurabi e il Code Napoléon, l’idea che il diritto europeo abbia radici che possano essere esplorate da romanisti e antichisti prescinde del tutto dall’accertamento di che cosa si intenda oggi per diritto europeo.

Se si vuole superare la nozione puramente geografica dell’Europa è utile interrogare la sequenza Impero Romano, Sacro Romano Impero, Respublica Christiana, Ius Commune, République des Lettrés. Politica, religione, diritto e cultura intellettuale sono stati con dominanze successive forze di unificazione dell’Europa. Con i nazionalismi del XIX e XX secolo la identità europea si è sgretolata. L’Europa che nasce dopo il secondo conflitto mondiale, per impedire guerre tra Stati europei, non è in continuità con nessuna delle fasi di tendenziale unità europea susseguitesi nella storia del continente. Dunque è improprio usare chiavi interpretative di ripristino o di evoluzione di valori provenienti dal passato. La costruzione dell’Europa odierna è dettata dalla esigenza di comporre interessi economici perché non nascano da squilibrate risorse cause di conflitti interstatali. L’ordinamento comunitario è geneticamente una lex mercatoria prodotta e monitorata da organi che ripetono la loro investitura da accordi intergovernativi. Dunque il diritto che possiamo chiamare europeo è per la logica e le categorie concettuali impiegate un diritto internazionale e non ancora costituzionale in senso pieno, malgrado il trattato costituente del giugno 2004. E’ un diritto il più estraneo possibile alla tradizione romanistica così come ai sistemi delle codificazioni nazionali. Non a caso il diritto comunitario è stata materia di competenza degli internazionalisti.

L’uscita dalla logica internazionalistica si intravede ora con il trattato costituente che avvia un processo di unificazione costituzionale di un soggetto-Europa, tuttavia anomalo rispetto al modello dello Stato-nazione. Quanto al diritto europeo che nascerà, dopo la Costituzione del 2004, finalmente da leggi-quadro e leggi ordinarie del potere colegislativo del Parlamento e del Consiglio, e non consterà più soltanto, come è stato finora, di regolamenti e direttive, esso, entrando nei diritti nazionali, presumibilmente e auspicabilmente senza meccanismi di recezione, modificherà i sistemi delle fonti entro gli ordinamenti degli Stati membri. Inoltre, a seconda dei principî e delle norme e delle materie regolate, si porrà la questione dell’armonizzazione o della uniformazione dei diritti interni. Quello sarà il momento in cui reagiranno le particolarità delle tradizioni degli ordinamenti nazionali. Cessioni di sovranità dei singoli Stati verso l’Unione appartengono alla strategia di calcolo degli interessi politici, ma unificare o armonizzare diritti di famiglia, di successione, di proprietà, di obbligazioni, sistemi processuali e quant’altro riguardi la vita di una società prodotta dalla storia e non da un atto di volontà, richiederà una lunga e travagliata elaborazione. Preparare giuristi per questo avvenire significa educarli al compito di fondatori di un nuovo diritto che sarà europeo se corrisponderà ad una società europea e ad una soggettività costituzionale europea.

 

10. – Se nella formazione accademica di questi giuristi entrerà il diritto romano, occorrerà tenere ben distinto il diritto dei romani dalla tradizione romanistica, così come gioverà comparare civil law e common law per il diverso gioco che hanno avuto nell’uno e nell’altro società e Stato. Grammatica e vocabolario potranno echeggiare il lascito romano ma non varranno a fare del futuro diritto europeo una ennesima metempsicosi romanistica. E le ragioni sono almeno le seguenti.

Il diritto romano antico nasce in una società di padri che hanno in loro potere mogli, figli, schiavi, animali, terra. Malgrado l’analisi dei giuristi del principato sugli status, che conduce a distinguere nella condizione delle persone libertà e schiavitù, cittadinanza e posizione familiare, malgrado l’influenza dello stoicismo e poi del cristianesimo nella ricerca della individualità umana e che Ermogeniano, in età dioclezianea, scriva omne ius hominum causa constitutum (D. 1.5.2), per il diritto romano il soggetto giuridico resta il pater dominus. La tradizione romanistica accentua l’attributo della proprietà, trasmettendola alle codificazioni. La proprietà droit sacré nel Code Napoléon sta a indicare il nesso che la stessa civiltà liberale convalida tra libertà e proprietà. Tradizione romanistica e dottrine giusnaturalistiche confluiscono nel costruire l’immagine dell’uomo che trasferendosi dallo stato di natura allo stato di società porta con sé libertà della persona e proprietà di beni, chiedendone garanzia al potere pubblico. Oggi, dopo la Dichiarazione universale del 1948[10] e l’art. 1 c. 1 della Grundgesetz della Germania Federale del 1949, è la dignità dell’uomo l’essenziale identità dell’essere della persona. Come tale intangibile. La dignità dell’uomo non si manifesta in posizioni sociali od economiche, consistendo nella dotazione di ragione e coscienza di cui è fornito ogni vivente della specie umana.

