N. 8 – 2009 – Tradizione-Romana

 

Antun Malenica

Professore Emerito

Università di Novi Sad, Serbia

 

La difesa delle persone nel Codice dello zar Dušan

 

Riassunto: Il codice dello zar Dušan (Dušanov zakonik) fortemente afferma il principio della legalità. Il codice, emanato a causa di rinforzamento del potere imperiale, nei paragrafi abbastanza numerosi, protegge tutte le persone, indipendente dal loro status sociale, contro tutti atti illegittimi. Fatto menzionato è molto insolito per il codice medievale che è emanato nell'anno 1349, con ammendamento del 1354. L'autore indica le circostanze sociali, culturali e ideologiche che potevano essere alla base della legislazione dello zar.

 

 

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il principio di legalità nelle norme che regolano i rapporti feudali. – 3. Il principio della legalità nelle norme che riguardano i tribunali. – 4. Le posizioni degli storici serbi sul codice e sulle sue prescrizioni che riguardano la legalità. – 5. Alcune nostre considerazioni sulle norme che riguardano la legalità.

 

 

1. – Introduzione

 

Il principio della legalità è uno dei principi giuridici fondamentali su cui s’insiste oggi molto. Dopo l’abolizione dell’ordinamento sociale feudale, i principi della costituzionalità e della legalità sono stati incorporati negli ordinamenti degli stati moderni. Tuttavia principio menzionato non è sconosciuto agli ordinamenti sociali e giuridici antecedenti a questi nostri contemporanei. Bellissimo esempio scopriamo nel codice serbo medievale, promulgato dallo zar Stefan Dušan all'epoca dell'ascesa dello stato serbo medievale a causa di rinforzamento del potere imperiale. Questo codice, che veniva applicato su tutto il territorio dell’impero dei Serbi e Greci fondato da Dušan, è l’atto più importante del XIV secolo, ovvero dell’epoca feudale, non soltanto per i Serbi, ma anche per tutti Slavi meridionali. Opposto al fatto menzionato, la scienza storica a livello mondiale non ha valutato questo codice in maniera adeguata, specialmente sue norme che concernono la legalità. Sopra detto viene spiegabile quando si prende in considerazione il fatto che si tratta del codice appartenuto ad un piccolo popolo che non ha avuto un ruolo decisivo nella storia europea.

Zar Dušan è il sovrano serbo medievale più importante. Sotto la sua guida lo stato serbo raggiunse il culmine della sua ascesa. Il suo confine settentrionale coincideva con i fiumi Sava e Danubio. Oltre al territorio della Serbia attuale lo stato di Dušan, a sud, comprendeva l'attuale Macedonia e la parte settentrionale della Grecia, fino a Salonicco. Siccome la sua sovranità comprendeva anche il territorio dell’attuale Albania, i confini dello stato ad occidente arrivavano al mare Ionio e all’area meridionale del mar Adriatico, e ad est al mar Egeo. Dušan fu proclamato zar nella città di Serre, nel 1345, ed incoronato a Skopje (attuale Macedonia) nel 1346. Il suo titolo era Zar dei Serbi e dei Greci. Morì nel dicembre del 1355. Dopo la sua morte l’impero serbo perde la sua forza. Dopo la battaglia di Kosovo polje del 1389, cade in vassallaggio, e dopo la caduta di Smederevo, nel 1459, perde completamente la sua indipendenza e questi territori diventano parte del potente impero ottomano.

All’assemblea dei feudatari laici ed ecclesiali tenuta a Skopje nel 1349, Dušan promulgò un codice che aveva 135 articoli. Dopo cinque anni, nel 1354, ne completò il testo e nella città di Serre furono promulgati gli articoli dal 136 al 201. Le trascrizioni più antiche del codice sono quella di Struga, ritrovata nel monastero di Struga e quella di Athos, trovata sulla Montagna Santa. La prima fu compilata attorno al 1395, mentre la seconda risale al 1418.

Questo codice era parte di un corpus giuridico tripartito che era applicato nello stato di Dušan, composto da un testo abbreviato del Sintagma di Matteo Blastar, dalla Legge di Giustiniano e dal Codice di Dušan. La prima componente innanzi tutto conteneva le regole del diritto civile romano bizantino. Col termine serbo la Legge di Giustiniano (Justinijanov zakon) si intende la compilazione e la traduzione di testo del Nómos gheorghikós di Giustiniano iI che regolava i rapporti agrari. Il Codice di Dušan era la terza parte, quella finale della codificazione del diritto nello stato dei Nemanjiči. Che veramente a quell'epoca venisse considerato parte integrante della codificazione generale del diritto nella Serbia del tempo è dimostrato dal fatto che in tutte le trascrizioni antiche compare insieme con abbreviata Syntagma e con la Legge di Giustiniano e anche dal fatto che le norme dei tre testi giuridici si completano fra di loro.

