ds_gen N. 8 – 2009 – Memorie//Africa-Romana

 

Stefano De Angeli, Stefano Finocchi

Università della Tuscia, Viterbo

 

Sviluppi romani in Algeria e Tunisia del sistema idrico delle foggaras

 

 

(pubblicato in L’Africa romana. Le ricchezze dell’Africa. Risorse, produzioni, scambi. Atti del XVII convegno di studio. Sevilla, 14-17 dicembre 2006, a cura di J. González, P. Ruggeri, C. Vismara, R. Zucca, Roma, Carocci editore, 2008, III, pp. 2179-2196)

 

 

Sommario: 1. Breve storia degli studi. – 2. Il sistema delle foggaras in Algeria e Tunisia. – 3. Conclusioni. – 4. Bibliografia.

 

 

Con il termine arabo foggara (plurale: feggagir; radice: fakara - scavare) si definiscono in Algeria le gallerie sotterranee, ampiamente diffuse nelle aree del deserto, capaci di drenare le acque di una falda freatica e di condurle verso le oasi[1]. Si tratta di un sistema tipico delle aree desertiche, simile a quello dei qanats orientali (il vocabolo deriva dall’accadico qanu[2]) e conosciuto sotto vari nomi, tra i quali: falaj in Arabia, khettara in Marocco, kariz in Persia, madjira in Andalusia e molti altri[3].

Dei pozzi di aerazione verticali, scavati a distanze regolari, collegano la galleria con la superficie: essi sono indispensabili in fase di scavo del condotto e per le successive operazioni di pulizia. La galleria è scavata secondo una tecnica comune a molte opere idrauliche del mondo antico: si realizzano prima una serie di pozzi a intervalli regolari tra loro e con profondità costanti, poi viene eseguito uno scavo tra le basi di due pozzi contigui per procedere, in modo convergente, tra di loro sino al congiungimento delle due tratte di scavo, ottenendo così il cunicolo idraulico tra i due pozzi di partenza[4]. I materiali di spurgo così recuperati sono accumulati [p. 2180] in superficie intorno alla bocca dei pozzi, la cui sequenza rende visibile la direzione dei condotti sottostanti. La galleria, caratterizzata da minima pendenza, è scavata a partire dalle aree agricole delle oasi e risale gli alvei della rete idrografica.

Le foggaras si basano su un sistema di emungimento degli strati permeabili, di quegli strati intrisi cioè di “acque libere” sotterranee (falda freatica), provenienti dalle normali precipitazioni o dalle condensazioni di superficie (precipitazioni occulte), aspetto questo di primaria importanza nelle regioni semi-aride e desertiche[5].

La galleria, partendo dalle aree agricole, penetra nel terreno delle vallate alluvionali e risalendo la stratificazione geologica raggiunge l’insieme degli strati permeabili della falda freatica.

La foggara è quindi costituita da una parte attiva drenante, corrispondente al tratto più a monte, che penetra nei livelli idrogeologici, e da una parte normalmente più lunga con funzione adduttrice che giunge fino al punto di distribuzione delle acque, nelle aree [p. 2181] agricole più a valle; maggiore è la superficie drenante di captazione e maggiore sarà quindi la portata di acqua[6].

Non si tratta quindi unicamente di un “acquedotto”, ma di un sistema dinamico in grado di drenare in modo sostenibile la falda freatica, che deve essere concepito in relazione ad insediamenti stabili impegnati in attività agricole consistenti.

 

 

1. – Breve storia degli studi

 

Nel 1979 H. Goblot dedicava una monografia allo studio delle gallerie drenanti dal titolo Les qanats: une technique d’acquisition de l’eau[7]. Da allora le conoscenze sui qanats/foggaras sono di gran lunga progredite, nonostante ciò il volume rimane a tutt’oggi la base per ogni ulteriore approfondimento. Secondo H. Goblot, il qanat è una tecnica di origine mineraria attestata per la prima volta nell’Iran nord-occidentale tra il IX e l’VIII sec. a.C., diffusasi poi in Oriente e in Egitto grazie al grande impulso dato allo sfruttamento agricolo dall’impero achemenide. Dall’Egitto sarebbe, forse, passata in Libia, nel deserto del Fezzan, e in parte del nord Africa nella successiva età imperiale romana[8]. Con l’islamizzazione, a partire cioè dal IX d.C. (periodo Aglabide), ci fu una grande diffusione della tecnica che fu impiegata anche in Marocco (rhettara-khettara), nelle grandi oasi del Sahara algerino (foggara), nella Penisola Iberica (pozeria-galeria filtrante); infine i conquistadores sarebbero alla base dello sviluppo della tecnica anche in America Latina[9].

