ds_gen N. 8 – 2009 – Memorie//XXIX-Roma-Terza-Roma

 

Michail Bibikov

Accademia delle Scienze di Russia

 

“Pax orthodoxa” in Europa ed Asia: punti di vista da Costantinopoli*

 

 

Sommario: I. Eurasia: Russia. – 1. L’etnonimia bizantina: sistema tradizionale della gerarchia statale. – 2. La teoria geopolitica tardo-romana: la comunanza “scita”. – 3. Eurasia come terra Iperborea, Scitia e Cimmeria: dal Ponto al Transcaspio all’Asia Centrale. – 4. Dal mondo “barbarico” alla comunanza ortodossa. – II. Eurasia: tra Ponto e Mar Caspio. – III. Eurasia postbizantina: unità cristiana.

 

 

La cultura bizantina in generale e l’ideologia in particolare (incluso le idee spaziali, la strutturazione geo-etnica dell’ecumene e la tassonomia della gerarchia degli stati) si basa sui tre pilastri: la tradizione del cesarismo romano nel campo della politica e del diritto statale, i modelli storico-letterali elleni delle comprensioni del mondo e, last but not least, il concetto cristiano della struttura della natura che risale alle norme bibliche mediorientali. L’ordinamento del mondo che scaturisce dalle opere di storici e geografi, giuristi e teologi, oratori e polemisti bizantini, si ritrova riunito in un modello universale di principi disgregati di quella progettazione della gerarchia mondiale degli stati, che viene fissata negli atti ufficiali dello Stato, della Chiesa e del Diritto.

Come se i bizantini applicassero sulla rete dell’antica immagine greco-romana e biblico - cristiana del mondo la comprensione di popoli e stati contemporanei, della loro struttura, gerarchia e comunità, accumulando in un amalgama bizzarro l’esperienza più che millenaria delle realtà e delle speculazioni politiche. Questo si esprime specie nelle particolarità dell’etnonimia bizantina che unisce in sé la tradizione dell’uso di vocaboli antichi e biblico - paleocristiani con le idee della attualità bizantina. Così, nella combinazione di elementi diversi, nel senso cronologico, e di civiltà si forma il modello bizantino del “mondo ortodosso” (pax ortodoxa). che non esclude l’opposizione politico-culturale tradizionale del proprio mondo inteso come mondo del popolo eletto, come centro della civiltà, al mondo profano ed empio dei “barbari”[1].

 

 

I. – Eurasia: Russia

 

1. – L’etnonimia bizantina: sistema tradizionale della gerarchia statale

 

Le diversità nell’interpretazione degli etnonimi bizantini sono dovute al fatto che, nei documenti studiati, i nomi dei popoli e degli stati accettati, e contemporanei al Medioevo, si trovano raramente. Per esempio, i termini come russi, Rus’ (nelle diverse varianti) sistematicamente si usano soltanto negli atti e nelle leggende dei sigilli. Una cosa assolutamente diversa si osserva nell’analisi delle opere narrative: la autonominazione dei popoli o la terminologia attuale qui è più eccezione che regola. Si possono citare solo alcuni casi di tale uso. La parte più grande degli etnonimi è rappresentata dai nomi arcaici che hanno perso il loro senso etnico attuale: tauri, taurosciti, sciti, cimmeri, iperborei, ecc.

L’arcaicizzazione della terminologia usata è un fatto caratteristico nelle fonti analizzate non solo in riferimento ai popoli di una data regione: è un elemento del sistema di uso delle parole caratteristico per gli autori bizantini in generale. I Turchi selgiuchidi, nei testi, diventano “i Persiani”; gli ungheresi vengono nominati non solo “Ugri” ma più spesso “Peoni”, “Gepidi”, “Unni”, “Misi”, “Sciti”, “Pannoni”, ecc.; gli abitanti della costa adriatica vengono chiamati “Triballi”, “Dalmati”, “Illiri”, “Serbi”, “Daci”; e le popolazioni del Lungodanubbio vengono nominate “Gheti”, “Daci”, “Sciti”, “Blacchi”, ecc. Il contenuto etnico di questi nomi di rado corrisponde con gli etnonimi tradizionali. In molti casi non si stabilisce correlazione unica tra etnonimo ed etnia: un termine ha un significato lato inglobando popoli diversi, oppure, per una seria dei denominazioni, si trova una sola correlazione etnica reale.

Viene indicata un’altra particolarità della denominazione bizantina dei popoli: per conferire uno stile retorico alla narrazione, è caratteristico sostituire gli etnonimi con espressioni descrittive. Per esempio: “nordico” per il russo; “le tribù occidentali” per i nomadi Turchi, Bulgari, Vlacchi; “i mixo-barbari” per le popolazione del basso Danubio. È anche d’uso un termine generale come “Caucasiani”, ecc.

Per comprendere il problema è opportuno rivolgersi alla categoria dell’etichettismo della percezione del mondo[2]. Applicando tale concetto all’etnonomia, prende forma una rete delle idee etniche basate sull’autorità` dei documenti antichi che formano un sistema i cui elementi, gli etnonimi, sono applicati alla mappa del mondo contemporaneo dei bizantini in un modo diretto o in una certa parte. Di conseguenza, l’etnonimo di un popolo antico che abitava prima in un certo luogo, si attribuisce ad un popolo che lì vive dopo.

