Seconda-pagina1[ISSN 1825-0300]

 

N. 9 – 2010 – Tradizione-Romana

 

 

Xu-Guodong-per_sassariXu Guodong*

Università di Xiamen

 

Le azioni popolari in diritto romano e la causa di interesse pubblico in Cina

 

 

 

 

Indice-Sommario: 1. Introduzione. – 2. Le azioni popolari nel diritto romano. Questioni di terminologia. – 3. Definizione e origine delle azioni popolari.4. Tipologie di azioni popolari. – 5. Le basi teoriche e le caratteristiche dell’azione popolare. – 6. Rettifica di alcuni errori prevalenti. – 7. Conclusione.

 

 

1. – Introduzione

 

Lo studio teorico e pratico della causa di pubblico interesse è un argomento che riscuote molto interesse nel nostro paese. Sul piano pratico, si sono già verificati numerosi casi in cui l’esame di questa tematica è stato necessario per la soluzione di controversie. Si è parlato la prima volta di causa di pubblico interesse nel 1993 con la pubblicazione delle «Leggi a difesa dei diritti del consumatore nella Repubblica Popolare Cinese» che all’articolo 49 recita: «Se il dirigente che fornisce le merci oppure il servizio tiene una condotta fraudolenta, in accordo con le richieste del consumatore, si dovrebbe aumentare l’ammontare dell’indennizzo per le perdite da questi subite affinchè il consumatore si veda restituire il costo delle merci o il doppio del costo del servizio».

Se quindi un commerciante vende merce falsa deliberatamente acquistata, colui che ha subito il danno a causa di questo comportamento fraudolento, può agire in giudizio e, in caso di vittoria della causa, guadagnare il 100% del profitto. Da questo deriva che l’accusatore, attraverso la delazione della merce falsificata, promuova non solo l’interesse proprio, che è l’interesse di un singolo, ma anche quello pubblico. Questa legge è stata utilizzata per la prima volta per il caso del signor Wang Hai che, a partire dal 1997, consapevolmente, fece commercio di merce falsificata. In ordine a questa vicenda si è infatti riconosciuta la causa dell’interesse pubblico.

Dopo questo caso, che ha fatto da apripista, il problema dell’interesse pubblico ha ricevuto in Cina un’attenzione sempre maggiore, come dimostra il numero sempre crescente delle cause aventi questo stesso oggetto. Gradatamente questo interesse si è sviluppato secondo una linea tendenziale che ha portato alla messa a fuoco, nella causa dell’interesse pubblico, di una tipologia di puro altruismo rispetto alla tipologia di egoismo-altruismo che era stata invece inaugurata con il caso del signor Wang Hai. Questa nuova svolta nel modo di affrontare il problema si deve alla signora Wang Ying il cui marito morì nel 1997 di pancreatite emorragica fulminante a causa di un eccesso di consumo di liquore distillato. La Wang Ying intentò causa sostenendo la tesi che la morte del marito sarebbe stata causata dalla mancata indicazione sulla confezione del liquore distillato dei rischi per la salute provocati da un consumo prolungato del prodotto. La donna ritenne responsabili di questa omissione sia il produttore del liquore distillato, sia l’Ufficio di Marca dell’Amministrazione Statale per l’Industria e il Commercio. Nonostante onerosissimi costi di spese legali, in 9 anni, ogni iniziativa giudiziale della donna finì con il rigetto della domanda. Nello stesso tempo, però, la risonanza della vicenda e l’ostinazione della signora, determinarono anche una sorta di effetto di ritorno consistente in una sempre crescente immedesimazione e ammirazione del pubblico nei suoi confronti. Così, nel 2006, la stazione televisiva centrale della Cina (CCTV) riconobbe la signora Wang Ying come personaggio dell’anno per aver contribuito significativamente all’affermazione in Cina di uno Stato di diritto. L’anno successivo, grazie al forte impatto mediatico di tutta la vicenda, l’Amministrazione Generale per la Supervisione di Qualità, Ispezione e Quarantena della Repubblica popolare cinese (RPC), insieme all’Amministrazione per la Standardizzazione della RPC, promulgò quindi lo Standard Generale per l’Etichettatura Preconfezionata delle Bevande Alcoliche, in base al quale si raccomandò alle imprese produttrici di bevande alcoliche di stampare sulle confezioni delle bevande il seguente ammonimento: «Eccedere nel bere danneggia la salute». In questo modo la signora Wang Ying riuscì a vincere la sua causa.

Come sviluppo ulteriore si deve citare una causa del 2004 incardinata nel ruolo di Gaochun, della Contea della Municipalità di Nanjing, nella quale un’organo dello Stato agì contro il responsabile di un incidente stradale per il risarcimento del danno nei confronti di una vittima ignota. Ad oggi è possibile trovare molte cause con questo stesso oggetto anche se nessuno qualifica questo tipo di procedimenti come portatori di un interesse pubblico. Si ritiene infatti, in un modo che si potrebbe definire per certi versi anche superficiale, che l’Ufficio degli Affari Civili della Contea di Gaochun, agendo in giudizio, abbia tutelato solamente gli interessi della vittima ignota e quelli della sua famiglia, non anche un interesse pubblico. Questo tipo di procedimenti vengono quindi qualificati come dei processi con sostituzione di soggetti dove il querelante agirebbe in nome proprio, ma per far valere un diritto altrui, e dove è quest’ultimo il soggetto su cui vengono fatti ricadere gli effetti del processo.

Guardando la questione dal punto di vista del diritto romano e, in particolare, facendo riferimento al modo in cui in D. 9, 3, 5, 5 Ulpiano affronta questioni simili, vediamo in realtà che l’Ufficio degli Affari Civili, agendo in giudizio, in sostanza lo fa per tutelare la sicurezza delle vie pubbliche. Nel caso in cui la vittima o la sua famiglia può agire per la tutela dei propri diritti, l’Ufficio degli Affari Civili non può intervenire, ma se la vittima o la sua famiglia non possono agire per proprio conto è l’Ufficio che deve farsi carico del procedimento.

Per la storia dell’affermazione della causa di interesse pubblico nel processo civile in Cina, la presenza in giudizio dell’ente consente allora di riconoscere una nuova tappa di sviluppo. Si può dire che singole persone possono intentare una causa a tutela dell’interesse pubblico; ovvero, che per questo tipo di cause non sia richiesto che il querelante sia portatore di un interesse personale diretto al risultato del processo. Tutto questo, dal punto di vista del diritto processuale e sostanziale cinese, dimostra quindi la grandissima importanza teorica di questo tipo di interventi[1].