Fino ad anni recenti le ipotesi di H. Goblot hanno rappresentato la base di partenza per molti studiosi che si sono interessati al problema[10], ma è con il colloquio Irrigation et drainage dans l’antiquité, Qanats et canalisations souterraines en Iran, en Egypte et en Grèce, svoltosi a Parigi nel 2000[11] che si è rimessa in parte in discussione l’origine e l’evoluzione delle gallerie drenanti, sottolineando [p. 2182] in particolare, da un lato, l’assenza di qualsiasi documento archeologico ed epigrafico relativo ai qanats in Urartu tra IX e VII sec. a.C.[12] e presentando, dall’altro, quelli che sono ad oggi i più antichi qanats/foggaras conosciuti, quelli cioè di età persiana di ‘Ayn Manawir in Egitto[13].

Secondo una ricostruzione oggi ampiamente presente in letteratura, il sistema nacque e si sviluppò in Persia in età achemenide, tra VI e III a.C.[14], diffondendosi velocemente nel bacino del Vicino e Medio Oriente[15] e quindi in Africa settentrionale in Egitto[16] e successivamente nel Fezzan Libico. Alcuni autori inoltre ipotizzano [p. 2183] che da qui la tecnica delle foggara abbia potuto diffondersi in Algeria e Tunisia, forse già in età antica[17].

Qanats/foggaras di età persiana si trovano nel sito di ‘Ayn Manawir, nell’oasi egiziana di El Kharga, che rappresenta un fondamentale nodo sulle vie carovaniere che si dipartono verso sud e verso ovest nel deserto occidentale egiziano. Lo sviluppo dell’insediamento in età persiana coincide proprio con la realizzazione di un complesso sistema d’irrigazione a qanats intrapreso nel corso del V sec. a.C. e del tutto funzionante durante il periodo tolemaico e in parte durante l’età romana[18]. Di fronte a questi dati assumono certamente notevole importanza storica, nell’ottica di una diffusione del sistema verso Occidente, le notizie circa la presenza di qanats nelle oasi poste a nord e a ovest di El Kharga e in particolare in quelle di Bahariya e di Farafra, documentati già dalla fine dell’Ottocento[19].

Nel Fezzan libico, le ricerche, dirette da D. Mattingly[20], condotte sui sistemi di irrigazione tramite foggaras, ampiamente attestate nell’area, hanno chiaramente evidenziato le strettissime relazioni esistenti tra questi ultimi e la prosperità del popolo dei Garamanti, lo sviluppo dell’agricoltura e la nascita di centri urbani, nell’area del Wadi al Ajal, in un arco cronologico compreso tra la fine del II sec. a.C. e il IV sec. d.C.[21]. L’articolato sistema di irrigazione, che conta ancora migliaia di foggaras esistenti, con gallerie sotterranee che si snodano a circa 10 m di profondità per lunghezze comprese tra i 500 m e i 2 km, è dunque presente nel deserto del Sahara libico prima dei contatti intercorsi con l’impero romano in particolare tra il I e il III sec. d.C. e fu verosimilmente introdotto a seguito dei rapporti sviluppatisi per motivi commerciali con le oasi del deserto occidentale egiziano[22].

[p. 2184]

 

2. – Il sistema delle foggaras in Algeria e Tunisia

 

L’Africa settentrionale conserva oggi il maggior numero di foggaras, principalmente nelle aree sahariane algerine di Gourara, Touat, Tidikelt e Ahaggar[23]; è stato calcolato che in queste regioni le gallerie drenanti raggiungono uno sviluppo complessivo tra i 3000 e i 6000 km.

Secondo alcuni studiosi le foggaras sarebbero state introdotte nel Sahara occidentale algerino da gruppi di Ebrei o di Berberi giudaizzati qui rifugiatisi, in particolare a Tamentit nel Touat[24], durante il regno di Traiano, quando in seguito alla rivolta di Cirene – 115-117 d.C. – gli Ebrei scampati trovarono rifugio anche nelle regioni sahariane. L’ipotesi è certamente seducente, ma non suffragata dal punto di vista archeologico per una fase così antica[25].

Secondo le fonti arabe di Touat e Tidikelt le foggaras sarebbero invece una “invenzione” proveniente da Marrakesh: il geografo Al Idrisi ricorda che la fondazione della città marocchina (1078) è stata possibile grazie alla realizzazione delle gallerie drenanti progettate e dirette da un ingegnere andaluso[26].