 

11. – La famiglia romana è stata interpretata come organismo o politico o economico, un piccolo Stato precittadino o un’azienda. E’ una comunità di sudditi sotto il potere assoluto del padre. La struttura potestativa della famiglia romana ha avuto una lunga sopravvivenza in Europa, ma oggi è del tutto scomparsa. La famiglia del nostro tempo è una comunità paritaria, cui la costituzione italiana riconosce diritti «come società naturale fondata sul matrimonio» (art. 29 c. 1)[11].

Se un problema grava sulla famiglia odierna è quello che il suo involucro giuridico conservi e garantisca la società naturale e non rivesta società artificiali, non fondate sul matrimonio e non preordinate alla procreazione e umanizzazione delle generazioni[12].

Il carattere di comunità di persone legate dal coniugio, dalla genitorialità, filialità, fraternità e più latamente da parentela e affinità, ha esaltato nel mondo moderno i vincoli affettivi al punto che alla famiglia del sangue si affianca la famiglia degli affetti, come nell’adozione legittimante.

Ma soprattutto le funzioni economiche della famiglia connesse alla produzione preindustriale, di azienda agraria, artigiana, mercantile, o alla trasmissione di patrimonio avito o acquisito, sono marginali rispetto ai valori personali delle relazioni endofamiliari. Queste peraltro non possono essere lasciate alle determinazioni spontanee e arbitrarie dei singoli membri della famiglia. Il principio ancora ribadito da A.C. Jemolo che la famiglia è un’isola appena lambita dal mare del diritto, se mai ha rappresentato un modello reale, e non un’aspirazione ideale, non corrisponde affatto alla condizione attuale caratterizzata da norme e decisioni giudiziarie che entrano nella vita quotidiana della comunità familiare, adeguandola alle persuasioni dominanti nella società, tendenti a tutelare gli spazi di libertà delle singole persone piuttosto che il gruppo, gli interessi dei più deboli, dei minori, della donna se senza mezzi adeguati, dettando regole che correggono comportamenti del gruppo.

Il diritto romano antico riconduceva proprietà e obbligazioni alla struttura della famiglia perché l’universo economico, come il termine greco esprime eloquentemente, congiungendo oikoV e nomoV, è l’ordinamento domestico. Il mondo moderno, sempre più rapidamente evolvendosi in opposta direzione, dopo la rivoluzione industriale, ha una economia pubblica i cui protagonisti sono individui, imprese, Stati in uno scenario globalizzato i cui mercati valutano flussi finanziari più che lavoro e merci. Nascono forme nuove di appartenenza e di relazioni contrattuali costruite su prassi convenienti da professionisti consulenti di imprese, e ricevute da fori elettivi internazionali, come ordinamento mercatorio universale.