Per quanto riguarda le ricerche teoriche sulla causa di interesse pubblico, esiste un sito specializzato dedicato a questo tema (http://www.pil.org.cn, e http://www.gyssw.com.cn) e per l’approfondimento di questa materia sono state fondate diverse riviste specializzate su cui è stato scritto molto[2]. In effetti l’area di applicabilità della causa di pubblico interesse è stata estesa dal diritto civile fino al diritto amministrativo, al diritto dell’economia, al diritto penale, alle leggi per l’ambiente e ad altro ancora. Le ricerche sulla causa di pubblico interesse intentata per la salvaguardia dell’ambiente meritano tuttavia una particolare attenzione poiché questa è una forma di azione popolare la cui esistenza è rintracciabile sin dal diritto romano. Già qualche dato statistico può essere però di per sè significativo. La ricerca sulla causa d’interesse pubblico in Cina conta infatti al momento già 5 tesi di dottorato[3] e le tesi di Master sono ancora più numerose, dato che se ne possono contare almeno 157[4]. Nei lavori di ricerca sulla causa di pubblico interesse pubblicati in Cina spesso si risale alle origini dell’istituto rifacendosi come si è detto al diritto romano, ma anche a causa dei limiti conoscitivi di ciascun autore, si riscontra spessissimo il limite costituito dal fatto che viene sempre usato materiale pubblicato in lingua cinese di vecchia data. Nelle discussioni della dottrina tradizionale si riscontrano inoltre numerosi errori, ad esempio si dice che la causa di pubblico interesse nel diritto romano non poteva essere intentata per un interesse privato[5] e poi che l’America sarebbe stata la prima nazione nell’era moderna a stabilire la causa di pubblico interesse ed altri ancora[6]. Con la presente relazione, partendo proprio da questa base di conoscenza molto dettagliata, sarà quindi possibile approfondire gli aspetti più rilevanti delle azioni popolari nel diritto romano ed apportare anche qualche necessaria rettifica ad alcune affermazioni errate che si rinvengono negli scritti di alcuni autori del mio paese.

 

 

2. – Le azioni popolari nel diritto romano. Questioni di terminologia

 

La forma latina per indicare le azioni popolari è l’actio popularis. Il signor Zhou Nan traduce tale espressione come ‘causa di pubblico interesse’[7], mentre la maggior parte degli altri autori traduce come ‘causa del popolo’[8]. Il signor Fan Huaijun per primo ha coniato l’espressione ‘azioni a titolarità collettiva’, rivelando la natura perspicua di tale azione consistente nella possibilità di essere esperita da chiunque rientrasse nella categoria di persona appartenente al populus. Tale espressione è stata poi recepita da tutti gli studiosi moderni successivi. La traduzione corretta della locuzione latina dipende tuttavia dalla corretta comprensione dei due termini actio e popularis. Qui di seguito procederò per l’indagine di questi due termini in modo separato.

Actio ha il significato di causa, azione. Traducendo la parola actio di actio popularis con ‘causa’, da un punto di vista superficiale non sembrerebbe potersi dare luogo ad alcun tipo di fraintendimento. Tuttavia, alcuni autori hanno inteso considerare l’interdictum popularis come un tipo di azione popolare tuttavia, in questo modo, continuando a tradurre actio come ‘azione’, sorge un problema di non poco momento[9]. Sappiamo che l’ordinanza è un tipo di disposizione giudiziaria temporanea, per la quale non è necessario un processo legale ufficiale (litis contestatio)[10], ma la procedura a cui si fa riferimerimento con il termine causa è una procedura legislativa ufficiale. I due termini, pertanto, sono completamente diversi e dovrebbero essere usati adottando nomi differenti. Il fatto che entrambi in seguito risultino corrispondere ad un’unica parola, può forse essere spiegato pensando che nella fase della cognitio, sia l’azione popolare che l’ordinanza popolare, furono fatte confluire in uno stesso istituto, arrivandosi così ad inglobare l’ordinanza popolare nell’azione popolare[11].

Individuare con esattezza quale sia il significato di popularis è molto importante per stabilire la traduzione esatta dell’espressione latina actio popularis. Nella terminologia di Marco Tullio Cicerone, popularis indica una parte del popolo, vale a dire quella parte del popolo sottoposta alla classe dominante[12]. La classe dominante, come è noto, era di rango superiore (optimates), la classe dominata di rango inferiore (popularis)[13]. Nei dizionari cinese-latino, la parola latina popularis viene tradotta con il significato di ‘popolo’ nell’accezione di ‘gente comune’[14]. Ed allora, se davvero si deve riconoscere alla parola popularis tale significato nel contesto linguistico attuale, si può fare la seguente deduzione: il popolo è composto dalla classe dominante e dalla classe dominata, la denominazione di actio popularis implica e si riferisce ad entrambi gli strati sociali; tuttavia essa dovrebbe essere soltanto l’azione utilizzata dalla classe dominata, e non l’azione che può essere utilizzata da tutto il popolo. Sembra potersi riscontrare allora un legame di collaborazione tra classi: la classe dominante, a cui spettava la responsabilità di governare la società, doveva agire rettamente per spronare a compiere buone azioni attraverso le azioni popolari, se tuttavia era negligente, in questo caso la classe dominata, attraverso le azioni popolari, poteva ricordare loro di agire rettamente. Qualsiasi fosse il significato di popularis ‘interesse pubblico’ o ‘popolare’, quelle utilizzate dai signori Zhou Nan e Fan Huaijun, ovviamente, in quanto traduzioni di senso, non sono comunque da biasimare. Tuttavia la traduzione di ‘causa del popolo’ non coincide con i significati implicati nella parola popularis, non è appropriata, e in accordo con tale tipo di approccio per una traduzione letterale. Quella appropriata dovrebbe essere causa degli strati sociali inferiori’. A ben vedere, popularis non va considerato come un aggettivo della parola populus, l’aggettivo della parola populus è invece publicus[15]. La forma latina antica di ‘causa del popolo’ dovrebbe allora essere resa con actio publica, dove tale termine aveva il significato di ‘pubblica accusa’. Tutto questo però riguarda un altro istituto del quale intendo trattare in una successiva relazione.

Qualcuno crede però che il termine popularis, nel contesto linguistico attuale, probabilmente non abbia il significato di cui si è discusso sopra. In base alle annotazioni di Festo, si può dire che nell’antica Roma fossero contemplate tre tipi di offerte sacrificali. La prima era un’offerta di tipo pubblico celebrata per il popolo; la seconda era di tipo privato, compiuta cioè per una singola famiglia o un clan; il terzo tipo era invece un’offerta sacrificale di tipo individuale (sacra popularis) che differiva da quella privata ed era eseguita per il beneficio individuale.

Questa triplice modalità di suddividere le offerte sacrificali inaugurò probabilmente l’uso della parola popularis per indicare l’individuo[16]. Francesco Casavola ritiene che il significato di popularis  dell’espressione actio popularis sia proprio ‘individuale’. In tal modo, actio popularis rappresenterebbe esattamente una testimonianza del processo di liberazione dei cittadini romani dal sistema dei clan. Traducendo letteralmente, actio popularis dovrebbe allora essere considerata un’espressione corrispondente a ciò che si intende con ‘causa individuale’ in italiano. Secondo me, questa traduzione non è in contrasto con la traduzione di ‘causa delle masse popolari’, non facendo altro che sottolineare il fatto che l’actio popularis fosse un’azione esercitata da un individuo della classe popolare. Tuttavia il termine ‘individuo’ nella formula ‘causa individuale’, non include ogni componente della collettività, ma ne elimina qualcuno. Prima di tutto le donne ed i minori. Mantenendo una tale posizione di esclusione delle donne, il diritto romano non autorizzava infatti i soggetti di sesso femminile a ricoprire il ruolo di accusatori nelle azioni popolari (D. 47. 23.6) e, in secondo luogo, non autorizzava coloro che subivano un ignominia ad intentare tale tipo di causa[17].

 

 

3. – Definizione e origine delle azioni popolari

 

D. 47.23.1 (Paul. 8 ad ed.) conserva una definizione di azione popolare: «Noi chiamiamo azioni popolari l’azione che salvaguarda il diritto del popolo stesso» (Eam popularem actionem dicimus, quae suum ius populi tuetur)[18].