Al contrario D. Mattingly e A. Wilson, in base alle strettissime corrispondenze tecniche e strutturali osservabili nelle foggaras del Fezzan, databili tra la fine del II sec. a.C. e il IV sec. d.C. (cfr. supra), e quelle del Sahara algerino, postulano una diffusione di tale sistema idrico dal deserto del Fezzan verso l’Algeria, forse già in età antica[27]. Proprio questi ultimi studi consentono oggi di analizzare, in un’ottica di origine e diffusione diversa, i casi di gallerie drenanti, attestati in età romana, anche  nei territori predesertici della Tunisia e dell’Algeria.

Le aree predesertiche dei monti Aurès, nell’Algeria centro-settentrionale, conservano, in un’area compresa tra le città moderne di Batna e Tebessa, diverse testimonianze archeologiche [p. 2186] relative a condotti sotterranei che possono essere riferiti, come concezione e struttura, al sistema delle foggaras[28].

Si tratta sempre, nei casi che segnaliamo, di canalizzazioni sotterranee con minime pendenze e caratterizzate lungo il percorso da pozzi verticali di aerazione, che captano acque dalle falde freatiche, come [p. 2187] è il caso di Souma el Kiata[29], Henchir Oukhmida[30] e Fridju[31], nell’altopiano del Mahmel nella regione montuosa dei Nementchas[32], o di Ksar el Kelb – antica Vegesala[33] e Ain Ferhat, nella valle della Sbikra[34]; Ain Kharoubi[35], nella piana [p. 2188] di Baghai, ancora quello di Inemarem dell’Aqua Claudiana di Lamasba[36] nella regione di Bellezma.

Ancora, in prossimità del centro romano di Badias (odierna Bades), in una vecchia veduta aerea del territorio si coglie chiaramente la presenza di alcune foggaras attraverso i coni dei pozzi di aerazione[37].

In generale, questi sistemi sono impiantati in aree dalle particolari condizioni geologiche e geomorfologiche[38]. L’altopiano del Mamhel, che raggiunge quote superiori a 1600 m s.l.m. dividendo la valle dell’Abiod, a ovest, da quella di Guentis, a est, trattiene e alimenta un’abbondante falda freatica, a bassa profondità, grazie alla presenza da un lato di terreni di formazione recente che favoriscono la permeabilità delle acque superficiali – piogge e condensazioni di superficie – e dall’altro a livelli di rocce impermeabili[39]. Anche la valle della Sbikra, la piana di Baghai e quella di Bellezma, cinte da importanti rilievi, hanno sequenze geologiche simili che favoriscono l’alimentazione di numerose falde freatiche[40].

Proprio queste caratteristiche idrogeologiche hanno contribuito ad un forte popolamento in epoca romana delle aree in esame con la nascita di numerosi borghi agricoli che, tramite un articolato e differenziato sistema di approvvigionamento idrico, erano in grado di sfruttare al meglio le falde freatiche di superficie.

Nel quadro di questo sistema, i condotti sotterranei drenanti integrano altre forme più consuete di sfruttamento delle risorse idriche del territorio come pozzi, muri di sbarramento delle acque, canali e acquedotti di adduzione delle fonti.

In particolare, è interessante osservare, tra gli esempi presi in esame nell’altopiano di Mahmel, nella Sbikra e a Lamasba, l’associazione di canali drenanti del tipo a foggaras e muri di sbarramento, realizzati non solo per regolare e imbrigliare verso canali di irrigazione o di raccolta il flusso delle acque, ma anche per combattere il fenomeno dell’erosione e per intercettare e occludere le acque di superficie, nell’intento di consentire a queste di penetrare nei [p. 2189] terreni permeabili superficiali così da contribuire a far crescere la falda freatica[41].

Questa stessa associazione di canali drenanti e muri di sbarramento è ben esemplificata nell’oasi tunisina con foggaras, ancora in funzione, di El Guettar[42] presso Gafsa, l’antica Capsa romana[43]. In questo specifico caso non si hanno elementi cronologici relativi all’impianto dell’oasi e del sistema idrico, certamente, come scrisse a suo tempo M. Bursaux:

 

Il est curieux de constater qu’à El-Guettar on ne trouve aucune trace de la civilisation romaine, malgré de nombreuses recherches et de nombreuses enquêtes près des indigènes. Il n’est pas douteux, cependant, que la voie romaine de Tacape à Gafsa passait par cet endroit[44].

