ds_gen N. 6 – 2007 – Monografie

 

 

Conferencia magistrale: II Seminario en el Caribe. Derecho romano y Latinidad [La Habana-Cuba, 12 al 14 de febrero de 2004]. Memorias, coordinadores y compiladores Pietro Paolo Onida y Eurípides Valdés Lobán, Sassari 2007, XII-187 pp.       Indice Sommario

 

 

lobranoGiovanni Lobrano

Professore ordinario di Diritto romano,

Preside della Facoltà di Giurisprudenza

della Università di Sassari

 

Comuni, Repubblica e Federazione tra diritto romano e diritto inglese

 

Sommario: Premessa. La sintesi di federazione e di societas nella cittadinanza municipale romana. – 1. La divaricazione medievale tra societas e persona ficta vel repraesentata e l’insorgere della contrapposizione dialettica tra federazioni comunali repubblicane e regni nazionali parlamentari. – 2. La continuità moderna nel “federalismo societario” dell’“impero” del Sindaco di Emden Johannes Althusius (Politica Methodice Digesta, 1603-14) e nel “principio” del “contratto di società” della “repubblica” del Cittadino di Ginevra Jean–Jacques Rousseau (Contratto sociale, 1762). – 3. La rottura contemporanea nel “federalismo” statual-rappresentativo (anti-societario) di James Madison (Il federalista, 1787) e di Immanuel Kant (Per la pace perpetua, 1794). – 4. Il sistema giuridico latino-americano: ‘cabildos’, confederazione, ‘aldeas’ e municipi (Miranda, Francia, Bolívar e Martí). – 5. La crisi dello Stato parlamentare contemporaneo, la rivoluzione dei rapporti ‘politici’ all’interno e all’esterno delle autonomie municipali e la loro attualità: “Siamo [ri-]entrati nella epoca delle città” (Giorgio La Pira, 1954).

 

 

Premessa. La sintesi di federazione e di societas nella cittadinanza municipale romana

 

Il punto di partenza per intendere la questione attuale della relazione tra Comuni, Repubblica e Federazione si trova nel diritto romano di cittadinanza, quale ‘esce’ dal bellum sociale del 90-89 a.C. Tale bellum è speculare, cioè l’uguale rovesciato del bellum Latinum di due secoli e mezzo prima. Nel bellum Latinum i Romani sono vincitori e ai cittadini delle Città federate (soci) è imposto di farsi cittadini romani. Nel bellum sociale, invece, i Romani sono sconfitti ed i soci impongono di essere fatti cittadini romani. Il populus Romanus e la respublica Romana non inglobano (anche con la violenza) le città federate, facendone dei Municipi; al contrario: sono le civitates foederatae che entrano (anche con la violenza) nel populus Romanus e nella respublica Romana ottenendo di diventare Municipi.

Le fonti romane sui Municipi possono sembrare, a volte, contraddittorie e ci imbattiamo in oscillazioni e problemi termi-nologici ma, dopo il bellum sociale, il sistema giuridico-religioso romano della respublica è (ovverosia: “si scopre e si manifesta”) esso stesso intrinsecamente federativo. Come scrive persino Mommsen[1]: “Désormais le peuple romain est plutôt légalement une confédération de toutes les cités des citoyens[2]. Grazie – anche – al bellum sociale, nel diritto romano si produce una sintesi delle categorie (peraltro appartenenti ad una logica unica) di federato e di cittadino: i federati diventano cittadini ma i cittadini diventano o si scoprono federati. La categoria unica, di sintesi, è la categoria di soci.

Il processo di formazione del sistema municipale proseguirà nei secoli successivi, ma già nel secolo I a.C. sono presenti gli elementi per una concezione della repubblica nella quale il “federalismo societario”[3], essendone l’amalgama più profondo, neppure più è pensabile come un modo specifico e una variante dell’essere repubblica. Gli stessi elementi conducono alla realizzazione di una ‘repubblica dell’impero’ tendenzialmente universale proprio in quanto essenzialmente municipale. L’impero è “municipale” non soltanto per il fatto che tutte le città hanno avuto la cittadinanza e sono state trasformate in municipi ma anche (se non soprattutto) per il diritto federativo–societario che sottostà a quel fatto e che: sia consente/produce il carattere programmaticamente universale dell’Impero romano, sia tende ad escludere il riproporsi del duali-smo tra città federate e municipi, perché l’elemento della federazione è, oramai, compreso nella nozione e nella organizzazione di questi ultimi.

La idea della federazione come modo specifico e variante dell’essere repubblica è – come vedremo – una invenzione recente di un pensiero ‘costituzionale’ di fine-Settecento, che è nato e si è sviluppato in alternativa all’istituto societario, che – in senso proprio – non è repubblicano (oltre che non democratico) e che si ‘perfeziona’ – quindi – nello statualismo ottocentesco.

 

 

1. – La divaricazione medievale tra societas e persona ficta vel repraesentata e l’insorgere della contrapposizione dialettica tra federazioni comunali repubblicane e regni nazionali parlamentari

 

Il contratto di società (del quale il foedus è fonte) è la risposta giuridica romana, sintesi (anche per ragioni cronologiche) della cultura mediterranea antica, alla questione fondamentale della considerazione unitaria dell’“atto umano volontario” posto in essere da una pluralità di persone, in vista (come diciamo noi, giuristi post-pandettisti) delle “costituzione, modificazione o estinzione di diritti soggettivi”.

La soluzione alternativa della stessa questione è la costruzione della “persona ficta vel repraesentata”: sorta durante il secolo XIII, ad opera, sembra, del giurista Sinibaldo dei Fieschi – Papa Innocenzo IV [† 1254], nel contesto e per le esigenze del diritto canonico[4].

Le due soluzioni giuridiche alternative innervano due fenomeni altrettanto alternativi, sviluppatisi in parallelo a partire dal secolo XII. Si tratta del sorgere: 1) delle federazioni repubblicane di comuni[5], sulla base dei municipi antichi[6], e 2) di un nuovo istituto, il ‘Parlamento’, sulla base feudale della curia regis (il consiglio del re) dei regni nazionali[7]. Tra i due fenomeni si stabilisce una dialettica che coinvolge tutta l’Europa. I due fenomeni e le soluzioni giuridiche connesse trovano anche, contemporaneamente, due specie di ‘terre d’elezione’ in due zone diverse ma egualmente periferiche del continente: le valli alpine e una isola del mare del nord, dove si sviluppano separatamente, sino alla epoca contemporanea.