Anzitutto la parola chiave di questa definizione è ius e, nel linguaggio del diritto romano, ius si contrappone a mos e fas. Il mos regolava i rapporti interni di famiglia, invece il fas regolava i rapporti tra gli uomini e gli dei, il ius regolava infine i rapporti tra le famiglie[19]. Da questo si potrebbe dedurre che l’azione popolare non fosse applicabile agli affari interni delle famiglie, così come agli affari riguardanti i rapporti tra uomini e dei, risultando invece applicabile ai soli affari di carattere secolare. Perciò l’azione popolare dovrebbe apparire come uno strumento per salvaguardare le istituzioni giuridiche secolari dei Romani. In secondo luogo, c’è da considerare che Paolo nella definizione appena richiamata usa contemporaneamente la parola populus e la parola popularis. Giacché l’azione in questione serviva a salvaguardare le leggi del popolo, essa si sarebbe dovuto chiamarla actio publica. Essa però è chiamata actio popularis: il che ci pone di fronte ad una discordanza tra il sostantivo e il suo aggettivo. Infatti, se l’azione popolare da un lato sembra possedere il carattere di un’azione esperita da una classe inferiore, dall’altro, nella pratica, essa risulta difendere le leggi vigenti per entrambe le due classi. Siamo probabilmente di fronte alla testimonianza linguistica di una concessione della classe dominante alla classe dominata. La prima dava alla seconda l’opportunità di partecipare agli affari pubblici, purché la seconda accettasse la supervisione della prima e la protezione della legge, una vicenda che appare così, a sua volta, di natura complementare. Infine, si deve anche aggiungere che nonostante questa definizione appaia piuttosto ampia, tale ampiezza non sembra però sufficiente a comprendere anche la natura dell’interesse del querelante, nonchè il più preciso campo giuridico di appartenenza di questo tipo di azione popolare. Di conseguenza, questa definizione può essere applicata sia all’azione popolare che all’accusa pubblica.

Carlo Fadda, molto critico nei confronti della definizione del giurista Paolo che si sta commentando, ha qualificato questa azione nel modo seguente: «E’ popolare quell’azione, che ogni cittadino, sia pur nel pubblico interesse, propone a vantaggio proprio e come azione a lui propria»[20]. Questa definizione pone l’accento sulla vera natura dell’actio popularis la quale sembrerebbe essere stata un’azione che insieme serviva a tutelare l’interesse collettivo e quello personale del querelante, venendo in gioco contemporaneamente sia la natura individuale dell’interesse della persona che intentava la causa, che il ruolo della pubblica accusa, visto come qualcosa che veniva posto a tutela dell’interesse collettivo. Il tutto, in un modo vantaggioso per distinguere la differenza fra l’azione popolare e l’accusa pubblica.

L’origine dell’azione popolare risale all’actio sepulcri violati che si formò verso la metà del I secolo a.C. Nelle fonti anteriori al I secolo a.C., non troviamo infatti notizie sulla protezione da parte del sistema giuridico romano di tombe comuni di persone. Circa al tempo in cui Silla governava Roma (82-79 a.C.), un pretore promulgò un editto col quale proibì l’immissione di sterco e di cadaveri nel Campo Esquilino che era all’epoca un grande cimitero plebeo[21]. Quasi nello stesso tempo, venne promulgato il Senatus Consultum de Pago Montano, che contemplava la stessa proibizione, autorizzando gli edili plebei a punire i profanatori di sepolcro con la manus iniectio e la pignoris capio[22].

Da qui in poi emerse la prima legislazione avente ad oggetto la protezione delle tombe comuni delle persone. Vale la pena di sottolineare che queste due azioni erano popolari, quindi potevano essere esercitate da chiunque e ognuno poteva arrestare i violatori costringendoli a pagare una multa[23]. Così l’editto e il Senatus Consultum de Pago Montano possono essere considerati gli atti normativi che insieme predisposero l’archetipo dell’azione popolare. Il fatto che questa prima forma di azione popolare avesse ad oggetto la protezione delle tombe dei plebei che praticavano l’inumazione (diversamente dai patrizi che praticavano la cremazione), nonchè la circostanza per cui si demandò agli edili plebei la competenza per l’esecuzione di queste due azioni, è stata forse la causa storica per cui questo tipo di azione sarebbe stata poi considerata popolare per antonomasia. La compatibilità dell’esercizio di queste due azioni, sia da parte del popolo come massa sociale, che da parte degli edili plebei, mostra altresì che l’azione popolare fosse un’azione che sfruttava nello stesso tempo l’iniziativa delle masse sociali e dei funzionari. Mancando l’iniziativa degli edili poteva supplire infatti l’intervento del quivis de populo in funzione di polizia ausiliaria, in un meccanismo perfettamente congegnato di collaborazione.

Nel corso del tempo la manus iniectio e la pignoris capio, azioni che venivano intentate per proteggere le sepolture, evolsero poco a poco nell’actio sepulcri violati. Uno strumento procedimentale che aveva le seguenti caratteristiche: 1. L’azione era creata dal pretore; 2. Il querelante poteva incassare la multa come premio della sua condotta di difendere l’interesse pubblico; 3. Le donne e i minori erano privi della capacità di intentare una causa, fatta eccezione per l’ipotesi in cui fossero essi stessi proprietari delle cose danneggiate; 4. Se vi erano più persone che avevano intenzione di intentare la causa, il pretore sceglieva quella che ritenesse più idonea fra loro; 5. Per intentare una causa, il querelante non poteva utilizzare un rapresentante; 6. Il querelante doveva giurare di agire ex bona fide prima di intentare un processo[24]; 7. Una volta che l’attore avesse adito la causa e che il giudice l’avesse giudicato, questo risultato aveva l’effetto di res judicata, e quindi l’attore che intentava la causa ed eventuali altre persone non potevano agire in giudizio di nuovo per la stessa causa[25]; 8. Le azioni popolari avevano natura patrimoniale, cioè, avevano ad oggetto sempre una richiesta di condanna al pagamento di danni personali e, per questo motivo, non erano trasferibili[26]. Possiamo considerare queste caratteristiche appena enunciate come il vero e proprio paradigma di tutte le altre azioni popolari successive.

 

 

4. – Tipologie di azioni popolari

 

Secondo la dottrina prevalente le azioni popolari sarebbero configurabili in relazione alle seguenti fattispecie:

Actio sepulcri violati. Era la causa intentata nei confronti di chi avesse violato volontariamente una tomba (fattispecie che contemplava anche l’ipotesi del furto di cose nelle tombe), di chi avesse abitato in un sepolcro, e infine di chi avesse costruito edifici su un sepolcro o avesse violato in altro modo il sepolcro. Il diritto di azione era riconosciuto in primo luogo al proprietario delle tombe. In questo caso, la natura dell’azione si configurava nel quantum ob eam rem aequum videbitur; in mancanza del proprietario della tomba violata o nel caso in cui questi non intendesse intentare causa, il diritto di azione diventava invece esperibile da chiunque. Sul piano disciplinatorio, chi avesse vinto la causa contro il profanatore volontario della tomba, avrebbe ottenuto l’ammontare della multa corrispondente alla cifra di 100 monete d’oro. Colui che avesse vinto la causa contro chi avesse abitato in un sepolcro, ovvero chi avesse costruito altri edifici su un sepolcro poteva ottenere la multa di 200 monete d’oro (D. 47.12.3pr. Ulpiano, 25 ad edictum).

