Seconda-pagina1[ISSN 1825-0300]

 

N. 9 – 2010 – Tradizione-Romana

 

 

Pierfrancesco Arces

Università del Piemonte Orientale "A. Avogadro"

 

Senatoconsulto Neroniano e legatum per praeceptionem

 

 

 

 

Sommario: 1. Delimitazione del tema. – 2. Riferimenti al senatoconsulto Neroniano nelle Istituzioni di Gaio, nei Vaticana Fragmenta e nei Tituli ex Corpore Ulpiani. – 3. Senatoconsulto Neroniano e legatum per praeceptionem nelle Istituzioni di Gaio: impostazione sabiniana e dispute interne alla scuola in merito alle ipotesi di legatum per praeceptionem invalido. – 4. Impostazione e soluzione del problema nella scuola proculiana. – 5. Rapporto tra il senatoconsulto Neroniano e lo sviluppo storico delle singole figure di legato. – 6. Anteriorità della disputa sabiniano-proculiana in tema di validità del legatum per praeceptionem rispetto all’emanazione del Neroniano. – 7. Conclusioni e ulteriori prospettive di ricerca.

 

 

1. – Delimitazione del tema

 

Il presente contributo ha per oggetto le peculiarità dell’efficacia sanante che il senatoconsulto Neroniano[1] ebbe su alcuni profili di invalidità dei legati conosciuti nell’età classica, in particolare di quello per praeceptionem. È noto come, proprio in occasione della presentazione di tale genus legati, Gaio evidenzi nel suo manuale istituzionale[2], e in misura decisamente superiore rispetto a quanto svolto in relazione ad altri genera legatorum[3], il punto di contatto tra questi due istituti. Dall’analisi che segue sarà peraltro possibile indicare prospettive di più vasta portata, in merito alla teoria generale e alla storia dei legati, con particolare riguardo allo sviluppo delle singole figure, e non solo alla forma per praeceptionem.

 

 

2. – Riferimenti al senatoconsulto Neroniano nelle Istituzioni di Gaio, nei Vaticana Fragmenta e nei Tituli ex Corpore Ulpiani

 

Al senatoconsulto Neroniano si fa riferimento una prima volta proprio nelle Istituzioni di Gaio nel luogo in cui si illustrano le peculiarità del legato per vindicationem[4]:

 

Sed sane hoc ita est iure civili. Postea vero auctore Nerone Caesare senatusconsultum factum est, quo cautum est, ut si eam rem quisque legaverit quae eius numquam fuerit, proinde utile sit legatum, atque si optimo iure relictum esset: optimum autem ius est per damnationem legati, quo genere etiam aliena res legari potest, sicut inferius apparebit.

 

Subito dopo aver esposto la rigorosa impostazione del ius civile[5] in forza della quale, ai fini della validità della disposizione, l’oggetto di un legato per vindicationem avrebbe dovuto essere nella proprietà quiritaria del testatore tanto nel momento della confezione del testamento quanto in quello della morte del testatore – con l’eccezione delle cose fungibili, ‘quae pondere numero mensura constant’ per le quali bastava che fossero nel dominio quiritario del testatore al tempo della sua morte[6] – si precisa, nel testo in esame, che ciò vale per il diritto civile, al quale si derogherà in parte proprio in forza del senatoconsulto votato «su proposta di Nerone formulata in oratio da lui letta o fatta leggere in Senato ... deliberazione rimasta in vigore anche dopo la damnatio memoriae»[7]: ricorrendo l’ipotesi dell’altruità dell’oggetto del bene legato, infatti, il legato per vindicationem viene comunque considerato utile, come se fosse stato lasciato nella miglior forma possibile (‘ac si optimo iure relictum esset’), subito individuata in quella per damnationem. Si tratta di un’importante testimonianza indiretta relativa ad un senatoconsulto, il Neronianum de legatis appunto, il cui testo originale non ci è pervenuto, e la cui collocazione temporale, nell’assenza di indicazioni più precise desumibili dalle fonti a nostra disposizione, assume pertanto come date estreme quelle del regno di Nerone (54 – 68 d.C.)[8]. Si può anticipare già qui che nel seguito di questo contributo si cercherà di determinare con maggior precisione, sulla base di un’ipotesi già formulata dal Ferrini[9], la datazione del senatoconsulto.

È opportuno segnalare che, in assenza del testo del Neroniano, tutte le affermazioni (di molte delle quali ci si occuperà nel presente contributo), spesso presentate come certezze dalla dottrina moderna, relative al tenore delle disposizioni in esso contenute, dovranno necessariamente essere qualificate come congetture, dato che esse si basano su testimonianze relative alla presentazione degli effetti, e non anche delle disposizioni, del senatoconsulto in questione, il quale, oltre che nei passi delle Institutiones gaiane, è menzionato anche in Vat. Fr. 85:

 

Si tamen per damnationem usus fructus legetur, ius adcrescendi cessat non inmerito, quoniam damnatio partes facit. Proinde si rei alienae usus fructus legetur et ex Neroniano confirmetur legatum, sine dubio dicendum est ius adcrescendi cessare, si modo post constitutum usum fructum fuerit amissus. Quod si ante et socius amittat, erit danda totius petitio. Idemque et si sinendi modo fuerit legatus usus fructus. An tamen in Neroniano, quoniam exemplum vindicationis sequimur, debeat dici utilem actionem amisso usu fructu ab altero alteri dandam, quaeri potest; et puto secundum Neratium admittendum. In fideicommisso autem id sequimur quod in damnatione.

 

Il passo si inserisce in un più ampio discorso (Vat. Fr. 75-88) sul tema dell’accrescimento tra collegatari di usufrutto, concentrandosi sui casi, enumerati in considerazione del tipo di legato utilizzato per disporlo, in cui lo ius adcrescendi cessa, e si fa riferimento, tra l’altro, all’ipotesi del legato di usufrutto su cose altrui, confermato dal senatoconsulto Neroniano, il quale viene menzionato anche nei Tituli ex corpore Ulpiani (24.11a):

 

Si ea res, quae non fuit utroque tempore testatoris ex iure Quiritium, per vindicationem legata sit, licet iure civili non valeat legatum, tamen senatus consulto Neroniano firmatur, quo cautum est, ut quod minus aptis verbis legatum est, perinde sit, ac si optimo iure legatum esset: optimum autem ius legati per damnationem est.

 

Anche in questo passo si espone l’impostazione rigorosa del ius civile, in forza della quale il legatum per vindicationem di cosa altrui sarebbe stato inutile, e si presenta il correttivo introdotto dal senatoconsulto, grazie al quale il legato disposto con formulazione non adeguata si considera comunque come se fosse stato disposto nella miglior forma possibile, ed ancora una volta l’optimum ius legati viene individuato nella forma per damnationem.

Non si è mancato di rilevare come tale insegnamento appaia «oscuro e sconcertante»[10], così come «più o meno equivalenti, unilaterali, o generiche e imprecise»[11] sarebbero le traduzioni delle espressioni ‘optimun autem ius est per damnationem legatum’ e ‘optimum autem ius legati per damnationem est’, eventualmente accompagnate da «tentativi di chiarimento più o meno combinati o tautologici, fra cui prevale, come motivazione, che il leg. p. damn. era il migliore perché permetteva al testatore di disporre per legato anche di una res aliena»[12]: e si è affermato ciò nella consapevolezza che tentativi di determinazioni più precise avrebbero condotto «ad una interpretazione più o meno arbitraria»[13], posto che è stato ritenuto «impossibile fissare con sicura precisione il motivo classico della massima perché esso è estraneo al regime classico dei legata»[14]. Questa posizione del Ciapessoni, che sottintende il riferimento a movimenti e problemi di più vasta portata, ma di particolare importanza anche per il tema specifico, riposa, tra l’altro, sul radicato convincimento di quest’autore relativo all’ampio rimaneggiamento postclassico dei due passi presi in considerazione, e alla conseguente aggiunta di glosse che ne avrebbero stravolto l’originale tenore testuale, tradendo così l’originale rimedialità pretoria (ritenuta esclusiva e tipica) predisposta per l’attuazione giudiziaria del legato confermato ex Neroniano[15]. La tesi del Ciapessoni, che pure è stata riconosciuta ricca di «doti di cultura e finezza»[16], è stata però fortemente criticata[17], proprio in relazione ai suoi assunti principali – tra cui la considerazione in senso assoluto proprio della qualifica del legato per damnationem come optimum ius[18] – che non hanno saputo affiancare ad una serrata pars destruens un’altrettanto articolata pars costruens, la quale anzi si è spesso basata su illazioni e congetture non supportate da un’esegesi rigorosa dei testi sui quali avrebbero preteso di fondarsi, in relazione all’interpretazione dei quali – soprattutto di quelli gaiani e ulpianei – si è addirittura parlato della realizzazione di «un’ecatombe non giustificata»[19].

Per quel che qui interessa, la presentazione dei due passi in esame consente di rilevare che se per Gaio il senatoconsulto avrebbe potuto realizzare la conversione o conferma[20] del legato per vindicationem di res aliena, per il testo ulpianeo tale conferma sarebbe in realtà stata l’applicazione pratica ad un caso specifico di una più ampia e generale efficacia sanante disposta dal senatoconsulto stesso. Nel citato passo delle Institutiones, dunque, Gaio si sarebbe limitato a rappresentare esemplificativamente un’applicazione del Neroniano, così come peraltro è possibile rilevare nell’altro passo della sua opera[21], nel quale, prendendo in considerazione l’ipotesi di un legato sinendi modo, il cui oggetto non fu mai nella disponibilità del testatore, e nemmeno in quella dell’erede[22], si fa riferimento alla discussione circa l’eventuale sanabilità della disposizione proprio in forza del Neroniano.

Si è rilevato[23], comunque, che del resto lo stesso Gaio, in un altro passo del suo manuale istituzionale[24] sul quale si soffermerà la nostra attenzione, dimostri di conoscere, illustrando le peculiarità del legato per praeceptionem, la portata più ampia della disposizione contenuta nel senatoconsulto, quando riporta l’opinione di Sabino, il quale ricorda che l’efficacia sanante del Neroniano avrebbe riguardato i legati invalidi iure civili per improprietà delle parole utilizzate nel disporli (verborum vitio)[25].