 

Sulla base della documentazione a nostra disposizione, nel caso degli esemplari algerini, il drenaggio della falda non avviene mai a profondità molto elevate (ciò dipende naturalmente dalla formazione geologica dell’area) e i pozzi d’areazione sono sempre presenti con distanze tra i 6 e i 20 m, laddove l’intervallo nelle oasi sahariane è molto più serrato[45]. Questi sistemi presentano inoltre una serie di accorgimenti [p. 2190] tecnici da attribuire a possibili sviluppi di età romana. Innanzitutto la galleria non è semplicemente scavata nello strato geologico, come nel caso delle foggaras delle aree desertiche, ma spesso risulta foderata con lastre o pietre, al fine di ridurre le perdite d’acqua[46], e inoltre può presentare, all’interno del condotto, una piccola canaletta anch’essa rivestita per facilitare lo scorrimento dell’acqua.

Alcuni studiosi sono propensi a riportare al medesimo sistema anche l’acquedotto dell’Aqua Paludensis di Thamugadi, noto da un’iscrizione[47]. Secondo questi, a Timgad, oltre a numerosi pozzi, cisterne, e all’acquedotto che convogliava le acque di una fonte perenne, l’Ain Morri - portata di 40 l/s -, il problema dell’acqua fu risolto anche grazie a tale opera idraulica in grado di drenare (conquirere) le acque di una falda freatica (aquae paludensis)[48].

Soluzioni tecnicamente simili di sfruttamento delle acque, di età romana, sono presenti anche in altre aree del nord Africa, nell’odierna Tunisia, in particolare si ricordano i tunnel drenanti della piana di El Soukra, a occidente di Cartagine[49], e quelli di Sidi Nasseur Allah[50], nel sud del Paese a circa 80 km a ovest di El Djem, tra Kairouan e Gafsa. E’ interessante segnalare il rinvenimento di consistenti resti archeologici in località La Soukra presso Cartagine effettuati alla fine dell’Ottocento, tra i quali si segnala una stele votiva con raffigurazioni a bassorilievo che presenta un’iscrizione con dedica a Saturno, del borgo romano di Palmae Aquenses[51] - toponimo da riferire probabilmente alla presenza di un’oasi.

[p. 2191] Andranno anche ricordate, oltre a quelle di El Guettar citate precedentemente (cfr. supra), le foggaras nell’area di Nefzaoua[52] nel sud della Tunisia.

Nella quasi totalità dei casi esaminati, si tratta dunque di sistemi di irrigazione al servizio di modesti borghi agricoli, che drenano le acque della falda freatica e le conducono direttamente nelle aree di coltivazione.

Tra tutti i casi presi in considerazione, si distingue per interesse il condotto sotterraneo di Inemarem dell’Aqua Claudiana di Lamasba, un piccolo centro romano dei monti di Bellezma negli Aurès nord-occidentali, dal quale proviene la nota iscrizione datata al III sec. d.C. (CIL VIII, 4440) che illustra il regolamento vigente all’epoca sulla distribuzione delle acque da irrigazione[53]. Queste, di cui si ignora l’origine - se da emungimento di falda freatica, oppure da pozzi, ovvero da sorgenti perenni -, grazie a un gruppo di canali sotterranei erano convogliate in un bacino di raccolta, dal quale attraverso un canale centrale (matrix riganda) erano successivamente distribuite con canali secondari agli appezzamenti di terreno, alcuni organizzati a terrazze, secondo criteri quantitativi (K) e orari[54].  Dall’iscrizione emerge una estrema frammentazione delle proprietà irrigate che, secondo E. Fentress, si configura come una costante dei villaggi Berberi e, ancora oggi, costituisce il sistema in uso nelle grandi oasi a foggaras dell’Africa sahariana[55]. Per esempio, nelle oasi di Touat e Gourara le acque, una volta fuoriuscite dalle foggaras, sono condotte attraverso un canale scoperto in un bacino di ripartizione e da qui distribuite nei canali (seguia) dei singoli proprietari in quantità proporzionali alle quote di proprietà[56].

Secondo E. Fentress il caso di Lamasba sarebbe esemplificativo di una comunità “romanizzata” ma principalmente composta da coltivatori indigeni, Berberi, con la presenza nella gerarchizzazione comunitaria di qualche veterano romano[57].

[p. 2192] A conclusione di questa breve rassegna vorremmo anche citare la presenza di quei sistemi idraulici, interpretati come qanats, nei territori agricoli occupati da villae rusticae di Raschpëtzer, in Lussemburgo, e nella regione di Trier, in Germania, databili tra il II e il III secolo d.C.[58].