A differenza  dell'abbreviata Syntagma e della Legge di Giustiniano, vale a dire della Nómos gheorghikós, che erano frutto della recezione del diritto romano bizantino, il Codice di Dušan era un atto autonomo e sovrano.  Era stato promulgato per essere applicato su tutto il territorio dell'impero e regolava l'organizzazione dell'amministrazione centrale e locale, i tribunali e i rapporti feudali essenziali. In questo senso il codice era un atto dell'ordine giuridico generale. Vi erano compresi anche elementi del diritto consuetudinario serbo.

Dal punto di vista della nomotecnica, il codice merita la più alta valutazione. Esso contiene il preambolo che ci racconta che questo codice era istituito nella  assemblea ortodossa costituita dai tutti i prelati e i sacerdoti, incluso il venerabile patriarca kir Joanakije, e  dallo zar Stefano con tutti i feudatari del suo impero, piccoli e grandi.[1] La parte normativa è divisa in articoli, e la lingua del codice è imperativa, precisa e senza parole superflue. A questo riguardo codice si distingue fortemente dalla retorica delle Novelle degli imperatori bizantini. Questo testimonia dell’alta cultura giuridica delle persone che redassero il testo. Siccome alla corte dei sovrani serbi gli affari giuridici non erano affidati a giuristi educati ma ai sacerdoti, questo testimonia anche della loro eccezionale preparazione giuridica. La terminologia è di origine slava, tranne che in materia ecclesiastica per la quale si fa ricorso alla lingua greca.

 

 

2. – Il principio di legalità nelle norme che regolano i rapporti feudali

 

Zar Dušan fece compilare il suo codice per regolamentare i rapporti fondamentali all'interno del suo stato. Il codice, infatti, regola la posizione, i diritti e gli obblighi della chiesa, dei piccoli e grandi feudatari e della popolazione suddita. Le norme in questione confermano che questi rapporti in sostanza non si distinguono da quelli che esistevano in Europa negli altri stati feudali. I signori feudali avevano l'obbligo del servizio militare, mentre i ceti sottomessi avevano doveri in denaro e di lavoro. Leggendo il codice, la prima impressione è prodotta dalla constatazione che, nella regolamentazione delle singole materie, codice insiste continuamente sul rispetto delle norme adottate, in altre parole sulla legalità. Detto vale sia nel caso dei dignitari ecclesiastici, sia per i feudatari laici o per i sudditi.

In cambio delle loro prestazioni militari i feudatari ricevevano terre. L’articolo 39 del codice contiene la norma secondo la quale i poderi dei piccoli come dei grandi feudatari, a prescindere che si trattasse di Serbi o di Greci, sono saldi, cioè garantiti.[2] Inoltre l’articolo 43 dice che né lo zar, né il re, né zarina può sottrarre con la forza la terra al feudatario e neppure costringere il feudatario a vendere i suoi possessi o a scambiarli.[3] Questa norma, nella prassi, veniva rispettata.  Detto attestano i documenti che ci parlano degli arrotondamenti dei possedimenti donati ai monasteri.[4]

I ceti sottomessi, ‘sebar’ e ‘meropah’, erano gravati da imposizioni precisamente indicate dalla legge. Ai ‘meropah’, per legge, era vietato sottrarre qualsiasi cosa contro la legge. Nell’articolo 139 leggiamo: se il ‘meropah’ subisce qualcosa contro la legge, l’imperatore ordina che ciascun ‘meropah’ ha diritto di fare un processo col proprio signore, lo zar stesso, la zarina, la chiesa o il feudatario e a nessuno non è permesso impedirgli di rivolgersi al tribunale. Nel medesimo articolo si aggiunge che in questa causa i giudici devono giudicare secondo giustizia, vale a dire rispettando il codice, e se il ‘meropah’ vince la causa, il giudice deve garantirgli che gli venga pagato quanto sentenziato e che il signore non gli rechi danno.[5]

La stessa idea sulla riscossione legittima dei tributi viene trasformata in norma giuridica anche nel caso degli incassi dei tributi nelle città. L’articolo 63 prescrive che i governatori delle città, ‘kefalije’, raccolgano quanto loro spetta solo in accordo con la legge.[6]

L’articolo 142 prevede una multa per il feudatario che abusi del proprio potere riscuotendo tributi contro la legge. Vi si legge: ‘al feudatario, grande e piccolo, cui lo zar abbia dato terre e città, se saccheggia i villaggi e vessa le persone contro mia legge che io ho sanzionato, che si sottragga il possedimento (feudo) e paghi quanto ha distrutto con i propri averi e sia punito come fosse passato al nemico.’[7]