 

 

3. – Senatoconsulto Neroniano e legatum per praeceptionem nelle Istituzioni di Gaio: impostazione sabiniana e dispute interne alla scuola in merito alle ipotesi di legatum per praeceptionem invalido

 

Conviene allora presentare da subito, oltre che il testo gaiano da ultimo menzionato, anche la più ampia esposizione[26] in cui, nel secondo commentario, esso si inserisce: essa potrà infatti valere come una sintetica rappresentazione delle principali questioni da discutere:

 

216. Per praeceptionem hoc modo legamus ‘L. Titius hominem Stichum praecipito’.

217. Sed nostri quidem praeceptores nulli allii eo modo legari posse putant, nisi ei qui aliqua ex partes heres scriputs esset; praecipere enim esse praecipuum sumere; quod tantum in eius persona procedit, qui aliqua ex parte heres institutus est, quod is extra portionem hereditatis praecipuum legatum habiturus sit.

218. Ideoque si extraneo legatum fuerit, inutile est legatum; adeo ut Sabinus existimaverit ne quidem ex senatusconsulto Neroniano posse convalescere: nam eo, inquit, senatusconsulto ea tantum confirmantur, quae verborum vitio iure civili non valent, non quae propter ipsam personam legatarii non deberentur. Sed Iuliano et Sexto placuit etiam hoc casu ex senatusconsulto confirmari legatum: nam ex his verbis etiam hoc casu accidere, ut iure civili inutile sit legatum, inde manifestum esse, quod eidem aliis verbis recte legatur, veluti per vindicationem, per damnationem sinendi modo; tunc autem vitio personae legatum non valere, cui ei legatum sit, cui nullo modo legari possit, velut peregrino, cum quo testamenti factio non sit; quo plane casu senatusconsulto locus non est.

219. Item nostri praeceptores quod ita legatum est nulla alia ratione putant posse consequi eum cui ita fuerit legatum quam iudicio familiae erciscundae, quod inter heredes de hereditate erciscunda, id est dividunda, accipi solet; officio enim iudicis id contineri, ut ei quod per praeceptionem legatum est adiudicetur.

220. Unde intelligimus nihil aliud secundum nostrorum praeceptorum opinionem per praeceptionem legari posse, nisi quod testatoris sit; nulla enim alia res quam hereditaria deducitur in hoc iudicium. Itaque si non suam rem eo modo testator legaverit, iure quidem civili inutile erit legatum; sed ex senatusconsulto confirmabitur. Aliquo tamen casu etiam alienam rem per praeceptionem legari posse fatentur; veluti si qui eam rem legaverit, quam creditori fiduciae causa mancipio dederit; nam officio iudicis coheredes cogi posse existimant soluta pecunia luere eam rem, ut possit praecipere is cui ita legatum sit.

221. Sed diversae scholae auctores putant etiam extraneo per praeceptionem legari posse proinde ac si ita scribatur ‘Titius hominem Stichum capito’, supervacuo adiecta ‘prae’ syllaba; ideoque per vindicationem eam rem legatam videri. Quae sententia dicitur divi Hadriani constitutione confirmata esse.

222. Secundum hanc igitur opinionem si ea res ex iure Quiritium defuncti fuerit, potest a legatario vindicari, sive is unus ex heredibus sit sive extraneus; quodsi in bonis tantum testatoris fuerit, extraneo quidem ex senatusconsulto utile erit legatum, heredi vero familiae erciscundae iudicis officio praestabitur; quodsi nullo iure fuerit testatoris, tam heredi quam extraneo ex senatusconsulto utile erit.

223. Sive tamen heredibus secundum nostrorum opinionem, sive etiam extraneis secundum illorum opinionem, duobus plurisve eadem res coniunctim aut disiunctim legata fuerit, singuli parte habere debent.

 

La trattazione di Gaio, che conclude la presentazione dei quattuor genera legatorum, esordisce presentando la formula con la quale il legato era validamente disposto[27]. L’attenzione del giurista è subito posta sul verbo utilizzato: proprio in quel ‘praecipito’ Gaio individua il fondamento di taluni fenomeni tipici del legato in questione, al punto da affrettarsi a spiegarne la portata, individuata nella spettanza, in capo al beneficiario, del diritto a «prendere un extra» rispetto alla quota ad esso destinata a titolo ereditario: ‘praecipere enim esse praecipuum sumere’, e a rappresentare da subito la rigorosa interpretazione sabiniana – seguìta ovviamente dallo stesso Gaio, anch’egli sabiniano[28] – in forza della quale nessun altro, se non un coerede, avrebbe potuto essere beneficiario di un legatum per praeceptionem.

Contrariamente a quanto effettuato in precedenza in relazione agli altri tipi di legato, l’esposizione gaiana, subito dopo aver presentato la formula con cui si disponeva validamente il lascito, non prosegue illustrandone gli effetti, come nel caso del legatum per vindicationem[29] – ove essi vengono ricollegati alla denominazione stessa dell’istituto e accostati alla vindicatio, da esperirsi da parte del legatario, necessaria alla loro attuazione, per il caso in cui il bene oggetto del legato fosse nel possesso dell’erede o di chiunque altro –; e non prosegue nemmeno indicandone il campo d’applicazione, come nel caso del legatum per damnationem[30] – ove si specifica come per suo tramite fosse possibile legare anche cose altrui o cose future –, o come nel caso del legatum sinendi modo[31] – ove si afferma che con esso, avente qualcosa in più rispetto al legatum per vindicationem e qualcosa in meno rispetto a quello per damnationem, il testatore avrebbe potuto legare una cosa sua o dell’erede, ma non anche altrui.

Nel caso del legatum per praeceptionem, infatti, dopo la presentazione della formula, si esordisce delimitando l’ambito di coloro che potevano esserne beneficiari, che è poi l’oggetto principale della disputa sabiniano-proculiana; a tal proposito il paragrafo 218 risulta particolarmente denso di informazioni: è in questo luogo, infatti, che si riconduce a Sabino l’interpretazione più rigorosa, oltre ad introdursi per la prima volta la menzione del senatoconsulto Neroniano in relazione al nostro legato.

Secondo la lettura di Sabino, dunque, un legato per praeceptionem disposto a favore di un extraneus (cioè di un soggetto che non fosse anche coerede) sarebbe stato inutile. E nemmeno l’efficacia sanante del senatoconsulto Neroniano (raffigurata in questo paragrafo gaiano dal verbo ‘convalescere’) avrebbe potuto operare in qualche modo. Tale ultimo aspetto, in verità, non era pacifico nella scuola sabiniana, nella dialettica interna della quale, infatti, erano emerse alcune voci di dissenso: e Gaio non manca di renderne conto, citando le diverse opinioni[32] di Giuliano e Sesto, in forza delle quali l’ambito dell’efficacia sanante del senatoconsulto andava inteso in maniera decisamente più ampia. L’allusione a Sextus nel testo gaiano ha portato in molti a interrogarsi sulla sua identificazione: se con Pomponio[33], o piuttosto con Pedio o, come sembra più probabile, con Africano[34], che fu proprio allievo di Giuliano.

In questa sede è opportuno rilevare che, all’interno della scuola sabiniana, l’applicazione del senatoconsulto Neroniano ad ipotesi di validità quantomeno dubbia di un legato per praeceptionem era oggetto di una certa discussione: se per Sabino, infatti, l’inapplicabilità del senatoconsulto derivava dall’idoneità di quest’ultimo a sanare solo quelli invalidi iure civili per improprietà delle parole utilizzate nella sua disposizione (verborum vitio), e non anche per l’erronea individuazione del beneficiario della disposizione stessa (un extraneus anziché un coerede: vitium personae), per Giuliano e Sesto, invece, anche in tale ultima ipotesi l’efficacia sanante del senatoconsulto Neroniano avrebbe trovato applicazione, posto che, anche in questi casi, si sarebbe trattato di verborum vitio, e non già di vitium personae.

L’ambito di quest’ultima categoria, conseguentemente, viene ristretto rispetto all’interpretazione di Sabino, e sostanzialmente fatto coincidere con quello dei soggetti privi di testamenti factio passiva. Il manuale istituzionale gaiano reca a tal proposito l’esempio del peregrinus, che forse fu fatto proprio da Giuliano e Sesto per supportare la propria interpretazione: in questa ipotesi, non avendo lo straniero la capacità di ricevere per testamento, si integra un vitium personae, ma non può dirsi lo stesso per il caso in cui il beneficiario della disposizione a titolo particolare avrebbe potuto tranquillamente conseguirla laddove il testatore avesse scelto un altro tipo di legato per disporre il lascito. In quest’ultimo caso, pertanto, si verterebbe ancora in un’ipotesi di vizio «coperto» dall’efficacia sanante del senatoconsulto, posto che il legatario capace di ricevere per testamento avrebbe conseguito il lascito se questo fosse stato disposto con un’appropriata scelta della figura di legato, esattamente all’opposto della considerata ipotesi di chi, essendo incapace a ricevere, non avrebbe comunque ricevuto, quand’anche si fosse disposto a suo favore ricorrendo ad un legato per vindicationem, per damnationem o sinendi modo.

La presentazione della rigorosa impostazione sabiniana si conclude illustrando l’ulteriore peculiarità relativa all’attuazione del legato per praeceptionem, il cui oggetto sarà ottenuto dal (coerede-)legatario esclusivamente nell’ambito del giudizio di divisione ereditaria, rientrando la relativa adiudicatio nell’officium di quel giudice.

 

 

4. – Impostazione e soluzione del problema nella scuola proculiana

 

Decisamente più «progressista» è la visione proculiana[35], così come risulta dal paragrafo 221 del secondo commentario delle Institutiones gaiane: secondo tale scuola sarebbe stato possibile disporre validamente un legato per praeceptionem a favore di un extraneus sulla base di un dato letterale relativo alla formula della disposizione, o, più precisamente, su una particolare modalità di interpretazione di essa: anche in questo caso, Gaio introduce l’interpretazione fornita dalla scuola ricorrendo al formulario ritenuto corretto dai Proculiani: secondo la visione di costoro, la formula ‘Titius hominem Stichum praecipito’ sarebbe stata del tutto equivalente a ‘Titius hominem Stichum capito’. La sillaba ‘prae’, dunque, sarebbe stata assolutamente inutile, e il legato si sarebbe dovuto intendere disposto nella valida forma per vindicationem. L’opinione proculiana sarebbe peraltro stata confermata da una costituzione di Adriano: Gai. 2.221, infatti, termina affermando: quae sententia dicitur divi Hadriani constitutione confirmata esse.