Actio de effusis et deiectis. Era l’ipotesi di un oggetto caduto o scagliato da un edificio in un luogo pubblico che dava luogo ad un’azione contro la persona autrice del danno. Se l’evento dannoso causava il decesso di un uomo libero, le persone responsabili o i suoi affini o cognati potevano intentare la causa; in mancanza di tali soggetti, o se questi non avessero voluto intentare causa, l’azione de quo si trasformava in un’azione popolare. Sotto il profilo disciplinatorio, in caso di condanna del responsabile, questi era tenuto al pagamento di una sanzione pecuniaria nella misura di 50 monete d’oro. Le fonti stabiliscono anche un ordine di preferenza circa la titolarità attiva per l’esercizio di questo tipo di azione: in primo luogo il danneggiato o chi, in caso di danno che avesse procurato la morte, era a questi legato in virtù di matrimonio o consanguineità (D. 9.3.5.5 Ulpiano, 23 ad edictum). Questo assetto disciplinatorio pone però qualche problema teorico. A ben vedere, l’azione popolare risulta sì, aperta a chiunque, ma non senza restrizioni. La più evidente è che questo tipo di azione era concessa anzitutto alla persona del danneggiato; poi, ma solo in un ordine residuale, essa sarebbe risultata esperibile da chiunque del pubblico. Questo significa che nel caso di specie è molto difficile parlare della difesa di un interesse pubblico poichè questa prerogativa rilevava per il sistema del diritto romano solo in via residuale.

Actio de positis et suspensis. Questo tipo di azione processuale riguardava il caso di un oggetto posto su una grondaia (in suggrunda) o su una tettoia (protecto). L’azione è prevista dalle fonti per i danni alla persona causati dalla caduta di tale oggetto. Se un uomo libero veniva ucciso, la multa era di 50 monete d’oro; se un uomo libero veniva ferito, il giudice condannava il proprietario ad una multa ritenuta appropriata e giusta. In merito ad altri tipi di danneggiamento, la condanna era pari invece ad una multa doppia. Eredi e legatari del defunto potevano intentare la causa, ma se la persona del danneggiato era in vita e questi non intendeva proporre azione, chiunque poteva farlo ottenendo in caso di vittoria il pagamento in suo favore della sanzione pecuniaria nella misura di 10 monete d’oro.

Actio de bestiis. Questa azione traeva origine dall’editto degli edili curuli. Tali editti vietavano il transito di animali quali cani, verri, maiali selvatici, orsi o leoni in luoghi frequentati da persone. Se si violava tale regola e un uomo libero veniva ucciso, la multa era di 200 monete d’oro; se un uomo libero veniva ferito, chiunque poteva intentare la causa e il giudice condannava il proprietario dell’animale ad una multa ritenuta appropriata e giusta; in merito al danneggiamento di altri oggetti, la condanna era in duplum (I. 4.9.1).

Actio de albo corrupto[27]. Si trattava dell’azione intentata per il danneggiamento volontario dell’editto pubblicato da funzionari che esercitavano una giurisdizione permanente su un cartello, foglio o altro materiale. Poteva essere esperita da chiunque e chi vinceva la causa otteneva una multa di 500 monete d’oro (D. 2.1.7pr.).

Con riguardo alle cinque tipologie di azioni popolari appena descritte, si può aggiungere in conclusione la seguente notazione: solo le prime quattro erano azioni dirette ad atti di violazione della sicurezza pubblica. Questo perchè il pretore concedeva tali azioni al pubblico in base alla considerazione della salvaguardia comune della sicurezza pubblica. Dalla prima alla quarta, si può dire che il bene tutelato fosse la violazione diretta di un interesse privato e in questi casi gli atti contro cui si chiedeva tutela ledevano solo indirettamente l’interesse pubblico. Soltanto la quinta azione era finalizzata ad ottenere la tutela da un evento che poteva ledere direttamente l’interesse pubblico. Inoltre, la maggior parte di questi strumenti processuali era diretta in realtà ad offrire tutela nei confronti di atti di violazione di diritti individuali e solo in casi più limitati posti per una tutela contro atti criminosi.

Passiamo adesso a parlare delle ordinanze popolari (interdictum popularis).

In diritto romano, l’ordinanza (interdictum) era l’ordine di fare o non fare qualcosa, un provvedimento che i funzionari emanavano in uno stato di emergenza e in genere dietro la sollecitazione di molti[28]. La ratio di questo tipo di provvedimenti era di salvaguardare l’interesse e l’ordine pubblico. Tali ordinanze (o interdetti) si suddividevano in ordinanze esibitorie (interdicta exhibitoria), di divieto (interdicta prohibitoria) e di restituzione allo stato pristino (interdicta restitutoria). La prima categoria richiedeva lesibizione dei figli o di uomini liberati per difendere il diritto di una persona; la seconda vietava di compiere fatti che potessero ledere l’interesse pubblico; l’ultima si utilizzava per ordinare a chi avesse già compiuto fatti che avevano pregiudicato l’interesse pubblico, di riportare la situazione allo stato pristino, cioè anteriore alla violazione. In merito a tali ordinanze, si può distinguere ancora in interdetti posti a salvaguardia di interessi privati o di interessi pubblici. Per quest’ultimi chiunque poteva farne istanza, e pertanto si può dire che fossero delle ordinanze di tipo popolare. In diritto romano le ordinanze popolari erano inoltre applicabili a quattro tipi di proprietà pubblica: (1) luoghi ad uso pubblico, una categoria comprendente territori in senso lato, vie pubbliche e piccoli sentieri; (2) strade pubbliche; (3) fiumi e sponde di proprietà pubblica; (4) fogne pubbliche[29]. Al riguardo va osservato che le ordinanze popolari riflettevano il concetto di Res publica che era una realtà a disposizione di tutti e da tutti salvaguardata.

Vediamo adesso le fonti che danno conto delle questioni riguardanti questi quattro tipi di ordinanze popolari:

a) In primo luogo D. 43.1.1pr. Ulpiano 67 ad edictum: «...ordinanza applicabile a beni pubblici, a luoghi pubblici, a strade e fiumi pubblici…» […publica: de locis publicis, de viis deque fluminibus publicis … …].

b) In secondo luogo dobbiamo occuparci di due frammenti: D. 43.7.1. Pomponio 30 ad Sabinus 30: «è permesso l’utilizzo di beni ad uso comune, come l’uso comune di strade pubbliche e passaggi pubblici. Pertanto, a chiunque ne faccia richiesta viene accordata l’ordinanza». [Cuilibet in publicum petere permittendum est id, quod ad usum omnium pertineat, veluti vias publicas, itinera publica: et ideo quolibet postulante de his interdicitur]. C’è poi D. 43.1.2.1. Paolo, 63 ad edictum, la cui traduzione è: «...in realtà, l’applicabilità dell’ordinanza … …oppure la pubblica utilità. L’interdetto che riguarda la pubblica utilità è ad esempio quello che ‘concede l’uso delle strade pubbliche’ e dei ‘fiumi pubblici’, oppure quello per cui ‘sulle strade pubbliche non si devono compiere alcuni atti’…» [publicae utilitas causa competit interdictum “ut via public aut liceat” et “flumine publico” et “ ne quid fiat in via publica”… …].