E’ difficile immaginare che l’Europa si sottragga a queste tensioni e tendenze per proporre agli Stati membri la composizione di codici europei comuni. L’idea stessa di codice appartiene al passato di un legislatore capace, allo stesso tempo imperio rationis e ratione imperii, di ordinare una società soggetta alla propria sovranità e racchiusa entro le frontiere politiche dello Stato-nazione. L’ordinamento codificato era un sistema di norme, ispirato a coerenza logica e a certezza del diritto, da applicare ai cittadini-sudditi di uno Stato sovrano. In qualche modo era un fotogramma del rapporto tra una società e il suo Stato. La evoluzione dei rapporti sociali, soprattutto per i movimenti di emancipazione delle donne e dei giovani, la evoluzione dell’organizzazione del lavoro e della produzione, la diffusione e poi le mutazioni del welfare-State, la internazionalizzazione e poi la finanziarizzazione dell’economia hanno vulnerato le grandi geometrie dei codici. Crisi del codice significa non solo la integrazione-sostituzione sua con sottosistemi di leggi speciali, ma crescita di un diritto prodotto dalla interpretazione dei giudici e di una dottrina, che all’alba delle codificazioni ambiva di fare l’esegesi del codice in Francia, o la esplicitazione dogmatica del codice in Germania e in Italia, e che nel tramonto delle codificazioni tenta di guidare un diritto sempre più tendente a complicarsi nelle anomalie del case-law, che non a semplificarsi nelle fattispecie ipotetiche e generali della legge. Verso quali forme si muove il diritto contemporaneo? Da un canto, gli organi chiamati alla produzione normativa, dai governi e parlamenti alle autorità amministrative, danno luogo a quantità sterminate di precetti, sanzioni, regole procedurali. Dall’altro, queste norme anziché essere obbedite vengono impugnate dinanzi alle giurisdizioni, costituzionale, di nomofilachia, amministrativa. Sicché nasce un diritto giurisprudenziale ancora più incontinente di quello legiferato. E d’altra parte che il diritto interpretato abbia maggior valore di quello dettato dal legislatore è reso manifesto dalla categoria del cosiddetto «diritto vivente», che la Corte Costituzionale italiana identifica nelle pronunce delle supreme giurisdizioni ordinaria e amministrativa. E dato che può verificarsi e si è verificato dissenso tra l’una e l’altra, la Corte Costituzionale ha dovuto far cadere la presunzione di conoscenza della legge penale da parte del cittadino espressa nel brocardo ignorantia legis non excusat.

Le forme storiche del civil-law legiferato e del common law giudiziale si vanno avvicinando: la prima, come si è visto, assumendo aspetti di case-law giurisprudenziale, la seconda affiancando al judge made law un crescente e invasivo statute-law. Il futuro riproporrà l’esigenza ciclica di un riordino, se non di una diversa fondazione razionale del diritto.

Il romanista può allineare le esperienze della codificazione decemvirale, dei progetti codificatori di Pompeo e di Cesare, della codificazione teodosiana e giustinianea[13].

Gli storici dei diritti nazionali ricorderanno l’età dei codici in ognuno degli Stati europei. Ma il futuro propone un contesto non confrontabile con le esperienze del passato. Se andrà proseguendo il processo di unificazione costituzionale dell’Europa, si ragionerà sempre meno in termini di diritti nazionali e più in termini di diritto europeo.

 

12. – L’Europa ha incorporato nella parte II del Trattato costituente del 2004 la Carta dei diritti fondamentali proclamata a Nizza nel 2000. Sarà inevitabile che per una esigenza di eguale tutela dei diritti per tutti i cittadini europei si imporrà un coordinamento tra le giurisdizioni costituzionali nazionali e le due corti europee di Strasburgo e del Lussemburgo sia per la legittimazione all’accesso sia per le regole processuali.

E parimenti i giudici comuni chiamati a conoscere un contenzioso in materia di diritti fondamentali non potranno non risalire dalle carte nazionali alla carta costituzionale europea.

Sui diritti fondamentali sarà edificato il nuovo diritto europeo[14]. Ognuno dei cinque titoli della carta dei diritti, dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia, offre nell’articolazione dei suoi contenuti quadri di settore dell’ordinamento europeo che tagliano trasversalmente le partizioni sistematiche ereditate dal diritto romano e dai codici nazionali.

Le stesse distinzioni classiche di diritto privato e diritto pubblico si confondono in una visione costituzionalistica che assume come sistema l’ordine gerarchico dei diritti fondamentali. La rappresentazione olistica del diritto di origine romana, l’omne ius gaiano, che si conservava stabile per una indefinita durata temporale, organizzando al suo interno personae, res, actiones, vale a dire persona e famiglia, proprietà e diritti reali, obbligazioni e contratti, successioni mortis causa e donazioni, processo privato, secondo uno schema che si sarebbe tramandato nel diritto giustinianeo, in quello canonico, nel ius commune, nella pandettistica e nei codici moderni, non ha più il suo perimetro. La realtà sociale ed economica muta e il diritto muta con essa in un intreccio di interessi pubblici e privati quale non si è mai verificato nei due millenni trascorsi.

La civiltà liberale si illudeva ancora all’alba del Code Napoléon che il diritto si dividesse in due sfere: al sovrano l’impero, al cittadino la proprietà. I codici stanno tramontando anche perché tra quei territori del diritto dello Stato e del diritto dei privati la storia ha rimosso i segnali di confine.