 

 

3. – Il principio della legalità nelle norme che riguardano i tribunali

 

L’affermazione del principio di legalità come di uno dei principi fondamentali nel sistema dello stato di Dušan ebbe come conseguenza la formulazione di quaranta articoli del codice che riguardano i tribunali e il procedimento giudiziario. Il codice insiste nel proclamare che i contrasti devono essere risolti in tribunale e non con autodifesa. Poi, quanto al procedimento giudiziario, esige l'applicazione corretta delle regole della procedura e delle norme sostanziali del codice. I giudici godono una protezione speciale. L’articolo 111 ingiunge che al feudatario che offenda il giudice venga sottratta tutta la proprietà e se a farlo sia un abitante del villaggio, il villaggio verrà distrutto e sequestrate tutte le sue proprietà.[8] Indubbiamente, nell’intenzione del codice, i giudici sono organi con il compito di assicurare il rispetto della legalità, contribuendo, così, al rafforzamento del potere centrale dello zar. Vediamo anche  alcune altre disposizioni del codice.

L’articolo 101 proibì a ciascuno di servirsi della forza.[9] Poì, la convocazione in giudizio del convenuto avene in forma scritta. I grandi feudatari vennero convocati con lettera del giudice ed altri con sigilum citationis[10], che sigillo fu preso dalla prassi delle città dalmate.[11] La convocazione si effettua sempre in presenza dell'aggiunto (pristav) il quale era rappresentante del potere forense. Secondo articolo 163 la sentenza è sempre scritta, viene deposita nell'archivio forense[12], per assicurare il principio ne bis in idem, di cui parla articolo 181[13].

Viene regolato anche il procedimento di esecuzione delle sentenze. Le multe vengono riscosse dagli impiegati al seguito del giudice[14], mentre i condannati per i reati penali possono essere rinchiusi nel carcere imperiale soltanto in base al diploma dello zar[15]. Non è trascurata neppure la problematica della soluzione dei contenziosi con gli stranieri. Articolo 153, introduce il giurato misto per le liti tra i "Latini e Serbi", composto dall'uguale numero dei giurati Ragusei e Serbi[16].

Fra le norme sui tribunali l’articolo 172 attira particolarmente l’attenzione degli storici. Vi viene prescritto a tutti i giudici di giudicare secondo la legge, “proprio come sta scritto nel codice senza giudicare per paura di me (cioè di Dušan)”[17]. In correlazione con questa disposizione, l’articolo 171 risolve il problema dell’eventuale collisione tra gli ordini imperiali e le disposizioni del codice.  Secondo quest’articolo, quando la parte mostra al giudice una epistola dello zar, di che il codice dice che sia “conseguenza dell’ira, dell’amore o di un particolare favore imperiale”, ma che è contraria alle prescrizioni del codice, il giudice non deve prenderla in considerazione. Deve giudicare “secondo giustizia[18]. L’articolo 105 parla della sorte di tali atti imperiali. Il giudice deve annullare tali documenti contrari al codice, sottraendoli alla parte e mandandoli all’imperatore.[19] Le disposizioni degli articoli 172, 171 e 105 sono concordanti e senza ombra di dubbi indicano la volontà dello zar che i tribunali operassero secondo la legge e che quindi il sovrano non fosse legibus solutus, bensì alligatus.

 

 

4. – Le posizioni degli storici serbi sul codice e sulle sue prescrizioni che riguardano la legalità

 

Tutti storici serbi sono concordi nell’affermare che il Codice di Dušan è il testo giuridico più importante della Serbia feudale. Considerato il fatto che il codice ha un preambolo e che regola tutti i rapporti più importanti della società serba del tempo e che insiste sull’applicazione coerente del diritto in esso esposto, una parte degli storici (D. Mijušković, S. Novaković, S. Šarkić) rileva che il codice dal punto di vista sostanziale in certa misura ha il carattere di costituzione dello stato feudale e tira fuori lo stato serbo dalla cerchia dei regimi dispotici collocandolo fra le monarchie costituzionali. Altri, per esempio J. Prodanović, attribuiscono allo stato serbo medievale il carattere di monarchia assoluta e perciò negano carattere costituzionale delle norme[20].

