N. 8 – 2009 – Tradizione-Romana

 

Leonid L. Kofanov

Accademia delle Scienze di Russia

Mosca

 

Fas e ius naturae nel pensiero di Cicerone e dei giuristi romani *

 

 

Sommario: 1. Natura loci come lex per le servitù prediali nel Ad edictum di Paolo (D.39.3.2 pr.). – 2. La natura come soggetto autonomo nel diritto romano. – 3. Ius naturale come il diritto “assurdo” nella storiografia moderna. – 4. La definizione del ius naturale nelle fonti giuridiche, diritto degli animali e iura praediorum come diritto degli inanimati. – 5. Ius naturae di Cicerone come la fonte principale per tutto il diritto umano. – 6. Natura loci di Cicerone e klivmata degli autori greci antichi. – 7. Il divieto di peggiorare la natura loci. – 8. L’origine arcaica di ius naturae e pitagorismo. – 9. Fas come diritto naturale arcaico e scienza degli auguri. – 10. Vitia loci e salute della natura nella scienza augurale. – 11. Conclusione.

 

 

1. – Natura loci come lex per le servitù prediali nel Ad edictum di Paolo (D.39.3.2 pr.)

 

Il diritto romano, come nessun altro sistema giuridico antico o moderno, era legato strettamente alla natura con le sue leggi, alle particolarità climatiche. In modo particolare, vorrei sottolineare il fatto che il cosiddetto diritto pandettistico recepito nell’Europa del XIX sec. ha perso in gran parte questo legame, rifiutando la teoria medievale giusnaturalistica e sostituendola con la teoria dei diritti umani. Solo negli ultimi decenni a questo sistema dei diritti umani è stato aggiunto il diritto ecologico.

Il legame del diritto classico romano con la natura e le sue particolarità climatiche si manifesta in modo più evidente nel terzo titolo del libro 39 del Digesto di Giustiniano, che è dedicato all’actio aquae pluviae arcendae[1], in particolare nella frase seguente del commento di Paolo Ad edictum (D. 39. 3. 2 pr.) :

 

In summa tria sunt, per quae inferior locus superiori seruit, lex, natura loci, uetustas : quae semper pro lege habetur, minuendarum scilicet litium causa .

 

Non c’è dubbio che l’espressione pro lege habetur si riferisca non solo alla vetustas, ma anche alla natura loci, che letteralmente significa “la natura del luogo”. Quindi, la stessa natura del luogo poteva essere la causa della nascita della servitus aquae pluviae arcendae. Per di più, Paolo, con rinvio a Labeone, scrive che se la natura del luogo cambia per conto suo, senza l’attività del proprietario del terreno vicino, e comincia a nuocere, allora, l’uomo deve sopportare aequo animo questo danno[2]. Anche Ulpiano sottolinea che l’actio aquae pluviae arcendae non si applica nel caso in cui è la stessa natura del luogo a provocare il danno[3] e, al contrario, si applica nel caso in cui le condizioni della natura sono violate a causa dell’attività di costruzione dell’uomo[4]. Poi, Ulpiano cita le parole di Labeone, secondo le quali, anche nel caso di assenza della lex dicta, tra terreni di sopra e di sotto « bisogna salvare la natura della terra, e il terreno di sotto deve essere sempre al servizio di quello di sopra, ovvero, secondo la natura, il campo inferiore deve sopportare il danno di quello superiore »[5]. Tuttavia, Paolo segnala il diritto del vicino del fondo inferiore di migliorare « la natura del luogo » con suoi mezzi, senza causare danni al fondo superiore[6].

 

 

2. – La natura come soggetto autonomo nel diritto romano

 

M. Bartošek[7] spiega l’introduzione di quest’azione con le particolarità del clima d’Italia, caratterizzato da rovesci temporaleschi di acqua piovana. Infatti, Labeone (Paul., D. 39. 3. 2. 6), nella sua argomentazione sul cambiamento autonomo della « natura del luogo », dice che « si terrae motu aut tempestatis magnitudine soli causa mutata sit, neminem cogi posse, ut sinat in pristinam locum condicionem redigi ». Oltre a terremoti e tempeste spesso i giuristi romani menzionano le altre forze naturali, generalmente legate con l’acqua. Così, Pomponio menziona la regola comune per tutte le servitù prediali, secondo la quale queste forze possono nuocere, se il danno si fa « naturaliter, non manu facto », per esempio per mezzo delle correnti d’acqua piovana, degli scoli d’acqua dei campi o dell’apparizione di una fonte nuova[8]. E` molto importante sottolineare il fatto che Pomponio dica che servitus aquae pluviae arcendae non è il diritto degli uomini, ma della terra stessa[9]. Nota anche che il fiume, cambiando il suo alveo, fa come il personale addetto alla riscossione fiscale, cambiando il terreno pubblico in privato e viceversa[10]. Anche Giustiniano, descrivendo i modi d’acquisizione della proprietà secondo il diritto naturale, descrive la stessa particolarità della natura del fiume[11]. E` molto vicina a questa particolarità anche la descrizione gaiana del sedimento di terra creato dal fiume e diventato proprietà privata secondo il diritto di natura[12].

 

 

3. – Ius naturale come il diritto “assurdo” nella storiografia moderna.

 

Da questi due ultimi brani si può concludere che, dal punto di vista dei giuristi romani, l’attività autonoma della natura inanimata (natura loci e natura fluminis) è regolata dal ius naturale. Tuttavia, nella storiografia moderna sul diritto naturale, che è davvero sterminata[13], questo diritto di solito viene interpretato in altro modo. Non di rado il diritto naturale si identifica con il ius gentium[14], la sua nascita si lega alla necessità di creare la base filosofica ed etologica del il ius gentium, quindi si spiega solamente con l’influenza della filosofia greca antica, principalmente quella degli stoici[15]. Spesso l’idea stessa del ius naturale romano viene chiamata « abbastanza infelice »[16], « scipita »[17] e anche « assurda »[18]. Infine, si dice che il concetto di ius naturale non abbia « un significato preciso e nelle fonti lo troviamo usato in affermazioni che rispondono a speculazioni meramente filosofiche »[19]. In generale, molti romanisti pensano che le idee giusnaturalistiche romane « sono idee più di etologia e sociologia che non di diritto »[20]. Ma ci sono anche altri romanisti, che interpretano il sistema romano del ius naturale più positivamente e con ponderazione. Io prenderò a testimone la loro opinione, analizzando direttamente le fonti che presentano le definizioni della sostanza e del carattere del « diritto di natura ».

 

 

4. – La definizione del ius naturale nelle fonti giuridiche, diritto degli animali e iura praediorum come il diritto degli inanimati

 

La definizione che dà Isidoro è molto breve ma sostanziale[21], sottolineando che il ius naturale « è comune a tutte le nazioni, dappertutto ispirato dalla natura e non da un’istituzione » e concerne le questioni del matrimonio, dell’educazione dei bambini, del possesso, dell’acquisizione della proprietà, di alcuni contratti e delle riflessioni sulla violenza[22]. Vi è quasi la stessa definizione nelle Istituzioni di Giustiniano[23], ma con una differenza molto importante : al posto di nationes si usa il termine animalia, cioè secondo Giustiniano il ius naturale è il diritto che la natura ha insegnato non solo agli uomini, ma a tutti gli esseri animati. Questa definizione è adottata quasi letteralmente da una fonte precedente – dalle Istituzioni del giurista classico Ulpiano[24]. Proprio questa definizione ulpianea ha causato un forte risentimento nei romanisti moderni, che trattano l’idea della comunanza del diritto tra uomini ed animali come un’assurdità[25] A mio avviso, però, il romanista italiano Pietro Onida ha provato in modo molto convincente che i romani usavano l’idea della comunanza del diritto tra uomini ed animali, non solo sul piano filosofico-speculativo, ma anche nella vita reale e nella pratica giuridica[26]. Così, lo studioso analizza i dati delle fonti sul divieto di sacrificare animali che era stato dichiarato per la prima volta da Pitagora, menzionato da Cicerone (De leg., III. 19), Varrone e Seneca e confermato per via legislativa dall’imperatore romano Costantino[27]. Inoltre, è anche molto importante la sua analisi dell’actio de pauperie che prevedeva la consegna noxale dell’animale colpevole all’attore[28]. Nella sua sostanza quest’azione è analoga all’actio noxalis relativa agli schiavi (Iust., Inst., IV. 8).

Infatti, la natura animalium è molto simile alla natura hominum : non solo i biologi, ma anche le persone che hanno animali domestici sanno molto bene che questi sono capaci di amare, di essere fedeli, grati, educano e difendono i loro cuccioli, salvaguardano i confini dei luoghi in cui vivono. In modo particolare i romani ammiravano il sistema del ius naturae delle api[29]. Ma per questo articolo è più importante un’altra parte del ius naturae – la natura agris e le sue condizioni climatiche (natura caeli).