L’inizio della Confederazione svizzera viene fatto risalire al patto associativo di tre comunità rurali, Uri, Schwyz (questo paese ebbe la direzione di quel primo nucleo federativo, da cui l’attuale nome della Svizzera=Schwyzerisch, Schweizerisch) e Unterwalen, le quali, nel 1291, ribadiscono, aggiungendovi una serie di clausole, un patto anteriore di data non precisata: “antiquam confederationis formam iuramento vallatam presentis innovando[8]. La confederazione svizzera non utilizza l’istituto della rappresentanza della volontà ed i deputati dei cantoni vanno alle diete confederali con mandato imperativo, che funziona per mezzo di un istituto che verrà poi ripreso a correttivo dell’istituto rappresentativo: il referendum[9].

Solamente tre anni dopo, nel 1294, Edoardo I d’Inghilterra convoca il primo Parlamento legale inglese, il “Model Parliament”, con un ‘Bill’, nel quale già è presente il divieto del mandato imperativo, chiave di volta del diritto parlamentare inglese e di tutto il parlamentarismo successivo, entrambi impensabili senza la ‘invenzione’ di Sinibaldo dei Fieschi[10]. Il carattere anti-societario del fenomeno parlamentare e della soluzione da esso eletta a proprio principio, sarà reso evidente dai contributi di Thomas Hobbes, nel secolo XVII, con la teorizzazione del Leviatano, necessario per disciplinare il bellum omnium erga omnes, fondato sulla natura dell’uomo homini lupus, e dei cosiddetti Illuministi scozzesi, nel secolo XVIII, con la invenzione della nuova scienza economica, necessaria a giustificare ed a interpretare la competizione inter-individuale in un “mercato” riportato fuori della città[11].

 

 

2. – La continuità moderna nel “federalismo societario” dell’“impero” del Sindaco di Emden Johannes Althusius (Politica Methodice Digesta, 1603-14) e nel “principio” del “contratto di società” della “repubblica” del Cittadino di Ginevra Jean-Jacques Rousseau (Contratto sociale, 1762)

 

Del complesso fenomeno municipale, federativo e repubblicano delle epoche medievale, moderna e contemporanea, menziono ora soltanto due momenti di riflessione teorica, particolarmente significativi proprio rispetto allo schema di lettura qui proposto della vicenda municipale nella epoca antica.

Tra la fine del ’500 e l’inizio del ’600, un grande romanista tedesco Johannes Althusius (Jurisprudentiae Romanae libri duo, 1586) descrive (Politica Methodice Digesta, 1603-1614) la natura e ricostruisce la organizzazione, in termini scientifici, dell’Impero, nell’unico modo che egli (come romanista) conosce: sulla base del potere sovrano di tutti i cittadini, che, in termini federativo-societari, cioè attraverso un sistema di società (“consociationes”) concentriche costruite pattiziamente, conduce dalla pluralità dei singoli cittadini alla unità dell’Impero, montando attraverso le famiglie, le Città e le province.

Il fatto che Althusius non parli di federazione ma di consociazione non ha – giustamente – impedito di vedere in lui il grande teo­rico europeo del federalismo. Ma il suo federalismo è stato definito “societario”[12] e la importanza di questa definizione si percepisce compiutamente soltanto nel contesto interpretativo storico–sistematico che qui proponiamo. Occorre, infatti, intendersi. Il “federalismo” di Althusius è un federalismo intrinseco, costitutivo in forma essenziale e necessaria della respublica, non una ‘variante’, una forma specifica del genus respublica.

Secondo Althusius, ogni repubblica si regge su un contratto di società, i cui membri sono non (soltanto) individui, bensì (anche) collettività. Queste collettività (membri della repubblica intrinsecamente federale) sono le comunità territoriali ma anche comunità di interessi settoriali-funzionali. Il meccanismo di governo (formazione delle decisioni e loro esecuzione) consiste esclusivamente in negoziazioni (condotte a più livelli dal basso verso l’alto) le quali mirano a costruire il consenso sulla base della solidarietà tra una pluralità di attori collettivi autonomi. I principi essenziali della repubblica (intrinsecamente federale) sono dunque tre: 1) il sistema ascendente della formazione della volontà pubblica, 2) il consenso, 3) la solidarietà.

Althusius sviluppa la componente municipale della Politica nella 3a edizione (1614; 1a ed. 1603), durante la sua lunga esperienza di governo (come ‘sindaco’) della Città di Emden.

Ovviamente, Althusius non ricorre agli istituti tra loro connessi della personalità giuridica e della rappresentanza. Sebbene il passaggio della volontà da un livello all’altro avvenga per l’inter-mediazione di “rappresentanti” il sistema althusiano non è ‘rappresentativo’ nel senso ‘parlamentare’ della parola, perché i rappresentanti (“Diener” e non “Herren” dei rappresentati: Max Weber)[13] sono soltanto i mezzi attraverso i quali la volontà di tutti i cittadini perviene al ‘centro’ attraverso sintesi successive.

Nel ’700, il discorso di Althusius è complessivamente ripreso e – per alcuni versi – perfezionato da Jean-Jacques Rousseau nel Contrat social e nel Projet de Constitution pour la Corse (cfr. gli Ecrits sur l’Abbé de Saint-Pierre).

Rousseau perfeziona la idea del contratto di società quale fondamento della respublica, definendolo il principio non soltanto necessario ma anche unico per la costituzione della respublica, ovverosia, di quel populus del quale la res publica ‘è’. Quando il cittadino di Ginevra, Rousseau, deve tradurre la teoria del Contratto sociale in una Costituzione, egli propone una costituzione federativa fondata sulle “pievi” (piccole comunità), mediata dalla esperienza svizzera[14].

 

 

3. – La rottura contemporanea nel “federalismo” statual-rappresentativo (anti-societario) di James Madison (Il federalista, 1787) e di Immanuel Kant (Per la pace perpetua, 1794)

 

Il federalismo societario è elemento proprio, necessario ed esclusivo del ‘fenomeno’ comunale sino alla fine del ’700, quando viene realizzato il connubio – per certi versi ‘mostruoso’ – tra federalismo e fenomeno parlamentare, per mezzo di una teoria separata del ‘federalismo’, prodotta abnormemente nel contesto e nel quadro della riflessione costituzionale anglosassone.

Nel 1787 (riprendendo – nella sostanza – la linea di Edoardo I, che, nel 1294, annulla i Comuni nel ‘Model Parliament’, trasformandoli in suoi meri collegi elettorali) James Madison (Il Federalista, 1788)[15] e Kant (Per la pace perpetua, 1795)[16] costruiscono e teorizzano il “federalismo” come variante estrinseca dello Stato persona, ponendone come condizione necessaria la organizzazione su base rappresentativa. A Madison ed a Kant si deve, infatti, anche la equazione tra Repubblica e sistema rappresentativo, ciò che costituisce il primo della serie di stravolgimenti contemporanei dei significati delle parole-chiave del diritto pubblico, con la conseguenza della anfibologia – oggi imperante – in questa materia[17].

