ds_gen N. 6 – 2007 – Contributi

 

Nuova immagineI diritti dei bambini aborigeni nel Commonwealth of Australia. Un caso di federalismo paternalista

 

Carla Bassu

Università di Sassari

 

 

Sommario: 1. Premessa. – 2. La «questione» degli aborigeni australiani. – 3. Il piano federale per la tutela dei minori aborigeni. – 4. Il Northern Territory Emergency Response. – 5. Il modello federale australiano e il potere di intervento federale. – 6. Poteri di emergenza per la salvaguardia dei diritti e rischi i di strumentalizzazione.

 

 

1. – Premessa

 

Nonostante la collocazione geografica e la evidente, notevole lontananza fisica che separa il Paese dal blocco delle grandi Nazioni costituzionali europee e americane, l’Australia viene pacificamente considerata come parte del gruppo degli ordinamenti maggiormente evoluti e garantisti. La configurazione costituzionale, l’assetto istituzionale e le vicende storiche che legano a doppio filo la storia dell’ordinamento australe alla Madre Patria britannica fanno infatti rientrare a pieno titolo il Commonwealth australiano nella sfera di ingerenza del costituzionalismo occidentale[1].

Tuttavia, pur rispettando i parametri fondamentali che l’art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino sancisce come imprescindibili per la sussistenza di uno Stato costituzionale, nel corso del tempo  l’Australia ha dovuto fronteggiare molte problematiche attinenti alla tutela dei diritti umani.

Più volte, infatti, si è registrato il ricorso alle esigenze di sicurezza nazionale come legittimazione per la diminuzione delle garanzie dei diritti individuali con riguardo, specificamente, alle situazioni dei rifugiati o in occasione dell’introduzione della normativa straordinaria contro il terrorismo internazionale[2].

E’ sul versante della politica estera, caratterizzata da uno spiccato interventismo militare sul piano internazionale, che emergono significative incongruenze con il regime costituzionale formalmente garantista ma effettivamente più rivolto alla tutela dell’ordine che a quella delle libertà individuali. Per avvalorare questa affermazione non è necessario risalire nel tempo ma è sufficiente citare il ruolo attivo svolto dall’Australia nell’ultima campagna militare contro l’Iraq o l’intervento militare in ambito regionale nelle Isole Salomone[3]. Il Governo nazionale ha inoltre operato ripetuti tentativi di ingerenza, proponendo interventi in senso restrittivo sull’attività della Commissione nazionale sui diritti umani e le pari opportunità (HREOC)[4] che, in via teorica, è dotata di ampi poteri ma in realtà si scontra con paletti che ne limitano sostanzialmente la capacità di azione, soprattutto per quanto riguarda la tutela dei diritti umani sul piano internazionale.

Il temuto pericolo per la sicurezza nazionale sta alla base del corposo apparato normativo, adottato in seguito ai fatti dell’11 settembre 2001 per rispondere all’emergenza del terrorismo internazionale. Il governo australiano, spiccatamente filoamericano, ha da subito mostrato pieno impegno e disponibilità ad associarsi alle scelte statunitensi nella «war on terror», affiancandosi alle forze alleate nelle campagne militari condotte per debellare la rete terroristica[5]. Anche per quanto riguarda l’intervento legislativo, si registrano ampi profili di analogia e, talvolta, di piena corrispondenza con la normativa statunitense (ma anche britannica) nella tendenza a limitare la sfera delle libertà costituzionali di fronte a quelle della sicurezza[6] .

Nel quadro delle misure inserite nel pacchetto antiterrorismo, si inserisce l’irrigidimento delle condizioni di detenzione e la deroga ai fondamentali diritti processuali, riconosciuti costituzionalmente, ma sacrificati sull’altare della pubblica sicurezza. Si pensi, per esempio, al caso di cinque minorenni pakistani richiedenti asilo che dal gennaio 2001 sono stati tenuti in detenzione presso in centro di reclusione di Baxter, venendo rilasciati solo nell’agosto 2004, in virtù di un provvedimento emesso dal Tribunale della famiglia australiano[7]. La pronuncia della Family Court si fonda sull’art. 37 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del bambino[8], che vieta agli Stati di privare i bambini della libertà personale a meno che «l’arresto, la detenzione o la reclusione» non rappresentino l’extrema ratio e, in ogni caso, le restrizioni devono durare il minor tempo possibile. Dal momento che la Convenzione di cui sopra è stata ratificata dall’Australia, i giudici hanno giudicato ingiusta la detenzione indefinita dei minori rifugiati, dichiarando illegittimo il Migration Act, 1958 nella parte che invece consente il ricorso a questa misura[9].

Sul fronte puramente interno, poi, il dibattito sull’effettività del regime di tutela costituzionale dei diritti è stato tenuto costantemente vivo dalle numerose vicende relative soprattutto a casi di violenza domestica su donne e bambini e alla detenzione indefinita di minorenni richiedenti asilo. Una ricerca condotta nell’arco di venti anni da alcuni tra i principali istituti universitari australiani segnala che, nel Paese, nella fascia di età tra i diciotto e i ventitre anni, una donna su quattro ha subito un’esperienza di violenza domestica. Tali dati, di per sé estremamente preoccupanti, assumono dimensioni eclatanti quando lo spettro di indagine si restringe alla realtà delle comunità aborigene stanziate soprattutto nei Territori del Nord, in cui i casi evidenti di abusi familiari riguardano percentuali che sfiorano la totalità della popolazione[10].

Oggetto di ampia e accesa discussione sono inoltre le questioni relative alla posizione australiana rispetto ai temi della garanzia dell’eguaglianza processuale e della pena di morte rispetto ai quali si registra sempre una forte influenza delle istanze di pubblica sicurezza, che spesso prendono il sopravvento sulla salvaguardia dei diritti individuali. Fonte di particolari preoccupazioni è l’elevato numero di decessi di detenuti aborigeni durante il periodo di reclusione, tra cui rilevano i numerosi suicidi tra gli indigeni in attesa di processo[11].

Ma gli aspetti in assoluto più problematici, per quanto riguarda la garanzia dei diritti umani in Australia, sono quelli relativi alla cosiddetta «questione aborigena», gestita in maniera talvolta poco ortodossa dalle istituzioni nazionali, come dimostrano le critiche giunte al governo australiano da organizzazioni internazionali e Stati esteri[12]. Gli aborigeni rivendicano una situazione di giustizia sociale che il Commonwealth australiano ha dimostrato di non aver saputo garantire.

Di fronte alle evidenze contenute in un rapporto del Senato, che denunciava la crisi del processo di dialogo e riconciliazione con le comunità aborigene, addebitandola a scelte sbagliate intraprese dal governo federale con riguardo al riconoscimento dei diritti economici, sociali e culturali, il primo ministro John Howard ha riconosciuto pubblicamente il fallimento delle politiche di assistenza sociale destinate agli indigeni. Dal dossier del Senato rileva che l’aspettativa di vita per le donne aborigene fosse inferiore mediamente di venti anni rispetto agli altri australiani e che, d’altra parte, gli aborigeni avessero una probabilità di essere arrestati quindici volte superiore rispetto agli altri australiani[13].

Questa panoramica, per quanto breve e frammentaria, delle politiche australiane in materia di diritti umani[14], così come la valutazione del grado di effettiva attuazione del principio di eguaglianza e di giustizia sociale, si rende necessaria al fine di comprendere a pieno le dinamiche che ispirano la gestione di una situazione di «emergenza umanitaria» come quella denunciata dal governo con riferimento agli aborigeni. In particolare, si ritiene importante la ricostruzione della realtà sociale in cui vivono attualmente gli aborigeni in Australia e la contestualizzazione del rapporto che lega le comunità concentrate nei Territori del Nord con le vicende a dir poco controverse di cui si dirà in seguito.

 

 

2. – La «questione» degli aborigeni australiani

 

Nel giugno 2007, il primo ministro australiano, Howard, ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale e ha disposto la tempestiva attuazione di misure straordinarie volte a intervenire sulle situazioni di abuso sui minori riscontrate nelle comunità aborigene del Northern Territori (NT). Tale drastico provvedimento è stato preso alla luce delle evidenze contenute in un rapporto della Commissione di inchiesta per il Northern Territory (NT Board of Inquiry), eloquentemente intitolato «Little Children are Sacred» nella quale si denuncia, con forza e clamore, la violazione sistematica dei diritti dei bambini aborigeni da parte dei familiari e dei membri della comunità. Dal dossier emerge una situazione consolidata di grave degrado in cui abuso di alcol, droghe e soprusi ai danni di minori costituiscono parte integrante la vita quotidiana nelle riserve del Territorio del Nord, dove vive la  gran parte dei 470 mila aborigeni che ancora abitano la grande isola australe.