Perciò è necessario notare che i giuristi romani legavano molti istituti del diritto reale al ius naturale. Perciò, la proprietà comune a tutti gli uomini per quanto riguarda l’aria, i fiumi, il mare e le rive è basata anch’essa sul diritto naturale[30]. Anche la legittimità della cattura di animali selvatici è legata al ius naturale[31]. Lo stesso diritto regola l’alienazione delle cose corporali, compresa la terra[32]. Ma la cosa più importante è il fatto che i giuristi romani interpretavano anche le servitù come basate sul diritto naturale. Pertanto, sul ius naturale è basata la regola ben conosciuta, secondo cui superficies solo cedit[33]. Lo stesso possiamo dire sulla regola principale dell’usufrutto, riguardo all’appropriazione della figliata del bestiame a favore dell’usufruttuario[34]. Ma il diritto naturale si manifesta in modo più evidente con l’istituto romano delle servitù prediali, che, secondo la regola generale della loro esistenza, dovevano sempre avere la causa perpetua e fondata sulla natura[35]. Il nome stesso per il diritto delle servitù prediali – iura praediorum – mostra che non si tratta del diritto degli uomini, ma dei terreni stessi (D. 8. 3. 23). Infatti, i giuristi romani notano abbastanza spesso che il soggetto delle servitù prediali è il terreno dominante, a favore del quale il terreno subordinato serve[36]. I romani interpretavano la servitù come una peculiarità del terreno, il suo clima salubre (D. 50. 16. 86) come « il diritto del terreno »[37], come « condizione speciale del terreno »[38]. Le condizioni di funzionamento delle servitù prediali, in particolare delle servitù d’acqua[39], erano determinate anche dalle condizioni naturali del luogo.

Allora, nel concetto delle servitù prediali dei giuristi romani risulta evidente l’idea che questi diritti si legano non tanto ai proprietari dei terreni vicini quanto agli stessi terreni. Ciò si spiega con l’idea romana che la terra è una sostanza animata, viva, perciò se con mancanza di serietà la si divide tra i privati, le sue parti possono atrofizzarsi. La salubrità, cioè il clima sano del luogo e quindi la sua utilità per l’uomo, è uno dei più importanti argomenti delle servitù prediali. Desta meraviglia che i romanisti moderni, che criticano così categoricamente Ulpiano per l’idea di comunanza del diritto tra uomini e animali, non abbiano notato affatto l’idea dell’esistenza del diritto della natura inanimata (iura praediorum), che è ancora più sovversiva per il sistema del giuspositivismo moderno.

Bisogna notare che i romani, non solo dichiaravano sempre, ma di conseguenza mettevano in pratica l’idea di supremazia del ius naturae (sia degli animali che degli inanimati) in relazione al ius civile[40], poiché per loro era evidente (come anche per noi oggi) che le leggi di natura non possono essere abolite per volontà degli uomini. Infatti, con nessuna legge umana si può cambiare la legge di natura sulla rotazione della Terra intorno al Sole. Inoltre, le condizioni climatiche del polo nord non possono essere avvicinate al clima subtropicale solo grazie alla volontà del legislatore. Tuttavia, già nell’antichità, studiando e usando nella sua attività le leggi di natura, l’uomo ha imparato a influenzare le condizioni climatiche sia positivamente che negativamente. Allo stesso tempo, i filosofi greci antichi conoscevano molto bene il grado d’influenza contraria delle condizioni climatiche della natura (ius naturae) sull’uomo, perciò per i romani era necessario adeguare queste condizioni climatiche al sistema giuridico romano.

 

 

5. – Ius naturae di Cicerone come la fonte principale per tutto il diritto umano

 

Questo assunto si vede molto bene nel concetto di diritto romano espresso dal politico, avvocato e filosofo M. Tullio Cicerone, il contenuto del quale cercherò di esporre brevemente. Cominciamo dalla definizione del ius naturae che dà Cicerone :

 

naturae ius est, quod non opinio genuit, sed quaedam in natura vis insevit, ut religionem, pietatem, gratiam, vindicationem, observantiam, veritatem. religio est, quae superioris cuiusdam naturae, quam divinam vocant, curam caerimoniamque affert[41].

 

Questa definizione respinge molto precisamente tutto il sistema giuridico-religioso romano dell’età repubblicana[42], poiché concepisce la religione come « cura di una certa natura superiore, che viene chiamata divina, e adorazione di questa ». In connessione con ciò è importante citare una delle definizioni della legge, presente nel trattato di Cicerone De legibus :

 

I. 18 : Igitur doctissimis uiris... definiunt, lex est ratio summa, insita in natura, quae iubet ea quae facienda sunt, prohibetque contraria... 19. Ea est enim naturae uis, ea mens ratioque prudentis, ea iuris atque iniuriae regula.

 

Seguendo questa definizione, Cicerone dichiara che « cercherà le radici del diritto nella natura, sotto la guida della quale bisogna sviluppare tutto il nostro ragionamento »[43]. Prima di tutto, studia la natura, costatando di nuovo che « noi siamo nati per la giustizia, e il diritto è fondato non sull’opinione degli uomini, ma della natura »[44]. Poi, afferma che il senso di benevolenza degli uomini l’un verso l’altro è dato dalla natura[45], e dalla natura è dato anche il sentimento d’amore che è il fondamento del diritto umano[46], perciò tutto quello che è giusto, legittimo, nello stesso tempo è utile per gli uomini[47]. Infine, un’altra caratteristica importantissima della natura degli uomini è la ratio – la qualità che avvicina gli uomini agli dèi e che permette di comprendere il ius naturae. Secondo Cicerone, la legge di natura permette di distinguere, tra le leggi umane, quelle giuste e quelle ingiuste[48]. Grazie alla ratio, assoggettandosi alle leggi di natura[49], l’uomo deve seguirle e in questo caso non farà mai sbagli[50]. Il diritto di natura lega la natura dell’uomo a tutta la natura restante, che gli dà da mangiare i suoi frutti[51]; tuttavia, per dare una mano alla natura a produrre questi frutti è necessario conoscere le leggi dei venti, dei cambiamenti climatici e le particolarità della fertilità della terra[52].

 

 

6. – Natura loci di Cicerone e klivmata degli autori greci antichi

 

Infine, siamo arrivati alla parte più importante del concetto di Cicerone sul ius naturae. Parlando della natura deorum, egli nota che gli uomini ricevono grandi beni dal clima favorevole e dalla fertilità della terra[53]. Ma queste caratteristiche sono diverse nei diversi luoghi, perche la natura loci in alcuni luoghi è salubre, in alcuni è disastrosa[54] e le condizioni climatiche influenzano in modo piuttosto forte gli uomini[55]. Dalle particolarità della natura loci dipendono anche i mores degli uomini[56].

L’idea di Cicerone sulla dipendenza degli usi umani dalle condizioni climatiche locali non era nuova nel suo tempo e si incontra già a partire dal VI sec. a.C. nel pensiero dei filosofi greci antichi, per esempio di Pitagora, Platone e Aristotele[57]. Si può trovare quest’idea anche nell’opera del famoso storico del III-II sec. a.C., Polibio[58], e nell’opera d’un altro greco, contemporaneo di Cicerone, Strabone[59]. E’ interessante fare il paragone tra due testi in lingua diversa – quelli di Cicerone e Strabone, che sono molto vicini nel loro contenuto : là dove Strabone usa il termine greco klivmata, Cicerone (De leg. agr., II 95) invece usa l’espressione latina natura loci, già menzionata sopra. Da ciò si può concludere che l’espressione latina natura loci, accanto al termine più specifico e più raro inclinatio caeli[60], era usato dai romani per indicare le condizioni climatiche locali.

Dunque, le condizioni climatiche locali in una certa misura determinano il carattere, gli usi e il diritto degli uomini di una determinata località. Però, secondo Cicerone[61], creando diverse arti e imitando la natura, i romani hanno imparato a influenzare le condizioni climatiche locali, in qualche modo migliorandole. Con che orgoglio Cicerone dice che gli uomini hanno imparato a domare i mari, i venti, i campi e i fiumi, creando così quasi una seconda natura[62] ! Seguendo il diritto di natura, imitando la natura, usando la sua ragione e il suo lavoro, l’uomo ha imparato a costruire gli acquedotti, a cambiare le direzioni dei fiumi, a costruire gli argini dei fiumi e i porti marittimi[63].

