ds_gen N. 7 – 2008 – Memorie//MMD-Giuramento-plebe-Monte-Sacro

 

Gabrielli-foto-cvChantal Gabrielli

Università di Firenze

 

Debiti e secessione della plebe

al Monte Sacro

 

 

Sommario: 1. Tradizione storiografica. – 2. “Scioperi militari”. – 3. Natura dell’indebitamento nel V secolo a.C. – 4. Conclusioni.

 

 

1. – Tradizione storiografica

 

Un’analisi della tradizione storiografica sulla prima secessione plebea ha portato a rilevare alcune considerazioni. Livio e Dionigi di Alicarnasso riportano come causa scatenante l’inizio della secessione sul Monte Sacro, nel 495 a.C., la triste vicenda di un centurione indebitato. Il miles, dal momento che nel testo latino compare l’espressione ordines duxisse, scappato dalla prigionia del suo creditore, cui era stato costretto insieme ai figli[1], era corso nel Foro e qui, mostrando sul proprio corpo i segni visibili di una lunga sofferta detenzione, iniziò a raccontare la sua storia[2]. Mentre era impegnato negli scontri contro i Sabini, il suo podere era stato oggetto di una devastazione nemica. Il raccolto era andato perduto, la fattoria bruciata, il bestiame asportato ed ogni bene saccheggiato. L’imposizione di un tributo lo costrinse a indebitarsi, ma l’usura lo portò alla vendita dei suoi averi, fino a diventare nexus del proprio creditore[3].

Bisogna tener presente che la dissestata situazione economica di chi, pur essendo indebitato, veniva ugualmente arruolato, poteva, in teoria, migliorare con la spartizione del bottino alla fine di ogni scontro militare. Purtroppo risulta indimostrabile in che misura la distribuzione della preda fosse realmente incisiva nella risoluzione dell’indebitamento. Le disparità sociali avranno continuato a permanere anche fra i soldati, alcuni dei quali, per il loro basso livello economico e quindi per il loro semplice armamento, potrebbero non aver ricevuto quel quantitativo necessario che avrebbe permesso loro di riscattarsi di fronte al creditore, continuando così ad essere indebitati. La divisione della preda era, comunque, soggetta alla discrezionalità del comandante e proprio sulla distribuzione del bottino si saranno manifestate questioni di disciplina, di rapporto comandante/soldati, soprattutto in conseguenza della progressiva democratizzazione dell’esercito, dove nuovi strati sociali affluiti nell’organizzazione militare chiedevano di partecipare ai benefici delle ricchezze conquistate.

Ritornando alla secessione, secondo il racconto liviano, altri cittadini indebitati avrebbero seguito l’esempio del centurione e sarebbero giunti, creando scompiglio, nel Foro, mostrando anch’essi sul proprio corpo i segni di una forzata detenzione[4]. Tale episodio è del tutto assente in altre fonti[5], che relazionano sempre la secessione sul Monte Sacro al diffuso indebitamento dei cives romani, datandola però al 494 a.C. mentre era dictator M. Valerio. Cicerone parla di ex aere alieno commota civitas[6], due elogia del dictator M. Valerio, di età augustea o di epoca successiva, confermano il suo coinvolgimento nella vicenda e ricordano il suo ruolo in favore della plebe oppressa dai debiti: [Faenore gravi] populum sen[atus] hoc auctore l[iberavit] e Plebem de sacro monte deduxit ... Faenore gravi populum senatus hoc eius rei auctore liberavit[7]. Anche nelle opere di Sallustio si trova conferma della connessione tra debiti e secessione plebea. Lo storico denuncia in relazione alla secessione forti tensioni sociali nell’Urbe, presentando una plebe vessata dai patres con autorità tirannica e soprattutto oppressa dai debiti ovvero maxime fenore oppressa. Il pesante indebitamento era causato sia dalle imposte che dal servizio militare cui la plebe non poteva esimersi per via delle guerre continue: cum assiduis bellis tributum et militiam simul toleraret[8]. Infine nella premessa del primo libro sulle Guerre Civili lo storico Appiano, nel tratteggiare il disegno generale della sua opera, muove dall’osservazione che il contrasto fra plebe e senato non fosse arrivato in età antica a lotta armata, perché i dissensi, anche aspri, si componevano nell’ambito delle leggi. In un momento di massima tensione interna la cui natura del contrasto non è specificata, ma è facilmente riconducibile o alla cancellazione dei debiti o alla divisione dell’agro pubblico, la plebe in armi si ritira sul Monte Sacro. Lì raggiunge con il Senato un accordo stabile senza commettere alcuna azione violenta, ma con l’istituzione di una magistratura specifica, il tribunato della plebe, che tutelasse i diritti del popolo e ne proteggesse gli interessi[9].

