ds_gen N. 8 – 2009 – Memorie//Africa-Romana

 

Clara Gebbia

Università di Palermo

 

Ancora Altava

 

 

(pubblicato in L’Africa romana. Mobilità delle persone e dei popoli, dinamiche migratorie, emigrazioni ed immigrazioni nelle province occidentali dell’Impero romano. Atti del XVI convegno di studio. Rabat, 15-19 dicembre 2004, a cura di M. Akerraz, P. Ruggeri, A. Siraj, C. Vismara, Roma, Carocci editore, 2006, I, pp. 495-505)

 

Ancora Altava. Perché? Allo stato attuale della ricerca su Altava tardo-imperiale non credo si possa aggiungere molto a quanto è stato già detto decenni fa da P. Salama[1], P. Pouthier[2], J. Marcillet-Jaubert[3] e, più recentemente, da C. Lepelley[4], P. Courtot[5], A. Akerraz[6] e N. Labory[7], né pretendo di apportare soluzioni in una problematica tanto complessa quale è quella che riguarda il sito di Altava nel Basso Impero, una civitas con le sue anomalie municipali, con le sue istituzioni peregrine che, pur modellate sull’esempio romano, denunciano la sopravvivenza di elementi preromani, berbero-punici[8]. Intendo, con questo contributo, fare il punto sugli studi più recenti e sulle riflessioni emerse dalla documentazione epigrafica. Quest’ultima, purtroppo, è molto scarna e non consente di dedurre certezze, bensì solo ipotesi.

[p. 496] Fissiamo alcuni punti essenziali. Innanzitutto la posizione di Altava nella Mauretania Cesariense.

La città, posta a una trentina di chilometri a est dei monti di Tlemcen, allo sbocco della valle dell’Oued Isser, costituiva, almeno fin dal II secolo d.C., un piccolo agglomerato preurbano, punto nodale del traffico carovaniero e di coloro che si spostavano da Oriente verso la Tingitana[9]. Una posizione privilegiata, grazie alla quale Altava, nell’età dei Severi, ospitò la Cohors II Sardorum[10], della quale ci è pervenuta un’epigrafe, posta dalla stessa, in onore dell’imperatore Geta[11].

Dalle testimonianze pervenuteci, sembra che la città non abbia risentito particolarmente né dell’insicurezza che regnò negli anni 253-262, sulla linea Auzia-Altava, a causa delle rivolte dei Mauri[12], né della lunga crisi aperta nel 289, dopo l’attacco massiccio dei montagnardi transumanti del Tell e delle tribù nomadi del Sahara settentrionale, e risolta solamente dalle campagne dell’imperatore Massimiano[13]. Dall’indagine archeologica di P. Pouthier[14] e dallo studio della ceramica ivi rinvenuta, sembra, invece, attestata, nel IV secolo, la solidità economica della città; una solidità, però, basata sull’autarchia, a causa, probabilmente, dell’insicurezza delle vie commerciali che costrinse Altava e le altre città della Cesariense al ripiegamento su se stesse. Ma l’autarchia non è povertà, come sostiene giustamente P. Pouthier[15].

E qui è d’obbligo affrontare il secondo punto: abbandono o non abbandono della Cesariense, e quindi di Altava, dopo Diocleziano? È una domanda retorica, perché le indagini archeologiche ed epigrafiche convergono tutte sulla tesi del non abbandono da parte del governo di Roma[16], smentendo così l’ipotesi di ripiegamento, [p. 497] a partire dal regno di Diocleziano, suggerita da E. Albertini[17] e ripresa da J. Carcopino[18] e Ch. Courtois[19].

L’annosa querelle è stata risolta soprattutto da P. Salama, il quale, attraverso la convergenza di testimonianze letterarie ed epigrafiche, ha dimostrato con dati inconfutabili l’occupazione della Mauretania Cesariense nell’epoca costantiniana[20], fornendo prospettive e ipotesi per ulteriori ricerche.

Altava non sfugge a questa indagine: non esiste alcun documento che ci autorizzi a ipotizzare una tesi di abbandono, e non solo per l’età tetrarchica.