 

 

7. – Il divieto di peggiorare la natura loci

 

In relazione a ciò, è importante anche un’altra legge di natura che vieta « ullam rem esse cuiusquam nisi eius, qui tractare et uti sciat »[64]. Infatti, nel diritto romano è ben nota l’actio de damno infecto, secondo cui un bene del proprietario incapace doveva essere dato in possesso a colui che correva il pericolo di danno (D. 39. 2). In relazione a quest’azione bisogna ricordare anche il concetto del « vizio del luogo »[65], che i giuristi romani prendevano in considerazione, determinando il grado di colpa di colui che era accusato dell’azione de damno infecto. E` curioso che, descrivendo proprio quest’azione, Ulpiano enumeri anche alcune manifestazioni della natura, come terremoti, alluvioni, uragani, suolo paludoso o sabbioso di un determinato luogo. Infatti, dalle fonti di epoca romana è risaputo che molti edifici erano stati danneggiati dopo l’alluvione del 15 a.C. e che il senato pensava seriamente di far divergere alcuni affluenti del Tevere[66]. In seguito, nel 27 a.C., a Fidene era crollato l’anfiteatro del liberto Atilio, seppellendo decine di migliaia di romani, perciò il senato aveva emanato il senatoconsulto che vietava di costruire anfiteatri senza un’ispezione preliminare della qualità del suolo[67].

 

 

8. – L’origine arcaica di ius naturae e pitagorismo

 

Quindi, è evidente che nella descrizione di Cicerone e dei giuristi romani del diritto di natura vi è un’attenzione particolare per le condizioni climatiche del luogo e, secondo gli esempi sopra citati, è chiaro che il concetto di tale diritto non fosse una pura speculazione filosofica separata dalla prassi della vita. Perciò si solleva un’altra domanda : quale è l’origine del ius naturae romano? L’opinione dei romanisti moderni, secondo cui la nascita dell’idea del ius naturae è legata solamente all’influenza delle scuole filosofiche di Platone, di Aristotele e particolarmente degli stoici su Cicerone e sui giuristi romani[68], non corrisponde totalmente a verità. Cominciamo dal fatto che nei suoi trattati De divinatione, De finibus bonorum et malorum Cicerone critica fortemente gli stoici, notando che essi hanno preso in prestito la teoria del diritto di natura dai filosofi precedenti – da Platone e Aristotele[69]. Siccome è ben noto che questi due filosofi hanno preso in prestito, a loro volta, la teoria giusnaturalistica da Pitagora[70], e che Cicerone stesso era sostenitore fedele prima di tutto di Pitagora[71], allora, bisogna prendere in considerazione l’opinione d’Ovidio, secondo il quale i romani del I sec. a.C. ammiravano moltissimo il fondatore della filosofia italiana del VI sec. a.C., Pitagora, per la sua profondissima conoscenza della natura (Ovid., Metamorph., XV, 62-68), dei fenomeni del cielo, dei venti, dei terremoti (Ovid., Metamorph., XV, 69-71), del diritto degli animali (Ovid., Metamorph., XV, 75-142), della dipendenza della qualità dell’acqua delle fonti, dei ruscelli, dei fiumi dalla natura del luogo (Ovid., Metamorph., XV, 308-336), per la sua concezione della Terra come di un animale vivo (Ovid., Metamorph., XV, 342-345). Lo stesso Cicerone diceva che Pitagora e il suo concetto filosofico sin dall’antichità, cioè dalla fine del VI sec. a.C., influenzavano i romani (De orat., II. 154 ; Tuscul., IV. 1. 2 s.)[72], come ad esempio il pitagorico Appio Claudio Cieco (Tuscul., IV. 1. 3), che era famoso per la costruzione della prima via pubblica romana e del primo acquedotto pubblico romano. Questo Appio Claudio Cieco era noto anche per aver aiutato il suo liberto Flavio nella pubblicazione dei Fasti e per la sua composizione di opere giuridiche, in particolare del libro sull’usurpatio (D. 1. 2. 2. 36), l’istituto strettamente legato al diritto delle servitù.

Inoltre, è necessario sottolineare che i giuristi romani interpretavano il diritto naturale come il più antico, nato nello stesso tempo della nascita del genere umano[73]. Anche Cicerone nota che il diritto di natura insieme al diritto del popolo romano sono « testati e dati »[74] dagli avi. L’influenza originale proprio del pitagorismo antico si collega più a queste parole di Cicerone che all’idea dell’influenza piuttosto tarda degli stoici greci. E` necessario considerare che secondo Cicerone (De inv., II. 65 ; 161) uno dei fondamenti del ius naturae era la religione romana, « che è legata allo studio della natura » (De divin., II. 149).

L’idea che il concetto del diritto di natura, nato proprio nella filosofia greca antica e solo nel I sec a.C., rappresenti nella filisofia e nel diritto romano un’elemento estraneo per mentalità giuridica romana, è quasi l’assioma e le idee alternative praticamente non si esaminano[75]. Nello stesso tempo, nell’antropologia moderna si nota come fenomeno comune insito in molti popoli della società primitiva la divinizzazione della natura, conferimento a lei delle funzione di legislatore che detta agli uomini le norme d’atteggiamento, cioè permesso e vietato[76]. Le idee di tale tipo come la regola si esprimevano nei concetti di cosmogonia di diversi popoli su rapporti tra la natura e l’uomo[77]. Perciò le parole di Ovidio su conoscenza da parte di Numa Pompilio delle leggi di natura non sembrano anacronismo. Quindi, i romani come altri popoli d’antichità potevano avere suoi propri concetti su diritto divino della natura, solamente arricchiandosi con la conoscenza delle teorie dei filosofi greci, comiciando da quella di Pitagora, che era molto vicina ai concetti arcaici delle società romana del VI sec a.C.

 

 

9. – Fas come diritto naturale arcaico e scienza degli auguri

 

Può sorgere questa domanda : perche il diritto romano arcaico e repubblicano non ha salvato qualche traccia grossomodo soddisfacente di questo ius naturae più antico? La risposta è univoca : sicuramente le ha salvate. Per di più, il ius naturae è lo strato importantissimo del diritto romano più antico, elaborato proprio durante il periodo arcaico. Si tratta di quella parte del diritto che i romani designavano con il termine di grande efficacia - fas. Infatti, il significato lessicale principale di questa parola è « diritto naturale »[78]. Cicerone nota che fas è quello che è fatto per naturam e non per leges[79]. Nel commento all’Eneide di Virgilio, Servio traduce fas come « i diritti di natura »[80] e i grammatici romani come « la legge di natura »[81]. Oltre a ciò, nello stesso tempo Servio lega fas con la religione romana[82]. Non è casuale il fatto che il contemporaneo di Cicerone, lo storico greco Castore di Rodi[83], avvicini la religione dei romani del tempo di Enea al concetto pitagorico della natura[84]. Nessuno può contestare la considerevole antichità del fas romano. Come è noto, fas era la parte più importante del diritto romano sacro[85] e in particolare del diritto romano augurale[86], e proprio in questo diritto bisogna, insieme con Cicerone, cercare le radici del ius naturae romano. Gli auguri, cominciando almeno dall’epoca del re leggendario Numa Pompilio, erano « esperti di tutta la divinazione, di tutto ciò che appartiene ai fenomeni del cielo, dell’aria e della terra » (Dionys., II. 64. 4). Durante molti secoli di storia di Roma uno dei compiti più importanti degli auguri era l’observatio, cioè l’osservazione dei fenomeni celesti e terrestri per scoprire la volontà divina[87]. E qui si tratta non solo dell’esperienza plurisecolare degli auguri d’appoggiare le superstizioni infondate del popolo semplice, che nel I sec. a.C. molti contemporanei di Cicerone (Cic. De divin., I. 105, De nat. deor., I. 118) e lo stesso Cicerone deridevano[88].

Infatti, Cicerone scriveva che egli stesso è augure e ha imparato bene la scienza antica degli auguri[89], ma quella parte che è basata non sulle superstizioni infondate, ma sulla scienza, sull’esperienza e sulla ragione che divina il vento, la pioggia, il terremoto, l’eclissi, e altri fenomeni di natura. Infatti, per esempio, i romani conoscevano bene che la divinazzione augurale sulla base delle voci d’ucelli[90] faceva la previsione del tempo[91], basandosi sull’esperienza plurisecolare delle osservazioni augurali. Gli auguri furono riconosciuti come conoscitori della lingua d’ucelli distinguendo, per esempio, 9 voci dei corvi, i quali significavano o previsione del tempo favorevole o non favorevole[92]. Nella stessa maniera i romani usavano anche altri indizi augurali venuti dai pianeti, dalle stelle e dagli altri corpi celesti, dall’acqua e dalla terra, dal comportamento degli animali et cet. (Plin. N.H. XVIII. 340-361; 364-365).