E’ bene chiarire fin da subito che la «questione aborigena» rappresenta per definizione il nodo irrisolto nell’agenda politica dei governi dell’Australia contemporanea[15]. Oggetto di una durissima persecuzione che ha portato all’uccisione di migliaia di nativi da parte dei colonizzatori europei e a violente operazioni di sradicamento culturale, gli aborigeni sopravvissuti non si sono veramente mai assimilati alle comunità bianche che gradualmente si sono stanziate sul territorio. Ciò è, almeno in parte, riconducibile a una precisa scelta effettuata dalle istituzione che adottarono la via assistenzialistica, costituendo riserve in cui si concentrarono gli alloggi popolari per gli aborigeni ed erogando sussidi che, per quanto magri, permettevano la sopravvivenza nei casi (diffusissimi) di disoccupazione.

Nel 1959 nasce il Consiglio Federale per la Difesa degli Aborigeni che si consolida nel corso degli anni Sessanta del Novecento, quando si registra la crescita progressiva di un ampio fenomeno di mobilitazione politica, maturato nell’ambito delle comunità aborigene, che cominciarono a rivendicare con forza l’uguaglianza di trattamento rispetto ai connazionali di origine europea, soprattutto con riferimento ai diritti civili e salariali. La questione che più di tutte prese piede, imponendosi nel tempo come uno dei più rilevanti problemi costituzionali dell’Australia moderna è quella relativa ai diritti territoriali che diventarono la bandiera del movimento attivista aborigeno. «Land Rights Now» è lo slogan ripetuto nelle manifestazioni che si fanno sempre più frequenti, attirando attenzione e consensi nell’establishment sindacale e negli apparati religiosi,  riuscendo a scuotere le coscienze di una società fino ad allora rimasta insensibile alle rivendicazioni aborigene[16]. In particolare, i nativi australiani pretendevano l’assegnazione esclusiva della proprietà dei territori dotati di un particolare valore simbolico, religioso e storico che rappresentano una parte fondamentale della loro identità culturale. La civiltà aborigena si contraddistingue per l’intensità del legame con la terra in cui per secoli questo antico popolo ha vissuto, tanto che i luoghi (come il grande monolita Uluru) del cosiddetto outback e gli animali che vi abitano sono considerati sacri e resi oggetto di culto[17].

Le istanze aborigene crescono costantemente fino a quando il governo nazionale non è più in grado di ignorarle dal momento che l’eco delle manifestazioni attuate quotidianamente nei principali centri urbani del Paese comincia ad attraversare l’oceano, giungendo preoccupante alle orecchie delle organizzazioni internazionali particolarmente sensibili alla tutela dei diritti umani.

Nel 1967, viene indetto un referendum che, con quote di consenso plebiscitarie[18], conferisce agli aborigeni la cittadinanza australiana; è a dir poco paradossale che proprio alla popolazione autoctona fosse negato il riconoscimento della piena titolarità dei diritti nei luoghi che hanno abitato dalla notte dei tempi.

La svolta nell’approccio alle vicende aborigene si ha nel 1972, quando il Partito Laburista vince le elezioni politiche e sale al potere, presentando un programma in cui si registra una significativa attenzione ai diritti della minoranza indigena. Il neoeletto Primo Ministro Whitlam dispone l’istituzione del Dipartimento degli Affari aborigeni e crea contestualmente una commissione legislativa adibita alla disciplina di materie di interesse per le minoranze indigene. Una conquista importante è quella segnata nel 1976, quando si registra l’adozione dell’Atto dei diritti territoriali aborigeni che rappresenta comunque una vittoria mutilata perché l’atto è vigente solo nel Northern Territory. Al governo laburista va comunque riconosciuto lo sforzo di promozione dei diritti civili degli aborigeni che nel corso degli anni Settanta e Ottanta vedono senz’altro migliorare la propria posizione sociale e le condizioni di vita[19].

Nell’agosto del 1985, l’esecutivo del Commonwealth elaborò alcune proposte di legge con le quali si intendeva riconoscere agli aborigeni diritti pieni e inalienabili sui territori di antiche riserve indigene, parchi nazionali e terre di proprietà della corona britannica. Nell’ottica di questo piano di pacificazione intentato dal governo di Canberra, nell’ottobre del 1985 la montagna sacra di Uluru, allora meglio conosciuta con la denominazione occidentale di Ayers Rock, viene ufficialmente ceduta alla tribù aborigena Mutijulu, con la sola condizione che si garantisca costante accesso del pubblico al monolite e alle località di attrazione turistica circostanti.

Tale gesto si rivela tuttavia una goccia nell’oceano e non segna l’inizio di un percorso di dialogo indirizzato al riconoscimento dei diritti indigeni come poteva far supporre: le  proposte governative riguardanti le terre aborigene rimangono lettera morta. Le ragioni che hanno portato sl fallimento dei progetti favorevoli alle comunità di nativi sono tutte riconducibili alle pressioni esercitate soprattutto dai governi statali e dalle compagnie minerarie, entrambi interessati a mantenere aperti gli spazi di azione su territori ricchissimi di risorse naturali, ancora tutte da sfruttare.

Nei primi anni Ottanta, nasce il Servizio legale aborigeno (National Aboriginal Legal Service) che assicura assistenza legale gratutita e, sotto la guida di Paul Coe, aderisce al Consiglio mondiale dei popoli indigeni  (World Council of Indigenous People- WCIP), realizzando una importante campagna di informazione e sensibilizzazione verso i problemi degli aborigeni australiani sul piano internazionale.

Così, le voci sulle condizioni di discriminazione ed emarginazione in cui versavano gli aborigeni in Australia si diffondono nel mondo in ragione anche del forte impatto mediatico riscosso, alla fine degli anni Ottanta, dalla pubblicazione di dati relativi all’elevato numero di morti tra i detenuti aborigeni nelle prigioni del Paese. Alla luce di queste informazioni, nel 1988, le Nazioni Unite diffondono un rapporto in cui si accusava l’Australia di violare i principi fondamentali del diritto umanitario internazionale con l’atteggiamento fortemente lesivo e discriminatorio nei confronti degli aborigeni.

Il 26 gennaio 1988 ricorre il bicentenario della scoperta dell’Australia e in questa occasione il Premier laburista Hawke, nel pronunciare il suo discorso alla Nazione, non esprime alcun riferimento agli aborigeni che, per tutta risposta, organizzano nelle principali città del Paese contro-manifestazioni in cui si richiede la stipula di un accordo che sancisca definitivamente un assetto di relazioni tra australiani «bianchi» e minoranze indigene basato su principi di eguaglianza sostanziale.

Nel 1990 i gruppi appartenenti ai Land Councils costituiti per discutere le questioni di interesse per le comunità aborigene a livello territoriale subiscono una sostanziale riorganizzazione conseguente all’approvazione dell’ Aboriginal and Torres Strait Islander Commission Act 1989 (the ATSIC Act)[20], con cui si dispone la creazione di un organo governativo, il Comitato per gli aborigeni definito, appunto, ATSIC, che mira a conseguire un coinvolgimento attivo delle popolazioni indigene nei processi decisionali di interesse per le comunità di appartenenza. Si tratta di un organismo eletto democraticamente e composto da esponenti delle principali minoranze autoctone australiane ma è bene sottolineare che l’attività di tale organo è sottoposta alla costante supervisione del Governo nazionale. Nel 2003 il Comitato viene coinvolto in una spiacevole controversia che riguarda il Presidente dell’organo, Geoff Clark, accusato di corruzione oltre che di essersi reso responsabile di gravi reati commessi nel corso degli anni Settanta e Ottanta[21]. Questi eventi segnano l’inizio del declino dell’ATSIC, come dimostrano gli interventi da subito attuati dal Governo che dispone la limitazione dei poteri fiscali del Comitato, trasferendoli a una nuova organizzazione indipendente: la Aboriginal and Torres Strait Islander Services (ATSIS). L’intenzione del governo conservatore è in realtà quella di smantellare completamente la struttura dell’ATSIC, che non si è dimostrata capace di svolgere le funzioni per cui era stata istituita, e far riconvergere i fondi erogati per il finanziamento dell’organo in capo agli apparati governativi federali. L’opposizione laburista si mostra d’accordo con l’abolizione del Comitato, ma ritiene opportuno manterere in attività le organizzazioni aborigene statali e substatali che fino ad allora avevano operato di concerto con la Commissione nazionale.

Il 28 maggio 2004 il governo presenta in Parlamento il progetto di legge volto ad abolire l’ATSIC e, seppure dopo lunghe e accese discussioni in aula, il testo viene approvato determinando la chiusura dell’organo che cessa ufficialmente le sue funzioni il 24 marzo 2005.

La gestione delle politiche riguardanti le comunità aborigene e il coordinamento delle attività svolte dalle organizzazioni delle minoranze indigene costituite a livello territoriale, è stata quindi affidata al Ministero per l’Immigrazione e per gli affari multiculturali e aborigeni[22]. A partire dal 27 gennaio 2006, tali funzioni sono svolte dall’ Office of Indigenous Policy Coordination[23], istituito in seno al Ministero per la Famiglia, servizi sociali e affari indigeni[24].