Questo “federalismo” ha alcune caratteristiche importanti, che vanno sottolineate. Si tratta di una costruzione tarda, che rompe con tutta la tradizione federativa precedente, coniugando la federazione con il suo opposto storico e dogmatico: lo ‘Stato’ parlamentare-rappresentativo. È, pertanto, un federalismo antisocietario (tant’è che esso, oltre a produrre divisione anziché unione, risulta porsi in un rapporto funzionale proporzionalmente inverso con il cosiddetto ‘Stato sociale’[18]) e contro il ruolo ‘politico’ delle autonomie, ad iniziare dalle autonomie per eccellenza, che sono i Comuni (tant’è che esso funziona con la divisione della competenza per materie tra stato federale e stati federati[19] ma non con la partecipazione ascendente, lungo i vari livelli della scala delle autonomie, a materie condivise).

Purtroppo, la perdita, da parte della scienza storica–giuridica, della memoria del ‘federalismo’ societario-municipale, essenziale per la costruzione della Repubblica, impedisce ora alla stessa scienza di cogliere (per mancanza di alternativa) anche gli elementi caratteristici dell’unico federalismo a lei noto e produce, in luogo della dialettica vera tra le due soluzioni alternative, la confusione tra un numero enorme (circa 500) di nozioni ‘diverse’ di ‘federalismo’[20].

 

 

4. – Il sistema giuridico latino-americano: ‘cabildos’, confederazione, ‘aldeas’ e municipi (Miranda, Francia, Bolívar e Martí)

 

Nella Rivoluzione Francese, la combinazione di federalismo e municipalismo è ripresa dai giacobini ma – in conclusione – viene battuta assieme ai giacobini. Durante l’’800, tale combinazione resta, tuttavia, presente grazie ad una serie di (pensatori) politici, dei quali ricordo il sardo Giambattista Tuveri, il francese Pierre-Josef Proudhon, vari italiani (Carlo Cattaneo, Giuseppe Ferrari, Carlo Pisacane, Giuseppe Fanelli e Saverio Friscia), i russi Michail Aleksandrovic Bakunin e Pierre Alexievitch Kropotkin.

Qui voglio, però, ricordare soprattutto la attenzione attribuita al federalismo municipale nel costituzionalismo dell’Indipendenza latino-americana.

Gli autori della Indipendenza latino-americana adottano un costituzionalismo di modello esplicitamente romano e ricorrono agli istituti propri di quel modello: i municipi e il tribunato, prima di tutto, ma anche la censura – potere morale e la dittatura[21]. Mi limito ora a un rapido excursus su municipi e federalismo.

Nel 1798, 1801 e 1808, Francisco de Miranda produce tre pro-getti di costituzione, i quali (salvo il primo, ispirato al modello inglese) sono costruiti in forma federale sul nucleo organizzativo offerto dalle città (“cabildos”, “ayuntamientos”)[22]. La convinzione – tanto diffusa quanto erronea – del ‘centralismo’ giacobino, fa apparire sorprendente che “el proyecto de Miranda, impregnado de ideas afrancesadas, defiende también una tesi comunera y federalista que organizaba a toda la América hispana en una federación de municipios libres [i corsivi sono miei]”[23].

Il contributo che viene dalla città di Asunción è partico-larmente interessante. Già un secolo prima, nel 1721, questa città era stata la sede di un movimento indipendentista, che si richiamava al movimento ‘rivoluzionario’ municipale dei ‘Comuneros’, sorto in Spagna nel 1520 e presso il quale la categoria di ‘comunidades’ significava le comunità locali (i municipi-comuni, anzi tutto) ed evocava il ruolo della massa popolare e il bene comune contro élites e privilegi[24]. I ‘Comuneros’ di Asunción costituiscono anteprima non soltanto della Indipendenza latino-americana, ma anche dei movimenti europei in materia di diritti del popolo. Nel 1810 (24 luglio), José Gaspar Rodriguez de Francia, in quanto sindaco della Città di Asunción, sostiene la tesi della caducità del potere monarchico spagnolo ed il ritorno al popolo della sua sovranità originaria e sempre immanente; in quanto membro (in realtà, capo) del Governo della nuova Repubblica indipendente, egli propone (nota del 20 luglio 1811, “opera magistrale di diplomazia estremamente raffinata”) un sistema confederale complesso della “nuestra America” che è stato riconosciuto come totalmente differente (per i suoi antecedenti nella seconda Scolastica) dal federalismo nord-americano ed il cui primo livello è costituito da repubbliche – popoli – città ed il secondo da nazioni – province[25].

Particolarmente significativo, per ragioni molteplici e ovvie, è, quindi, il contributo di riflessione scientifica e di proposizione legislativa di Simón Bolívar[26]. Questi, nel proprio pensiero costi-tuzionale, fa riferimento sistematico ai modelli inglese moderno e romano antico per concludere a favore del diritto romano, da lui definito “base de la legislación universal” e il cui studio egli raccomanda. Nel Discorso al Congresso costituente di Bolivia (1826), ove prende più chiaramente partito a favore del sistema giuridico romano antico, egli raccomanda “Tened presente, Legisladores, que las Naciones se componen de las ciudades y de las aldeas; y que del bienestar de éstas se forma la felicidad del Estado”. Al Congreso de Panamá (22/06-15/07/1826), Bolívar propone il Tratado de Unión, Liga y Confederación perpetua delle Repubbliche Americane, che costituisce documento basico della dottrina costituzionale bolivariana[27].

Nel 1871, il costituzionalista e costituente argentino Juan Bautista Alberdi (Peregrinación de Luz del Día o viajes y aventuras de la verdad en el Nuevo Mundo) individua il dilemma costituzionale americano nella scelta (che egli definisce “razziale”) tra la “libertà moderna anglo-americana” (che egli definisce “parlamentare”) e la “libertà antica romana–latina”[28].

In uno scritto del 1891, il padre della Indipendenza della Repubblica di Cuba, José Martí, risolve questo dilemma indicando nella istituzione municipale romana la radice e la vita della libertà della “América nuestra”: “El municipio es lo más tenaz de la civi-lización romana, y lo más humano de la España colonial … por los municipios, en las más de las colonias, entró en la libertad la América. Esa es la raíz y esa es la sal de la libertad: el municipio. El templa y ejercita los caracteres, él habitúa al hombre al estudio de la cosa pública, y a la participación en ella, y a aquel empleo diario de la autoridad por donde se aquilata el temple individual, y se salvan de sí propios los pueblos”[29].

