N. 7 – 2008 – Monografie

 

Cap. I della monografia: Elisabetta G. Rosafio, Studio sul contratto di noleggio, Aracne Editrice, Roma 2008, 163 pp. ISBN 978-88-548-1847-7.

Indice Sommario

 

Elisabetta G. Rosafio

Università di Teramo

 

Il contratto di noleggio nella sistematica

dei contratti di utilizzazione della nave

e dell’aeromobile

 

 

Sommario: 1. Il contratto di noleggio nella sistematica dei contratti di utilizzazione. Il problema del suo inquadramento. – 2. Inquadramento del noleggio nell’ambito della categoria dogmatica della locatio operis. – 3. Il contratto di noleggio nella distinzione tra impiego tecnico ed impiego commerciale della nave.

 

 

1. Il contratto di noleggio nella sistematica dei contratti di utilizzazione. Il problema del suo inquadramento.

 

L’art. 384 cod. nav. definisce il noleggio come il contratto con il quale «l’armatore, in corrispettivo del nolo pattuito si obbliga a compiere con una nave determinata uno o più viaggi prestabiliti, ovvero, entro il periodo convenuto, i viaggi ordinati dal noleggiatore alle condizioni stabilite dal contratto o dagli usi» ([1]).

Al noleggio di nave gli articoli da 384 a 395 del codice della navigazione dedicano una espressa, anche se non ampia, normativa; per il noleggio di aeromobile, il testo originario dell’art. 939 cod. nav. prevedeva, con una soluzione analoga a quella adottata per la locazione di aeromobile, un pressoché integrale richiamo agli articoli relativi al noleggio di nave ([2]).

In questo contesto normativo, si è inserita la riforma alla parte aeronautica del codice della navigazione, attuata per mezzo del d. lgs. 9 maggio 2005 n. 96 ed del successivo d. lgs. 15 marzo 2006 n. 151 ([3]), che ha inciso notevolmente, in generale, sulla disciplina dei contratti di utilizzazione, e, per quanto in questa sede interessa, su quella inerente al contratto di noleggio di aeromobile, riservandogli un capo autonomo, il secondo, inserito nel titolo I Dei contratti di utilizzazione dell’aeromobile del Libro III Delle obbligazioni relative all’esercizio della navigazione della Parte II Della navigazione aerea.

In particolare, sotto la rubrica Norme applicabili, l’art. 940 cod. nav. n.s. (analogamente all’originario art. 939 cod. nav.) dispone l’operatività nei confronti del noleggio di aeromobile delle corrispondenti norme della parte marittima, ma (e qui risiede l’aspetto nuovo) alla condizione che non siano derogate dalle disposizioni del capo in cui esso è inserito. I successivi articoli da 940 bis a 940 quater cod. nav. n.s. incidono, infatti, con una disciplina ad hoc, sulla forma del contratto (che è scritta ad probationem), sulla facoltà del noleggiante di sostituire in ogni momento l’aeromobile designato nel contratto con altro di caratteristiche e capacità equivalenti o superiori, e, infine, sulla responsabilità verso i terzi per le obbligazioni contratte in relazione all’impiego commerciale del mezzo ([4]).

Su tali disposizioni avremo occasione di tornare nel prosieguo di questo lavoro al fine di valutare se esse possano essere di aiuto alla chiarificazione dei rapporti intercorrenti tra noleggiante e noleggiatore, e non ultimo, alla enucleazione della natura giudica del contratto di noleggio stesso.

Può, comunque, fin da subito riflettersi sul fatto che il legislatore della riforma sembrerebbe orientato a ribadire l’attualità della categoria dei contratti di utilizzazione, come prevista nel codice del 1942, attribuendole un rinnovato vigore con l’ampliamento delle disposizioni da riferirsi al noleggio di aeromobile e con la creazione di un capo ad esso esclusivamente relativo, analogamente a quanto si verifica per la locazione ed il trasporto ([5]).

E questo dato appare anche più interessante considerando che in precedenti progetti di riforma della parte aeronautica del codice della navigazione si era, invece, pensato di semplificare la sistematica dei contratti di utilizzazione, mantenendo la locazione ed il trasporto e sopprimendo, invece, il noleggio di aeromobile, non ritenuto rispondente alla moderna pratica dei traffici ([6]).

Nell’ambito di tale tipo, da un punto di vista soggettivo, come è pacificamente riconosciuto, non si assiste ad alcun trasferimento detentivo della nave ([7]).

Almeno dall’impostazione risultante dalla lettura di cui all’art. 384 cod. nav., non può dubitarsi che armatore è e rimane il noleggiante ([8]), il quale per l’appunto, deve far navigare la nave.

Semmai· occorrerà domandarsi se, oltre a tale ruolo, quest’ultimo rivesta, in virtù del particolare assetto degli interessi che specificamente sono posti in essere, anche una ulteriore e differente posizione afferente, ad esempio, alla custodia delle merci (caricate dal noleggiatore sul mezzo) ([9]), tanto da connotare ulteriormente la sua obbligazione, facendole assumere caratteristiche analoghe a quelle proprie del vettore e, quindi, del trasporto ([10]).

Una prima notazione è opportuna.

Il codice della navigazione, pur contemplando nella definizione legale del noleggio anche il sottotipo del contratto a viaggio (ex art. 384 c. nav.: «l’armatore, in corrispettivo del nolo pattuito si obbliga a compiere con una nave determinata uno o più viaggi prestabiliti […]») oltre che del noleggio a tempo (ex art. 384 c. nav.: l’armatore, in corrispettivo del nolo pattuito si obbliga a compiere « entro il periodo convenuto, i viaggi ordinati dal noleggiatore alle condizioni stabilite dal contratto o dagli usi») dedica in realtà a quest’ultimo la maggior parte dei successivi articoli ([11]).

In questa ottica, va letta l’intera normativa dedicata al tipo contrattuale qui in esame, nella quale molte disposizioni trovano una loro logica solo tenendo presente la particolare configurazione degli interessi che le parti si prefiggono di raggiungere attraverso la conclusione di un contratto di durata ([12]), ove un parte (il noleggiante) si impegna verso l’altra a compiere un numero imprecisato di viaggi, di cui non conosce a priori neanche il percorso, essendogli noto solamente il tempo durante il quale dovrà mantenere attuale la sua obbligazione. Ciò a differenza di quanto si verifica nel noleggio a viaggio in cui il noleggiante ha pattuito la messa a disposizione della nave per ben determinati viaggi, in ordine ai quali, quindi, conosce non solo il numero ma anche il luogo di partenza e quello di destinazione.

Una conferma di quanto sopra esposto proviene sicuramente dall’articolato codicistico, ove viene prefigurato un noleggiante-armatore che appresta la nave armata ed equipaggiata ed in stato di navigabilità (art. 386 cod. nav.) ([13]), per compiere i viaggi ordinati dal noleggiatore (art. 384 cod. nav., secondo inciso). Su quest’ultimo, come è ovvio, tenuto in debito conto quanto appena detto sul fatto che sarà egli a determinare la concreta attuazione del contratto, gravano le spese relative «all’impiego commerciale della nave» (art. 387 cod. nav.), ferma restando la dipendenza dell’equipaggio dall’armatore-noleggiante. Ciò, del resto, appare perfettamente connaturato alla nozione stessa di armatore, dato che costui, assumendo l’esercizio della nave per farla navigare, deve necessariamente disporre dell’equipaggio come datore di lavoro, stipulando i relativi contratti di arruolamento (art. 326 ss. cod. nav.) o in essi succedendo ex lege, «nel caso di cambiamento dell’armatore della nave» (art. 347 cod. nav.).

Ma v’è di più.

Entrando più nel dettaglio, come sottolineato da attenta dottrina ([14]), l’articolato codicistico sembrerebbe volto a disciplinare le sole ipotesi relative al noleggio di nave ai fini del trasporto di cose e non anche di persone ([15]) «come astrattamente sarebbe pure ipotizzabile».

In tal senso deporrebbero l’art. 385 cod. nav. che «nel prevedere che il contratto debba essere provato per iscritto, prescrive al n. 1, che nella scrittura debba, tra l’altro, essere indicata la portata della nave che ha rilevanza ove si voglia caricare sulla nave delle merci. Ed anche l’art. 393 cod. nav. sarebbe risolutivo in quanto nel disporre che il comandante deve eseguire le istruzioni del noleggiatore in ordine all’impiego commerciale della nave e rilasciare le polizze di carico alle condizioni da lui indicate» acquisterebbe significato solo «ove si attui con la nave, sia pur senza responsabilità per il noleggiante nei termini di cui al 2° comma dello stesso art. 393, un trasporto di cose perché, solo per questo, sono configurabili l’emissione eventuale di polizze di carico ed una gestione commerciale» ([16]).

Su questa interessante prospettazione, il cui nucleo centrale è costituito dalla possibilità oppure no di concepire un’obbligazione del noleggiante sganciata da finalità riconducibili nella tipologia del trasporto e sulla non necessarietà dell’elemento della consegna al fine dell’integrazione della fattispecie da ultimo rilevata, avremo occasione di riflettere nel prosieguo di questo studio, tenuto conto che si tratta di argomentazioni da porsi alla base di ogni ragionamento relativo all’inquadramento giuridico del noleggio.

In questa fase iniziale, è sufficiente dare conto del fatto che la qualificazione ([17]) della natura di tale contratto ha da sempre costituito un problema aperto ed ha impegnato gli studiosi e la giurisprudenza in una ancora non esaurita querelle, nella quale assume determinante rilievo l’individuazione ([18]) e l’enucleazione delle prestazioni cui si obbliga il noleggiante.

In particolar modo, all’indomani dell’emanazione del codice della navigazione, tenuto conto dell’esperienza che proveniva dalla prassi commerciali marittime che sempre più si andavano consolidando, sono state vivacemente dibattute sia la questione relativa alla distinzione tra noleggio e locazione di nave armata ed equipaggiata  ([19]) sia quella – peraltro più centrale rispetto a questo studio – sui confini tra noleggio e trasporto ed al rapporto tra le due figure contrattuali ([20]).

Secondo la Relazione ministeriale al codice della navigazione, paragrafo n. 232 ([21]), il noleggio risulterebbe distinto dai rapporti «limitrofi», in quanto «la qualità di armatore permane nel noleggiante, in nome del quale si svolge la navigazione, mentre i singoli viaggi sono compiuti per conto del noleggiatore. Il fatto del trasporto non risulta giuridicamente dedotto in contratto, sia perché il noleggiatore può servirsi del viaggio a fini diversi dal trasporto (operazioni di pesca, di recupero, di rilevazione scientifica e così via) sia perché l’obbligazione di trasportare può essere eventualmente assunta ad ogni effetto dal noleggiatore verso terzi (caricatori o passeggeri), mentre fra noleggiante e noleggiatore, come è comprovato anche dai formulari, non corre strettamente che l’obbligazione di navigare. È così che il noleggio determina un fenomeno di scissione fra le due figure armatore e di vettore, come la locazione determinava un fenomeno di scissione tra quelle di proprietario e di armatore» ([22]).

A fronte di una definizione legale esplicitata nei termini di cui sopra, vi è stato chi ha considerato il noleggio come un contratto del tutto autonomo e distinto, che sia addirittura idoneo a porsi come espressione di un più ampio tipo contrattuale di diritto comune ([23]). Senza in alcun modo voler approfondire l’argomento ([24]), la cui complessità è tale da meritare ben altro spazio, si può semplicemente precisare che nel diritto comune il contratto di noleggio è un contratto innominato avente ad oggetto il fatto della circolazione con veicolo ([25]).

In senso contrario a questa ricostruzione, non possono poi non ricordarsi coloro che hanno rinvenuto proprio nel contratto di noleggio un sottotipo del contratto di trasporto ([26]).

Coloro che hanno affermato la distinzione tra i due tipi contrattuali ([27]) hanno posto l’accento sulla diversità di prestazione ([28]), dovuta rispettivamente dal noleggiante e dal vettore: mero obbligo di navigare (melius di far navigare il mezzo) per compiere viaggi nel noleggio ([29]) ed obbligo di trasferire beni o persone da un luogo ad un altro (con un mezzo) nel trasporto ([30]), con contestuale assunzione, solo in questa ultima ipotesi, dell’ulteriore obbligo – ed è questo l’aspetto forse maggiormente decisivo – della relativa protezione e/o custodia rispettivamente di persone o cose. Tale sintetica contrapposizione non pare smentita neanche nel caso in cui si ritenga che, accanto all’obbligo di far navigare la nave ([31]), se ne aggiungano di altri, meglio caratterizzanti, quali la messa a disposizione dell’attività dell’equipaggio per l’impiego del noleggiatore e la messa a disposizione dello spazio navale.

Da altra più recente ed originale ricostruzione dottrinale, si è individuato il discrimen tra noleggio e trasporto nel differente carattere del compimento del viaggio che nel noleggio sarebbe finale, mentre nel trasporto assumerebbe le caratteristiche della strumentalità ([32]).

Infatti, nel primo, l’obbligazione del noleggiante si esaurirebbe nel trasferimento della nave, la quale, dunque, costituirebbe l’oggetto della prestazione; nel secondo, invece, posto che l’obbligazione principale del vettore è, invece, quella di trasferire persone o cose, la nave costituirebbe lo strumento necessario all’adempimento prestazione ([33]). Sotto altra prospettiva, già durante la vigenza del codice di commercio del 1882 ([34]), e pur nella differente ottica di tale testo normativo, si era affermata la sostanziale unitarietà del trasporto e del noleggio ([35]).

Una volta emanato il codice della navigazione e stante la più volte ricordata ed ivi presente tripartizione dei contratti di utilizzazione, una parte della dottrina ([36]) ha ripreso tali considerazioni ed ha qualificato il contratto di noleggio come rientrante nella sfera del trasporto ([37]), facendo leva su differenti tesi, alle quali, tuttavia, pur nella particolarità argomentativa che le caratterizza, può essere riconosciuto un sostrato unificatore.

Questo è rappresentato dalla constatazione, più sopra già rilevata, che la (assenza della) consegna delle merci (al noleggiante) rappresenti un elemento non necessario all’identificazione della fattispecie del trasporto, che si sostanzierebbe anche nel caso in cui essa non si verifichi ([38]).

Peraltro, ed assai più incisivamente, occorre rilevare come analoghi problemi di inquadramento ([39]), o per meglio dire di autonomia sistematica, siano stati sollevati anche per il noleggio a viaggio, il quale, è opportuno qui ribadire, se pur previsto dall’art. 384 cod. nav. (il noleggiante si obbliga a compiere con una nave determinata uno o più viaggi prestabiliti) insieme al noleggio a tempo (il noleggiatore si obbliga a compiere con una nave determinata, entro il periodo di tempo convenuto, uno o più viaggi prestabiliti), non è contemplato nelle successive disposizioni del codice che sembrano riferirsi esclusivamente al noleggio a tempo.

Al riguardo è stato ritenuto, per la verità oramai piuttosto unanimemente, che il noleggio a viaggio, così come assai sommariamente previsto dal codice della navigazione, non sembra aver trovato riscontro nella prassi dei traffici marittimi ([40]), perlomeno in tutti quei casi nei quali si venga ad inserire nella vicenda contrattuale una finalità riconducibile in qualche modo al trasporto o, per meglio dire, al trasferimento di cose ([41]), dovendosi pertanto ricondurre nel sottotipo del contratto di trasporto di carico totale ([42]).

Problemi simili ([43]) sono stati sollevati anche in relazione ai contratti per ([44]) charter party, nella tradizionale bipartizione di time charter e di voyage charter ([45]), tipici dei traffici non di linea ed elaborati dalla prassi del commercio marittimo internazionale, la cui funzione principale è quella di trasferire merce per mare ([46]).

La dottrina ([47]), dopo iniziali dubbi ed esitazioni ha inquadrato nel trasporto, di carico totale o parziale, i voyage charters, escludendo la loro configurabilità come noleggio a viaggio ed ammettendo, in conseguenza, l’applicabilità ad essi di quelle norme del codice della navigazione che regolano, per l’appunto, il trasporto di carico totale o parziale. Una posizione parzialmente differente sembra assumere la giurisprudenza ([48]),

Ancora oggi non è invece pacifica la qualificazione giuridica dei time charters ([49]), la cui natura e, in conseguenza, la cui collocazione in un tipo contrattuale in luogo di un altro, ha offerto lo spunto, come è noto, per moltissimi contributi. Anche rispetto al time charter, si è posta la questione se tale contratto debba essere inquadrato nella più ampia figura del trasporto ([50]), o se debba farsi coincidere con il noleggio a tempo, sulla base di una non necessaria coincidenza tra l’obbligazione caratterizzante dell’uno, ovvero la navigazione, rispetto a quella caratterizzante l’altro, ovvero il trasferimento di beni o persone da un luogo ad un altro.

Certo è che la peculiarità della messa a disposizione dell’attività del comandante e dell’equipaggio in favore del charterer in ragione della clausola dell’employment da parte dell’owner rappresenta un primo indice fortemente distintivo del time charter anche rispetto ad (altre eventuali) contratti (e forme) di trasporto. La situazione è ben resa dalle parole di Lord Reid nel noto caso The London Explorer ([51]), il quale così spiega: «A time charter is not a lease nor a contract for the hire of the ship. It is  rather a contract fore the provision of services which services the owners provide through their officers, crew and ship. This is so despite the contrary implication of certain key words used in most standard forms of time charter, such as ‘let’, ‘hire’, ‘delivery’, ‘redelivery’».

Al di là della posizione che si intenda assumere al riguardo, va immediatamente avvertito ([52]), non fosse altro per quanto sopra precisato circa il contratto di noleggio a viaggio, che l’area di operatività dei contratti di utilizzazione della nave che la dottrina riconduce al noleggio appare assai meno netta e più limitata di quella che il legislatore del codice della navigazione doveva aver ipotizzato ([53]). Anche fra gli autori che aderiscono alle tesi separatiste vi è chi, pur mantenendo ferma la distinzione concettuale, così come determinata dal legislatore del 1942 tra noleggio e trasporto, ha dovuto convenire sul fatto che il noleggio a tempo non ha riscontro nella prassi dei traffici marittimi e che, in realtà, anche il time charter, così come effettivamente conosciuto nella realtà dei formulari, tenuto conto in particolare del tenore proprio delle clausole dell’employment e dell’indemnity, dovrebbe farsi ricadere all’interno dell’area del contratto di trasporto ([54]).