c) In terzo luogo abbiamo: D. 43.12.1pr. Ulpiano, 68 ad edictum: il pretore dice: «su un fiume pubblico e sulle sponde non è concesso fare certe costruzioni che causino o causeranno danni alle via fluviali, all’ancoraggio o ai percorsi da traino» [Ait praetor: “ne quid in flumine publico ripave eius facias neve quid in flumine publico neve in ripas eius immetta, quo statio iterve navigio deterior sit fiat]. D.43.12.1.19. Ulpiano. ad edictum 68: il pretore dice: «chi permette di realizzare costruzioni su un fiume o sulle sue sponde o su tale fiume e sulle sue sponde permette di ammucchiare oggetti che causino, o causeranno, danni alla via fluviale, all’ancoraggio o a percorsi da traino, deve riportare tale situazione allo stato pristino» [Deinde ait praetor: “quod in flumine publico ripave eius fiat sive quid in id flumen ripamve eius immissum habes, quo statio iterve navigio deterior sit fiat, restituas].

d) Infine c’è D. 43. 23.1pr. Ulpiano 71 ad edictum: dove il pretore dice: «vieto categoricamente che si puliscano e si riparino fogne che dalla propria abitazione vadano all’abitazione di altri e che sono oggetto di contenzioso. Diversamente, se ci sono danni causati da un difetto di ingegneria, ordino di fornire garanzia» [Praetor ait: «quo minus illi cloacam quae ex aedibus eius in tuas pertinet, qua de agitur, purgare reficere liceat, vim fieri veto, damni infecti, quod operis vitio factum sit, caveri iubebo»].

Come si vede queste ordinanze erano poste a protezione dei membri della comunità romana riguardo l’uso della res publica, ma senza che si raggiungesse un livello di sensibilità culturale che arrivava alla considerazione di un’esigenza di salvaguardia dell’ambiente. Soltanto attraverso le spiegazioni creative dei giuristi si raggiunse tale livello e in questo quadro, Labeone e Nerva si distinsero più di altri. Il primo estese il contesto d’uso del decreto che vietava costruzioni o di rovesciare oggetti su una strada pubblica (D. 43, 1, 2, 1) anche alla situazione per cui la fogna perdeva acqua inquinando la strada pubblica. Nerva invece andò ancora più lontano e ritenne applicabile il medesimo decreto anche all’inquinamento da immissioni moleste, come nel caso di cattivi odori che contaminassero i luoghi pubblici[30].

Si può pertanto affermare che nella storia del genere umano siano stati questi i primi atti normativi ad aver inaugurato le leggi di tutela dell’ambiente o le cosiddette leggi di salvaguardia ambientale delle masse.

 

 

5. – Le basi teoriche e le caratteristiche dell’azione popolare

 

Riguardo alle caratteristiche dell’azione popolare gli studiosi sono sempre stati divisi da una profonda divergenza di vedute. Alcuni, come lo studioso spagnolo Manuel Jesus Garcìa Garrido, ritengono che l’azione popolare fosse un’azione legale privata e di tipo informale. Questa posizione teorica si basa sulla convinzione che l’azione popolare non fosse di regola esperita contro una condotta di alto tradimento - ossia nei confronti di chi avesse arrecato una diretta ingiuria al popolo romano -, ovvero a fronte di un’avvenuta conferma di atti di reato, ma veniva fatta valere solo nei confronti di chi avesse commesso un delitto di tipo privato[31]. I seguaci di Mommsen ritengono invece che l’azione popolare fosse un’azione di diritto pubblico. La differenza tra i casi in cui si fosse proceduto mediante questo tipo di azione e quelli in cui si dava luogo ad una pubblica accusa sarebbe stata solo di ordine quantitativo. Alla prima forma procedurale si sarebbe fatto ricorso di fronte all’occorrenza di piccoli delitti; alla seconda, in caso di commissione di crimini gravi. Guardando come viene trattato l’argomento nel Digesto di Giustiniano, si vede subito che l’azione popolare fu collocata dai giuristi di Triboniano dopo i delitti e prima dell’azione pubblica. La qual cosa depone ceretamente a favore dell’ipotesi che vorrebbe l’azione popolare strettamente correlata ad un’azione pubblica[32]. Personalmente ritengo che l’azione popolare fosse stata ritenuta un’azione esperibile contro i delitti e gli altri crimini minori (per esempio come la profanazione di una tomba o il danneggiamento dell’insegna di un edictum praetorium) e non concordo con coloro che hanno sostenuto la tesi per cui l’azione popolare sarebbe stata una manifestazione dell’accusa pubblica contro i crimini maggiori.

A questo punto diventa tuttavia, forse, necessario dire qualcosa in più sull’accusa pubblica.

Si tratta di un’istituto che già nell’ottica romana permetteva a ogni cittadino che avesse scoperto un crimine, di procedere in qualità di accusatore contro il suo autore. Alle origini di questa fattispecie troviamo l’istituto del patronato. Come è noto, il patronus era il pater familias, o dominus, che liberava un libertus facendosi carico della sua tutela. Partendo da questo dato, si potrebbe quindi dire che, all’epoca di Marco Tullio Cicerone, la parola ‘patronus’ potesse essere usata anche per indicare colui che, fra i senatori, agisse per salvaguardare l’intera nazione o città straniere. Questo patronus infatti prima di tutto aveva il compito di procedere contro i reati di concussione (repetundae).

Proprio a causa della rilevanza di questo tipo di crimine, nell’anno nel 171 a. C., la provincia spagnola rivolgendosi al Senato Romano mosse delle accuse contro alcuni governatori spagnoli che erano stati ritenuti colpevoli del reato di concussione. Il Senato Romano fu quindi nominato governatore di Spagna e instituì un Tribunale per svolgere un’indagine su questa ed altre accuse mosse[33]. Le fonti dimostrano che durante il processo chiunque avrebbe potuto fare domanda per ricoprire la carica di patronus. Alla fine, questo tipo di procedura detto di repetundae, si può dire che avesse principalmente lo scopo di salvaguardare le popolazioni delle province che erano in buoni rapporti con Roma, dalché si comprende quanto il termine adottato per chiamare questo tipo di procedura fosse appropriato. Il pretore romano infatti, fra coloro che lo richiedevano, doveva scegliere colui a cui affidare il ruolo di agente ad litem (rappresentante legale) della provincia violata. L’istituto di accusa pubblica che si è appena descritto, in seguito fu ampliato e applicato anche a molte altre ipotesi[34].

A cavallo tra la fine di Repubblica e l’inizio dell’Impero, una serie di comportamenti delittuosi o illeciti – come il commettere un crimine contro la nazione (crimen maiestatis), adulterium, omicidio, parricidium, falsificazione di testamento, vi publica seu privata (violenza), corruzione, plagium o ambitus, e così via -, configuravano tutte ipotesi criminose suscettibili di accusa pubblica. Rispetto ad ipotesi di questo tipo ogni membro del popolo poteva intentare causa (I. 4. 18). Ovviamente, quando l’accusa pubblica fu ampliata e applicata anche alle ipotesi di chi avesse commesso un crimine contro il popolo romano, il patronus fu chiamato accusatore, come se si fosse considerato il popolo romano alla stregua di un libertus. Questo perchè il ruolo che in passato si era riconosciuto al patronus, in un secondo tempo, fu affidato all’accusator per evitare di provocare malintesi. Questi, ad istanza di alcune persone, si presentava in tribunale e faceva richiesta del ‘diritto di accusa’ al pretore che, a sua volta, avesse istituito un tipo di udienza preliminare per decidere, tra coloro che avessero presentato tale istanza, chi avesse avuto più possibilità di vincere. Colui che veniva scelto poteva naturalmente continuare con la successiva procedura del processo penale[35].