Il diritto europeo non è il diritto dei privati unico per il continente europeo, quale è stato il ius commune. E’ il diritto prodotto dagli organi dell’Unione europea e che passa negli ordinamenti nazionali. Esso è per il contenuto normativo una lex mercatoria che oggi sale dal mondo dell’economia a quello dei diritti fondamentali. Dunque ha tal forza da pervadere i più tradizionali sistemi degli ordinamenti degli Stati membri, che stanno già per processi endogeni e sulla base delle proprie carte costituzionali controllando e adeguando leggi e codici non più sul criterio della logica formale di sistema, cioè sulla dogmatica, ma sui parametri costituzionali.

La convergenza delle linee evolutive, di regole e di valori, degli ordinamenti nazionali, con il nascente e crescente diritto dell’Unione sarà l’appuntamento storico della nuova Europa[15].

 

 



 

* Lezioni Magistrali (Collana diretta da Francesco De Sanctis e Franco Fichera), 5 – Università degli Studi Suor Orsola Benicasa – Facoltà di Giurisprudenza.

 

[1] V. P. Vinogradoff, Diritto romano nell’europa medievale, Milano, 1950 (trad. ediz. 1929).

 

[2] V. S. Di Marzo, Le basi romanistiche del Codice civile, Torino, 1950; F.P. Casavola, Francesco Calasso: diritto romano e diritto comune, in Index 28 (2000), 79-88 (= Sententia legum tra mondo antico e moderno, II, Napoli, 2004, 487-496).

 

[3] V. Casavola, Storiografia o dogmatica?, in Labeo 3 (1956), 336-340 [=Sententia legum cit., II, 51-55], e Diritto romano, scienza giuridica e formazione del giurista, in Panorami. Riflessioni, discussioni e proposte sul diritto e l’amministrazione, in Edis-Calabria 1 (1989), 3-12 (= Sententia legum cit., II, 221-230]. E’ utile richiamare qui, dei miei studi, La ricerca delle interpolazioni, in Archivio giuridico 144 (1953), 145-149 (= Sententia Legum cit., II, 71-91); Jhering su Savigny, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno 9 (1980), 507-514 (= Sententia legum cit., II, 153-160); Breve appunto ragionato su profili romanistici italiani, in Sodalitas. Scritti in onore di Antonio Guarino, VIII, Napoli, 1984, 4133-4148 (= Sententia legum cit., II, 181-196); I diritti antichi, in La cultura storica italiana tra Otto e Novecento, Napoli, 1990, 51-73 (= Sententia legum cit., II, 249-271); Il diritto romano nella scuola liceale, in Il latino nella scuola secondaria, Brescia 1990, 275-286; L’insegnamento romanistico nel Novecento, in Index 22 (1994), 585-589 (= Sententia legum cit., II, 361-365); Storia del diritto romano come insegnamento e come genere letterario, in Index 23 (1995), 341-345 (= Sententia legum cit., II, 397-401); La romanistica a Napoli dall’Unità alla Guerra, in Index 29 (2001), 1-18 (= Sententia legum cit., II, 543-560).

 

[4] V. Casavola, L’educazione del giurista tra memoria e ragione, in Index 19 (1991), 319-381 (= Sententia legum cit., II, 299-311).

 

[5] V. Casavola, La parabola della comparazione giuridica nell’Italia del Risorgimento, prefazione a M.T. Napoli, La cultura giuridica europea in Italia, Napoli, 1987, V-XIII (= Sententia legum cit., II, 207-217).

 

[6] P. Koschaker, L’Europa e il diritto romano, Firenze, 1962, 244.

 

[7] P. Stein, J. Shand, I valori giuridici della civiltà occidentale, Milano, 1981; Stein, I fondamenti del diritto europeo, Milano, 1995.

 

[8] In proposito, v. soprattutto l’ampia rassegna bibliografica contenuta nella nota conclusiva di questo scritto.

 

[9] Casavola, Diritto romano e diritto europeo, in Labeo 40 (1994), 161-169 (= Sententia legum cit., II, 367-377).

 

[10] Casavola, La dichiarazione universale: piccoli diritti, grandi parole, in Iter, Scuola cultura società 2,4 (1999), 19-27 (= Sententia legum cit., III, 493-497).