 

 

2. Inquadramento del noleggio nell’ambito della categoria dogmatica della locatio operis

 

Prevalente ([55]) appare invece l’inquadramento ([56]) del noleggio nella pur criticata e per certi versi superata ([57]) categoria dogmatica della locatio operis ([58]), nata dall’evoluzione storica dello schema unitario di elaborazione pandettistica della locatio - conductio ([59]), nella quale, secondo la ricostruzione più diffusa, è dedotta in obbligazione la prestazione di un determinato risultato e le energie di lavoro sono valutate nel contratto condizionatamente a tale risultato che esse sono volte a produrre ([60]), laddove nella locatio operarum si ha, invece, riguardo alla somministrazione dell’energia lavorativa, a prescindere dal risultato con essa conseguito ([61]).

In questo contesto, vi è stato chi ([62]), nel delineare il noleggio come «un contratto avente per oggetto il compimento di un servizio dietro corrispettivo, con organizzazione dei mezzi necessari da parte del debitore» ([63]) e nel riscontrarvi, in conseguenza, i caratteri tipici dell’appalto di servizi ex art. 1655 cod. civ., ha ritenuto l’inquadramento del noleggio di veicolo nell’ambito della locatio operis una soluzione obbligata ([64]).

Tale conclusione era sembrata valida anche tenuto conto del fatto che i rischi legati alla difficoltà dell’opus non ricadono unicamente sul debitore della prestazione, ovvero sul noleggiante, ma anche sul noleggiatore. Una esemplificazione può provenire considerando «quegli eventi fortuiti che possono rendere più oneroso, e di conseguenza più costoso, il compimento del viaggio», quali il cattivo tempo che rallenta la navigazione e che costringe il noleggiatore ad un nolo maggiorato ed alla sopportazione di una maggiore spesa per i combustibili ([65]).

Peraltro, la determinazione della sfera dei rapporti che si vengono a sostanziare nel quadro della locatio operarum e della locatio operis e, all’interno di quest’ultima, nel campo delle obbligazioni di mezzi e di risultato ([66]), è soggetta a contrastanti opinioni (delle quali alcune pongono in dubbio addirittura l’inattualità della distinzione concettuale da ultimo menzionata) e numerosissime appaiono le figure contrattuali di incerta collocazione o di sistemazione intermedia ([67]).

Le perplessità più forti paiono scaturire dal fatto che le differenze finiscono per convergere verso due nozioni di risultato non sempre conciliabili: l’una che influisce sulla natura della prestazione, ma che ad essa resta comunque estranea; l’altra che è «sicuramente ricompresa nella sfera della prestazione» ma è la conseguenza di un risultato dovuto, che costituisce un momento essenziale dell’obbligo contrattualmente assunto ([68]).

·Ponendosi in questa prospettiva, più di recente, una parte della dottrina ([69]) ha pertanto considerato non soddisfacente e, comunque, non utilizzabile al fine della ricostruzione dei moderni contratti, il ricorso alle sopra menzionate e più generali categorie dogmatiche di origine pandettistica sia per quanto riguarda il time charter, sia per quanto concerne il noleggio, sulla considerazione che, attraverso tale inquadramento l’obbligazione del noleggiante verrebbe a consistere non più solo in un viaggiare, ma nel portare questo a compimento con la conseguenza che «il rischio della difficoltà e dell’impossibilità dell’opus verrebbe a gravare sul noleggiante». Tale effetto sarebbe invece smentita dal tenore dall’art. 392 c. nav., secondo cui, in caso di perdita della nave, il nolo a tempo è dovuto fino a tutto il giorno in cui è avvenuta la perdita, e dall’art. 391, II comma, cod. nav., per il quale in caso di rilascio per fortuna di mare o per accidente subito dal carico, ovvero per provvedimento di autorità nazionale o straniera, durante il tempo dell'impedimento, ad eccezione di quello in cui la nave è sottoposta a riparazione, è dovuto il nolo al netto delle spese risparmiate dal noleggiante per l'inutilizzazione della nave ([70]).

La medesima ricostruzione dottrinale ([71]) applica i risultati della propria impostazione anche rispetto al time charter, il quale «non potrebbe più essere inquadrato nemmeno nella locatio operis», nel caso in cui «nel formulare la clausola off-hire, attribuiscano tutto od una parte preponderante del rischio della difficoltà dell’opera sul charterer» ([72]), cosicché solo in sede di interpretazione del singolo contratto sarebbe possibile affermare se l’obbligo dell’owner sia comunque quello di portare a termine il viaggio oppure quello di fare viaggiare la nave.

Sull’argomento si tornerà in seguito, una volta individuate le obbligazioni del noleggiante owner e del noleggiatore charterer. Possono tuttavia fin da subito svolgersi brevi considerazioni.

Pur concordando con la summenzionata impostazione circa il fatto che, al fine dell’inquadramento del contratto di noleggio (così come del resto, sembrerebbe a chi scrive, di qualunque contratto), non possa essere proficuamente utilizzato il criterio della preponderanza del rischio ([73]), il rilievo della inconciliabilità in particolare dell’art. 392 cod. nav. con lo schema della locatio operis non appare, tuttavia, condivisibile.

È stato correttamente messo in luce ([74]), infatti, che tale previsione coincide con la norma generale prevista dall’art. 1463 cod. civ., ma se ne discosta per via del fatto che il nolo pagato non deve essere restituito, in quanto è sufficiente che la nave sia stata a disposizione del noleggiatore perché questi ne abbia tratto una qualche utilità.

Potrebbe, peraltro, sostenersi che l’utilità dell’opera compiuta è considerata anche nell’appalto e, in particolare, all’art. 1672 cod. civ., sotto la rubrica Impossibilità di esecuzione dell’opera, ove è statuito che se il contratto si scioglie perché l’esecuzione dell’opera è divenuta impossibile in conseguenza di una causa non imputabile ad alcuna delle parti, il committente deve pagare la parte dell’opera già compiuta, nei limiti in cui è per lui utile, in proporzione del prezzo pattuito per l’opera intera: e non può certo dubitarsi del fatto che il contratto da ultimo menzionato sia forse più di ogni altro confacente allo schema della locatio operis.

 

 

3. Il contratto di noleggio nella distinzione tra impiego tecnico ed impiego commerciale della nave

 

Nella concezione tradizionale che vede il noleggio separato dal trasporto, appare evidente che si assiste ad una scissione, più o meno accentuata, tra l’impiego e la gestione tecnico nautica della nave facente capo al noleggiante e l’impiego e la gestione commerciale della nave stessa riferibile al noleggiatore.

É chiaro la riferibilità dei sopra indicati momenti gestori  alle nozioni di impresa di navigazione e di impresa di trasporto ([75]), entrambe tradizinoali e radicate in dottrina, è opportuno precisare che, nel delineare la figura legale del noleggio ([76]), il legislatore aveva ben presente tale distinzione ([77]), come del resto è chiaramente ed espressamente testimoniato in un importante passo della Relazione ministeriale al codice della navigazione ([78]).

Non a caso, nell’enucleare la ripartizione degli obblighi tra noleggiante e noleggiatore, l’art. 386 cod. nav. stabilisce che prima della partenza ([79]) il noleggiante deve mettere la nave in stato di navigabilità per il compimento del viaggio ordinato dal noleggiatore nei limiti stabiliti dal contratto ([80]), provvedendo ad armarla ed equipaggiarla convenientemente ed a munirla dei prescritti documenti, sopportando tutti i costi ed i rischi relativi all’assolvimento di tali obblighi ([81]).

In particolare su di lui gravano le paghe e le panatiche per l’equipaggio, l’acqua ed il combustibile da questo usato a bordo per le sue necessità, la manutenzione ordinaria della nave nonché quella straordinaria necessaria per il mantenimento della classe di registro nel corso del noleggio ([82]), i costi per le riparazioni e le assicurazioni (sia della nave che dell’equipaggio), le spese generali di amministrazione; in breve tutte gli esborsi che una nave in armamento sostiene, che sono fisse, qualunque sia l’impiego, e che la pratica indica come «costo nave» ([83]).

Sono pertanto a carico del noleggiante tutti i rischi che incidono sulla navigabilità o lavorabilità della nave, i quali possono essere costituiti dal cattivo tempo o da altri eventi fortuiti che producono avarie e che costringono il mezzo nautico all’inattività temporanea ed a prestazioni ridotte, oppure eventi relativi all’equipaggio che impediscono o ritardano la navigazione della nave o da cui scaturiscano prestazioni funzionalmente minori.

A fronte delle obbligazioni del noleggiante, quelle del noleggiatore attengono al pagamento del nolo, alle modalità di utilizzazione della nave, all’osservanza dei limiti di traffico e percorrenza e della restituzione della nave alla scadenza del contratto. Il noleggiatore deve, inoltre, provvedere alle forniture connesse con il compimento dei viaggi ed alle spese relative. Più precisamente sono a suo carico ex art. 387 cod. nav.: le spese e le provviste di combustibile, di acqua e di lubrificanti destinate al funzionamento dell’apparato motore e degli impianti ausiliari di bordo, nonché quelle inerenti all’impiego commerciale della nave quali le spese di agenzia, i diritti e le tasse portuali, di canale e di ancoraggio, le spese per il carico ecc.

Autorevole dottrina, in questa ottica, ha, così, rilevato che «il codice della navigazione, operando il distacco tra le attività inerenti all’impresa di navigazione e quelle inerenti all’esercizio commerciale dell’impresa, ha considerato la possibilità fenomenica di un armatore che si obblighi a navigare per conto altrui, ed ha previsto conseguentemente un rapporto di noleggio del tutto autonomo rispetto ai rapporti facenti capo al titolare dell’impresa che utilizza ai suoi fini la navigazione della nave» ([84]).

È noto, del resto, che, per quello che attiene all’impiego commerciale della nave, il comandante e l’equipaggio devono eseguire gli ordini del noleggiatore o dei suoi agenti. Al di fuori di ciò, il noleggiante è legittimato ad esercitare la totalità delle mansioni concernenti l’impiego della nave ([85]), nelle quali debbono ricomprendersi tutte quelle che afferiscono alla navigazione.

Tuttavia, fin da ora, sembrerebbe potersi rilevare che, nonostante il potere del noleggiatore di dare ordini al comandante (che si riferisce, vale precisare, solo alla gestione commerciale della nave e non alla gestione nautica di essa) il rischio preponderante della navigazione in senso proprio è assunto, comunque, da chi effettua la navigazione, ossia dal noleggiante e non dal noleggiatore ([86]).

Sulla base di queste brevi premesse e tralasciando l’operatività nei confronti di terzi della sopra menzionata scissione, di cui ci occuperemo più oltre, occorre, innanzitutto, verificare come essa si sostanzi tra le parti del contratto di noleggio e, più in particolare, come essa si ripercuota sull’incidenza delle conseguenze dannose, segnatamente, di atti o fatti del comandante e dell’equipaggio ([87]), tenuto conto che la disciplina normativa, nell’esonerare il noleggiante da responsabilità nei confronti del noleggiatore per la colpa commerciale del comandante e dell’equipaggio, conferma come non abbia di per sé rilievo, per il primo, l’impiego commerciale della nave.

Il sostanziarsi del contratto di noleggio, infatti, addossa a carico delle parti un complesso di diritti, di obblighi e di oneri e, soprattutto, pone distinti rapporti di soggezione correnti tra il noleggiante ed il noleggiatore, tra il comandante della nave ed il noleggiante tra il comandante della nave ed il noleggiatore ([88]).

Anzi, a ben vedere, è proprio in rapporto a questa triplicità di centri di imputazione che il contratto di noleggio assume una vera consistenza ([89]).

In questo contesto, la norma cardine da cui si diramano un complesso di poteri/doveri in capo a soggetti diversi a vario titolo coinvolti nel viaggio è senza dubbio l’art. 393 cod. nav. ([90]), unica disposizione che, insieme all’art. 386 cod. nav. si riferisce alla responsabilità del noleggiante (e a contrariis anche del noleggiatore). Non a caso autorevole dottrina ha ritenuto che l’articolo in esame sia il più importante e significativo nell’ambito della discussa disciplina del noleggio ([91]).

 

 



 

([1]) In dottrina pare predominante la tesi che ritiene insufficiente la definizione legislativa. In tal senso, tra gli altri, cfr. E. Spasiano, I contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, in Studi per G. Berlingieri, in Dir. maritt., 1964, numero speciale, 522, 527, poiché essa «lascia nell’ombra l’obbligazione di mettere a disposizione la nave e lo spazio navale, caratteristica del noleggio»; Mario Casanova, I contratti di utilizzazione della nave in una trattazione recente, in Dir. maritt., 1963, 477, 484, in quanto non è sufficientemente posta in rilievo «l’obbligazione che il noleggiante assume di mettere a disposizione del noleggiatore, per l’impiego commerciale della nave, l’attività del comandante e dell’equipaggio, obbligazione che sussiste indipendentemente dalla circostanza che il noleggiante risponde solo delle colpe nautiche dei suoi preposti e non delle colpe commerciali od, in generale, delle obbligazioni relative all’impiego commerciale delle nave». Si veda, amplius,  G. Romanelli, La locazione di nave e di aeromobile, Milano, 1965, 21 ss.

 

([2]) Il testo originario dell’art. 939 cod. nav. imponeva, infatti, relativamente alla forma del contratto, per il noleggio di aeromobile (così come si verificava anche nel caso di contratto di locazione di aeromobile) «in ogni caso» la forma scritta. La Relazione ministeriale al codice della navigazione, al paragrafo n. 590, aveva giustificato tale differente previsione rispetto alla disciplina propria del noleggio di nave con la considerazione che l’ipotesi di locazione e di noleggio di aeromobili minori non appariva, al tempo, prospettabile.

Sul noleggio di aeromobile, ed in modo particolare su quel contratto di incerta collocazione quale è il weat lease, in dottrina v., tra gli altri, A. Gronfors, Air charter and the Warsaw Convention, Uppsala, 1956, 16; S. Ferrarini, Il «charter» per il trasporto di persone, in Riv. dir. comm., 1965, I, 1 ss.; J. P Tosi, L’affrètement aerien, Paris, 1977, 77 (il quale propende per una configurazione riconducibile al noleggio); R. D. Van Dam, Lease, charter and interchange of aircraft and the Chicago Convention - Some observations, in Air law, 1994, 124 ss.; A. Antonini, I contratti di utilizzazione dell’aeromobile, in Il diritto aeronautico fra codificazione e disciplina unitaria, a cura di B. Franchi e di S. Vernizzi, Milano, 2007, 1, 7; Id., Corso di diritto dei trasporti, II ed., Milano, 2008, 172-173, per il quale nel weat-lease «il lessee fa eseguire da un altro vettore (il lessor) la prestazione di trasporto della propria clientela; ques’ultimo, impegnando l’aeromobile con un unico cliente, (il lessee) viene ad operare in un mercato nel quale non è presente con una rete commerciale» pertanto nei confronti dei passeggeri «il lessee è il vettore contrattuale ed il lessor è il vettore di fatto (actual o performing carrier) ossia colui che al di fuori di un rapporto contrattuale con il passeggero esegue la prestazione di trasporto»; L. Tullio, Contratto di noleggio, Milano, 2006, 372-273, il quale, posto che tra lessee e passeggeri intercorre un contratto di trasporto e che tra lessor e lessee non è rinvenibile un sub-trasporto, puntualizza che: «qualora i rischi dell’impiego commerciale, e quindi del trasporto, siano convenzionalmente attribuiti per intero al lessee, il rapporto tra questi e l’esercente può essere qualificato come contratto di noleggio. Se invece alcuni rischi del trasporto, nel rapporto interno fra lessor e lessee, sono attribuiti al primo, significa che il secondo ha assunto tali rischi nei confronti dei passeggeri per conto del lessor, ma senza rappresentanza, sicché nei confronti dei passeggeri è sempre il lessee che figura come vettore contraente». In senso analogo, A. Lefebvre d’Ovidio, G. Pescatore, L. Tullio, Manuale di diritto della navigazione, XI ed., Milano, 2008, 417.

 

([3]) Il riferimento è al d. lgs. 9 maggio 2005, n. 96, Revisione della parte aeronautica del Codice della navigazione, a norma dell’articolo 2 della legge 9 novembre 2004, n. 265 (entrato in vigore in data 21 ottobre 2005) ed al d. lgs. 15 marzo 2006, n. 151, Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 9 maggio 2005, n. 96, recante la revisione della parte aeronautica del codice della navigazione (entrato in vigore il 29 maggio 2006), che hanno riformato la parte aeronautica del codice della navigazione. In dottrina, sulle modifiche prodotte da tali decreti, cfr. G. Mastrandrea, L. Tullio, La revisione della parte aeronautica del codice della navigazione, in Dir. maritt., 2005, 1201 ss.; G. Mastrandrea, L. Tullio, Il compimento della revisione della parte aeronautica del codice della navigazione, in Dir. maritt., 2006, 699, 733 ss.; E. Turco Bulgherini, La riforma del codice della navigazione parte aerea, in Nuove leggi civ. comm., 2006, 1341 ss.; M. Grigoli, Profili normativi della navigazione aerea, Cacucci, Bari, 2006.

 

([4]) In particolare, l’art. 940 quater cod. nav. prevede che: «La responsabilità verso i terzi per le obbligazioni contratte in relazione all’impiego commerciale dell’aeromobile è regolata in conformità delle norme internazionali vigenti nella Repubblica che disciplinano la responsabilità verso i terzi del vettore contraente e del vettore effettivo, disponendone la solidarietà. Nei rapporti interni fra noleggiante e noleggiatore, il noleggiante assume i rischi che derivano dall’esercizio e il noleggiatore quelli relativi all’impiego commerciale dell’aeromobile». In argomento cfr. L. Tullio, Contratto di noleggio, cit., 270-271, il quale ritiene che tale articolo deroghi all’art. 393 cod. nav., in quanto «nel disciplinare le obbligazioni contratte in relazione all’impiego commerciale dell’aeromobile, è richiamata la Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 (art. 39 ss.), che sancisce la responsabilità solidale del vettore contraente e del vettore effettivo, i quali, quando il rapporto interno è di noleggio, sono, rispettivamente, il noleggiatore ed il noleggiante. Tuttavia, mentre la Convenzione si riferisce a responsabilità verso terzi che derivano da un rapporto di trasporto, l’art. 940 quater estende la disciplina internazionale a rapporti fra noleggiatore e terzi, anche diversi dal trasporto (fornitura di catering o di carburante, diritti aeroportuali)».

 

([5]) A. Antonini, I contratti di utilizzazione dell’aeromobile, cit., 3, sostiene che con la revisione della parte aeronautica del codice della navigazione si sia «persa un’ottima occasione per riordinare il sistema dei contratti di utilizzazione del mezzo e, almeno con riferimento a quelli investiti dalla riforma, chiarire che la pratica non lascia spazio ad un tipo legale diverso da quelli aventi ad oggetto il godimento del mezzo nautico (locazione di aeromobile) o l’esecuzione con lo stesso di un’attività di trasferimento di cose e di persone (trasporto aereo) […] l’eliminazione del noleggio aeronautico – tipo disciplinato dal codice della navigazione, ma privo di concreto riscontro nella pratica – avrebbe risposto a criteri di opportunità e di effettività».