 

 

2. – “Scioperi militari”

 

Un aspetto interessante è il fatto che la prima secessione plebea si inserisca nella successione cronologica degli avvenimenti dell’alta repubblica fra due episodi di opposizione al dilectus (498 a.C. - 494 a.C.). Lo schema narrativo degli episodi, riportati unicamente da Livio e Dionigi di Alicarnasso, si configura da un punto di vista evenemenziale molto simile, ed un’analoga situazione si ripresenta anche nel IV secolo a.C. (380 a.C. - 378 a.C.).

In un contesto di costante attrito nei confronti di popolazioni italiche limitrofe, dove il territorio italico subiva, a seconda dell’esito degli scontri militari, ridimensionamenti o ampliamenti di variabile entità, a Roma i contrasti sociali si acuirono ed assunsero l’inusuale forma di "scioperi militari": ad dilectum nemo responderet. In tre casi i cives indebitati si oppongono ai continui arruolamenti, impediendo dilectu, richiesti per far fronte agli scontri militari contro Volsci e Latini; mentre in un caso l’arrivo improvviso dei Prenestini alle porte di Roma impone una rapida chiamata di leva, nonostante l’opposizione dei cittadini.

La dinamica permane la medesima: la pressione di una guerra esterna e l’acutizzarsi di una crisi economico-sociale interna alla città. L’invio continuo di plebei sommersi dai debiti contro nemici sempre nuovi, ovvero il logorio di un reclutamento prolungato spinse una parte di cives a non entrare fra le file dei milites, non rispondendo alla chiamata di leva. Il rifiuto all’arruolamento ha, quindi, un significato politico, ma l’arrivo improvviso dei nemici alle porte di Roma fuga in alcuni casi temporaneamente ogni attrito interno[10].

A tale scontento si cerca di porre rimedio con la concessione di facilitazioni alla plebe, ricorrendo all’azione personale di un gruppo di senatori e all’intervento più incisivo di un console, che promulga un editto. Proroga delle scadenze dei debiti, interruzione dei processi per insolvenza, divieto di trattenere i debitori o i loro familiari e di venderne i beni costituiscono parte delle misure prese. E così indipendentemente dalle motivazioni insite nel conseguimento di questa politica, e cioè opportunismo, mire demagogiche, convinzioni democratiche, necessità militari, tali misure ebbero sicuramente un effetto lenitivo sulla rabbia sociale dei cittadini indebitati, che alla fine non interposero più alcun ostacolo alla chiamata di leva, eo laxamento plebi sumpto mora dilectui non est facta, ma optarono per l’arruolamento.

La difficoltà maggiore che si presenta nell’analisi di questi episodi nasce dal fatto che il problema dei debiti è, in periodo alto-repubblicano, spesso associato alle rivendicazioni agrarie antecedenti all’età dei Gracchi. E se quest’ultime, presenti nella tradizione con una certa continuità cronologica fin dall’inizio del V secolo a.C., sono considerate da taluni falsificazioni mutuate dalla tarda annalistica graccana e sillana, e soprattutto, fra gli annalisti del I secolo a.C., da Licinio Macro, bisogna ammettere che negli anni successivi alla caduta della monarchia l’economia romana avrà subito con molta probabilità una battuta di arresto[11]. Sottrattasi all’influenza etrusca, Roma avrà perso temporaneamente la sua funzione di centro strategico fra le regioni centrali e meridionali. Chi ne avrà risentito di più sarà stata sicuramente quella frangia della plebe che aveva investito le sue energie nelle attività commerciali, nell’artigianato e nell’industria. E sintomo di questo peggioramento fu appunto l’accentuazione del nexum. In tale contesto di dissesto sociale e temporanea crisi economica devono almeno inserirsi i primi due episodi di opposizione all’arruolamento.

