ds_gen N. 6 – 2007 – Cronache

 

 

Convegno a conclusione del progetto di ricerca MIUR

“Costruzione della soggettività, tecniche di tutela della persona e retoriche dei diritti fondamentali: i dati genetici”

Il trattamento dei dati genetici e la tutela della persona

Roma, 28 giugno 2007

 

Il convegno tenutosi presso la sede dell’Autorità garante della protezione dei dati personali (Sala conferenze, Piazza Montecitorio, 123/A), promosso dalla Fondazione Lelio e Lisli Basso, unitamente alla Società Italiana di Genetica Umana ed alla Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, si proponeva di riflettere sulle implicazioni giuridiche legate al trattamento dei dati genetici, ma la riflessione emersa durante la giornata, grazie alla vivace partecipazione degli intervenuti ed alla variegata professionalità dei relatori, è andata ben al di là dell’iniziale proponimento.

L’apertura del Rettore dell’Università di Roma “La Sapienza”, Prof. Renato Guarini, ha costituito il filo conduttore delle relazioni in programma, nel segno della interazione tra istituzioni accademiche e politico - istituzionali, volta alla risoluzione del conflitto etico - giuridico tra scienza, tecnologia e diritto.

La giornata di studi ha messo in luce l’esigenza di una visione unitaria delle problematiche inerenti al progresso scientifico, che coinvolgono diritti personali ed interessi collettivi: soltanto lo studio interdisciplinare di tutte le implicazioni etiche, giuridiche, psicologiche e sociologiche può condurre ad una regolamentazione capace di attuare l’auspicato equilibrio.

Il Prof. Luigi Frati, Prorettore Vicario dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, ha osservato come l’avanzamento biotecnologico abbia determinato negli ultimi decenni due innovazioni epocali: il dato identificativo dell’uomo si evolve dal modello dell’identikit fotografico (“come appariamo”) a quello genetico (“come siamo”); la medicina diagnostica di tipo probabilistico si va a grandi passi tramutando in un sistema accertativo-predittivo.

Le straordinarie opportunità scientifiche aperte dalla ricerca sul genoma umano sollevano nuovi interrogativi intorno alla natura del dato genetico, non più mero strumento identificativo del singolo, ma informazione relazionale, atta ad individuare ed identificare il gruppo genetico di appartenenza.

A questo proposito il Prof. Stefano Rodotà, dell’Università di Roma “La Sapienza” portava ad esempio un recente episodio, apparso sul New York Times, relativo ad un cittadino ghanese che, richiesto alle autorità statunitensi il ricongiungimento familiare, veniva sottoposto al test del DNA, da cui risultava che solo uno dei suoi quattro figli aveva caratteristiche genetiche compatibili alla sua paternità biologica. Il caso pone in evidenza la ineludibile necessità di apprestare tutele specifiche intorno all’uso del dato genetico, secondo criteri di proporzionalità, necessarietà e riduzione massima dei danni sociali e relazionali.

Occorre disegnare i limiti di utilizzo del dato genetico, operando una opportuna mediazione tra la tendenza all’eccezionalismo e l’opposto criterio del riduttivismo dell’uomo a gene, della biografia alla biologia.

Il carattere relazionale e, a volte, predittivo dei risultati dei test sul genoma umano, ha posto ulteriori problemi in ordine alle specifiche competenze del medico genetista, risolti dalle linee guida per le attività di genetica medica introdotte in Italia nel 2004 ed applicate dalle strutture del Servizio Sanitario Nazionale e convenzionate, profilo analizzato dalla Prof. Franca Dagna Bricarelli, Presidente della Società italiana di genetica umana.

I risultati dei test genetici, coinvolgendo l’individuo ed il nucleo familiare di appartenenza, necessitano di un complesso iter informativo, denominato consulenza genetica, comprendente due fasi: l’informazione preventiva ed il risultato commentato a cui il medico genetista attende in virtù di una preparazione specialistica pluridisciplinare, che permette alla persona di conoscere le possibili implicazioni relative all’esame da compiersi.

Il Prof. Giuseppe Novelli, docente di Genetica umana all’Università Tor Vergata di Roma, enumerando i molteplici impieghi dei test genetici, ha posto in luce l’importanza non solo degli esami a scopo diagnostico, ma anche a fini di ricerca, sottolineando come in paesi dove l’uso del materiale genetico a scopi scientifici è agevolato dalle normative vigenti, si sono avuti significativi progressi in campo medico e farmacologico.

Tale esigenza determina la nascita di un problema tuttora aperto, sollevato dal Prof. Francesco Pizzetti, attuale presidente del Garante per la protezione dei dati personali, il quale denuncia la scarsa attenzione prestata dagli operatori alle necessarie misure di sicurezza, conservazione e distruzione dei campioni biologici.