 

([6]) Al riguardo si veda la Relazione allo schema di disegno di legge recante delega al Governo per emanare un nuovo codice della navigazione, consegnato il 2 luglio 1986 al Ministro Guardasigilli On. Martinazzoli dal Presidente della Commissione prof. Gabriele Pescatore, pubblicata in Trasporti, n. 39, 1986, 100 ss. In particolare, al paragrafo n. 37 della Relazione (ivi, 119) è dato conto della scelta operata in tale sede (art. 7 dello Schema di disegno di legge delega) di prevedere, con riferimento all’aeromobile, solamente la locazione ed il trasporto, con conseguente eliminazione del noleggio, «basandosi sull’analisi della realtà operativa, da cui emerge lo scarso uso che del contratto di noleggio, pur previsto dall’attuale codice, è stato fatto».

 

([7]) Si tratta di ipotesi opposta a quella propria della locazione che, comportando la consegna della nave al conduttore, affinché ne goda per un dato tempo (si vedano gli artt. 376 e 379 cod. nav.), fa di quest’ultimo l’armatore responsabile: tanto nel caso che il conduttore abbia provveduto alla nomina del comandante; (ex art. 273 cod. nav.) e all’arruolamento dell’equipaggio (locazione a scafo nudo o imbrago); tanto nel caso in cui siano passati alle sue dipendenze, come avviene quando vi è «cambiamento dell’armatore» (art. 347 cod. nav.), il comandante e l’equipaggio già nominati dal locatore (locazione di nave armata).

 

([8]) D. Gaeta, voce Locazione di nave e di aeromobile, in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, 1022 ss., ritiene che «nessun ostacolo esiste, sul piano teorico, per l’applicabilità, in via analogica alla locazione di nave e di aeromobile delle norme che regolano non solo il noleggio, ma anche il trasporto per acqua e per aria, pur dovendo constatare in linea di fatto che tali norme si riducano a ben poche, come gli art. 390, 391 e 443 c. nav., che considerano non tanto l’opus del debitore, quanto l’utilizzazione del veicolo». Già G. Berlingieri, Profilo dei contratti di utilizzazione della nave in Dir. maritt., 1961, 417, 424-425, ss., aveva sostenuto che non vi fosse alcuna differenza tra la locazione di nave armata ed equipaggiata e contratto di noleggio a tempo, in quanto in entrambi «l’obbligo rispettivamente del locatore e del noleggiante non può consistere se non nel mettere a disposizione dell’altro contraente, per gli usi che possono essere previsti nel contratto, una nave in pieno assetto di navigabilità». Per utili raffronti tra contratti di locazione e noleggio, cfr., ex multis, G. Riccardelli, Locazione di nave e noleggio, nota a Cass. 21 dicembre 1953, Valera c. Cerchi, in Riv. dir. nav., 1954, I, 183 ss.; A. Graziani, Locazione di nave e noleggio (per la revisione del codice della navigazione), in Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, 155 ss., il quale ritiene che il codice della navigazione avrebbe dovuto prevede in modo specifico la locazione di nave armata ed equipaggiata.

·Si veda altresì, G. Righetti, Trattato di diritto marittimo, II, Milano, 1990, 300 ss. Sotto la vigenza del codice di commercio, G. Valeri, L’art. 926 cod. comm. e la natura giuridica del contratto di noleggio, in Riv. dir. comm., 1916, I, 841, 841, riteneva che nel contratto di imbrago, a differenza del contratto di noleggio, mancasse l’elemento dell’assunzione dei rischi e delle responsabilità del trasporto ed inoltre (ivi 853): «anche l’attività dell’equipaggio eventualmente fornito […] non sarà garantita nei suoi risultati dal concedente al concessionario; quest’ultimo solo dovrà dirigerla e disciplinarla». Sull’argomento, si veda G. Manara, voce Imbrago (o Locazione di nave), in Nuovo dig. it., VI, Torino, 1938, 717 ss., secondo cui (ivi, 718) «prendono il nome di contratto di imbrago quei contratti di locazione di nave mediante i quali viene trasferita la qualità di armatore dal cedente al cessionario. Quest’ultimo prende il nome di armatore-noleggiatore; ma si tratta di una improprietà di linguaggio che deve essere chiarita […]. Mentre, cioè l’obbligazione che sorge dal contratto di noleggio si compendia in un’obbligazione di fare, quella che deriva dal contratto di imbrago si compendia, invece, in un’obbligazione di dare, che può essere di una nave disarmata e non equipaggiata, ma anche di una nave armata ed equipaggiata […]». In giurisprudenza, in applicazione del codice di commercio, App. Genova 3 maggio 1946, S.A. di navigazione mercantile Villain e Fassio c. S.A. Ansaldo, in Riv. dir. comm., 1946, 80 ss., con nota di S. Sotgia, Noleggio a tempo e locazione di nave.

 

([9]) Sul tema, S. Ferrarini, Note sulla classificazione dei contratti di utilizzazione della nave, in Riv. dir. nav., 1962, I, 189 ss., che considera opportuno distinguere il caso della locazione di nave armata ed equipaggiata dal noleggio, vista «la diversa intrinseca natura dei due contratti. A confermare tale diversità sta la distinzione, da tempo operata dalla giurisprudenza inglese, tra time charter by demise e time charter not by way of demise, che, se pur rifugge, secondo l’empirismo inglese, da ogni precisazione di carattere teorico (neppure ponendosi il problema della diversa natura giuridica dei due contratti) pone come tratto essenziale di differenziazione il passaggio (demise) o meno del possesso della nave, e quindi il trasferimento della qualità di armatore al charterer o il suo permanere in capo all’owner. In argomento, v., ex multis, G. Romanelli, La locazione di nave e di aeromobile, Milano, 1965, 121; E. Spasiano, I contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, cit., 523, secondo cui «la locazione di nave e di aeromobile è un contratto con il quale il conduttore si procura il godimento della nave per utilizzarla o per farla utilizzare, ma non è un modo di utilizzazione della nave, a differenza del noleggio e del trasporto. Funziona da presupposto dell’esercizio, mentre il noleggio ed il trasporto sono manifestazioni dell’esercizio»; Id., La locazione di nave o di aeromobile (Cenni generali e norme applicabili), in Riv. dir. nav., I, 1959, 286; A. Lefebvre D’Ovidio, La locazione di nave e di aeromobile, in Riv. dir. nav., 1964, I, 27; A. Flamini, I contratti di utilizzazione dei veicoli, Esi, Napoli, 2003, 10 ss.; A. Lefebvre D’Ovidio, G. Pescatore, L. Tullio, Manuale di diritto della navigazione, XI ed., Milano, 2008, 269 ss.; C. Medina, voce Locazione di nave e di aeromobile, in Digesto delle discipline privatistiche, Sez. commerciale, IX, Torino, 1993, 157 ss. Si veda altresì, da ultimo M. M. Comenale Pinto, E. G. Rosafio, La locazione di nave, in Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno ed E. Gabrielli, 2008, in corso di stampa. 

 

([10]) Secondo A. Fiorentino, I contratti navali, II ed., Jovene, Napoli, 1959, 13 s. «rispetto alla locazione, il debitore (noleggiante) assume in più l’obbligo di svolgere una data attività, direttamente ed a mezzo dei suoi preposti, cioè sostanzialmente a ‘fornire un servizio’ al creditore: egli deve così assumere un atteggiamento attivo in confronto a quello meramente passivo del locatore di cosa. Rispetto al trasporto invece il debitore (noleggiante) non assume, verso il noleggiatore, l’obbligo di trasferire, a proprio rischio, persone o cose da un luogo ad un altro: il che significa che egli non è responsabile per la inesecuzione di quel trasferimento che è eseguito dal creditore (noleggiatore) a proprie spese ed a proprio rischio. Non vi è così a parte del noleggiante l’assunzione della responsabilità per custodia, tipica del contratto di trasporto».

 

([11]) Così S. Ferrarini, Profilo del noleggio, in Dir. maritt., 1958, 3, 4, il quale scrive che la definizione di noleggio resa dall’art. 384 cod. nav. non legittima «la contrapposizione al noleggio a tempo di un noleggio a viaggio con caratteristiche proprie, e consente di affermare che il contratto di noleggio tipico è quello a tempo, per tale intendendosi il contratto con cui il servizio della neve è posto a disposizione del noleggiatore per un certo tempo». L’Autore, tuttavia, non esclude interamente «la possibilità di un noleggio (in senso proprio) a viaggio, nel quale cioè la prestazione del noleggiante sia considerata in blocco indipendentemente dal tempo durante il quale la nave resta a disposizione del noleggiatore per il compimento di un predeterminato ciclo operativo (viaggio o viaggi)».

 

([12]) Si veda sul punto D. Gaeta, Il contratto di noleggio, in Il cinquantenario del codice della navigazione, a cura di L. Tullio e M. Deiana, Cagliari, 1993, 238, 247, secondo cui nel noleggio a tempo è insita la natura di contratto di durata.

 

([13]) Ai sensi del secondo comma dell’art. 386 c. nav. «il noleggiante è responsabile dei danni derivanti da difetto di navigabilità, a meno che provi che si tratta di vizio occulto non accertabile con la normale diligenza».

 

([14]) Cfr. Mauro Casanova, Noleggio e trasporto. Alcune considerazioni alla luce dell’autonomia contrattuale delle parti, in Dir. maritt., 2005, 389, 392, il quale prosegue il suo argomentare, sostenendo che: «Restano quindi fuori dalla disciplina codicistica tutti gli altri casi che comportino l’utilizzazione della nave, volta a fini diversi dal trasporto […] Così dicasi, ad esempio, per il noleggio di un peschereccio la cui finalità primaria è quella della pesca anche se poi necessariamente viene trasportato il pescato o per il noleggio di una imbarcazione da diporto la cui finalità è turistica, ricreativa e sportiva propria come è della navigazione ‘de plaisance’ che è quella, forse, che si avvicina di più al ‘navigare per navigare’». In senso analogo si era già espresso S. Ferrarini, Note sulla classificazione dei contratti di utilizzazione della nave, cit., 197, secondo il quale non rientrano nel contratto tipico di noleggio quei contratti nei quali le finalità di ricerca, di pesca, ecc., sono tali «da assorbire, retrocedendola al rango di accessoria, la finalità di trasporto; G. Righetti, Trattato di diritto marittimo, II, Milano, 1990, 469-470, il quale sostiene che nel caso in cui «il trasferimento di persone e/o cose è assorbito nell’ambito di una più vasta e più complessa (sotto il duplice profilo subbiettivo dell’organizzazione e dell’esecuzione) o comunque diversa ed altrimenti caratterizzata (sotto l’aspetto obiettivo) prestazione da parte del noleggiante [come nel caso di trasferimento in vista e nell’esecuzione di una spedizione o esplorazione scientifica o talassografica di una ricerca o coltivazione o altra attività industriale, di una campagna di pesca ecc.], il negozio verrà invece ad essere causalmente individuato in un «appalto di servizi(o)». Contra D. Gaeta, Il contratto di noleggio, in Il cinquantenario del codice della navigazione, a cura di L. Tullio e M. Deiana, Cagliari, 1993, 238, il quale critica questo orientamento dottrinale ritenendo più appropriato il ricorso al noleggio di nave anziché all’appalto. Esprime perplessità sulla tesi espressa da Mauro Casanova, L. Tullio, Contratto di noleggio, cit., 270.

 

([15]) In senso contrario, sembra porsi S. M. Dominedò, Il sistema dei rapporti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, in Riv. dir. nav., 1965, II, 11, 21, il quale faceva, tra l’altro, espresso riferimento al fatto che nel contratto di noleggio il creditore dell’opera, ovvero il noleggiatore, potesse fruire di spazi destinati a cose o persone (il corsivo è nostro).

 

([16]) Così S. Ferrarini, Note sulla classificazione dei contratti di utilizzazione della nave, cit., 196, il quale riteneva che il presupposto dell’art. 393 cod. nav. fosse quello dell’impiego della nave per un fine di trasporto. Inoltre, l’Autore da ultimo citato affermava (ibidem 197) «nella sua struttura tipica, quale la pratica ha costruito e che si è consolidata nei formulari in uso, da questi passando nella stessa disciplina legislativa, il noleggio è un contratto caratterizzato da un fine di trasporto» e «questa finalità rientra nella causa del negozio e da ciò deve trarsi la conseguenza che l’ipotesi del c.d. noleggio per fini diversi dal trasporto non sono o, meglio, possono non essere di noleggio». Da ciò ne conseguiva «che non rientrano nel contratto tipico che viene individuato come noleggio quei rari contratti in cui le finalità di ricerca, di pesca, di diporto, ecc., sono tali da assorbire, retrocedendola al rango di accessoria, la finalità di trasporto. Saremo allora di fronte ad un contratto di appalto, qualificato dal particolare opus prodotto a mezzo di una nave ed eventualmente per alcuni aspetti affine al noleggio».

 

([17]) Opinione nettamente prevalente in dottrina è quella che nega ai contratti di utilizzazione la connotazione di categoria dogmatica. Cfr., ex multis, S. Ferrarini, I contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, Roma, 1947, 45; Id., Note sulla classificazione dei contratti di utilizzazione della nave, in Riv. dir. nav., 1962, I, 189 ss., 191; A. Fiorentino, I contratti navali, II ed., Jovene, Napoli, 1959, 1-2, il quale raggruppa sotto il nomen «contratti navali» (ivi, 1) «quei contratti coi quali si attua, in uno od altro modo, l’impiego o l’utilizzazione della nave (inteso questo termine in senso lato, comprensivo cioè anche dell’aeromobile); E. Spasiano, I contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, cit., 522-523, secondo il quale «è pacifico che il raggruppamento delle varie specie di contratti sotto il titolo ‘dei contratti di utilizzazione della nave (o dell’aeromobile)’ risponde ad un criterio empirico che fu seguito per fini pratici e contingenti. Non attiene ad elementi comuni fra le varie specie, né ha rilevanza sistematica. È dovuto soprattutto a ragioni storiche, poiché è derivato dalle indagini che consideravano assieme i vari contratti, relativi all’esercizio della nave, cercando di eliminare la confusione che esisteva nel loro inquadramento»; Id., I contratti di utilizzazione della nave: note per la revisione della disciplina attuale, in Giur. it., 1977, IV, 49; D. Gaeta, voce Locazione di nave e di aeromobile, cit., 1023; S. Ferrarini, G. Righetti, Appunti di diritto della navigazione, I, I contratti di utilizzazione della nave, Torino, 1970, 23 ss.; A. Graziani, Locazione di nave e noleggio (per la revisione del codice della navigazione), cit., 156, il quale, dopo aver criticato il raggruppamento in un unico titolo della locazione, del noleggio e del trasporto, ritiene ingiustificata l’esclusione del rimorchio dai contratti di utilizzazione; S. M. Dominedò, Il sistema dei rapporti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, cit., 11 ss. (in relazione al quale si veda il rilievo mosso da L. Tullio, I contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile come categoria generale, in Studi in onore di Gustavo Romanelli, Milano, 1997, 1195, 1198, nota 13); G. Righetti, Trattato di diritto marittimo, I, cit., 275 ss.; G. Romanelli, La disciplina dei contratti di utilizzazione della nave, in Dir. maritt., 1987, 583 ss.; Id., I contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, in Il cinquantenario del codice della navigazione, a cura di L. Tullio e M. Deiana, Cagliari, 1993, 221 ss.; Id., I contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile nel codice della navigazione italiano, in ADMA (Etudes en hommage a Mircea Mateesco–Matte), (XII), 1993, 59; F. A. Querci, Diritto della navigazione, Padova, 1989, 385 ss.; A. Flamini, I contratti di utilizzazione dei veicoli, Esi, Napoli, 2003, 10 ss.; S. Zunarelli, Contratti tipici, impresa di navigazione e impresa di trasporto, in Dir. trasporti, 1995, 737; M. Casanova, M. Brignardello, Dir. trasporti. La disciplina contrattuale, Milano, 2007, 303 ss. La ricostruzione qui ricordata era stata espressamente tenuta presente anche nel progetto di legge delega per l’emanazione di un nuovo codice della navigazione, che può leggersi in Dir. maritt., 1986, 1101, 1114. Per un’analisi in chiave storica dei contratti di utilizzazione, a partire dall’Ordonnance touchant la Marine du moi d’Août 1861, cfr. G. Romanelli, La locazione di nave e di aeromobile, cit., 105 ss.; M. L. Corbino, I contratti di utilizzazione, Padova, 1978, 38 ss.; Aa.Vv., I contratti di utilizzazione della nave nell’Ordonnance de la marine del 1681, in Arch. giuridico «Filippo Serafini», 1976, 105 ss.

 

([18]) Per la dottrina anteriore alla emanazione del codice della navigazione, si veda S. M. Dominedò, Il sistema dei contratti di utilizzazione della nave, Milano, 1937, passim (la cui impostazione dogmatica è efficacemente criticata da L. Tullio, Contratto di noleggio, cit., 4) e Id., Considerazioni sulla disciplina dei contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, in Studi per la codificazione del diritto della navigazione, I, Roma, 17 ss.