La risposta alla domanda da dove provengono le norme del codice che tengano la legalità divideva altrettanto nel passato gli storici serbi. Secondo F. Zigelj, S. Novaković, M. Kostrenčić e la maggioranza dei ricercatori, le norme sulla legalità sono frutto dello sviluppo del diritto serbo. Secondo N. Radojčić, invece, articoli più importanti che riguardano la legalità (art. 171 e 172) sono recepiti dal diritto bizantino. I modelli erano una novella del Manuele I Komnenos, oppure gli articoli VII, 1, 16 e VII, 1, 17 dei Basilica. Oggi, dopo l’analisi e le nuove prove di S. Šarkić, possiamo concludere con gran certezza che il contenuto del articolo 171 corrisponde all’articolo VII, 1, 16 dei Basilica e quello del 172 all’articolo VII, 1, 17[21].

In ultimo gli storici serbi non sono concordi sull’ampiezza dell’applicazione delle norme che riguardano la legalità. L’ostacolo principale alla formulazione di una valutazione completa del valore di questo codice è dato dalla mancanza di fonti scritte, che testimonino in quale misura esso venisse applicato. Le sentenze promulgate e l’archivio della corte serba, che certamente dovevano esistere, non sono sopravissuti al dominio multisecolare degli Ottomani. In mancanza di tali fonti, alcuni storici (N. Radojčić) sostengono la tesi che sul principio della legalità s’insisteva prima di tutto sul territorio bizantino appena conquistato, per facilitare l’esercizio della sovranità serba sui territori conquistati di recente, ma non nella stessa misura sulle terre abitate dalla popolazione serba[22]. R. Mihaljčić ritiene che nella prassi non poteva essere applicata in nessun modo la disposizione secondo cui il ‘meropah’ sottomesso poteva fare il processo contro suo signore, e specialmente contro lo zar, perciò questa disposizione era di gran lunga avanti rispetto al proprio tempo e alla propria realtà.[23] Secondo D. Janković, il quale prende in considerazione i rapporti esistenti nella società feudale, le norme menzionate avevano carattere dichiarativo e probabilmente non erano mai applicate[24]. S. Šarkić, ritiene che le norme sulla legalità, introdotte nel codice con l’intenzione seria, non potevano essere applicate a causa della disintegrazione dello stato serbo dopo la morte del Dušan[25].

 

 

5. – Alcune nostre considerazioni sulle norme che riguardano la legalità

 

Noi dubitiamo che nell’attività codificatoria, in cui s’inseriscono le norme principali di qualsiasi società, le norme possono essere scritte a caso, oppure le norme possano essere di gran lunga avanti al proprio tempo ed alla propria realtà. Bisogna soltanto interpretarle in modo corretto.

Dopo le conquiste importanti e l’assunzione del titolo imperiale, la promulgazione di un codice con cui organizzare i rapporti più importanti nell’impero era una mossa logica e necessaria. L’obiettivo, indubbiamente, era quello di rafforzare l’autorità dello zar e di garantire la pace nell’impero.

Quanto alla coerenza con cui Dušan insiste sul principio della legalità, non è necessario, come fanno alcuni storici, esprimere scetticismo e affermare che non fosse quella una seria intenzione dell’imperatore. A nostro modo di vedere almeno due forti motivi indussero lo zar ad insistere su quel principio, il desiderio di amministrare il suo impero con efficacia e la volontà di tenere sotto controllo la nobiltà feudale.

Quanto al primo motivo, zar Dušan ha preso in considerazione le varietà tra i differenti parti all'interno del suo impero. Nell'articolo 176, sotto il titolo Delle città, scrisse una formula molto significativa: "Tutte le città della mia terra imperiale siano sottoposte nell’interezza alle leggi che furono durante i primi zar"[26]. L'espressione "i primi zar" (u prvih car) evidentemente sottintende gli imperatori bizantini. Non c'è dubbio che la regola significa che lo zar garantisce l'inviolabilità dell'ordinamento giuridico delle città greche, oppure, in altre parole, l'intero diritto romano bizantino venne riconosciuto ed incluso nell'ordinamento giuridico dello stato serbo. Era stato altrettanto garantito ai Sassoni delle città minerarie il diritto di proprietà sulla terra occupata[27]. Poi, alle città rivierasche della costa adriatica era stato consentito di vivere secondo i loro statuti. Pertanto, l’insistente richiamo alla legalità, vale a dire al rispetto delle norme del codice, non poteva causare alcun problema quanto al governo di tutto l’impero.

Quanto ai rapporti di Dušan con la nobiltà feudale serba, questi, con tutta probabilità, non erano semplici. Possiamo fondatamente supporre che fu grande l'autorità e il potere militare dell’uomo che aveva ampliato lo stato elevandolo al rango d’impero, assumendo lui stesso il titolo dello zar. Del resto questo è quanto emerge anche dallo stile delle disposizioni del codice. Zar Dušan considerò le norme varate come l'espressione della propria volontà. Quanto detto ci è mostrato con chiarezza da molti paragrafi del suo codice. La formula che qualsiasi delle norme proviene dalla volontà dello zar (zakon carstva mi) si apparisce per esempio, negli articoli 34, 78, 142 e 159, e secondo l’articolo 105 anche intero codice proviene dalla volontà dell'imperatore (zkonik carstva mi). Le cose fin qui menzionate sono la conseguenza logica del fatto che era lui a tenere nelle sue mani tutto il potere.