Meritano, inoltre, una menzione i contributi del presidente della Repubblica dell’Uruguay, Bernardo Prudencio Berro (1860-1868), sulla “necesidad del régimen municipal”, i quali ruotano attorno ad un suo notevole progetto di legge (appunto sul “régimen municipal”) del 1861[30].

 

 

5. – La crisi dello Stato parlamentare contemporaneo, la rivoluzione dei rapporti ‘politici’ all’interno e all’esterno delle autonomie municipali e la loro attualità: “Siamo [ri-]entrati nella epoca delle città” (Giorgio La Pira, 1954)

 

Negli ultimi anni la scienza giuridica (ma anche quella economica e quella politologica) hanno denunziato la “crisi dello Stato”. La bibliografia connessa è troppo vasta e troppo nota perché un romanista si faccia carico di ricostruirla[31]. Occorre, piuttosto, osservarne, dal punto di vista del Diritto romano, l’approccio limitato ed equivoco.

Approccio ‘limitato’ perché vede una parte sola della crisi: quella sostanzialmente economica della rottura dell’‘involucro’ degli Stati nazionali, che si manifesta nei fenomeni – soltanto apparentemente opposti – della “globalizzazione” e della frammentazione[32]. In realtà, sono colpiti (se possibile, ancora più profondamente) dalla crisi anche gli istituti giuridici essenziali dello Stato: il processo di formazione della volontà ‘pubblica’ (soggetti ed iter)[33] e gli strumenti di difesa della libertà dal potere[34].

Approccio, inoltre, ‘equivoco’ perché, in realtà, in crisi è non lo Stato ma una forma di Stato, precisamente quella parlamentare anti-associativa, utilizzata da Madison e da Kant e sviluppata da Hegel e da Mommsen, nella quale, in luogo dei municipi, troviamo dipartimenti di un potere che, per definizione, è esclusivamente centrale. In questo contesto, l’elemento federativo non soltanto ha un carattere estrinseco ed accidentale ma anche ambiguo e contraddittorio.

A fronte di questo fenomeno negativo complesso di crisi di una certa forma di Stato, assistiamo ad un fenomeno positivo altrettanto complesso di risorgere di elementi di organizzazione politico-giuridica alternativa, i quali tendono quasi naturalmente a ricomporsi in sistema; più precisamente: in quel sistema municipale societario-federativo che era (che è?) la repubblica imperiale romana.

Uno di questi ‘elementi’ è, certamente, la domanda rinnovata di federazione e il ruolo, in essa, delle Città. È noto il rinnovato ruolo politico-economico delle “reti di città”, per il quale è stato coniato il neologismo “glocalismo” e segnalo i progetti della ‘Commissione bicamerale’ italiana (1998) di riforma federale della Costituzione su base municipale e del governo sardo (1995) di riforma della programmazione regionale sempre su base municipale. Senza dimenticare le innovazioni corrispondenti, all’interno dell’ordinamento dei singoli Comuni, introdotte dalla legge italiana (n. 81 del 1993) che ridisciplina con mandato imperativo la elezione del Sindaco e, soprattutto il fenomeno – tuttora non perfettamente istituzionalizzato – dell’“orçamento participativo” nella Città di Porto Alegre, in Brasile, che rinnova la tradizione municipale latino-americana.

Cinquanta anni or sono, quando questi fenomeni ancora dove-vano manifestarsi, il romanista italiano Giorgio La Pira, con capacità profetica, già aveva affermato: “Siamo entrati nella epoca delle città” [35].

 

 



 

[1] Il quale però – occorre ricordare – fa uso, oramai della nozione madisoniana e kantiana del “federalismo”, su cui vedi, infra, paragrafo 3.

 

[2] Th. Mommsen, Droit public romain, tr. fr. di F. Girard, Paris 1889, p. 426.

 

[3] V., infra, nt. 12.

 

[4] Apparatus (Commentaria) in quinque libros decretalium, su cui v. F. Ruffini, “La classificazione delle persone giuridiche in Sinibaldo dei Fieschi (Innocenzo IV) ed in Federico Carlo di Savigny”, in Scritti in onore di Francesco Schupfer, II, Torino 1898, pp. 313 ss. (=Id., Scritti giuridici minori, II, Milano 1936, pp. 5 ss.); A. Rota, “La persona giuridica collettiva nella concezione di Sinibaldo dei Fieschi (Papa Innocenzo IV)”, in Archivio storico sardo di Sassari, 3 (1977), pp. 5 ss.; R. Feenstra, “L’histoire des fondations (à propos de quelques études récentes)”, in Tijdschrift vor Rechtsgeschiedenis, 24.1 (1956); cfr. G. Lobrano, “Dell’homo artificialisdeus mortalis dei Moderni comparato alla societas degli Antichi”, in Aa.Vv., Giovanni Paolo II. Le vie della giustizia. Itinerari per il terzo millennio. Omaggio dei giuristi a Sua Santità nel XXV anno di Pontificato (a cura di A. Loiodice-M. Vari), Roma 2003, pp. 161 ss.

 

[5] W. Mager, “Res publica chez les juristes, théologiens et philosophes à la fin du Moyen Age”, in Théologie et droit dans la science politique de l’Etat moderne, Actes de la Table ronde, Ecole française de Rome, Roma 1991, pp. 229 ss.

 

[6] Si noti che, già nel lessico giuridico romano antico, l’aggettivo communis concerne specificatamente i bona dei municipia: cfr. Th. Mommsen, Droit public romain cit., VI.II. 427 nt. 1: “Ulpien, Dig. 50,16,15: Bona civitatis abusive publica dicta sunt; sola enim ea publica sunt quae populi Romani sunt. Inscription de Pompéi, C.I.L. X, 787. C’est pourquoi communis est toujours employé pour la propriété communale aussi bien par Varron (5,21) et Cicéron (Ad fam. 13,11,1; cfr. tome IV, la théorie de la Censure, à la section des Ultro tributa, sur les marchés relatifs à l’entretien des propriétés publiques) que constamment dans le statut de Malaca (p. 247)”.

 

[7] I quali si oppongono alla logica repubblicana, associativa e augescens dei municipi/comuni sia in quanto regna sia per la loro chiusura ‘nazionale’.

