ds_gen Università di Sassari/Seminario di Diritto Romano/Pubblicazioni-6

 

Giovanni Lobrano

“Uxor quodammodo domina”

Riflessioni su Paul. D. 25.2.1

Sassari 1989

 

Cap. IV

 

"TORNIAMO" A PAOLO.

UNA IPOTESI DI INTERPRETAZIONE NON 'CORROSIVA'

 

Sommario: 1. Consenso generalizzato presso i giuristi romani circa la esistenza e la rilevanza – anche – patrimoniali della società coniugale. a. La opinione di Nerva - Cassio: la uxor, in quanto socia vitae del marito e quindi con lui quodammodo domina, non può commettere furto a danno dello stesso, sia nel matrimonio cd. cum manu sia nel matrimonio cd. sine manu. b. La opinione di Sabino - Proculo: non la societas vitae ma lo status di loco filiae è la ragione, natura rei, della - sola - mancanza di actio furti nei confronti della uxor nel matrimonio cd. cum manu; nel matrimonio cd. sine manu si continua a non dare actio furti per ius constitum. c. Uxor in manu: socia, oltre che loco filiae, del marito. d. Non lo status di quodammodo domina né il vincolo di società tra coniugi dividono Nerva - Cassio da Sabino - Proculo, ma la applicazione alla societas vitae coniugale del - nuovo - principio che «Potest enim socius communis rei furtum facere». 2. Trifonino (e Gordiano): conferma del 'consenso generalizzato'; una opinione intermedia tra quelle di Nerva - Cassio e di Sabino – Proculo. a. La societas (vitae) ragione del cd. beneficium competentiae a favore del marito nella actio rei uxoriae. b. La societas (vitae) base del constitum ius.

 

 

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1. Consenso generalizzato presso i giuristi romani circa la esistenza e la rilevanza – anche – patrimoniali della società coniugale

a. La opinione di Nerva - Cassio: la uxor, in quanto socia vitae del marito e quindi con lui quodammodo domina, non può commettere furto a danno dello stesso, sia nel matrimonio cd. cum manu sia nel matrimonio cd. sine manu

 

Torniamo dunque a Paul. D. 25.2.1 e proviamo a leggerlo senza pre-giudizi, senza il condizionamento della esigenza di farlo rientrare ad ogni costo nello schema dogmatico-sistematico della assoluta separazione dei beni tra marito e moglie nel matrimonio c.d. sine manu, schema pre-esistente alla lettura stessa. Onde tendere -attraverso ulteriori ricerche- a concepire schemi interpretativi che si facciano carico anche di Paul. D. 25.2.1 e, in particolare, della opinione, ivi conservata, di Nerva - Cassio. Due sono i criteri cui dobbiamo, per tanto, attenerci in tale lettura.

a) Si deve supporre (sino a prova del contrario) che entrambe le opinioni riportate siano congruenti, abbiano cioè senso logico-giuridico, rispetto alle situazioni nei cui confronti si pongono e per la cui interpretazione e/o disciplina sono state formulate: entrambe le opinioni sono di giuristi che operano in un contesto storico nel quale è oramai imperante il matrimonium cd. sine manu, anche se continua a sussistere il matrimonium cd. cum manu.

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b) Le due opinioni a confronto vanno tenute distinte: non si deve prestare a Nerva - Cassio il richiamo, fatto da Sabino - Proculo, alla situazione della filia familias, né integrare il constitum ius di Sabino - Proculo con la societas vitae di Nerva - Cassio. Al contrario: si deve supporre che gli elementi sinteticamente richiamati da Paolo per qualificare ciascuna delle due opposte opinioni siano proprio quelli sui quali si fonda e dei quali si alimenta la stessa contrapposizione giurisprudenziale tra Nerva - Cassio e Sabino - Proculo.

La opinione di Nerva - Cassio, che (la inesperibilità di actio furti a carico della uxor e la sua sostituzione matrimonio soluto con la actio rerum amotarum, per il recupero delle cose da lei sottratte al marito in vista del divorzio, si spieghino con il fatto che) la uxor non fa furto in quanto la societas vitae con il marito la rende quodammodo domina, di per sé (e isolatamente considerata)  appare potersi e doversi riferire sia al regime del matrimonio cd. sine manu sia al regime del matrimonio cd. cum manu.