É in questa logica che bisogna interpretare un’iscrizione in onore degli imperatori Costante e Costanzo II, nella quale si ricorda la costruzione, negli anni 349-350, di un baluardo, di una porta nuova e delle torri, ad opera di un dispunctor unacum primores, cioè le autorità locali[21]. Questa costruzione, secondo P. Courtot[22], non sarebbe un rifacimento dell’antica cerchia delle mura, bensì una nuova costruzione che potrebbe benissimo essere intesa come uno strumento di autodifesa della città contro le incursioni delle tribù berbere del sud, sempre, però, sotto la sovranità dell’amministrazione romana[23].

[p. 498] Questa dedica onoraria è posta, si è detto, da un dispunctor e dai primores d’Altava. Il termine dispunctor, attribuito a un certo Valerius Restutus, era già noto da un epitaffio del 335[24], ma sfugge il significato specifico di tale titolo e le competenze attribuite al funzionario preposto. Un tesoriere, delegato dalla nuova aristocrazia emergente alla riscossione delle imposte cittadine, quasi un curator, dedito, però, più alle funzioni finanziarie che non a quelle amministrative, come sostiene P. Pouthier[25]; oppure un vero e proprio curatore, a capo della città e del consiglio ristretto dei membri dell’ordo, i primores, in sostituzione del princeps o prior, un titolo attestato in un epitaffio del 329, dedicato a Titius Donatus, princeps, vir prior ordinis, inteso come il principale dignitario della città[26]?

Il cambiamento designa un’evoluzione, ma la sostanza non cambia: a capo della città c’è sempre un solo uomo, assistito da un’élite locale, i primores, assimilati – sono d’accordo con C. Lepelley[27] – ai decemprimi, un consiglio ristretto di dieci uomini, attestato in un epitaffio non datato, ma verosimilmente della fine del III o dell’inizio del IV secolo, posto per Titius Faussanus, prior civitatis suae ex decemprimis, dai figli Titius Castorius e Titius Donatus[28].

Un altro dispunctor, Crepereius Victor, è ancora attestato in un’iscrizione dell’inizio del V secolo pro salutem civitatis Altavensium, in onore di Onorio e Teodosio II (408-423)[29].

[p. 499] Due riflessioni. Da un lato Altava è ancora civitas, da un altro lato la menzione di Onorio e Teodosio induce a supporre che la sovranità romana si esercitasse ancora su Altava[30]. A complicare ancora di più il quadro istituzionale, interviene un’altra categoria di cittadini di Altava, due secundiones, ricordati in due epitaffi del 326 [31] e del 362 [32], sulla cui interpretazione le posizioni degli studiosi odierni divergono. Secondo P. Pouthier[33] e J. Marcillet-Jaubert[34], una simile titolatura attesta la divisione dell’ordo tra decurioni poveri e primores ricchi, o meglio, tra piccoli e grandi proprietari terrieri, il cui reddito sarebbe derivato dalla produzione di olio, grano e dal commercio con le tribù dell’entroterra. I secundiones avrebbero ricoperto, quindi, un ruolo secondario, a causa di una situazione economica depressa. Ipotesi gratuita, secondo C. Lepelley[35], perché niente ci autorizza a definire le due categorie; accettabile, però, la conclusione.

Questo processo di gerarchizzazione è però significativo perché conferma il particolarismo municipale di Altava nel IV secolo, il quale, se da un lato riconduce a strutture preromane, berbere, come ben vede P. Courtot[36], dall’altro rientra nella prassi dell’evoluzione delle società municipali[37].

Il 455 è la data in cui ufficialmente la dominazione romana finisce [p. 500] in Africa dopo la conquista dei Vandali, ma è una fine che fa riflettere.

Vandali prima e Bizantini poi non poterono annullare la grande opera civilizzatrice che Roma aveva svolto in tanti secoli in Africa. É impensabile che le istituzioni romane scomparissero del tutto; è ipotizzabile, invece, una loro profonda trasformazione legata a fatti contingenti e alle modalità e ai tempi con i quali i territori venivano gradualmente abbandonati. In questa fase di trapasso di funzioni e poteri, non abbiamo alcuna notizia su Altava.