 

[8] La espressione è all’art. 2 del patto, il cui testo originale si trova nell’Archivio dei patti federali di Svitto. In proposito, v. Storia della Svizzera (a cura di M. Ducrest), tr. it. di C. Biasca e G. Tignola, Locarno 1989; cfr. Il medioevo nelle carte. Documenti di storia ticinese e Svizzera dalle origini al secolo XVI (a cura di G. Chiesi), edito dallo Stato del Cantone Ticino 1991; L. Kern, “Notes pour servir à un débat sur le pacte de 1291”, in Rivista storica Svizzera, 9 (1929), pp. 340 ss.; La costituzione federale Svizzera (a cura di V. Gueli), [=Collana di testi e documenti costituzionali promossa dal Ministero della Costituente], Firenze 1947.

 

[9] I delegati potevano prendere decisioni valide su argomenti per i quali avevano istruzioni precise. Se i delegati avevano soltanto un mandato generale, ne discutevano e votavano, ma ad ratificandum (ossia con riserva di ratifica dai loro governi). Oppure i delegati portavano con sé la deliberazione cantonale (o un riassunto detto Abschied) consegnando il tutto a chi di dovere ad referendum. Vedi La costituzione federale Svizzera cit., p. 12 n. 1; E.R. Papa, Storia della Svizzera. Dall’antichità ad oggi. Il mito del federalismo, Milano 1993, p. 44.

 

[10] Come i Parlamenti che lo hanno preceduto, anche il Parlamento inglese si costituisce fondamentalmente per mezzo dell’inserimento dei ‘rappresentanti’ dei Comuni (la futura Camera dei Comuni) nella Curia regis feudale. Il Parlamento inglese differisce dai Parlamenti precedenti proprio per il ricorso originario e mai venuto meno al divieto di mandato imperativo (ovverosia: obbligo alla plena potestas) di tali rappresentanti, ciò che determina la dequalificazione dei Comuni da enti ‘politici’ in meri collegi elettorali. Tale operazione, resa possibile sul piano teorico dalla novità giuscanonistica della persona ficta vel repraesentata, è agevolata dal fatto della mancata risorgenza dei Comuni inglesi dell’epoca (su cui v. R. Villari, Storia medievale, 6a ed., Bari 1988, pp. 171 ss.). In generale, v. J.P. Galvao De Sousa, “Sulla rappresentanza politica. VI”, in Cristianità (1992), p. 212.

 

[11] Una caratteristica di questo filone economicista è proprio la alterazione della nozione di società, sia da parte della sua componente originaria liberista (Adam Ferguson, Saggio sulla storia della società civile, 1767) sia da parte del­la componente derivata dei vari “socialismi”: “utopico”, “scientifico”, “reale”.

 

[12] Th.O. Hüglin, Sozietaler Föderalismus: die politische Theorie des Johannes Althusius, Berlin-New York 1991.

 

[13] M. Weber, Wirtschaft und Gesellschaft. Grundriss der verstehenden Soziologie (1922), 5a ed., (hrsg. von J. Winckelmann), III, prgf. 22, Tübingen 1976, p. 172, a proposito della “gebundene Repräsentation”: i “‘Repräsentanten’ sind in Wahrheit: Beamte der von ihnen Repräsentierten” ed essa è il “Surrogat der in Massenverbänden unmöglichen unmittelbaren Demokratie”; ibidem, a proposito della “freie Repräsentation”: “Der Repräsentant, in aller Regel gewählt …, ist an keine Instruktion gebunden, sondern Eigenherr über sein Verhalten. Er ist pflichtmäßig nur an sachliche eigene Ueberzeugungen, nicht an die Wahrnehmung von Interessen seiner Deleganten gewiesen” e “der von den Wählern gekorene Herr derselben, nicht: ihr ‘Diener’ ist … Diesen Charakter haben insbesondere die modernen parlamentarischen Repräsentationen angenommen”; cfr. p. 173 “Nicht die Repräsentation an sich, sondern die freie Repräsentation und ihre Vereinigung in parlamentarischen Körperschaften ist dem Okzident eigentümlich”.

 

[14] L. Hecketsweiler, “Lex et populus: ‘enracinement’ par Rousseau de deux concepts de droit romain dans l’identité agraire corse. I” (comunicazione presentata al “128e congrès national des sociétés historiques et scientifiques” sul tema “Relations, échanges et coopérations en Méditerranée”, Bastia avril 2003, i cui atti non sono stati ancora pubblicati): “Rousseau reprend ici le modèle de la démocratie rustique fournit par les cantons primitifs de la Suisse, dont il avait cité pour la première fois les assemblées populaires – les Landsgemeindes – au Livre IV du Contrat (IV,1). Cfr. Stelling-Michaud (S.), ‘Introduction’ au Projet, O.C. [=Oeuvres Complètes, Paris 1964], III, p. CCXI”.

 

[15] Come noto, Madison non è l’unico autore del Federalista. Terminata la redazione della costituzione degli Stati Uniti, restava da acquisire la approvazione da parte dei singoli Stati. In particolare, appariva restio lo Stato di New York e, al fine di motivare la opinione pubblica di questo Stato, Alexander Hamilton, segretario di Washington, James Madison, il futuro presidente, e John Jay, ex-presidente del Congresso, pubblicarono durante il 1788, sotto il comune pseudonimo di ‘Publio’, ben ottantacinque articoli nei giornali nuovaiorchesi. Attualmente, si ritiene che Hamilton abbia scritto 51 articoli, Madison 29 e Jay 5 ma vi è anche chi crede che il solo Hamilton abbia scritto 63 articoli. In ogni caso, condivido la opinione per cui l’autore di maggiore spessore giuridico è Madison.

 

[16] I. Kant, “Zum ewigen Frieden. Ein philosophischer Entwurf” (in Id., Werke [hrsg. von E. Cassirer], VI, “Schriften von 1790-1796”, Berlin 1914, pp. 434 ss.; cfr. la edizione milanese di Feltrinelli con Prefazione di Salvatore Veca, traduzione di Roberto Bordiga e con un saggio di Alberto Burgio): “Erster Definitivartikel zum ewigen Frieden. Die bürgerliche Verfassung in jedem Staa­te soll republikanisch sein. … das repräsentative System, in welchen al­lein eine republikanische Regierungsart möglich”.