Tale ultima proposizione è stata oggetto di numerose discussioni tra gli autori moderni: si è rilevata l’ambiguità di quel ‘dicitur’, quasi come se Gaio, scrivendo, non fosse stato affatto convinto della piena affermazione dell’impostazione avversa, oltre che del contenuto della costituzione di Adriano nei riferiti termini di riconoscimento di favore alla tesi proculiana[36]. L’informazione è stata giudicata a tal punto fugace, ermetica ed idonea ad interrompere il fluire del discorso nel testo istituzionale, da proporre di intendere l’intera espressione come null’altro che una glossa aggiunta al testo di Gaio, magari da un commentatore suo contemporaneo[37]: In effetti, all’espressione ‘ideoque per vindicationem eam rem legatam videri’, che precede la frase conclusiva di Gai. 2.221, corrisponde l’espressione ‘Secundum hanc igitur opinionem si ea res ex iure Quiritium defuncti fuerit, potest a legatario vindicari’, con cui principia Gai. 2.222.

L’eliminazione della frase ritenuta una glossa, dunque, non creerebbe alcuna disarmonia nel corpo del testo, in qualche modo interrotto nel suo fluire proprio dall’introduzione della supposta glossa. La soppressione della proposizione conclusiva di Gai. 2.221 determinerebbe invece in maniera più piana il senso logico della continuazione dell’esposizione nel paragrafo successivo, nel quale, dopo aver esposto l’interpretazione proculiana, Gaio tratta delle sue concrete conseguenze, volte ad individuare, a seconda dei casi, l’attuazione del lascito per il tramite della rei vindicatio, del senatoconsulto Neroniano o dell’adiudicatio del giudice nel iudicium familiae erciscundae. Se il testo fosse provenuto tutto da un’unica mano, allora avrebbe avuto più senso inserire la menzione dell’affermazione della dottrina proculiana al termine della sua esposizione, e non nel bel mezzo di essa, a meno di non ritenere che la costituzione di Adriano si sia limitata a confermare soltanto il parere proculiano relativo all’equivalenza delle formule ‘praecipito’ e ‘capito’ nel caso di legatum per praeceptionem disposto a favore di un extraneus (legato da intendersi dunque per vindicationem) e non anche le ulteriori conseguenze in relazione all’attuazione del legato stesso, ma in questo senso la ricostruzione risulta decisamente forzata.

Altri ancora hanno letto nella fugacità dell’affermazione gaiana «il disappunto di un seguace di Sabino che, costretto ad ammettere la sconfitta della propria scuola, cerca di farlo in forma estremamente larvata»[38]. Molto probabilmente quel ‘dicitur’ rispecchia il dato di fatto di un’opinione generalmente ammessa tra i giuristi, che comporta la rinunzia, da parte di Gaio, a sviluppare ulteriormente e in maniera più completa l’insegnamento sabiniano[39].

La «lacerazione analitica»[40] conseguente alla disputa sabiniano-proculiana, non avrebbe rappresentato un semplice emblema del contrasto tra visioni conservatici e progressiste, frutto di convinzioni filosofiche o princìpi metodologici differenti, come generalmente si rileva[41], ma avrebbe condotto ad una serie di questioni concrete; la proiezione processuale costituì un campo privilegiato per illustrare tali conseguenze, tanto dal punto di vista delle azioni esperibili a tutela del legatario quanto da quello, inscindibilmente connesso al primo, dell’appartenenza dei beni che potevano costituire oggetto del lascito.

Il rigido principio per cui all’attuazione del legatum per praeceptionem si provvedeva nell’ambito del iudicium familiae erciscundae, infatti, riceve la notevole mitigazione conseguente alla considerazione per cui l’oggetto della disposizione, nel caso in cui fosse appartenuto ex iure Quiritium al testatore, avrebbe potuto esser conseguito dal beneficiario (fosse esso erede o estraneo) con il ricorso alla rei vindicatio. All’officium iudicis familiae erciscundae si sarebbe ritornati, ai fini dell’attuazione del legatum per praeceptionem, nell’ipotesi in cui l’oggetto del legato fosse solo in godimento del testatore, e laddove il legatario fosse anche erede; nel caso di legatario estraneo, invece, la validità sarebbe risultata sulla base del senatoconsulto Neroniano, il quale avrebbe giovato (tanto al legatario-erede quanto al legatario-estraneo) anche nel caso in cui l’oggetto del legato non fosse stato ad alcun titolo del testatore[42]. In sintesi, il più articolato quadro fornito dai Proculiani – i quali considerano le varie ipotesi sia in relazione al legatario, sia in relazione al titolo di appartenenza dell’oggetto del legato al testatore, contemporaneamente relazionandole agli strumenti processuali idonei a fornire tutela ed attuazione alla disposizione mortis causa – può essere riassunto secondo il seguente prospetto, formulato da Gloria Galeno[43] e sostanzialmente mutuato da quello del Ciapessoni[44]:

 

a) se il legatario è un coerede e la res legata era in dominium ex iure Quiritium del testatore, il legatario avrà la rei vindicatio;

b) se il legatario è un extraneus e la res legata era in dominium ex iure Quiritium del testatore, il legatario avrà ugualmente la rei vindicatio;

c) se il legatario è un coerede e la res legata era in bonis del testatore, il legatario otterrà l’attuazione del proprio legato mediante il iudicium familiae erciscundae;

d) se il legatario è un extraneus e la res legata era in bonis del testatore, il legatario si varrà del senatoconsulto Neroniano;

e) se la cosa non apparteneva a nessun titolo al testatore, il legatario (heres o extraneus) si varranno del senatoconsulto Neroniano.

 

Di certo non è facile cercare di datare l’origine della disputa tra le due scuole in merito alla validità del legatum per praeceptionem disposto a favore di un extraneus. Il fatto che Gaio riporti il parere di Sabino può far dedurre che essa sia riconducibile all’epoca di quest’ultimo[45], o a poco prima. Il dies ad quem deve però senz’altro collocarsi non oltre l’avvento del regno di Nerone, periodo fino al quale Sabino stesso visse[46].

 

 

5. – Rapporto tra il senatoconsulto Neroniano e lo sviluppo storico delle singole figure di legato

 

Alla luce delle considerazioni che precedono, si può allora affermare che la datazione dello stesso senatoconsulto Neroniano deve necessariamente attestarsi nei primi anni del regno di Nerone, e comunque in quelli precedenti la morte di Sabino, posto che quest’ultimo ne conosce il testo e ne discute le applicazioni[47].

Sempre a quegli anni deve essere ricondotta la disputa interna alla scuola sabiniana e il contrasto con quella proculiana. In dottrina si è a tal proposito sostenuto, pur con varie sfumature e argomentazioni[48], che la comparsa della posizione proculiana abbia preceduto l’emanazione del senatoconsulto Neroniano: il dato è contestatissimo da chi ritiene che «tutta la concezione dei Proculiani presuppone il SC. Neroniano»[49], non riuscendo altrimenti a spiegarsi come mai essa faccia riferimento proprio al senatoconsulto in determinate ipotesi, anziché escogitare «un tipo di conversione simile a quello che valeva per le cose proprie del testatore, per esempio accordando direttamente un’actio ex testamento o un’actio Publiciana»[50]. L’anteriorità del senatoconsulto Neroniano alla dottrina proculiana viene inoltre sostenuta sulla base della considerazione per cui la conversione dall’uno all’altro genus legati sarebbe così ricondotta ad un periodo storico in cui la quadripartizione stessa non si sarebbe ancora affermata, risultando peraltro sconosciuta allo stesso Neroniano[51].

È stretta la connessione tra questo tema e la vexata quaestio relativa all’ordine e allo sviluppo storico delle singole figure di legato. Anche su questo problema, ritenuto da taluni pressoché irrisolvibile[52], la letteratura è vastissima: l’analisi condotta dagli studiosi a cavallo tra Otto e Novecento partiva dalla considerazione per cui le quattro forme elencate, tra gli altri, da Gaio nel suo manuale istituzionale[53] si riducevano fondamentalmente a due categorie: quella del legato di proprietà (legatum per vindicationem) e quella del legato di obbligazione (legatum per damnationem). Gli altri due tipi di legato, e cioè il legatum sinendi modo e il legatum per praeceptionem, venivano solitamente presentati come forme secondarie, le cui figure dovevano necessariamente sussumersi nelle due categorie principali, solo in relazione alle quali, dunque, tendevano ad organizzarsi gli studi relativi all’individuazione della priorità storica dell’una figura sull’altra. A tal proposito, una consistente ed autorevole parte della dottrina, soprattutto italiana, sosteneva la priorità cronologica del legato per vindicationem sulla base di una serie di dati storici e testuali assolutamente eterogenei in quanto a pregio, attendibilità e portata[54]: la supposta maggiore indipendenza del legato per vindicationem (inteso come mero trapasso patrimoniale) dall’eredità, interpretata quest’ultima – secondo la nota teoria del Bonfante[55] – come successione nella signoria domestica e dunque come successione del nuovo capo nella posizione personale e non solo patrimoniale del suo predecessore, è stata una delle motivazioni; ma ha giocato un ruolo persino l’ordine dell’elencazione delle singole figure così come costantemente riportato da Gaio, Ulpiano e Giustiniano[56]: tale ordine, del resto, ha influenzato persino chi lo ha accettato come solo parzialmente rispondente all’effettiva sequenza dello sviluppo storico dei legati, limitandolo ai due tipi assunti come principali[57].