La prima, vera e importante vittoria nella lotta per la conquista dei diritti aborigeni è segnata dalla storica sentenza emessa dalla High Court of Australia nel caso Mabo v. Queensland[25] con la quale si riconoscono inequivocabilmente i diritti territoriali delle popolazioni indigene. La Corte ha, in sostanza, stabilito che gli aborigeni e gli abitanti dello stretto di Torres siano pienamente legittimati a rivendicare un diritto di proprietà originario nel caso in cui dimostrino l’esistenza di un legame «stretto e continuo» con il territorio oggetto di rivendicazione. In questo modo viene letteralmente sconvolto il concetto di terra nullius, sul quale erano state fino ad allora fondate le rivendicazioni territoriali degli aborigeni, e viene contestualmente sancito un pieno diritto di proprietà territoriale che riconosce gli aborigeni e gli isolani dello stretto di Torres come «proprietari» originari del continente. Il significativo sforzo di bilanciamento operato dai giudici nella sentenza Mabo emerge dalla volontà di non contestare né mettere in discussione i diritti di proprietà legalmente acquisiti da cittadini non aborigeni[26]. E’ evidente che questa sentenza ha prodotto un effetto dirompente nella società australiana, esercitando un’influenza significativa sulla dinamica dei rapporti tra bianchi e minoranze autoctone. Tuttavia, nonostante la indiscutibile forza innovativa della decisione che ha segnato un importante punto a favore del ruolo sociale delle comunità  aborigene, la traduzione dei diritti riconosciuti formalmente si è dimostrata tutt’altro che agevole tanto che ancora oggi, nella realtà dei fatti, la questione dei diritti territoriali pare tutt’altro che risolta[27].

All’annosa questione dei diritti territoriali si aggiunge la problematica, se possibile ancora più delicata e controversa, delle vicende legate alla cosiddetta stolen generation, che riguarda un’intera generazione di bambini aborigeni sottratti alle famiglie di origine con l’obiettivo di portare a termine un’operazione di vera e propria rieducazione sociale e culturale[28]. Ai genitori aborigeni erano negati tutti i diritti sui figli con i quali non potevano mantenere nessun tipo di rapporto; il distacco avveniva infatti in modo netto e definitivo e i bambini venivano solitamente portati in orfanotrofi ma anche in veri e propri campi di internamento dai quali era praticamente impossibile instaurare un contatto con i familiari.  Sulla spinta delle rivendicazioni del movimento attivista degli anni Ottanta vengono alla luce gli abusi e i danni subiti da migliaia di aborigeni cui è stata «rubata l’infanzia» ma la questione diventa di pubblico interesse sulla scia dell’impatto esercitato dalla sentenza sul caso Mabo[29].

Nel maggio 1995, la Human Rights and Equal Opportunity Commission, viene incaricata di svolgere un’inchiesta per chiarire le dimensioni e i termini effettivi del fenomeno di rimozione del background tradizionale e del retaggio culturale operato ai danni dei giovani aborigeni. Il rapporto conclusivo dell’indagine viene pubblicato nel 1997 con il titolo di «Bringing Them Home - Report of the National Inquiry into the Separation of Aboriginal and Torres Strait Islander Children from Their Families»[30] e denuncia con forza la gravità degli atti commessi, affermando la necessità di operare interventi di riparazione e risarcimento a favore dei danneggiati. In conseguenza della presa visione del dossier, le Assemblee legislative degli Stati di Victoria, South Australia, New South Wales e del Northern Territory approvano mozioni in cui si esprimono scuse formali nei confronti degli aborigeni e il 26 maggio 1998 si celebra il primo National Sorry Day, simbolica iniziativa di riconciliazione promossa dalle istituzioni nazionali. Nel giugno 2000, la questione della generazione rubata giunge di fronte alla Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite che rivolge una severa critica al governo australiano per l’atteggiamento eccessivamente dimesso nell’ammettere colpe così grave, e giudica insufficiente l’istituzione di una giornata di tipo commemorativo o di singoli interventi risarcitori per riparare alle profonde lesioni causate alla dignità e all’identità di un’intera popolazione. Il comportamento dell’Australia in questo frangente viene anche censurato dal Comitato ONU per l’eliminazione delle discriminazioni razziali[31].

Alla luce di quanto sopra esposto, si deduce chiaramente che i rapporti tra la comunità australiana «post-coloniale» e i gruppi aborigeni sono tutt’altro che pacificamente risolti e la tensione, costantemente riscontrabile nelle relazioni interculturali, sfocia talvolta in crisi istituzionali che portano alla luce rancori mai sopiti e questioni mai veramente risolte[32]. Così è stato, da ultimo, per quanto riguarda l’intervento emergenziale operato dal governo australiano a tutela dei diritti dei minori aborigeni. Ancora una volta i bambini rappresentano lo strumento per mezzo del quale si manifesta la politica attiva australiana nei confronti della minoranza autoctona.

 

 

3. – Il piano federale per la tutela dei minori aborigeni

 

Si è già evidenziato come le comunità aborigene australiane, nonostante il riconoscimento dei pieni diritti civili conseguente alle battaglie politiche combattute nel corso degli anni, versino in condizioni sociali critiche, di sostanziale emarginazione. Si è detto che l’abuso di alcol e le difficoltà nell’inserimento del mondo del lavoro costituiscono una costante e contribuiscono a tenere vivi i sentimenti di razzismo più o meno latenti nella società australiana. A ciò si aggiungono le voci persistenti relative ad abusi e violenze subiti dai bambini aborigeni nell’ambito della vita familiare.

 Al fine di riscontrare le reali condizioni di vita vigenti nelle comunità dei Territori del Nord e dimostrare l’effettiva fondatezza delle accuse rivolte ai componenti di tali gruppi, si dispone la costituzione di una commissione di inchiesta chiamata a fare chiarezza sulla questione.

Così, l’8 agosto 2006, il Governo del Northern Territory istituisce la Board of Inquiry into the Protection of Aboriginal Children from Sexual Abuse[33] alla quale viene chiesto di verificare la sussistenza di situazioni di abuso e, nell’eventualità in cui ciò venisse provato, individuare gli strumenti migliori per proteggere i bambini aborigeni.

Compito della Commissione è dunque accertare, in primo luogo, se, come e perchè i bambini abbiano subito abusi, concentrandosi sui casi sfuggiti al monitoraggio degli assistenti sociali e tenuti nascosti. In seconda istanza si presenta la necessità di identificare le inefficienze degli strumenti che il governo territoriale e quello nazionale utilizzano per tutelare i minori che vivono in condizioni di disagio, individuando altresì procedure e meccanismi che consentano ai dipartimenti e alle agenzie di collaborare per il perseguimento di un fine commune. Ancora, alla Commissione viene richiesto di definire i modi  attraverso i quali il governo può agire nella formazione educativa delle comunità aborigene per prevenire gli abusi sui minori.

L’indagine è stata condotta sul campo, prestando particolare attenzione a non adottare comportamenti invasivi, ma cercando di inserirsi gradualmente nel ménage quotidiano delle famiglie aborigine e osservando dall’esterno le dinamiche relazionali tra adulti e bambini.

La conclusioni dell’inchiesta, che si è protratta per più di un anno, sono confluite in un corposo rapporto (il già menzionato «Little children are sacred») che, suddiviso in 97 raccomandazioni rivolte al primo ministro, è stato pubblicato il 15 giugno 2007. La considerazione principale, che costituisce la base di partenza per l’elaborazione del piano di azione proposto alle istituzioni governative, riguarda la constatazione della effettiva sussistenza di abusi sessuali seri e diffusi sui minori che, nella maggior parte dei casi, non viene denunciata. Secondo i componenti della Board of  Inquiry, questa situazione è riconducibile alla crisi che interessa da tempo la società e la cultura aborigena e, nonostante la maggioranza della popolazione indigena adulta dimostri una reale determinazione a risolvere i problemi esistenti e ad aiutare i propri figli, non si registra una corrispondente disponibilità a migliorare e aiutare sé stessi inserendosi, per esempio, in un percorso scolastico o di formazione professionale.

L’affermazione secondo cui «aboriginal people are not the only victims and not the only perpetrators of sexual abuse» esprime bene la posizione, più volte ribadita nel dossier, che considera le violenze che accadono nei Territori come un riflesso dei problemi sociali, passati e tutt’ora esistenti, che si sono sviluppati e consolidati minando nel profondo l’identità aborigena[34].

A parere della Commissione, i programmi di governo attualmente operanti al fine di migliorare le condizioni di vita ed eliminare i fenomeni violenti non si sono dimostrati efficaci: non c’è sufficiente coordinamento né comunicazione tra dipartimenti governativi e agenzie e ciò esercita un effetto negativo sull’organizzazione delle attività e sull’attuazione degli interventi necessari. Inoltre, si registra l’esigenza urgentissima di potenziare i servizi di assistenza sanitaria e sociale che non riescono a soddisfare nemmeno una minima parte delle istanze presentate.

Quello degli abusi sessuali sui minori rappresenta un problema delicatissimo che necessita la predisposizione di un programma a lungo termine che coinvolga soggetti di governo nei diversi livelli istituzionali e intervenga in modo pregnante per sradicare alla base un fenomeno che rischia di distruggere,  non solo l’identità culturale, ma anche l’equilibrio fisico e psichico dell’intera comunità aborigena.