Dopo la rottura dell’accordo tra Genserico e Roma e la definitiva occupazione delle ultime province romane dell’Africa, tutto lascia supporre che Altava vivesse autonomamente, adattando alle proprie esigenze gli organismi municipali, mentre la Chiesa accoglieva l’eredità più preziosa della civilizzazione romana, costituendone il miglior sostegno nel momento in cui forze centrifughe destabilizzavano gli equilibri politici[38].

Altava sopravvisse. L’obiettivo maggiore dovette essere la costruzione di opere difensive per garantire la sicurezza degli abitanti e dei terreni agricoli adiacenti nei confronti dei nomadi del sud. L’autarchia imponeva l’autodifesa.

E mentre i legami con Roma si allentavano, i capi berberi locali imponevano a poco a poco il proprio potere alla città. Ricomparivano i reges mauri, regoli indigeni – attestati già nel IV secolo[39] – il più potente dei quali fu Masuna, ricordato in un’iscrizione del 508 rinvenuta ad Altava come rex gentium Maurorum et Romanorum[40], intendendo, con tale espressione, re dei Berberi non [p. 501] romanizzati e dei Berberi romanizzati[41]. L’iscrizione ricorda che un castrum, costruito ad Altava da Masgivinus, prefetto di Safar e da Iider, procuratore dei castra Severiana, fu acquistato da Massimo, procuratore di Altava, nell’anno 469 dell’era provinciale, 508 dell’era cristiana. Da notare la sopravvivenza di una titolatura – prefetto, procuratore – che riconduce alla tradizione romana, unitamente a nomi prettamente berberi. Evoluzione o involuzione? Ha ragione P. Pouthier quando afferma che dall’era romano-berbera del IV secolo si passa nel secolo seguente all’era berbero-romana[42]. La lingua, infatti, continuava ad essere ufficialmente il latino, come si può notare dagli epitaffi, ma presumibilmente la lingua parlata dovette essere il dialetto berbero. Lingua latina, cristianesimo e arte berbera, come si evince dagli aspetti tipologici e strutturali delle sepolture, sono l’espressione della cultura della città in tale epoca.

Ma, tornando a Masuna, ritengo sia utile riprendere alcune riflessioni di Ch. Courtois.

Il regno di Masuna corrisponde al regno di Orano, il primo dei tanti regni berberi che si incontrano partendo dall’ovest, noto anche come regno di Altava, in base all’iscrizione CIL viii, 9835, già citata. Ma, come osserva giustamente Ch. Courtois, niente ci autorizza a ipotizzare, da questo testo, che Altava fosse la capitale del regno di Masuna[43]. L’iscrizione, però, ci informa che l’autorità di Masuna, rex gentium Maurorum et Romanorum, si estendeva su Altava, Safar e Castra Severiana. Non sono stati identificati i due ultimi siti, ma Altava è ben nota. Ora, si è localizzato grosso modo il regno di Masuna, ma fin dove questo si estendeva?

Seguendo il ragionamento di Ch. Courtois[44], il castrum di Altava verosimilmente fu costruito per proteggere la città dalle incursioni dei nomadi del sud; si esclude, quindi, un’espansione verso le steppe degli Altipiani. Viene respinta, inoltre, l’interpretazione, data dalla quasi totalità degli storici, di un passo di Procopio[45], [p. 502] nel quale viene citato un capo mauro, dal nome Massonas, alleato dei Bizantini contro il re dell’Aurès, Iaudas, e coinvolto, intorno al 535, in una guerra interna fra le tribù limitrofe. Da tale passo si è ritenuto che Masuna e Massonas fossero la stessa persona: in tal caso, il regno di Orano si sarebbe esteso fino al regno dello sconfitto Iaudas e quindi fino all’Aurès. Ma l’analisi onomastica esclude l’identità dei due personaggi[46]. L’omonimia non sarebbe altro che pura coincidenza.