Il primo rifiuto risale al 498 a.C.[12]. La cittadinanza chiamata alle armi contro i Latini si oppose alla leva, portando come causa il peso insostenibile dei debiti contratti e la certezza che a conclusione dello scontro militare, indipendentemente dalla vittoria su nemici esterni, sarebbe stata trascinata in carcere dai propri creditori. A nome di alcuni senatori M. Valerio Publicola propose che venissero rimessi i debiti, ed il risultato fu una proroga delle scadenze per la loro riscossione a conclusione della guerra contro i Latini. A distanza di tre anni, nel 495 a.C., la plebe si rifiutò di combattere contro i Volsci. Il Senato, preoccupato per questo diniego, si appellò al console Servilio. Questi, dopo aver pronunciato un discorso persuasivo, avvalorò le sue parole con l’emanazione di un editto, che lenisse la gravosità dei debiti, contioni deinde edicto addidit fidem. Venne stabilito che nessun cittadino romano fosse trattenuto in catene o in prigione, in modo da permetterne l’arruolamento nell’esercito. Inoltre nessuno poteva occupare o vendere i beni di un miles, finché questi fosse in servizio né trattenere come pegno i suoi figli o nipoti. Dionigi[13] precisa che ai creditori non era permesso avere come nexi i familiari dei milites sulla base di un contratto. La condizione giuridica dei figli dati come nexi rimanda ad una singolare normativa presente nelle XII Tavole, cioè il riconoscimento dell’annullamento della patria potestas del padre che avesse venduto per tre volte il figlio[14]. Probabilmente i patres delle famiglie più indigenti ricorsero all’esercizio dello ius vendendi, in momenti di ristrettezza economica, cedendo temporaneamente i figli come forza lavorativa sia ai grandi possessores di agri che ai piccoli imprenditori, artigiani e commercianti[15]. Si trattava in pratica di un "affitto" del proprio figlio e della sua capacità lavorativa.

Comunque appena venne reso pubblico il provvedimento di Servilio, i debitori in gran numero accorsero a prestare il giuramento militare, per combattere contro i Volsci[16]. Dalla disposizione dell’editto si deduce, quindi, la necessità di tutelare i nexi ed il loro status libertatis, cioè i loro diritti e doveri di cittadini, implicando con ciò soprattutto l’obbligo di leva, dal momento che, per opposizione degli stessi creditori, erano impossibilitati a partecipare alle attività militari della civitas[17]. Di una forzata e terribile prigionia, dolorosa per le continue torture, racconta il centurione indebitato comparso nel Foro a denunciare la sua misera condizione, ductum se ab creditore non in servitium, sed in ergastulum et carnificinam esse[18]. Nell’imminenza della guerra contro i Volsci la plebe indebitata che ha scelto il nexum per assolvere il proprio debito si rammarica di percepire la propria libertà più sicura in guerra che in pace, fra i nemici piuttosto che fra concittadini a cui erano sottoposti da un regime di restrizioni e soffocante dipendenza[19]. E così la sospensione dell’assoggettamento al creditore, garantita dall’editto, e posta forse in termini di un’interruzione temporanea del nexum, ebbe come conseguenza l’immediato arruolamento dei debitori. In un passo successivo sullo scontro contro i Volsci[20], Livio, infatti, menziona la presenza di nexi nelle file dell’esercito. Inoltre nel 494 a.C. il dictator Manio Valerio, di fronte al pericolo di un nuovo attacco di Volsci insieme a Equi e Sabini, memore dei precedenti "scioperi militari" e consapevole dei continui contrasti fra patrizi e plebei, emanò un editto analogo a quello del console Servilio. Ed il risultato fu appunto la completa adesione alla leva[21].

 

 

3. – Natura dell’indebitamento nel V secolo a.C.

 

Dalla testimonianza di Dionigi di Alicarnasso[22] si ricava che il problema dei debiti fosse presente fin dall’età monarchica, intorno alla metà del VI secolo a.C., e che il re Servio Tullio avesse sentito il bisogno di ovviare al dilagante indebitamento nella cittadinanza, pagando personalmente i debiti contratti da cives romani. Troviamo menzione di tale "regale" generosità già in Cicerone[23], e una distribuzione di denaro da parte di Servio Tullio alla plebs è ricordata anche in Zonara[24]. La sola documentazione letteraria non può, però, essere ritenuta prova sufficiente per avvalorare la storicità della notizia e pone il quesito se è plausibile giustificare una datazione così alta del fenomeno debiti e soprattutto rimanda alla necessità di definire l’iniziale natura del debito[25].