In particolare si deve osservare che in Italia, mentre si è messa in atto una dettagliata regolamentazione del trattamento del dato genetico, non si è ancora costruito un sistema di norme che delineino i confini della ricerca sui campioni, né si è affrontato il tema del consenso e del diritto all’accesso del donatore.

La seconda sessione dei lavori è stata dedicata all’approfondimento dei campi di applicazione attuali e futuri della ricerca sul genoma umano: il Prof. Alberto Piazza, Ordinario di Genetica all’Università degli studi di Torino, ha illustrato l’applicazione dei test sul DNA allo studio degli alberi filogenetici delle popolazioni umane; grazie all’analisi del DNA mitocondriale e del cromosoma Y è stata creata una mappatura dei flussi migratori dalla comparsa dell’homo habilis ad oggi.

Il Prof. Adriano Bompiani, dell’Università Cattolica Sacro Cuore di Roma ha notato come i paesi europei, preso atto dal 1948 ad oggi delle straordinarie opportunità date dalla ricerca sul genoma umano nella prevenzione e cura di malattie aventi costi sociali enormi, abbiano cercato di coniugare il diritto alla libera ricerca con la tutela dell’identità personale e familiare, in un corpus di norme variegato e non sempre coerente.

Il Consiglio d’Europa, nella Raccomandazione 4/2006, ha tentato di dare ordine alla materia con particolare riferimento alle molteplici attività di ricerca implicanti il prelievo di materiale biologico di origine umana, che comprende tessuti e liquidi organici, residui operatori, con esclusione di feti ed embrioni, verso il cui impiego a scopo di ricerca ostano problemi di ordine etico, politico e talvolta religioso tuttora irrisolti.

Il materiale biologico può essere identificato, nel senso della sua riconducibilità al titolare, ma “anonimizzato”, in senso reversibile od irreversibile. I campioni biologici vengono conservati in collezioni, strutture universitarie aventi esclusivamente scopo di ricerca sul genoma, e nelle cd. biobanche, che contengono materiale genetico e dati associati (genealogici, medici, ecc.) ed il loro trattamento a scopo di ricerca richiede il consenso informato del donatore.

I test genetici predittivi, la diagnosi prenatale, la natura relazionale del dato genetico non entrano in conflitto soltanto con il diritto della persona al rispetto della privacy e della integrità e dignità personale, ma impongono un profondo ripensamento del ruolo stesso del medico genetista, spesso depositario di informazioni dirompenti e capaci di influenzare la sfera psicologica e lo stile di vita dell’individuo.

Da ciò l’esigenza, segnalata dalla Dott.ssa Marina Frontali, ricercatrice del CNR, di un percorso analitico condotto tra medico, paziente e nucleo familiare, improntato al principio del consenso informato e revocabile (il cd. diritto di non sapere) ed al diritto di scelta libera e consapevole. In particolare, la consulenza genetica rivolta al minore, in caso di test che evidenzino patologie future, pone la scelta problematica tra diritto di conoscere il proprio profilo genetico, utile per poter accompagnare il soggetto lungo un percorso di accettazione e preparazione, ovvero il diritto di non sapere, che, d’altro canto, eviterebbe un drammatico condizionamento sulle scelte di vita dell’individuo.

L’applicazione del dato genetico, con lo sviluppo delle nanotecnologie, offre impieghi efficienti anche nel campo della sicurezza pubblica: il Colonnello Luciano Garofano, comandante dei RIS di Parma, ha dimostrato come il test del DNA possa essere decisivo per l’individuazione di autori di gravi reati, anche a distanza di molto tempo (come nel famoso caso, recentemente riaperto grazie al reperimento di tracce di DNA, dell’omicidio di Via Poma). L’impiego del dato genetico al fine del perseguimento degli autori di reati richiede la creazione di una banca dati genetica, così come avviene in molti paesi europei, in cui ha dimostrato grande efficacia sotto il profilo investigativo. Anche in questo campo si rileva un evidente conflitto tra il diritto alla sicurezza del cittadino e la tutela della privacy e della dignità umana, compromessa dal prelievo coattivo del campione biologico e dalla sua conservazione.

La conclusione del Prof. Rodotà, a chiusura di un vivace dibattito, compendia efficacemente il dato emerso nel corso della giornata: ogni studioso intervenuto ha guardato l’orizzonte della ricerca sul genoma umano attraverso le lenti del proprio settore di ricerca. Arduo compito del giurista e del legislatore è invece quello di convogliare tutte le possibili implicazioni entro una visione unitaria, cercando di trovare il giusto equilibrio tra libertà di ricerca, diritto alla salute ed alla sicurezza pubblica e la tutela della privacy e della dignità umana.

 

Germana Carlotta Adriano

Università di Sassari