In conclusione, se dobbiamo ipotizzare una pur minima fisiologia di Masuna e dei suoi successori, dobbiamo immaginare dei regoli che avevano contatti economici e politici con il nord, occupato dai Bizantini, più che con il sud, terra dei nomadi. Altava, comunque, non fece mai parte dell’Impero bizantino.

Ciò che accadde ad Altava nei decenni successivi, fino all’occupazione del Maghreb da parte degli Arabi, rimane nebuloso. Fino al 599 abbiamo ancora una ricca serie epigrafica, che non può, però, illuminarci molto sul destino della città perché comprende, in gran parte, soltanto iscrizioni sepolcrali, le quali testimoniano solo l’esistenza e la vitalità della città. J.-M. Lassère, analizzando la data di 169 decessi tra il 301 e il 599, ha tratto un’analisi molto puntuale sulla mortalità e sulla ripartizione annuale di tali decessi, confrontandoli con altri siti e ricercandone le cause[47]. Ma non si può andare oltre. Non ci sono, infatti, epigrafi di carattere onorario, ufficiale. Si possono, però, ipotizzare dei rapporti tra la Tingitana e la Cesariense e, in particolare, tra le tribù berbere stanziate ad ovest dell’odierna Algeria e ad est della Tingitana.

Ricordiamo i contributi di R. Rebuffat[48], di G. Camps[49] – che addirittura individua ai confini di queste due province un’unità culturale rinsaldata dal cristianesimo, dietro alla quale ci sarebbe stata un’«entità politica più o meno fluttuante» – e, più recentemente, quello di A. Akerraz[50]. Tutte brillanti intuizioni, che però, a loro volta, pongono una serie di riflessioni e interrogativi, a cui [p. 503] non credo, allo stadio attuale della ricerca archeologica ed epigrafica, si possano dare risposte.

Soffermiamoci su A. Akerraz. Lo studioso si è occupato particolarmente della tarda Volubilis. La scoperta in questa città di quattro epitaffi cristiani, databili tra il VI e il VII secolo, aveva fatto ipotizzare, già nella prima metà del Novecento, la sopravvivenza delle istituzioni romane, della civiltà latina e del cristianesimo, pur essendo una regione abbandonata dall’autorità romana. Una delle quattro iscrizioni riguarda una certa Iulia Rogativa, definita nella linea tre, secondo una prima lettura, Ko(o)ptativa de Altava[51], cioè, secondo l’interpretazione di J. Carcopino, «adottata collettivamente dai volubilitani»[52], e ricordata, una volta defunta, dai figli e dai nipoti. Nella sesta linea è indicato l’anno della morte, il 616 dell’era provinciale, che corrisponde al 655 della nostra era.

Dal confronto delle epigrafi cristiane di Altava e Volubilis è nato l’accostamento tra le due città e si è consolidata l’ipotesi, di cui si è già parlato, di una federazione di agglomerati urbani, al cui interno si sarebbe sviluppata un’alleanza effettiva finalizzata, probabilmente, al mantenimento del loro equilibrio socio-economico-politico[53]. A cambiare il quadro delle ipotesi è intervenuta recentemente la nuova lettura di M. Lenoir a proposito di Iulia Rogativa, definita, come si è detto, secondo la prima interpretazione testuale, Ko(o)ptativa. M. Lenoir legge, invece, non senza difficoltà, poiché le lettere sono irregolari, Kaptiva[54], riprendendo un’ipotesi di lettura già formulata da L. Chatelain[55]. Ipotesi accolta recentemente da A. Akerraz[56] e N. Labory[57]. Quest’ultima studiosa, per ribadire ulteriormente l’interpretazione più recente, precisa meglio [p. 504] che «il n’y a aucune trace de O entre les barres allongées du K ou entre K et AP»[58].