 

([19]) Cfr. A. Torrente, L’impresa ed il lavoro nella navigazione, cit., in Trattato di diritto civile, diretto da G. Grosso e F. Santoro Passarelli, Milano, 1964, 92 s., il quale riconosce che l’elemento comune dei contratti di utilizzazione è costituito dalla funzione economica che in essi vi assumono la nave e l’aeromobile, con la conseguenza che (ivi 92) «[…] l’affermazione che il raggruppamento considerato è soltanto empirico non sembra del tutto esatta in quanto l’affinità in base a cui la classificazione avviene riguarda proprio un elemento giuridico fondamentale: la causa dei contratti esaminati». Pertanto, i contratti di utilizzazione si distinguerebbero (ivi, 92) tra di loro sulla base della causa: «causa del contratto di locazione è lo scambio tra la prestazione di far godere la nave ed il corrispettivo […]; causa del contratto di noleggio è lo scambio tra la prestazione di far navigare la nave o l’aeromobile pere un tempo determinato (noleggio a tempo) o per uno o più viaggi (noleggio a viaggio) ed il corrispettivo (nolo); causa del contratto di trasporto è lo scambio tra la prestazione di trasferire persone (art. 396 cod. nav.) o cose (art. 419 cod. nav.) da un luogo all’altro ed il corrispettivo». Più di recente va ricordata la ricostruzione di L. Tullio, I contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile come categoria generale, cit., 1195 ss. Quest’ultimo Autore, dopo aver precisato (ivi, 1199) che la distinzione pandettistica tra locatio rei e locatio operis non è «più utilizzabile per la ricostruzione dei moderni contratti», ritiene (ivi, 1207) di individuare un sostrato comune ai contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile che consiste «nel godimento delle utilità che il veicolo può offrire, cioè del trasporto tecnico, che nel contratto di trasporto si specifica ulteriormente, rispetto alla locazione e al noleggio, concretandosi nel trasporto commerciale». Inoltre (ivi, 1208), potendosi ricondurre i contratti di utilizzazione «al genus dei contratti caratterizzati dalla causa di godimento, nella sottocategoria del godimento delle utilità offerte da una nave o da un aeromobile e consistenti nel trasporto tecnico», «la causa di godimento nel senso indicato consente di applicare per analogia a ciascuno dei contratti di utilizzazione disposizioni poste a regolare gli altri tipi»; Id, Contratto di noleggio, cit., 322-333, e spec. 332 s. A parte deve essere considerata la posizione assunta da M. L. Corbino, I contratti di utilizzazione, cit., passim, ma spec. 138, ha prospettato la tesi per la quale «i ‘tipi legali’ siano tali soltanto in apparenza (‘tipi legali apparenti’), costituendo, in realtà, specificazioni, cioè ‘sottotipi’ dello schema tipico unitario dei contratti» ed inoltre (ivi 172 ss.) che i contratti di utilizzazione integrano «un autonomo tipo contrattuale, articolato in una ricca gamma di sottotipi che gradualmente si snodano dalla locazione al trasporto di linea e che si sostanziano in multiformi specificazioni di uno stesso schema di attività economica: quella collegata all’esercizio della nave e dell’aeromobile». Per una decisa critica a tale impostazione, si veda utilmente la recensione di E. Spasiano, in Studi maritt., 2/1978, 95.

 

([20]) Per un excursus sull’evoluzione storica della questione, ampi riferimento sono contenuti in G. Righetti, Trattato di diritto marittimo, II, cit., 435 ss.

 

([21]) Anche sotto altro profilo riveste una certa utilità la lettura della Relazione ministeriale al codice della navigazione, ove si precisa (paragrafo n. 221) che il titolo IV del libro II del codice di commercio regolava, «mediante norme frammiste, ipotesi disparate». In particolare, sotto il nomen di noleggio, si riconducevano rapporti anche assai differenti tra di loro. Ad esempio: l’art. 547 cod. comm., posto che il contratto di noleggio doveva essere provato per iscritto, prevedeva che la scrittura dovesse enunciare (art. 547, numero 2, cod. comm.) «il nome e il cognome del noleggiatore e del locatore» (il corsivo è nostro), se il noleggio riguardava tutta la nave o parte di essa (art. 547, numero 2, cod. comm.); l’art. 565 cod. comm. contemplava, poi, l’ipotesi di noleggio di cose determinate (attribuendo al caricatore la facoltà di ritirare le cose prima della partenza pagando la metà del nolo); l’art. 582 cod. comm., infine, si riferiva ad un «contratto di noleggio per trasporti di passeggieri» da regolarsi secondo le successive disposizioni. Sempre nella Relazione, al paragrafo n. 222, si riconosce all’impostazione propria del codice di commercio del 1882 il difetto di comprendere da un lato «nell’ambito della nozione di noleggio ipotesi giuridicamente eterogenee, quali il tipico noleggio senza obbligazione di trasportare (c. d. noleggio a tempo) e l’assunzione del trasporto mediante nave designata per uno o più viaggi (c. d. noleggio a viaggio). Dall’altra, si spezza l’unità del concetto di trasporto, distaccandone empiricamente l’ipotesi in cui il rapporto di svolga mediante destinazione di un mezzo determinato». In argomento si veda G. Romanelli, I contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, in Il cinquantenario del codice della navigazione, a cura di L. Tullio e M. Deiana, Cagliari, 1993, 221, 222 s. Per la disciplina relativa al periodo anteriore al codice della navigazione, cfr., per tutti, la fondamentale opera di S. M. Dominedò, Il sistema dei contratti di utilizzazione della nave, Milano, 1937, passim. Per un’indagine sui contratti di utilizzazione nel diritto romano, v. L. Tullio, I contratti di charter party. Funzione e natura, Padova, 1981, 18 ss.; Id., Contratto di noleggio, cit., 197 ss.; E. Spasiano, Il contratto di noleggio, cit., 12 ss.

 

([22]) Per una panoramica sui criteri di distinzione tra noleggio e locazione in ambito specialistico, cfr. la sentenza della Corte di appello di Lecce del 4 giugno 1991, in Dir. maritt., 1992, 430, nella quale si è ritenuto che si è in presenza di un contratto di noleggio a tempo e non di locazione quando, dalle clausole contrattuali, risulta che il mezzo nautico rimane nel godimento e nel possesso del noleggiante, che resta armatore, e si limita a seguire le istruzioni impartitegli dal noleggiatore per l’impiego commerciale del natante stesso; Lodo arb. 2 novembre 1950, Soc. di Armamento Pugliese c. Ditta Luigi Mazzone e Figli, in Dir. maritt., 1950, 648, ove è stata giudicata determinante, ai fini della qualificazione di un contratto come di noleggio a tempo (nella specie di trattava di un Governement Form), la circostanza che il comandante e l’equipaggio della nave si trovassero alle dipendenze del noleggiante (dal quale sono pagati e che conserva il diritto di recesso), e che gli oneri economici di servizio della nave fossero ripartiti tra i contraenti secondo lo schema, tipico del contratto di noleggio, sancito dall’art. 387 cod. nav. Inoltre, è apparso elemento caratteristico il fatto che sia stata contemplata la clausola dell’employment nella versione prevista dall’art. 393 cod. nav. Del medesimo tenore, App. Roma 20 giugno 1974, in Dir. maritt., 1974, 554; Trib. Roma 21 luglio 1947, in Dir. maritt., 1947, 536; Court of Appeals 22 maggio 1947 (State of New York), Frederick Star Construction Company c. Dominick Muscelli, in Dir. maritt., 1947, 547. Si veda pure Trib. Genova 18 agosto 1943, in Dir. maritt., 1946, 195, ove si è ritenuto che i noleggi a tempo partecipano sia del contratto di noleggio, nel quale è racchiuso l’obbligo dell’armatore, in corrispettivo del nolo pattuito, di compiere con una nave determinata uno o più viaggi prestabiliti, sia del contratto di locazione, il cui scopo è quello di far godere all’altro contraente la nave. Il discrimen tra tali tipi contrattuali sarebbe, pertanto, rappresentato dalla sussistenza di un minimo di funzione armatoriale in capo al noleggiante. In campo aeronautico, v. App. Venezia 19 aprile 1986, in Dir. maritt., 1988, 160, cui è seguita Cass. 20 aprile 1989 n. 1855, in Foro it., 1990, I, 1970. 

 

([23]) In dottrina, tuttavia, sembra non esservi accordo sull’autonomia del contratto di noleggio terrestre. Infatti, A. Tabet, La locazione-conduzione, in Trattato di diritto civile, diretto da A. Cicu e da F. Messineo, XXVI-4, Milano, 1972, 260, ritiene che il connotato precipuo del noleggio terrestre debba ricondursi ad una figura autonoma, come nel caso in cui il veicolo venga azionato e guidato dal noleggiante o da persona alle sue dipendenze, con assunzione a proprio carico della relativa responsabilità. Del medesimo avviso appare anche E. Spasiano, Il noleggio di nave e di aeromobile, in Annali Ist. Univ. Navale, XXX, Napoli, 1961, 141 e Id., Contratto di noleggio, cit., 82 ss. e, ancora,  Id., In tema di noleggio di veicoli, in Foro it., 1955, I, 947, il quale, in quest’ultimo scritto, definisce il contratto di noleggio come autonomo e «socialmente nominato», ma non anche legislativamente nominato. Sull’argomento, v. anche F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, Milano, 1959, VIII ed., IV, 230, che considera il noleggio di autoveicolo come contratto innominato; G. Romanelli, In tema di noleggio di veicolo, in Riv. dir. nav., 1971, II, 191; A. Flamini  I contratti di utilizzazione dei veicoli, cit., 139 ss.; Id., Il noleggio ed il problema della sua individuazione, Napoli, 1988, 79 ss., e spec. 90 ss., ritiene come la qualificazione del rapporto dipende dal concreto regolamento d’interessi che le parti hanno ad esso dato: se il cliente assume il godimento del veicolo e la direzione tecnica del viaggio si è in presenza di una contratto di locazione; se la disponibilità del veicolo non gli viene trasmessa ed ha soltanto il potere di dare indicazioni in merito alla sua utilizzazione si avrà un vero e proprio contratto di noleggio, cui si applicheranno le disposizioni del codice della navigazione, limitatamente alle norme non eccezionali. Propendono per un inquadramento del contratto di noleggio terrestre, al pari di quello marittimo, come sottotipo del contratto di trasporto, G. Romanelli, G. Silingardi, voce Noleggio (dir. civ.), in Enc. giur. Treccani, XX, Roma, 1990, 2; G. Cottino, I contratti commerciali, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da Galgano, XVI, 749; E. Gragnoli, Considerazioni sul noleggio di autoveicoli adibiti al trasporto merci, in Dir. maritt., 1989, 725. Contra E. Moscati, voce Noleggio (dir. priv.), in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, 228 ss.

 

([24]) Con riferimento ai contratti di utilizzazione, per quanto riguarda il diritto francese, v., per tutti, Ripert, Traité de droit maritime, II, Paris, 1952, 241 ss., R. Rodière, Traité génerale de droit maritime. Affrètement et transport, tomo I, Paris, 1967. Per il diritto inglese, v. T. G. Carver, Carriage by Sea, XIII ed. a cura di R. Conlinvaux, London, 1982; T. E. Scrutton, Charter Parties and Bill of Landing, XX ed. a cura di S.C. Boyd, A. S. Burrows, D. Foxton, London, 1996, passim. Nel diritto spagnolo, I. Arroyo, El contrato de Fletamento por tiempo en la teoria de los contratos de utilización del buque, in Anuarios de derecho marítimo, 2002, 21 ss.; R. Matilla Alegre, La riforma de la normativa sobre los contratos de utilización del buque, in Anuarios de derecho marítimo, 2002, 40 ss.

 

([25]) La giurisprudenza, peraltro, non ha sempre seguito criteri interpretativi omogenei, individuando nel noleggio terrestre, talvolta, gli estremi di un contratto atipico ed autonomo (distinto dal trasporto, v. Trib. Napoli 2 luglio 1954, in Foro it., 1955, I, 947, con nota di E. Spasiano, cit., 947); altre volte adombrando un contratto misto tra locazione di cosa e lavoro (v. Cass. 15 settembre 1970 n. 1449, in Giur. it., 1971, I, 1, 408, con nota di M. Iacuaniello, Noleggio, trasporto e locazione di autoveicolo; Trib. Palermo 16 novembre 1992, in Arch. civ., 1994, 425, con nota di G. Moscatt, Sul contratto misto di noleggio e appalto), o addirittura negandone la stessa esistenza (Cass. 8 maggio 1953 n. 1279, in Foro it., 1954, I, 1607, con nota critica di G. Riccardelli, Sulla natura giuridica del contratto di cessione dell’uso di automezzo con conducente per un determinato viaggio, che ha riconosciuto autonomia al solo contratto di noleggio marittimo; sul punto, v. anche F. Galgano, Diritto civile e commerciale, II-2, Padova, 1990, 51 ss.). Sempre per quanto riguarda la giurisprudenza, particolarmente interessante è parsa Cass. 3 novembre 1997 n. 10741, in Corr. giur., 12, 1997, 1395, con nota di V. Carbone, Dalla tipicità del codice di commercio alla atipicità del codice del ‘42, secondo cui, pur essendo in presenza di un fattispecie non caratterizzata dalla consegna del veicolo, «sussiste locazione di cosa mobile e non noleggio, nel caso in cui taluno, nel fruire del risultato dell’utilizzazione di un bene mobile altrui, si ingerisca, con ordini impartiti al personale del concedente distaccato per il concreto utilizzo della cosa, nelle modalità di esecuzione delle opere da compiere con essa, senza che rilevi, a tal fine, il fatto che non impartisca ordini concernenti le modalità tecniche di impiego del bene». Per ulteriori richiami, si veda S. Vernizzi, Il noleggio di autoveicolo, in Trasporto, coordinato da F. Morandi, in I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, a cura di P. Cendon, XVII, 2004, 699-707.

 

([26]) Prima dell’emanazione del codice della navigazione, gli sforzi dottrinari volti all’individuazione e qualificazione dei vari contratti di utilizzazione tendevano a distinguere la locazione dal noleggio in relazione al criterio della titolarità della qualifica di armatore, posto che la prima veniva fatta rientrare nello schema della locatio rei, mentre il secondo in quella della locatio operis. Sulla questione, Cfr. A. Scialoja, Sistema di diritto della navigazione, III ed., Roma, 1933, 318 ss.; A. Brunetti, Diritto marittimo privato italiano, III-1, Torino, 1935, 47, 48. U. Pipia, Trattato di diritto marittimo, I, Milano, 1900, 585, ricorda che la configurazione del noleggio, intesa come locazione di cosa e di opera, viene fatta risalire al diritto romano.

 

([27]) Si vedano, tra gli altri, A. Fiorentino, I contratti navali, II ed., Jovene, Napoli, 1959, 1 e 13 ss.; D. Gaeta, Riflessioni sul noleggio, in Vita not., 1993, 72; Id., Il contratto di noleggio, in Il cinquantenario del codice della navigazione, cit.,  238, per il quale «il noleggio è uno schema di contratto che è predisposto per assolvere a svariati scopi, anche se in linea di fatto lo scopo prevalente è il trasporto; perciò il termine «viaggio» non va inteso puramente come trasferimento della nave da uno ad altro porto, essendo esso sempre squalificato dallo scopo che si intende raggiungere e che consiste nell’impiego della nave in operazioni commerciali. Ed è questo che determina lo scelta del tipo di nave da noleggiare»; A. Torrente, L’impresa e il lavoro nella navigazione. I contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, Milano, 1964, 101 s.; M. Grigoli, Diritto della navigazione, Torino, 1982, 276 ss.; G. Auriti, Contributo allo studio del contratto di noleggio, Milano, 1971, 18 ss.; G. Riccardelli, La colpa nautica, Padova, 1965, 130 ss., il quale ha considerato oggetto della prestazione di noleggio il «far godere al creditore un veicolo viaggiante, o più precisamente lo spazio utilizzabile di un veicolo viaggiante. Per conseguire questo risultato il noleggiante dovrà impiegare la propria organizzazione ed esplicare un’attività che non potrà non ritenersi causalmente determinate ai fini della qualificazione del negozio. Parlare di noleggio significa parlare di noleggio di spazio, poiché in questo negozio è inconcepibile il godimento del viaggio senza il godimento dello spazio viaggiante»; P. Manca, Studi di diritto della navigazione, II, Milano, 1961, 9 ss.; A. Lefebvre D’Ovidio, Noleggio, in Riv. dir. nav., 1964, I, 129 e Id., voce Noleggio (diritto della navigazione), in Noviss. dig. it., XI, Torino, 1965, 289; Mario Casanova, Locazione, noleggio ed obbligazione di riconsegna della nave, in Opuscoli di vario diritto, II, Milano, 1968, 58 ss.; A. Xerri, voce Noleggio di navi, in Noviss. dig. it., App., V, Torino, 1984, 226 ss.; N. Balestra, La polizza di carico nel trasporto di carico e nel noleggio a viaggio, Milano, 1968, 182 ss.; Id., Il noleggio. Eppur esiste (e non è trasporto), in Studi in onore di A. Lefebvre d’Ovidio. In occasione dei cinquant’anni del diritto della navigazione, a cura di E. Turco Bulgherini, I, Milano, 1995, 77, 82 secondo il quale «[…] il trasporto non rientra nella prestazione del noleggiante. Infatti se l’impiego di trasporto è operato dal noleggiatore e per conto nonché nell’interesse di questi, la stessa attività non può costituire anche l’oggetto dell’obbligazione del noleggiante».

Per quanto riguarda la posizione di Eugenio Spasiano, si veda la successiva nota 31.

 

([28]) In argomento cfr. A. Flamini, I contratti di utilizzazione dei veicoli, cit., 99 s. secondo il quale: «Ciò che caratterizza il noleggio rispetto agli altri tipi contrattuali relativamente alla posizione del noleggiatore, quale creditore della prestazione, è la sua attività di cooperazione, che, nella sua particolare intensità, costituisce un effetto essenziale del contratto: questi, oltre all’obbligazione di pagare il nolo, assume anche quella di impartire ordini al noleggiante e per esso al comandante ed all’equipaggio, indispensabile per il compimento del viaggio. La minima unità effettuale del contratto di noleggio è pertanto costituita dall’obbligazione di compiere viaggi assunta dal noleggiante e da quella di pagare il nolo e di impartire ordini assunta dal noleggiatore: in mancanza di queste obbligazioni non si ha contratto di noleggio, mentre le altre obbligazioni, pur tipiche della fattispecie, non sono ad essa essenziali perché la loro mancanza non pregiudica la qualificazione del contratto come noleggio». In senso contrario a questa impostazione, seppur espressa nei confronti di altro lavoro monografico del medesimo Autore (A. Flamini, Il noleggio e il problema della sua individuazione, Napoli, 1988, 73 ss.), si vedano le osservazioni critiche mosse L. Tullio, Contratto di noleggio, cit., 290, nota 51. 

 

([29]) Con esclusione, quindi, in capo al noleggiante dell’assunzione delle obbligazioni di trasferimento, di custodia e di riconsegna delle merci. Come è noto, in dottrina vi è stato chi (E. Spasiano, Contratto di noleggio, cit., spec. 36 ss., 49 ss.), in aggiunta all’obbligo di navigare, ha ritenuto che la prestazione del noleggiante sia caratterizzata anche dalla messa a disposizione dello spazio a bordo della nave, la fornitura della navigazione oltre che la prestazione dell’opera del comandante e dell’equipaggio. Sulla questione si veda più diffusamente la nota 20 di questo lavoro.