Tra i popoli che hanno popolato i territori del Nord e che sono stati inclusi nella “comunanza ortodossa” sono indicati gli Agajtirsi, i Gelonii, i Meotici, gli Issedoni. È evidente come queste conoscenze siano lontane dai dati della geografia storica dell’Europa Orientale del Medioevo e come siano vicine a quelle antiche. La stessa divisione delle zone geografiche secondo le direzioni dei venti è anche questa un omaggio alla tradizione antica. Il confronto testuale tra le nostre fonti e le opere degli autori antichi evidenzia la loro diretta dipendenza dagli ultimi. L’inserimento dei singoli termini etnici contemporanei (Rosoi – i Russi) non cambia l’immagine generale tradizionale della collocazione dei popoli “barbari” alla periferia dell’ecumene. Così sono anche le escursioni geografiche di Eustazio di Tessalonica e di Niceforo Blemmide costruite sul materiale antico.

Nell’intervallo di tempo che separa i nostri documenti dai loro prototipi antichi sono accadute tante cose: la migrazione dei popoli, la scomparsa degli uni e l’entrata nell’arena storica degli altri. Ma, anche nel XII sec. d.C., al posto degli sciti, gelonii, ecc. di Erodono, si stabiliscono gli stessi Sciti, Gelonii, ecc. I Bizantini parlano dei Sindi, Coracsi, Melancleni, Bastarni indipendentemente dal contenuto concreto degli entonimi. Sul territorio determinato dalla tradizione continuano ad “abitare” Daci, Gheti, Persiani, il popolo della Colchide. La struttura dello spazio è strettamente legata alla categoria del tempo: in questo tradizionalismo etno-geografico delle comprensioni è fissata “la fusione dei segni dello spazio e del tempo in un insieme sensato e concreto”[3].

I tratti specifici della vita quotidiana e dell’ordinamento sociale dei non Romei (non-Romani) sono secondari e richiamano alla necessità della comprensione del mondo barbarico. L’idea dell’unità di questo mondo si evince in particolare dalla constatazione che le invasioni dei Crociati, Normanni o Latini in generale, vengono descritte dagli autori bizantini della fine del XII, inizio XIII secolo, con le stesse parole utilizzate verso i nomadi turchi, a partire dall’aspetto e modi fino all’equipaggiamento bellico. Così l’attenzione specifica dei Bizantini al carattere dominante del mondo dato – e cioè alla sua natura barbarica – causa la sua costanza orizzontale di principio.

 

2. – La teoria geopolitica tardo-romana: la comunanza “scita”

 

La teoria geo-politica bizantina elaborava degli stereotipi risalenti al passato, degli attributi descrittivi come segni espressivi di un sistema. Gli elementi significativi del mondo barbarico sono: la mancanza di una stratificazione sociale riconducibile all’assenza di un sistema di ordinamento sociale; la povertà e l’ignoranza; l’incontinenza, la bellicosità e la crudeltà che hanno comportato più volte comparazioni tra il mondo barbarico e il mondo delle bestie selvatiche; attrezzi della vita quotidiana e le armi di guerra; e nello stesso tempo purità ed illibatezza esotica delle relazioni umane; pacifismo idilliaco e ilarità spensierata.

Come abbiamo già segnalato, il termine Rus’ e i suoi derivati venivano usati raramente (lasciamo per il momento il ben noto problema della “Rossia” di Taman). Per esempio, lo troviamo solo tre volte nelle opera di Niceta Coniata; Teodoro Prodromo solo una volta parla della “terra russa” nelle sue “poesie storiche”; il termine si usa qualche volta in epigrammi e lettere. In generale in tutte le fonti narrative del XII, prima metà del XIII secolo, il termine Rus’ è usato poco di più di una decina di volte. Nei documenti ufficiali e semi-ufficiali come atti, lettere, liste delle diocesi, ecc. di solito viene usata questa espressione.

Nelle fonti bizantine ci sono molte informazioni sul territorio della Rus’, sulle sue regioni, sulle caratteristiche topografiche del confine meridionale dei suoi principati. La conoscenza della struttura geo-politico della Rus’ è utile per definire il carattere delle conoscenze sulla nostra regione possedute dai Bizantini. I dati precisi sulle regioni russe sono reperibili nei documenti della Chiesa: e la Chiesa di Costantinopoli, interessata nell’espansione del suo potere sul territorio più vasto possibile della Rus’, diventa il nostro maggiore informatore sulla questione.

È più difficile comprendere i dati etnici sul territorio dalle fonti bizantine. Tutti i popoli nordici rappresentano per i bizantini la comunanza scita. Così l’etnonimo “Russi”, secondo Giovanni Tzetzes, è un sinonimo di “Tauri” che sono una tribù “scita”. Questa sinonimia riflette la denominazione tradizionale bizantina dei Russi indicati con l’antico termine di “Taurosciti”. Però, nel XII secolo, questa nominazione non è l’unica: il contemporaneo di Tzetzes, Niceforo Basilacio, per “Tauroscitia” intende il territorio dove si trova Filipopoli (Plovdiv in Bulgaria), mentre Giovanni Cinnamo chiama “Sciti dello Tauro” i Cumani (cioè Polovesi/Poloviciani). Per quello che riguarda la Bulgaria, Tzetzes descrive dettagliamente la topografia del territorio a sud dal Danubio delineandone i confini con le altre regioni: le due Misie, la Tracia e la Macedonia. L’etnonimo intanto viene usato da Tzetzes come il sinonimo di “Peoni” (non-Ungaresi, che popolano, secondo Tzetzes, una delle Misie). I Cumani, nelle sue opere, figurano sotto il nome generalizzato di “Sciti”. Cosi`, in un racconto sull’invasione dei Cumani nel 1148, i nomadi vengono denominati “i lupi del Danubio, una parte degli sciti”. Il fatto che l’autore scrivendo degli Sciti intende Cumani, conferma il testo del messaggio di saluto “scita” nell’epilogo della “Teogonia” di Giovanni Tzetzes. E questo è testimoniato anche da una glossa interlineare fatta dal tinto rosso in Cad.Vindob.Phil.gr.,118: κόμανον. Comunque, secondo Gy.Moravscik, il saluto può celare selâm aleikûm arabo, cioè può appartenere ad un popolo islamico. L’etnonimo “Cumani” non è trovato nelle altre opere di Tzetzes, ma non si deve sottovalutare la precisazione della glossa interlineare: una nota anologica che chiarisce l’etnonimo di Tzetzes “Persiani”, τούρκοις (Turchi), trova la sua conferma nelle “Storie”. Nell’ epilogo della “Teogonia” c’è anche un saluto russo: “Mi riferisco ai Russi secondo il loro uso dicendo ‘σδρα<στε>, βράτε, σέστριτζα’ e ‘δόβρα δένη’, cioè “siate sani, fratelli, sorelle, buon giorno!”. Poi`Tzetzes cita alcune espressioni alani.