Le misure di intervento devono tradursi in primo luogo in un sostanziale potenziamento delle strutture educative, è indispensabile garantire una formazione scolastica completa e di alto livello, assicurando il pieno rispetto delle regole di frequenza obbligatoria e promuovendo in questo modo la concezione della scuola come luogo di formazione ed educazione in senso ampio, che può costituire un punto di riferimento per bambine e adolescenti che a casa non vengono seguiti come di dovere.  E’ la scuola, dunque, lo strumento su cui puntare per salvaguardare il futuro degli aborigeni.

Un altro ambito in cui è richiesto un pronto intervento da parte delle istituzioni è costituito dalla lotta (impari) contro l’abuso di alcol dal momento che è riscontrabile un legame strettissimo tra assunzione frequente di alcolici e abusi sui minori. Secondo il documento, tra l’altro, sarebbe diffusa anche la prostituzione di minorenni in cambio di alcool e molti bambini aborigeni verrebbero inoltre esposti a immagini pornografiche fin dai primi anni di vita. Si raccomanda dunque l’adozione di misure restrittive che scoraggino o addirittura impediscano di consumare bevande alcoliche e la diffusione di materiale pornografico. Ancora, si auspica che i servizi sociali familiari attivi nei territori (Family and Community Services - FACS) instaurino una collaborazione integrata con le forze di polizia per garantire la realizzazione del massimo grado di sicurezza possibile e promuovere, di conseguenza, la creazione di un contesto di vita in cui i bambini si sentano protetti.

Anche i servizi di supporto alla famiglia devono essere potenziati e migliorati perché fino a ora si sono dimostrati gravemente carenti. Allo stesso tempo si giudica opportuno il conferimento di maggiori poteri in capo alle organizzazioni aborigene operanti in seno alle comunità, nell’ambito delle quali potrebbero essere istituite commissioni di giustizia che si occupino di promuovere il dialogo tra comunità aborigeni e società bianca, informando sui rispettivi sostrati culturali e diffondendo la cultura del dialogo.

Si propone tra l’altro la nomina di un Commissioner for Children and Young People, di espressione governativa, che si occupi esclusivamente di monitorare le condizioni di vita dei più giovani e agisca operando interventi specifici nel loro interesse, presentando resoconti sulla propria attività al Parlamento.

E’ opinione condivisa della Commissione di inchiesta che le violenze e gli abusi, soprattutto di natura sessuale,  sui minori abbia raggiunto dimensioni abnormi, tanto che, si afferma in «Little children are sacred» la questione «should be designated as an issue of urgent national significance by both the Australian and Northern Territory governments»[35].

Si raccomanda la tempestiva instaurazione di un rapporto di cooperazione nell’ambito del quale venga formulato un Memorandum of Understanding specificamente indirizzato a definire nuovi ed efficaci mezzi che garantiscano la tutela dei bambini dagli abusi di tipo sessuale.

E’ determinante, si legge nel rapporto, che nel porre in essere queste operazioni i governi federale e territoriale si impegnino ad agire in collaborazione con la popolazione aborigena al fine di definire un piano condiviso per il superamento della crisi in cui versa la comunità. Si sottolinea che la responsabilità per la salvaguardia dei diritti dei bambini ricade collettivamente sull’intero corpo sociale ma, in particolare, il Governo del Northern Territory (NT) è tenuto a svolgere un ruolo di leadership forte, dettando le linee di indirizzo che devono essere seguite per avanzare in un percorso che conduca fuori dal tunnel della violenza. Nello specifico il Governo territoriale dovrebbe esplicitare pubblicamente che la tutela dei minori rappresenta l’assoluta priorità nell’agenda politica e di questo deve tenersi conto nel momento in cui si avviano i processi di decision-making interni al territorio. Considerato lo stato di appurato disagio in cui versa la maggior parte dei bambini aborigeni, la Commissione invita il Governo del NT e le istituzioni federali a privilegiare la tutela di questa fascia della popolazione, allo scopo di ristabilire una situazione di equità sociale.

Come si evince chiaramente da quanto sopra riportato, le raccomandazioni rivolte al governo per rispondere all’«emergenza» del Northern Territory si traducono in misure attuabili attraverso interventi di politica sociale. In sostanza, viene richiesto il potenziamento degli apparati di welfare sociale già esistenti e la creazione di soggetti nuovi, dotati di ampie competenze e di effettivi strumenti di azione, in modo da favorire la creazione di una rete di controllo e intervento integrato che possa costituire un  riferimento sicuro per chiunque si trovi a essere vittima di abusi ma, soprattutto, per i giovani aborigeni.

Dunque, non si fa alcun riferimento alla necessità di azioni violente o particolarmente invasive da parte dell’istanza federale, cui viene invece chiesto di supportare le strutture territoriali, investendo risorse finanziarie, tecniche e professionali allo scopo di superare la crisi in atto. Alla luce di ciò pare opportuno evidenziare come l’accezione di «emergenza» cui si fa cenno nel rapporto, in relazione agli abusi sui minori,  non ha niente a che vedere con la nozione di emergenza costituzionale che viene invece evocata dal Premier australiano nel momento in cui dispone l’invio dell’esercito nazionale nel Northern Territory, nell’ambito di un piano straordinario definito in virtù di una situazione di pericolo per la sicurezza pubblica.

 

 

4. – Il Northern Territory Emergency Response

 

Il piano emergenziale messo a punto dal Primo Ministro australiano, John Howard, il insieme con il ministro per la famiglia, i servizi sociali e gli affari aborigeni (Minister for Families, Community Services and Indigenous Affairs), prevede una lunga serie di misure eccezionali e viene tradotto in un disegno di legge che introduce importanti interventi emendativi della normativa previgente, con riferimento a materie diversificate.

Nel presentare il progetto di intervento, definito Northern Territory Emergency Response (NTER), Howard si rifà alle raccomandazioni contenute nel Little Children are Sacred report, invocando espressamente il riferimento connotazione di «urgent national significance» con cui si contrassegna la situazione nelle comunità aborigene del NT. Come si è già avuto modo di rilevare, tuttavia, l’utilizzo di questi termini non può essere inteso nell’accezione tecnica di una situazione di emergenza che metta a repentaglio la vita della Nazione e l’interpretazione in tal senso operata dal governo australiano non può che essere giudicata faziosa.

Ad ogni modo, prima di illustrare nel dettaglio le misure previste dal NTER, il Premier sottolinea che tutte le azioni previste sono state pensate con il fine unico di assicurare la piena tutela dei diritti dei bambini aborigeni.

Nello specifico, il piano prevede l’introduzione di severe restrizioni alla vendita e all’uso di alcol nelle terre aborigene del Northern Territory, l’attuazione di riforme che intervengano per bloccare il flusso di denaro impiegato nell’acquisto di sostanze stupefacenti, nonché la disposizione di fondi da utilizzare solo ed esclusivamente per la promozione del  welfare minorile. Si prevede di rafforzare e rendere effettivo l’obbligo di frequenza scolastica (già esistente ma poco rispettato), collegando l’erogazione dei sussidi di supporto familiare all’assidua frequentazione delle strutture educative per tutti gli aborigeni residenti sul territorio. Nello specifico, viene ordinata l’interruzione dell’erogazione dei sussidi nel caso in cui i bambini restino assenti da scuola per più di tre giorni per trimestre. Inoltre, i sussidi non verranno più erogati sotto forma di assegni ma ai titolari verrà assegnato il valore corrispettivo in forma di buoni pasto e vestiti, ciò allo scopo di evitare che i fondi sociali vengano spesi per l’acquisto di beni differenti da quelli necessari per un’adeguata cura dei bambini (è evidente il riferimento all’alcol).

 Di rilievo è l’imposizione dell’obbligo di sottoporsi a controlli sanitari  regolari per tutti i bambini indigeni, prevista al fine di individuare per tempo ogni problema di salute o eventuali abusi. Viene disposto il potenziamento delle forze di polizia stanziate sul territorio e finanziate con fondi del governo federale, con la facoltà di pretendere l’assegnazione di agenti provenienti dalle diverse giurisdizioni australiane, con l’obiettivo di adiuvare le risorse del Northern Territory in caso di necessità.

 Di particolare rilievo pare la volontà di migliorare le condizioni abitative degli aborigeni e di revisionare gli accordi relativi agli affitti delle case (fino a ora bloccati a prezzi ridotti),  introducendo canoni locativi stabiliti in base alle leggi di mercato. Viene vietato il possesso di pubblicazioni pornografiche e tutti i computer saranno sottoposti a frequenti controlli allo scopo di verificare la detenzione di materiale illegale.

Tra le misure più discusse rientra la sospensione del sistema dei permessi emessi dalle autorità aborigene cui era subordinato l’accesso dei non indigeni alle cosiddette Aboriginal Lands, zone riconosciute di titolarità aborigena in seguito all’ottenimento dei diritti territoriali. 

Allo scopo di supervisionare l’andamento del National emergency response plan viene costituita una taskforce di esperti in questioni aborigene e operatori nel settore della tutela dei minori[36].