A. Akerraz, sui dati interpretativi di M. Lenoir, ha suggerito una realtà ben diversa da quella prima ipotizzata. Confrontando le due serie di epigrafi, quelle cioè di Altava e di Volubilis, ha osservato, infatti, che la serie di Altava arriva fino al 599, anno in cui all’incirca inizia quella di Volubilis[59]. È ragionevole supporre, allora, seguendo sempre la sua intuizione, che Iulia Rogativa fosse realmente una Kaptiva e che nella regione di Volubilis esistesse nel VI secolo un forte potere locale «autour du Massif de Moulay Idris du Zerhoun, assez organisé pour édifier une enceinte autour de la ville tardive de Volubilis et assez puissant pour mener des incursions au-delà de l’oued Moulouya et ramener des captifs d’Altava»[60]. La comunità cristiana di Volubilis, di conseguenza, non sarebbe altro che la comunità oranese proveniente da Altava e lì trapiantata. Questo esodo forzato – se accettiamo tale ipotesi – potrebbe spiegare l’interruzione dell’epigrafia ad Altava e la riapparizione a Volubilis. Una conclusione abbastanza verosimile.

Dopo la pars construens, passiamo però a quella destruens. Tutto l’impianto logistico poggia sulla nuova lettura di M. Lenoir, Kaptiva, al posto di Ko(o)ptativa. Ma i caratteri sono irregolari e la soluzione potrebbe essere un’altra, se non la prima. È vero, non c’è alcuna traccia di o dopo k o tra k e ap, come osserva N. Labory, tuttavia la pietra troppo scalfita non consente di individuare bene le lettere mancanti. Ma ammettiamo, pure, la lettura Kaptiva. Abbiamo, purtroppo, solo questa testimonianza; è troppo poco per generalizzare.

Certamente si potrebbe presumere l’esistenza di un forte potere locale a Volubilis; ma ciò indirettamente implicherebbe la debolezza, se non addirittura un vuoto di potere ad Altava. Quale è stata la sorte, allora, del grande regno di Masuna e della sua dinastia? Non esiste alcun documento a sostegno né di un forte potere locale a Volubilis, né di uno debole ad Altava. Naturalmente ci sono delle similitudini che non possono essere ignorate: ad esempio, la serie di epitaffi cristiani a Volubilis che utilizza un formulario vicino a quello di Altava. Ci si deve interrogare sui legami che si sono creati o si sono trasformati. Ma può non esserci alcuna spiegazione [p. 505] logica. Da una regione all’altra, da un periodo all’altro, i modelli si creano, si diffondono.

Su Altava cade il silenzio dopo il 599. Prudentemente farei mia la riflessione di P. A. Février: «Et devant les silences s’interroger»[61]. Ma non è detto che la risposta sia quella data finora. Soltanto ulteriori rinvenimenti epigrafici e archeologici potranno chiarire la dietrologia degli avvenimenti di Volubilis e Altava.

 

 



 

[1] P. Salama, Occupation de la Maurétanie Césarienne occidentale sous le Bas-Empire romain, in Mélanges d’Archéologie et d’Histoire offerts à André Piganiol, t. 3, Paris 1966, pp. 1291-311; Encyclopédie berbère, s.v. Ala Miliaria [P. Salama], iii, 1986, pp. 433-8.

 

[2] P. Pouthier, Évolution municipale d’Altava aux IIIe et IVe siècles après J.-C., «MEFRA», lxvi, ii, 1956, pp. 205-45.

 

[3] J. Marcillet-Jaubert, Les inscriptions d’Altava, Aix-en-Provence 1968.

 

[4] C. Lepelley, Les cités de l’Afrique romaine au Bas-Empire, i, La permanence d’une civilisation municipale, Paris 1979, pp. 54-5, 126-8; ii, Notice d’histoire municipale, Paris 1981, pp. 522-34.

 

[5] Encyclopédie berbère, s.v. Altava [P. Courtot], IV, 1987 [d’ora in avanti Courtot, Altava], pp. 543-52.

 

[6] A. Akerraz, Les rapports entre la Tingitane et la Césarienne à l’époque post romaine, in L’Africa romana xii, pp. 1435-9; Id., Volubilis et les Royaumes berbères indépendants, «BAM», xviii, 1998, pp. 329-31.

 

[7] N. Labory, IAMar., lat., Suppl., pp. 91-2.