La comunanza “scita”, postulata da Tzetzes riferendosi alla regione del Mar Nero, è plurirappresentata da lui a livello linguistico. Infatti, tra i popoli già citati, sono localizzati da Tzetzes anche i Cimieri, vicino a Tauro scita e il Lago Meotiano, cioè in Crimea e presso Azov. Secondo una ricostruzione di prova l’etnonimo *kers-mar è la denominazione tracia del Mar Nero. Sulla base linguistica tracia l’etnonimo κιμμέριοι poteva avere l’aspetto e il significato seguente: *kir(s)-mar-io, dove *kers è “nero” e *mar-/*mor- è “mare”. Per quanto concerne i cimieri, l’etnonimo è l’unico fatto linguistico attendibile della loro appartnenza. Quindi, considerando il vasto contenuto etnico del termine “Sciti” e la localizzazione dei “Cimmeri” da parte di Tzetzes (prescindendo dalle altre localizzazioni e dall’uso del nome in senso figurato), è interessante fare attenzione ad un scolio per le “Storie” di Tzetzes dove sciti rappresentano una tribù tracia.

Al Lago Meotiano – il Mare d’Azov – Tzetzes associa un intero ramo degli “Sciti”. Negli studi sugli “Sciti” riportati nelle “Storie”, distingue tre rami degli Sciti: il meotiano, il caucasiano (tra altri Turchi, Oguz e Unni) e quello di Oxus. A quest’ultimo appartengono, secondo Tzetzes, gli “Sciti” che si trovano sul Mar Caspio, a “Sogdiana”, dove scorre il fiume Oxus, in Asia Centrale. Però, in un commento presente nelle “Storie”, gli “Oxiani” sono localizzati in Crimea e vengono identificati con i “Cazari che popolano Sogdiana e Cherson e che, a secondo del nome del fiume Oxus, si chiamano Oxiani”. Quest’attribuzione insolita può essere spiegata con il fatto che sono state confuse Sogdea (cioè Soldaia), che è una città portuale in Crimea (Suroj nei documenti dell’antichità russa, adesso Sudak), e Sogdiana, che è una regione dell’Asia Centrale. Il fiume Oxus (adesso Amu Darya) deve esser riferito a Sogdiana invece di Soldaia. La popolazione di questa regione è chiamata da Tzetzes “Sciti oxiani”, che vengono avvicinati agli “Sciti orientali” di Erodoto.

Così  negli studi del mondo bizantino, non di rado vediamo una contaminazione bizzarra tra le cognizioni libresche dotte, le osservazioni immediate e le testimonianze attuali. Ciò deriva dalla particolarità della comprensione del mondo bizantino: a quello che è osservato immediatamente si applica la rete delle cognizioni libresche elevate nel paradigma della conoscenza. Così Tzetzes applica un’immagine antica alla geografia del mondo a lui contemporaneo.

A questo punto si è posta la questione della denominazione, nelle fonti bizantine, della terra di Galizia (Halyx) a prescindere da questo nome e dal termine arcaico “Galati”. Nelle “Poesie storiche” di Teodoro Prodromo, ripetutamente, tra i popoli sudditi del Basileus bizantino vengono nominati i “galati”, non di raro insieme con i “Dalmati” (Serbi). Negli altri casi i “Galati” figurano insieme con gli “Sciti” – Cumani oppure con gli Italici e i Serbi; sono menzionate anche “le valle galate”. In questo caso non si possono identificare i “Galati” con la “Gallia di Giacobbe” – la Spagna (Galicia); ma in alcuni casi non si può escludere la lettura del toponimo “Galatia” come il nome del territorio corrispondente all’Asia Minore.