Non si può immediatamente stabilire se la impossibilità di furtum facere da parte della uxor si fondi sulle specifiche caratteristiche del nesso potestativo tra marito e moglie, proprio del matrimonio cd. cum manu, e da qui si trasmetta (così come si afferma essere occorso per altri istituti: ad esempio, la proprietà maritale della dote) al matrimonio c.d. sine manu o se, invece, quella impossibilità si fondi sulle caratteristiche del matrimonium in sé, cum o sine manu che esso sia, come - per altro - la definizione di Modestino spinge a credere. Va tuttavia detto in generale che tale questione  non può impiantarsi in maniera astratta dovendosi pensare che nella epoca di - quanto meno - dominante matrimonio cd. cum manu il regime e la nozione stessa del matrimonio difficilmente fossero

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concepiti e concepibili se non in osmosi con il regime e la nozione della manus, sembrando per altro difficile che la idea del matrimonium come di una societas vitae sia nata o si sia affermata in una con il diffondersi del matrimonium cd. sine manu,  ciò che coincide -almeno cronologicamente- proprio con una fase storica di crisi della solidità non soltanto istituzionale del vincolo coniugale in Roma. Può inoltre, in particolare, fare credere ad un porsi del problema con riferimento al matrimonium cd. cum manu il fatto stesso che esso venga proposto come problema del furtum della uxor e non del furto tra coniugi, ciò che forse sarebbe  potuto  invece essere più logico fuori di tale riferimento[1]. In ogni caso la opinione di Nerva - Cassio comporta una spiegazione 'natura rei' della mancanza di furtum (e, quindi, della mancanza di actio furti) da parte della uxor e, in genere, tra coniugi, sia nel matrimonium cd. cum manu sia nel matrimonium cd. sine manu.

La introduzione di quel iudicium singulare che è l'istituto della actio rerum amotarum viene a collocarsi su quello stesso terreno logico sul quale - a detta di Gellio – Servio[2] - nasce l'actio rei uxoriae. Sul terreno cioè  di una  divisione patrimoniale  che fa séguito alla divisione  personale della società coniugale[3]. Senza volere qui approfondire e

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risolvere problemi di datazione della introduzione della actio rerum amotarum, può tuttavia già osservarsi che, per la logica della opinione di Nerva - Cassio, nulla osta a credere che essi concepissero tale iudicium singulare come 'introdotto' in epoca di matrimonium cd. cum manu dominante (sul piano "statistico") e quindi con -prevalente- riferimento a questo (quale 'modello').

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b. La opinione di Sabino - Proculo: non la societas vitae ma lo status di loco filiae è la ragione, natura rei, della - sola - mancanza di actio furti nei confronti della uxor nel matrimonio cd. cum manu; nel matrimonio cd. sine manu si continua a non dare actio furti per ius constitum

 

Chiaramente riferita allo specifico regime del matrimonium cd. cum manu appare invece la opinione di Sabino - Proculo, per la quale - nella sintesi propostane da Paolo - il punto fondamentale è che la uxor furtum facit sicut filia patri. E' dunque ovvio che, per questi autori, il problema della mancanza di actio furti nei confronti della uxor si radica nel contesto del matrimonium cd. cum manu in cui la uxor è loco filiae. Secondo Sabino - Proculo la uxor in manu ha, almeno per quanto concerne la disciplina del furtum e della actio furti, lo stesso statuto  della filia e, come la filia fa furto se si appropria di cose del padre, così la uxor in manu fa furto se si appropria di cose del marito presso il quale è loco filiae. Con un 'salto' (spiegabile per esigenze di stringatezza) di passaggi logici (per altro non difficilmente ricostruibili) il 'discorso' di Sabino - Proculo si porta quindi, dal terreno del matrimonium cd. cum manu, a quello del matrimonium cd. sine manu, assolutamente prevalente nella loro epoca. Non sarebbe del resto necessario soffermarsi sulle conseguenze del furtum della uxor in manu, una volta assodato -o, comunque, affermato- che il connesso regime giuridico è esattamente lo stesso di quello della filia familias. In ogni caso, in Paul D. 47.2.16 troviamo quello che è ritenuto il séguito (nel libro settimo di Ad Sabinum di Paolo) di Paul. D.25.2.1[4] e che così recita:

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Ne cum filio familias pater furti agere possit, non iuris constitutio, sed natura rei impedimento est, quod non magis cum his, quos in potestate habemus, quam nobiscum ipsi agere possumus.

 

Inoltre, il diritto alla azione, che non nasce al momento  in cui si perfeziona il delictum, neppure può nascere successivamente per cambiamenti intervenuti nello status delle persone[5] (nel caso della uxor in manu: per morte del marito, se questi era sui iuris, e, comunque, per ripudio-divorzio).