 

[17] Kant, dopo Madison, sviluppa il fortunato quanto ingannevole paradigma della contrapposizione (in luogo della distinzione, invece corretta) tra ‘democrazia’ e ‘repubblica’, sul postulato del carattere intrinsecamente rappre-sentativo di questa ultima. Anzi, secondo Kant, poiché la categoria di ‘repubblica’ coincide, in senso proprio con la ‘forma regiminis’ rappresentativa, le repubbliche degli antichi sono “sogennanten Republiken” (Kant, loc. cit.). Sulla storia sette- e ottocentesca della mutevole relazione tra le categorie di democrazia e di repubblica, v. G. Lobrano, Res publica res populi. La legge e la limitazione del potere, Torino 1994, pp. 223 ss.; cfr. ora, R.J. Ribeiro, “Democracia versus república”, in Pensar a República [organizador N. Bignotto], Belo Horizonte 2000, pp. 13 ss.; N. Bignotto, Origens do republicanismo moderno, Belo Horizonte 2001; P. Dubouchet, De Montesquieu le moderne à Rousseau l’ancien. La démocratie et la république en question, Paris-Montreal-Budapest-Torino 2001.

 

[18] Vedi T. Martines, Diritto costituzionale, 9a ed., Milano 1997, p. 940 e, con riferimento specifico all’ordinamento americano, per il quale sono stati teorizzati inizialmente i concetti di federalismo cooperativo e ‘dual federalism’ ad opera di Corwin (prima della seconda guerra mondiale) e di Grodzing (negli anni ’60), vedi G. Morbidelli-L. Pegoraro-A. Reposo-M. Volpi, Diritto costituzionale italiano e comparato, 2a ed., Bologna 1995, p. 401.

 

[19] A. Reposo, “Stato federale”, in Enciclopedia giuridica Treccani, 30, Roma 1999, p. 3.

 

[20] W.H. Stewart, Concepts of Federalism, Lanham (MD) 1984; cfr. Ugo M. Amoretti, “Il Federalismo e le sue conseguenze”, in Aa.Vv., Statuti regionali e federalismi. Riflessioni e proposte (=Presente e futuro. Periodico semestrale dell’Associazione tra ex Consiglieri regionali della Sardegna, [14 dicembre 2002) Cagliari 2002, p. 22.

 

[21] Vedi Aa.Vv., Dittatura degli antichi e dei moderni (a cura di G. Meloni), In­troduzione” di C. Nicolet, Roma 1983; Aa.Vv., Garibaldi. Esperienza americana e repubblica romana, Sassari 1991 [volume VIII.1 della serie dei “Materiali” del Progetto speciale CNR di ricerca su “Italia-America Latina”].

 

[22] Vedi I progetti costituzionali di Francisco de Miranda (1798-1808) Testi e index verborum (a cura di Paola Mariani-L. Parenti), Roma 1998; cfr. M. Batllori S.J.-P. Catalano, “Acerca de los proyectos constitucionales del general Miranda: conceptos jurídicos romanos y realidad americana”, comunicazione presentata al III Congreso Latinoamericano de Derecho romano, Bogotá 1981.

 

[23] A. Colomer Viadel, Constitución Estado y Democracia en el umbral del siglo XXI, Valencia 1995, p. 77, il quale osserva che l’“empeño [di Miranda] en adaptarse al modelo francés fue incluso rechazado por Bolívar”. Colomer (ibidem, pp. 76 s.) ricorda che anche un altro ‘afrancesado’, il cileno Francisco Bilbao, propagandista, nei primi anni del secolo XIX, delle idee della Rivoluzione francese in America, difende “la independencia de todos los intereses y derechos locales en lo relativo a sus localidades; movimiento federalista en un principio anulado después por la reacción unitaria en todo América y que hoy vuelve a continuar triunfante” (F. Bilbao, El evangelio américano y paginas selectas, Barcelona s.a.; cfr. J. Delgado, La inde-pendencia hispanoamericana, Madrid 1960, pp. 38 ss.).

 

[24] M. Briceño, Los comuneros, Bogotá 1977; J. Pérez, Los comuneros, Madrid 2001, in part. pp. 39 ss. Si noti che nel settembre 1999, l’XI Congreso Latinoamericano de Parlamentos Municipales, tenutosi dal 16 al 18 settembre 1999 a Ciudad de Este (Paraguay), con partecipanti dall’Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Paraguay, Uruguay e Venezuela, è stato salutato come “Los comuneros del siglo XXI” che “reverdecieron los ideales de los Comuneros de Antequera y Castro, de los rebeldes de Artigas; de la grandeza de Bolívar y San Martín y del espíritu de Tiradentes” e “Paraguay fué, así, un hito repetido en esta historia de la utopía comunera que hizo definir a las municipalidades como las instancias insoslayables de la democracia directa, es decir: de la efectiva descentralización del Estado” (dal quotidiano paraguagio el Día, 23/09/99, 11).

 

[25] V. Frankl, “El jusnaturalismo tomista de fray Francisco de Vitoria como fuente del plan de confederación hispanoamericana del dr. José Gaspar de Francia”, in Revista de historia de América (dell’Instituto Panamericano de geografía e historia, México), nn. 37-38 Ene. Dic. (1954), pp. 162 ss. Per la verità, Frankl, nel connettere il federalismo di Francia al pensiero della ‘seconda Scolastica’, lo differenzia anche dal pensiero rousseauiano. A me sembra, invece, che Rousseau sviluppi e perfezioni il pensiero di autori della ‘seconda Scolastica’, quali, ad esempio, il gesuita Suárez, che con il suo De legibus ac Deo legislatore (1612) di chiara ispirazione nella dottrina ciceroniana, afferma la sovranità popolare sulla base della conformazione societaria del popolo. Non vanno, per altro, dimenticati i precedenti costituiti – nel secolo XIV – da Bartolo da Sassoferrato (autore della formula civitas sibi princeps superiorem non recognoscens) e da Marsilio da Padova (che afferma la fonte della legge e, quindi, della sovranità, nella volontà popolare) entrambi dipendenti dalle dottrine gius-romanistiche in materia di populus (anche attraverso giuristi quali Irnerio e Bulgaro) ed entrambi legati alla esperienza comunale. A questi autori faranno capo tanto Francisco Suárez quanto Johannes Althusius.

Su Francia, vedi P. Catalano, Modelo institucional romano e Independencia: República del Paraguay. 1813–1870, Asunción 1986; cfr. il n. 1 dell’Anuario dell’‘Instituto de Investigaciones Históricas’ del Paraguay, Asunción 1979, dedicato a Dr. José Gaspar Rodriguez de Francia; il n. V/I dei Rendiconti delle Ricerche giuridiche e politiche del Progetto Italia-America Latina del CNR su Pensiero e azione del Dr. Francia. Aspetti di diritto pubblico. I, Sassari 1991 (ivi: la “Nota introduttiva” di P. Catalano e G. Recchia e l’articolo di M.S. Al’perovič, “Influencia de los institutos de Roma antigua sobre la estructura del Estado del Paraguay”) e la raccolta Cartas y decretos del dictador Francia (a cura di A. Viola), edita dalla Universidad Católica di Asunción e giunta al tomo IV, Asunción 1991. Sulle concezioni ‘societarie’ della cosiddetta ‘seconda Scolastica’, v. Teresa Rinaldi, “Origine e finalità della società politica nel De Legibus di Francisco Suárez”, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, 78 n. 2 (2001), pp. 169 ss.