 Ritrovamenti di lingotti e pani di bronzo in pianura padana, Etruria, Lazio, parte della Campania e Sicilia, risalenti al VI secolo a.C.[26], attestano archeologicamente la diffusione di una forma di economia premonetale, cioè un sistema "pre-coinage", basato su barre di bronzo, come unità monetaria di riferimento, del peso di una libbra, il cosiddetto aes[27], ma non possono attestare per quell’epoca la natura monetaria dei debiti. Secondo una plausibile ricostruzione del tenore di vita arcaico, l’indebitamento doveva essere originariamente legato a prestiti di derrate di grano, utensili da lavoro, quantitativi di semi, bestie da soma e forse anche lotti di terra. In una società agricola come quella romana si contraevano debiti di questa natura, per garantire concretamente la sopravvivenza propria e quella della famiglia. Motivazioni di natura pragmatica spingevano la gente a chiedere in prestito tali beni; ma quando a questo tipo di prestiti si siano affiancati i prestiti in denaro non è dato sapere. I ritrovamenti in tutta Italia di pani di bronzo né tantomeno fonti letterarie, che attestino l’esistenza di multe pecuniarie già nel V secolo a.C.[28], costituiscono prova sufficiente per datare al VI o al V secolo a.C. anche l’inizio di prestiti monetari. Peppe[29] non ha alcun dubbio sulla scarsa credibilità dei racconti storici sui debiti nel 495-494 a.C., sostenendo che «il problema dei debiti investe la società romana con violenza solo intorno alla metà del V secolo; l’attribuzione al 495-494 di tale problema con quelle caratteristiche è frutto di una interpretazione successiva che collega l’origine del tribunato con il ricordo dell’esistenza di un pesante indebitamento nel V sec. che si concretava nell’esistenza di numerosi nexi». È anche vero, però, che per il V secolo a.C. la prima codificazione romana, cioè le XII Tavole, ricostruite attraverso la testimonianza di autori come Aulo Gellio o Festo e databile al 451-450 a.C.[30], attestano l’esistenza di una normativa che regolava i rapporti fra debitore e creditore[31].

 

 

4. – Conclusioni

 

L’analisi dell’aes alienum nell’alta repubblica ha implicato, quindi, l’utilizzo di una storiografia che di per sé rappresenta, proprio per la sua natura stratigrafica, un coacervo di filtri interpretativi che rischiano di alterare l’oggettiva incidenza e importanza di questa realtà economica e sociale. Si tratta, infatti, di usare una tradizione che ha visto confluire racconti storici che si sono succeduti nel tempo, dalla prima annalistica di età repubblicana alla storiografia di età augustea. Tale stratigrafia di fonti ha portato alla sedimentazione, nello sviluppo evenemenziale del racconto storico, di una serie di giudizi deformanti sulla realtà, soprattutto sociale ed economica, di Roma arcaica. Riuscire a liberarsi dai filtri interpretativi di una storiografia antica così complessa, da non poter dipanare con facilità le maglie delle distinte correnti annalistiche che in lei sono confluite e si alternano, rappresenta uno dei compiti più ardui della storiografia moderna[32]. L’analisi di una tradizione storiografica non omogenea, ma solcata profondamente dalla concorrenza di varie posizioni annalistiche di segno gentilizio e da opposte tendenze interpretative rivela il travaglio di una storiografia che si trova a riflettere su un’esperienza arcaica con tutto il carico di uno sviluppo istituzionale ormai compiuto.

È innegabile che certi racconti storici che presentano la figura del centurione indebitato, che denuncia la sua triste sorte abbiano spesso una connotazione esemplare e possano rivelare un’effettiva trasposizione di una realtà inesistente in quei termini nel V secolo a.C., ma presente con molta probabilità nel IV secolo a.C. È anche vero, però, che l’indebitamento a Roma, pur delineandosi come fenomeno di massa, senza protagonisti capaci di lasciare alcuna traccia scritta del proprio dissesto economico, fu endemico e generalizzato, e rappresentò una dura realtà per gran parte dei cittadini romani soprattutto per i piccoli proprietari terrieri. Così, pur notando criticamente alcuni elementi anacronistici nella tradizione letteraria sugli episodi relativi al problema dei debiti, mi pare condivisibile la posizione di studiosi come Cornell[33] e Savunen[34] che, nonostante i limiti della documentazione storiografica, ammettono l’esistenza dell’indebitamento fra i cives nell’Urbe già nel V sec. a.C.