L’emergency plan predisposto dal governo australiano viene sottoposto all’esame dell’ Intergovernmental Committee on the Australian Crime Commission (ACC) cui viene affidato il compito di individuare i responsabili di abusi sessuali verso i bambini anche in altre aree del Paese.

Per quanto riguarda l’azione specifica richiesta al Governo del Northern Territory dall’Esecutivo federale, rileva l’incremento dello sforzo rivolto ad assicurare la protezione dei cittadini nelle aree maggiormente disagiate (in sostanza nelle Aboriginal lands) e lo sviluppo di una strategia organica volta a bloccare la circolazione degli alcolici nell’ambito dei territori. Il governo del NT dovrà sospendere gli accordi di affitto stipulati in base a condizioni speciali in tutti i casi in cui le condizioni contrattuali siano state violate. Il piano precisa che l’autorità federale interverrà direttamente se le istituzioni territoriali si dimostrano inadempienti.

Nella documentazione esplicativa allegata al progetto di intervento emergenziale il Governo ribadisce con forza che le violenze cui sono soggetti i bambini nelle aree ad alta densità aborigena configurano indiscutibilmente una situazione di emergenza nazionale e per tale motivo si rende indispensabile un’azione immediata del governo nazionale che viene rutenuta l’unica forma di risposta adeguata alla crisi denunciata dal rapporto «Little Children are Sacred».

La prima misura attuativa del piano straordinario di intervento è stato l’invio nel Northern Territory di truppe dell’esercito federale che hanno di fatto occupato i principali siti di proprietà aborigena.

All’esame del Parlamento australiano viene sottoposto un sostanzioso pacchetto di leggi raccolte sotto la denominazione di Northern Territory Emergency Response legislation[37], che prevede la revisione della legislazione preesistente in materia di welfare, commercio e uso di alcool, diffusione di materiale pornografico e disciplina delle locazioni.

Gli interventi più controversi (e forse preoccupanti) sono quelli operati sull’Aboriginal (Land Rights) Northern Territory Act, 1976[38] che garantiva agli aborigeni la proprietà di ampie zone di particolare valore culturale e tradizionale. Adducendo le ragioni di emergenza collegate ai soprusi cui sono soggetti i minori, si è infatti anche disposta la riassunzione in capo al Governo federale delle le proprietà delle comunità indigene. Pare quasi ozioso rilevare la evidente difficoltà nell’individuare un nesso di causalità tra i motivi (anch’essi discutibili) che hanno portato alla dichiarazione dello stato di emergenza nazionale e la revoca dei diritti di proprietà, acquisiti dagli indigeni solo a conclusione di un lungo e travagliato percorso di rivendicazione.

 

 

5. – Il modello federale australiano e il potere di intervento federale

 

Nell’affrontare la questione dell’azione attuata dal Governo di Canberra nell’ambito di un’area territoriale decentrata, non si può prescindere dall’effettuare alcune considerazioni in ordine ai poteri di intervento dell’istanza centrale, nell’ambito di un sistema puramente federale come quello australiano.

E’ opportuno evidenziare fin da subito che il modello federale dell’Australia si caratterizza per una spiccata impronta asimmetrica: al livello di governo centrale (Commonwealth of Australia), infatti, si affiancano sei Stati autonomi, un Territorio e un distretto federale, dotati di funzioni di self-government. Gli Stati membri (Victoria, Queensland, New South Wales, Southern Australia, Western Australia e Tazmania) sono titolari di importanti competenze amministrative e politiche, mentre il Territorio (Northern Territory) e il distretto federale (Australian Capital Territory) sono caratterizzati da un grado di autonomia nettamente inferiore[39].

Si ricorda, tra l’altro che la costituzione del Northern Territory è stata possibile grazie a quanto disposto dall’art. 111 della Costituzione australiana che prevede in capo al Commonwealth of Australia il potere di imporre a uno Stato di cedere parte del suo territorio a favore del Commonwealth. Così è stato per il Territorio del Nord che, prima di acquisire l’attuale forma istituzionale, costituiva parte integrante lo Stato del South Australia.

La connotazione disomogenea dell’allocazione delle competenze e la ridotta autonomia riconosciuta al Territorio rispetto alle altre realtà federate, costituiscono elementi di fondamentale importanza per la contestualizzazione dell’approccio operato dal Commonwealth verso la questione aborigena. La concentrazione delle comunità indigene nella sfera territoriale favorisce un’ingerenza federale maggiore in confronto a quanto sarebbe stato possibile se la medesima situazione si fosse manifestata nell’ambito di uno dei sei Stati federati.

Il modello di riparto delle funzioni australiano ricalca sostanzialmente quello previsto negli Stati Uniti d’America visto che la Costituzione federale elenca le materie attribuite alla Federazione, quali i rapporti internazionali, il commercio estero, la difesa e l’ immigrazione, lasciando agli Stati le competenze residue. Mentre gli  Stati sono dotati ognuno di una propria Costituzione, però, ai Territori spettano, in via residuale, soltanto competenze di natura tendenzialmente amministrativa nelle materie non assegnate al Governo federale[40].

Inoltre, non si può trascurare il fatto che nel sistema australiano la regola della supremacy, rappresenta il criterio ispiratore dei rapporti tra diversi livelli di governo disponendo che, nell’ipotesi di contrasto tra una legge di rango statale e una federale è questa ultima che  prevale sempre.

La questione della collocazione dei due Territori nell’ambito del disegno costituzionale del federalismo australiano si rivela piuttosto problematica perché, in virtù di quanto previsto dall’122 della Costituzione, il Parlamento del Commonwealth assume la funzione di «make laws for the government of any territory surrendered by any State to and accepted by the Commonwealth». Tale disposizione si rivolge chiaramente ai due Territori del Northern Territory e dell’Australian Capital Territori; si tratta di un’attribuzione concepita come un «plenary power», al pari dei poteri di autogoverno relativi al mantenimento di «pace, ordine e buon governo», che sono attribuiti agli Stati in ragione delle diverse Costituzioni statali, dunque tale funzione non è soggetta a limiti formale stabiliti a livello costituzionale. Le discussioni in ordine al reale grado di autonomia assegnato al Northern Territory  sono sorte principalmente perchè la Costituzione del 1901 non fa alcun riferimento esplicito a quale sia il ruolo e quali le funzioni dei Territori nell’ambito della federazione[41].

Di fatto il Governo federale si concede maggiore discrezionalità di intervento nella sfera territoriale e nel fare ciò non è mai incappato in ostacoli significativi dal momento che il Governo del Northern Territory (che comunque, fino a ora, si è sempre dimostrato piuttosto accondiscendente di fronte all’interventismo di Canberra) non è dotato degli strumenti necessari per opporsi all’ingerenza nazionale.

Dunque, la grande tempestività di azione che ha caratterizzato l’intervento straordinario del Governo federale nei territori non è dovuta solamente alle ragioni di emergenza nazionale invocate dal Primo Ministro ma è stata certamente favorita dalla configurazione intermedia dell’ente di governo territoriale nel particolare assetto si decentramento australiano.

Anche la scelta di conferire alla zona che comprende la maggior parte delle Aboriginal Lands la connotazione di territorio, evitando di costituire un settimo Stato ed evitando dunque di trasferire tutte le funzioni che spetterebbero a un’entità statuale) non pare casuale, soprattutto se considerata alla luce della storica tensione che ha sempre caratterizzato i rapporti tra Commonwealth e comunità autoctone.

 

 

6. – Poteri di emergenza per la salvaguardia dei diritti e rischi i di strumentalizzazione

 

Che la garanzia dei diritti fondamentali rappresenti una priorità assoluta per il governo di uno Stato costituzionale è principio indiscutibile e consolidato, ribadito sin dai tempi di Montesquieu come cardine del costituzionalismo moderno. Quando si tratta di salvaguardare i diritti dei più piccoli, per definizione soggetti deboli e indifesi nelle società contemporanee, la sensibilità delle istituzioni e dell’opinione pubblica si acutizza e determina la pretesa di politiche attente ad assicurare il pieno rispetto dei bambino e la tutela dell’infanzia.

Alla luce di queste considerazioni, l’intervento del governo federale australiano, scandalizzato dalla cruda durezza dei dati contenuti in un rapporto agghiacciante come il Little children are sacred, pare non solo un gesto onorevole e sacrosanto ma finanche un atto dovuto.

Quello che stupisce e fa pensare, piuttosto, è che invece di rispondere secondo le linee di indirizzo indicate dalla Commissione di inchiesta, che chiedeva un’azione nazionale di sostegno politico e finanziario per sopperire  alle carenze delle strutture sanitarie e dei servizi sociali, il Premier Howard abbia disposto con la massima urgenza un intervento manu militari.

Anche la variegata natura delle misure di emergenza rese immediatamente applicabili nel Northern Territory rende difficile l’individuazione di un filo conduttore che collochi le disposizioni del pacchetto di emergenza su una stessa corsia, diretta a rispondere all’obbiettivo dichiarato che, ricordiamolo, è solo e soltanto la tutela dei minori.