D’altra parte è un fatto accertato che nel feudalesimo europeo, e quindi anche in Serbia, i rapporti fra i signori feudali erano sempre gravati dalla sfiducia e dalle grandi ambizioni dei feudatari rivolte alla conquista del trono. Ecco perché dobbiamo dare gran peso al fatto che Dušan ha affermato nel preambolo del codice che esso è emanato all’assemblea dei piccoli e grandi feudatari e dei dignitari ecclesiastici. Questo consenso, mentre testimonia il potere di Dušan, sta anche a segnalare un vero equilibrio delle forze. Le prescrizioni del codice con cui vengono regolati i rapporti relativi ai possessi feudali, i rapporti fra lo zar e i feudatari e la posizione della chiesa avrebbe dovuto assicurare una maggiore sicurezza tanto allo zar, quanto alla nobiltà feudale.

Questa è appunto l’ottica nella quale consideriamo le norme del codice che parlano della legalità. La prescrizione che autorizza il ‘meropah’ a portare in tribunale il proprio feudatario non venne inserita nel codice soprattutto allo scopo di proteggere i ‘meropah’, ma piuttosto per impedire che i feudatari si trasformassero in signori assoluti e per porre fine agli scontri fra le classi nel cuore dello stato, perché questa tendenza poteva mettere in pericolo l’impero nel suo insieme. Altrettanto, il sovrano non inserì la disposizione che il codice era più forte delle sue singole norme perché avesse la visione dell’uguaglianza fra lui ed i suoi feudatari, grandi e piccoli, bensì perché voleva dire all’aristocrazia feudale ecco, vedete, come vale per voi, la legge vale anche per me.

Nella promulgazione di questo codice vediamo, oltre alle circostanze attuali della società serba, anche l’adozione di un modello culturale romano bizantino secondo che il potere imperiale deve essere sostenuto da una legislazione adeguata. Questo modello, inoltre, era ben noto a Dušan, che in gioventù, con tutta probabilità a cominciare dal 1314, aveva trascorso alcuni anni a Costantinopoli, all’epoca in cui suo padre Stefan Uroš III vi era stato relegato in esilio perché aveva tentato di detronizzare il proprio padre Stefan Uroš Milutin. L'influsso culturale romano bizantino non è visibile soltanto nella semplice promulgazione di questo codice. Dušan, infatti, adottò anche il sistema bizantino dei titoli e delle cariche, e sul modello bizantino organizzò anche la cancelleria imperiale e il sistema dell’amministrazione locale. Poi, secondo tradizione bizantina, l’imperatore poteva essere incoronato soltanto dal patriarca. Anche questo principio venne assunto da Dušan, che, quindi, elevò a questa dignità uno dei prelati serbi.

La matrice romana e bizantina della tutta attività legislativa di Dušan è testimoniata anche dal seguente episodio, annotato dal suo biografo. Nel 1331, quando è diventato il re, durante la cerimonia d’incoronazione, Dušan ha pregato Dio, scrisse il suo biografo, per aiuto nell’emanare "le migliori leggi e più perfetti costituzioni"[28]; vale a dire le migliori leggi laiche e quelle riguardanti la Chiesa ortodossa. Evidentemente lo zar aveva accettato la dottrina romana che arma et leges siano gli strumenti del regnante. Lui, quindi, considera il proprio potere allo stesso modo di come lo aveva considerato anche Giustiniano, nella costituzione Deo auctore:

 

(pr.) ... nostros animos ad dei omnipotentis erigimus.... (1.) Cum itaque nihil tam studiosum in omnibus rebus invenitur quam legum auctoritas, quae et divinas et humanas res bene disponit et omnem inquietatem expellit...ecc.