Gli auguri prestavano particolare attenzione ai diversi fenomeni poco naturali, e insieme ai giuristi romani (per esempio, Ulpiano) li consideravano come qualcosa contra naturam[93]. In generale le espressioni contra naturam e secundum naturam molto spesso si usano come sinonimi delle determinazioni degli auguri fas est e nefas est[94]. Il romanista italiano Francesco Sini giustamente collega l’istituto fas all’idea antichissima dei romani sulla necessità d’osservanza della pace con gli dèi (pax deorum)[95]. Lo studioso presta particolare attenzione al calendario religioso romano, i fasti, l’osservazione del quale era una delle più importanti condizioni del rispetto della pax deorum[96]. Accanto ai pontefici anche gli auguri avevano un ruolo importante nella formazione e nella conservazione dei fasti[97]. Studiando i dies nefasti, F. Sini molto felicemente paragona i rapporti tra gli uomini e gli dèi con i rapporti tra il liberto e il suo patrono[98], perché, come il lavoro del liberto è a favore del suo patrono, così anche il romano, durante i dies feriae, poteva lavorare solo a favore degli dei[99]. Secondo il fas, cioè secondo il diritto di natura, durante i dies feriae era permesso, per esempio, costruire o riparare le vie, purificare le fosse, portare il bestiame nell’abbeveratoio[100], cioè si tratta principalmente del rafforzamento delle servitù delle strade e delle acque. Dunque, l’attività dei sacerdoti era indirizzata « al fine di evitare, prevenire o rimuovere, ogni accadimento suscettibile di innescare il verificarsi del nefas (che l’opera della natura o l’azione degli uomini tendevano sempre a provocare) »[101]. Il mantenimento in buono stato degli oggetti delle servitù pubbliche era una di queste attività.

 

 

10. – Vitia loci e salute della natura nella scienza augurale

 

Il posto speciale che nel diritto augurale aveva il concetto di vitium, considerato generalmente come vitia, si studia solo in connessione ad eventi politici : elezioni dei magistrati, esecuzione della legge, ecc.[102] Ma Jerzy Linderski nota giustamente che « vitium could apply to anything and everything »[103] ; allora, si può parlare anche dei vitia loci, cioè dei vizi dei luoghi nei trattati degli auguri, in quanto uno degli obblighi degli auguri era di « liberare e benedire la città, i campi e i templi »[104]. Era necessario « liberare » la terra da vitia. I romani erano capaci di porre rimedio ai vitia locorum già al tempo della Roma antichissima, per esempio, Dionigi d’Alicarnasso racconta che il primo re romano, Romolo, ha essiccato la palude tra Palatino e Campidoglio, dove ha collocato il Foro Romano (Dionys., II. 50. 2). In seguito, all’epoca dei re Tarquini fu costruita la famosa Cloaca Maxima (Dionys., III. 67. 5 ; Liv., I. 56. 2). La capacità di favorire il risanamento del clima e della natura del luogo – era uno degli obblighi principali degli auguri, infatti, secondo Cicerone, essi avevano dovuto favorire la crescita dei vigneti, delle piantagioni, della salute del popolo[105]. Devo sottolineare che gli auguri romani usavano il concetto di « salute » non solo per gli uomini, ma anche per la terra, trattandola come un organismo vivente. Connesso con ciò, mi sembra non casuale il fatto che il giurista romano Celso definisca la salubritas della terra come una delle caratteristiche più importanti dei iura praediorum[106]. Inoltre, bisogna notare che proprio gli auguri erano agrimensori antichissimi, e proprio da loro era nato e si era sviluppato il sistema romano della delimitazione dei terreni[107].

Nel notare l’antichità dell’origine del ius naturae romano, bisogna ricordare ancora un argomento importante a favore di questa tesi : già menzionate sopra, l’actio de pauperie (Ulp., D. 9. 1. pr. 1-2)[108] e l’actio aquae pluviae arcendae[109] erano presenti già nelle leggi delle XII Tavole e questo fatto conferma in modo diretto l’arcaicità del diritto di natura romano. E` curioso il commento di Cicerone alla norma decemvirale sull’aqua pluvia, che è costruita nello spirito tipico della scienza degli auguri : divisione del complesso in componenti integranti e accentuazione del componente principale[110]. Secondo il testo di Cicerone in quest’azione vi era non il iudex, ma l’arbiter, cioè l’intermediario, e tale intermediario in diverse controversie dell’epoca delle XII Tavole poteva essere anche l’augure pubblico analogamente agli agrimensori dell’epoca imperiale.

In che modo gli auguri pubblici potevano apportare « salute » al popolo romano, ai suoi vigneti e coltivazioni e al mantenimento dei diversi iura praediorum, in che modo liberavano la città e i campi dai vitia è il tema per un’altra ricerca. Qui vorrei solo sottolineare che i loro consigli (responsa)[111] potevano essere veramente pratici, così come lo erano i consigli che l’augure del II sec. a.C., Marco Porzio Catone[112], rivolgeva agli agricoltori nel suo trattato De agri cultura. E` possibile che anche il libro non conservato De auguriis dell’augure Cicerone fosse molto pratico.

 

 

11. – Conclusione

 

Concludendo, vorrei sottolineare che i romani, considerando la natura come una sostanza viva, comprendendo la priorità delle leggi di natura in generale e le particolarità delle condizioni climatiche delle diverse località che influenzavano gli usi e le leggi umani, solo grazie a questo sono stati capaci di creare il sistema del diritto che è rimasto attuale per molti secoli. La stessa idea dei iura praediorum è basata sul pensiero che dividendo la terra tra i privati, non è permesso (nefas est) tagliare i vasi sanguigni che la legano (cioè le vie e i fiumi), non si possono eliminare le servitù da un terreno ad un’altro poiché esse sono condizionate dalla natura loci.

 

 



 

* Relazione presentata nel V Convegno Internazionale «Diritto Romano pubblico e privato: l’esperienza plurisecolare dello sviluppo del diritto europeo», Suzdal’ e Mosca, 25-30 giugno 2009.

 

[1] Sul legame di questa azione con ius naturale ved. : Kacprzak, A., L’actio aquae pluviae arcendae ed il concetto labeoniano di natura, in Testi e problemi del giusnaturalismo romano, a cura di Mantovani, D., Schiavone, A., Pavia, 2007.

 

[2] D. 39. 3. 2. 6 (Paul.) : Labeo contra Namusam probat : ait enim natura<m> agri ipsam a se mutari posse et ideo, cum per se natura agri fuerit mutata, aequo animo unumquemque ferre debere, siue melior siue deterior eius condicio facta sit.

 

[3] D. 39. 3. 1. 14. (Ulp.) : Huic illud etiam applicandum numquam competere hanc actionem, cum ipsius loci natura nocet : nam (ut verius quis dixerit) non aqua, sed loci natura nocet.

 

[4] D. 39. 3. 1. 1. (Ulp.) : Actio... totiensque locum habet, quotiens manu facto opere agro aqua nocitura est, id est cum quis manu fecerit, quo aliter flueret, quam natura soleret, si forte immittendo eam aut maiorem fecerit aut citatiorem aut vehementiorem aut si comprimendo redundare effecit.

 

[5] D. 39. 3. 1. 23. (Ulp.) : Si tamen lex non sit agro dicta, agri naturam esse servandam et semper inferiorem superiori servire atque hoc incommodum naturaliter pati inferiorem agrum a superiore compensareque debere cum alio commodo.

 

[6] D. 39. 3. 2. 5 (Paul.) : Quamquam tamen deficiat aquae pluviae arcendae actio, attamen opinor utilem actionem vel interdictum mihi competere adversus vicinum, si velim aggerem restituere in agro eius, qui factus mihi quidem prodesse potest, ipsi vero nihil nociturus est : haec aequitas suggerit, etsi iure deficiamur.

 

[7] Бартошек, М. Римское право : Понятия, термины, определения. М., 1989, 35.

 

[8] D. 8. 3. 20. 1-3 (Pomp.) : Seruitus naturaliter, non manu facto laedere potest fundum seruientem : quemadmodum si imbri crescat aqua in riuo aut ex agris in eum confluat aut aquae fons secundum riuum uel in eo ipso inuentus postea fuerit.

 

[9] D. 8. 3. 20. 1-3 (Pomp.) : Hauriendi ius non <h>ominis, sed praedii est.

 

[10] D. 41. 1. 30. 3 (Pomp.) : flumina enim censitorum uice funguntur, ut ex priuato in publicum addicant et ex publico in priuatum : itaque sicuti hic fundus, cum alueus fluminis factus esset, fuisset publicus, ita nunc priuatus eius esse debet, cuius antea fuit.

 

[11] Iust., Inst., II. 1. 23. Quodsi naturali alueo in uniuersum derelicto alia parte fluere coeperit, prior quidem alueus eorum est, qui prope ripam eius praedia possident, pro modo scilicet latitudinis cuiusque agri, quae latitudo prope ripam sit, nouus autem alueus eius iuris esse incipit, cuius et ipsum flumen, id est publicus. quodsi post aliquod tempus ad priorem alueum reuersum fuerit flumen, rursus nouus alueus eorum esse incipit, qui prope ripam eius praedia possident.

 

[12] Gai, Inst., II. 70. Sed et id quod per alluuionem nobis adicitur, eodem iure nostrum fit ; per alluuionem autem id uidetur adici quod ita paulatim flumen agro nostro adicit, ut aestimare non possimus, quantum quoquo momento temporis adiciatur ; (et) hoc est quod uulgo dicitur per alluuionem id adici uideri quod ita paulatim adicitur, ut oculos nostros fallat. Cfr. D. 41. 1. 7. 1.