Ci si chiede, per esempio, in che modo la sospensione delle leggi sulla proprietà terriera, che garantivano la sovranità aborigena su parte dei territori, possa influire positivamente sulle condizioni di vita dei bambini maltrattati. Allo stesso modo, si contesta l’acquisizione coattiva, da parte del governo federale,  dei poteri amministrativi nel Northern Territory, per un periodo di cinque anni.

Anche se posti in essere con le migliori intenzioni, interventi tanto invasivi sulla sfera privata e sulla dimensione culturale di un popolo che per anni ha dovuto subire la negazione della propria dignità identitaria, non possono che essere percepiti come un doloroso ritorno al passato, una conferma del fatto che poco è cambiato nei rapporti tra i gruppi etnici che abitano l’Australia.

Le scelte effettuate per proteggere i bambini, pur legittimamente rivolte al bene degli stessi, ripercorrono fedelmente procedure attuate in altri tempi e con scopi meno onorevoli, quando i minori venivano sottratti alle famiglie e portati nei centri di rieducazione. Oggi, nel caso in cui i controlli medici obbligatori risultino positivi l’avvio delle pratiche per la revoca della patria potestà è immediato e non richiede ulteriori elementi probatori in merito, per esempio, all’accertamento che gli abusi siano stati compiuti da un familiare o meno.

Le reazioni all’attuazione dei provvedimenti di emergenza sono state comprensibilmente polemiche soprattutto da parte degli esponenti dei movimenti per i diritti aborigeni. Timori sulla possibile violazione della normativa anti-discriminazione sono stati espressi dai principali leader delle comunità aborigene, dalle organizzazioni umanitarie ma anche da alcuni illustri esponenti del partito conservatore, attualmente al governo. Particolarmente significativo pare l’intervento dell’ex Premier «conservative», Malcolm Fraser, il quale ha affermato che il piano di Howard costituisce il ritorno a un passato contrassegnato da «pratiche paternalistiche» come, appunto, l’allontanamento coattivo dei figli dai genitori. Uno dei leader del gruppo aborigeno di Mutitjulu, Mario Giuseppe, ha dichiarato che le madri della sua comunità temono l’arrivo della polizia perché il ricordo delle pratiche di sottrazione dei minori per scopi di «assimilazione etnica» sono ancora troppo vivi e l’atteggiamento delle forze armate governative viene percepito come analogo a quello portato avanti dai responsabili della piaga della stolen generation.

Un altro tipo di preoccupazione, forse tendenziosa e si spera infondata, è stata sollevata da alcuni esponenti dell’opposizione e da operatori della comunicazione, i quali sospettano che le opzioni operative del governo in carica siano influenzate dall’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale: le elezioni politiche sono in fatti previste per la fine del 2007.

Ecco che, allora, una motivazione per l’iniziativa di esproprio dei diritti territoriali aborigeni, potrebbe essere costituita dall’interesse che da sempre operatori nel settore minerario e turistico dimostrano nei confronti di zone di forte attrazione turistica (nei territori indigeni si trovano luoghi celebri e bellissimi come Uluru e Alice Springs) che, oltretutto, sono ricchissime di risorse minerarie. Fino a ora, infatti, la sovranità aborigena ha impedito alle compagnie di estrazione australiane e straniere di sfruttare i giacimenti di minerali e di uranio, anche se le vastissime distese desertiche del Northern Territory sono ambite anche come deposito di scorie nucleari.

L’appoggio politico delle potenti lobbies dell’industria mineraria e turistica potrebbe rivelarsi determinante per l’esito delle elezioni e il Premier uscente è palesemente alla ricerca di consensi, dal momento che gli ultimi sondaggi effettuati lo danno in netto svantaggio nei confronti dell’avversario laburista Kevin Rudd che, secondo le stime, godrebbe dell’appoggio del 58% degli elettori australiani.

C’è da dire che sia il Consiglio nazionale indigeno che il partito laburista, almeno in un primo momento, hanno accettato di buon grado i provvedimenti senza sollevare critiche significative sul merito dell’azione del Governo. Tuttavia, il presidente del Tasmanian Aboriginal Centre, Michael Mansell, ha parlato senza mezzi termini di «attacco razzista contro i deboli, un immorale abuso di potere, una speculazione per la prossima campagna elettorale». Addirittura Rex Wild, uno degli autori del rapporto che ha costituito l’elemento scatenante l’emanazione dell’emergency plan, ha definito l’ingerenza dei funzionari governativi che si sono sostituiti agli amministratori locali una «invasione di locuste»[42].

In generale, i leader nativi non hanno negato la grave entità dei problemi emersi dal dossier della Commissione di inchiesta, ma hanno contestato invece il tipo di approccio del governo che ha imposto il proprio intervento dall’alto, senza concedere il tempo né la disponibilità di instaurare un dialogo con gli aborigeni per giungere a soluzioni concertate che potessero rivelarsi più utili per la lotta alla povertà e al degrado sociale rispetto a misure punitive e unilateralmente definite dal livello federale. In una lettera aperta rivolta al premier e sottoscritta da componenti delle comunità autoctone e da sostenitori della causa indigena, si chiede di supportare lo sforzo delle comunità di migliorare le proprie condizioni, potenziando i servizi pubblici, il sistema di istruzione e creando percorsi che facilitino l’accesso al lavoro e l’integrazione sociale.

Questo  è niente di più di quanto chiesto, d’altra parte, proprio dalla Commissione di inchiesta per il Northern Territory nel dossier Little children are sacred: non un intervento armato; non “l’invasione” dei territori aborigeni né la revoca dell’obbligo di chiedere il permesso per entrare nelle comunità aborigene.

«Dialogo», «concertazione», «welfare», «sostegno» sono le parole più ricorrenti nelle raccomandazioni formulate dalla Board of Inquiry e sono anche i termini invocati dai leader aborigeni nelle campagne di rivendicazione condotte negli anni. Certamente non sono questi i presupposti sui quali è stato pensato e predisposto il piano di emergenza per il Northern Territory .

La constatazione di una situazione di profonda emarginazione, degrado e violenza serpeggiante nelle comunità degli aborigeni australiani spinge senz’altro a collocare un piano di azioni mirate al vertice della gerarchia delle priorità governative. Nella determinazione delle misure da intraprendere non si possono però non tenere in considerazione le ferite aperte del passato, né tanto meno è lecito soprassedere sul doveroso rispetto di diritti pieni e assoluti, che esigono l’astensione da ingerenze esterne. Questo vale anche se tali ingerenze sono attuate per «il bene» di soggetti deboli che meritano particolare tutela.

In questa vicenda specifica, che coinvolge aspetti centrali della vita costituzionale di uno Stato, quali la tutela dei diritti, la gestione dei poteri di emergenza e i poteri sostitutivi dell’istanza federale, ciò che sembra venire inopinatamente trascurato è il principio di proporzionalità. Probabilmente, una riflessione ponderata in merito alle misure più adeguate per la soluzione di problemi delicati e peculiari e l’individuazione di interventi propriamente funzionali al raggiungimento di un obiettivo specifico avrebbe risparmiato molte polemiche, oltre alle spese militari che sarebbero potute essere investite in un modo più direttamente utile alla causa della tutela dei bambini aborigeni.

 

 



 

[1] Sul sistema costituzionale australiano si v. T. Blackshields, G. Williams, Australian Constitutional Law and Theory: commentary and materials, Federation Press, Annandale 2000; G. Winterton et. al., Australian Federal Constitutional Law: commentary and materials, Thomson Legal & Regulatory, Rozella 2006; B. Harris, Essential constitutional law, Cavendish, London 2004; P. Karsten, Between law and custom: “high” and “low” legal cultures in the lands of the British diaspora, the United States, Canada, Australia and New Zealand 1600-1900, Cambridge University Press, Cambridge 2002; L. Scaffardi, L’ordinamento federale australiano: aspetti problematici, Università di Parma Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza, Parma 2000; D. Baker, Essential Australian Law, Cavendish, Sydney 2000.

 

[2] V. S. Ratnapala, Australian Constitutional Law, Oxford University Press, Melbourne 2002.

 

[3] Nel giugno 2003, in risposta ai gravi scontri etnici in atto nelle Isole dal 1997 il Governo australiano ha capeggiato una missione multinazionale (Regional Assistance Mission to the Solomon Islands –RAMSI) al fine di sconfiggere e disperdere le milizie e ristabilire l’ordine nel Paese. Si v. Regional Assistance Mission to Solomon Islands, in http://www.ramsi.org/node/10

 

[4] Australian Human Rights and Equal Opportunitys Commission, le informazioni sulla struttura, l’organizzazione e le funzioni di questa commissione sono reperibili al sito  http://www.hreoc.gov.au/

 

[5] Sulla strategia antiterrorismo attuata dall’Australia in seguito all’11 settembre si v. J. Beckman, Comparative Legal Approaches to Homeland Secutiry and Anti-terrorism, Ashgate Publishing, London 2007; si v. anche V. Ramraj, M. Hor, K. Roach, Global Anti-Terrorism Lawand Policy, Cambridge University Press, Cambridge 2005.