 

 



 

[1] Dion. Hal., 6,26,1.

 

[2] Liv., 2,23,4. Il motivo del centurione indebitato si ritrova in Livio (6,14,3-8) anche in una vicenda del 385 a.C. connessa a M. Manlio Capitolino. 

 

[3] Liv., 2,23,3-7: Magno natu quidam cum omnium malorum suorum insignibus se in forum proiecit. Obsita erat squalore vestis, foedior corporis habitus pallore ac macie perempti; ad hoc promissa barba et capilli efferaverant speciem oris. Noscitabatur tamen in tanta deformitate, et ordines duxisse aiebant, aliaque militiae decora volgo miserantes eum iactabant; ipse testes honestarum aliquot locis pugnarum cicatrices adverso pectore ostentabat. Sciscitantibus unde ille habitus, unde deformitas, cum circumfusa turba esset prope in contionis modum, Sabino bello ait se militantem, quia propter populationes agri non fructu modo caruerit, sed villa incensa fuerit, direpta omnia, pecora abacta, tributum iniquo suo tempore imperatum, aes alienum fecisse. Id cumulatum usuris primo se agro paterno avitoque exuisse, deinde fortunis aliis; postremo velut tabem pervenisse ad corpus; ductum se ab creditore non in servitium sed in ergastulum et carnificinam esse. Inde ostentare tergum foedum recentibus vestigiis verberum.

 

[4] Liv., 2,23,8: Nexi vincti solutique se undique in publicum proripiunt, implorant Quiritium fidem; 2,23,10-11: At in eos multitudo versa ostentare vincula sua deformitatemque aliam. Haec se meritos dicere exprobrantes suam quisque alius alibi militiam...

 

[5] Cic., rep., 2,58; D.C., 4 fr. 17; Zonar., 7,14; Inscriptiones Italiae XIII 3 nos. 60 (Roma); XIII 3 nos. 78 (Arezzo) = CIL XI 1826. Cfr. Dion. Hal., 6,41,2-3; 6,45,3; 6,46,3; 6,83,4-5. Liv., 2,31,7-9: Ita trifariam re bello bene gesta, de domesticarum rerum eventu nec patribus nec plebi cura decesserat; tanta cum gratia tum arte praeparaverant faeneratores quae non modo plebem, sed ipsum etiam dictatorem frustrarentur. Namque Valerius post Vetusi consulis reditum omnium actionum in senatu primam habuit pro victore populo, rettulitque quid de nexis fieri placeret. Quae cum reiecta relatio esset, ‘Non placeo’ inquit ‘concordiae auctor; ...Quod ad me attinet, neque frustrabor ultra cives meos neque ipse frustra dictator ero.

 

[6] Cic., rep., 2,58: Nam cum esset ex aere alieno commota civitas, plebs montem sacrum prius, deinde Aventinum occupavit.

 

[7] Inscriptiones Italiae XIII 3 nos. 60 (Roma): [Faenore gravi] populum sen[atus] hoc auctore l[iberavit]. Sellae curuli[s locus] ipsi posteri[sque ad] Murciae s[pectandi] caussa pub[lice datus] est. Prin[ceps in senatum] semel l[ectus est]. Inscriptiones Italiae XIII 3 nos. 78 (Arezzo) = CIL XI 1826: M. Valerius Volusi f. Maximus, dictator, augur. Primus quam ullum magistratum gereret, dictator dictus est. Triumphavit de Sabinis et Medullinis. Plebem de sacro monte deduxit, gratiam cum patribus reconciliavit. Faenore gravi populum senatus hoc eius rei auctore liberavit. Sellae curulis locus ipsi posterisque ad Murciae spectandi caussa datus est. Princeps in senatum semel lectus est.