 

[11] Casavola, La famiglia dalla identificazione nel ‘pater familias’ alla società naturale, in Atti del VII Colloquio giuridico, Pontificia Università Lateranense, Roma, 1987, 27-37 (= Sententia legum cit., III, 43 ss).

 

[12] Casavola, Tecniche di riproduzione artificiale. Proposte legislative e valori costituzionali, in Materiali per una storia della cultura giuridica fondati da Giovanni Tarello, XXVI, 1, Bologna, 1996, 167-179 (= Sententia legum cit., III, 309-321).

 

[13] Alcuni richiami nei miei studi: Cicerone e Giulio Cesare tra democrazia e diritto, in Questioni di giurisprudenza tardo-repubblicana, Milano, 1985, 281-292 (= Sententia legum cit., I, 201-212); Verso la codificazione traverso la Compilazione, in La codificazione del diritto dall’antico al moderno, Napoli, 1998, 303-311 (= Sententia legum cit., I, 237-245).

 

[14] Sui diritti v. tra i miei studi: Fondamento giuridico dei diritti umani, in Orientamenti sociali, 1989, 28-88 (= Sententia legum cit., II, 79-89); Eredità rivoluzionaria e fede cristiana: l’impegno per i diritti dell’uomo, in Giornata internazionale dei diritti umani, Padova 10 dic. 1992, 3-17 (= Sententia legum cit., III, 143-157); Garanzie costituzionali e diritti fondamentali: la lezione del passato, in Garanzie costituzionali e diritti fondamentali, Roma, Ist. Enc. Ital., 1997, 3-6 (= Sententia legum cit., III, 259-262); I diritti umani, in Univ. di Padova, Centro di studi e di formazione sui diritti dell’uomo e dei popoli, 12, Padova, 1997, 1-48 (= Sententia legum cit., III, 347-382).

 

[15] Accolgo un resoconto argomentato di alcune linee della vasta letteratura intorno al tema trattato nel testo, curato dal dott. Lorenzo Franchini.

Assai ampia è stata, nel corso degli ultimi anni, la produzione di scritti relativi al tema del diritto romano ed europeo. In generale, muove la dottrina la preoccupazione che la formazione di un futuro diritto uniforme possa essere affidata alla sola burocrazia di Bruxelles – attenta a profili di ordine economico, ma inidonea ad avvalersi di categorie e linguaggio giuridico appropriati – o, nella migliore delle ipotesi, alla giurisdizione delle Corti europee, senza l’apporto di una scienza giuridica colta, che sia degna della nostra grande tradizione.

In particolare, l’idea che un nuovo ius commune possa essere edificato, come Professorenrecht, sulla base del diritto romano, ponendo fine alle tendenze neoumanistiche proprie del secolo appena trascorso, ed attingendo alle lezioni esemplari sia della tradizione romanistica medievale e moderna sia della Pandettistica, ha ispirato, fin dall’inizio degli anni Novanta, l’indagine di numerosi studiosi, che, dapprima in Germania (dove si è addirittura parlato di indirizzo Neopandettistico, da collocarsi all’apice di una linea ininterrotta, che da Savigny conduce al Koschaker di L’Europa e il diritto romano cit.), ben presto anche altrove, si sono interrogati circa il metodo più opportuno da adottare per il perseguimento di un simile obiettivo, destinato, secondo le intenzioni, a ricomprendere financo l’esperienza del common law inglese.