Si è inoltre vista una correlazione tra la formula solenne (‘do lego’) con cui si poteva validamente disporre tale legato[58] – ritenuto tra tutti «il più semplice e il più rigoroso»[59], e quindi necessariamente (o arbitrariamente) il più antico – e il legare (‘uti legassit’) menzionato nelle XII Tavole (Tab. 5.3): seguendo l’interpretazione per cui il legare delle XII Tavole facesse riferimento alle sole disposizioni di ultima volontà a titolo particolare (interpretazione tutt’altro che pacifica, posto che Gaio fa riferimento alla norma decemvirale ponendola a fondamento quantomeno di legati e manomissioni[60]; mentre Pomponio, nel quinto libro del suo commento a Quinto Mucio, attribuisce alla norma in questione una ‘latissima potestas’ fondamento di ogni disposizione a titolo universale e particolare, o, almeno, dell’istituzione di erede, della disposizione di legati e manomissioni oltre che della costituzione della tutela testamentaria[61], si riconduceva il legato di proprietà al V secolo a.C., e proprio in forza di tale corrispondenza si spiegava «l’origine tutta particolare»[62] di un istituto nato senza un nome specifico, e poi chiamato ‘per vindicationem’ proprio per distinguerlo dagli altri tipi di legato: la stessa (supposta successiva) denominazione, non correlata alla formula con cui poteva validamente disporsi, come accadeva per gli altri, ma all’azione con cui poteva essere ottenuto, veniva interpretata dal Ferrini come un «principio così costante nell’antico diritto»[63] da potersi desumere l’invocata priorità del legato stesso.

Del resto, si affermava[64] che lo stesso Ulpiano, spiegando i modi di acquisto del dominium, avrebbe ancora conservato memoria della fase primitiva, al punto da alludere a quello che sarà successivamente indicato come legatum per vindicationem chiamandolo semplicemente e genericamente ‘legatum’, e correlandolo alla legge decemvirale[65]. E di tale memoria vi sarebbe stata traccia anche nei Fragmenta Vaticana, in cui il riferimento al legatum per vindicationem avviene per il tramite della formula con cui era validamente disposto (‘legatum do lego’)[66]. Si osservava[67] inoltre che ammettere la priorità del legatum per damnationem, e ricondurlo ad una non meglio precisata epoca antecedente l’età decemvirale, non avrebbe tenuto in dovuto conto l’immaturità del concetto di obbligazione precedente l’emanazione della lex Poetelia Papiria del 326 a.C.

Un numero minore di studiosi[68] sosteneva al contrario, con altrettanta autorevolezza, la precedenza storica del legatum per damnationem sottolineando un’ulteriore serie di aspetti notevoli: il carattere di diritto pubblico che si riteneva originariamente proprio della damnatio, chiaramente ricollegato alla formula imperativa con cui si disponeva validamente questo legato (Cfr. Gai. 2.101), permetteva di accostare l’istituto che si realizzava tramite essa al testamentum calatis comitiis. All’antichità di tale forma pubblica di testamento (una delle due forme di testamento che, assieme al testamentum in procinctu, come si legge in Gai. 2.101 initio fuerunt) così come degli istituti ad esso riconducibili, e alla sua ritenuta natura di lex publica, dunque di espressione della volontà generale, si contrapponeva l’incompatibilità della tipica manifestazione della volontà individuale che caratterizzava invece il legatum per vindicationem, il quale sarebbe stato incluso nel testamento solo quando questo sarebbe divenuto un atto svincolato da quel controllo pubblico e caratterizzante che distingueva la natura del testamentum calatis comitiis, e cioè quando a Roma invalse l’uso di disporre mortis causa ricorrendo al gestum per aes et libram. La maggiore antichità del legatum per damnationem sarebbe emersa anche dalla considerazione della tutela giudiziaria per esso prevista, oltre che del modo di liberazione dell’erede da parte del legatario: proprio in forza dell’uso della solenne formula ‘damnas esto’, nell’ambito delle legis actiones il legatario avrebbe potuto ricorrere per l’adempimento contro l’erede direttamente con la legis actio per manus iniectionem, comportante la soggezione dell’actio ex testamento alla regola della litiscrescenza adversus infitiantem; peraltro, ancora in epoca classica il legatario avrebbe liberato l’erede tramite il ricorso alla solutio per aes et libram[69].

Si sottolineava[70] inoltre che il rapporto obbligatorio tra erede-onerato e legatario-onorato rispecchiava plasticamente il principio generale per cui l’erede era inteso successor in omne ius mortui, mentre una dinamica del genere non si riproponeva immediata nel legatum per vindicationem, proprio per quel suo effetto caratteristico consistente nel far transitare recta via la proprietà di quanto ne formava oggetto (o, successivamente, la titolarità dei diritti reali tramite esso costituiti) in capo al legatario, prescindendo da qualunque rapporto giuridico con l’erede. La stessa supposizione che nel testo del Neroniano il legatum per damnationem venisse qualificato ‘optimo iure’ ha costituito motivo di argomentazioni tanto a favore quanto contro l’ipotesi che questa fosse la forma originaria.

Il legato sinendi modo e il legato per praeceptionem venivano pressoché unanimemente considerati tipi secondari, e comunque di origine più recente (o, al massimo, di transizione dall’un tipo principale all’altro)[71]. Non è questa la sede per approfondire ulteriormente il tema: mi limito solo ad osservare che la necessità dell’attuazione del legato per praeceptionem mediante il ricorso al iudicium familiae erciscundae, unitamente alla considerazione per cui quest’ultimo era riconosciuto dalle XII Tavole, costituisce un indizio fortissimo a favore dell’estrema antichità di questo tipo di legato: la stessa disputa sabiniano-proculiana sui suoi profili di validità, lungi dall’essere indice della sua origine relativamente recente, approssimativamente riconducibile ai primi anni dell’impero, come pure è stato sostenuto[72], sembra più che altro deporre per un’incapacità a comprendere la natura di un’istituzione antica, soprattutto nel tentativo di adattarla a nuove esigenze[73].

La dottrina che, in tempi più recenti, ha affrontato il tema sembra, da un lato, cedere alla suggestione di ricondurre la quadripartizione all’importazione del modello ellenistico delle ripartizioni in genera, attestato per il I sec. a.C.[74], e, dall’altro, seguire un’impostazione decisamente più «atomistica»[75] e tutt’altro che omogenea, coerentemente a quello che sarebbe stato l’atteggiamento della riflessione dei giuristi prima dell’introduzione dei genera legatorum: quest’ultimo atteggiamento riflette la mancanza di un sufficiente numero di attestazioni dirette, volte a delineare con maggior chiarezza lo sviluppo del diritto privato romano nell’arco di tempo compreso tra il II e il I sec. a.C., e si è rilevato come tali difficoltà si esasperino addirittura in tema di legati, rendendo così problematica la ricostruzione del loro sviluppo storico[76], alla base della ricerca del quale avrebbe nuociuto un duplice pregiudizio: da un lato vi sarebbe stata una riconduzione ad un unico ed indifferenziato momento temporale in cui si sarebbero confusi problemi concernenti l’origine e lo sviluppo dei legati, dall’altro lo schema classificatorio dei quattuor genera legatorum sarebbe stato assunto come canone euristico anche dagli studiosi moderni, al punto da tradire e omettere la necessaria valutazione dei concreti problemi affrontati e risolti dalle interpretazioni dei veteres, che permisero lo sviluppo delle diverse figure[77]. L’effetto finale sarebbe consistito in un’arbitraria fusione, oltre che in un indebito appiattimento, tra età arcaica ed età repubblicana, così da attribuire una caratteristica piega arcaicizzante ai caratteri dell’esperienza repubblicana.

Seguendo quest’ordine di idee, si ritiene che la partizione non avrebbe potuto essere antecedente a Quinto Mucio[78], ed anzi si è proposto «di posticipare la data approssimativa di questa classificazione all’età di Celso o, al più presto, a quella di Nerva padre e Gaio Cassio Longino»[79], e cioè ad un periodo precedente di pochi anni il regno di Nerone.

L’Ormanni[80] ha fornito una articolata dimostrazione di tale assunto; eppure, nemmeno una ricostruzione tanto dotta e raffinata riesce a superare una contestazione fondamentale: la quadripartizione, che ancora Gaio ricorda e tratta diffusamente nel suo manuale istituzionale, si sarebbe affermata pochissimi anni prima o in data pressoché contemporanea, se non addirittura posteriore, all’emanazione di quel senatoconsulto Neroniano la cui ratio di fondo era volta a realizzare un’«apprezzabile semplificazione delle strette regole del ius civile vetus»[81] e con il quale, come lo stesso Ormanni afferma, si «segnò il principio della fine della partizione in genera»[82], il che è un nonsenso.

 

 

6. – Anteriorità della disputa sabiniano-proculiana in tema di validità del legatum per praeceptionem rispetto all’emanazione del Neroniano

 

Dobbiamo allora rivalutare il dato tanto contestato, tra gli altri, dal Palazzolo: la disputa sabiniano-proculiana in tema di validità del legato per praeceptionem disposto a favore di un extraneus (o il cui oggetto non era nel dominio quiritario del testatore) è molto probabilmente anteriore all’emanazione del Neroniano, il quale anzi si inserisce in essa, peraltro non contribuendo a sopirla del tutto, posto che lo stesso Gaio ne conserva una memoria sufficientemente dettagliata nel suo manuale istituzionale, nella stesura del quale egli con molta probabilità sovrappone alla pregressa discussione giurisprudenziale frammenti di disciplina immediatamente o interpretativamente riconducibili alla successiva deliberazione del Senato. Il dato riferito trova, tra l’altro, conferma nell’assunto per cui spesso erano i giuristi delle stesse scuole ad ispirare i contenuti delle disposizioni dei senatoconsulti[83], non limitandosi ad effettuarne una successiva interpretazione del testo. Sarebbe allora da riconsiderare e precisare la prospettiva per cui «la stessa interpretatio della giurisprudenza classica poté giungere ad ampie estensioni»[84] della statuizione contenuta nel Neroniano.

Queste considerazioni potrebbero essere da sole sufficienti a testimoniare che, almeno a far data dall’epoca di Nerone, la quadripartizione classica dei legati era già ampiamente conosciuta[85], e non solo probabilmente abbozzata: ma se non ci si volesse spingere a tanto, persistendo nel dubbio circa la sua riconducibilità alla giurisprudenza tardo-repubblicana[86], si dovrebbe quantomeno ammettere che i giuristi dell’epoca conoscessero il legato per praeceptionem e ne facessero oggetto di ampie dispute e discussioni.

Dispute e discussioni che sicuramente influirono sull’emanazione del senatoconsulto Neroniano, il quale sembra proprio riconducibile al più ampio insieme del «numero non indifferente di senatoconsulti»[87] che «trasformò, nel corso dei primi due secoli d.C., innanzitutto il diritto ereditario, e poi anche singoli settori del diritto delle persone e del diritto delle obbligazioni»[88]. La deliberazione del Senato, dunque, potrebbe essere stata resa opportuna per due ordini di ragioni, che possono considerarsi in rapporto di alternatività o, come mi sembra più probabile, di concorrenza, se non addirittura di reciproca connessione.