 

3. – Eurasia come terra Iperborea, Scitia e Cimmeria: dal Ponto al Transcaspio all’Asia Centrale

 

Il territorio della Rus’ viene chiamato anche Terra Iperborea e i concetti sui Russi si formulano a secondo delle testimonianze letterarie antiche sugli Iperborei. Abbiamo già sottolineato il concetto dell’arcaizzazione per l’etnononia e toponomia bizantina dei popoli e territori della Rus’. A questo punto è importante evidenziare come le conoscenze generali sulle regioni geografiche, sul clima e sulle condizioni naturali dei paesi di questi popoli antichi sono utilizzate dai nostri autori pure nella descrizione dei territori nordici, e quindi anche della Rus’. In definitiva si crea l’immagine di un paese per molti aspetti vicino alla Scitia o Cimmeria antica. La vastità degli spazi di territorio a nord del Mar Nero è diventata un proverbio sul deserto scita: le caratteristiche del clima sono descritte come “neve scita”, tempeste, umidità e pioggia; la Rus’, come l’erede dei territori cimieri, è disegnata come un paese immerso nel buio, sopra il quale il sole brilla solo qualche giorno all’anno oppure, anzi, non appare mai! Gli autori bizantini citano fiumi, laghi, mari della Scitia noti nel passato: il “Mare Stretto”, il “Mare Sacro”, i fiumi Erida, Lagmos, Telam, Termodont. I costanti attributi delle regioni tauro-scite sono anche famosi Pont (Mar Nero, Bosforo Cimmerio), Stretto (di Kerč, Meotida), Mari (d’Azov, Ghirkano, Caspio, Tanais, Don e persino Siaka – Sivaš). Ancora più concrete sono le testimonianze sul mondo animale, sulle foreste e su fiumi russi che hanno anche loro una sfumatura di leggenda o fiaba. In un racconto sulla tavola esotica di un convito con pesce seccato al sole, caviale rosso e bruno del Don, c’è anche un pesce di Crimea che viene chiamato dalla gente di Sugdea (Suroj) e Cherson “berzitica” secondo una leggenda della Barsilia dei Cazari.

Il nodo principale dei rapporti commerciali tra Rus’ e Bizantia erano Crimea e Azov, dove si trovavano i territori sia dell’Impero Bizantino che dei principi russi. È stato scoperto che, alla fine del XII secolo, nelle terre del Bosforo Cimmerio, c’era un gabelliere bizantino ed a Kerč c’era un luogotenente (governatore) bizantino. L’Impero Bizantino aveva i suoi territori in Crimea (a parte da Cherson), forse vicini ai temi di Crimea d’origine più alto. Durante tutto il periodo si trovano notizie sul funzionamento in Crimea delle diocesi del patriarcato di Costantinopoli – Sugdea, Fulla, Gotia, Cherson, Cazaria, Bosforo, Sugdofulla.

Nello stesso tempo sui documenti bizantini del periodo si parla dei mercanti russi precipitati a Sugdeja da Crimea; e, secondo gli atti imperiali della seconda meta del XII secolo, ai mercanti italiani di Tessalonica non sono garantite libertà e sicurezza del commercio nella regione di Crimea e Azov. Ci sono dei dati della metà del XIII secolo sulle invasioni degli “Sciti”, cioè dei Cumani o Tartari. Così  la Crimea e le terre vicine rappresentavano una parte del territorio russo la cui appartenenza ad uno o ad un altro governante regolarmente diventava un problema storico. Comunque è importante che ci fossero contatti immediati tra russi e bizantini negli ambiti della chiesa, del commercio e della politica.

 

4. – Dal mondo “barbarico” alla comunanza ortodossa

 

Analizzando lo studio dei bizantini della terra della Rus’ Antica nel mondo medievale, si possono enucleare alcuni criteri di valutazione.

Il primo è l’opposizione tradizionale tra i Romani e i “barbari”. La Rus’, l’erede del passato “scita”, che non fa parte del territorio dell’Impero, veniva osservata da questo punto di vista. Oltre al significato neutro-tecnico del termine “barbaro” (come non-elleno), qui c’è un significato di valutazione negativa: così  viene mantenuta l’idea di Euripide sulla crudeltà dei “Taurosciti” che uccidono gli stranieri, sulla loro impietà e sulla lotta contro Dio. Si evince che l’imperatore Andronico I Comneno ha assunto la passione per le atrocità sanguinose durante i suoi viaggi tra i barbari. Qui si può notare un’allusione sulla presenza di Andronico in Rus’ e nel Caucaso.

Oltre a questo livello tradizionale, con sfumature delle reminiscenze letterarie antiche, nei documenti c’è un’altro punto di vista: la Rus’ è un elemento importantissimo del mondo cristiano. Il popolo russo che combatte i Cumani viene chiamato “cristianissimo”; la Rus’ e i popoli legati al paese sono un baluardo ortodosso contro l’Occidente latino. L’opposizione “barbari” – “non-barbari” acquista a questo punto un carattere confessionale: “barbari” – “cristiani”. Cronologicamente, nelle fonti bizantine questa posizione della Rus’ si consolida dalla fine del XII all’inizio del XIII secolo. La partecipazione di vescovi e di metropoliti russi ai Concili della chiesa, i messaggeri e i pellegrini in Bizantio, le attività del monastero russo di Athos, sono le conferme di questa collocazione.