 

 

3. – Conclusioni

 

La specificità tecnica delle foggaras, la cui diffusione in Egitto e nel Fezzan libico occupato dal popolo dei Garamanti, come si è visto, è attestata già a partire dal V sec. a.C., induce a supporre che l’utilizzo di tale tecnica da parte dei Romani sia dovuto principalmente al contatto con le popolazioni indigene, nomadi e stanziali dell’area, e alle loro conoscenze tradizionali nell’ambito dello sfruttamento delle esigue risorse idriche delle aree predesertiche e desertiche. A tale riguardo, si veda anche il diffuso sistema delle oasi che le popolazioni indigene dell’area nord-africana avevano sviluppato già in antico, ben noto del resto a Plinio che lo descrive in maniera esemplare a proposito dell’oasi di Tacape (nell’odierna area a nord di Gabes) in Tunisia[59].

Dalla distribuzione delle opere idrauliche di età romana qui analizzate risulta una concentrazione delle evidenze nell’area tra Batna e Tebessa (antica Theveste). Quest’area ha assunto un ruolo fondamentale nella politica di acquisizione territoriale in età romana, da Augusto sino a Traiano, nel tentativo di spingere sempre più a sud il limes dell’impero. Un processo messo in atto da un lato con l’inserimento e con i tentativi di assimilazione delle popolazioni indigene e dall’altro con la presenza stabile di militari della legio Africana[60]. In quest’area si assiste a un’intensa organizzazione e sfruttamento per fini agricoli del territorio da parte dei Romani, che potrebbero aver condiviso nello sfruttamento delle scarse risorse idriche della zona l’utilizzo di sistemi quali le gallerie drenanti.

[p. 2193] Ci si domanda a questo punto se l’utilizzo di simili sistemi idrici, nell’Algeria e nella Tunisia romana, tecnicamente condizionate dalle caratteristiche geografiche del territorio, sia diretta conseguenza della presenza romana che sviluppò in loco la tecnica degli acquedotti sotterranei o se, come piuttosto riteniamo, non sia dovuta alle conoscenze tradizionali indigene, nel campo dello sfruttamento delle risorse idriche dell’area, con le quali i Romani entrano in contatto e che, una volta acquisite, contribuirono a sviluppare nel quadro di una politica di sfruttamento rurale e di controllo territoriale[61].

A tale proposito risultano di straordinario interesse alcune informazioni circa la capacità degli “Africani” di conoscere, gestire e sfruttare le acque sotterranee. Ci si riferisce in particolare alla abilità acquisita dai “Maurusi”, indigeni degli Aurès orientali, nel controllo e nello sfruttamento delle acque attraverso intricati sistemi di acquedotti sotterranei nella piana di Baghai trasmessaci da Procopio, relativamente agli anni attorno al 540[62], e alla maestria riconosciuta da Cassiodoro a specifici professionisti di provenienza africana nell’individuare falde acquifere sotterranee in zone suburbane di Roma, utilizzabili a fini potabili o agricoli; la fonte ricorda anche lo scavo dei tunnel per il trasporto dell’acqua, dalla captazione alla distribuzione, da parte di un corpo specializzato (Cossiodorio, Variarium, LIII).

Tra le varie componenti etniche dell’area in esame si potrebbe attribuire un ruolo particolare alla compagine dei Getuli. Questi abitavano un territorio che oggi possiamo solo tratteggiare, a sud dell’odierna Cirta tra i rilievi degli Aurès e la Sirte (Floro, Epitome bellorum omnium annorum dcc, 2, 31: Musulamos atque Gaetulos accolas Syrtium). Una popolazione composita, costituita verosimilmente, come sostiene E. Fentress, da tribù nomadi, dedite alla pastorizia, e da genti stanziali raccolte in insediamenti stabili[63]. Al riguardo il Bellum Africum (25, 2) ricorda duo oppida Gaetulorum, mentre Strabone (17, 3, 9) riferisce di abitazioni nel territorio dei Getuli. Tramite questa compagine etnica, ancora poco nota all’archeologia, i Romani potrebbero essere entrati in contatto, in questo territorio, con la tecnica delle gallerie drenanti che i Getuli, a loro volta, potrebbero aver appreso dai Garamanti con i quali vi erano state alleanze in funzione antiromana, ai tempi della spedizione di Cornelio Balbo[64].

 

 

4. – Bibliografia

 

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[1] Gast (1997).

 

[2] Il termine ha il significato di “canna”: Viollet (2000), p. 92.