Si evince da tutto questo che l’azione popolare e l’accusa pubblica non possono essere considerate come identiche fattispecie. Andando a vedere l’origine di questi due istituti si nota oltretutto come la prima fu fondata per salvaguardare gli interessi del popolo romano, mentre la seconda per salvaguardare gli interessi del popolo dei paesi stranieri. Forse la ratio dell’accusa pubblica trasse ragione da una necessità di mantenere delle buone relazioni con i paesi stranieri. Infatti il sistema dell’accusa pubblica era aperto anche alle popolazioni dei paesi stranieri e gli stranieri che vincevano la causa potevano ottenere anche la cittadinanza romana come ricompensa[36]. L’azione popolare invece non poteva essere esperita se nel procedimento era coinvolto un paese straniero. L’azione popolare veniva infatti impiegata in diritto privato ed in relazione ai crimini minori, l’accusa pubblica veniva invece applicata ai crimini maggiori.

A fronte di queste differenze dobbiamo anche dire che queste due modalità di azione avevano dei punti in comune. Per esempio, entrambe potevano essere richieste da ogni cittadino romano (più in particolare, però, l’azione popolare era aperta solo nei confronti dei cittadini di bassa estrazione sociale, mentre l’accusa pubblica era aperta a tutti i cittadini); entrambe erano sottratte all’iniziativa di donne e minori; se erano in molti a farne richiesta, bisognava superare un confronto preliminare con il magister e solo dopo si sarebbe potuto adire il pretore. Si capisce allora se, nel corso del tempo, gli studiosi hanno finito per confonderle. Basti pensare che fu solo dopo la pubblicazione, nel 1864, del Die römischen Popularklagen dello studioso tedesco Karl Bruns, che gli studiosi cominciarono a fare una netta distinzione tra le due fattispecie, ritenendo che bisognasse, per l’adizione della prima, avere un individuo che esperisse l’azione pubblica come se si trattasse di propri diritti; mentre per la seconda un individuo, considerato come un rappresentante della nazione, che salvaguardasse gli interessi pubblici dell’accusa pubblica di cui faceva parte[37].

L’azione popolare, il decreto popolare e l’accusa pubblica dunque avevano evidentemente alcune similarità.

Quali sono allora gli elementi che portano a riconoscere per queste azioni delle caratteristiche in comune? Al tempo della repubblica romana non c’era un sistema burocratico nel senso in cui lo intendiamo noi nell’era contemporanea dove non esiste una linea divisoria fra popolo e nazione. Così al tempo antico si avevano l’azione popolare, il decreto popolare e l’accusa pubblica. Attraverso questi strumenti, il popolo stesso si metteva in condizione di svolgere una funzione di burocrazia anche se ciascun cittadino non sapeva o non aveva il tempo di occuparsi degli affari di pubblica utilità. Per questo, si può dire che le tre istituzioni di cui abbiamo sin qui parlato riflettano la dottrina di una sovranità del popolo. Il popolo faceva eseguire ai burocrati la propria parte di diritti, eseguendoli indirettamente, e in tempo di necessità, poteva eseguirli lui stesso, attraverso una partecipazione diretta. Ma molte volte, il popolo e la burocrazia si occupavano insieme delle questioni di pubblico interesse creando una situazione che poteva diventare, allo stesso tempo, di concorrenza e collaborazione[38].

 

 

6. – Rettifica di alcuni errori prevalenti

 

Possiamo a questo punto tornare su alcuni luoghi comuni della dottrina per verificarne ancora la plausibilità.

a) Si suole spesso dire: «Le procedure legali del popolo possono riguardare solo il pubblico interesse».

Questa affermazione è sicuramente sbagliata. Va notato al riguardo che l’actio sepulchri violati, l’actio de effusis et deiectis e l’actio de positis et suspensis, per prima cosa erano esperibili dalla persona danneggiata e solo in modo subordinato potevano essere utilizzate da chiunque vi avesse interesse. Nella circostanza in cui la persona che promuoveva l’azione fosse stato il danneggiato è difficile dire che lo facesse per l’interesse pubblico. Nel caso in cui un individuo qualsiasi azionasse questo tipo di procedura, questi poteva anche ottenere come ricompensa da parte del danneggiante eventualmente condannato il pagamento dell’intera ammenda o di una parte. La giusta definizione per questo tipo di causa dovrebbe allora essere: ‘le cause popolari erano forme di azioni che riguardavano sia l’interesse pubblico che quello privato’.

b) Ancora: «La causa moderna di interesse pubblico fu introdotta per la prima volta negli Stati Uniti».

Questa dottrina fa riferimento all’introduzione negli Stati Uniti dello Sherman Act nel 1890, un provvedimento normativo che autorizzava il dipartimento di giustizia, il governo federale, persone giuridiche e ogni altro individuo, a imporre limiti alle pratiche di competizione e di monopolio nell’intentare un processo per cause penali e civili. Nel 1914, a completamento dello Sherman Act, gli Stati Uniti promulgarono anche il cd. Claiton Act. Questa legge autorizzava ogni uomo o organizzazione a portare in causa chiunque praticasse una discriminazione illegale dei prezzi. Queste leggi sono considerate come le prime forme di legislazione di interesse pubblico che siano state promulgate nel mondo moderno[39]. Questa opinione si basa tuttavia sull’ignoranza della giurisprudenza e della legislazione del mondo non anglosassone, ma è certamente sbagliata perchè la prima legislazione moderna riguardo l’azione popolare si ebbe con le seguenti direttive del Codice Civile Cileno del 1855:

 

Art. 948: «La municipalidad y cualquiera persona del pueblo tendrá, en favor de los caminos, plazas u otros lugares de uso público, y para la seguridad de los que transitan por ellos, los derechos concedidos a los dueños de heredades o edificios privados».

«Y siempre que a consecuencia de una acción popular haya de demolerse o enmendarse una construcción, o de resarcirse un daño sufrido, se recompensará al actor, a costa del querellado, con una suma que no baje de la décima, ni exceda a la tercera parte de lo que cueste la demolición o enmienda, o el resarcimiento del daño; sin perjuicio de que si se castiga el delito o negligencia con una pena pecuniaria, se adjudique al actor la mitad».

 

Art. 949. «Las acciones municipales o populares se entenderán sin perjuicio de las que competan a los inmediatos interesados».

 

 

Art. 2333. «Por regla general, se concede acción popular en todos los casos de daño contingente que por imprudencia o negligencia de alguien amenace a personas indeterminadas; pero si el daño amenazare solamente a personas determinadas, sólo alguna de éstas podrá intentar la acción».

 

Art. 2334. «Si las acciones populares a que dan derecho los artículos precedentes, parecieren fundadas, será el actor indemnizado de todas las costas de la acción, y se le pagará lo que valgan el tiempo y diligencia empleados en ella, sin perjuicio de la remuneración específica que conceda la ley en casos determinados».

 

In questi articoli di legge si può vedere come l’art. 948 derivi dall’actio de effusis et deiectis contemplata dal diritto romano. Si tratta di una norma che permette all’attore di ottenere il pagamento della metà dell’ammontare della multa stabilita come sanzione dalla legge, per il comportamento illecito consistente nell’aver provocato la caduta di liquidi o solidi da case o balconi con danno d’altri. Vengono qui in rilievo lo spirito di integrazione, di egoismo e di altruismo che furono forse le caratteristiche più tipiche delle azioni popolari del diritto romano. L’art. 2333 del Codice Cileno appare invece come una diretta derivazione dell’actio de positis et suspensis e l’art. 2334 regola compiutamente la disciplina del diritto di indennità che presenta la stessa peculiarità romana di altruismo-egoismo che era tipica dell’azione popolare. La norma dell’art. 949, infine, regolamenta l’attività dell’autorità municipale nell’esercizio dell’azione popolare e le modalità di concorrenza e collaborazione di questa attività con quella della persona danneggiata. Si può dire allora che nella tradizione del diritto romano abbiano trovato spazio nell’azione popolare sia una concezione di Stato non riconosciuto, che di Stato onnipotente e pervasivo.