A tal proposito, va in primo luogo osservato che all’epoca di Nerone può dirsi quasi del tutto – se non pienamente – sgretolato il fenomeno della interpretatio-recezione[89] come metodo di produzione extra-autoritativa del diritto: il meccanismo che aveva origine nella interpretatio prudentium, infatti, non era più ritenuto mezzo idoneo a conseguire, tra l’altro, un risultato come la sanatoria (o la convalida) di un istituto le cui caratteristiche ed effetti – e, conseguentemente, per il caso di sua disposizione in qualche modo erronea, i cui profili di invalidità – erano stati caratterizzati, per il più antico ius civile, in maniera particolarmente netta.

In secondo luogo, l’ampio ricorso ai legati[90] e le conseguenti (spesso irrisolte) dispute relative alla loro interpretazione rese necessaria, proprio all’epoca di Nerone – ed anche alla luce di quelle controversie giurisprudenziali che ho assunto essere necessariamente precedenti l’emanazione del senatoconsulto –, la produzione di ius novum per il tramite di una disposizione scritta avente efficacia legislativa[91] – il Neroniano, appunto – l’emanazione della quale, da un punto di vista pratico oltre che della teoria generale, aveva il vantaggio di operare «con immediatezza e vistosamente»[92], anziché «su tempi lunghi e in modo non appariscente»[93], la risoluzione di punti di diritto controverso.

Del resto, la testimonianza offertaci da Gaio può essere letta nel senso che le dispute e il contenzioso generati dall’interpretazione delle formule con cui venivano disposti i legati (in particolar modo, ma non solo, quello per praeceptionem) dovevano essere così intensi, articolati e frequenti che nemmeno l’intervento del Senato riuscì a regolamentare in maniera definitiva il variegato e complesso regime delle invalidità delle disposizioni a titolo particolare: la riforma attuata col Neroniano, infatti, risulterà essere solo un (primo) passo, sia pur di notevolissima portata, nella direzione dell’iter seguito dagli sviluppi postclassici, che a loro volta confluiranno nella definitiva riforma giustinianea.

 

 

7. – Conclusioni e ulteriori prospettive di ricerca

 

In conclusione, le considerazioni che possono formularsi alla luce del presente contributo afferiscono, da un lato, alle dispute sabiniano-proculiane in tema di efficacia sanante del senatoconsulto Neroniano in merito al legatum per praeceptionem disposto verborum vitio, e portano, dall’altro, ad abbozzarne delle altre sulla considerazione dello sviluppo storico delle singole figure di legato.

Si è infatti soliti ritenere che le dispute tra Sabiniani e Proculiani in merito alle questioni di validità del legatum per praeceptionem siano sorte successivamente all’emanazione del Neroniano: col presente scritto si è cercato di dimostrare che la sua emanazione fu invece una delle conseguenze di tali dispute, le quali dunque devono ritenersi anteriori ad esso.

Il fatto che lo stesso Sabino intervenisse in merito alle più volte menzionate controversie tra le due scuole è poi una prova della loro antichità, così come la considerazione, proprio da parte di Sabino, della portata del legatum per praeceptionem deve far riflettere sulla stessa antichità di questo genus legati e del suo rapporto con le altre figure.

Ciò dovrebbe altresì spingere nel senso di una profonda riconsiderazione della solita qualificazione della figura del legatum per praeceptionem come «intermedia» o comunque tarda rispetto ai principali modelli per vindicationem e per damnationem. Il legatum per praeceptionem, infatti, trovava attuazione, a differenza di tutte le altre (successive?) figure di legato nel iudicium familiae erciscundae. A tale giudizio si ricorreva sicuramente in età decemvirale, posto che esso è conosciuto nel testo delle XII Tavole, il quale anzi, stando all’informazione desumibile da Gaio[94], di tale giudizio avrebbe rappresentato l’origine.

Anche in forza di questa considerazione, dunque, potrebbe articolarsi l’impostazione della ricerca conseguente all’insoddisfazione, già espressa dal Coli e rammentata dall’Ormanni[95], circa l’illustrazione dello sviluppo storico delle singole figure di legato: il tema, che trascende la portata del presente contributo, potrebbe svilupparsi proprio verificando la priorità storica di quelle figure, solitamente qualificate «minori», «secondarie», «intermedie» o comunque più tarde rispetto alle principali – tradizionalmente assunte anche come cronologicamente antecedenti – e riconsiderandone i reciproci rapporti e la conseguente evoluzione storica.

 

 



 

[1] Come emergerà nel seguito del testo, il senatoconsulto Neroniano involge questioni che, com’è noto, riguardano la materia dei legati, tanto in relazione ai profili di sanabilità della disposizione invalida per vizio di forma, quanto a quelli relativi alla storia e all’evoluzione delle singole figure di legato, così come risultano conosciute in età classica. L’efficacia sanante del senatoconsulto, inoltre, costituisce materia di discussione e interesse anche per la teoria generale, proprio per il suo riferirsi al tema dell’invalidità dei negozi giuridici; è appena il caso di sottolineare come la letteratura su tali temi sia sterminata: va conseguentemente evidenziato quanto siano numerosi i riferimenti al Neroniano nelle trattazioni che affrontano i relativi argomenti. Per le informazioni fondamentali si può fare riferimento a C. Ferrini, Teoria generale dei legati e dei fedecommessi secondo il diritto romano, con riguardo all’attuale giurisprudenza, Milano, 1889, 24 ss.; U. Coli, Lo sviluppo delle varie forme di legato nel diritto romano (1920), ora in Id., Scritti di diritto romano, I, Milano, 1973, 65 ss., in part. 148; B. Biondi, Successione testamentaria e donazioni2, Milano, 1955, 280 ss.; P. Voci, Diritto ereditario romano2, I, Milano, 1967, 421; II, Milano, 1963, 267 ss.; G. Grosso, I legati nel diritto romano. Parte generale2, Torino, 1962, 93 ss. Ha dedicato attenzione ai rapporti tra legato per praeceptionem e senatoconsulto Neroniano J.F. Leuba, Origine et nature du legs per praeceptionem, Lausanne, 1962, in part. 57 ss., il quale riconosce come testo fondamentale per lo studio della teoria del legatum per praeceptionem lo scritto di K. Bernstein, Zur Lehre vom römischen Voraus (legatum per praeceptionem), in «ZSS», XV, 1894, 143 s. V., similmente, con rilievi sulla disputa sabiniano-proculiana sul tema, M. García Garrido, Gayo 2.216-223 sobre el «legatum per praeceptionem», in «AHDE», XXXI, 1961, 487 ss., in part. 499 ss. Il quadro più esaustivo sulle divergenze tra le due scuole, anche in relazione all’oggetto specifico del presente contributo, resta comunque quello di Falchi, Le controversie tra Sabiniani e Proculiani, Milano, 1981, passim, in part. 133 ss., a cui va aggiunto il contributo di M.G. Scacchetti, Note sulle differenze di metodo fra Sabiniani e Proculiani, in «Studi A. Biscardi», V, Milano, 1984, 369 ss. Va inoltre tenuto presente N. Palazzolo, Dos praelegata. Contributo alla storia del prelegato romano, Milano, 1968, in part. 179 ss. Un quadro sintetico della disputa sabiniano-proculiana sull’utilizzo e l’interpretazione del legato per praeceptionem, e sulla relativa tutela processuale accordata ad esso in forza del Neroniano è tracciato da G. Galeno, «Per praeceptionem», in «Synteleia V. Arangio-Ruiz», I, Napoli, 1964, 206 ss. Presta inoltre specifica attenzione alle peculiarità del verbo utilizzato da Gaio (‘convalescere’) per indicare l’effetto sanante del senatoconsulto Neroniano in riguardo al legato per praeceptionem invalido V. Giuffrè, «Convalescere» in Gai. 2.218, in «Synteleia V. Arangio-Ruiz», cit., II, 621 ss. Si devono tuttavia ricordare tre autori che hanno espressamente dedicato al senatoconsulto Neroniano un lavoro monografico: A. Ascoli, Sul Senatoconsulto Neroniano, in «Archivio Giuridico», XL, 1888, 329 ss.; P. Ciapessoni, Sul Senatoconsulto Neroniano, in «Studi P. Bonfante», III, Milano, 1930, 651 ss.; R. Piaget, Le Sénatus-consulte Néronien, Lausanne, 1936. Oltre che per gli specifici riferimenti al tema di questo contributo, in una più ampia ottica volta a considerare le indicazioni metodologiche, il rigore dell’esposizione, e le riflessioni sulla possibilità di una «sistematica» in materia di legati precedente la quadripartizione classica dell’istituto, non si può prescindere dal brillantissimo scritto di A. Ormanni, Penus legata. Contributi alla storia dei legati disposti con clausola penale in età repubblicana e classica, in «Studi E. Betti», Milano, 1962, 581 ss. Il contributo più recente sul legato per praeceptionem mi risulta essere lo scritto di M. d’Orta, «Sterilis beneficii conscientia». Dalla «praeceptio» al «legatum per praeceptionem», Torino, 2005, che riprende sostanzialmente, ampliandolo, Id., Il «legatum per praeceptionem». Dal dibattito dei giuristi classici alla riforma giustinianea, Torino, 2004. Il legatum per praeceptionem è stato spesso rapportato in vario modo al prelegato: riguardo a quest’ultimo argomento, il contributo più recente e innovativo, con particolare riferimento alla valorizzazione del concursus causarum lucrativarum è lo scritto di M. Wimmer, Das Prälegat, Wien, 2004.

 

[2] In particolare cfr. Gai. 2.218-222.

 

[3] E precisamente in relazione al legato per vindicationem, come risulta dal passo immediatamente presentato nel testo, e al legato sinendi modo: cfr. Gai. 2.212, in fine.

 

[4] Gai. 2.197.

 

[5] Gai. 2.196: Eae autem solae res per vindicationem legantur recte, quae ex iure Quiritium ipsius testatoris sunt. Sed eas quidem res quae pondere numero mensura constant placuit sufficere, si mortis tempore sint ex iure Quiritium testatoris, veluti vinum oleum frumentum pecuniam numeratam. Ceteras res vero placuit utroque tempore testatoris ex iure Quiritium esse debere, id est et quo faceret testamentum et quo morerentur; alioquin inutile est legatum.