 

([30]) Così, ad esempio: S. Ferrarini, I contratti di utilizzazione, cit., 18; A. Fiorentino, I contratti navali, cit., 13, ed Id., Sul contratto di noleggio, in Dir. maritt., 1948, 7, il quale acutamente rileva che «colui che ha la disponibilità delle nave si obbliga verso altri a qualcosa di più che nella locazione di cosa ed a qualcosa di meno che nel trasporto. Con questo contratto, infatti, l’armatore si obbliga a far navigare la nave, assumendosi le spese ed i rischi della navigazione ma estraniandosi dall’ulteriore scopo pratico della navigazione, che il noleggiatore perseguirà a suo rischio e spese […]. Rispetto alla locazione, il debitore assume in più l’obbligazione di svolgere una data attività, direttamente a mezzo dei suoi preposti, cioè sostanzialmente a fornire un servizio al creditore […]. Rispetto al trasporto, invece, il debitore non assume verso il noleggiatore l’obbligo di trasferire, a proprio rischio persone o cose da un luogo all’altro: il che si traduce nel non essere egli responsabile per l’esecuzione del trasferimento, che è eseguito dal creditore a proprie spese ed a proprio rischio»; A. Torrente, I contratti di utilizzazione, cit., 92.

 

([31]) Il riferimento è, come è evidente, alla tesi di Eugenio Spasiano, il quale, nell’ambito della teoria autonomista, ha sostenuto che l’opus dedotto nel noleggio non sia semplicemente il navigare ed il compiere viaggi, ma che esso si sostanzi nell’apprestamento del c.d. «servizio di noleggio», cui debbono essere ricondotte, comunque, la messa a disposizione dello spazio a bordo della nave, la fornitura della navigazione oltre che la prestazione dell’opera del comandante e dell’equipaggio. Cfr. E. Spasiano, Il noleggio di nave e di aeromobile, cit., 131 ss.; Id., I contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, cit., 522 ss.; Id., Il noleggio di nave e di aeromobile, in Riv. dir. comm., 1976, I, 10 ss.; Id., voce Noleggio di nave e di aeromobile, in Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, 242 e da ultimo, Id., Contratto di noleggio, cit., spec. 36 ss., 49 ss. Nel medesimo senso, cfr. W. D’Alessio, Diritto dei trasporti, Milano, 2003, 230.

 

([32]) La giurisprudenza appare, poi, nettamente orientata a distinguere il contratto di noleggio da quello di trasporto. A riguardo si ricordano le seppur non recenti: Cass. 26 gennaio 1960 n. 82, in Dir. maritt., 1960, 46; Cass. 11 febbraio 1960 n. 202, in Riv. dir. nav., 1960, II, 3; Cass. 9 agosto 1968 n. 2842, in Riv. dir. nav., 1969, II, 282; Cass. 10 marzo 1975 n. 874, in Giur. it., 1975, I-1, 1450; Cass. 9 giugno 1975 n. 2289 in Trasporti, n. 14, 1978, 157, con nota di E. Spasiano, Noleggio e trasporto: il significato dei formulari; Cass., sez. I, 19 novembre 1979, n. 6035, Amato c. Fall. Spadino, per la quale nel contratto di noleggio l’armatore si obbliga a compiere con una nave, in corrispettivo del nolo pattuito, uno o più viaggi prestabiliti (noleggio a viaggio), ovvero tutti i viaggi ordinati dal noleggiatore, anche a scopi diversi dal trasporto, entro il periodo di tempo convenuto (noleggio a tempo). Nel contratto di trasporto marittimo, invece, fra le altre obbligazioni il vettore assume quella relativa alla riconsegna del carico, totale o parziale, ricevuto sulla nave nel luogo e al destinatario stabiliti in contratto; App. Venezia 2 febbraio 1988, in Dir. mar, 1989, 471, Società Padana mangimi e altro c. Società Salvadori e altro; Trib. Genova 12 novembre 2002, Soc. Anadolu c. Soc. Hind Lever, in Dir. maritt. 2004, 1465, con nota di F. Berlingieri, Credito eventuale, asserzione di credito e sequestro di nave; Trib. Venezia 5 maggio 2003, Soc. Pasqualetto c. Fall. soc. Bordenca, in Dir. maritt., 2005, 1379, con nota di m. Carretta, A proposito di un (presunto) noleggio di pontone.

 

([33]) Si veda, per ulteriori riflessioni, L. Tullio, Contratto di noleggio, cit., 307, ad avviso del quale «non è inconcepibile, anche sotto l’aspetto economico e funzionale, che un soggetto trovi interesse a sfruttare economicamente una nave di cui disponga, lucrando il solo nolo per effettuare uno o più viaggi per conto della controparte, disinteressandosi completamente dell’uso che della nave sia fatto e delle persone o cose che in essa siano caricate. Che poi di fatto ciò non costituisca pratica corrente, specialmente quando il viaggio sia effettuato per finalità di trasporto, e che in conseguenza la scelta del legislatore di separare il noleggio dal trasporto possa essere criticata, è certamente vero, ma ciò non intacca la chiara previsione normativa». Il noleggio, pertanto, sostanzierebbe sempre una prestazione di trasferimento, quindi di un facere, ma quello che muta, rispetto al trasporto, è l’oggetto della prestazione: non già persone o cose, bensì la nave. Certo anche nel trasporto si riscontra il trasferimento del veicolo, ma esso costituisce lo strumento necessario per l’esecuzione dell’obbligazione principale del trasferimento delle persone o delle cose. Nel noleggio, invece, è proprio il trasferimento della nave che costituisce l’obbligazione principale e l’elemento necessario e sufficiente per la configurazione del contratto stesso». L’Autore conferma questa sua originale impostazione già espressa nel precedente I contratti di charter party, cit., 215 ss. Id., Il contratto di affreightment, Padova, 1991, 58 ss. Nel medesimo senso sembra orientato anche A. Dani, voce Noleggio nel diritto della navigazione, in Dig. disc. priv., sez. comm, X, 1994, 256, 259.

 

([34]) Va ricordato che nel codice di commercio la disciplina del contratto di noleggio era prevista nel titolo IV Del Contratto di Noleggio del Libro II Del commercio marittimo e della navigazione, dove il capo I (artt. da 547 a 554) fissava Disposizioni generali, mentre il capo III regolava le modalità di acquisizione nel nolo. La dottrina del tempo si era domandata se tale contratto di noleggio (sulla questione si veda altresì la precedente nota 26) avesse autonomia sistematica oppure dovesse essere ricondotto nell’ambito del trasporto ed in particolare nell’art. 388 cod. comm. Nella differente prospettiva offerta dal codice di commercio, G. Valeri (L’art. 926 cod. comm. e la natura giuridica del contratto di noleggio, cit., 841) osservava come «il contratto di noleggio non è che una varietà del contratto di trasporto: è il trasporto per acqua» ed inoltre, ivi 843, «[…] la definizione del contratto di trasporto e quella della figura giuridica del vettore, consacrate nell’art. 388, nella loro ampiezza e generalità, conferiscono alle disposizioni degli articoli successivi il valore di norme applicabili in linea generale al trasporto in tutte le sue forme e destinate a cedere il campo soltanto alle norme speciali da cui le singole norme sono regolate. Quindi, è ovvio dedurre, che gli art. 388 e segg. si applicano anche al contratto di trasporto per acqua, in quanto disposizioni speciali a questo relative non vi portino deroghe: e si tratta evidentemente di applicazione diretta, d’integrazione e non di analogia». Tuttavia, il medesimo Autore precisava, ivi 853: «[…] ai contratti che hanno per oggetto la concessione pura e semplice, totale o parziale, della nave, indipendentemente da qualsiasi assunzione dei rischi e della responsabilità del trasporto, e che perciò debbono considerarsi come esorbitanti dalla figura giuridica del noleggio, nessuna delle brevi prescrizioni stabile da codice sia applicabile. Tale è il caso del così detto contratto d’imbrago, tale è il caso del così detto time-charter. Queste figure contrattuali, e analoghe, sono vere e proprie locazioni di cose, nelle quali manca l’elemento dell’assunzione»; Id., Ancora sulla prescrizione nel trasporto marittimo, in Riv. dir. comm., 1923, I, 389. In proposito il riferimento è a G. Romanelli, Autonomia privata e norme inderogabili in materia di trasporto, in Dir. trasporti, 1998, 3. Si veda A. Asquini, Del contratto di trasporto, Torino, 1935, 72; F. Berlingieri Sen., Il contratto di noleggio e la navigazione a vapore, Genova, 1896, 7 ss.; U. Pipia, Trattato di diritto marittimo, II, Milano, 1925, 5. A. Greco, Trasporto marittimo e noleggio, Napoli, 1921, considerava, invece, il noleggio come locazione mista di cose e opere per il compimento di uno o più viaggi.

 

([35]) In senso contrario si era argomentato che «assimilare le due figure vuol dire confondere le rispettive cause ed escludere la possibilità di un noleggio senza trasporto» (così A. Brunetti, Diritto marittimo privato italiano, cit., 23 e Id., Sulla struttura del noleggio, in Riv. dir. comm., 1915, I, 927). S. M. Dominedò (Il sistema dei contratti di utilizzazione della nave, cit., 15 s.) rilevava, nel contratto di noleggio, la mancanza di trasferimento del veicolo e la caratterizzazione dell’obbligazione di navigare, propria, peraltro, dell’impresa di navigazione, e non anche di quella di trasportare, facente capo, invece, all’impresa commerciale. Il Graziani (Sulla sistematica del contratto di noleggio, in Riv. dir. comm., 1938, I, 183 ss., cui peraltro seguì la replica dello stesso Dominedò, Sviluppi sulla teoria del noleggio, in Riv. dir. comm., 1939, I, 272), rivolse aspre critiche a questa teoria, tacciandola di artificiosità, in modo particolare, per via della concezione di un’impresa di navigazione avente unicamente ad oggetto il navigare.

 

([36]) Tra i primi sostenitori dell’autonomia del contratto di noleggio, cfr. A. Brunetti, La teoria del contratto di noleggio, in Riv. dir. comm., 1924, I, 597, 613. Di particolare rilevo, tra coloro che sostengono l’inquadramento del noleggio nel trasporto, sono le osservazioni sviluppate da Francesco Berlingieri, da Gustavo Romanelli e da Giorgio Righetti. In particolare, F. Berlingieri, Il trasporto marittimo, Genova, 1975, 51, scrive che «del tutto inopportuna è stata […] la sistemazione adottata dal nostro legislatore, che ha separato il noleggio a tempo da quello a viaggio (come era sempre stato denominato), avvicinando quest’ultimo, per la presenza della stessa prestazione, e cioè quella di trasportare, al servizio di linea e coniando la nuova espressione di contratto di trasporto di carico totale (o parziale). Posto che la prestazione del trasporto è presente in tutti i tipi contrattuali, dal noleggio a tempo al trasporto su nave di linea, appare molto opportuno, aderendo alla realtà viva del commercio marittimo internazionale, raggruppare insieme tutti i negozi che concernono l’impiego della nave (o di una pluralità di navi) in un servizio non di linea sotto la tradizionale denominazione di noleggio: dal time charter al voyage charter e da questo ai tonnage agreement».

 

([37]) L’elaborazione forse più compiuta di tale teoria è da ricondursi al pensiero di G. Romanelli (Profilo del noleggio, cit., 135) il quale ritiene che il noleggio debba essere considerato una «forma di trasporto caratterizzato da una cooperazione piuttosto ampia ed intensa, consistente nell’attività richiesta al noleggiatore e che si rivela in particolare negli ordini previsti dall’art. 384 cod. nav. per la figura del time charter ed in generale nelle istruzioni e nelle indicazioni da fornirsi da parte del noleggiatore, comprendenti le ‘istruzioni’ relative all‘impiego commerciale previste dall’art. 393 cod. nav. […] Anziché parlare del trasporto e del noleggio come di due diversi ‘tipi’ contrattuali, caratterizzati il primo  dell’obbligazione di trasportare e il secondo dalla astrata e inafferrabile obbligazione di navigare, si configura il noleggio come un sottotipo del contratto di trasporto, in cui è pure sempre presente l’obbligazione di trasportare, ma che in pari tempo si caratterizza, rispetto ad altre forme di trasporto, per la maggior cooperazione richiesta al creditore (con il conseguente rilevato accollo di maggiori alee a carico del creditore stesso)». In questa ottica, più di recente, pare porsi anche Mauro Casanova, Noleggio di nave e trasporto. Alcune considerazioni alla luce dell’autonomia contrattuale delle parti, cit., 389 ss.

La prospettiva di Romanelli è condivisa da G. Righetti, Trattato di diritto marittimo, II, Milano, 1990, spec. 470, per il quale «un negozio […] il cui oggetto sia limitato al semplice «navigare», con avulsione radicale, dal suo contenuto, del fine – quale che possa essere –che distingue una tal navigazione, non trova, com’è ormai ammesso da ogni parte, riscontro nella prassi. Il duplice, bicomprensivo paradigma [noleggio a tempo, noleggio a viaggio] del citato art. 384 cod. nav. concernente la mera obbligazione di compiere con una nave, uno o più viaggi prestabiliti od ordinati, si presenta dunque come un’etichetta apposta su un flacone vuoto, senza tangibile contenuto». 

 

([38]) Una posizione a parte assume S. Ferrarini, il quale nella monografia I contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, cit., 41, sostiene che «rispetto al trasporto, comune essendo il genere (locazione d’opera), il noleggio si distingue per la specie della prestazione dedotta in contratto, che consiste, come si è detto, nella navigazione della nave (compimento di uno o più viaggi) e non nel trasporto (riconsegna a destino del carico)». Tale affermazione sembra subire una elaborazione in due scritti successivi, Profilo del noleggio, in Dir. maritt., 1958, 3, e, specialmente, Note sulla classificazione dei contratti di utilizzazione della nave, cit., 189 ss. Ed infatti il Ferrarini pur mantenendo ferma in entrambi gli studi la tripartizione dei contratti di utilizzazione in locazione, noleggio e trasporto, ritiene nel primo (Profilo del noleggio, cit., 15): «posto che il noleggiatore organizza il trasporto e stipula i relativi contratti con i caricatori, ma compie materialmente il trasporto utilizzando la prestazione del noleggiante, sembra chiaro che in ordine alle perdite o danni, occorsi alle merci durante il trasporto, vi è uno stretto parallelismo tra la posizione del noleggiante verso il noleggiatore e quella del noleggiatore come vettore, verso gli aventi diritto alle cose trasportate. Ne consegue la possibilità di applicare per analogia al noleggio – come prescritto dall’art. I cod. nav, prima del ricorso al diritto comune – le norme dettate dagli artt. 421 e segg. cod. nav. per la responsabilità del vettore marittimo per la perdita o avaria delle cose trasportate». Nel secondo lavoro sopra citato (Note sulla classificazione dei contratti di utilizzazione della nave, cit.), Ferrarini (ivi, 203) pare optare per una distinzione tra noleggio a tempo e trasporto fondata sul «rischio della difficoltà dell’opus) nel senso che tale rischio ricadrebbe interamente sul vettore nel trasporto mentre sarebbe ripartito tra noleggiante e noleggiatore nel noleggio. Da ciò ne discenderebbe che il discrimen tra noleggio e trasporto permarrebbe «perché, a differenza del vettore, il noleggiante non si assume – secondo lo schema tipico del noleggio – tutto il rischio (della difficoltà) del viaggio, ma tiene a suo carico solo il rischio […] tecnico, mentre grava sul noleggiatore […] il rischio economico». Il noleggio a viaggio sarebbe invece da inquadrarsi nel trasporto di carico (ivi 205). Pur tuttavia, (ivi, 205 s.), del noleggio dovrebbe «sottolinearsi la finalità di trasporto di carico (con conseguenze rilevanti per colmare le lacune della sua disciplina). Tale avvicinamento – imposto anche da una configurazione del trasporto che esclude dai tratti essenziali di questo negozio la consegna al vettore delle cose da trasportare – non porta a confondere tra loro i due contratti ma solo a porne i tratti differenziali su basi diverse da quelle correntemente indicate». Sulla problematica circa l’inquadramento del pensiero di Sergio Ferrarini, si vedano N. Balestra, Il noleggio. Eppur esiste (e non è trasporto), cit., 77-78, nota 1 (il quale lo annovera tra i sostenitori della teoria separatista) e L. Tullio, Contratto di noleggio, cit., 296 nota 68 (il quale lo inserisce tra i fautori della teoria unitaria).

 

([39]) La questione, in effetti, si è posta in relazione alla riscontrabilità nella pratica dei traffici di un noleggio a viaggio con una propria autonomia, distinto, pertanto, sia dal noleggio a tempo che dal trasporto. Secondo A. Flamini, I contratti di utilizzazione dei veicoli, cit., 58: «La circostanza che la disciplina del noleggio a viaggio sia scarna non può indurre la conclusione che tale forma di contratto non esiste perché, anzi, costituisce la prova della volontà del legislatore di offrire all’autonomia privata la possibilità di regolamentare i suoi interessi secondo le modalità da essa indicate quando agli stessi non sono confacenti le norme espressamente dettate per il noleggio a tempo».

 

([40]) Si veda S. Ferrarini, I contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, cit., 41, ad avviso del quale «l’elemento distintivo dei due contratti – decisivo per precluderne l’inquadramento di una stessa categoria – è, come precisa l’art. 439 cod. nav., la presenza nel secondo nell’obbligo di riconsegnare a destinazione il carico, che manca nel primo, essendo in questo salente assunto l’obbligo di compiere il viaggio. Ciò non esclude che, particolarmente nel modo di esecuzione, i due contratti presentino situazioni profondamente analoghe, quando non addirittura identiche»; Id., Profilo del noleggio, in Dir. maritt., 1958, 3, (in relazione al quale si veda la critica di S. M. Dominedò, Il sistema dei rapporti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, cit., 22 ss.), ove si legge che «nella pratica anche quando una nave viene noleggiata per compiere uno o più viaggi prestabiliti il nolo viene stabilito a tempo e le rispettive obbligazioni dei contraenti sono fissate secondo lo schema del noleggio a tempo e non secondo lo schema di un preteso noleggio a viaggio». Cfr., anche, G. Romanelli, La disciplina dei contratti di utilizzazione della nave, cit., 584, il quale osserva che l’orientamento giurisprudenziale favorevole ad inquadrare l’intera categoria dei voyage charters nell’ambito del trasporto di carico, «ha finito per rendere la figura del noleggio a viaggio sostanzialmente priva di un riscontro nella realtà della prassi contrattuale dei traffici marittimi»; F. Berlingieri, Il contratto di noleggio a viaggio nei formulari, in Aa.Vv., Dai tipi legali ai modelli sociali nella contrattualistica della navigazione, dei trasporti e del turismo, a cura di G. Silingardi, A. Antonini, F. Morandi, Milano, 1996, 33 ss. In giurisprudenza, pur se datata, si veda Cass. 21 novembre 1960 n. 3126, Lauritzen c. Amministrazione finanze dello Stato, in Dir. maritt., 1961, 276 (con nota di N. Balestra, Su alcuni criteri distintivi tra noleggio a viaggio e trasporto di carico totale).