 

[8] Pouthier, Évolution municipale, cit., pp. 216-7; Lepelley, Les cités, ii, cit., pp. 525-7, 531.

 

[9] Courtot, Altava, cit., p. 543.

 

[10] Cfr. M. A. Ruiu, La cohors II Sardorum ad Altava (Ouled-Mimoun, Algeria), in L’Africa romana xv, pp. 1415-32 (con fonti e ricca bibliografia). Sui Severi nel Nord Africa cfr., inoltre, A. Mastino, I Severi nel Nord Africa, in XI Congresso Internazionale di Epigrafia Greca e Latina, Roma, 18-24 settembre 1997, Roma 1999, pp. 388-93.

 

[11] CIL viii, 9833; Marcillet-Jaubert, Les inscriptions, cit., pp. 19-20.

 

[12] Cfr. C. Gebbia, I Mauri: profilo storico, in L’Africa romana xv, pp. 479-504.

 

[13] M. Rachet, Rome et les Berbères. Un problème militaire d’Auguste à Dioclétien, Bruxelles 1970, pp. 254 ss.; Gebbia, I Mauri, cit., pp. 494-5.

 

[14] Pouthier, Évolution municipale, cit., pp. 222 ss.

 

[15] Ivi, p. 225.

 

[16] W. Seston, Dioclétien et la Tétrarchie, Paris 1946, pp. 118-9; P. Salama, Hypothèse sur la situation officielle de la Maurétanie Césarienne occidentale au IVe siècle, «Libyca», 1954, pp. 224-9; Id., Occupation de la Maurétanie Césarienne occidentale, cit., pp. 1293-5.

 

[17] E. Albertini, La route frontière de la Maurétanie Césarienne entre Boghar et Lalla Maghnia, «BSGAO», 1928, pp. 33-48. L’ipotesi verte sull’assenza di miliari dopo l’imperatore Caro, emersa dalla Notizia Dignitatum, ed. O. Seeck, Berlin 1876, Oc. XXX 14, 15, 16, 18, 19.

 

[18] J. Carcopino, Le Maroc antique, Paris 1948, pp. 231-304. L’autore rileva una simultaneità tra la sparizione dei miliari nella Cesariense occidentale e l’arresto delle serie monetali nel sud e sud-est della Mauretania, particolarmente a Volubilis.

 

[19] Ch. Courtois, Les Vandales et l’Afrique, Paris 1955, pp. 88-9.

 

[20] Fonti letterarie ed epigrafiche in Salama, Occupation de la Maurétanie Césarienne occidentale, cit., pp. 1295 ss. Conclusioni a pp. 1305 ss.

 

[21] AE, 1935, 86 = Marcillet-Jaubert, Les inscriptions, cit., n. 67: Pro sal[ute atq(ue)] incolumi/tate dd(ominorum) nn(ostrorum) impp(eratorum) Costanti et / Costans Augg(ustorum), muru et porta nova / et turres a solo Statulenius Felix / disp(unctor) unacum primores ded[i]cavit, p(rovinciae anno) CCCX.

 

[22] Courtot, Altava, cit., p. 547.

 

[23] Già Pouthier, Évolution municipale, cit., pp. 232-3, aveva sostenuto la tesi di un’organizzazione difensiva; tesi non accettata da Lepelley, Les cités, ii, cit., p. 529, n. 40. Cfr., inoltre, R. Rebuffat, Comme les moissons à la chaleur du soleil, in L’Africa romana vi, p. 128, n. 41. Secondo Rachet, Rome et les Berbères, cit., p. 258, l’iscrizione commemorativa potrebbe essere un gesto, da parte dei magistrati locali, di «montrer leur nostalgie des habitudes municipales romaines».

 

[24] CIL viii, 9840 = ILCV, 581 = Marcillet-Jaubert, Les inscriptions, cit., n. 46: D(is) M(anibus) s(acrum). / Posui Valerio Restuto / disp(unctori) patri amantissimo, / vixit annis LIII, dis(cessit) III idus sep(tembres), / p(rovinciae) anno CCXCVI.

 

[25] Pouthier, Évolution municipale, cit., pp. 237 ss.