 

[6] Vedremo in prosieguo di testo come in dottrina si sia sostenuto, fornendo una lettura ampiamente riduttiva, che la riforma operata dal Neroniano si sarebbe ridotta ad estendere, imitandola, la più mite disciplina prevista per le cose fungibili a quelle infungibili: mi riferisco in particolare alla tesi formulata dal Ciapessoni, op. cit., in part. 679, che riposa, tra l’altro, sul convincimento di quest’autore per cui (674, nt. 89) «il trattamento delle cose fungibili meriterebbe particolare attenzione nella dottrina romana dei legati», tanto da riportare la congettura formulata da O. Gradenwitz, Zwangsvollstreckung und Urtheilssicherung, in Festgabe für Rudolf von Gneist zum Doctor-Jubiläum am XX. November MDCCCLXXXVIII, Berlin, 1888, 302 secondo il quale «in origine, la distinzione tra leg. p. vindic. e leg. p. damnat. equivaleva a legato di cose infungibili e legato di cose fungibili, mentre in fase successiva venne a significare legato di cosa propria e legato di cosa d’altri: perciò in Gai. II, 196 il leg. p. vindic. di cose fungibili ha un diverso trattamento circa il requisito del dominium».

 

[7] Ciapessoni, op. cit., 651 nt. 1.

 

[8] Il Ciapessoni, op. et loc. ult. cit. propone una datazione più precisa e riconduce il senatoconsulto all’anno 61, sulla base della considerazione per cui gli sembra probabile «che si tratti di senatoconsulto relativo non al solo rimedio per convalida di legati nulli, ma altresì ad altri provvedimenti, di cui uno è certo da ritenersi di tale anno»: per tale autore, infatti, il Neroniano è espressione caratteristica (653) «tanto delle riforme adottate all’inizio del Principato nel regime del diritto successorio, quanto della notevole attività innovatrice del Senato sotto il primo periodo del regno di Nerone, anche in tema di successione testamentaria».

 

[9] Cfr. infra, § 4, in fine.

 

[10] Ciapessoni, op. cit., 659.

 

[11] Ciapessoni, op. cit., 660.

 

[12] Ciapessoni, op. et loc. ult. cit.

 

[13] Ciapessoni, op. et loc. ult. cit.

 

[14] Ciapessoni, op. et loc. ult. cit. A dire il vero, come emergerà nel seguito di questo contributo, la mancata emersione della quadripartizione classica dei legati nel testo del Neroniano potrebbe semplicemente ascriversi alla stessa finalità del senatoconsulto anziché a supposti (più o meno profondi) rimaneggiamenti dei testi rilevanti in merito: il che dovrebbe a maggior ragione portare ad affermare che non è possibile stabilire una relazione immediata e diretta tra il Neroniano stesso e le ipotesi sulla datazione dell’introduzione della quadripartizione.

 

[15] Cfr., ad esempio, quanto afferma espressamente Ciapessoni, op. cit., 661 s., 663 s., 672, 682, 684 ss., 693 ss., 720 s., 726. Coerentemente con la sua impostazione, questo autore ritiene pertanto che l’acquisto di un legato per vindicationem confermato ex Neroniano avrebbe fatto conseguire al legatario non già il dominium ex iure Quiritium del bene ma solo (691) «l’in bonis, cioè la proprietà pretoria, e senza bisogno di tradizione da parte dell’erede. Che sia stato totalmente trascurato sinora questo punto non deve fare meraviglia: la fallace riduzione costante ex Neroniano del leg. p. vindic. al leg. p. damn. porta necessariamente a far pensare soltanto a rapporti obbligatorii tra legatario ed erede». Per il Ciapessoni, dunque, nel diritto classico il senatoconsulto Neroniano esplicava la sua efficacia nel diritto pretorio, il quale l’avrebbe garantita, attribuendole quella cogenza che esso, da solo, secondo questa interpretazione non avrebbe avuto, mediante la concessione di un’actio utilis con formula ficticia, in analogia all’azione che sarebbe spettata in base al legato la cui formula era stata utilizzata: rei vindicatio utilis, dunque, per il caso di legato per vindicationem e, negli altri casi, volta a volta, actio utilis ex testamento ovvero iudicium familiae erciscundae utilis. L’intorbidimento del diritto classico sarebbe stato favorito da un duplice ordine di eventi: da un lato, la diffusione della pratica del ricorso alla doppia formula da parte del testatore; dall’altro, in una col cadere del rigore formale tipico delle singole figure di legato, l’affermazione del legato per damnationem come figura generale e sussidiaria al legato per vindicationem eventualmente invalido. Tale duplice ordine di eventi avrebbe spinto i glossatori postclassici ad aggiungere ripetutamente la menzione di optimum ius correlata al legato per damnationem, completamente stravolgendo gli effetti ritenuti originariamente tipici del Neroniano. Cfr. l’insegnamento del Grosso, op. cit., 97 s., il quale conclude affermando che, comunque, (98) «nel diritto postclassico per giungere al risultato esposto non vi fosse neppur bisogno di ricorrere ad esso»; Piaget, op. cit., 18 ss.; Leuba, op. cit., 72.

 

[16] Grosso, I legati, 2a ed., cit., 97.

 

[17] Cfr. Piaget, op. cit., 8 ss.; Grosso, I legati2, cit., 97. La tesi del Ciapessoni fu citata da S. Solazzi, Glosse a Gaio, I, (1936), ora in Id., Scritti di diritto romano, VI, Napoli, 1972, 157 s., e discussa più ampiamente in Id., Glosse a Gaio, IV, (1949), ora in ora in Id., Scritti, cit., 448 ss.

 

[18] In questo senso, cfr. Grosso, op. et loc. ult. cit.

 

[19] Grosso, op. cit., 99.

 

[20] Userò le espressioni intendendole sostanzialmente con medesima efficacia funzionale. Avverto però che proprio sulla distinzione tra conversione e conferma del legato invalido fonda gran parte delle sue erudite argomentazioni il Ciapessoni: cfr. ad es., in termini più espliciti, Id., op. cit., 668, 672. Si consideri inoltre che il Palazzolo, op. cit., 181 nt. 22, 183 nt. 25 affronta la questione, riferendosi ai termini «conversione» e «convalescenza», richiamando il contributo di Giuffrè, «Convalescere», cit., in part. 623 ss., e sottolineando (181 nt. 22) che «la convalescenza in senso tecnico presuppone infatti sempre che non vi sia una nullità radicale dell’atto, come è certamente quella di cui ci occupiamo». In realtà va sottolineato come il ricorso a categorie dogmatiche moderne possa risultare parecchio fuorviante: lo riconosceva lo stesso Ciapessoni, op. cit., 655, quando scriveva che «il problema della invalidità dei negozi giuridici è fra i più ardui anche nel diritto odierno: anche oggi la legislazione e la dottrina accrescono le difficoltà con una svariata imprecisione di linguaggio (parlando di nullità, inesistenza, inefficacia, invalidità, impugnabilità, annullabilità, ecc.), in cui accanto a sinonimi si hanno sfumature di concetti, e che sembra riflettere una rinuncia a fissare con esattezza univoca nozioni non definitivamente chiare»: sia concesso di considerare che tali osservazioni mantengono inalterata la loro validità ancora oggi, e le pecche del «diritto odierno» che considerava ottant’anni fa il Ciapessoni sembrano permanere ancora nella nostra esperienza.

 

[21] Gai. 2.212: Quodsi post mortem testatoris ea res heredis esse coeperit, quaeritur an utile sit legatum. Et plerique putant inutile esse. Quid ergo est? licet aliquis eam rem legaverit, quae neque eius umquam fuerit neque postea heredis eius umquam esse coeperit, ex senatusconsulto Neroniano proinde videtur, ac si per damnationem relicta esset.

 

[22] Il che avrebbe determinato l’invalidità del legato sinendi modo: cfr. Gai. 2.210.

 

[23] Ciapessoni, op. cit., 652.

 

[24] Gai. 2.218.

 

[25] La testimonianza sabiniana offertaci da Gaio consente di portare un ulteriore argomento contro la tesi del Ciapessoni, op. cit., 677 s., che vorrebbe ridurre la portata della riforma attuata dal Neroniano alla sola ipotesi dell’invalidità del legato per vindicationem avente ad oggetto una cosa infungibile non di dominio quiritario del testatore: esso sarebbe stato «sanato mediante conferma purché la cosa legata risultasse di dominio quiritario del testatore mortis tempore, in modo che il legatario poteva far valere il legato atque si optimo iure res per vindicationem legata esset»: così argomentando, l’autore sostiene dunque (679) che il Neroniano «ha imitato, non anche ampliato, la deroga adottata ne’ riguardi delle cose fungibili, in quanto anche per le infungibili ha voluto che il legato di proprietà fosse salvo, se esse risultavano in dominio quiritario del testatore mortis tempore».

 

[26] Gai. 2.216-223.

 

[27] Si tratta della formula più semplice, riproposta anche in Tit. Ulp. 24.26. Abbiamo comunque notizia di formule più articolate: cfr. Leuba, op. cit., 108.

 

[28] Tale affermazione è suffragata dal dato testuale per cui, proprio in Gai. 2.219, si fa riferimento ai Sabiniani indicandoli come ‘nostri praeceptores’, mentre i Proculiani sono indicati con l’espressione ‘diversae scholae auctores’ rinvenibile in Gai. 2.221. Cfr., comunque, T. Honorè, Gaius. A biografy, Oxford, 1962, 18 ss., e la relativa recensione di G.G. Archi, in «SDHI», XXIX, 1963, 424 ss.; B. Casavola, Gaio nel suo tempo, in «Atti del Simposio romanistico. Gaio nel suo tempo», Napoli, 1966, 8 ss.; F. Schulz, History of Roman Legal Science2, Oxford, 1953, trad. it. – Storia della giurisprudenza romana –, Firenze, 1968, 216 ss.; L. Lantella, Le Istituzioni di Gaio come modello, in «Il modello di Gaio nella formazione del giurista. Atti del convegno torinese. 4-5 maggio 1978 in onore del prof. Silvio Romano», Milano, 1981, 58 ss. nt. 18; O. Stanojevic, Gaius noster. Pladoyer pour Gaius, Amsterdam, 1989, 100 ss.; M. Bretone, Storia del diritto romano11, Bari, 2006, 260 ss.; E. Stolfi, Il modello delle scuole in Pomponio e Gaio, estratto da «SDHI», LXIII, 1997, 2 e nt. 2.