 

[8] Sall., hist. frg., I,11: ... discessio plebis a patribus ... domi fuere iam inde a principio ... Dein servili imperio patres plebem exercere, de vita atque tergo regio more consulere, agro pellere et ceteris expertibus soli in imperio agere. Quibus saevitiis et maxime fenore oppressa plebes, cum assiduis bellis tributum et militiam simul toleraret, armata montem sacrum atque Aventinum insedit tumque tribunos plebis et alia iura sibi paravit. Sall., Iug., 31,17: Maiores vostri parandi iuris et maiestatis constituendae gratia bis per secessionem armati Aventinum occupavere... Sall., hist. Frg., 3,48,1: ... quas ob iniurias et quotiens a patribus armata plebes secessisset utique vindices paravisset omnis iuris sui tribunos plebis; Sall., ep. ad Caes., 2,5,2: Itaque saepius in civitate secessio fuit semperque nobilitatis opes deminutae sunt et ius populi amplificatum; Sall., Catil., 33,3: Saepe ipsa plebs, aut dominandi studio permota aut superbia magistratuum, armata a patribus secessit. Le secessioni armate della plebe avvennero nel 494 a.C. sul Monte Sacro, nel 449 a.C. sull’Aventino e nel 287 a.C. sul Gianicolo.

 

[9] App., BC, I,1,1-2.

 

[10] Liv., 6,27,3-28,3.

 

[11] Per un’analisi critica, attraverso un corretto approccio metodologico, alla storiografia su Roma arcaica vd. E. GABBA, Roma arcaica. Storia e storiografia, Roma 2000, spec. il saggio Problemi di metodo per la storia di Roma arcaica, 11-23 e la recensione al testo di U. LAFFI in Athenaeum, 90, 2002, 239-247. Cfr. D. MUSTI, Tendenze nella storiografia romana e greca su Roma arcaica. Studi su Livio e Dionigi di Alicarnasso, in QUCC, 10, 1970, 1-160; G. POMA, Gli studi recenti sull’origine della repubblica romana. Tendenze e prospettive della ricerca 1963-73, Bologna 1974, 92.

 

[12] Dion. Hal., 5,63,2; 5,64,1-2; 5,65,1; 5,69,2. In Dion. Hal., 5,66-68 viene riportato il discorso di Appio Claudio Sabino in merito alla gravità dell’indebitamento. L’abolizione dei debiti sarebbe stata pericolosa, perché avrebbe implicato una rottura dell’equilibrio economico cittadino, così come un atteggiamento permissivo nei confronti della plebe si sarebbe rivelato infruttuoso. A tutto ciò si aggiunge la polemica verso i debitori incapaci nella maggior parte dei casi di estinguere i propri debiti per scarsa previdenza.

 

[13] Dion. Hal., 6,29,1; cfr. 6,26,1.

 

[14] Tav. IV,2.

 

[15] L. CAPOGROSSI COLOGNESI, La struttura della proprietà e la formazione dei iura praediorum nell’età repubblicana, Milano 1969, 221 ss.; ID., Alcuni problemi di storia romana arcaica: Ager publicus, gentes e clienti, in BIDR, 83, 1980, 29-65; F. SERRAO, Diritto privato Economia e Società nella storia di Roma, I, Napoli 1984, 226. Cfr. M. WEBER, Storia economica e sociale dell’antichità. I rapporti agrari, Roma 1981, (Agrarverhältnisse im Altertum, Die sozialen Gründe des Untergangs der antiken Kultur, da Gesammelte Aufsätze zur Sozial- und Wirtschaftsgeschichte, Tübingen 1924), 247 nt. 37. Sul fatto che in realtà non si trattasse di una vendita, ma piuttosto di una temporanea cessione quasi di un "affitto" vd. T. J. CORNELL, The Beginnings of Rome. Italy and Rome from the Bronze Age to the Punic Wars (c.1000-264 BC), London-New York 1995, 280-283 e A. WATSON, Rome of the Twelve Tables, Princeton 1975, 119-120. Sulla severità delle istituzioni romane ed il carattere imperiosus della relazione che correva tra padre e figlio insiste M. Bettini, Antropologia e cultura romana. Parentela, Tempo, Immagini dell’anima, Roma 1986, 18-26; sulla base di Dionigi di Alicarnasso (2,27,1 ss.) lo studioso sosteneva che «a Roma il potere del padre sul figlio fosse superiore a quello di un padrone sul proprio servo. Il servo, infatti, poteva riscattarsi ed essere libero, mentre il figlio, pur "venduto", viveva sempre sotto la patria potestas e solo alla terza vendita poteva dirsi libero». Cfr. E. PERUZZI, Origini di Roma, I, Firenze 1970, 150 ss.