 

[26] AE, 1969-70, 736 = P. Courtot, «BAA», 3, 1968, pp. 337-41: D(is) M(anibus) s(acrum). / Titius Donatu(s) princip, / vir prior ordinis, vixit / annis LXXX menses VI disc(essit) / XVI cal(endas) feb(ruarias), a(nno) p(rovinciae) CCXC, patri dulc/[issimo filii fecerunt]. Courtot corregge princip in princeps. Tesi più verosimile. Cfr. Lepelley, Les cités, ii, cit., p. 528, n. 30.

 

[27] Lepelley, Les cités, ii, cit., p. 527.

 

[28] AE, 1957, 67 = «BCTH», 1954, pp. 66-9 = Marcillet-Jaubert, Les inscriptions, cit., n. 273: D(is) M(anibus) s(acrum). / Titius Faussanus, / prior civitatis suae, / ex decemprimis, vixit / annis XC me(nses) IIII, et Titius Cocceus vixit annis / XXI, me(n)ses VI, et Titius Victor / nepos, vixit annis XI, Do/natus et Castorius pa/tri b(e)n(e) m(erenti) et dul(cissimo) fecer(unt). Cfr. Lepelley, Les cités, ii, cit., pp. 525-6.

 

[29] CIL VIII 9834 = Marcillet-Jaubert, Les inscriptions, cit., n. 122 = Salama, Occupation de la Maurétanie Césarienne occidentale, cit., n. 24: Pro salut(e)m civi/tatis Alt[a]vensium / et incolum[itat]e dd(ominorum) nn(ostrorum) im[pp(eratorum)] / Aug(gustorum) Onorio e[t The]udoss[io], / Crep(ereius) Vict[or------] /rus et cive[s------]. Quest’ultimo testo, p. 1304, n. 1, integra quello di Marcillet-Jaubert.

 

[30] È la tesi di Courtot, Altava, cit., p. 547. Marcillet-Jaubert, Les inscriptions, cit., p. 12, ritiene difficilmente compatibili con l’abbandono sistematico del territorio ad ovest dello Chélif le due dediche, rispettivamente del 349-350, a Costante e Costanzo II, e del 408-423, a Onorio e Teodosio II, ma non esclude il contrario. Anche Salama, Occupation de la Maurétanie Césarienne occidentale, cit., p. 1310, in mancanza di altri dati attendibili, lascia insoluto il problema.

 

[31] Marcillet-Jaubert, Les inscriptions, cit., n. 29: D(is) M(anibus) s(acrum). / Iuli Victoris / unus ex s<s>ecund/onibus, vicsit a/nis LVIII, dis(cessit) di/e XVI K(alendas) nove(mbres), / patri dulc(issimo) po(suit), a(nno) p(rovinciae) CCLXXXVII.

 

[32] Ivi, n. 83: D(is) M(anibus) s(acrum). / Iuli Saturi / unus ex secun/dionibus, vix(it) an(ni)s / LXV, dis(cessit) die III kal(endas) / februari(as), a(nno) p(rouinciae) CCCXXIII, / fili dul(cissimo) pa(tri) fecerunt.

 

[33] Pouthier, Évolution municipale, cit., p. 235, n. 1.

 

[34] Marcillet-Jaubert, Les inscriptions, cit., p. 13.

 

[35] Lepelley, Les cités, ii, cit., p. 530.

 

[36] Courtot, Altava, cit., p. 548.

 

[37] Lepelley, Les cités, ii, cit., p. 530.

 

[38] Fonti in Courtois, Les Vandales, cit., Appendice I-II, pp. 367-83.

 

[39] A. Mastino, La ricerca epigrafica in Algeria (1973-1985), in L’Africa romana iii, ricorda Nubel, velut regulus per nationes Mauricas potentissimus (Amm. 29, 5, 2), padre di Firmo e di Gildone, p. 124. Le rivolte di questi due capi mauri, rispettivamente, del 372-375, e del 397-398, in C. Gebbia, Ancora sulle “rivolte” di Firmo e Gildone, in L’Africa romana v, pp. 117-29. Sulle politiche tribali dei figli di Nubel, cfr. C. Melani, Mascezel e Gildone: politiche tribali e governo di Roma nell’Africa romana, in L’Africa romana xii, pp. 1339-502.