 

 

7. – Conclusione

 

Una buona traduzione si basa sulla ricerca. Da quanto si è osservato sopra, possiamo dire che la traduzione di actio popularis con ‘azione di pubblico interesse’ sia sbagliata. In realtà, per il diritto romano l’actio popularis aveva la doppia natura di perseguire il beneficio altrui e personale e contemporaneamente di implementare il principio della protezione per legge dell’interesse pubblico. Anche la traduzione di ‘causa del popolo comune’ non è corretta, poiché tenderebbe ad aprirsi agli strati più bassi della popolazione. Può, invece, essere mantenuta la traduzione di ‘azione popolare’, poiché questa rivela forse la natura più autentica dell’actio popularis.

Il diritto romano non è affatto una forma di diritto individualista. In realtà, attraverso strumenti giuridici come quelli di cui abbiamo trattato, in quel tipo di ordinamento, si promuoveva l’interesse collettivo attraverso azioni individuali e lo spirito repubblicano di considerare quanto accadeva quotidianamente alla gente comune come un fatto personale, riguardante ciascun cittadino, è proprio la preziosa eredità spirituale che il diritto romano ci ha lasciato. In epoca moderna, in un certo senso, non si è fatto altro che riportare in vita proprio questo principio.

Le ricerche condotte in Cina sulle cause di pubblico interesse e sulle azioni popolari del diritto romano, continuano a procedere invece in maniera separata, la qual cosa è certamente causa di un vizio di impostazione nell’affrontare questi problemi da parte di chi continua a perseguire questa via. Se, sull’esempio della tradizione antica, si unissero i due filoni di ricerca, si potrebbero raggiungere forse nuovi risultati, come ad esempio quello di recepire nell’ordinamento moderno il sistema delle ricompense date ai querelanti nelle azioni popolari nel diritto romano.

Le azioni popolari nacquero in una contingenza storica in cui un sistema burocratico come quello moderno non si era ancora sviluppato, nonchè in una realtà socio-giuridica in cui non c’era ancora una netta linea di demarcazione tra ‘Stato’ e popolo. A fronte di questa realtà, possiamo pensare che queste figure giuridiche abbiano ancora un significato negli ordinamenti giuridici delle nazioni moderne? Dato che adesso esiste un sistema burocratico ben definito e i confini tra Stato e popolo sono ben chiari, le azioni popolari sembrerebbero aver perso infatti la loro necessità di esistere. Ciò nonostante, sono ancora numerosi oggi gli Stati che ammettono azioni popolari. Quale può essere il motivo di questo stato di cose? La necessità di affermare ancora il principio della sovranità del popolo. Il popolo delega la propria parte di diritto ai funzionari perché la esercitino in sua vece, configurando in questo modo quindi un esercizio indiretto di tale potere. Quando è necessario, la sovranità può essere esercitata personalmente, ed in questo caso si tratta di un esercizio diretto. Inoltre, gli interessi dei funzionari e quelli del popolo non sono sempre gli stessi e quando divergono, le azioni popolari sono ancor più necessarie: il loro operato dipende infatti dal sistema di divisione del potere. In altre parole, l’organo dello Stato di fronte al quale viene portata la cognizione della causa dev’essere autonomo rispetto agli altri organi in merito alla causa di un’azione giudiziaria. Naturalmente, l’atteggiamento onnipotentista dello Stato, se da un lato continua tendenzialmente a conservare le azioni popolari, tuttavia svuota quasi del tutto di significato l’accusa del popolo e il pubblico ministero appare ridotto ad un suo mero surrogato. Sembra tuttavia che, per quanto concerne i crimini maggiori, le nazioni moderne già non ripongano più tanto le loro speranze nella soppressione dell’aumento dell’iniziativa personale, e se le persone intendono interferire, possono ottenere tale scopo soltanto attraverso una denuncia rivolta al pubblico ministero e alle magistrature.

 

21 ottobre 2008 – manoscritto completato a Hulishan Fortezza

 

 



 

* Xu Guodong è professore ordinario nell’Università di Xiamen e direttore dell’Istituto di Ricerca di Diritto Romano presso la Facoltà di Giurisprudenza. L‘autore ringrazia la dott.ssa Alessandra De Angelis e la dott.ssa Maria Giulia Di Bonaventura per la loro traduzione dal cinese di questo articolo. Ancora ringrazia il prof. Konstantin Tanev per le critiche e i suggerimenti utilissimi offerti in fase di lettura delle bozze e ringrazia altresì il collega ed amico Osvaldo Sacchi che ha ulteriormente revisionato il testo italiano.

L’articolo è stato già pubblicato in Ius Antiquum – Древнее Право 22, Mosca 2008 [ma 2010].

 

[1] Detto per inciso, sul piano internazionale e nel campo del diritto dell’ambiente, si riconosce agli Stati una legittimazione ad agire in quanto si riconosce loro la titolarità di un’azione popolare. La qualifica di ‘popularis’ in questo caso includerebbe tutti i membri-stato della società internazionale. Si v. comunque in argomento Developments in the Law: International Environmental Law, in Harvard Law Review, vol. 104, n. 7, (May 1991), 1053.

 

[2] L’azione di interesse pubblico, edizione Jiancha, Cina.

 

[3] Cfr. Wu Xiaolong, Ricerca sulle azioni di pubblico interesse, Università di Legge e Politica di Cina, 2003; Zhang Yanrui, Ricerca sull’istituzione delle azioni di interesse pubblico civile, Università di Legge e Politica di Cina, 2005; Yan Yunqiu, L’azione popolare economica: costruzione del sistema delle azioni del diritto economico, Università di Zhong Nan, 2007; Chen Dong, Ricerca sulle azioni di pubblico interesse ambientale —intorno ai processi intentati dai cittadini per proteggere l’ambiente negli Stati Uniti, Università di Hai Yang, Cina 2004; Zhang Shijun, Ricerca sulle qualificazioni dell’attore nelle azioni di pubblico interesse ambientale, Università di Wu Han, 2006.

 

[4] Digitando le parole azioni di pubblico interessesulla rete web cinese (CNKI) si posso ottenere titoli di eccellenti tesi di Master sull’argomento.

 

[5] Si v. Wu Xiaolong, Ricerca sulle azioni di pubblico interesse, cit., p. 7.