 

[3] Sul sistema cfr. Goblot (1979); Briant (2001). In Spagna le gallerie drenanti sono note anche con il nome di viaje de agua, una evidente deformazione del latino via acquae: Palerm Viqueira (2004), p. 133.

 

 

[4] Bodon, Riera, Zanovello (1994), pp. 192-3.

                      

[5] Laureano (2003), in particolare p. 73; da ultimo, per un’interessante analisi sulla gestione delle acque nelle aree desertiche si veda: Castellani (2005). Proprio le forti escursioni termiche giocano un ruolo fondamentale nel sistema foggaras: durante la notte il calo di temperatura provoca una condensazione di superficie assorbita dal terreno (precipitazione occulta), nei pozzi e nella galleria, permettendo così di generare acqua di condensazione che va ad aggiungersi alle acque di captazione. Questo è un fenomeno molto importante nelle aree desertiche perché crea delle riserve di acqua che le foggaras riescono a captare e che altrimenti si disperderebbero nel terreno.

 

[6] Capitaine Lô (1953), pp. 144-5; Cornet (1952), in part. pp. 84-5.

 

[7] Goblot (1979). Uno dei meriti dell’opera è quello di aver definito un paysage à qanats sulla base di considerazioni climatiche, idrogeologiche e topografiche che hanno consentito all’autore la realizzazione di un primo catalogo dei qanats noti, dall’Oriente all’estremo Occidente.

 

[8] Goblot (1979), pp. 117, 121-3.  

 

[9] Goblot (1979), passim; per l’America latina cfr. da ultimo Palerm Viqueira (2004).

 

[10] Si vedano i vari contributi in Beaumont, Bonine, McLachlan (1989).

 

[11] Briant (2001).

 

[12] Salvini (2001).

 

[13] Wuttmann (2001). Per i vari sistemi di approvvigionamento presenti in questo sito, si veda anche Bousquet (1999).

 

[14] Appare utile ricordare la descrizione che del sistema ci offre Polibio nelle sue Storie (X, 28, 2-4) relativamente alla Persia del III sec. a.C.: A la surface du sol, il n’y a pas d’eau apparente dans cette région, mais il y a des canaux souterraines assez nombreux, reliés à travers le désert à des puits qui sont ignorés de ceux qui ne connaissent pas le pays. A propos de ces puits, une tradition véridique est transmise par les habitants, selon la quelle, les Perses, aux temps où ils étaient maîtres de l’Asie, accordèrent à ceux qui amenaient de l’eau de source dans certaines zones qui auparavant n’étaient pas irriguées, la jouissance de la terre pour une durée de cinq générations ; par suite, comme des cours d’eau nombreux et abondants s’écoulaient du Tauros, les habitants entreprirent toutes sortes de dépenses et endurèrent toutes sortes de peines ; ils construisirent les canaux souterrains qu’ils amenèrent de loin, de sorte que, à l’heure actuelle, même ceux qui utilisent ces eaux ne savent pas où naissent les canaux souterrains, ni où ils captent les cours d’eau. (trad. da Polybe, Histoires, Les Belles Lettres, Paris 1990). Interessa in questa sede sottolineare alcuni aspetti che sembrano utili ai fini dell’analisi e dello sviluppo del sistema. In particolare sottolineiamo il riferimento all’assenza di acqua in superficie ricordato da Polibio e quindi la capacità empirica da parte delle maestranze di riconoscere aree umide, falde o fonti sotterranee da poter sfruttare; la stretta relazione tra il sistema degli acquedotti sotterranei nelle aree desertiche con l’irrigazione dei campi, un indicatore quindi della sedentarizzazione di gruppi umani, e la lunga vita di questi condotti che al tempo di Polibio sono ancora funzionanti. Quest’ultima considerazione si lega indissolubilmente alle difficoltà di datazione dei molti qanats/foggaras ancora oggi in funzione, ma anche a quelli ormai non più in uso che hanno restituito materiali datanti. In questo caso, infatti, i materiali non possono che offrire un terminus ante quem alla data di abbandono dell’opera, ma non di realizzazione. Se associamo a questo il fatto che pochissimi sono ad oggi i qanats/foggaras indagati archeologicamente comprendiamo facilmente le difficoltà di inquadramento cronologico per lo studio di tali opere idrauliche.

 

[15] Una delle regioni a utilizzare abbondantemente questo sistema è la Siria e in particolare il distretto di Palmira, si vedano al riguardo i diversi contributi presenti in Geyer (1990); ed in particolare Kobori (1990).

 

[16] Wuttmann (2001).