 

[26] Sulla dottrina costituzionale bolivariana, ricordo, prima di tutto, i tre volumi di Anna Maria Bartoletti Colombo-L. Brusual Afonso-L. Zelkovich Perera, Léxico constitucional bolivariano (a cura di ASSLA–Associazione di Studi Sociali Latino-Americani e di Sociedad Bolivariana de Venezuela), 3 voll., Napoli 1983, con “Prefazione” di P. Catalano e vari volumi dei Quaderni Latinoamericani (Serie di studi e ricerche sociali edita per iniziativa dell’ASSLA) in particolare, i volumi: VIII, Rivoluzione Bolivariana. Istituzioni, lessico, ideologie, Napoli 1981 (ivi P. Catalano, “Tribunado, censura, dictadura: conceptos constitucionales bolivarianos y continuidad en América Latina” [già Mérida, s.a. ma 1978]); IX-X, Rivoluzione Bolivariana. Prospettive italiane, Napoli 1983; XI, Modello romano e formazione del pensiero politico di Simón Bolívar. Testi costituzionali (a cura di Manuela Sassi), I, Napoli 1994 (ivi P. Catalano, “Conceptos y principios del derecho público romano de Rousseau a Bolívar”). Ricordo inoltre Aa.Vv., Pensamiento constitucional de Simón Bolívar, Bogotà 1983; J.J. Corderos Ceballos, Bolívar y la vigencia del poder moral, Caracas 1988; Aa.Vv., Il “potere morale” tra politica e diritto. L’esempio di Simón Bolívar, Sassari 1993, pp. 181 [Materiali de Progetto speciale “Italia-America Latina” XI – ASSLA]; P. Catalano, “Principios constitucionales bolivarianos: origen y actualidad”, en El nuevo Derecho Constitucional Latinoamericano (R. Combellas coord.), II, Caracas 1996.

 

[27] E su cui esiste una ricca bibliografia. Ricordo: D.F. O’Leary, El Congreso Internacional de Panamá en 1826: desgobierno y anarquía de la Gran Colombia, Madrid 1920; M. de Pradt, Congreso de Panamá, Bogotá 1926; P.A. Zubieta, Congresos de Panamá y Tacubaya: breves datos para la historia diplomática de Colombia, 1912, 2a ed., Bogotá 1926; A. Silva Otero, El Congreso de Panamá, Caracas 1969; J. Pacheco Quintero, El Congreso Anfictiónico de Panamá y la política internacional de los Estados Unidos, Bogotá 1971; L. Barceló Sifontes, Contribución a la bibliografía sobre el Congreso Anfictiónico de Panamá, Caracas 1976; F. Cuevas Cancino, Del Congreso de Panamá a la Conferencia de Caracas, Caracas 1976; Oficina Central de Información, Documentos históricos del Congreso Anfictiónico de Panamá, Caracas 1976; M. Pérez Vila y A. Oscar Arango, El Congreso de Panamá en el ideal bolivariano, Caracas 1976; F.A. Vargas, El Congreso Anfictiónico de Panamá y su proyección hacia el futuro de la América, Caracas 1976; J.M. Yepes, Del Congreso de Panamá a la Conferencia de Caracas, Caracas 1976; A. Townsend Ezcurra, Las ideas de Bolívar en la integración de los pueblos latinoamericanos; El Congreso Anfictiónico de Panamá y su significación actual para los países latinoamericanos, Caracas 1980; P. Ortega Díaz, El Congreso de Panamá y la unidad latinoamericana, 2a ed., Caracas: s.n., 1982; R. Caldera, Pedro Gual, el Congreso de Panamá y la integración latinoamericana, 3a ed., Caracas 1983; Ángela Cedeño, Bibliografía sobre Bolívar y el Congreso de Panamá, Panamá 1983; A. Valero Martínez, Pedro Gual en México 1826-1828 y las causas de la clausura del Congreso Anfictiónico de Panamá: según 65 documentos inéditos; investigación, compilación, redacción y notas introductorias de Édgar Gabaldón Márquez, Quito-Guayaquil 1989; Margarita Mendoza Cubillo, El pensamiento confederativo de Simón Bolívar en las Naciones Unidas, 2 voll., Guayaquil 1990.

 

[28] Vedi G. Lobrano, Diritto pubblico romano e costituzionalismi moderni, Sassari 1989 (versione in lingua spagnola edita a Bogotá nel 1990), pp. 61 ss.

 

[29] J. Martí, “Un libro del Norte sobre las Instituciones Españolas en los Estados que fueron de México”, in El Partido Liberal, México 25-11-1891, ora in Id., Obras completas, 7, Nuestra América, La Habana 1975, p. 59 (recensione del saggio Spanish Institutions of the Southwest di F.W. Blackmar) “De España le vinieron a México sus instituciones coloniales: y de Roma le vinieron a España las suyas: sólo que, como Blackmar dice sagazmente, Roma respetó la constitución del país donde hallaba … Y a Roma va a buscar Blackmar el origen de las instituciones de California. Ve persistente en América, a pesar de la rebelión sorda y secular y salvadora del indio, la ley romana que persistió en España, a pesar de godos y moros y triunfó al fin de ellos. El municipio es lo más tenaz de la civilización romana, y lo mas humano de la España colonial … Allá en Buenos Aires, cuando San Martín ¿no se llamaban decuriones los regidores? Allá en Cuyo magnifica, donde San Martín pensó en pasar los Andes, y organizó el paso San Martín, allá en su Cuyo, hizo los que los Romanos: no tocó las instituciones nativas, obtuvo todo lo que pedía, no sólo porque era justo, sino porque lo pedía por las autoridades propias del país, y conforme a las instituciones y nombres del país. Sobre los indios puso España a Roma: por eso anda así la América. Pero del municipio no se ha de decir mal, porque por un municipio, el de Mostéles, volvió España a la fuerza y decoro que depuso siglos atrás, y por los municipios, en los más de las colonias…; cfr. Id., frammento “161”, in Obras Completas cit., 22, Fragmentos, p. 98: “Sajones y latinos. – tomemos uno y otro: de aquéllos, los hábitos corporales, de éstos, las obras del intelecto maravilloso; el sajón para los campos: el latino para los Liceos. Para las artes prácticas, el hombre del Norte; para las excelencias artísticas y literarias, el del Mediodía. Así, reuniendo las dos civilizaciones, aprovechamos sus ventajas, nos ingeriremos de las dos savias, y sobre ellas, encumbraremos nuestra nueva entidad ame-ricana. ¿Superiores los sajones, y tardaron 6.000 años desde su venida da la India sin adquirir civilización propia? ¿Y César halló desnudos a los Bretones, armados de mazas, que nos pinta Goldsmith? ¿Y no conocían la propiedad, cuando tenían el mismo tiempo de existencia que Roma, y Roma pintaba como en Grecia y esculpía como en el tablero de Praxíteles? ¿Qué literatura es la de ahora, apoderada de la [salto nel testo per rottura della carta] le da forma a antiguas tradiciones. Con la unidad política i nacional, ha creado la exist.a intelectual. Tiene más fuerza, pero su inteligencia es más perezosa. Su mate-rialismo es más activo, nuestra moralidad es infinitamente superior.” (cfr. E. Valdés Lobán, “El constitucionalismo romano-latino en la obra de José Martí”, in Archivio storico giuridico di Sassari, 6 n.s. [1999], e, più in generale, V. di Cagno, Martí jurista, La Habana 2003).