 

([41]) Cfr. G. Romanelli, Profilo del noleggio, cit., 10; Mario Casanova, I contratti di utilizzazione della nave in una trattazione recente, in Dir. maritt., 1963, 477; P. Manca, Studi di diritto della navigazione, I, cit., 62; A. Lefebvre d’Ovidio, G. Pescatore, L. Tullio, Manuale di diritto della navigazione, cit., 465; N. Balestra, La polizza di carico nel trasporto di carico e nel noleggio a viaggio, Milano, 1968, 178, il quale, in realtà, ammette, anche se considerandoli casi marginali, ipotesi di noleggio a viaggio. Sulla questione v., sempre nella medesima ottica, Id., Su alcuni criteri distintivi tra noleggio a viaggio e trasporto di carico totale, in Dir. maritt., 1961, 276, nota conforme a Cass. 21 novembre 1960 n. 3116, Lauritzen c. Amministrazione Finanze dello Stato. Nella sentenza da ultimo citata, la quale mantiene inalterati profili di interesse, è stata riconosciuta la sussistenza di un noleggio a viaggio anziché di un trasporto di carico sulla base di alcuni indici che consentivano di puntualizzare che «l’armatore aveva assunto solo l’obbligo di eseguire un determinato numero di viaggi, mentre non aveva assunto quello della presa in consegna di un certo carico determinato, né la prestazione di custodia e di conservazione di esso durante il viaggio, né infine l’obbligo della consegna a destino con tutte le consequenziali responsabilità». Il caso si riferiva alla famosa questione della stipulazione di contratti per il trasporto delle banane dalla Somalia all’Italia da parte dell’Amministrazione Monopoli Banane, con particolare riguardo al fatto se quest’ultima noleggiava le navi per effettuare il trasporto in proprio oppure se affidava questo all’armatore, assumendo la veste di caricatore-ricevitore (così N. Balestra, Su alcuni criteri distintivi tra noleggio a viaggio e trasporto di carico totale, cit., 278). Gli elementi che hanno determinato la decisione della corte nel senso di ritenere che si trattasse di un noleggio a viaggio e non di un trasporto, e che l’armatore avesse assunto la veste di noleggiante e non di vettore, sono stati: a) l’essere le spese di caricazione e scaricazione poste a carico di persona diversa dall’armatore; b) l’essere il carico sottratto alla custodia dell’armatore stesso; c) l’essere, infine, il nolo determinato in una somma fissa dovuta anche in caso di mancata caricazione delle merci. 

 

([42]) In giurisprudenza, sembrano aderire a quella tesi che riconosce autonomia sistematica al contratto di noleggio a viaggio, anche Cass. 23 marzo 1963 n. 724, in Dir. maritt., 1964, 49. (citata anche da F. Berlingieri, in La disciplina della responsabilità del vettore di cose, Milano, 1978, 32), nella quale si è ritenuto che l’obbligo di riconsegna di un carico «manca nel contratto di noleggio, a viaggio o a tempo, in cui il noleggiante assume solo l’obbligo di fa viaggiare la nave, sia pure con personale da lui dipendente, posto però agli ordini del noleggiatore» e, successivamente, Trib. Savona 9 aprile 1984, in Dir. maritt., 1985, 362, ove si è stabilito che, nell’ipotesi di noleggio a viaggio stipulato a fini di trasporto, la prestazione del trasporto non entra a far parte del contenuto obbligatorio del contratto di noleggio, che si esaurisce nel fatto della navigazione, in nome del noleggiante, ma per conto del noleggiatore, che assume la veste di vettore; App. Venezia 2 febbraio 1988, Società Padana mangimi e altro c. Società Salvadori e altro, in Dir. maritt., 1989, 471, per la quale il noleggiatore a viaggio di una nave che stipula in proprio nome un contratto per il trasporto di merci assume la veste di vettore ed è pertanto responsabile, nei confronti del proprio contraente, per l’inadempimento del contratto.  Si veda, altresì, in senso contrario, App. Napoli, 21 febbraio 2000, Soc. D’Amico c. Soc. McDonnel Douglas Aircraft e altro, in Dir. trasporti, 2001, 761 (con nota di V. R. Cervelli, Brevi annotazioni su un contratto di time-charter contenente una clausola paramount) ove si è  precisato che nel noleggio a viaggio l’armatore si obbliga alla riconsegna del carico, talché assume la veste di vettore, diversamente da quanto avviene nel noleggio a tempo, nel quale si limita a fornire al noleggiatore, sul quale soltanto gravano i rischi del trasporto, i mezzi organizzati per il trasporto stesso. Ne consegue che il contratto di noleggio a viaggio, in cui il noleggiante assume l’obbligo di prendere in consegna un carico totale e di riconsegnarlo a destino contro pagamento di un nolo, ha natura di contratto di trasporto e, pertanto, il noleggiante risponde verso il noleggiatore dell’esatto adempimento degli obblighi vettoriali; Lodo arbitrale, 11 marzo 1994, Soc. Jacorossi c. Soc. Italcoast trasp. int. petrol. e altro, in Dir. maritt.,  1996, 233, con nota di A. Salesi, Brevi osservazioni sulla qualificazione del noleggio a viaggio e del noleggio a tempo, ove è ribadito che il contratto di noleggio a viaggio, in cui il noleggiante assume l’obbligo di prendere in consegna un carico totale e di riconsegnarlo a destino contro pagamento di un nolo, ha natura di contratto di trasporto e, pertanto, il noleggiante risponde verso il noleggiatore dell’esatto adempimento degli obblighi vettoriali; Lodo Arbitrale, 26 ottobre 1983, Società Borra c. Società Intermare, in Dir. maritt., 1984, 916 (con nota di  Capodonico, Sulla natura giuridica, del «voyage charter party»), che attribuisce natura giuridica di contratto di trasporto di carico totale il contratto stipulato su formulario Italanglo, con il quale il noleggiante si obbliga a eseguire una serie di viaggi per il trasporto di carichi totali di prodotti petroliferi. 

 

([43]) Sull’origine del termine inglese charter party dal latino medievale charta partita, «che sta ad indicare un documento spezzato in due», in uso nell’Aquitania e nell’Inghilterra del XV-XVI secolo, si veda L. Tullio, Contratto di noleggio, cit., 8-9, il quale spiega che in caso di controversia la corrispondenza dei due frammenti strappati dalle parti contraenti ne garantiva l’autenticità, salvaguardando, in tal modo, le parti contraenti da possibili manomissioni da  parte di falsari; Id., voce Charter party, in Enc. giur. Treccani, VI, Roma, 1988.

 

([44]) Sulla polemica relativa all’utilizzo della terminologia «contratti di charter party» da parte di L. Tullio nella sua nota monografia I contratti di charter party. Funzione e natura, Padova 1981, si vedano i rilievi mossi da G. Righetti, Trattato di diritto marittimo, II, Milano, 1990, 425 nota 38 e da N. Balestra, Il noleggio. Eppur esiste (e non è trasporto), cit., 79, nota 2 e, in risposta, L. Tullio, Contratto di noleggio, cit., 1 ss.

 

([45]) Il charter party in cui si prevede la messa a disposizione da parte dell’owner in favore del charterer degli spazi di una nave per caricare container prende il nome di slot charter, è descritto da L. Tullio, Contratto di noleggio, cit., 10-11. In argomento si veda altresì, F. Berlingieri, Ambito di applicazione del progetto Uncitral sul trasporto door-to-door e libertà contrattuale, in Dir. maritt., 2005, 768, 774 e, per qualche cenno, A. Dani, Charterparties, in Trattato breve di diritto marittimo, coordinato da A. Antonini, II, I contratti di utilizzazione della nave e la responsabilità del vettore, Milano, 2008, 103, 104. Per quanto riguarda gli ocean liner service agreements (OLSAs), che sono contratti di volume aventi ad oggetto il trasporto su navi di linea di una serie di carichi in una serie di viaggi, cfr. F. Berlingieri, op. ult. cit., 770.

 

([46]) L. Tullio, Contratto di noleggio, cit., 10, riconosce ad alcuni charter party una funzione differente dal trasporto, quale l’effettuazione «di servizi di supporto offshore, di svolgere speciali esercitazioni militari, di fare una crociera turistica, di navigare per diporto».

 

([47]) Nel voyage charter, viene in rilievo l’obbligo dell’owner di mettere a disposizione del charterer, oltre ai servizi del proprio comandante ed equipaggio, una determinata nave per trasportare il carico oppure carichi successivi già individuati o che possano risultare individuabili in relazione alla capacità della nave stessa. Come controprestazione, è prevista la dazione di una somma, denominata usualmente freight, prestabilita in funzione del viaggio, e che terrà conto sia della spese fisse che di quelle variabili, in quanto quantificabili fin dalla stipulazione del contratto dall’owner. Tale somma viene pattuita globalmente (ad lumpsum) facendo riferimento al singolo carico «o in proporzione alle quantità effettivamente caricate o trasportate (per intaken quantity)». Così G. Righetti, Trattato di diritto marittimo, II, cit., 427. Di particolare rilievo è il pensiero di F. Berlingieri, Il trasporto marittimo, cit., 40, il quale sostiene che «nel voyage charter, anche se l’impiego della nave può essere altrettanto vasto che nel time charter, gli ordini al comandante sono dati dal noleggiante, il quale naturalmente li riceve dal noleggiatore nell’ambito delle pattuizioni contrattuali. Per converso i rischi del noleggiante aumentano poiché sono a suo carico, almeno in parte, quelli che attengono all’impiego commerciale della nave: in ogni caso, quelli che riguardano la durata della navigazione e spesso, sia pure in misura maggiore o minore a seconda delle pattuizioni contrattuali, quelli che riguardano l’entrata e la sosta della nave nei porti». Inoltre (ivi, 47) «raffrontando i formulari di time charter e di voyage charter si nota – occorre darne atto – una differenza nella descrizione della prestazione del noleggiante. Mentre, infatti, nei formulari di voyage charter è prevista l’obbligazione del noleggiante di recarsi al porto di caricazione per ivi imbarcare le merci descritte in contratto e trasportarle a destino, nei formulari di time charter vengono usate espressioni che a prima vista parrebbero escludere l’assunzione da parte del noleggiante dell’obbligazione di trasporto, giustificando la teoria secondo cui il noleggiante si obbliga a far navigare la nave […] Ma nulla di tutto ciò è decisivo in favore della creazione di un’autonoma categoria autonoma accanto al trasporto».  G. Romanelli, Profilo del noleggio, cit., 64, sottolinea come il time charter e il voyage charter «non si differenziano solo per il diverso modo di computo del nolo, ma anche perché il voyage charter ha per oggetto il trasferimento di cose determinate per uno o più viaggi già stabiliti, mentre nel time charter la nave è messa a disposizione per viaggi non ancora determinati». Nel diritto angolosassone, cfr. T. E. Scrutton, Charterparties and Bills of Lading, cit., 2: il time charter è un «agreement for the employment of the whole ship for a given period of time» e J. Cooke, T. Young, A. Taylor, J. D. Kimball, D. Martowski, L. Lambert, Voyage Charters, II ed., London, 2001.

 

([48]) Fra le più significative decisioni sul punto, è utile qui ricordare Lodo arbitrale 11 marzo 1994, in Dir. maritt., 1996, 233, con nota di A. Salesi, Brevi osservazioni sulla qualificazione del noleggio a viaggio e del noleggio a tempo; Lodo arb. 20 marzo 1987, in Dir. maritt., 1988, 257; Trib. Genova 4 luglio 1986, in Dir. maritt., 1988, 411, con nota di M. Chirco, Il clausolario «Time lost in waiting for berth to count as laytime whether in port or not»; ; Lodo arb. 26 ottobre 1983, in Dir. maritt., 1984, 916; Cass. 12 giugno 1976 n. 2182, in Dir. maritt., 1977, 195; Cass. 9 giugno 1975 n. 2289; contra App. Firenze 11 gennaio 1995, in Dir. maritt., 1996, 750, con nota contraria di A. Salesi, Noleggio a viaggio senza assunzione del trasporto?; App. Roma 20 giugno 1974, in Dir. maritt., 1974, 554; Cass 25 gennaio 1971 n. 153, in Dir. maritt., 1971 ed in Riv. dir. nav., 1971, II, 260, con nota di L. Tullio, In tema di individuazione del creditore del compenso di controstallia; Cass. 13 settembre 1968 n. 2939, in Dir. maritt., 1969, 41; Cass. 22 luglio 1965 n. 1714, in Foro it., 1965, I, 1888; Lodo arbitrale 27 dicembre 1993, in Riv. arbitrato, 1996, I, 135, con nota contraria di M. M. Comenale Pinto, Trasporto marittimo per viaggi consecutivi su servizi di linea, ed in Dir. maritt., 1004, 1123, con nota contraria di F. Toriello, Osservazioni in tema di atipicità nei contratti di utilizzazione della nave. Rileva molto efficacemente A. Dani, Charterpaties, cit., 109 s., che in Italia, «a fronte di un profluvio di contributi dottrinali, la giurisprudenza non ha avuto molte occasioni di occuparsi del tema dei charterparties. La circostanza non sta certo a significare che tali forme contrattuali, di enorme diffusione, non diano luogo a controversie; ma, da un esame della medesima giurisprudenza, appare subito che la maggior parte del contenzioso in tema di voyage charter si esaurisce nel tempo di attesa, in termini di stallie e di controstallie […]. Di contro la giurisprudenza italiana in materia di time charter è sempre stata molto scarsa».

 

([49]) In particolare, sul time charter e sulla sua qualificazione, cfr. G. Berlingieri, Time charter, Mortara Vigevano, 1914; Guidi, L’Industria della navigazione marittima e i suoi contratti, Genova, 1928, 17 ss.; A. Graziani, Time charter, Napoli, 1923; F. Berlingieri, Il trasporto marittimo, Genova, 1975; L. Tullio, Contratto di noleggio, cit.,  ma specialmente 335 ss.; T. G. Carver, Carriage by Sea, cit., 460; T. E. Scrutton, Charterparties and Bills of Landing, cit., 123; J. M. Gondra, El «Time-charter» en el sistema de los contratos de utilizacion del buque, in Dir. maritt., 1984, 765; M. Wilford, T. Koghlin, J. D. Kimball, Time Charters, London, 1989; E. Du Pontavice, La nature juridique du contract d’affrètement: l’affrètement par charter partie, Paris, 1964 e Huet, Les principaux contrats spéciaux, in Traité de droit civil, a cura di Ghestin, Paris, 1996, 1180 e 1384. Si veda altresì Trowbridge, The history, development, and characteristics of the charter concept, in 49 (1975) Tul. L. Rev., 743 e Miller, The construction of charter parties in English Law, in Studi in onore di G. Berlingieri, Genova, 1964, 342. Per una approfondita analisi dei formulari maggiormente in uso sia per le navi adibite al trasporto di carichi secchi che sia per quelle che trasportano carichi liquidi, cfr. F. Berlingieri, Il contratto di noleggio a tempo, in Dir. maritt., 1994, 590 e da ultimo l’accurato ed interessante analisi svolta da G. M. Boi, I contratti marittimi. La disciplina dei formulari, Milano, 2008, 55 ss.

Per un inquadramento del time charter nel trasporto: si veda F. Berlingieri, Note per una sistemazione del time charter, in Studi in onore di G. Berlingieri, in Dir. maritt., 1964, 15 ss. In senso nettamente contrario: E. Spasiano, I contratti di utilizzazione della nave: note per la revisione della disciplina attuale, in Giur. it., 1977, IV, 491.

In giurisprudenza, cfr. App. Genova 5 giugno 2000, Milano Assicurazioni, S.p.a. e La Fondiaria Assicurazioni S.p.a. c. Fall.to Co.mar. - Consulenze marittime S.r.l. e Italco S.p.a., Milano Assicurazioni e La Fondiaria Assicurazioni S.p.a. c. Fall.to Co.mar. – Consulenze marittime S.r.l., in Dir. maritt., 2001, 1118, con nota di Scapinello, Obbligo del noleggiante di fornire una nave navigabile e «maintenance clause», nonché in Dir. trasporti, 2002, 553, con nota di S. Giacobbe, In tema di qualificazione del time charter come trasporto e di responsabilità per innavigabilità sopravvenuta durante il viaggio.

 

([50]) Cfr. S. Ferrarini, Profilo del noleggio, cit., 3; F. Berlingieri, Note per una sistemazione del time charter, cit., 29. Secondo questo Autore, a nulla rileva l’assenza della presa in consegna delle cose da trasportare da parte del noleggiante, in quanto essa «non costituisce un elemento essenziale del trasporto, l’opus del medesimo consistendo semplicemente nel trasferimento di cose da un luogo ad un altro»; Id, Il noleggio, in Dir. maritt., 1983, 108 (ove si legge che «nel 1942 il legislatore forse non aveva gli strumenti per verificare se la distinzione tra noleggio e trasporto, e più ancora il modo in cui essa era stata realizzata, rispondeva ad una obiettiva esigenza dei traffici marittimi»), e 113; G. Romanelli, Profilo del noleggio, cit., 135, che qualifica il noleggio come «una forma di trasporto caratterizzato da una cooperazione del creditore (noleggiatore) particolarmente ampia ed intensa». Si veda altresì J. M. Gondra, El «Time-charter» en el sistema de los contratos de utilisacion del buque, cit., 778 ss.

 

([51]) Il passo è citato da A. Dani, Charterparties, cit., 111. Il riferimento bibliografico è [1971] 1 Lloyd’s Rep., 523 (H.L.).

 

([52]) In tali termini si esprime G. Romanelli, Autonomia privata e norme inderogabili in materia di trasporto, cit., 3.

 

([53]) Cfr. A. Antonini, Il noleggio, in Trattato breve di diritto marittimo, coordinato da A. Antonini, II, I contratti di utilizzazione della nave e la responsabilità del vettore, Milano, 2008, 39, 44, secondo cui «le figure contrattuali diffuse nella pratica non trovano agevole corrispondenza nei tipi legali disciplinati nel codice, sicché la loro riconduzione all’uno o all’altro ha lasciato immutate le perplessità che la nuova codificazione aveva ritenuto di superare».