 

[17] Si tratta, nello specifico, delle recenti indagini condotte nel Fezzan libico nell’area del Wadi al Ajal: cfr. infra.

 

[18] Wuttmann (2001), in part. pp. 122-34.

 

[19] Goblot (1979), pp. 114-5, con bibliografia precedente.

 

[20] Mattingly, Wilson (2003); Drake et al. (2004).

 

[21] Drake et al. (2004), pp. 104-5, 107-9.

 

[22] Mattingly, Wilson (2003), pp. 47-9.

 

[23] Capitaine lô (1953 e 1954); Cornet (1952); Bisson (1957), in part. pp. 65-81. Per un approccio socio-antropologico al sistema delle foggaras in tali zone, si vedano Grandguillaume (1973) e Guillermou (1993).

 

[24] Briggs (1967), pp. 11-2, nota 3; per la presenza ebraica in nord africa in età antica cfr. da ultimo Cresti (2005), con ampia bibliografia di riferimento.

 

[25] Sembra invece sostenibile un aumento della presenza ebraica a partire dal V e soprattutto nel VI secolo in contesti rurali: Cresti (2005), p. 8.

 

Capitaine lô (1953), pp. 140-2; Guillermou (1993), in part. p. 126; Laureano (2003), pp. 72-3.

 

[27] Mattingly, Wilson (2003), in part. p. 39.

 

[28] Va sottolineato che la breve analisi di questi sistemi idrici, che si presenta in questa sede, ha come base documentaria preliminare l’attento studio di Jean Birebent: Birebent (1964).

 

[29] Birebent (1964), pp. 57-58.

 

[30] Birebent (1964), pp. 63-66.

 

[31] Birebent (1964), pp. 81-83.

 

[32] Per un inquadramento topografico, geomorfologico e archeologico della regione: Birebent (1964), pp. 51-56.

 

[33] Birebent (1964), pp. 203-205.

 

[34] Birebent (1964), pp. 213-215; per un inquadramento della regione della Sbikra: Ibid., pp. 199-200.

 

[35] Birebent (1964), pp. 267-268; per un inquadramento della regione pp. 247-258.

 

[36] Birebent (1964), pp. 387-389; per un inquadramento della regione pp. 341-343.

 

[37] Baradez (1949), p. 169, a-c; non si ha alcun dato certo per sostenere una datazione all’età romana dell’opera, ma, data la forte antropizzazione in questa epoca dell’area, ciò è senz’altro ipotizzabile.

 

[38] Sulla geomorfologia degli Aurès cfr. il recente contributo di Côte (2003).

 

[39] Birebent (1964), p. 53

 

[40] Birebent (1964), pp. 199, 248-50, 342.

 

[41] Sistemi simili per far crescere la falda acquifera sotterranea, attraverso la gestione delle piene sono ben documentate nel M’zab: Castellani (2005), p. 55.

 

[42] Bursaux (1910); Job (1993).

 

[43] Trousset (1993).

 

[44] Bursaux (1910), p. 373. Andrà almeno ricordata l’interessante associazione tra l’oasi di El Guettar e il centro di Veresvi, riportato nella Tabula Peutingeriana, sostenuta dal Tissot (1857, p. 124): «A 23 milles au S.-E. de Capsa, la Table de Peutinger cite Veresvi. Cette distance nous conduit, en effet, dans la même direction. à El-Guetar, entre le Djebel Aktar et le Djebel Oulad Mansour ».

 

[45] Nelle oasi Sahariane ci si trova dinnanzi a complesse reti di canali che raggiungono singole lunghezze dai 3 km (oasi di Tamanrasset) ai 10 km (oasi di Gourara, Touat e Tidikelt). La larghezza delle gallerie è sempre compresa tra i 0,60-0,70 m, apertura indispensabile per permettere le necessarie operazioni di scavo, mentre le altezze sono variabili da 1-1,50, fino a raggiungere i 3-4 m, probabilmente a causa dell’approfondimento nel tempo del piano della galleria a seguito dell’abbassamento della falda freatica. Non è raro trovare nelle foggaras di queste regioni una seconda galleria più in basso, separata dalla sovrastante da strati di 0,50-1 m di potenza, quale esito dell’abbassamento della falda. Le pendenze sono molto variabili, ma non superano valori compresi tra i 5-6 mm per metro. In particolare, nella regione di Tamanrasset la falda si trova a profondità tra i 0,50 e i 3-4 m, di conseguenza la galleria ha altezze ridotte, e la distanza tra i pozzi è molto ravvicinata – tra i 2 e i 4 m – a causa della fragilità del terreno e forse anche per recuperare al massimo la precipitazione occulta: Cornet (1952), p. 89; Capitane Lô (1953), p. 145; Bisson (1957), p. 69.