Il terzo livello della caratterizzazione della Rus’ nella struttura del mondo contemporaneo, secondo le fonti bizantine, è il confronto tra i sistemi socio-politici della Rus’ e quelli dell’Impero Bizantino in cui si nota l’affinità (la somiglianza) tra i processi dello sviluppo sociale dei due Stati. I bizantini fissano la presenza sul territorio della Rus’ di principati diversi in rivalità fra loro; i termini che significano principe (ήγεμών, οί…άρχικως προεδρεύοντες, ό διέπων, δυναστής, φύλαρχος, αρχων) corrispondono a quelli applicati ai governanti degli altri stati europei (Regno d’Ungheria, di Boemia, stato Bulgaro, stati slavi del sud). Niceta Coniata racconta della strage fratricida dell’inizio del XIII secolo in cui Roman di Halyč ha sconfitto “il governante di Kiev”, Rurik. Un’altra volta riferisce delle guerre tra i capi “taurosciti” riportando la lotta tra i figli di Stefano Nemanja di Serbia. Il frazionamento politico e la lotta interna si notano oltreché tra i “Taurosciti” e i “Dalmati”, tra i Selgiuchidi, gli Ungheresi e molti altri popoli, e la base di questo processo, che si è esteso a tutto il mondo, è considerato lo stato dei Romei: “Così  l’esempio del fratricidio a Costantinopoli è diventato come un modello o anzi una regola generale per tutti i guerrieri del mondo; così  non solo Persiani, Teutoni, Dalmati come adesso o poco più tardi i signori della Pannonia, ma anche i regnanti degli altri popoli, denudando le spade contro i parenti e le cognate, hanno riempito le loro patrie di omicidi e rivolte” (532.14-20).

Pertanto, la definizione dei livelli di comportamenti all’interno della Rus’ rilevabili nei documenti bizantini permette di procedere al confronto tra i processi che si svolgevano nella Rus’ e quelli degli altri Stati del mondo medievale.

Quasi tutti gli atti del Patriarcato di Costantinopoli che hanno a che fare con la Rus’ sono conosciuti grazie alle fonti russe. Le eccezioni sono rappresentate soltanto dalle decisioni del consiglio del 26 gennaio 1156 che era stato convocato per iniziativa e negli interessi del metropolita Costantino prima del suo viaggio nella Rus’ (c’è il testo greco); il certificato delle lettere russe rivolte dal Patriarca di Nicea, Manuele Sarandine, a Giovanni Apocaukos nel febbraio del 1222 (l’edizione sulla base del testo del manoscritto greco Petrop.gr.250) e un inedito messaggio del 1232 del patriarca Germanno II ai cardinali (conosciuto in quattro copie manoscritte). Nell’ultimo tra i popoli ortodossi sono elencati tra gli altri gli Iberi, gli Afasghi, gli Alani, gli Alasti(?), i Goti, i Cazari e la “innumerevole” “di migliaia dei popoli” Rus’…

 

II. – EURASIA: TRA PONTO E MAR CASPIO

 

Siccome la Rus’ e Turchi-nomadi del Mar Nero sono legati dai Bizantini agli altri popoli “nordici” dalla comunanza “scita”, un certo posto in questa ce l’hanno i popoli del Caucaso e del pre-Caucaso. Due dei tre popoli tradizionalmente “sciti” appartengono a questo territorio: i “caucasiani” e i “meotici”.

Il capitolo sui dodici venti nelle “Storie” di Giovanni Tzetzes si distingue tra i tredicimila versi dell’opera non soltanto per la metrica: lo studio mostra una ripetuta redazione e revisione del testo da parte dell’autore. Questo non avviene per caso: secondo le direzioni di ogni vento, nell’elenco rientra anche il territorio tra il Mar Nero e il Mar Caspio. Così  il vento nordico Borea corre dai “Sciti” al Ponto Eusino, e il vento Mes dai “Ghircani” ai “Kolchydi”. Dunque, la regione del nord del Caucaso è limitato da una parte dalla Catena dei Monti Caucasici con la Porta di Caspio, dall’altra dal Mare Ghircano, cioè il Mar Caspio.

Ma questo spazio è disegnato per i Bizantini da altri confini: i due tradizionali dell’Europa e dell’Asia, cioè Tanais – Don o Porta di Caspio. Le opere bizantine che descrivono il mondo erano scritte secondo questa visuale.

La maggior parte dei popoli citati viene menzionata nelle fonti analizzate, sia le popolazioni “scite” che quelle “nordiche”). Immaginiamo un riassunto completo alla base di queste fonti. Su questo territorio, dagli autori bizantini del XII – prima metà del XIII secolo, sono messi Sciti, Sarmati, Cimmeri, Meoti, Caucasiani, Sindi, Coracsi, Arimaspi, Issidoni, Masagheti, Hircani, Melancleni, Agatirsi, Gelonii, Alani, Afasghi. Più a sud ci sono Colchi e Lazi, e anche Unni, Uzi, Saki, Gheti, Daci, Bastarni, Ippimolghi, Nevri, Ippipodi, Leucosiri.

Questi popoli sono inclusi anche negli elenchi etno-geografici bizantini.

La parte più rilevante delle informazioni sui caucasiani è unita con quella degli “iberi”, il cui nome è diventato, secondo le valutazioni bizantine, comprensivo di un certo numero dei popoli caucasiani ortodossi. Però il significato principale, nei testi dei documenti dell’ibero, è il georgiano.

Sciti. Oltre ad un significato generale e antico, il termine ne ha uno strettamente etnico: “proprio Sciti”. I dati linguistici delle nostre fonti testimoniano il contenuto turco  dell’etnonimo: il saluto “scita” è infatti cumano, il nome “scita” della Meotida – Mare d’Azov è “Kärbalïq”. Esso corrisponde al suo significato principale riscontrabile nella letteratura bizantina del XII-XIII secolo. Con questo si esplicano anche i termini deconcretizzati dei retori che descrivono i successi di politica estera dell’imperatore Manuele I, in particolare in lotta contro gli Sciti: il contesto militare-geografico del discorso (le guerre in Ungheria, sul territorio del Danubio, a Corfù) rendono comprensibili le parole “Sciti” e “Savromati” che vengono citate insieme come i nomadi turchi del Danubio e non come la popolazione del Caucaso. Per lo più a metà-fine degli anni ’50 (il tempo cui corrispondono i fatti documentati) non c’erano campagne di Manuele al Caucaso. Un altro caso con Teodoro Alanico : durante il suo viaggio dal Bosforo Cimmerio (Kerč) al centro della diocesi Alana, si addentra nel centro della “Scitia”. Lui stesso racconta della popolazione della “Scitia”, degli Alani. Se prescindiamo dal significato generalizzante del termine (che si estende anche ad Alani), si tratta, secondo il contesto, delle steppe d’Azov che, secondo le comprensioni antiche tradizionali, possono essere riferite alla “Scitia”.