 

[16] Liv., 2,24,1; 2,24,6-8; Dion. Hal., 6,27-6,29,1; Zonar., 7,14.

 

[17] R. M. OGILVIE, A Commentary on Livy. Books 1-5, Oxford 1965, 301 (24,6): «The underlying principle of the edict is that the nexus retains his civic rights and obligations. These extended beyond military service». Confronta B. ALBANESE, Le persone nel diritto privato romano, Palermo 1979, 397 nt. 235: i nexi rimanevano liberi e cittadini, e non subivano alcuna capitis deminutio; F. SERRAO, Diritto privato Economia e Società nella storia di Roma, I, cit., 243; V. GIUFFRÈ, Sull’origine della bonorum venditio come esecuzione patrimoniale, in Labeo, 39, 1993, 349 nt. 111. Diversamente M. R. DE PASCALE, In servitium per debiti e partecipazione all’exercitus, in Index, 24, 1996, 289-300.

 

[18] Liv., 2,23,6.

 

[19] Liv., 2,23,2: Fremebant se foris pro libertate et imperio dimicantes domi a civibus captos et oppressos esse, tutioremque in bello quam in pace et inter hostes quam inter cives libertatem plebis esse...

 

[20] Liv., 2,25,3.

 

[21] Liv., 2,30,3; 2,30,6.

 

[22] Dion. Hal., 4,9,6-7; 4,10,2; 4,11,2.

 

[23] Cic., rep., 2,38.

 

[24] Zonar., 7,9.

 

[25] Per E. GABBA, Studi su Dionigi da Alicarnasso. II. Il regno di Servio Tullio, in Athenaeum, n.s. 39, 1961, 100 (rist. in ID., Roma arcaica. Storia e storiografia, cit., 110), il discorso del monarca con la promessa di risanare i debiti dei cittadini indigenti e di proibire il nexum è esemplato su i più celebri modelli dell’eloquenza tribunizia con situazioni, problemi e motivi propri delle lotte sociali e dell’epoca graccana. Contro la storicità della vicenda si schiera anche R. THOMSEN, King Servius Tullius. A Historical Synthesis, Copenhagen 1980, 241-242. 

 

[26] M. H. CRAWFORD, Coinage and Money under the Roman Republic, London 1976, 3-16; G. COLONNA, Basi conoscitive per una storia economica dell’Etruria, in Contributi introduttivi allo studio della monetazione etrusca, Atti del Convegno del CISN, Napoli 20-23 aprile 1975, in AIIN, Suppl. 5, 1977, 3-23; P. ORLANDINI, Lo scavo del Thesmophorion di Bitalemi e il culto delle divinità ctonie a Gela, in Kokalos, 12, 1966, 25 tav. XXV; ID., Gela. Depositi votivi di bronzo premonetale nel santuario di Demetra Thesmophoros a Bitalemi, in AIIN, 12-14, 1965-1967, 1-20, su un frammento di aes signatum vd. tav. XIII, 2. Sulla cronologia di Bitalemi vd. L. BREGLIA, A proposito dell’aes signatum, in AIIN, 12-14, 1965-67, 269-275 e sul deposito con analoghi frammenti di bronzo a Terravecchia vicino Grammichele (Catania) vd. E. PERUZZI, Money in Early Rome, Firenze 1985, 217.

 

[27] La circolazione nel corso del VI secolo a.C. di pesi metallici standard è confermata dallo studio di A. J. NIJBOER, From Household Production to Workshops. Archaeological Evidence for Economic Transformation, Pre-monetary Exchange and Urbanisation in Central Italy from 800 to 400 BC, Groningen 1998, 301-338. Lo studioso ipotizza un’unità di peso di circa 341 gr., dopo un’accurata analisi di due pesi, noti come Roman-Oscan pound e Campanian pound, ritrovati nella città latina di Satrico in distinti contesti archeologici, datati l’uno alla seconda metà del VII secolo e l’altro a cavallo fra VII e VI a.C. Cfr. A. NIJBOER, A Pair of Early Fixed Metallic Monetary Units from Borgo Le Ferriere (Satricum), in Num. Chron., 154, 1994, 1-16. Sul ritrovamento di pesi standard in contesti templari vd. B. KISCH, Scales and Weights. A Historical Outline, New Haven 1965, 6, 150. Inoltre l’analisi comparativa del peso recuperato dal relitto dell’imbarcazione naufragata nel VI secolo a.C. nella Baia di Campese all’Isola del Giglio confermerebbe l’indicazione di 341 gr. come unità di peso. Vd. M. BOUND, The Pre-classical Wreck at Campese Bay, Island of Giglio, in Studi e Materiali. Scienza dell’antichità in Toscana, Roma 1991, 6, 181-244.