La soluzione per lo più accolta è quella che potremmo definire “storico-comparatistica”, o della “doppia-comparazione”, secondo la quale il nuovo giurista europeo sarebbe anzitutto chiamato a procedere all’analisi delle similitudini e delle differenze esistenti fra i vari ordinamenti nazionali, o fra le discipline da essi dettate per singoli istituti, specie del diritto privato (c.d. macro e micro comparazione sincronica), per poi rinvenirne, nell’esperienza giuridica precodificatoria, un nucleo comune (c.d. comparazione diacronica), utile ad ispirare opzioni dalla valenza armonizzante. A questo indirizzo sono, più o meno direttamente, riconducibili per es. R. Zimmermann, Usus Hodiernus Pandectarum, in Europäische Rechts- und Verfassungsgeschichte, Ergebnisse und Perspektiven der Forschung, Berlin, 1991, 61 ss., Das römisch-kanonische ius commune als Grundlage europäischer Rechtseinheit, in Juristenzeitung 47 (1992), 8 ss., Diritto romano e unità giuridica europea, in Studi di storia del diritto, I, Milano, 1996, 1 ss., e Roman Law, Contemporary Law, European Law, Oxford, 2001 (positivamente recensito da C. Castronovo, in Europa e diritto privato (2001), 737 ss.); C.A. Cannata, “Usus hodiernus pandectarum”, common law, diritto romano olandese e diritto comune europeo, in SDHI 57 (1991), 383 ss., Materiali per un corso di fondamenti del diritto europeo, I, Torino, 1995, Il diritto romano e gli attuali problemi d’unificazione del diritto europeo, in Studi G. Impallomeni, Milano, 1999, 41 ss., e Cuiusque rei potissima pars est, in Diritto romano attuale 6 (2001), 157 ss. (quest’ultimo, in replica alle critiche di Mantello, sotto citato); R. Schulze, Vom ius commune bis zum Gemeinschaftsrecht – das Forschungsfeld der europäischen Rechtsgeschichte, in Europäische Rechts- und Verfassungsgeschichte cit., 3 ss., e Gemeineuropäisches Privatrecht und Rechtsgeschichte, in Gemeinsames Privatrecht in der Europäischen Gemeinschaft, Baden-Baden, 1993, 71 ss.; G. Pugliese, Aspetti del “diritto comune europeo”, in Studi G. Gorla, Milano, 1994, 1092 ss.; R. Knütel, Römisches Recht und Europa, in Zeitschrift für europäisches Privatrecht 2 (1994), 244 ss., e Diritto romano e “ius commune” davanti a Corti dell’Unione Europea, in Ricerche F. Gallo, III, Napoli, 1997, 538 ss., tra i più radicali nel sostenere, già oggi, la perdurante attività del diritto romano comune; H. Wagner, Réminiscences du droit romain dans le droit de la Communauté Européenne, in RIDA Suppl. 41 (1994), 230 ss.; P. Cerami, Ricerche romanistiche e prospettive storico-comparatistiche, in Annali Palermo 43 (1995), 201 ss.; S. Schipani, La codificazione del diritto romano comune, Torino, 1996, XIII; H. Kötz, Europäisches Vertragsrecht, I, Tübingen, 1996, e The Common Core of European Private Law, in European Rev. Priv. Law 5 (1997), 549 ss.; W. Simshäuser, Zur Bedeutung des römischen Rechts in einer europäischen Rechtsordnung, in Bürgerliches Gesetzbuch 1896-1996, Heidelberg, 1997, 119 ss.; A. Gambaro, Iura et leges nel processo di edificazione del diritto europeo, in Europa e diritto privato (1998), 993 ss.; L. Labruna, “Ius europaeum commune”, in Quaestiones Iuris. Festschrift J.W. Wolf, Berlin, 2000, 157 ss.; L. Solidoro Maruotti, La tradizione romanistica nel diritto europeo, I, Torino, 2001, e II, 2003, pur con la sottolineatura che il trascorrere di due secoli ha introdotto, rispetto all’età delle codificazioni, numerosi elementi di novità, talché ogni equiparazione tra le esigenze avvertite allora, in epoca di statalizzazione delle culture, e quelle avvertite oggi, in epoca di globalizzazione, risulterebbe inevitabilmente impropria; P. Cerami, G. Di Chiara, M. Miceli, Profili processualistici dell’esperienza giuridica europea, Torino, 2003, con ampia indagine diacronica sullo sviluppo, dall’antica Roma ad oggi, delle garanzie processuali sancite nella Carta europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; R.C. van Caenegem, I sistemi giuridici europei, Bologna, 2003 (traduz. ediz. 2002), 147 ss., che esprime peraltro scetticismo sulla possibilità di elaborare un vero e proprio codice europeo; L. Vacca, Cultura giuridica e armonizzazione del diritto europeo, in Europa e diritto privato  (2004), 53 ss.