Nel matrimonium cd. sine manu  sarebbe potuto e dovuto invece sorgere,  a séguito del furtum della uxor (o, comunque, di un coniuge) il diritto processuale del coniuge derubato  ad agire di furto 'natura rei', di  per sé implicando l'effettivo ricorso alla actio furti semmai soltanto una (concludente) volontà divorzista da parte del coniuge attore (se si ritiene  che la sussistenza del requisito della affectio maritalis sia in sé incompatibile con l'esperimento di una tale azione processuale tra coniugi)[6]. Soltanto il constitutum ius può dare allora ragione della inesperibilità della actio furti (e della sua sostituzione con la actio rerum amotarum).

Il richiamo iniziale al matrimonium cd. cum manu e il riferimento conclusivo al matrimonium cd. sine manu fa intendere un nesso di consequenzialità tra le due situazioni: la mancanza di actio furti, originata

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natura rei nel contesto del matrimonium cd. cum manu, si conserva constituto iure nel nuovo contesto del matrimonium cd. sine manu. Per ciò che concerne la "introduzione" della actio rerum amotarum vale quanto già detto a proposito della opinione attribuita a Sabino - Proculo: nulla osta - nella formulazione di Paolo - a ritenere che pure questi due giuristi la considerassero (già) connessa alle esigenze del matrimonium cd. cum manu. Anche qui nel quadro del moltiplicarsi dei divorzi 'senza colpa', ma non come strumento di regolamento di conti di fine società, sebbene come strumento per ovviare - può presumersi - alla altrimenti sin troppo facile scappatoia legale del furto muliebre in previsione del divorzio.

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c. Uxor in manu: socia, oltre che loco filiae, del marito

 

La interpretazione congiunta delle opinioni di Nerva - Cassio e di Sabino - Proculo, sul presupposto che esse costituiscano i termini sostanziali di una controversia iuris, permette ora di compiere un immediato passo innanzi nella comprensione di Paul. D. 25.2.1.

Se la ipotesi che la opinione di Nerva - Cassio esprime una giurisprudenza più risalente di quella espressa nella opinione di Sabino - Proculo  presenta elementi di verisimiglianza, non è in ogni caso, di per sé necessario né lecito porre in sequenza meramente crono-logica ed evolutiva la opinione di Nerva - Cassio e la opinione di Sabino - Proculo. Ma, sopra tutto, non si può estendere la opinione di Nerva - Cassio  (impossibilità del furtum da parte della uxor nei confronti del proprio marito) alla disciplina della amotio di beni della filia familias nei confronti del proprio pater familias, per fare così ricadere la  specifica situazione della uxor (in manu) in quella generale delle persone poste all'interno di una stessa potestas. Anzi, la sintetica contrapposizione di opinioni deve fare pensare che il richiamo o meno, per la disciplina del furtum (meglio: della amotio) da parte della uxor, alla disciplina del furtum da parte della filia familias sia proprio uno degli elementi della contrapposizione.

Ne consegue che, sulla scorta di Paul. D. 25.2.1, non soltanto non siamo autorizzati a - né ci occorre - ipotizzare una fase storica in cui si fosse escluso il furtum (oltre che la actio furti) tra i componenti di una stessa familia (quindi, anche  tra i coniugi del matrimonium cd. cum manu) ma possiamo e dobbiamo ricavare che, secondo la opinione di Nerva –

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Cassio (e qui sta la differenza con la opinione di Sabino - Proculo), il fondamento della esclusione del furtum da parte della uxor deve avere un ambito di autonomia rispetto alla situazione di loco filiae della uxor in manu.

La strada interpretativa sulla quale ci siamo così immessi non deve farci dimenticare il nodo centrale del problema, sulla cui soluzione si contrappongono le opinioni di Nerva - Cassio e di Sabino - Proculo. Occorre tenere presente il filo logico della controversia, il cui punto di partenza appare essere costituito dalla osservazione del 'dato', risalente e insieme attuale, della mancanza di actio furti (sostituita dalla actio rerum amotarum) nei confronti della uxor («rerum amotarum iudicium singulare introductum est adversus eam quae uxor fuit, quia non placuit cum ea furti agere posse») e dalla conseguente esigenza di fornirne una spiegazione.