 

[13] Ved. per esempio : Levy, E., Natural Law in Roman Thought, in SDHI 15, 1949, 1-23 ; Biondi, B., La concezione cristiana del diritto naturale nella codificazione giustinianea, in RIDA, 4, 1950, 129-158 ; Wilches, F.A., De iure naturae apud iurisconsultos Romanos, Seminar 8, 1950, 67-73 ; Hunada, K., Scienza giuridica romana e dottrina greca del diritto naturale, in Correnti del pensiero giuridico, 1951, 27-62 ; Wenger, L.I., Sulla diversa fondazione del diritto naturale, in Jus 2, 1951, 1-11 ; Gaudemet, J., Quelques remarques sur le droit naturel à Rome, in RIDA 1, 1952, 445-467 ; Lutz, O., Cicero zum Naturrecht, in Schweiz, Jur. Zeit. 48, 1952, 279-280 ; Voggensperger, R., Der Begriff des « ius naturale » im römischen Recht [Basler Studien z. Rechtswiss., H. 32], Basel, 1952 ; Cartaxo, E.G., Conceito clássico e post-clássico do jus naturale e do jus gentium, in Revista da Faculdade de Direito Universidade do Paraná 1, 1953, 26-47 ; Villey, M., Deux conceptions du droit naturel dans l’Antiquité, in RHD 31, 1953, p. 475-497 ; Burdese, A., Il concetto di ius naturale nel pensiero della giurisprudenza classica, in Rivista italiana per le scienze giuridiche 7, Milano, 1954, 407-421 ; Flückiger, F., Geschichte des Naturrechtes, I, Altertum und Frühmittelalter, Zürich, 1954 ; Nocera, G., Ius naturale nella esperienza giuridica romana, Milano, 1962 ; Gil Cremades, J.J., Que es Derecho natural clásico, in Temis 23, 1968, p. 51-72 ; Knoche, U., Ciceros Verhindung der Lehre voll Naturrecht mit der römischen Recht und Gesetz. Ein Beitrag zu der Frage : Philosophische Begründung und politische Wirklichkeit in Ciceros Staatsbild, in Cicero. Ein Mensch seiner Zeit, Berlin, 1968, 38-60 ; Villey, M., Dialectique et droit naturel, in Riv. Internaz. Filos. d. Dir., 1973, 821-831 ; Stein, P., The Development of the Notion of Naturalis Ratio, in Daube noster. Essays in Legal History for D. Daube, ed. by Watson, A., Edinburgh-London, 1974, 305-316 ; Thieme, H., Naturrecht und Römisches Recht, in La formazione storica del diritto moderno in Europa, Firenze, 1977, 95-111 ; Camacho Evangelista, F., « Ius naturale » en las fuentes jurídicas romanas, in Estudios Jurídicos en homenaje al Prof. Ursicino Alvarez Suárez, Madrid, 1978, 45-56 ; Wesener, G., Römisches Recht und Naturrecht [Geschichte der Rechtswiss. Fakultät der Univ. Graz, I], Graz, 1978 ; Didier, P., Les diverses conceptions du droit naturel à l’oeuvre dans la jurisprudence romaine des IIe et IlIe siècles, in SDHI 47, 1981, 195-262 ; Johann, H.T., Gerechtigkeit und Nutzen. Studien zur ciceronischen und hellenistischen Naturrechts- und Staatslehre [Bibl. der klass. Altertumswiss. R. 2 N. F., 67], Heidelberg, 1981 ; Santini, G., Ius commune - Ius generale. I tre sistemi normativi generali : Diritto naturale, delle genti e romano (Età antica e alto medioevo. Canonisti e teologi del XII secolo), in Riv. Storia Dir. Ital. 56, 1983, 31-118 ; Waldstein, W., Naturrecht bei den klassischen römischen Juristen, in Gedächtnisschrift f. R. Marcic, Berlin, 1983, 239-253 ; Plescia, J., A View of Natural Law, in Sodalitas VII, Napoli, 1984, 3577-3591 ; Jansen, C.J.H., Natuurrecht of Romeins recht [Rechtshistorische Studies, n. 12], Leiden, 1987 ; Triantaphyllopoulos, J., Contra naturam, in Sodalitas III, Napoli, 1984, 1415-1419 ; Van Zyl, D.H., Cicero and the law of nature, in South African Law Journ. 103, 1986, 55-68 ; Waldstein, W., Bemerkungen zum ius naturale bei den klassischen Juristen, in ZSS 105, 1988, 702-711 ; Ciferri, L.V., Conoscenza e concezione del diritto in Cicerone, in RIDA 41, 1994, 139-178 ; Talamanca, M., L’aequitas naturalis e Celso in Ulp. 26 ad. ed. D. 12, 4, 3, 7, in BIDR 96-97, 1993-1994, 1-81 ; D’Ors, A., Derecho y sentido común. Siete lecciones de derecho natural como limite del derecho positivo, Madrid, 1995, 180 ; Lamberti, F., Studi sui ‘postumi’ nell’esperienza giuridica romana, I, Napoli, 1996, 17-44 ; Querzoli, S., Il sapere di Fiorentino. Etica, natura e logica nelle Institutiones, Napoli, 1996, 265 ; Wesener, G., Aequitas naturalis, ‘natürliche Billigkeit’, in der privatrechtlichen Dogmen- und Kodifikationgeschichte, in Der Gerechtigkeitsanspruch des Rechts. Festschrift für Theo Mayer-Maly zum 65, Wien, 1996 ; Hamza, G., Bemerkungen über dem Begriff des Naturrechts bei Cicero, in Nozione, formazione e interpretazione del diritto dall’età romana all’esperienze moderne, I, Napoli, 1997, 349 s. ; Дождев, Д.В., Право и справедливость в понятийной системе римской юриспруденции (« ius civile », « ius naturale », « bonum et aequum »), in ВДИ 3, 2003, 100-116.

 

[14] Voigt, M., Das jus naturale, aequum et bonum und jus gentium der Römer, I : Die Lehre vom ius naturale, aequum et bonum und ius gentium der Römer ; 2 : Das ius civile und ius gentium der Römer, Aalen, 1966 ; Winkel, L.C., Einige Bemerkungen über ius naturale und ius gentium, in Ars boni et aequi. Festschrift für W. Waldstein zum 65, Schermaier, M.J. – Végh, Z. (cur.), Stuttgart, 1993, p. 443-449 ; Weiss, E., Ius gentium, in RE 19, Stuttgart, 1918, 1218-1231 ; Гарсия Гарридо, М.Х., Римское частное право : казусы, иски, институты, Перевод с испанского. Отв. ред. Л.Л.Кофанов. М., 2005, 146 сл. ; Behrends, O., Che cos’era « ius gentium » antico?, in Tradizione romanistica e costituzione, diretto da Labruna, L., a cura di Baccari, M.P., Cascione, C., I, Napoli, 2006, 481-514.

 

[15] Stier, H.E., Nomos Basileus, in Philologus LXXXIII, 1928, 225 s. ; Schmitt, C., Der Nomos der Erdeim Volkerrecht des Jus Publicum Europeum, Berlin, 1974, 42 s. ; Gigante, M., Nomos basileus, Napoli, 1956 ; Heinimann, F., Nomos und Physis, Herkunft und Bedeutung einer Antithese im griechischen Denken des 5. Jahrhundert, Darmstadt, 1987, 170 s. ; Schiavone, A., Ius. L’invenzione del diritto in Occidente, Torino, 2005, 252-264.

 

[16] Bonfante, P., Istituzioni di diritto romano, Milano, 1919, 19.

 

[17] Albertario, E., Sul concetto di ius naturale, in Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere 67, 1924, 168 s.

 

[18] Arangio-Ruiz, V., Istituzioni di diritto romano, Napoli, 1974, 27 s.

 

[19] Volterra, E., Istituzioni di diritto privato romano, Roma, 1988, 38 s.

 

[20] Pugliese, G., Istituzioni di diritto romano, Torino, 1990, 212 s. Cfr. Talamanca, M., « Status civitatis » ed ordinamento giuridico, in Lineamenti di Storia del diritto romano (a cura di Talamanca, M.), Milano, 1989, 512.

 

[21] Isid., Orig., V.  4 : Quid sit ius naturale. Ius autem naturale est, aut civile, aut gentium. Ius naturale est commune omnium nationum, et quod ubique instinctu naturae, non constitutione aliqua habetur ; ut viri et feminae coniunctio, liberorum successio et educatio, comminis omnium possessio, et omnium una libertas, adquisitio eorum quae caelo, terra marique capiuntur. Item depositae rei vel commendatae pecuniae restitutio, violentiae per vim repulsio. Nam hoc, aut si quid huic simile est, numquam iniustum est, sed naturale aequumque habetur.

 

[22] Per il commento di questo testo di Isidoro ved. : Flückiger, F., op. cit., 388 s. ; De Churruca, J., La definición Isidoriana de « ius naturale », in Estudios de Deusto 28, 1980, 9-41.