Per una rassegna delle opinioni avverse alla descritta metodologia storico-comparativistica, o comunque ad essa non riconducibili, v. anzitutto i contributi pubblicati nella rubrica Arena del Rechtshistorisches Journal 12 (1993), 259 ss.; fra questi si segnala in particolare A. Padoa Schioppa, Storia e diritto europeo, 295 ss. (ma v. anche, dello stesso a., Verso una storia del diritto europeo, in Studi di storia del diritto, III, Milano, 2001, 1 ss., Italia ed Europa nella storia del diritto, Bologna, 2003, spec.te 13, 567 ss., da cui emerge che per P.S. il metodo storico-comparatistico è sì strumento di libertà e conoscenza, oggi sempre più utile, ma non chiave di soluzione di una problematica, quale è quella della uniformità del diritto europeo, che non si pone soltanto in rapporto all’ambito privatistico); v. poi, fra gli altri autori, per es. P. Caroni, Der Schiffbruch der Geschichtlichkeit. Anmerkungen zum Neo-Pandektismus, in Zeitschrift für neuere Rechtsgeschichte 16 (1994), 85 ss.;  T. Giaro, Römisches Recht, Romanistik und Rechtsraum Europa, in Ius commune  (1995), “Lasciamo queste devianze puerili ai tedeschi!”, in Mélanges H. Kupiszewski, Varsovie, 1996, 127 ss., e “Comparemus”! Romanistica come fattore d’unificazione dei diritti europei, in Rivista critica del diritto privato 19 (2001), 539 ss., piuttosto scettico sulla utilità dogmatica della comparazione, oltre che sulla compatibilità di civil e common law, nella convinzione che ben poco ormai leghi l’esperienza passata a quella odierna, se si eccettuano il diritto delle obbligazioni e le massime sancite in qualche brocardo latino; M. Bretone, La “coscienza ironica” della romanistica, in Labeo 43 (1997), 197 ss., e La persona e la cosa, in Labeo 44 (1998), 459 ss.; A. Mantello, Di certe smanie “romanistiche” attuali, in Diritto romano attuale 4 (2000), 37 ss., e Ancora sulle smanie “romanistiche”, in Labeo 49 (2002), 7 ss., del quale risalta lo spirito polemico, specie contro Cannata, il cui metodo, tutto fondato sul principio di “continuità”, appare a M. ideologico ed intrinsecamente antistorico, perché dà per pregiudizialmente risolte questioni di ampia portata, per lo più afferenti alla gnoseologia del sapere passato (la cui selezione, per fini di utilità presente, rischia sempre di risolversi in una operazione arbitraria); L. Capogrossi Colognesi, Riflessione su “i fondamenti del diritto europeo”: una occasione da non sprecare, in Iura 51 (2000), 1 ss., e I fondamenti storici di un diritto comune europeo, in Index 30 (2002), 163 ss., per il quale riaffermare l’esigenza della centralità della scientia iuris, oggi messa in pericolo dalla ipertrofica attività normativa ed amministrativa degli organi europei, non implica di per sé un antistorico recupero del ius commune, bensì di avvalersi, come termine di paragone, del modello romano ed intermedio, apprezzato per il suo carattere di sistema plurale e flessibile, al fine di organizzare un sistema nuovo, in cui alla salvaguardia delle identità particolari si accosti, senza sovrapporsi, l’opportunità rappresentata da un ordinamento comune; A. Mazzacane, “Il leone fuggito dal circo”: pandettistica e diritto comune europeo, in Index 29 (2001), 97 ss., per il quale è innegabile l’esistenza di fratture e discontinuità, rispetto all’epoca del ius commune, e all’interno stesso di questa, cosicché ogni tentativo di riattualizzare il diritto romano, che conservi le vecchie distinzioni fra diritto privato e pubblico, dell’economia e della politica, comporterebbe, nell’età della globalizzazione, gravi rischi di travisamento storiografico, senz’altro evitabili, invece, mediante la costruzione di un “diritto procedimentale”, che tenga conto dell’entità, di tipo non statuale, che si tratta qui di regolare; A. Guarino, Il latino nel villaggio globale, in Rend. Acc. Lincei 9,15 (2004), 339 ss., e Salvate il soldato Ryan, Napoli, 2005, che riconosce sì l’utilità del diritto romano, ma rifiuta persino l’idea di una qualunque commistione di questo in leggi e codici comuni ad uso collettivo; O. Diliberto, Sulla formazione del giurista (a proposito di un saggio recente), in Rivista di diritto civile 51 (2005), 109 ss., che pur auspicando l’utilizzo di quanto vi è di ancora vitale nella tradizione romanistica (ossia le “istituzioni”: principi, regole, categorie generali) fugacemente allude e all’insufficienza del metodo della comparazione e alla non assimilabilità dell’esperienza inglese alla nostra; L. Garofalo, Scienza giuridica, Europa, Stati: una dialettica incessante, in Europa e diritto privato (2004), 907 ss. (ed ora ripubblicato in Fondamenti e svolgimenti della scienza giuridica, Padova, 2005, insieme ad altri saggi, che analogamente denotano il rigore di quest’autore, sia nel condurre l’indagine sulla “storia che il diritto vigente ha in sé”, sia nel selezionare i temi specifici, che per lo più afferiscono alla vendita ed alle azioni edilizie, all’eccezione di dolo generale, all’accessione, al c.d. sinallagma inverso, oltre che alla materia penalistica).