 

[29] Cfr., infatti, Gai. 2.194: Ideo autem per vindicationem legatum appellatur, quia post aditam hereditatem statim ex iure Quiritium res legatarii fit; et si eam rem legatarius vel ab herede vel ab alio quocumque qui eam possidet petat, vindicare debet, id est intendere suam rem ex iure Quiritium esse.

 

[30] Cfr. Gai. 2.202-203: Eoque genere legati etiam aliena res legari potest, ita ut heres redimere rem et praestare aut estimationem eius dare debet. Ea quoque res quae in rerum natura non est, si modo futura est, per damnationem legari potest, velut ‘fructus qui in illo fundo nati erunt’ aut ‘quod ex illa ancilla natum erit’.

 

[31] Cfr. Gai. 2.210: Quod genus legati plus quidem habet quam per vindicationem legatum, minus autem quam per damnationem. Nam eo modo non solum suam rem testator utiliter legare potest, sed etiam heredis sui; cum alioquin per vindicationem nisi suam rem legare non potest, per damnationem autem cuiuslibet extranei rem legare potest.

 

[32] Cfr. d’Orta, Sterilis, cit., 49 s. Relativamente allo sforzo interpretativo di Giuliano e Sesto volto ad ampliare l’ambito di sanabilità del legatum per praeceptionem disposto a favore di estranei comunque non privi della testamentifactio passiva, questo Autore ritiene (50) che esso «non avrebbe avuto esito alcuno presso la scuola di appartenenza».

 

[33] È l’ipotesi formulata, ad esempio, da H. Wagner, Studien zur allgemeinen Rechtslehre des Gaius, Zutphen, 1978, 192, e Stanojevic, Gaius, cit., 5 ss. Dubbioso Voci, Diritto ereditario2, I, cit., 7 nt. 11: «Gaio cita una volta un Sextus ... ma è dubbio se si tratti di Pomponio (e non, invece, Africano), e comunque non è nota l’opera cui intende riferirsi»: il dubbio permane in Id., Diritto ereditario, II, cit., 228 nt. 26; altrettanto cauto O. Lenel, Palingenesia iuris civilis, Lipsiae, 1889, I, 35 nt. 3; Giuffrè, «Convalescere», cit., 623, non prende posizione tra le ipotesi di Pomponio e Africano. Comunque, già V. Scialoja, Sulle condizioni impossibili nei testamenti. Nuove considerazioni, in «BIDR», XIV, 1901 (pubbl. 1902), 20, riteneva che Pomponio fosse decisamente da escludersi, mentre «non si può dir con certezza» se il Sextus fosse Pedio o Africano.

 

[34] In questo senso si pronuncia espressamente Grosso, op. cit., 96, il quale ricorda che Sesto Africano fu discepolo di Giuliano. Si riferisce direttamente a Sesto Africano anche Palazzolo, op. cit., 181. Cfr., inoltre, A.M. Giomaro, Spunti per una lettura critica di Gaio, Institutiones. 1. Il testo. Versione illustrata e ipotesi interpretative, Urbino, 1994, 125 nt. 108; Stolfi, Il modello, cit., 50 nt. 230.

 

[35] Cfr. i puntuali rilievi circa le divergenze tra le due scuole formulati da Falchi, Le controversie, cit., 134 ss., e da Scacchetti, Differenze, cit., 370 ss.

 

[36] Cfr. in questo senso Biondi, Successione testamentaria, cit., 272 nt. 2, il quale non ritiene possibile che un giurista accorto come Gaio ignorasse del tutto l’esistenza di una costituzione di Adriano, peraltro in relazione ad un tema oggetto di radicali contrapposizioni con la scuola avversaria. In realtà è stato rilevato che «non è per nulla infrequente che Gaio avesse una cognizione molto vaga di una fonte autoritativa»: così Palazzolo, op. cit., 185 nt. 30, ed ivi letteratura. Nulla vieta comunque di ipotizzare che possa trattarsi di una interpretatio, magari estensiva, della sententia Hadriani.

 

[37] Quest’ultima è l’opinione più radicale espressa dal Solazzi, Glosse, II, cit., 337 e nt. 205; Cfr. inoltre U. von Lübtow, Zur Lehre vom Praelegat, in «ZSS», LXVIII, 1951, 513: «Der Satz sive is unus ex heredibus sit sive extraneus dürfte daher ein nachklassisches Glossem sein»; Biondi, Successione, cit., 281; Leuba, op. cit., 61 s.

 

[38] G.B. Gualandi, Legislazione imperiale e giurisprudenza, II, Milano, 1963, 121.

 

[39] Cfr. Leuba, op. cit., 67 s.

 

[40] L’espressione è di d’Orta, Sterilis, cit., 51.

 

[41] Cfr. D. Liebs, Rechtsschulen und Rechtsunterricht im Prinzipat, in «Anrw», II, 1976, 244 ss.

 

[42] Cfr. Gai. 2.222: Secundum hanc igitur opinionem si ea res ex iure Quiritium defuncti fuerit, potest a legatario vindicari, sive is unus ex heredibus sit sive extraneus; quodsi in bonis tantum testatoris fuerit, extraneo quidem ex senatusconsulto utile erit legatum, heredi vero familiae erciscundae iudicis praestabitur; quodsi nullo iure fuerit testatoris, tam heredi quam extraneo ex senatusconsulto utile erit.

 

[43] «Per praeceptionem», cit., 207.

 

[44] Op. cit., 696.

 

[45] Questa è l’opinione proposta già da Ferrini, Teoria, cit., 24.

 

[46] A. Schiavone, Ius. L’invenzione del diritto in Occidente, Torino, 2005, 300 ricorda – facendo sue le osservazioni di R.A. Bauman, Lawyers and Politics in the early Roman Empire, München, 1989, 62 ss. – che «Sabino ebbe vita lunghissima: attraversò indenne l’ultima cupa età tiberiana, fatale ... a Nerva, che aveva seguito il principe nell’isolamento di Capri; assistette, per quel che sappiamo senza conseguenze, al tramonto dei sogni classicisti del tempo di Augusto, e lo ritroviamo (probabilmente) ancora al lavoro nei primi anni del principato di Nerone».

 

[47] L’affermazione si basa ovviamente sulla più volte menzionata informazione riportata in Gai. 2.218.

 

[48] Biondi, op. cit., 282; García Garrido, op. cit., 501; Leuba, Origine, cit., 66.

 

[49] Palazzolo, Dos praelegata, cit., 185 nt. 29.

 

[50] Palazzolo, op. et loc. ult. cit.

 

[51] Così espressamente Palazzolo, op. cit., 184 nt. 28.

 

[52] Cfr. ad esempio, Piaget, op. cit., 8.

 

[53] Gai. 2.192, ma cfr. anche Tit. Ulp. 24. 2 e Inst. 20.2.

 

[54] Per un quadro d’insieme, cfr. Coli, op. cit., 68 ss.

 

[55] P. Bonfante, Istituzioni di diritto romano, 10a ed., Torino, 1946, 586 e nt. 1, Id., L’origine dell’«hereditas» e dei «legata» nel diritto successorio romano, (1891), in Scritti giuridici varii, I, Famiglia e successione, Roma, 2007, 113 ss., Id., Le critiche al concetto dell’originaria eredità sovrana e la sua riprova, in Scritti, I, cit., 187 ss., Id., Teorie vecchie e nuove sull’origine dell’eredità, (1915), in Scritti, I, cit., 429 ss., Id., Il concetto dommatico dell’eredità nel diritto romano e moderno, (1894), in Scritti, I, cit., 157 ss., Id., Le affinità giuridiche greco-romane. Testamento romano e testamento greco, (1910), in Scritti, I, cit., 315 ss. E’ ormai noto come il punto più debole della teoria del Bonfante consista nel fatto che non si trova mai ricordata nelle fonti un’epoca in cui ad un fratello fosse riconosciuta la potestà (in particolare, quella che già fu del pater) sopra gli altri.

 

[56] Cfr. in tal senso, Coli, op. cit., 70, il quale ammette che «l’ordine con cui i genera legatorum sono elencati dalle fonti, ha non poco influito».

 

[57] Cfr., ad esempio, E. Carusi, Note intorno alla dottrina dei legati, Roma, 1896, estr. da «Studi e documenti di storia del diritto», XVII, 1896, 15.

 

[58] Cfr. Gai. 2.193.

 

[59] H. Dernburg, Pandekten. III. Familien- und Erbrecht (1901), trad. it. – Pandette. Diritto di famiglia e dell’eredità –, Torino, 1905, 221 nt. 3.

 

[60] Cfr. infatti Gai. 2.224.

 

[61] Cfr., infatti, D. 50.16.120: Verbis legis duodecim tabularum his ‘uti legassit suae rei, ita ius esto’ latissima potestas tributa videtur et heredis instituendi et legata et libertates dandi, tutelas quoque constituendi. Sed id interpretatione coangustatum est vel legum vel auctoritate iura constituentium. Sulle motivazioni relative alla rivalutazione dell’interpretazione che legge il ‘legassit’ decemvirale nel più ampio senso di ‘legem dicere’, e non soltanto di «disporre legati», mi permetto di rinviare a un mio precedente scritto: P. Arces, Riflessioni sulla norma «uti legassit» (Tab. V.3), estratto da «RDR», IV, 2004. L’articolo può anche essere consultato al seguente link: http://www.ledonline.it/rivistadirittoromano/allegati/dirittoromano04arces.pdf .

 

[62] Ferrini, op. cit., 11.

 

[63] Op. et loc. ult. cit.

 

[64] Tra gli altri, dal Carusi, op. cit., 5.

 

[65] Cfr. Tit. Ulp. 19.17.

 

[66] Cfr. Vat. Fr. 47.

 

[67] Cfr., in questo senso, Carusi, op. cit., 6.

 

[68] E. Hölder, Beitrage zur Geschichte der römischen Erbrechts, Erlangen, 1881, 29 ss., 71 ss.; S. Perozzi, Istituzioni di diritto romano, II, Roma, 1928, 379, che considera quello per damnationem «il vero legato»; F.P. Bremer, Iurisprudentiae antehadrianeae quae supersunt, I, Leipzig, 1896, 71; Coli, Lo sviluppo, cit., 80 ss.