 

[23] Iust., Inst., I. 2 pr. : Ius naturale est, quod natura omnia animalia docuit. nam ius istud non humani generis proprium est, sed omnium animalium, quae in caelo, quae in terra, quae in mari nascuntur. hinc descendit maris atque feminae coniugatio, quam nos matrimonium appellamus, hinc liberorum procreatio et educatio : uidemus etenim cetera quoque animalia istius iuris peritia conseri... 2. iure enim naturali ab initio omnes homines liberi nascebantur. ex hoc iure gentium et omnes paene contractus introducti sunt, ut emptio uenditio, locatio conductio, societas, depositum, mutuum et alii innumerabiles.

 

[24] D. 1. 1. 1. 3. Ius naturale est, quod natura omnia animalia docuit : nam ius istud non humani generis proprium, sed omnium animalium, quae in terra, quae in mari nascuntur, auium quoque commune est. hinc descendit maris atque feminae coniunctio, quam nos matrimonium appellamus, hinc liberorum procreatio, hinc educatio : uidemus etenim cetera quoque animalia, feras etiam istius iuris peritia censeri.

 

[25] Arangio-Ruiz, V., op. cit., 27 s.

 

[26] Onida, P.P., Studi sulla condizione degli animali non umani nel sistema giuridico romano, Torino, 2002, 95-158.

 

[27] Ibid, p. 101 s.

 

[28] Ibid, p. 127. Ved. anche D. 9 .1. pr. 1-2 (Ulp.) : Si quadrupes pauperiem fecisse dicetur, actio ex lege duodecim tabularum descendit : quae lex voluit aut dari id quod nocuit, id est id animal quod noxiam commisit, aut aestimationem noxiae offerre. 1. Noxia autem est ipsum delictum. 2. Quae actio ad omnes quadrupedes pertinet.

 

[29] Verg., Georg., IV. 153 s. Su questo testo di Virgilio vedi Onida, P.P., op. cit., 68. n. 156 ; 152 s. ; Mantovani, D., I giuristi, il retore e le api. Ius controversum e natura nella Declamatio maior XIII, in Testi e problemi del giusnaturalismo romano, a cura di Mantovani, D., Schiavone, A., Pavia, 2007, 323-385.

 

[30] Iust., Inst., II. 1. 1 : Et quidem naturali iure communia sunt omnium haec : aer et aqua profluens et mare et per hoc litora maris ; Iust., Inst., II. 1. 18 : Item lapilli gemmae et cetera, quae in litore inueniuntur, iure naturali statim inuentoris fiunt ; D. 1. 8. 2 (Marc.) : Quaedam naturali iure communia sunt omnium, quaedam uniuersitatis, quaedam nullius, pleraque singulorum, quae uariis ex causis cuique adquiruntur. Et quidem naturali iure omnium communia sunt illa : aer, aqua profluens, et mare, et per hoc litora maris ; D. 1. 8. 3 (Flor.) : Item lapilli, gemmae ceteraque, quae in litore inuenimus, iure naturali nostra statim fiunt.

 

[31] Iust., Inst., II. 1. 19. Item ea, quae ex animalibus dominio tuo subiectis nata sunt, eodem iure tibi adquiruntur.

 

[32] Gai, Inst., II. 65. Ergo ex his quae diximus apparet quaedam naturali iure alienari, qualia sunt ea quae traditione alienantur ; quaedam ciuili... ; Iust., Inst., II. 1. 40. Per traditionem quoque iure naturali res nobis adquiruntur : nihil enim tam conueniens est naturali aequitati, quam uoluntatem domini, uolentis rem suam in alium transferre, ratam haberi. et ideo cuiuscumque generis sit corporalis res, tradi potest et a domino tradita alienatur. itaque stipendiaria quoque et tributaria praedia eodem modo alienantur. Cfr. D. 41. 1. 1 pr. ; Cic., De offic., I. 12.

 

[33] Gai, Inst., II. 73 : Praeterea id quod in solo nostro ab aliquo aedificatum est, quamuis ille suo nomine aedificauerit, iure naturali nostrum fit, quia superficies solo cedit ; D. 43. 18. 2 (Gai) : Superficiarias aedes appellamus, quae in conducto solo positae sunt : quarum proprietas et ciuili et naturali iure eius est, cuius et solum. Cfr. D. 41. 1. 7. 12 ; J., 2, 1. 30.

 

[34] Iust., Inst., II. 1. 37. In pecudum fructu etiam fetus est, sicuti lac et pilus et lana : itaque agni et haedi et uituli et equuli statim naturali iure dominii sunt fructuarii. Cfr. D. 22. 1. 28.

 

[35] D. 8. 2. 28 pr. (Paul.) : at quod ex caelo cadit, etsi non adsidue fit, ex naturali tamen causa fit et ideo perpetuo fieri existimatur. omnes autem seruitutes praediorum perpetuas causas habere debent, et ideo neque ex lacu neque ex stagno concedi aquae ductus potest. stillicidii quoque immittendi naturalis et perpetua causa esse debet.

 

[36] D. 8. 4. 12 : Cum fundus fundo servit... ; D. 8. 1. 12 : Fundo... recte servitus adquiratur ; D. 8. 3. 31 : Dominus... fundo servitutem aquae quaesierat... ; D. 8. 3. 13 pr. : Certo generi agrorum adquiri servitus potest... ; D. 3. 5. 30. 7 : sententia praedio datur... Cfr. D. 39. 3. 2 pr. Ved. il commento : Хвостов, В. М., Система римского права. М., 1996, 302.

 

[37] D. 8. 1. 20 (Iavol.) : Quotiens via aut aliquid ius fundi emeretur...

 

[38] D. 8. 3. 23. 2 : condicio fundi... Ved. anche : Франчози, Дж., Институционный курс римского права. Отв. ред. Л.Л.Кофанов. М., 2004, 328 сл.

 

[39] D. 43. 20. 1. 3 (Ulp.) : ego puto probandum ex proposito utentis et ex natura locorum aquam aestiuam a cottidiana discerni ; D. 43. 20. 6 (Nerat.) : hoc est aestiua aqua utrumne ex iure aestiuo dumtaxat tempore utendi diceretur, an ex mente propositoque ducentis, quod aestate eam ducendi consilium haberet, an ex natura ipsius aquae, quod aestate tantum duci potest, an ex utilitate locorum, in quae duceretur. placebat igitur aquam ob has duas res, naturam suam utilitatemque locorum in quae deducitur, proprie appellari, ita ut, siue eius natura erit, ut nisi aestate duci non possit, etiamsi hieme quoque desideraretur, siue omni tempore anni duci eam ipsius natura permitteret, si utilitas personis, in quam ducitur, aestate dumtaxat usum eius exigeret, aestiua recte diceretur.

 

[40] D. 4. 5. 8 (Gai) : ciuilis ratio naturalia iura corrumpere non potest ; D. 7. 5. 2. 1 (Gai.) : nec enim naturalis ratio auctoritate senatus commutari potuit.

 

[41] Cic., De inv., II. 161. Cfr. : Cic., De inv., II. 65 : ac naturae quidem ius esse, quod nobis non opinio, sed quaedam innata vis adferat, ut religionem, pietatem, gratiam, vindicationem, observantiam, veritatem. religionem eam, quae in metu et caerimonia deorum sit, appellant.

 

[42] Sul sistema giuridico-religioso romano dell’età repubblicana e per una selezione della storiografia vedi Sini, F., Uomini e Dei nel sistema giuridico-religioso romano : pax deorum, tempo degli Dei, sacrificio, in Ius Antiquum. Древнее право 8, 2001, 8-30 (in russo).

 

[43] Cic., De leg., I. 20 : repetam stirpem iuris a natura, qua duce nobis omnis <haec> est disputatio explicanda.

 

[44] Cic., De leg., I. 28 : nos ad iustitiam esse natos, neque opinione sed natura constitutum esse ius. Сf. Cic., De leg., I. 34 : ex natura ortum esse ius.

 

[45] Cic., De leg., I. 35 : loco unam esse hominum inter ipsos uiuendi parem communemque rationem, deinde omnes inter se naturali quadam indulgentia et beniuolentia, tum etiam societate iuris contineri.

 

[46] Cic., De leg., I. 43 : Atqui si natura confirmatura ius non erit, uirtutes omnes tollantur... Nam haec nascuntur ex eo quod natura propensi sumus ad diligendos homines, quod fundamentum iuris est.

 

[47] Cic., De offic., II. 10 : quicquid enim iustum sit, id etiam utile esse censent.

 

[48] Cic., De leg., I. 42 : Iam uero illud stultissimum, existimare omnia iusta esse quae s<c>ita sint in populorum institutis aut legibus. Etiamne si quae leges sint tyrannorum? ... Est enim unum ius quo deuincta est hominum societas et quod lex constituit una, quae lex est recta ratio imperandi atque prohibendi. Quam qui ignorat, is est iniustus, siue est illa scripta uspiam siue nusquam.