 

[6] Si v. per questo Zhang Yanrui, Ricerca sull’istituzione delle azioni di interesse pubblico civile, cit., p. 25. La bibliografia sulla causa di pubblico interesse da parte di autori stranieri nel diritto romano è abbastanza cospicua. Si possono menzionare alcuni titoli: Die römischen Popularklagen (1864) dello studioso tedesco Karl Bruns [lavoro pubblicato in ZRG. 3 (1864)]; Zur Theorie und Geschichte der Popularklagen (1886) di Richard Maschke (1862–1926); Le azioni popolari (1887) dello studioso italiano Alfredo Codacci Pisanelli (1861–1929); Les actions populaires en droit romain (1888) dello studioso francese Victor Colonieu; Zur Lehre von den römischen Popularklagen (1890) dello studioso tedesco Hans Paalzow (1862–1945); Sulle azioni popolari Romane. A proposito di recenti studi (1891) dello studioso italiano Emilio Costa; L’Azione popolare (1894) di Carlo Fadda; L’azione popolare da Roma a noi (1955) di Arduino Albanese; Studi sulle azioni popolari romane (1958) di Francesco Paolo Casavola; Popolarne tuzbe od rimskog do savremenih prava (1968) dello studioso della ex Yugoslavia J. Danilovic; Ação Popular Cosntitucional. Doutrina e Processo (1968) dello studioso brasiliano José Afonso da Silva; La Legitimacion popular en el processo romano clasico (1992) dello studioso spagnolo Enrique Lozano Corbi; Marco Costitucional de los derecho colectivos, en Acciones Populares; Documentos para dabate, Defensoria del Pueblo (1994) dello studioso colombiano Julio Cesar Rodas; Ação Popular (1996) dello studioso brasiliano Rodolfo Camargo Mancuso; Las acciones populares y de grupo en la responsabilidad civil (2001) dello studioso colombiano Javier Tamayo Jaramillo; Aspectos Procesales de la Accion Polulare en el Sistema Juridico Romano-Latinoamericano (2004) dello studioso colombiano Juan Carlos Guayacan Ortiz; Popularklagen im Privatrecht: Zugleich Ein Beitrag Zur Theorie Der Verbandsklage (20052006) dello studioso Tedesco Axel Halfmeier; L'azione Popolare e l'azione per la tutela degli interessi diffusi nel sistema giuridico romanistico (2007) della studiosa cinese Luo Zhimin. Le opinioni espresse da questi specialisti meritano tutte attenzione e sono raccolte nelle monografie più recenti sull’argomento. È proprio grazie ai lavori di questi studiosi che ho potuto accrescere le mie conoscenze riguardo la storia delle azioni popolari. Grazie alla generosità di Wang Yingying, dottoranda presso la Facoltà di Giurisprudenza della Seconda Università di Roma, ho potuto usufruire di questo nuovo materiale in italiano e spagnolo.

 

[7] Vedi per questo Zhou Nan, Trattato originale del diritto romano, II, Casa Editrice del Commercio 1994, 886.

 

[8] Cfr. Huang Feng, Dizionario di diritto romano, Casa Editrice di Legge, 2002, 15.

 

[9] Si v. J. C. Guayacan Ortiz, Aspectos Procesales de la Accion Populare en el Sistema Juridico Romano-Latinoamericano, Roma 2004, 16.

 

[10] Cfr. F. del Giudice e S. Beltrani, Nuovo Dizionario Giuridico Romano, Edizione Simone, Napoli 1995, 257 s.

 

[11] Cfr. G. Lobrano, Uso dell'acqua e diritto nel Mediterraneo. Uno schema di interpretazione storico sistematica e de iure condendo, in Diritto @ Storia. Rivista internazionale di Scienze Giuridiche e tradizione Romana 3, 2004 = http://www.dirittoestoria.it/3/TradizioneRomana/Lobrano-Acqua-diritto-Mediterraneo.htm ; traduzione cinese di Qi yun, in Diritto Romano e Diritto civile moderno, vol. 6 (a cura di Xu Guodong), Casa editrice dell’Università di Xiamen, 2008, 90.

 

[12] Cfr. F. Casavola, Studi sulle azioni popolari romane, Napoli 1958, 9.

 

[13] Si v. R. Seager, Cicero and the Word Popularis, in The Classical Quarterly, new series, vol. 22, n. 2 (Nov. 1972), 328.

 

[14] Cfr. Xie Daren (a cura di), Dizionario Latino-Cinese, Casa editrice del Commercio, 1988, 425.

 

[15] Cfr. F. Casavola, Studi sulle azioni popolari Romane, cit., 9.

 

[16] Cfr. F. Casavola, Studi sulle azioni popolari Romane, cit., 15.

 

[17] Si v. Huang Feng, Dizionario del Diritto Romano, cit., 15.

 

[18] Vd. The Digest of Justinian, IV, Th. Mommsen and A. Watson (edd.), University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 1985, 793.

 

[19] Si v. J. C. Guayacan Ortiz, Aspectos Procesales de la Accion Populare, cit., 44.

 

[20] Cfr. F. Casavola, Studi sulle azioni popolari romane, cit., 12.

 

[21] V. per questo con bibl. O. Sacchi, Il passaggio dal sepolcro gentilizio al sepolcro familiare e la successiva distinzione tra sepolcri familiari e sepolcri ereditari, in G. Franciosi (a cura di), Ricerche sulla organizzazione gentilizia romana, III, Napoli 1995, 171-218, in part. 192 ss.

 

[22] F. Casavola, Studi sulle azioni popolari romane, cit., 59 s.

 

[23] F. Casavola, Studi sulle azioni popolari romane, cit., 61.

 

[24] Si v. J.C. Guayacan Ortiz, Aspectos Procesales de la Accion Populare, cit., 63.

 

[25] F. Casavola, Studi sulle azioni popolari romane, cit., 56.

 

[26] Cfr. F. Serrao, Impresa e responsabilità a Roma nell’età commerciale, Pacini Editore, Pisa 1989, 131.

 

[27] Si v. J. Ovafalle Favela, Las Acciones Populares, in N. Gonzalez Martin (a cura di), Estudios Juridicos. En Homenaje a Marta Morineau, T. I. Derecho Romano. Historia Del Derecho, UNAM 2006, 401.

 

[28] F. del Giudice - S. Beltrani, Nuovo Dizionario Giuridico Romano, cit., 257.

 

[29] Su questo A. Di Porto, Il Diritto Romano e la salvaguardia della cosa pubblica nel Codice Civile italiano moderno [traduzione cinese di Ding Mei, Nie Yanling], in Diritto Romano, Diritto Cinese e codificazione del diritto civile (a cura di Yangzhenshan e di S. Schipani), Casa Editrice dell’Università di Scienze Politiche e Giurisiprudenza di Cina, 1995, 226 s.

 

[30] Si v. A. Di Porto, Inquinamento, res publicae e interdetti popolare, in El Derecho Romano y los Derecho Indigenas: sintesis de America Latina, Tomo I, Xalapa-Equez 1996, 385.

 

[31] M.J. Garcia Garrido, Diritto privato romano, Padova 1996, 84 s.

 

[32] F. Casavola, Studi sulle azioni popolari romane, Napoli 1958, 6.

 

[33] Si v. D. Daube, The Peregrine Praetor, in The Journal of Roman Studies, vol. 41, parts 1 and 2, (1951), 68.

 

[34] Cfr. G. Grosso, Storia del Diritto Romano [traduzione cinese di Huang Feng], Casa editrice dell’Università di Scenze politiche e Giurisprudenza di Cina, 1994, 270.

 

[35] G. Grosso, Storia del Diritto Romano, cit., 270 s.

 

[36] G. Grosso, Storia del Diritto Romano, cit., 269.

 

[37] J.C. Guayacan Ortiz, Aspectos Procesales de la Accion Populare, cit., 11.

 

[38] Cfr. A. Di Porto, Il Diritto Romano e la salvaguardia della cosa pubblica nel Codice Civile italiano moderno, cit., 228.

 

[39] Vedi Zhang Yanrui, Ricerca sull’istituzione delle azioni di interesse pubblico civile, cit., 25 s.