 

L’invito, rivolto a tutti, di comportarsi in obbedienza al codice, viene collegato nei numerosi articoli con la giustizia. Questa menzione indica, senza dubbio, la matrice culturale romana e bizantina. È questo il caso del già citato articolo 171, che parla di come debba agire il giudice quando l’atto dello zar sia in collisione con la legge. Il giudice, dice il codice, deve sentenziare secondo giustizia e non secondo l’atto del sovrano. Nel codice di Dušan non esiste una definizione di giustizia, ma la spiegazione di questo concetto la troviamo nell’abbreviata Syntagma di Matteo Blastar, che è parte integrante del corpus giuridico di Dušan. Secondo Syntagma giustizia è ‘l’aspirazione costante e persistente a riconoscere a ciascuno il suo diritto’. Syntagma definisce altrettanto l'equità che s’intende come ‘vivere tranquillamente, non offendere gli altri, dare a ciascuno decorosamente quanto gli appartiene’. Nel Syntagma si dice poi che c'è grande saggezza nella giustizia, perché presuppone la conoscenza delle cose divine e di quelle umane, la conoscenza di quello che è giusto e quello che non lo è. Quanto troviamo nella abbreviata Syntagma è la traduzione dei frammenti del primo libro del Digesto di Giustiniano[29]. Nella Serbia di Dušan, pertanto fu adottata la concezione romana e bizantina della giustizia.

I giuristi romani avevano ereditato gli insegnamenti sulla giustizia da Platone e da Aristotele per il tramite della filosofia stoica. Già in Cicerone troviamo la dottrina che il diritto è indissolubilmente collegato con il senso di giustizia. Dopo Cicerone i giuristi classici, del periodo del principato, collegavano il concetto di diritto, la sua sostanza, con il senso di equità. E’ nota la massima di Celso ius est ars boni et aequi. Con il cambiamento del sistema politico trasformatosi in dominato, gli imperatori cominciarono a legare il concetto di diritto alla propria volontà. L'evoluzione fu sommessa, ma coerente con il proprio indirizzo. Dall'idea di Costantino, secondo il quale solo lui era autorizzato a interpretare quanto fosse giusto, si arrivò a quella di Giustiniano che definiva diritto tutto quanto fosse stato da lui proclamato in quanto imperatore, giacché si proclamava legge vivente e la giustizia si attuava quando le sue leggi venivano applicate. Questa concezione apparteneva anche agli imperatori bizantini ed è quella che fu adottata da Dušan. C'era giustizia quando veniva applicato il codice di Dušan.

Se gli insistenti richiami di Dušan al principio della legalità si considerano in quest’ottica, essi non si collocano per niente fuori del proprio tempo. La società serba nell’epoca di Dušan non era composta da persone d’uguale condizione. Era una società costituita da ceti, la cui giustizia aveva carattere distributivo[30]. Maggiori diritti e una posizione migliore avevano coloro che davano i maggiori contributi in guerra. Insistendo sulla legalità, Dušan, in effetti, insiste proprio su questo. Dell’equa applicazione del diritto nel significato odierno della parola si può parlare solo in merito ai rapporti all’interno della medesima classe sociale, giacché soltanto in quest’ambito esiste una vera uguaglianza fra le persone. Pertanto, quando il codice ingiunge ai giudici di amministrare la giustizia secondo il codice, questo non significa affatto che tutte le persone siano uguali. La legalità nel Codice di Dušan è la legalità della società feudale. Come illustrazione volevamo citare soltanto due articoli del codice:

 

Articolo 50. Se un feudatario vitupera e offende un feudatario minore che paghi 100 perperi e se un feudatario minore vituperi un feudatario di rango maggiore che paghi 100 perperi e sia bastonato.

 

Articolo 55. Se un ‘sebar’ (cioè uomo sottoposto) vitupera un feudatario maggiore che paghi 100 perperi e gli venga bruciata la barba, e se un feudatario maggiore vitupera un ‘sebar’ che paghi 100 perperi.

 

Queste due norme, come molte altre del codice, mostrano che il rispetto delle leggi e l’amministrazione della giustizia secondo questo codice non può essere posta sullo stesso piano del principio di legalità come è inteso nelle società moderne. Il principio giuridico di legalità nel codice di Dušan, quindi, non e fuori dall’epoca di Dušan.

 

La descrizione dell’ambiente culturale dell’epoca di Dušan nel quale s’applicava il diritto e realizzava la giustizia sarebbe incompleta se non venissero ricordate anche le seguenti disposizioni. L’articolo 28 prevede che i poveri vengano nutriti dalle chiese, secondo la decisione del fondatore della chiesa, e l’articolo 64 prescrive che una povera vedova venga liberata dalle imposizioni feudali. L’articolo 179 obbliga i giudici viaggianti a correggere le ingiustizie fatte ad indigenti e poveri. Se a questi articoli si accosta la norma dell’articolo 24, che sanziona con l’esproprio dei beni l’impiegato della chiesa che si sia venduto, si può indubbiamente concludere che nel codice aveva trovato posto anche l’idea della giustizia in senso generalmente umano. Proprio a causa di tali disposizioni del codice e del fatto che Dušan intendeva la legalità e la giustizia in accordo con i criteri del tempo, siamo convinti che lo zar Dušan, proponendo il testo del codice all'assemblea di tutti i feudatari, laici ed ecclesiastici, credesse molto sinceramente di promulgare il migliore codice possibile, dal momento che esso non lo poneva nella condizione di un despota, bensì di un regnante che avrebbe governato sulla base di principi accettati. Suonano, infatti, molto sincere le sue parole che ci sono conservate nel manoscritto del Codice nella versione del monastero Rakovac:

 

Pertanto anch’io, il servo più devoto del Signore mio Cristo, da Dio incoronato e umile nella fede zar Stefan, reggendo in mano lo scettro nella fede, con il più amato figlio del mio impero, il re Uroš, e con la zarina da Dio donata, signora Jelena, volli istituire alcune leggi secondo le virtù più sincere e della fede ortodossa, come devono essere sostenute e difese nella santa chiesa ecumenica e apostolica del Signore Dio e del nostro Salvatore Gesù Cristo, per le terre e le città, perché non si moltiplichino sul territorio del nostro impero malvagità, pensieri maligni e l’astuto odio, ma piuttosto possiamo noi vivere in piena quiete e pacificamente e nell’osservanza della fede ortodossa con tutti gli uomini del nostro impero, piccoli e grandi, e possiamo assurgere al regno dei cieli nell’età futura. Amen.

 

 



 

[1] Si-že zakonik postavljajem ot pravoslavnago Sabora našego, crkovniki, malimi i velikimi, i mnoju blagovernim carem Stefanom preosveštenim patrijarhom kir-Joanikijem i vasemi arhijereji i crkovniki, malimi i velikimi, i mnoju, blagovernim carem Stefanom, i vasemi vlasteli carstva mi, malimi že i velikimi. Zakonom že sim složenija biše. (Le citazioni in lingua serba in quest’articolo sono prese dalla trascrizione di Prizren secondo l’edizione di S. Novaković del 1898: Zakonik Stefana Dušana cara srpskog 1349 i 1354, na novoizdao i objasnio Stojan Novaković, izd. Zadužbine Ilije M. Kolarca 91, Beograd 1898.)

 

[2] Art. 39. O vlasteleh i vlasteličićeh. Vlastele i vlasteličići, iže se obretaju u države carstva mi, Srblje i Grci, što jest komu dalo carstvo mi u baštinu i u hrisovulji i drže do sijega-zi sabora, baštine da su tvrde.

 

[3] Art. 43. O baštine po sile. Da nest voljan gospodin car, ni kralj ni gospožda carica nikomu uzeti baštine po sile, ni kupiti, ni zameniti, razve ako si kto sam poljubi.

 

[4] R. Mihaljčić, Dušanov zakonik u sudskoj praksi (Il codice del Dušan nella pressi forense),  Zbornik Dušanov zakonik – 650 godina od njegovog donošenja, Akademija nauka i umetnosti Republike Srpske, Naučni skupovi, knj. IV, Odeljenje društvenih nauka, knj. III, Banja Luka 2000. (Miscellanea), 45.

 

[5] Art. 139. Meropsima u zemlji Carstva mi da nije vlastan gospodar učiniti protiv zakona ništa; samo što je Carstvo mi zapisalo u Zakoniku to da mu rabota i daje. Ako li mu učini što nezakonito naređuje Carstvo mi da je vlastan svaki meropah parničiti se sa svojim gospodarom, ili sa Carstvom mi, i bilo s kim; da niko ne bude vlastan zadržati ga od suda Carstva mi,nego da mu sudije sude po pravdi. I ako meropah dobije parnicu protiv gospodara, da ujemči sudija Carstva mi kako da gospodar plati merophu sve u roku, potom da nije vlastan taj gospodar učiniti zlo merophu.

 

[6] Art. 63. O dohodku. Kepalije što su po gradoveh da uzimaju svoi dohodak zakonom, i da im se prodavaju žita i vina i mesa za dinar što inomu za dva; na građanin to-zi da mu prodava, a in nikto.

 

[7] Art. 142. O vlasteličićima. Vlastelin i vlasteličići kojima je Carstvo mi dalo zemlju i gradove: ako se ko od njih nađe da je oplenio sela i ljude zatro mimo zakona Carstva mi što je carstvo mi uzakonilo na saboru, da mu se oduzme posed i što bude satro da plati sve od svoga i da se kazni kao prebeglica.

 

[8] Art. 111. O sudijine sramote. Kto se naide sudiju osramotiv, ako bude vlastelin, da mu se vse uzme, ako li selo, da se raspe i pleni.

[9] Art. 101. O siliju. Sile da nest nikomu ništo u zemlji carstva mi.

 

[10] Art. 62. O pozovu vlasteoskom. Vlastelin veliji da se ne poziva bez knjige sudijine, a pročim pečat.