 

([54]) Per un tale inquadramento, fra i sostenitori della tesi separatista, cfr. L. Tullio, I contratti di charter party, cit., 257 (per una sintesi delle conclusioni), riferita a tutti i charters (con esclusione dei bare boat charters), ivi compresi quelli a tempo, quali sono effettivamente conosciuti nella prassi commerciale, che sarebbero in ogni caso contratti di trasporto: ne deriverebbe che ai time charters dovrebbe applicarsi in via diretta la disciplina sul trasporto, in quanto compatibile con un trasporto a tempo. Sotto la vigenza del codice del 1882, devono essere ricordati A. Asquini, Del contratto di trasporto, IV ed., Torino, 1935 e A. Graziani, Time charter, cit., per i quali il time charter dovrebbe farsi rientrare nell’ambito della locazione di cosa. Di opposta opinione, invece, A. Brunetti, Diritto marittimo privato italiano, III, cit., 38 e, in particolar modo, S. M. Dominedò, Il sistema dei contratti di utilizzazione della nave, cit., 88 ss., il quale propende nettamente per attribuire al time charter natura propria del noleggio ravvisandovi una forma di locatio operis.

 

([55]) L’inquadramento del noleggio nella locazione d’opera, avente, quindi, per oggetto la prestazione di un facere, come si diceva, appare principio pressoché pacifico. Così si esprimono: A. Brunetti, Diritto marittimo privato italiano, cit., III, 19; S. M. Dominedò, Il sistema dei contratti di utilizzazione della nave, cit., 70; T. Ascarelli, Recensione di A. Brunetti in Riv. dir. nav., 1936, I, 222; A. Asquini, Il contratto di trasporto terrestre di persone, Padova, 1915, 30; E. Spasiano, Il noleggio, in Annali, cit., 131; Id., Contratto di noleggio, cit., 47; Id, Il noleggio di nave o di aeromobile, in Riv. dir. comm., 1976, I, 10, 13; S. Ferrarini, I contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, cit., 17 e Id. Note sulla classificazione dei contratti di utilizzazione della nave, cit., 194; A. Fiorentino, I contratti navali, cit., 12 («il noleggio rientra quindi nella stessa categoria dei contratti di appalto e di opera [...] che, com’è noto, non sono che due species di un unico genus, ossia della locatio operis»); G. Pescatore, Appunti sul subnoleggio di nave e di aaeromobile, in Riv. dir. nav., 1953, I, 224; L. Scotti, voce Noleggio di nave e di aeromobile, in Enc. forense, V, Milano, 1960, 58 ss.; R. Sandiford, Diritto marittimo, Milano, 1960, 437; G. Riccardelli, La colpa nautica, cit., 131; A. Graziani, Locazione di nave e noleggio, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1950, 155; G. Romanelli, Profilo del noleggio, cit., 24, e ivi riferimenti, anche giurisprudenziali.

 

([56]) In ambito civilistico, M. Stolfi, Appalto-trasporto, in Trattato di diritto civile, diretto da A. Grosso e F. Santoro Passarelli, V, II ed., Vallardi, Milano, 1966, 94-95, ritiene che entrambi i contratti di trasporto e di noleggio appartengano alla categoria dei contratti di risultato (locatio operis); tuttavia l’elemento che li contraddistingue è rappresentato dalla prestazione promessa. Con il primo, il vettore si impegna a fornire il risultato del trasporto; con il secondo il noleggiante si obbliga a compiere con un determinato mezzo uno o più viaggi stabiliti. Da questa considerazione l’A. conclude che nel noleggio si assiste ad un fenomeno di scissione tra la figura dell’ armatore e quella di vettore, così come la locazione determina una fenomeno di scissione della posizione del proprietario da quella dell’armatore. Del medesimo avviso è A. Tabet, La locazione-conduzione, cit., 260, il quale inquadra il noleggio in una locatio operis, dove l’opus va individuato nell’obbligazione di navigare.

 

([57]) Cfr., per una critica di tale categoria, C. M. Bianca, L’obbligazione, Milano, 1990, 66 ss.; A. Di Majo, Dell’adempimento in generale, in Commentario del codice civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, Roma-Bologna, 1994, 67.

 

([58]) Sulla distinzione tra locazione d’opera e locazione di opere, quale criterio distintivo dei rapporti di lavoro, inteso quest’ultimo nella sua più ampia accezione come «qualunque attività umana, utile a se stessi o ad altri, retribuita o gratuita», cfr. A. Asquini, Il contratto di trasporto terrestre di persone, cit., 19. Del medesimo avviso, L. Abello, La locazione di opere (parte generale), III, Napoli, 1919, 86 ss.; D. Rubino, L’appalto, in Trattatato di diritto civile diretto da Vassalli, VII, 3, Torino, 1980, 295; C. Giannattasio, L’appalto, in Trattato di diritto civile, diretto da A. Cicu e F. Messineo, XXIV-2, Milano, 1977, 3 ss.; M. Stolfi, Appalto- trasporto, in Trattato di diritto civile diretto da Grosso e Santoro Passarelli, V, II ed., Vallardi, Milano, 1966, 4; Lorizio, Il contratto di appalto (parte generale), Milano, 1939, 28 ss.; Vita Levi, Della locazioni d’opere e (più specialmente) dell’appalto, Torino, 1896, 8 ss. e 17.

 

([59]) Per una ricostruzione critica dell’evoluzione dello schema unitario e tipico della locatio-conductio (nelle forme di locatio-conductio rei, di locatio-conductio operarum e di locatio-conductio operis) e della derivazione delle moderne figure contrattali, anche atipiche, cfr. G. Provera, Locazione. Disposizioni generali, in Commentario del Codice civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, Libro IV, Delle obbligazioni (artt. 1571-1606), Bologna-Roma, 1980; A. Masi, voce Locazione in generale (storia), in Enc. dir., XXIV, Milano, 1974, 908; L. Amirante, voce Locazione in generale (diritto romano), in Noviss. dig. it., IX, Torino, 1963, 992 ss., il quale ritiene che la ricostruzione pandettistica non abbia tenuto conto del fatto che la tripartizione non trova alcun riscontro nella testimonianza delle fonti romane; O. Cagnasso, Il contratto di appalto, in Contratti commerciali, cit., 654 ss.

 

([60]) In tal senso si vedano A. Asquini, Il contratto di trasporto terrestre di persone, cit., 19. D. Rubino, L’appalto, in Trattato di diritto civile, diretto da Vassalli, VII, 3, Torino, 1980.i.Rubino, L’appalto, in Trattato di diritto civile diretto da Vassalli, VII, 3, Torino, 1980;, 295, il quale peraltro, avverte, in riferimento ai concetti di autonomia e di risultato propri della locatio operis, che essi devono essere intesi nel senso che non sempre «è necessario che il risultato sia definitivo e che rappresenti il punto finale dell’attività. […] Ciò acquista importanza specie quando si tratta di professioni intellettuali […] Correlativamente anche nella locazione d’opere non si astrae del tutto dal risultato, perché è ovvio che in tanto l’attività di un soggetto viene posta al servizio di un’altra persona in quanto è idonea a produrre un risultato». Del medesimo avviso, appaiono anche F. Santoro Passarelli, voce Opera, in Noviss. dig. it., XI, Torino, 1965, 683 e G. Giacobbe, voce Lavoro autonomo, in Enc. dir., XXIII, Milano, 1973, 418. Sulla configurabilità di un contratto avente per oggetto una prestazione d’opera intellettuale, inquadrabile nella categoria del lavoro autonomo, come obbligazione di risultato e non di mezzi, cfr. Cass. 21 luglio 1989 n. 3476, in Giust. civ. mass., 1989, 7.

 

([61]) Cfr. Pret. Taranto 25 febbraio 1992, in Giur. mer., 1994, 54, che fa discendere dall’inquadramento del contratto di trasporto nella locatio operis e non nella locatio operarum la conseguenza del rischio di una maggiore onerosità della prestazione, in relazione alle difficoltà che possono verificarsi nella produzione del risultato, il cui conseguimento è stato dedotto in obbligazione incide sul vettore.

 

([62]) Il richiamo è a G. Romanelli, Profilo del noleggio, cit., 27.

 

([63]) Il fatto che il noleggiatore-charterer sopporti in misura rilevante il rischio della difficoltà dell’opus non sembrerebbe impedire il suddetto inquadramento, poiché, si sottolinea, è comunque il noleggiante-owner a sopportare il rischio preponderante, attinente in concreto alla idoneità del mezzo impiegato per l’adempimento. È questa l’opinione espressa da A. Fiorentino, I contratti di utilizzazione, cit., 197.

 

([64]) Sulla distinzione tra contratto di appalto e contratto di trasporto, in giurisprudenza, è utile il richiamo a Cass. 16 ottobre 1979 n. 5397, Chita c. Ramundo, in Giur. it., 1981, I-1, 979, secondo cui il contratto di appalto ha per oggetto il risultato di un «facere» il quale può concretarsi nel compimento di un’opera o di un servizio che l’appaltatore assume verso il committente dietro corrispettivo; esso inoltre è contrassegnato dall’esistenza di un’organizzazione ad impresa presso l’appaltatore e dal carico esclusivo del rischio economico nella persona del medesimo; invece, si ha contratto di trasporto quando un soggetto si obbliga nei confronti di un altro a trasferire persone o cose da un luogo ad un altro mediante una propria organizzazione di mezzi e di attività personali e con l’assunzione a suo carico del rischio del trasporto e della direzione tecnica dello stesso. In senso sostanzialmente analogo Cass., sez. III, 17 ottobre 1992 n. 11430, Conti c. ATM Ravenna, ove è stato deciso che il criterio distintivo tra il contratto di appalto ed il contratto di trasporto risiede nel fatto che il primo ha per oggetto il risultato di un «facere», il quale può concretarsi nel compimento di un’opera o di un servizio che l’appaltatore assume verso il committente dietro corrispettivo e dall’esistenza di un’organizzazione d’impresa presso l’appaltatore, nonché dal carico esclusivo del rischio economico nella persona del medesimo. Si ha invece contratto di trasporto quando un soggetto si obbliga nei confronti di un altro soggetto a trasferire persone o cose da un luogo all’altro, mediante una propria organizzazione di mezzi e di attività personali e con l’assunzione a suo carico del rischio del trasporto e della direzione tecnica dello stesso. In dottrina, cfr., per tutti D. Rubino, G. Iudica, Appalto, II ed., in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Bologna, 1992, 59-61, secondo i quali (ivi, 59) «l’appalto ha ad oggetto qualsiasi tipo di opera o di servizi, il trasporto ha ad oggetto un risultato di lavoro tipico e individuato, consistente nel trasferimento verso corrispettivo di persone o cose da un luogo ad un altro. Inoltre, mentre il trasporto è caratterizzato dal solo elemento della prestazione di un risultato di lavoro, e cioè il trasporto, l’appalto è qualificato altresì dal potere di controllo sull’esecuzione dell’opera da parte dell’appaltatore, testualmente riconosciuto al committente dall’art. 1662».

 

([65]) Così S. Ferrarini, Note sulla classificazione dei contratti di utilizzazione della nave, in Riv. dir. nav., 1962, I, 189.

 

([66]) Si veda in dottrina, L. Mengoni, Obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, in Riv. dir. comm., 1954, I, 188 ss., il quale, operando una ricostruzione critica delle due categorie, distingue, nell’ambito della locazione d’opera, obbligazioni di mezzo e obbligazioni di risultato, osservando, fra l’altro, che la distinzione tra di esse non trova specifico riscontro nella contrapposizione tra obbligazione di lavoro ed obbligazione d’opera, in quanto non sembrerebbe vero che il lavoro autonomo si ricolleghi, in ogni caso, ad un’obbligazione di risultato.

 

([67]) In tal senso U. Breccia, Le obbligazioni, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 1991, 139.

 

([68]) Cfr. U. Breccia, Le obbligazioni, cit., 139. Particolarmente interessante è parsa Cass. 25 novembre 1994 n. 10014, in Foro it., 1995, I, 2913, con nota di E. Scoditti, nella quale si afferma che, nel contratto avente ad oggetto una prestazione di chirurgia estetica, il sanitario può assumere una semplice obbligazione di mezzo, ovvero, anche di risultato da intendersi, quest’ultimo, non come un dato assoluto, ma, come un elemento da valutare con riferimento alla situazione pregressa ed alle obiettive possibilità conseguite dal progresso raggiunto dalle tecniche operatorie. Contra Cass. 3 dicembre 1997 n. 12253, secondo la quale, proprio nel caso di intervento di chirurgia estetica, il medico non risponde mai del mancato raggiungimento del risultato che il paziente si aspettava, fermo l’obbligo del professionista di prospettare realisticamente le possibilità dell’ottenimento del risultato perseguito.

· Si veda poi più di recente quell’orientamento di legittimità che si è andato consolidato secondo cui, con riferimento ad un’obbligazione professionale, la misura dello sforzo diligente necessario per il corretto adempimento va considerata in relazione al tipo di attività dovuta per il soddisfacimento dell’interesse creditorio, secondo quanto stabilito dall’art. 1176, comma 2, c.c., senza che possa trovare applicazione la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato. In questo senso Cass., sez. III, 13 aprile 2007, n. 8826, Zeppieri c. De Vincentiis e altro, in Resp. civ. e prev., 2007, 9 1824, con nota di M. Gorgoni. In senso conforme Cass., sez. III, 25 febbraio 2005, n. 4058; Cass., sez. III, 14 luglio 2004, n. 13066; Cass., sez. III, 1 luglio 2002, n. 9556; Cass., sez. un., 28 luglio 2005, n. 15781 (secondo la quale le disposizioni dell’art. 2226 c.c., in tema di decadenza e prescrizione dell’azione di garanzia per vizi dell’opera, sono inapplicabili alla prestazione d’opera intellettuale, ed in particolare alla prestazione del professionista che abbia assunto l’obbligazione della redazione di un progetto di ingegneria o della direzione dei lavori, ovvero l’uno e l’altro compito, dovendosi escludere che il criterio risolutivo ai fini dell’applicabilità delle predette disposizioni alle prestazioni in questione possa essere costituito dalla distinzione – priva di incidenza sul regime di responsabilità del professionista – fra le cosiddette obbligazioni di mezzi e le cosiddette obbligazioni di risultato: e ciò tenuto conto anche della frequente commistione, rispetto alle prestazioni professionali in questione, delle diverse obbligazioni in capo al medesimo o a distinti soggetti in vista dello stesso scopo finale, a fronte della quale una diversità di disciplina normativa risulterebbe ingiustificata). Nella giurisprudenza di merito, Trib. Milano 3 settembre 2004, ha precisato che le obbligazioni riguardanti l’esercizio di un’attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzo e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna alla prestazione della propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non al suo conseguimento; ne deriva che l’inadempimento del professionista (nella specie si trattava di un avvocato) alla propria obbligazione non può essere desunto, ipso facto, dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale e, in particolare, del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del tradizionale criterio della diligenza del buon padre di famiglia, il criterio della diligenza professionale fissato dall’art. 1176, comma 2, c.c. – parametro da commisurarsi alla natura dell’attività esercitata – non potendo il professionista garantire l’esito comunque favorevole auspicato dal cliente (nella specie, del giudizio di appello), per cui il danno derivante da eventuali sue omissioni (nella specie, tardiva proposizione dell’impugnazione) intanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri (necessariamente) probabilistici, si accerti che, senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito.

 

([69]) Si vedano le considerazioni di L. Tullio, I contratti di charter party, cit., 207; Id. I contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, cit., 1199 ss.; Id., Contratto di noleggio, cit., 297, ove può testualmente leggersi: «Si è già avuto modo occasione di rilevare […] che la distinzione tra locatio operis e locatio operarum è difficilmente utilizzabile per l’interpretazione del diritto vigente».

 

([70]) Il principio espresso dal secondo comma dell’art. 391 cod. nav. contiene un’eccezione rispetto a quanto stabilito nel primo comma del medesimo articolo: «Il nolo a tempo non è dovuto per il periodo durante il quale non si è potuto utilizzare la nave per causa non imputabile al noleggiatore».

 

([71]) Cfr. L. Tullio, Contratto di noleggio, cit., 299; Id., I contratti di charter party, cit., 208 ss.

 

([72]) Ancorché ricada al di fuori dell’ambito della presente indagine, si può osservare che clausola in questione, la cui funzione appare essere una regolamentazione pattizia dei rischi afferenti l’uso della nave, disciplina la sospensione del pagamento del nolo in quei casi in cui la nave, per le proprie mutate condizioni, o per altre specifiche evenienze, non è in grado di svolgere il servizio per il quale è stata impiegata dal charterer. Sulle problematiche inerenti la regolamentazione del nolo, con qualche cenno anche all’art. 391 c. nav., cfr., per tutti, F. Berlingieri, Il trasporto marittimo, cit., 117 ss. ed ivi specialmente. Sull’off-hire in relazione ai più utilizzati formulari di time-charter, cfr. G. M. Boi, I contratti marittimi, cit., 66-68; L. Tullio, Contratto di noleggio, cit., 95 ss..

 

([73]) S. Ferrarini, Note sulla classificazione dei contratti di utilizzazione della nave, cit., 193 (al cui pensiero sono rivolte le critiche di L. Tullio, Contratto di noleggio, cit., 296-300) nel tracciare la differenza tra trasporto di carico e noleggio, puntualizza che caratteristica fondamentale del noleggio «è la ripartizione tra noleggiante e noleggiatore di compiti e rischi in ordine al concreto impiego della nave. In sintesi il noleggiante deve fornire la nave e deve farla navigare, sopportando i costi fissi di tale navigazione e il rischio della lavorabilità della nave stessa; il noleggiatore, dal canto suo, deve dare ordini per l’impiego della nave e sopportare i costi variabili e il rischio di tale impiego».

 

([74]) Cfr. E. Spasiano, Il contratto di noleggio, cit., 95 ed anche G. Romanelli, Profilo del noleggio, cit., 142.