 

[28] Le leggi Aternia Tarpeia (454 a.C.) e Menenia Sestia de multa et sacramento (452 a.C.) stabilirono che le ammende potessero essere pagate anche in rame e fissarono il corrispondente valore in metallo di una pecora o di un bue (Gell., Noc. Att., 11,1,2; Fest., De verb. signif., 268,270 s.v. Peculatus (ed. Lindsay); Liv., 3,65,1; Cic., rep., 2,60; Dion. Hal., 10,48,1; 10,50,2; Plin., nat., 7,28,101; 18,3,11; 33,1,1). Il testo decemvirale confermò quanto stabilito da questi provvedimenti legislativi (Tav., I,14), mentre la lex Iulia Papiria de multarum aestimatione (430 a.C.) impose definitivamente pagamenti in rame e non in bestiame (Fest., De verb. signif., 220 s.v. Ovibus (ed. Lindsay); Liv., 4,30,3; Cic., rep., 2,60). Sulle leggi vd. G. ROTONDI, Leges publicae populi Romani, Milano 1912, 200-201, 211-212; J. GAGÉ, La lex Aternia, l’estimation des amendes (multae) et le fonctionnement de la commission décemvirale de 451-449 av. J.-C., in AC, 47, 1978, 70-95.

 

[29] L. PEPPE, Studi sull’esecuzione personale I. Debiti e debitori nei primi due secoli della repubblica romana, Milano 1981, 265.

 

[30] Per fonti sul codice decemvirale, commento al testo e apparato critico vd. M. H. CRAWFORD (ed.), Roman Statutes, «BICS» Suppl. 64 (1996), II, 578-581, 590-591, 652-656 (recensione di B. SANTALUCIA in AJAH, 15.2, 2001, 139-154).

 

[31] M. WEBER (Storia economica e sociale dell’antichità. I rapporti agrari, cit., 282-283) interpretò la dura normativa delle XII Tavole come un inasprimento dell’antico diritto delle obbligazioni. Attraverso un’actio in personam veniva riconosciuta al creditore la possibilità di attuare in giudizio la sua pretesa sul debitore inadempiente secondo l’opinione di W. EDER, The Political Significance of the Codification of Law in Archaic Societies: An Unconventional Hypothesis, in K. A. RAAFLAUB (ed.), Social Struggles in Archaic Rome. New Perspectives on the Conflict of the Orders, Berkeley 1986, 262-300.

 

[32] Per una recente rassegna bibliografica delle ultime pubblicazioni su Roma arcaica, caratterizzate spesso da filtri interpretativi troppo radicali soprattutto su problematiche spinose come la dicotomia nella società romana fra patrizi/plebei vd. F. HINARD, Rome. Des origines à la fin de la République, in RH, 298.2, 1998, 409-440, spec. 415-419. Di fondamentale importanza rimangono i testi di J. C. RICHARD, Les origines de la plèbe romaine. Essai sur la formation du dualisme patricio-plébéien, BEFAR 232, Parigi-Roma 1978; F. DE MARTINO, Diritto e società nell’antica Roma, Roma 1979.

 

[33] T. J. CORNELL, The Beginnings of Rome. Italy and Rome from the Bronze Age to the Punic Wars (c.1000-264 BC), cit., 266-267, 332 sulla legislazione anti-usura del IV secolo a.C. commenta così: «Some of the details of these various reports may seem anachronistic or improbable, but there is no reason in general to doubt that the debt relief was the object of much legislation in this period».

 

[34] L. SAVUNEN, Debt Legislation in the Fourth Century B.C., in AA. VV., Senatus Populusque Romanus. Studies in Roman Republican Legislation, Helsinki 1993, 144: «However, as the debt problem is a recurrent theme in the historical tradition concerning the Struggle of Orders, it is in my opinion, much more than a product of anachronistic reflections».