 

[49] Cic., De offic., I. 102 : rationi ... sunt subiecti lege naturae.

 

[50] Cic., De offic., I. 100 : ... naturae ; quam si sequemur ducem, nunquam aberrabimus...

 

[51] Cic., De offic., I. 22 : atque, ut placet Stoicis, quae in terris gignantur, ad usum hominum omnia creari, homines autem hominum causa esse generatos, ut ipsi inter se aliis alii prodesse possent, in hoc naturam debemus ducem sequi...

 

[52] Verg., Georg., I. 51-56 ; 60-63 : uentos et uarium caeli praediscere morem / cura sit ac patrios cultusque habitusque locorum, / et quid quaeque ferat regio et quid quaeque recuset. / hic segetes, illic ueniunt felicius uuae, / arborei fetus alibi atque iniussa uirescunt / gramina ... continuo has leges aeternaque foedera certis / imposuit natura locis, quo tempore primum / Deucalion uacuum lapides iactauit in orbem, / unde homines nati, durum genus.

 

[53] Cic., De nat. deor., II. 13 : quam ceperimus ex magnitudine commodorum, quae percipiuntur caeli temperatione fecunditate terrarum aliarumque commoditatum complurium copia.

 

[54] Cic., De divin., I. 79 : non videmus, quam sint varia terrarum genera? ex quibus et mortifera quaedam pars est, ... et sunt partes agrorum aliae pestilentes, aliae salubres, aliae, quae acuta ingenia gignant, aliae, quae retunsa ; quae omnia fiunt et ex caeli varietate et ex disparili adspiratione terrarum ; Cic., De fat., 7 : Inter locorum naturas quantum intersit, videmus ; alios esse salubris, alios pestilentis, in aliis esse pituitosos et quasi redundantis, in aliis exsiccatos atque aridos... Ut igitur ad quasdam res natura loci pertinet aliquid, ad quasdam autem nihil...

 

[55] Cic., De divin., II. 93-94 : ...confitendum sit illis eos, qui nascuntur eodem tempore, posse in dissimilis incidere naturas propter caeli dissimilitudinem ; quod minime illis placet... 94. Sed quae tanta dementia est, ut in maxumis motibus mutationibusque caeli nihil intersit, qui ventus, qui imber, quae tempestas ubique sit? quarum rerum in proxumis locis tantae dissimilitudines saepe sunt, ut alia Tusculi, alia Romae eveniat saepe tempestas ; II. 96-97 : dissimilitudo locorum nonne dissimilis hominum procreationes habet? ... 97. Ex quo intellegitur plus terrarum situs quam lunae tactus ad nascendum valere.

 

[56] Cic., De leg. agr., II. 95 : non ingenerantur hominibus mores tam a stirpe generis ac seminis, quam ex eis rebus, quae ab ipsa natura nobis ad vitae consuetudinem suppeditantur, quibus alimur et vivimus. Carthaginienses fraudulenti et mendaces non genere, sed natura loci... Ligures duri atque agrestes ; docuit ager ipse nihil ferendo nisi multa cultura et magno labore quaesitum. Campani semper superbi bonitate agrorum et fructuum magnitudine, urbis salubritate....

 

[57] Sul diritto naturale dei filosofi greci antichi ved. : Маковельский, А., Древнегреческие атомисты. Баку, 1946, 267-275 ; Томсон, Дж.О., История древней географии. М., 1953, 162 сл. ; Flückiger, F., op. cit., 86-185.

 

[58] Polyb., IV. 21 : θεωροῦντες δὲ τὴν τῶν ἠθῶν αὐστηρίαν, ἥτις αὐτοῖς παρέπεται διὰ τὴν τοῦ περιέχοντος ψυχρότητα καὶ στυγνότητα τὴν κατὰ τὸ πλεῖστον ἐν τοῖς τόποις ὑπάρχουσαν, συνεξομοιοῦσθαι πεφύκαμεν πάντες ἄνθρωποι κατ´ ἀνάγκην.

 

[59] Strab., II. 3. 7 : kaˆ tšcnai d kaˆ dun£meij kaˆ ™pithdeÚseij ¢rx£ntwn tinîn kratoàsin aƒ ple…ouj ™n ÐpoiJoàn kl…mati. œsti dš ti kaˆ par¦ t¦ kl…mata, éste t¦ mn fÚsei ™stˆn ™picèri£ tisi t¦ dœqei kaˆ ¢sk»sei. oÙ g¦r fÚsei ‘Aqhna‹oi mn filÒlogoi..., ¢ll¦ m©llon œqei· oÛtwj oÙd Babulènioi filÒsofoi fÚsei kaˆ A„gÚptioi, ¢ll¢sk»sei kaˆ œqei.

 

[60] Vitruv., Archit., I. 1. 10 ; VI. 1. 1.

 

[61] Cic., De leg., I. 26 : Artes uero innumerabiles repertae sunt, docente natura, quam imitata ratio res ad uitam necessarias sollerter consecuta est.

 

[62] Cic., De nat. deor., II. 152 : quasque res violentissimas natura genuit earum moderationem nos soli habemus, maris atque ventorum, propter nauticarum rerum scientiam... nos campis nos montibus fruimur, nostri sunt amnes nostri lacus, nos fruges serimus nos arbores ; nos aquarum inductionibus terris fecunditatem damus, nos flumina arcemus derigimus avertimus ; nostris denique manibus in rerum natura quasi alteram naturam efficere conamur.

 

[63] Cic., De offic., II. 13 : Adde ductus aquarum, derivationes fluminum, agrorum inrigationes, moles oppositas fluctibus, portus manu factos, quae unde sine hominum opere habere possemus?

 

[64] Cic., De rep., I. 27 : cui soli vere liceat omnia non Quiritium, sed sapientium iure pro suis vindicare, nec civili nexo, sed communi lege naturae, quae vetat ullam rem esse cuiusquam nisi eius, qui tractare et uti sciat ; qui inperia consulatusque nostros in necessariis, non in expetendis rebus, muneris fungendi gratia subeundos, non praemiorum aut gloriae causa adpetendos putet.

 

[65] Vitium loci – Paul., D. 39. 2. 10 ; Ulp., D. 39. 2. 15. 3 ; D. 39. 2. 24.2 ; D. 39. 2. 24. 9 ; D. 39. 2. 24. 12.

 

[66] Tac., Ann., I. 76 : Eodem anno continuis imbribus auctus Tiberis plana urbis stagnaverat ; relabentem secuta est aedificiorum et hominum strages... sed remedium coercendi fluminis Ateio Capitoni et L. Arruntio mandatum... 79. Actum deinde in senatu ab Arruntio et Ateio an ob moderandas Tiberis exundationes verterentur flumina et lacus, per quos augescit ; auditaeque municipiorum et coloniarum legationes, orantibus Florentinis ne Clanis solito alveo demotus in amnem Arnum transferretur idque ipsis perniciem adferret. congruentia his Interamnates disseruere : pessum ituros fecundissimos Italiae campos, si amnis Nar (id enim parabatur) in rivos diductus superstagnavisset. nec Reatini silebant, Velinum lacum, qua in Narem effunditur, obstrui recusantes, quippe in adiacentia erupturum ; optume rebus mortalium consuluisse naturam, quae sua ora fluminibus, suos cursus utque originem, ita finis dederit ; spectandas etiam religiones sociorum, qui sacra et lucos et aras patriis amnibus dicaverint... in sententiam Pisonis concederetur, qui nil mutandum censuerat. Cfr. Tac., Ann., XV. 42.

 

[67] Tac., Ann., IV. 63 : cautumque in posterum senatus consulto ... neve amphitheatrum imponeretur nisi solo firmitatis spectatae.

 

[68] Maschi, C.A., La concezione naturalistica del diritto e degli istituti giuridici romani, Milano, 1937, 157 s. ; Bretone, M., Tecniche e ideologie dei giuristi romani, Napoli, 1982, 32-34 ; История политических и правовых учений. Древний мир, Отв. ред. В.С. Нерсесянц. М., 1985, 279 ; Vander Waerdt, P.A., Philosophical influence on Roman Jurisprudence? The case of Stoicism an natural Law, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II.36.7, Berlin-New York, 1994, 4851 s.

 

[69] Cic., De fin., IV. 8 : Sequitur disserendi ratio cognitioque naturae... in his igitur partibus duabus nihil erat, quod Zeno commutare gestiret.

 

[70] Bretone, M., op. cit., 34. Vedi anche Diog. Laert., III. 8 ; VIII. 84-95.

 

[71] In questo senso è molto caratteristica la scena dell’inizio del dialogo tra l’epicureo Pomponio, l’accademico e peripatetico Pisone e Cicerone, secondo cui costui sicuramente era ammiratore di Pitagora (Cic., De fin., V. 2. 4).

 

[72] Più dettagliatamente sull’influenza del pitagorismo vedi Tondo, S., Profilo di storia costituzionale romana, I, Milano, 1981, 48-55 ; Кофанов, Л.Л., Lex и ius : Возникновение и развитие римского права в VIII-III вв. до н.э. М., 2006, 289-293.