 

[11] T. Taranovski, Istorija srpskog prava u nemanjićkoj državi, III deo, (Storia del diritto serbo nello stato dei Nemagnici, Parte III), Beograd 1931, 179.

 

[12] Art. 163. O sudijah. Vsake sudije što sude da upisuju sudove i da drže u sebe, a drugu knjigu upisavše da ju dade onomu-zi koji se bude opravil na sude.

 

[13] T. Taranovski, op. cit.  219.

 

[14] Art. 188. Globarije koji stoje pri sudijah što osude sudije i upisavše dadu globarem, te-zi globe da uzimaju globarije. A što ne osude sudije i ne dadu upisavše globarem, da nesu voljni globarije ništa zabaviti nikomu. 

 

[15] Art. 185. O tamnice. Tem-žde obrazom kto drže tamnice carstva mi, da nikoga ne prime ničijega človeka bez knjige povelenija carstva mi.

 

[16] O trgovceh. Inovercem i trgovcem porotci polovina Srbalj a polovina njih družine, po zakonu svetago kralja.

Durante lo stato serbo medievale accanto ai fori interni ordinari continuamente giudicava anche il foro in cui vennero applicate anche le regole giuridiche delle città da Costa adriatica. Serbi e Ragusei avevano avuto un foro comune di provenienza consuetudinaria, stanak, in latino stanicum, che ebbe riunioni nel confine fra Serbia e Ragusa. Composto dai rappresentanti ufficiali di Serbia e Ragusa (stanicum magnum), oppure dai giudici specialmente nominati (stanicum parvum), quell foro giudicava non soltanto le cause statali ma anche quelle tra i privati. La giurisdizione dello stanicum parvum venniva negoziata nei contratti che vennivano conclusi tra Ragusei e Serbi. Come metodo da risolvere le liti, stanicum fu accettato già nel 1215, col trattato di Stefan Nemania con Ragusa. Durante il regno di re Milutin, col trattato del 1301, stanicum parvum fu sostituito da un foro misto, adesso nel territorio serbo, e composto dai due giudici, uno nominato dal potere serbo ed altro dalla comunanza locale dei Ragusei in Serbia.

 

[17] Art. 172. O sudijah. Vsake sudije da sude po zakoniku, pravo, kako piše  u zakoniku a da ne sude po strahu carstva mi.

 

[18] Art. 171. O zakone. Ješte poveleva carstvo mi. Ašte piše knjigu carstvo mi ili po srčbe, ili po ljubavi, ili po milosti za nekoga , a ona-zi knjiga razara zakonik, ne po pravde i po zakonu kako piše zakonik, sudije tu-zi knjigu da ne veruju, takmo da sude i vrše kako je po pravde.

 

[19] Art. 105. O potvoru knjižnom. Knjige careve koje prinose pred sudije za što ljubo, tere ih potvori zakonik carstva mi, što sam zapisal koju ljubo knjigu, one-zi knjize koje potvori sud, te-zi knjize da uzmu sudije i da i prinesu pred carstvo mi.

 

[20] Vedi: S. Šarkić, Elements of Constitutionality in Medieval Serbian Law, Ius commune, Zaitschrift für Europäische Rechtsgeschichte, Max-Planck-Instituts, Frankfurt am Main, XV, 1998, 44-45.

 

[21] Per i detagli vedi: S. Šarkić, op. cit., 48-50.

 

[22] N. Radojčić,  Snaga zakona po Dušanovom zakoniku ( La forza della legge nel codice di Dušan), Glas SKA 110 (1924), 138-139

 

[23] R. Mihaljčić, op. cit., 38.

 

[24] D. Janković, Historija države i prava feudalne Srbije (Storia dello stato e del diritto nella Serbia feudale), Beograd 1953, pp. 118-119. Citato secondo S. Šarkić, op. cit., 53.

 

[25] S. Šarkić, op. cit., 53-54.

 

[26] O gradoveh. Gradove vsi po zemlji carstva mi da su na zakone o vsem kako su bili u prvih car.

 

[27] Art. 123. O trgoveh. Što su kude posekli Sasi gore do sijega-zi sabora, tu-zi zemlju da imaju.

 

[28] "bolšimi zakoni i savršenimi ustavi", T. Taranovski, op. cit., Parte I, 124.

 

[29] Ulpianus libro primo regularum, D. 1.1.10 pr. Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi. 1. Iuris praecepta sunt haec: honeste vivere, alterum non laedere, suum quique tribuere. 2. Iuris prudentia est divinarum atque humanarum rerum notitia, iusti atque iniusti scientia.

 

[30] M. Popović, Pravda i Dušanovo zakonodavstvo/ La giustizia nella legiferazione di Dušan, Miscellanea, 116.