Ad integrazione della bibliografia sopra citata rinviamo poi alle rassegne contenute, per es., in Europäische Rechts- und Verfassungsgeschichte, Ergebnisse und Perspektiven der Forschung cit.; Padoa Schioppa, Storia cit.; Il diritto privato europeo: problemi e prospettive, Milano, 1993; Vers un droit privé européen commun?, Basel, 1994; Gambaro, op. cit., 993 ss.; G. CRIFÒ, Pandettisti e storicisti nel diritto romano oggi, in Diritto romano attuale 1 (1999), 11 ss.; Giaro, Comparemus cit., 539 ss.; Mazzacane, op. cit., 97 ss.

Dedicano particolare attenzione alla problematica dei diritti fondamentali, sanciti nelle grandi Carte europee ed internazionali, ed alla loro enucleazione storica (pur soltanto come termine ante quem di confronto, non certo come strumento ermeneutico per la riorganizzazione di un sistema giuridico europeo), ad es., J. Gaudemet, Des “droits de l’homme” dans l’Antiquité?, in Etudes H. Ankum, Amsterdam, 1995, 107 ss.; Le monde antique et les droits de l’homme, Bruxelles, 1998; R.A. Bauman, Human Rights in Ancient Rome, London-New York, 2000; Solidoro Maruotti, op. cit., I, 4 ss.; T. Honoré, Ulpian. Pioneer of Human Rights, Oxford, 2002 (recensito da Crifò, in ZSS 122 (2005), 280 ss.); Cerami, Di Chiara, Miceli, op. cit.; Crifò, Per una prospettiva romanistica dei diritti dell’uomo, in Menschenrechte und europäische Identität. Die antike Grundlagen, Stuttgart, 2005, 240 ss.

Si raccomanda molto inoltre, in questa sede, la lettura dell’opera di coloro che, in chiave eminentemente europea, hanno voluto scrivere la storia dell’esperienza giuridica passata: v. per es. A. Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa, I, Le fonti e il pensiero giuridico, Milano, 1982; Cannata, Gambaro, Lineamenti di storia della giurisprudenza europea, II (4a ediz.), Torino, 1989; Padoa Schioppa, Il diritto nella storia d’Europa, Milano, 1995, e Italia ed Europa cit.; A.M. Hespanha, Introduzione alla storia del diritto europeo, Bologna, 1999 (traduz. ediz. 1999); P. Stein, Il diritto romano nella storia europea, Milano, 2001 (traduz. ediz. 1999); Solidoro Maruotti, op. cit.; Cerami, Di Chiara, Miceli, op. cit.; van Caenegem, op. cit.; M. Caravale, Alle origini del sistema giuridico europeo. Ius commune, droit commun, common law nella dottrina giuridica della prima età moderna, Bologna, 2005 (con un’interessante riflessione circa il diverso articolarsi, a seconda dei paesi di riferimento, dei rapporti fra i iura del luogo ed i sistemi riconosciuti come generalmente applicabili; studio, questo, del quale ci sembra peraltro evidente anche l’utilità in prospettiva attualizzante).

Per un utile richiamo delle diverse posizioni assunte dalla dottrina in merito alla nozione stessa di ius commune (posizioni delle quali, come noto, talune sono riconducibili, talaltre non, alla celebre categorizzazione calassiana delle tre età: del diritto comune assoluto, del diritto comune sussidiario, del diritto comune particolare), v. soprattutto la rassegna contenuta in Caravale, op. cit., 4 ss., 12 ss. Di esse si dovrà inevitabilmente tener conto, specie da parte di chi, sulla base di una precostituita nozione di diritto comune, voglia prefiggersi, come obiettivo, nientemeno che la (ri)europeizzazione del diritto.