Cimmeri. Si usava molto nella letteratura tradizionale il proverbio, che risale all’antichità, sul “buio cimmero”. Secondo gli autori bizantini, i “Cimmeri” sono localizzati in Crimea. Molte volte sono menzionati i “Cimmeri’ italiani di Omero. In senso figurativo si parla dei “Cimmeri” come della terra dei Serbi e della popolazione della Tessalonica.

Sarmati. Le analisi e la collocazione dei Saramati sono ambigui. Oltre al mito antico delle “Sarmate”-guerrieri vengono citati anche i Sauromati come un’ unità etnica precisa insieme con i “Rossi”-Russi e “proprio Sciti”-Turchi. Qui, elencando i popoli “nordici”, si può seguire la tradizione antica come è in alcuni casi, ma si possono anche determinare col sinonimo i nomadi turchi del Mar Nero come è negli altri. Ci sono delle tracce dei rapporti dei Saramati con il Caucaso: il territorio della “Saramatia” è popolato dagli Alani; lì  anche si trova la catena dei monti Alan dal cui nome sarebbe derivato quello del popolo. I “Sauromati” vengono citati insieme ai popoli di Colchide e delle regioni del Caucaso Basso e Fasis. Nello stesso tempo Giovanni Tzetzes, il cui attento interesse al Caucaso è noto, parlando degli “Sciti caucasiani”, secondo Strabone, non colloca i Sarmati tra loro, anche se asserisce che i “Sarmati” in gran parte sono “Caucasiani”.

Allora, oltre alle reminiscenze antiche, il termine “Sarmati” viene usato nel significato “attualizzato’, etnico. C’è il legame con il Caucaso: il territorio delle steppe e pedemonti caucasiani. Forse questa è una rappresentazione retrospettiva delle migrazioni e dei processi etnogenetici al Nord del Caucaso (col Precaucaso).

Massagheti. Oltre al mito antico delle “Masaghete” bellicose, i “Masagheti” insieme con gli Arimaspi sono localizzati in capo al mondo, al di là del Caucaso; si ripensa anche all’idea della campagna di Ciro il Grande contro “Massagheti” e “Issidoni”. Le nostre fonti danno delle attribuzioni esplicite: i “Massagheti” vengono identificati dai Bizantini con gli Abasghi, gli Alani o gli Albani. È possibile che i “Massagheti” che partecipavano alle guerre congiunte insieme con gli “Iberi” siano caucasiani. Non è da escludere la lettura dei “Massagheti” – ospiti di Michele Agioteodorita (come gli “Sciti”) – come caucasiani. Nello stesso tempo, in alcuni casi è possibile la lettura dei “Massagheti’ come i nomadi turchi del Pre-Danubio. Sicché la localizazione caucasiana dei Massagheti non è l’unica nelle nostre fonti, qui c’è prevalentemente il problema del uso d’autore: ad esempio, per Tzetzes “Massagheti” è esclussivamente la nominazione antica degli Abasghi, e per Niceforo Basilace è quella dei nomadi del Predanubio.

Unni. Le informazioni su questi (“Sciti caucasiani” vicini al Mare Caspio) sono nei limiti della tradizione antica. La loro localizzazione caucasiana è rappresentata retrospettivamente.

Arimaspi. Issidoni. Secondo le fonti antiche sono localizzati vicini gli uni agli altri. Le informazioni sono identiche con quelle antiche. Non si deve dimenticare certa loro somiglianza con i “Massagheti” – caucasiani: alla luce di questa affinità diventa possibile la localizzazione oltrecaspiana.

Meoti. Sono menzionati soltanto come uno dei popoli “nordici”. È significativo il non-uso pratico anche nel senso figurativo, anche se ci sono molti menzioni della Meotide, della popolazione del pre-Azov e Pre-Mare Nero nordico: può darsi che questo etnonimo (anche al livello retrospettivo) è già stato sostituito con un altro (per esempio, “Alani”).

Sindi. Sono menzionati insieme agli “iberi orientali” (cioè caucasiani al contrario degli “iberi occidentali” cioè gli Spagnoli) come produttori migliori delle stoffe. È caratteristica la sfumatura ‘attualizzata’ del messaggio a prescindere del suo sostrato antico. Il termine arcaizzato che è riferito alla popolazione caucasiano del Mare Nero. Ci sono delle citazioni sui Corassi.

Melankhleni. Secondo gli autori antichi sono interpretati come “il popolo del piviale nero” (nel senso figurativo); sono citati nel catalogo dei popoli “nordici” secondo Dionisio Periegheta Non hanno nessun significato autonomo.

Ippimolghi. Neuri. Ippipodi. Bastarni. L’ultima osservazione è lecita anche in questo caso: la citazione nel catalogo dei popoli “nordici” (secondo Dionisio) non permette di usare queste informazioni al nostro scopo. L’indicazione degli Ippipodi insieme ai Cazari non ci avvicina al Caucaso, siccome i “Cazari” secondo le fonti del XII secolo rappresentano la popolazione di Soldaia (Suroj). Un’altra variazione del nome viene citata da Niceforo Blemmide – Ba(s)tarni.