 

[69] Cfr. Gai. 3.175.

 

[70] Cfr. Hölder, op. cit., 73 ss.

 

[71] Per tutti, cfr. Coli, op. cit., 73 ss.

 

[72] Cfr. già M. Voigt, Die XII Tafeln, I, Leipzig, 1883, 231; Ferrini, op. cit., 22 s., 180 s.

 

[73] Cfr., in questo senso, Leuba, op. cit., 157.

 

[74] M. Talamanca, Lo schema ‘genus-species’ nelle sistematiche dei giuristi romani, in La filosofia greca e il diritto romano. Atti del colloquio italo-francese, Roma, 14-17 aprile 1973, II, Roma, 1977, 223 nt. 632; R. Martini, «Genus» e «species» nel linguaggio gaiano, in «Synteleia V. Arangio-Ruiz», I, cit., 462 ss.

 

[75] Questa lettura è riconducibile all’impostazione dell’Ormanni, Penus legata., cit., 581 ss.

 

[76] Cfr. in questo senso sempre Ormanni, op. cit., 582 s.

 

[77] Così sempre Ormanni, op. cit., 583 ss.

 

[78] In termini possibilisti circa la riconducibilità a Quinto Mucio della quadripartizione, da ultimo, Schiavone, op. cit., 435 nt. 1; L. Capogrossi Colognesi, Storia di Roma tra diritto e potere, Bologna, 2009, 192, ricorda che «Quinto Mucio si staglia come l’autore di una prima generale organizzazione del sistema giuridico».

 

[79] Ormanni, op. cit., 587 nt. 18.

 

[80] Op. e loc. ult. cit.

 

[81] A. Guarino, Storia del diritto romano, 11a ed., Napoli, 1996, 439.

 

[82] Ormanni, loc. ult. cit.

 

[83] Cfr., ad esempio, T. Honoré, Proculus, in «TR», XXX, 1962, 491, il quale sostiene che Proculo sarebbe stato l’ispiratore del Neroniano.

 

[84] Anche questa posizione viene ricordata da Ciapessoni, op. cit., 657, e sostanzialmente confermata, tra gli altri, da M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano, Milano, 1990, 742 s., il quale riconosce che il Neroniano «costituì una tappa fondamentale nello sviluppo dei legati romani verso la configurazione giustinianea», affermando che esso «regolava la fattispecie del legatum per vindicationem di cosa altrui» per poi essere «esteso a tutti i casi in cui la nullità del legato dipendeva dal genus legati prescelto, mentre la disposizione sarebbe valida se presa per damnationem»: la deliberazione del Senato, dunque, «trasferiva sul piano normativo la prassi – abbastanza diffusa – di disporre lo stesso lascito in più forme, usate contestualmente, soprattutto cumulando il genus per vindicationem e per damnationem».

 

[85] Per escludere tale possibilità non risulta particolarmente significativo affermare, come fa Ormanni, op. cit., 587 nt. 18 che «né la lex Falcidia ... né il SC Neronianum ... né l’editto del pretore ... vi si riferiscono»: scopo della lex Falcidia, infatti, era quello di porre un limite alla possibilità concessa dalla legge delle XII Tavole al testatore di disperdere tutto il patrimonio ereditario legatis atque libertatis: ed è evidente che il riferimento è a tutti i legati: con il che si esclude la necessità di menzionare la loro partizione sistematica. In quanto al Neroniano, poi, fermo restando che nell’assenza del testo della deliberazione del Senato non si possono fare altro che congetture, è evidente che lo scopo del senatoconsulto era quello, in una con la maggiore sensibilità nei confronti del rispetto della voluntas testatoris, di salvare, per quanto possibile, il legato che fosse stato invalido per solo vizio di forma. L’editto del pretore, infine, aveva la funzione di rendere cogenti situazioni e prescrizioni che fossero prive di sanzione per il caso della loro violazione, mediante la creazione di un’apposita tutela processuale: e anche in questa ipotesi, la menzione della partizione sistematica dei legati non risulta essere necessaria.

 

[86] Del resto lo stesso Ormanni, op. et loc. ult. cit., ricorda a titolo indicativo che tale era la posizione di E. Cuq, manuel des institutions juridiques des Romains, 2a ed., Paris, 1928, 770 e nt. 3, il quale affermava che «cette classification est due sans doute aux jurisconsultes de la fin de la République», e che lo stesso COLI, op. cit., 143 ss., pur facendo risalire l’esistenza dei quattuor genera legatorum alla giurisprudenza repubblicana, riconosceva che tale quadripartizione sembrava ignota alla lex Falcidia: ma ho rilevato che l’omissione di tale menzione può ascriversi semplicemente alla diversa finalità perseguita dalla Falcidia.

 

[87] W. Kunkel, Römische Rechtsgeschichte. Eine Einführung, 6a ed., Köln-Wien, 1972, trad. it. – Linee di storia giuridica romana –, Napoli, 1973, 171.

 

[88] Kunkel, op. cit., 171 s.

 

[89] Sulla interpretatio-recezione è fondamentale F. Gallo, La recezione moribus nell’esperienza romana: una prospettiva perduta da recuperare, in «Iura», LV, 2004-2005, (pubbl. 2008), 1 ss. Il tema, peraltro, veniva trattato dall’autore già a partire dall’inizio degli anni ’70 del secolo scorso: cfr. Id., Interpretazione e formazione consuetudinaria del diritto. Lezioni di diritto romano, Torino, 1971, passim. Cfr. anche ID., Sulla definizione celsina del diritto, (1987), ora in Id., Opuscula selecta (curr. F. Bona, M. Miglietta), Padova, 1999, 563 ss.; Id., Un nuovo approccio per lo studio del ius honorarium, (1996), ora in Opuscula, cit., 935 ss.

 

[90] La prassi dei testatori di largheggiare in disposizione di legati e manumissioni, sino a disperdere l’intero patrimonio ereditario, è testimoniata dallo stesso Gaio, il quale ne vede il fondamento normativo nella norma decemvirale ‘uti legassit’: cfr., infatti, Gai. 2.224: Sed olim quidem licebat totum patrimonium legatis atque libertatis erogare nec quicquam heredi relinquere praeterquam inane nomen heredis; idque lex XII tabularum permittere videbatur qua cavetur, ut quod quisque de re sua testatus esset, id ratum haberetur, his verbis: ‘uti legassit suae rei, ita ius esto’. Quare qui scripti heredes erant, ab hereditate se abstinebant, et idcirco plerique intestati moriebantur.

 

[91] Il punto non è pacifico: il Ciapessoni, op. cit., 656, afferma che «la efficacia legislativa dei senatoconsulti come fonte di ius civile all’epoca di Nerone è, per lo meno, assai problematica»: e discute con ampie argomentazioni (689 ss.) «il carattere ed i limiti della funzione legislativa del Senato», che egli riconosce pienamente ed indubitabilmente solo a partire da Adriano. Su tale questione, cfr. le solide argomentazioni opposte dal Piaget, op. cit., 36 ss. Lo stesso Gaio nel suo manuale istituzionale, trattando delle fonti del diritto romano, annovera i senatoconsulti, ma rileva che in passato fosse discusso se essi avessero forza di legge: cfr., infatti, Gai. 1.4: Senatusconsultum est quod senatus iubet atque constituit, idque legis vicem optinent, quamvis fuerit quaesitum. Non si può omettere di ricordare, però, che già all’epoca di Cicerone l’efficacia legislativa dei senatoconsulti era in qualche modo avvertita, ed anche in maniera particolarmente stringente: una plastica dimostrazione mi sembra rinvenibile nella lettura di Cic., de orat. 1.34.159: perdiscendum ius civile, cognoscendae leges, percipienda omnis antiquitas, senatoria consuetudo, disciplina rei publicae...: proprio l’allusione alla senatoria consuetudo ha portato B. Albanese, Ars iuris civilis nel pensiero di Cicerone, in «AUPA», XLVII, 2002, 24, a sostenere incisivamente che essa mostra «una precoce consapevolezza della sostanziale normatività dei senatoconsulti». Alla luce di tali considerazioni può forse anticiparsi almeno alla seconda metà del I secolo d.C. – quantomeno dal punto di vista dell’efficacia legislativa – la datazione proposta da Capogrossi Colognesi, Storia, cit., 301, che colloca «tra la fine del I e il II secolo d. C.» i senatoconsulti come «autonoma fonte del diritto civile, con efficacia identica a quelle delle antiche leges comiziali, anzi in loro sostituzione», avendo in un primo momento le deliberazioni del Senato «trovato applicazione attraverso l’imperium magistratuale, non differendo in sostanza nella loro natura da quelli dell’età repubblicana», la quale avrebbe avuto «la funzione, eminentemente politica, di guidare – e vincolare – l’azione di governo dei magistrati superiori». Il «nuovo valore come fonte normativa» dei senatoconsulti avrebbe così contribuito a ridisegnare «interi settori del diritto privato romano». Ora, tanto più sembra opportuno proporre questa anticipazione cronologica quanto più si legge quest’ultima affermazione accostandola, oltre che al riportato passo ciceroniano, proprio alle constatazioni dello stesso Ciapessoni, op. cit., 654 s., il quale riconosce che il Neroniano, con cui si «volle dare efficacia a un negozio giuridico invalido, mitigando le conseguenze dei vitia verborum», «appartiene ad un determinato movimento riformatore» avente ad oggetto «la invalidità del negozio giuridico, e il rapporto tra verba e voluntas per la validità e interpretazione di esso». Cfr. anche Bretone, Storia, cit., 222 s. Si è inoltre già segnalato che, chiaramente alludendo all’efficacia legislativa del Neroniano, Talamanca, Istituzioni, cit., 742 s., parla di trasferimento sul piano normativo, operato dal senatoconsulto, della prassi di disporre lo stesso lascito in più forme.

 

[92] Gallo, Interpretazione, cit., 147.

 

[93] Gallo, op. et loc. ult. cit.

 

[94] D. 10.2.1 pr. (Gai. 7 ad ed prov.): Haec actio (scil: familiae erciscundae) proficiscitur e lege duodecim tabularum.

 

[95] Ormanni, op. cit., 587 nt. 18, ove testualmente si riporta l’affermazione del Coli, per il quale «la storia dei genera legatorum è da rifare».