 

[30] Id., Escritos selectos (a cura di Juan E. Pivel Devoto, Ministro de Instrucción pública), Montevideo 1966, pp. 284 ss.

 

[31] Faccio una eccezione per il contributo di N. Irti-F. Margiotta Broglio, La crisi dello Stato moderno, Firenze 1992. È interessante, infatti, nella produzione di Irti, la sensibilità per una serie di problemi che il romanista coglie come centrali nella attualità; ad esempio, oltre la crisi dello Stato “moderno”, la questione del nesso diritto-luoghi e la questione del rapporto tra diritto ed economia (N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Roma 1998; N. Irti-E. Baffi ed altri, Diritto ed economia: problemi e orientamenti teorici, Padova 1999).

 

[32] Cfr. M. Luciani, “L’antisovrano e la crisi delle Costituzioni”, in Scritti in onore di Giuseppe Guarino, II, Padova 1998, pp. 731 ss.

 

[33] In due ondate successive, che si collocano dopo la prima e dopo la seconda guerra mondiale, la scienza giuridica del ’900 rimette progressivamente in discussione la dottrina della rappresentanza, che fonda la istituzione parlamentare, con un ‘crescendo’, che giunge sino alla sua negazione. Max Weber, nel 1922, Hans Kelsen, nel 1925 e Carré de Malberg, nel 1931, ri–constatano la inconciliabilità della partecipazione democratica con la rappresentanza politica. Costantino Mortati, nel 1975, afferma lo stesso a proposito della nostra costituzione. Tra gli anni ’50 e gli anni ’70, arriva la ri–constatazione della stessa inconsistenza–inesistenza della rappresentanza politica. La prima ad operarla è la filosofa tedesca di origine ebraica, Hannah Arendt, la quale, riflettendo sulle istituzioni dello Stato moderno ri–scopre la inconsistenza logica della dottrina della rappresentanza politica e la attualità delle istituzioni politiche antiche, con la loro dimensione “spaziale” nella ‘città’. I giuristi arrivano, più tardi, alle stesse conclusioni critiche. L’argentino Jorge Reinaldo Vanossi, nel 1972, lo statunitense Heinz Eulau, nel 1978, lo spagnolo Torres del Moral, nel 1982, l’italiano Domenico Fisichella, nel 1983, quindi, gli stessi dizionari giuridici (almeno quelli italiani: la Enciclopedia del Diritto [Damiano Nocilla e Luigi Ciaurro], nel 1987, e la Enciclopedia giuridica [Giuseppe Ferrari], nel 1991) negano addirittura la possibilità di definire la nozione della rappresentanza politica e, nel 1992, il venezuelano M. Dos Santos si chiede “¿Que queda de la representación política?”. Infine, lo statunitense Bruce Ackerman, nel 2000, oltre le osservazioni critiche sulla rappresentanza politica avanza anche una proposta positiva alternativa, che consiste in un vero e proprio ritorno al potere legislativo popolare, attraverso l’istituto dei referendum, lasciando al Parlamento soltanto il potere normativo proprio dell’esecutivo. Cfr. G. Lobrano, “Dalla rete di Città dell’‘Impero municipale romano’, l’alternativa al pensiero unico statualista anche per la Costituzione europea”, in Aa.Vv., Roma la convenzione ed il futuro dell’Europa, Milano 2003, pp. 44 ss.

 

[34] Il politologo ed economista austriaco/statounitense Friedrich August von Hayeck, nel 1973, dichiara “evidentemente fallito” il tentativo di assicurare la libertà individuale con lo strumento, di modello inglese, della separazione dei poteri e l’estensore della relazione della Commissione bicamerale italiana per la riforma del Titolo V della Costituzione, nel 1993, afferma che “il principio della divisione dei poteri è completamente esaurito e non serve più”. Cfr. G. Lobrano, “Del Defensor del pueblo al Tribuno de la plebe: regreso al futuro”, in Roma e America. Diritto romano comune, 14 (2002).

 

[35] Nel discorso “Valeur des Villes”, pronunziato da La Pira, allora Sindaco di Firenze, a Ginevra nel 1954. La riflessione di La Pira sulle città prosegue con i discorsi di Parigi (1967 “Unire le città per unire le nazioni”), di Leningrado (1970 “Far convergere le città per far convergere le nazioni”), di Torino (1971 “Sanare le città per sanare le nazioni”), di Sofia (1972 “La riemergenza storica dell’Europa”). La Pira è stato a lungo presidente, della “Federazione mondiale delle Città Gemellate”, da lui ribattezzata “delle Città Unite”: eletto una prima volta nel congresso di Parigi, del 1967, verrà confermato in quello di Leningrado, del 1970, e in quello di Dakar, del 1973 (v. G. La Pira, Il sentiero di Isaia, Firenze 1979; cfr. G. Lobrano, “Prefazione” a Autonomia, regioni, città. Passato e futuro del Mediterraneo (a cura di G. Lobrano),  (=Quaderni Mediterranei, 8), Cagliari 2004, pp. 9 ss. e ancora Id., “La cooperazione tra autonomie nel Mediterraneo, a partire dalle Città”, ibidem, pp. 29 ss.).