Agatirsi. Gelonii. Oltre al commento di Eustazio sono citati da Tzetzes come popoli “nordici’ ( insieme a “Meoti”, “Sciti”, “Caucasiani”). Sono localizzati secondo la tradizione antica tra il vento Apartico e Borea ( i “Gelonii” – al nord dal Ponto Eusino) e quindi non hanno nessun legame con il Caucaso e Pre-Caucaso.

“Caucasiani”. Sono citati tra i popoli “nordici”; evidentemente è il significato generalizzante, non etnico del termine.

Albanesi. Per le limitazioni regionali non esaminiamo le informazioni sull’Albania Caucasiana (Azerbaigian); comunque va notato che questo etnonimo è spesso confuso con il nome “Alani”.

I popoli di Colchide. Sono identici ai “Lazi”, localizzati vicino ai “Massagheti” – abasghi; nominate in un altro modo “Sciti asiatici” oppure “Leocosizi”. Popolano il territorio di της Άσίας (Assia) sul Fasis: la localizzazione oltrecaucasiana è ovvia.

Lazi. Sono identici ai Colchi. Scrovino della moda dei “lazica”. Sono vicini a Trebisonda al Ponto.

Khalibi. Una etnia “scita” localizzata in Armenia oppure in Kerč.

Alasti. Sono menzionati solo una volta nella lettera del patriarca Germann II. Non sono identificati, ma il confronto con la versione latina della lettera permette di identificarli con i “Lazi” ( lapsus calami dello scrittore?)

Zighi. Oltre i titoli negli atti c’è l’informazione sulla loro sottomissione ai Mongoli-(Tartari). La locazione degli Zighi è tradizionale, antica.

Ghirkhani. Sono localizzati là dove corre il vento Mes, nei paesi orientali tra l’Assiria e Mesopotamia, sulla costa destra del Mar Caspio e non risalgono al Caucaso del nord. La “Ghirkhania” rappresenta il confine nord della Partia.

Alani. I dati linguistici confermato l’origine indoeuropeo degli “Alani”. Secondo Giuseppe Flavio sono gli “Sciti europei” vicini alla Meotide e Tanais. Si sono estesi dai monti del Caucaso per “Iberia”, hanno riempito praticamente tutta la “Scitia e Sauromatia”. Alan è una catena in “Sauromatia” dalla quale deriva il nome del popolo. Il termine viene usato nell’intitolazione. C’è una diocesi Alana al Caucaso. Alani sono menzionati come popolazione di Crimea, Costantinopoli, Tessalonica, del territorio del Danubio. Sono conquistati dai Mongoli.

Abasghi. Il termine viene usato esclussivamente nel senso contemporaneo, nominando il popolo, lo stato, la diocesi del patriarca di Costantinopoli o Antiochia.

Gheti. Daci. Sono citati nel catalogo dei popoli “nordici”, come il termine arcaizzato è utilizzato ovviamente per nominare i nomadi del Danubio.

Saki. Sono inclusi nella comunanza “scita”. C’è un mito antico sulle donne dei Saki.

Quindi parlando del territorio del Caucaso e Pre-Caucaso si deve differenziare i popoli “nordici”, la comunanza “scita” delle fonti bizantine: una serie degli etniconi antichizzati non hanno nessun relazione ai popoli caucasiani al livello del territorio; la menzione dei popoli antichi legati al Caucaso nel passato ma al XII secolo già spariti o migrati (Sarmati, Massagheti, Unni, Uzi, Meoti, Corassi, Sindi, ecc.) è significativo come la rappresentazione dell’evoluzione della struttura etnica del Caucaso del Nord. Le informazioni sugli Alani in generale si riferiscono agli avvenimenti contemporanei alle fonti. L’enticone non si usa nel senso figurativo o arcaicizzato. Il termine riguarda popolo, stato, diocesi. I dati analizzati non confermano l’ipotesi corrente sull’assenza degli Alani come categoria etnica e sul senso esclusivamente politico del termine: il senso etnico e quello politico non escludono l’uno l’altro e i fatti dalle nostre fonti confermano la presenza dell’etnia alana.

 

 

III. – EURASIA POSTBIZANTINA: UNITÀ CRISTIANA

 

Avendo stabilito il patriarcato a Mosca alla fine del XVI secolo il patriarca di Costantinopoli Geremia II esplica questo privilegio della Rus’ con la “santità” del paese.

Così si è conclusa la fase di formazione dell’immagine del “popolo cristianissimo della Russia” che è nato nella tradizione bizantina nel XIII secolo dopo la conquista-crociata dell’Impero nel contesto della ricerca degli alleati. Niceta Coniata ha per la prima volta chiamato i russi il “popolo cristianissiomo” usando il grado superlativo, e il patriarca di Costantinopoli German II nella lettera dall’esilio a Nicea alla curia papale nel 1232 tra i correligionari ortodossi come Etiopi, Siriani orientali, Iberi, Abasghi, Alani, Lazi, Goti e Cazari nomina una “innumerabile in mille tribù” Rus’ e il Regno Bulgaro trionfante (dopo le guerre di Kalojan). Queste idee sono già lontani dalle prime caratteristiche della Russia’ in Bizantio come, per esempio, quelle da un’ altro patriarca di Costantinopoli Fozio nel IX secolo che descrive i Russi come “il popolo che supera tutti della crudeltà e predisposizione agli omicidi” oppure quelle espresse nel X secolo da Niceta Paflagone nella “Vita di patriarca Ignazio” che parla del popolo chiamato Ros come di quello “macchiato dall’omicidio più che qualcuno degli Sciti”. “Inarrestabile e empio”, secondo il Continuatore di Teofane (metà del X sec.), popolo russo solo dopo la cristianizzazione si è rassegnato ed è diventato, secondo Fozio nella sua Enciclica più tarda (867) suddito e amico di Bizantio.