 

[6] Al pari di quanto previsto dalle leggi antiterrorismo di Stati Uniti e Regno Unito, l’antiterrorism act australiano introduce una significativa estensione dei potere dell’esecutivo soprattutto per quanto riguarda la disposizione di arresti e regimi di detenzione preventiva senza l’intervento autorizzatorio dell’autorità giudiziaria. Tra l’altro la legge antiterrorismo australiana consente di trattenere in detenzione persone sospettate di essere in possesso di informazioni utili su «atti terroristici» (senza specificare in alcun modo quali comportamenti possano essere considerati tali) per sette giorni, prima che si renda necessaria la pronuncia del tribunale per confermare l’arresto. Durante questa fase di reclusione preventiva ai detenuti è impedita qualunque forma di comunicazione con il mondo esterno, non è consentito usufruire dell’assistenza legale ed è finanche informare i propri cari della situazione in cui si versa. Si veda l’Anti-Terrorism Act, 2005 (Act - C2005A00127- n. 127, 2005), reperibile al sito http://www.comlaw.gov.au/ComLaw/Legislation/Act1.nsf/0/53D2DEBD3AFB7825CA2570B2000B29D5?OpenDocument

 

[7] La decisione non ha avuto effetti su altri 108 minori, anch’essi richiedenti asilo, trattenuti in detenzione sull’isola di Nauru sulla base di accordi stipulati con le autorità australiane: l’extraterritorialità del luogo di reclusione impedirebbe l’estensione degli effetti della sentenza. I detenuti di Nauru sono più che altro bambini, figli di rifugiati (soprattutto asiatici) che giungono in Australia in cerca di protezione umanitaria, e che sono soggetti a detenzione a tempo indeterminato, nell’attesa che vengano eventualmente accolte le richieste di asilo presentate dai genitori. Il regime di detenzione è regolato dalla legislazione sull’immigrazione australiana, da sempre rinomata per la particolare severità, che ha subito un ulteriore irrigidimento in seguito all’emergenza post-11 settembre. Si veda il Migration Act, 1958 (Act. No. 62 of 1958) emendato, da ultimo nel 2007 (Act No. 100 of 2007), reperibile al sito http://www.comlaw.gov.au/comlaw/Legislation/ActCompilation1.nsf/0/99103EF290F14573CA2573680023C369?OpenDocument. Per un inquadramento sulla politica in materia di immigrazione in Australia si v. M. E. Crock, Immigration and Refugee Law in Australia, Leichardt, N.S.W. : Federation Press, 1998 La concentrazione di detenuti, immigrati clandestini e richiedenti asilo a Nauru ha fatto parlare dell’isola come della «Guantanamo australiana», v. D. Spruce, Una Guantanamo per gli immigrati, in Il Manifesto, 2 settembre 2007.

 

[8] V. Convention on the rights of the Child, reperibile al sito http://www.unhchr.ch/html/menu3/b/k2crc.htm , l’art. 37 della Convenzione dispone che «a) No child shall be subjected to torture or other cruel, inhuman or degrading treatment or punishment. Neither capital punishment nor life imprisonment without possibility of release shall be imposed for offences committed by persons below eighteen years of age; (b) No child shall be deprived of his or her liberty unlawfully or arbitrarily. The arrest, detention or imprisonment of a child shall be in conformity with the law and shall be used only as a measure of last resort and for the shortest appropriate period of time; (c) Every child deprived of liberty shall be treated with humanity and respect for the inherent dignity of the human person, and in a manner which takes into account the needs of persons of his or her age. In particular, every child deprived of liberty shall be separated from adults unless it is considered in the child's best interest not to do so and shall have the right to maintain contact with his or her family through correspondence and visits, save in exceptional circumstances; (d) Every child deprived of his or her liberty shall have the right to prompt access to legal and other appropriate assistance, as well as the right to challenge the legality of the deprivation of his or her liberty before a court or other competent, independent and impartial authority, and to a prompt decision on any such action».

 

[9] V. la sentenza della Family Court of Australia nel caso B & B & Minister for Immigration & Multicultural & Indigenous Affairs [2003] FamCA 451 (19 June 2003), reperibile al sito http://www.austlii.edu.au/cgi-bin/sinodisp/au/cases/cth/family_ct/2003/451.html?query=united%20and%20nations%20and%20convention%20and%20rights%20and%20child; in seguito a questa pronuncia, trenta organizzazioni hanno promosso, in collaborazione con la sezione australiana di Amnesty International, una campagna volta a permettere il ricongiungimento   di nove donne e quattordici bambini, trattenuti sull’isola di Nauru, con i loro mariti e padri, già riconosciuti come rifugiati dal governo australiano. Successivamente, il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite, dopo aver sollecitato il rilascio di Roqia Bakhtiyari dal centro di detenzione per immigrati, ha dichiarato che sia lei sia i suoi figli, liberati dal Tribunale della famiglia dopo 32 mesi (vedi sopra), erano stati detenuti arbitrariamente. Il Comitato ha riconosciuto ai ricorrenti il diritto a essere risarciti dal governo australiano per i danni fisici e psicologici riportati dai bambini in ragione della detenzione. V. il rapporto di Amnesty International del 2004 sui diritti umani in Australia, il dossier è reperibile al sito http://web.amnesty.org/report2004/aus-summary-eng

 

[10] Tra i molti casi che hanno trovato spazio nelle cronache nazionali si registra l’episodio di una donna aborigena, vittima di violenze domestiche, che dopo essere stata soccorsa dalla polizia è stata riaffidata dagli stessi agenti al convivente che ha ripreso immediatamente a picchiarla fino a ucciderla, solo poche ore dopo che i poliziotti l’avevano riaccompagnata a casa.

 

[11] Tra i tanti si cita il caso di Stephen Wardle, deceduto nel 1988, all’età di 18 anni, in circostanze mai del tutto chiarite in una cella in una stazione di polizia nello Stato del Western Australia. Fu aperta un’indagine sul caso, condotta da una commissione di inchiesta interna al corpo di polizia, di fronte alla quale un agente di polizia rivolse le proprie scuse alla famiglia del ragazzo, v. Royal Commission Inquiry into weather there has been any corrupt or criminal conduct by Western Australian police officers, il rapporto finale della Commissione di inchiesta è reperibile al sito: http://www.ccc.wa.gov.au/pdfs/lewandowski_hearings.pdf. Nel 1988 un rapporto delle Nazioni Unite accusò l'Australia di violare i diritti umani internazionali nei confronti degli aborigeni. Nel maggio 1991 il rapporto della commissione reale istituita per investigare sulle morti dei detenuti provava il comportamento delle forze di polizia e stilava oltre 300 raccomandazioni per relazioni interetniche migliori.

 

[12] Sulla complessa questione dei diritti delle popolazioni indigene si v. M. Mazza, La protezione dei popoli indigeni nei paesi di common law, CEDAM, Padova 2004; A. Fodella, La tutela dei diritti collettivi: popoli, minoranze, popoli indigeni, in L. Podeschi (a cura di) La tutela internazionale dei diritti umani: norme, garanzie, prassi, Giuffrè, Milano 2004; F. Mariño Menéndez, J. Daniel Oliva Martínez (a cura di), Avances en la protección de los derechos de los pueblos indígenas, Dykinson, Madrid 2004; P. Haveman (a cura di), Indigenous people’s rights in Australia, Canada and New Zealand, Oxford University Press, Oxford, 1999; D. Ivison, P. Patton, W. Sanders (a cura di), Political theory and the rights of indigenous peoples, Cambridge University Press, Cambridge 2000.

 

[13] I rapporti, pubblicati dall’istituto australiano di criminologia e dalla HREOC evidenziano che l’aspettativa di vita delle donne è diminuita mentre il dato relativo agli arresti degli aborigeni è aumentato del 262% nel corso degli anni Novanta. Il Commissario per la giustizia sociale della HREOC ha dichiarato che era percepibile «un crescente sentimento di disperazione e urgenza tra le popolazioni e le comunità indigene, in relazione a […] violenza, abusi, disoccupazione, problemi sanitari, rapporti con la giustizia, allontanamento dei figli e così via».

 

[14] Per un’analisi della disciplina dei diritti umani alla luce della cornice costituzionale australiana si v. G. Williams, Human rights under Australian Constitution, Oxford University Press, Melbourne 1999.

 

[15] V. E. Ceccherini, Un antico dilemma: integrazione o riconoscimento della differenza? La costituzionalizzazione dei diritti delle popolazioni aborigene, G. Rolla (a cura di) Eguali ma diversi, , Milano, 2006, 58-113. Sulla cosiddetta «questione aborigena» si v. anche J. Robert, From Massacres to Mining: The Colonisation of Aboriginal Australia, CIMRA-War on want, London 1978.

 

[16] Sulla rivendicazione dei diritti territoriali degli aborigeni australiani si v. AA. VV., Land Rights Now. The Aboriginal Fight for Land in Australia, IWGIA, Copenhagen 1985 (Document n. 54); Aboriginal Australia: Land, Law and Culture, numero monografico di Race & Class, XXXV, n. 35, April-June 1994.

 

[17] Si v. B. Boer, G. Wiffen, Heritage Law in Australia, Oxford University Press, Oxford 2006.