 

[46] Nelle foggaras in uso dell’Ahaggar, nell’Algeria meridionale, per contrastare le perdite d’acqua dei condotti, in parte favorite dalle sabbie di grandi granulometrie, si applica sul fondo del condotto “uno strato” di limo argilloso: Gast (1997), pp. 2870-1.

 

[47] Leschi (1934-1935); cfr. Fentress (1979), pp. 168-70. L’iscrizione è databile tra il 183 e 185 d.C.: Imp(eratori) Caes(ari) M(arco) Aurelio / Commodo Felici Aug(usto), / M(arcus) Valerius Maximus / leg(atus) Aug(usti) pr(o) pr(aetore), v(ir) c(larissimus), co(n)s(ularis), am/plissimus opus Aquae/Paludensis conquiren/dae concludendaeq(ue)  inchoari fieriq(ue) cura/vit idemq(ue) dedicavit / d(ecreto) d(ecurionum) p(ecunia) p(ublica). Su questo acquedotto si veda anche Goblot (1979), p. 123.

 

[48] Birebent (1964), pp. 325-30; per segnalare le acque convogliate da una fonte in un acquedotto veniva utilizzata una differente terminologia, al riguardo cfr. ad esempio nell’iscrizione ILS 3282 l’uso di collectis fontibus et / [scatu]riginibus: Fentress (1979), p. 168, iscrizione n. 15 a p. 203.

 

[49] Renault (1912); Fornacciari (1928-1929); Wilson (1998), in part. pp. 77-8.

 

[50] Gaukler (1901-04), pp. 311-7; Wilson (1999), in part. pp. 322-3.

 

[51] Gauckler (1897), in part. pp. 445-6. La stele è stata rinvenuta assieme a elementi architettonici quali colonne e capitelli. Iscrizione: Saturno Palmensi Aquensi Aug(usto) sacr(um). L(ucius) Iulius Rufianus sacerdos v(otum) l(ibens) a(nimo) fecit.

 

[52] Goblot (1979), p. 120; Mattingly (1995), pp. 15-6.

 

[53] Sull’iscrizione di Lamasba si veda Shaw (1982).

 

[54] Sui metodi di distribuzione delle acque e, in particolare, sull’interpretazione del “K”, si veda Trousset (1986), specificamente pp. 176-8 e 192-3, con bibliografia di riferimento.

 

[55] Brett, Fentress (1996), pp. 250-1.

 

[56] Gast (1997), pp. 2876-7; Castellani (2005), p. 57.

 

[57] Brett, Fentress (1996), p. 251.

 

[58] Kayser, Waringo (2002), pp. 3-6, fig. 28; Kremer (1999).

 

[59] Plin., nat., XVIII, 188: Civitas Africae in mediis harenis petentibus Syrtis Leptimque Magnam vocatur Tacape, felici super omne miraculum riguo solo. Ternis fere milibus passuum in omnem partem fons abundat, largus quidem, sed et certis horarum spatiis dispensatur inter incolas. Palmae ubi praegrandi subditur olea, huic ficus, fico punica, illi vitis, sub vite seritur frumentum, mox legumen, deinde olus, omnia eodem anno, omniaque aliena umbra aluntur.

 

[60] Per un inquadramento storico dell’area cfr. Rinaldi Tufi (2005); per un’analisi sui singoli centri dell’area cfr. Artizzu (2005).

 

[61] Nel 1979 E. Fentress sottolineava il possibile ruolo avuto dai militari nella diffusione delle foggaras nell’Algeria settentrionale: Fentress (1979), pp. 170-1. Il tema controverso dell’effettivo ruolo dei Romani rispetto allo sviluppo di tali tecniche agricole, come pure quello della distinzione di due tipi di politica idrica, una urbana e una rurale, è affrontato in Shaw (1984), pp. 124-35. Relativamente a uno sviluppo agricolo pre-romano: Guerbabi (2006), in particolare pp. 46-9.

 

[62] Procop., Vand., 4.19.1-20; Shaw (1984), pp. 144-6; una recente rilettura dell’avvenimento, con interessanti riferimenti alle realizzazioni idrauliche, è in Morizot (2006), in part. pp. 153-5.

 

[63] Fentress (1982), in part. p. 330, nota 13.

 

[64] Fentress (1982), in part. pp. 330-1; Trousset (2004), in part. pp. 63-8.