 

[73] Iust., Inst., II. 1. 11. Singulorum autem hominum multis modis res fiunt : quarundam enim rerum dominium nanciscimur iure naturali, quod, sicut diximus, appellatur ius gentium, quarundam iure ciuili. commodius est itaque a uetustiore iure incipere. palam est autem uetustius esse naturale ius, quod cum ipso genere humano rerum natura prodidit. Cfr. D. 41. 1. 1.

 

[74] Cic., De leg., III. 49 : Nos a<u>t<em> de iure nat<ur>ae cogitare per nos atque dicere debemus, de iure populi Romani, quae relicta sunt et tradita.

 

[75] Vedi per esempio: Schiavone A. Per una storia del giusnaturalismo romano, in Testi e problemi del giusnaturalismo romano, cit., 3-10.

 

[76] Ved. per esempio: Куббель Л.Е. Очерки потестарно-политической этнографии. М., 1988. 95-103.

 

[77] Топоров В.Н. Космогонические мифы // Мифы народов мира. Т. 2. М., 1982. 6-9.

 

[78] Дворецкий, И.Х., Латинско-русский словарь. М., 1976, 416.

 

[79] Cic., Pro Mil., 43 : ut Clodium nihil delectaret, quod aut per naturam fas esset aut per leges liceret.

 

[80] Serv., Ad Aen., VI. 438 : Fas obstat iura naturae.

 

[81] Frg. Bob. gramm., suppl. 542, 18 (Ad Aen. VI. 438) : Fas naturalis lex. Cfr. Pers., 5. 98 ; Manil., IV. 520. Più dettagliatamente su questo significato di fas ved. : Thesaurus Linguae Latinae, Vol. VI. 1, 287-296.

 

[82] Serv., Georg., I. 269 : ‘fas et iura sinunt’ : id est divina humanaque iura permittunt : nam ad religionem fas, ad homines iura pertinent.

 

[83] Vedi Kubitschek, Kastor, in RE X. 2, Stuttgart, 1919, 2350.

 

[84] Plut., R.Q., 10 E : æj K£stwr lšgei t¦ `Rwmaik¦ to‹j Puqagoriko‹j sunoikeiîn....

 

[85] Per il concetto di fas e nefas e la bibliografia vedi Sini, F., Sua cuique civitati religio. Religione e diritto pubblico in Roma antica, Torino, 2001, 268-272.

 

[86] Catalano, P., Contributi allo studio del diritto augurale, Torino, 1960, 23 s., 294, 325, 401.

 

[87] Regell, P., De augurum publicorum libris, Part. I, Vratislaviae, 1878, 3-7 ; Linderski, J., The Augural Law, in ANRW II. 16, III, Berlin-New-York, 1986, 2230 s.

 

[88] Cic., De divin., II. 70 : Difficilis auguri locus ad contra dicendum. Marso fortasse, sed Romano facillumus. Non enim sumus ii nos augures, qui avium reliquorumve signorum observatione futura dicamus. Et tamen credo Romulum, qui urbem auspicato condidit, habuisse opinionem esse in providendis rebus augurandi scientiam (errabat enim multis in rebus antiquitas), quam vel usu iam vel doctrina vel vetustate immutatam videmus.

 

[89] Cic., De divin., I. 105 : Cui quidem auguri vehementer adsentior ; solus enim multorum annorum memoria non decantandi augurii, sed divinandi tenuit disciplinam.

 

[90] Fest. P. 197 L.: Oscinum tripudium est, quod oris cantu significat quid portendi; cum cecinit corvus, cornix, noctua, parra, picus. Fest. P. 197 L.: Oscines aves Ap. Claudius esse ait, quae ore canentes faciant auspicium, ut corvus, cornix, noctua... Cfr. Cic. Nat. deor. II. 160.

 

[91] Plin. N.H. XVIII. 362-363: garrula – at sereno tempestatem –, corvique singultu quodam latrantes seque concutientes, si continuabunt, serenum <diem>; si vero carptim vocem resorbebunt, ventosum imbrem. Graculi sero a pabulo recedentes hiemem, et albae aves cum congregabuntur et cum terrestres volucres contra aquam clangores dabunt perfundentque sese, sed maxime cornix, hirundo tam iuxta aquam volitans, ut pinna saepe percutiat, quaeque in arboribus habitant, fugitantes in nid<o>s suos, et anseres continuo clangore intempestivi, ardea in mediis harenis tristis.

 

[92] Lucr. V. 1083-1086: et partim mutant cum tempestatibus una / raucisonos cantus, cornicum ut saecla vetusta / corvorumque gregis ubi aquam dicuntur et imbris / poscere et inter dum ventos aurasque vocare; Plin. N.H. X. 33: corvi in auspiciis soli videntur intellectum habere significationum suarum... pessima eorum significatio, cum gluttiunt vocem velut strangulati.

 

[93] (Ulp.) D. 50. 16. 38 : ‘Ostentum’ Labeo definit omne contra naturam cuiusque rei genitum factumque. duo genera autem sunt ostentorum : unum, quotiens quid contra naturam nascitur, tribus manibus forte aut pedibus aut qua alia parte corporis, quae naturae contraria est : alterum, cum quid prodigiosum uidetur, quae <G>raeci fant£mata uocant.

 

[94] Guarino, A., L’ordinamento giuridico romano, Napoli, 1990, 135.

 

[95] Сини Ф. Право и pax deorum в древнем Риме [Sini, F., Diritto e pax deorum in Roma antica], in Ius Antiquum, Древнее право 19, 2007, 10 s.

 

[96] Idem, 19 s.

 

[97] Vedi Linderski, J., op. cit., 2245 (rinvio ai fasti augurali nel C.I.L. 6, 1976) ; Huelson, Ch., Neues Fragment der Auguralfasten, in Jahreshefte d. Österr. Arch. Inst.13, 1910, 253-256 ; Münzer, F., Zu den Fasti Augurum, in Hermes 52, 1917, 152-155.

 

[98] Сини Ф. Право и pax deorum в древнем Риме [Sini, F., Diritto e pax deorum in Roma antica], 24.

 

[99] Serv., in Verg. Georg., I. 268 : feriae enim operae deorum creditae sunt. sane feriis terram ferro tangi nefas est, quia feriae deorum causa instituuntur, festi dies hominum quoque.

 

[100] Serv. in Verg. Georg. I. 270 ; Cat. agr. 4 ; Verg. I. 268-272.

 

[101] Сини Ф. Право и pax deorum в древнем Риме [Sini, F., Diritto e pax deorum in Roma antica], 26.

 

[102] Linderski, J., op. cit., 2173-2177.

 

[103] Idem, 2184.

 

[104] Cic., De leg., II. 21 : Interpretes autem Iouis optumi maxumi, publici augures... urbemque et agros et templa liberata et effata habento.

 

[105] Cic., De leg., II. 21 : publici augures... uineta uirgetaque salutem populi auguranto.... Sul legame stretto del significato del verbo augurare e del verbo augere (aumentare, fecondare, far crescere) vedi Catalano, P., op. cit., 27-31. Vedi anche il commento del citato brano di Cicerone : Linderski, J., op. cit., 2177-2180 ; Vaahtera, J., Roman augural lore in greek historiography. A study of the theory and terminology, Stuttgart, 2001, 133-136.

 

[106] (Cels.) D. 50. 16. 86 : Quid aliud sunt ‘iura praediorum’ quam praedia qualiter se habentia : ut bonitas, salubritas, amplitudo?

 

[107] Behrends, O., Bodenhoheit und Bodeneigentum im Grenzwesen Roms, in Die römische Feldmesskunst, Göttingen, 1992, 213–243 ; Gargola, D.J., Lands, Laws and Gods. Magistrates and Ceremony in the Regulation of Public Lands in Republican Rome, Chapel Hill & London, 1995, 35-50.

 

[108] Il testo vedi sopra, nota 30.

 

[109] Lex XII Tab., VII. 8a (= Pomp., D. 40. 7. 21 pr.) : ... uerba legis XII tab. ueteres interpretati sunt « si aqua pluuia nocet », id est « si nocere poterit ; 8b. (= Paul., D. 43. 8. 5) : Si per publicum locum riuus aquae ductus priuato nocebit, erit actio priuato ex lege XII tab., ut noxa domino ut noxa domino sarciatur.

 

[110] Cic., Top., 9. 38-39 : ut aqua pluuia ultimo genere ea est quae de caelo ueniens crescit imbri ; sed propriore loco, in quo quasi ius arcendi continetur, genus est aqua pluuia nocens, eius generis formae, loci ultio et manu nocens ; quarum altera iubetur ab arbitro coerceri, altera non iubetur.

 

[111] Sui responsa degli auguri vedi Linderski, J., op. cit., 2154 s.

 

[112] Su Catone augure vedi Linderski, J., op. cit., 2154.