Comunque durante X-XII sec., quando le alleanze russo-bizantine si alternavano con le guerre, l’immagine della Rus’ nei documenti bizantini era contraddittorio e ambiguo: i russi dal punto di vista dei Bizantini rimanevano barbari, selvatici e perfidi, anche se sono stati domati con la forza delle armi bizantine e della fede ortodossa. Per la stabilizzazione dell’immagine della Rus’ “cristianissima” determinanti sono stati gli avvenimenti di un secolo – dalla seconde parte del XIV alla metà del XV secolo. Anche se i temi dei testi bizantini dell’inizio e della fine di questo periodo si assomigliano – si forma il “catalogo” dei popoli ortodossi alleati di Romei, i testi sono diversi nelle premesse. Silvestro Siropullo descrivendo gli avvenimenti del Concilio di Basilea, e poi di Ferrara e Firenze trasmette i discorsi del imperatore e patriarca bizantini rivolti nel 1348 ai loro correligiosi “all’Oriente e Occidente” – Iberi, Circassi, Russi, Blacchi e Serbi. In un’altro caso Silvestro Siropullo allarga un po’ la lista, citando Trapesuntini, Iberi, Cercassi, Mingreli, Goti, Russi, Blacchi e Serbi. Questo permette evidentemente all’Imperatore Giovanni VI Cantacuzeno stesso chiamarsi in un atto del 1348 citato da lui nella “Storia” “basileus degli elleni e anche basileus dei Bulgari, Asanidi, Blacchi, Russi e Alani” Angelo Comneno Paleologo Cantacuzeno, aggiungendo al suo nome anche tutti patronimi dinastici degli ultimi secoli - per maggiore grandezza.

Il tema dell’affratellamento dei popoli ortodossi riappare nella “Bizantia” negli ultimi decenni della sua esistenza come stato. Un greco-italo da Chio, maestro Giovanni Canavuza nel Commento al Dionigi di Alicarnasso composto tra 1431 e 1455 esclama edicicante: “Noi tutti – cristiani, abbiamo una fede e un battesimo, anche se siamo nati barbari come Bulgari, Vlacchi, Albanesi, Russi!”

Infine, nella letteratura post-bizantina, nei poemi in cui si piange la morte di Bizantio c’è di nuovo il tema della comunanza cristiana e non solo dell’affratellamento ortodosso, ma anche della concordia di tutti i cristiani sia all’Oriente che all’Occidente. Nel poema del Pseudo-Emmanuele Georgillo edito da E. Legrand nella collana della letteratura greca popolare l’autore esclama che è venuta l’ora quando i cristiani – Latini e Romei, Russi, Vlachhi e Ughri, Serbi e Alamani - tutti devono essere in concordia dell’intelligenza, per diventare una cosa unita e perché tutti i cristiani siano unanimi nei suoi pensieri. I difensori della capitale bizantina speravano in santissimo papa e cardinali, re di Franchia, duchi, conti, principi e comuni, imperatore di Alamania, Serbi e Russi, Vlacchi e Ugri, Peoni, soldi di Venezia e navi di Genova, e quelli da Catalonia e da tutta l’Italia. “Pax orthodoxa” si trasforma alla fine del XV – XVI sec. in ecumene “pax christiana”.

Il tema della sopraelevazione della Rus’ è intrecciata nella corrispondenza diplomatica bizantina con la sopraelevazione di Mosca nella quale si trasporta con il benestare del patriarca la cattedra di metropolita “di tutta la Rus’”, il fatto di cui parla una seria degli atti patriarcali tra cui ad esempio quelli del 1326 e del 1354 legati ai metropoliti Pietro e Alessio, e il Gran principe Simeone il Fiero e i grandi re di Moscovia e di tutta la Rus’ – Giovanni (Ivan I di Russia detto Kalita), poi  suo figlio Giovanni, poi  Dmitri detto Donskoj e anche suo figlio Basilio I di Russia rappresentano un baluardo della devozione cristiana.

Così la “comunanza scita” e la dicotomia delle comprensioni del popolo eletto di Romei che resista alle orde di rinnegati ignoranti convive con la categoria mentale “dell’affratellamento cristiano” che include popoli sia dell’Europa che dell’Asia e persino dell’Africa (gli etiopi e Copti) nell’amalgama bizzarra delle tradizioni letterari, comprensioni religiose, norme di Stato di diritto ed etichetta diplomatica.

 

 



 

* Versione ridotta, curata dall’autore, dell’originale in lingua russa.

 

[1] D. OBOLENSKY, The Byzantine Commonwealth, New York 1982; ed. J. SHEPARD, The Expansion of Orthodox Europe, Aldershot 2007.

 

[2] D.S. LIKHACEV, L’uomo nella letteratura della Rus’ antica, Mosca 1970, 35 ss., 52 ss., 100 ss.; A.Y. GUREVIC, Le categorie della cultura medievale, Mosca, 1972,  184 ss.

 

[3] M.M. BACHTIN, Questioni della letteratura ed estetica, Mosca 1975, 235.