 

([75]) È opportuno ricordare S. M. Dominedò, Principi del diritto della navigazione, I, Padova, 1957, 133 ss., 143 ss.; Id., Sul concetto dell’impresa di navigazione, in Scritti giuridici in onore di A. Scialoja, Bologna, 1952, I, 1, 143 ss., il quale, muovendo dalla premessa che il fine di lucro non è essenziale alla nozione di impresa in genere, nega la distinzione fra questa e l’impresa di navigazione, consistente in un’attività organizzata per la produzione del risultato che è proprio di essa, quale è, appunto, il viaggio; F. Berlingieri, voce Armatore ed esercente di aeromobile in Noviss. dig. it., I-2, Torino, 1958, 957 ss.; Mario Casanova, Le imprese commerciali, Torino, 1955, 106 ss., il quale avverte che la nave, quale organismo elementare dell’azienda marittima, corrisponderà sostanzialmente allo stabilimento nell’azienda industriale; al negozio nell’azienda commerciale […] al podere nell’azienda agraria»; S. Ferrarini, L’impresa di navigazione, Milano, I, 1945, 41 ss. e II, Milano 1946, 19, il quale insiste sull’assoluta autonomia del concetto di impresa di navigazione rispetto all’impresa di diritto comune, giustificando peraltro il nomen iuris di «impresa di navigazione» adottato dal legislatore; D. Gaeta, L’impresa di navigazione, in Dir. maritt., 1981, 511 ed Id., L’impresa di navigazione, in Scritti di diritto della navigazione, Milano, 1991, 588; A. Lefebvre d’Ovidio, G. Pescatore, L. Tullio, Manuale di diritto della navigazione, cit., 330 ss.; P. Manca, Studi di diritto della navigazione, cit., 1959, 185 ss.; G. Pescatore, Appunti sulla società di armamento, in Riv. dir. nav., 1950, III, 41 ss.; G. Righetti, Trattato di diritto marittimo, I-2, cit., 1395 ss. e 1402, che giudica la stessa intitolazione, «Dell’impresa di navigazione», «inesatta, pleonastica e anche dannosa, del che è prova nella lunga e inutile polemica che ha provocato»; E. Spasiano, Esercizio della nave od aeromobile ed impresa, in Riv. dir. nav., 1950, I, 169 ss., secondo cui «l’estensione del termine impresa all’esercizio rappresenta un’inutile complicazione» per cui conviene «al pari della teoria che ne è nata, metterlo da parte»; Id., voce Armatore, in Enc. dir., III, Milano, 1958, 13 ss.; A. Torrente, L’impresa e il lavoro nella navigazione, Milano, 1964, 3 ss., il quale sostiene che si ha esercizio della nave o dell’aeromobile anche se esso ha per scopo il mero diporto. Si aggiunga che, mentre è requisito della nozione d’impresa, secondo il diritto generale, la professionalità, di esso non vi è traccia nella sopra riferita nozione di armatore o di esercente». Si veda altresì, G. Oppo, L’impresa di navigazione (cinquant’anni dopo), in Il cinquantenario del codice della navigazione, cit., 140 ss.; F. Farina, Dagli atti di commercio di rilevanza marittima all’impresa di navigazione, in Il cinquantenario del codice della navigazione, cit., 160 ss.; G. Pescatore, Sintesi conclusiva, in Il cinquantenario del codice della navigazione, cit., 459 ss.; D. Gaeta, Basta con la cosiddetta impresa di navigazione, in Dir. maritt., 1993, 624 ss.

 

([76]) Si veda il rilievo di L. Tullio, I contratti di charter party, cit., 220.

 

([77]) È interessante osservare che, nell’introdurre il tema della «impresa di navigazione», la Relazione ministeriale al codice della navigazione, al paragrafo n. 150, non dedichi alcun cenno a questo argomento, passando direttamente ed approfonditamente alla nozione di armatore. Sul problema dell’impresa di navigazione: v., in dottrina, A. Scialoja, Corso di diritto della navigazione, cit., 345 ss., il quale riteneva che armatore ed impresa di navigazione fossero concetti riconducibili entrambi all’esercizio, con fine lucrativo o non, di ogni singola nave e che per ognuna di queste, quindi, si avesse una «impresa di navigazione», ma sempre nel significato, proprio ed esclusivo del diritto speciale, di esercizio o impiego di una data nave (anche se a scopo di diporto) e che tale nozione non dovesse pertanto confondersi con l’impresa commerciale (ex artt. 2082 e 2195, n. 3, cod. civ.), consistente nell’attività economica organizzata che l’imprenditore esercita professionalmente al fine della produzione di servizi, e con tutte le navi (se ne ha più d’una) delle quali egli è armatore. 

 

([78]) La Relazione ministeriale al codice della navigazione, al paragrafo n. 237, si esprime in questi termini: «Un’apposita norma, concernente la responsabilità per le operazioni commerciali (art. 393), rappresenta il corollario della concezione legislativa del noleggio. Poiché la navigazione si svolge in nome del noleggiante e per conto del noleggiatore, la dipendenza giuridica del comandante e dell’equipaggio dal noleggiante deve logicamente conciliarsi con il potere del noleggiatore di impartire istruzioni al comandante stesso per quanto concerne l’impiego commerciale della nave e l’emissione delle polizze di carico. Ciò risponde all’accennata distinzione fra l’impresa di navigazione e l’impresa di trasporto, le cui rispettive responsabilità dovranno pertanto ripartirsi fra i diversi soggetti che ne sono titolari. Di conseguenza, ferma la responsabilità del noleggiante per le colpe nautiche, si spiega che, nel rapporto interno, il noleggiante non debba rispondere verso il noleggiatore sia per le obbligazioni derivanti dall’impiego commerciale o dall’emissione delle polizze, sia per le eventuali colpe del comandante e dell’equipaggio in dipendenza delle operazioni medesime. Quanto al rapporto esterno, basta distinguere in conformità dei principi: o le polizze continuano ad essere emesse in nome del noleggiante, e questi avrà diritto di rivalsa verso il noleggiatore, come attestano concordemente anche i formulari; o saranno eventualmente emesse in nome dello stesso noleggiatore, e il noleggiante resterà senz’altro estraneo al gioco di responsabilità verso i terzi».

 

([79]) Di particolare importanza è la questione se il noleggiante debba mantenere lo stato di navigabilità durante il contratto di noleggio. P. Manca, Studi di diritto della navigazione, cit., 87, secondo cui le condizioni di navigabilità debbono permanere per tutta la durata del noleggio. Del medesimo avviso sono S. Ferrarini, I contratti di utilizzazione, cit., 48 e A. Brunetti, Manuale del diritto della navigazione marittima ed interna, cit., 200. Contra F. Berlingieri, La convenzione di Bruxelles 25 agosto 1924 sulla polizza di carico, Genova, 1973, 77; Id., La suddivisione tra noleggiante e noleggiatore a tempo dell’obbligo di rendere la nave navigabile, in Dir. maritt., 1984, 688; Id., La disciplina della responsabilità del vettore di cose, cit., 44; il quale, tuttavia, ritiene che qualora la nave diventi innavigabile in corso di viaggio, occorrerebbe distinguere tra l’attività svolta dall’equipaggio per il ripristino della navigabilità senza intervento del vettore ( attività che andrebbe ricompresa nella nozione di amministrazione della nave, dalla quale, quindi, il vettore andrebbe esonerato, nell’ipotesi in cui questi abbia adempiuto al suo obbligo circa la navigabilità prima del viaggio) e l’attività svolta con l’intervento personale del vettore (di cui egli non potrebbe esonerarsi, in quanto il mancato esercizio della normale diligenza per rendere la nave navigabile determinerebbe la sua responsabilità); S. M. Carbone, Contratto di trasporto marittimo di cose, Milano, 1988, 198 ss.; G. Righetti, La responsabilità del vettore marittimo nel sistema dei pericoli eccettuati, Padova, 1960, 64 ed Id., Vizio occulto, inizio del viaggio e innavigabilità sopravvenuta della nave, nota a Cass. 20 marzo 1959 n. 833, in Dir. maritt., 1959, 359; N. Balestra, Innavigabilità e pericoli eccettuati nella disciplina della responsabilità del vettore marittimo, in Dir. maritt., 1983, 693; G. Boi, Seaworthiness e due diligence nell’assicurazione corpi e nel trasporto marittimo, in Dir. maritt., 1974, 307.

 

([80]) In aggiunto a quanto esposto nella precedente nota, giova ricordare, sul punto, anche la c.d. teoria degli stages, sviluppatasi in area di common law fin dal XIX secolo, che aveva considerato l’obbligo di rendere la nave navigabile con riguardo alla nozione di viaggio inteso nelle varie fasi o stadi in cui la spedizione poteva frazionarsi, in relazione alle attività ed agli obblighi del vettore, così come poteva verificarsi per percorsi in acque interne e poi in mare aperto, e per viaggi contemplanti varie tappe per l’approvvigionamento del carburante. In argomento, si vedano G. Riccardelli, Navigabilità all’inizio del viaggio e dottrina degli stages, in Riv. dir. nav., 1963, I, 228; G. De Vita, Considerazioni sulla forma del contratto di noleggio, in Riv. dir. nav., 1957, II, 157; G. Righetti, La responsabilità del vettore marittimo nel sistema dei pericoli eccettuati, cit., 61; F. Berlingieri, La disciplina della responsabilità del vettore, cit., 44. Con riguardo al diritto giapponese, ove pacificamente non si segue la dottrina degli stages, in quanto eccessivamente gravosa per il vettore, v. Kurita, L’obbligo del vettore marittimo di garantire la navigabilità della nave nel diritto giapponese, in Dir. trasporti, III/1992, 801.

 

([81]) In giurisprudenza, v., in particolare, Lodo arb. 13 aprile 1988, Italco S.p.A., Milano assicurazioni S.p.A. e Italia Assicurazioni S.p.A. c. Comar s.r.l., in Dir. maritt., 1989, 539, nel quale venne stabilito da un lato la prevalenza della clausola Paramount contenuta in un formulario Nype, ed. 1946, (e per effetto di questa dell’art. 3 § 2, della Convenzione di Bruxelles del 1924), sull’art. 1 del formulario medesimo, che prevede l’obbligazione continuativa gravante sul noleggiante di mantenere in stato di navigabilità la nave in condizioni di efficienza per tutto la durata del contratto; dall’altro si ritenne che l’obbligo di mantenere la nave in classe ed in stato di efficienza previsto dall’art. 1 del Nype ‘46 (per completezza, si ricorda, anche se solo incidentalmente, che il Nype ’93, ha eliminato tale clausola) ha per oggetto la navigabilità in senso stretto e non anche l’efficienza del mezzo nautico ai fini della conservazione del carico. Il lodo arbitrale in questione è stato riformato, quanto all’interpretazione del contenuto dell’art. 3 § 2, della Convenzione di Bruxelles del 1924, da App. Genova 17 novembre 1990, in Dir. maritt., 1991, 1032, con ampia nota redazionale siglata A.F. cui si rinvia per i riferimenti giurisprudenziali, cui è seguita, in annullamento, Cass. 28 ottobre 1994 n. 8922, in Dir. maritt., 1996, 353. Cfr. inoltre, anche Us. Court of Appeal – II Circuit, 19 luglio 1989, Siderius Inc. c. M.V. Amilla ed altri, in Dir. maritt., 1990, 1222, che ha ritenuto responsabile il noleggiante nei confronti del caricatore, contraente del noleggiatore, per danni al carico causati da innavigabilità della nave; Lodo arb. 27 aprile 1989, Tirrenia di navigazione S.p.A. c. Cenargo Navigation Ltd., in Dir. maritt., 1990, 765, secondo il quale il noleggiante a tempo che assume l’obbligazione di fornire direttamente al noleggiatore una nave in every way fitted for ordinary cargo service realizza un obbligo assoluto di navigabilità nel senso più ampio del termine tale da estendere anche all’impianto di condizionamento; Queen’s Bench Division, 4 e 5 luglio 1988, Ben Line Steamer Ltd. c. Pacific Steam Navigation Co., in Dir. maritt., 1990, 192; Lodo arb. 10 luglio 1968, Ditta R. Pagnan & F. lli Oretea S.p.A., in Dir. maritt., 1968, 620; Cass. 22 luglio 1965 n. 1714, in Riv. dir. nav., 1966, II, 78, con nota conforme di De Meo, Spunti in tema di navigabilità. Sulla nozione di unseaworthiness, cfr. anche T. E. Scrutton, Charterparties and Bill of Landing, cit., 88.

 

([82]) Di particolare rilevanza appare anche la questione se la classificazione della nave debba persistere per tutta la durata del noleggio. In senso affermativo, cfr. P. Manca, Studi di diritto della navigazione, II, cit., 87; Persico, Sulla portata della nave nella dichiarazione del noleggiante e la clausola circa, in Dir. maritt., 1947, 127, il quale osserva che l’art. 433, relativo all’inesatta dichiarazione di portata della nave, «si legge nel capo relativo al trasporto, mentre trova applicazione specialmente nel capo del noleggio, per il quale l’art. 385 cod. nav. richiede, tra gli elementi di individuazione, la portata della nave […]». Per quanto riguarda la dottrina inglese e sempre in relazione alla classe della nave, T. E. Scrutton, Charter Parties and Bill of Landing, cit., 76, afferma che le previsioni di un charter party in relazione alla classe di una nave danno luogo ad una condition per quanto riguarda l’appartenenza della stessa alla classe indicata al momento in cui è stato concluso il contratto, e non che essa manterrà tale classe durante l’intera durata del charter party.

 

([83]) Cfr. G. Righetti, Trattato di diritto marittimo, I-2, cit., 480 ss. In relazione a quanto disposto dai formulari, v. Italtempo liquidi ‘92 (cl. 8) e Italtempo secchi ‘92 (cl. 6), ove si legge che «sono a carico del noleggiante tutte le spese inerenti all’equipaggio (paghe, contributi, vitto, ecc.) ed alle provviste di bordo. Il noleggiante ha, inoltre, l’obbligo di mantenere a sue spese in efficienza lo scafo e l’apparato motore, nonché di garantire la copertura assicurativa della nave e dell’equipaggio». V., inoltre, nei medesimi formulari, per le spese gravanti sul noleggiatore, cl. 9 e cl. 7: «Sono a carico del noleggiatore le forniture di combustibile e di olio lubrificante, di acqua per caldaie e calderine, nonché le tasse portuali, i pilotaggi, i diritti agenziali, le commissioni, i diritti per i certificati peritali, le spese inerenti alle dichiarazioni di avaria o supposta avaria. Il noleggiatore pagherà altresì ogni spesa imposta o tassa inerente al carico ed ai noli relativi. Il noleggiatore rimborserà inoltre il costo dei pasti somministrati a piloti, ispettori, doganieri, per conto del noleggiatore nella misura forfetaria di […]». Nel Fonsbatime (cl. 11) viene disposto:

«Owners to provide. Owners shall provide and pay all provisions, wages, consular fees, and all other charges relating to the master, Officers and Crew for the insurance of the Vessel; for all lubricating oil, stores and waters»; (cl. 12): «Charterers to provide. The Charterers shall provide and pay for all services associated with the handling of the cargo, preparation for loading and/or discharging on the vessel and/or ashore, surveys connected thereto, port disbursements (except those relating to the vessel’s personnel or flag and/or those ordered by the owners) Pilotage, Canal and/or Bar dues; and while the vessel is on hire for all the bunkers except as elsewhere provided herein, but a lump sum of $ […] per month or pro-rata is deductible from hire payment to cover vessel’s domestic use of the sum.

The Charterers are to provide necessary dunage and any other material required for a special trade or cargo, but the Owners are to allow them to use of any such equipment or materials already aboard the vessel, the charteres making good any damage thereto, or replacing where necessary.

The cargo shall be loaded, stowed, trimmed and discharged under the supervision of the master».

 

([84]) Così sottolinea G. Riccardelli, La colpa nautica, cit., 124.

 

([85]) G. Auriti (Contributo allo studio sul noleggio, cit., 10 ss.) giustifica la sistematica del codice della navigazione e l’autonoma figura del noleggio con il rilievo che nella realtà economico sociale sarebbe emersa «la figura di un imprenditore che si preoccupa di produrre il solo servizio del viaggio».

 

([86]) Così A. Fiorentino, Sul contratto di noleggio, cit., 11, il quale, peraltro, ritiene che tale potere del noleggiatore di dare ordini al comandante sia stato estremamente sopravvalutato.

 

([87]) In questi termini si esprime A. Fiorentino, Sul contratto di noleggio, cit., 16.

 

([88]) Nella Relazione ministeriale al codice della navigazione, al paragrafo n. 223, si spiega come nella redazione dei contratti di utilizzazione previsti nel codice della navigazione si è seguito «l’indirizzo, affermatosi in dottrina, di distinguere i rapporti secondo la causa rispettiva. Alla base dell’applicazione di questo criterio è la possibilità di distinguere l’impresa di navigazione dall’impresa di trasporto strettamente detta. Come il distacco fra le fasi della proprietà e dell’armamento costituisce il primo stadio, cui si può ricollegare la distinzione tra locazione della nave ed esercizio dei noleggi, così il secondo distacco nell’ambito della stessa gestione armatoriale, fra le attività inerenti all’impresa di navigazione in senso tecnico e l’esercizio di una vera e propria impresa di trasporto, consente di ulteriormente differenziare i negozi correlativi ai diversi momenti dell’impresa. E precisamente: contratti di noleggio, esprimenti la fase di esercizio di una semplice impresa di navigazione; contratti di trasporto tipici dell’assunzione di un’impresa di trasporto in senso stretto».

 

([89]) L. Tullio, I contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile come categoria generale, cit., 1202, sostiene che «l’attuale potere di disposizione della nave da parte del noleggiatore trova la sua origine storica in un rapporto strumentale di detenzione ancorché mediata, cosa che non può non consentire di svalutare (senza peraltro annullarla) la considerazione dell’elemento della consegna come carattere differenziale tra locazione e noleggio». Secondo Mario Casanova, I contratti di utilizzazione della nave in una trattazione recente, cit., 484, quella di mettere a disposizione del noleggiatore l’attività del comandante e dell’equipaggio, sarebbe «un’obbligazione coordinata, anch’essa di importanza primaria, connaturata all’essenza del contratto di noleggio. Da ciò consegue che, anche di tale obbligazione, si deve tener conto nella formulazione di una definizione scientificamente esatta del contratto di noleggio, il che non si riscontra nella enunciazione definitoria, contenuta nell’art. 384 cod. nav.».

 

([90]) Tale disposizione è stata definita «infelice nella formulazione» da S. De Fina, La colpa commerciale e la colpa nautica in relazione alla responsabilità dell’armatore noleggiante per l’atto illecito del comandante della nave (art. 393 cod. nav.), in Riv. dir. nav., 1952, I, 37, ed «infelice quanto alla norma che esprime» da L. Tullio, I contratti di charter party, cit., 219. In forza del richiamo operato dall’art. 939 c. nav. v.s., l’art. 393 sarebbe stato applicabile anche al noleggio di aeromobile: cfr. G. Guerreri, Il comandante di aeromobile, Milano, 1962, 123. È appena il caso di ricordare che l’art. 940-quater, I comma, cod. nav. n.s. rende il noleggiatore responsabile verso i terzi per le obbligazioni contratte in occasione dell’impiego commerciale della nave contratte in occasione dell’impiego commerciale dell’aeromobile. In argomento si veda altresì la nota 4 di questo studio.

 

([91]) L’osservazione è di G. Romanelli, Profilo del noleggio, cit., 146, sulla scia di P. Manca, Studi di diritto della navigazione, II, cit., 102.