 

[40] CIL viii, 9835: Pro sal(ute) et incol(umitate) reg(is) Masunae gent(ium) / Maur(orum) et Romanor(um). Castrum (a)edific(atum) a Mas/givini, pr(a)ef(ecto) de Safar, Iider, proc(uratore) cast/ra Severian(a), quem Masuna Altava posuit / et Maxim(us) proc(urator) Alt(avae) perfec(it), (anno) pp(rovinciarum) CCCCLXVIIII. Cfr. G. Camps, De Masuna à Koceila. Les destinées de la Maurétanie aux VIe et VIIe siècles, «BCTH», xix, B, 1983 (1985), pp. 307-25; Id., Rex gentium Maurorum et Romanorum. Recherches sur les royaumes de Maurétanie des VIe et VIIe siècles, «AntAfr», xx, 1984, pp. 183-218; Pouthier, Évolution municipale, cit., pp. 244-5; Courtot, Altava, cit., pp. 550-1.

 

[41] Courtot, Altava, cit., p. 550.

 

[42] Pouthier, Évolution municipale, cit., p. 244.

 

[43] Courtois, Les Vandales, cit., p. 333, n. 9.

 

[44] Ivi, pp. 333 ss.

 

[45] Proc., Bell. Vand. ii, 13, 19, 20, ed. J. Haury, i, p. 478; cfr. Courtois, Les Vandales, cit., pp. 334-5, n. 5.

 

[46] Courtois, Les Vandales, cit., p. 335.

 

[47] J.-M. Lassère, Ubique populus. Peuplement et mouvements de population dans l’Afrique romaine de la chute de Carthage à la fin de la dynastie des Sévères (146 av. J.-C.-235 ap. J.-C.), Paris 1977, p. 555.

 

[48] R. Rebuffat, Notes sur les confins de la Maurétanie Tingitane et la Maurétanie Césarienne, «StudMagr», 4, 1971, pp. 47-8.

 

[49] Camps, Rex gentium Maurorum et Romanorum, cit., p. 217.

 

[50] Akerraz, Les rapports entre la Tingitane et la Césarienne, cit., p. 1435.

 

[51] IAMar., lat. 608: D(is) M(anibus) s(acrum). / Memoria Iulia Roga/tian(a) de Altava Ko(o)ptativa / cui fili et nep(otes) fec(e)r(unt) / vix(it) ann(is) pl(us) m(inus) LXXVI / d(i)sc(essit) in p(ace) an(no) p(rovinciae) DCXVI.

 

[52] Carcopino, Le Maroc antique, cit., pp. 293-4.

 

[53] Ivi, pp. 295-7.

 

[54] M. Lenoir, Pour un corpus des inscriptiones latines du Maroc, «BAM», xv, 1983-84, pp. 267-8: D(is) M(anibus) s(acrum). / Memoria Iulia Roga/tiva de Altava Kaptiv(a) / cui fili et nep(otes) fec(e)r(unt); / vix(it) ann(is) pl(us) m(inus) LXXVI, / disc(essit) in p(ace) an(no) p(rovinciae) DC[...]. Cfr. Labory, IAMar., lat., Suppl., p. 91.

 

[55] L. Chatelain, Inscriptions de Volubilis: cinquième série, «Hespéris», III, 1923, pp. 499-500 = AE, 1924, p. 87.

 

[56] Akerraz, Volubilis et les Royaumes berbères, cit., pp. 329-31.

 

[57] Labory, IAMar., lat., Suppl., cit., pp. 91-2.

 

[58] Ivi, p. 91

 

[59] Akerraz, Volubilis et les Royaumes berbères, cit., p. 330.

 

[60] Ivi, p. 331.

 

 

[61] P.-A. Février, Paroles et silences (à propos de l’épigraphie africaine), in L’Africa romana iv, p. 192.