 

[18] Il 90% dei votanti al referendum dichiarano il proprio favore al riconoscimento dei diritti di cittadinanza per gli aborigeni

 

[19] G. Nettheim (a cura di), Human Rights for Aboriginal Peoples in the 1980's, Legal Books Pty., Sydney 1983.

 

[20] V. Aboriginal and Torres Strait Islander Commission Act 1989, (Act No. 150 of 1989) reperibile al sito http://scaleplus.law.gov.au/html/histact/14/7216/pdf/ATSIC1989.pdf . La legge entrata in vigore il 5 marzo 1990.

 

[21] Clark è accusato, in particolare, di aver fatto parte di gruppi criminali e di aver partecipato, tra l’altro, a stupri di gruppo.

 

[22] La struttura organizzativa e la distribuzione delle competenze tra i ministeri è stata Riformata. Oggi il Department of Immigration and Multicultural and Indigenous Affairs è diventato il Department of Immigrazion and Citizenship, v. http://www.immi.gov.au/

 

[23] V. Office of Indigenous Policy Coordination (OPIC), http://www.oipc.gov.au/

 

[24] V. Department of Families, Community Services and Indigenous Affairs (FaCSIA), http://www.facs.gov.au/

 

[25] V. Mabo v Queensland (No 2) [1992] HCA 23; (1992) 175 CLR 1 (3 June 1992), reperibile al sito http://www.austlii.edu.au/au/cases/cth/HCA/1992/23.html ; il ricorrente, Eddie Mabo, rivendicava i diritti del popolo meriam sull’isola Mer, più conosciuta con il nome occidentale di Murray Islands, la High Court Australiana ha accolto il ricorso sancendo il diritto di proprietà sulla terra da parte delle popolazioni indigene che l’hanno abitata fino alla colonizzazione europea. Tra la ricca letteratura sul caso Mabo si v. in particolare The politics of Mabo, numero monografico di Australian Quarterly, LXV, n. 4, Summer 1993; v. anche T. Murray, Mabo: Recreating the Heritage of Australia (Working Papers of Australian Studies), Menzies Centre for Australian Studies, Londra, 1996

 

[26] Sulla giurisprudenza della High Court australiana in merito ai diritti degli aborigeni si v. G. Winterton, Australia federalconstitutional Law, cases and materials, cit.

 

[27] V. S. Ratnapale, G. A. Moens (a cura di), Jurisprudence of Liberty, Butterworths, Sydney, 1996.

 

[28] La pratica di sottrarre i bambini d’origine alle famiglie con lo scopo dichiarato di agire nell’esclusivo interesse dei minori è stato portato avanti dalle autorità di governo australiane con il significativo appoggio delle organizzazioni ecclesiastiche stanziate sul territorio nel corso di almeno un secolo. Tale procedura ufficialmente si è interrotta nel 1969, ma in realtà ci sono testimonianze di episodi avvenuti ben oltre tale data. Sul caso della stolen generation si v. Di Cesare, Gli aborigeni australiani, Xenia, Milano 1996; Bosi, Aborigeni australiani, Nardini, Firenze 1994.

 

[29] Si v. Barbara Ann Hocking, Unfinished constitutional businesses, Tethinking aboriginal self-determination, Canberra, Aboriginal Studies Press, 2005.

 

[30] Il rapporto, di 700 pagine, è pubblicato nella sezione Indigenous Law Resources, Reconciliation and Social Justice Libraries, nel portale AustLII, il testo del dossier è reperibile al sito http://www.austlii.edu.au/au/other/IndigLRes/stolen/index.html

 

 

[34] V. Northern Territory Government, Board of Inquiry into the Protection of Aboriginal Children from Sexual Abuse, reperibile al sito, http://www.nt.gov.au/dcm/inquirysaac/, «The Inquiry has always accepted the assertion that sexual assault of children is not acceptable in Aboriginal culture, any more than it is in European or mainstream society. But there is a major difference between the two branches of society. A breakdown of Aboriginal culture has been noted by many commentators. A number of underlying causes are said to explain the present state of both town and remote communities. Excessive consumption of alcohol is variously described as the ause or result of poverty, unemployment, lack of education, boredom and overcrowded and inadequate housing. The use of other drugs and petrol sniffing can be added to these. Together, they lead to xcessive violence. In the worst case scenarioit leads to sexual abuse of children»; «The combined effects of poor health, alcohol and drug abuse, unemployment, gambling, pornography, poor education and housing, and a general loss of identity and control have contributed to violence and to sexual abuse in many forms».

 

[35] V. Northern Territory Commission of Inquiry, Ampe Akelyernemane Meke Menarle (Little Children are sacred), reperibile al sito http://www.nt.gov.au/dcm/inquirysaac/pdf/bipacsa_final_report.pdf

 

[36] La taskforce è capeggiata dal giudice Sue Gordon, presidente del National Indigenous Council e autore del rapportp del  2002 sugli abusi ai danni di minori nel Western Australia (Gordon Report into Aboriginal child abuse in Western Australia).

 

[37] V. Northern Territory National Emergency Response and other Measures Bill 2007, reperibile al sito http://www.aph.gov.au/library/Pubs/bd/2007-08/08bd018.pdf

 

[38] V. Appropriation (Northern Territory National Emergency Response) Bill (No. 1) 2007-2008, reperibile al sito  http://www.aph.gov.au/library/pubs/bd/2007-08/08bd024.pdf ; Appropriation (Northern Territory National Emergency Response) Bill (No. 2) 2007-2008, reperibile al sito http://www.aph.gov.au/library/pubs/bd/2007-08/08bd025.pdf

 

[39] V. M. Burgess, Comparative Federalism Theory and Practice, Routledge, London, 2006; v. R. D. Lumb, Constitutions of the Australian States, 5ed, University of  Queensland Press, St. Lucia, 1991; G. Carney, Constitutional Law of Australian States and Territories, Cambridge University Press, Cambridge 2006; G. Winterton et. al., Australian Federal Constitutional Law: commentary and materials, cit.

 

[40] Agli Stati e ai Territori è lasciato il potere di istituire gli organi di governo locali, che tuttavia non possono essere titolari di funzioni di polizia né possono esercitare funzioni su materie legate alla pubblica istruzione come invece avviene in altri Stati facenti capo al Commowealth of Nations, come il Canada. La Costituzione federale dispone l’istituzione di Assemblee parlamentari in ogni Stato ma la disciplina del funzionamento dei Parlamenti statali viene affidata alle Costituzioni dei singoli Stati. Le funzioni tributarie e, in particolare, il potere di imposizione delle tasse è materia riservata alla Federazione ma il dibattito circa l’opportunità di rivedere questo settore, estendendo l’ambito di competenza statale e conferendo più poteri ai governi territoriali, occupa da alcuni anni un ruolo centrale nel dibattito politico australiano. Il V capitolo della Costituzione australiana è interamente dedicato alla disciplina dell’assetto territoriale dell’ordinamento e disciplina dunque il sistema di riparto del potere in senso verticale. Viene definito il ruolo degli Stati nell’ambito della struttura federale e, come già segnalato, si sancisce la posizione di supremazia assunta dalla Costituzione del Commonwealth rispetto ai testi costituzionali dei singoli Stati. L’art. 109 specifica infatti  che nel caso di conflitto tra una legge statale e una emessa dal Parlamento nazionale sarà sempre questa ultima a prevalere, limitatamente all’aspetto oggetto del contrasto. Le leggi degli Stati sono dunque esplicitamente considerate gerarchicamente inferiori. La struttura istituzionale degli Stati prevede la presenza di un’Assemblea eletta direttamente e di un organo esecutivo presieduto da un Governatore; v. H. Irving, To Constitute a Nation: A Cultural History of Australia's Constitution (Studies in Australian History), Cambridge University Press, II ed.,1999, e U. Wachendorfer-Schmidt, Federalism and Political Performance, Routledge, London, 2000.

 

[41] Ciò ha fatto sorgere alcune questioni con riguardo, per esempio, alla conformazione del Senato che, in virtù del principio di rappresentatività paritaria, deve essere composto da un eguale numero di membri per ogni Stato. Non è chiaro se tale disposizione includa rappresentanti di Northern Territory e dell’Australian Capital Territory o meno. Si è comunque raggiunta una soluzione di compromesso prevedendo la partecipazione alla Camera alta di due senatori per ciascun Territorio eletti per tre anni, mentre il mandato dei rappresentanti statali al Senato dura sei anni  (fino al 1975 l’Australian Capital Territory e il Northern Territori non erano rappresentati nella Camera alta). V. I. Cook, Government and Democracy in Australia, Oxford University Press, New York, 2004, si v. anche G. Carney, The Constitutional Systems of Australian States and Territories, Cambridge University Press, Cambridge, 2006.

 

[42] Alessandro Ursic, La nuova guerra di Howard, in Peace Reporter, luglio 2007, reperibile al sito www.peacereporter.it; Raimondo Bultrini, L’Australia dichiara guerra agli aborigeni, in Il Venerdì di Repubblica, settembre 2007.