Se si tralascia questo criterio ermeneutico potremmo – seguendo il nostro stesso ragionamento – arrivare a concludere che al fondo del contrasto di opinioni tra Nerva - Cassio e Sabino - Proculo stia la questione se status e statuto giuridici della uxor in manu (quindi loco filiae) siano in generale uguali o, invece, diversi da quelli della filia familias. Dove, si badi, il dilemma non può comunque essere se la uxor in manu, dunque, sia o meno quodammodo domina, ma soltanto se sia o meno socia vitae[7]. Va, infatti, ricordato

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 – a integrazione del già di per sé chiaro testo di D. 25.2.1[8] – che Paolo, il quale prende partito a favore della opinione di Sabino - Proculo contro quella di Nerva - Cassio, è anche il massimo assertore (ancora più -almeno in termini di  formulazione- che Gaio: inst. 2.157) della condizione di quodammodo domini dei figli di famiglia (D. 28.2,11). Per altro si è ritenuto che sia D. 28.2.11 sia Gai. 2.157 risalgano a Sabino[9], ciò che conferma come argomento proprio di

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Nerva - Cassio la specificità anche funzionale dell'essere quodammodo domina della uxor rispetto all'essere quodammodo domini dei filii familias.

Allora, alla soluzione proposta da Nerva - Cassio, che lo status e il connesso statuto della uxor in manu non si identifica con quello della filia, pure essendo ella loco filiae,  i n  q u a n t o  è la societas vitae (propria del rapporto coniugale) a farla quodammodo domina dei beni anche del marito e ad inibire, per tanto, la ipotesi o la possibilità di un suo furto ai danni dello stesso anche in una situazione di matrimonium cd. sine manu, si contrapporrebbe da parte di Sabino - Proculo, la negazione di tale specifico status (o, se si preferisce, della sua rilevanza): se la uxor in manu è quodammodo domina lo è allo stesso titolo e allo stesso modo della filia. Di conseguenza e quale mera manifestazione particolare di una più

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generale identità di status, come la filia può fare furtum la uxor in manu che è loco filiae del maritus può fare furto a questo.

Potrebbero così già intendersi (con un primo 'progresso' rispetto alla interpretazione dominante) sia la contrapposizione di opinioni giurisprudenziali in ordine alla possibilità o meno del furtum da parte della uxor in manu (a seconda, appunto, che si consideri la uxor nella prospettiva di loco filiae o in quella, invece, di membro, insieme al maritus, della societas vitae coniugale), sia il sopravvivere di tale seconda prospettiva, ancora durante il secolo II d.C., alla regola del matrimonium cd. cum manu.

 

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d. Non lo status di quodammodo domina né‚ il vincolo di società tra coniugi dividono Nerva - Cassio da Sabino - Proculo, ma la applicazione alla societas vitae coniugale del - nuovo - principio che «Potest enim socius communis rei furtum facere»

 

Se però ricostruiamo i termini della contrapposizione tra Nerva - Cassio e Sabino - Proculo prendendo le mosse dal 'dato' della mancanza di actio furti nei confronti della uxor, vediamo che, ferma restando la opinione di Nerva - Cassio (non esservi actio furti per non esservi lo stesso furtum, essendo la uxor quodammodo domina in forza della sua societas vitae con il marito), non necessariamente ne consegue che la contrapposta opinione di Sabino - Proculo vada letta (nella formulazione paolina) come negazione  a s s o l u t a  (della rilevanza) della societas vitae coniugale e nel matrimonium cd. cum manu e in quello cd. sine manu. Sabino - Proculo possono avere sostenuto che la mancanza della actio furti deve farsi risalire alla esclusione della stessa nel matrimonium cd. cum manu come tra persone poste all'interno di una stessa potestas (e, quindi, a un mero constitum ius nel matrimonium cd. sine manu) in quanto -più limitatamente- negano che quella mancanza si possa spiegare con una impossibilità di furtum discendente dalla societas vitae e dal connesso condominio;  ciò che - come ovvio - è ben diverso dal negare 'tout court' la esistenza di tale societas vitae o, quanto meno, la sua capacità giuridica di ingenerare uno specifico rapporto di condominio.

Il problema che divide Nerva - Cassio da Sabino - Proculo può dunque essere: (non se 'vi sia' o 'non vi sia' societas -vitae- tra i coniugi ma) se la societas -vitae- comporti o meno la reciproca esclusione del furtum.

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A sostegno di questa ultima ipotesi mi appare militare D. 47.2.45 dove Ulpiano (si noti: ad Sab. 41) afferma:

 

Si socius communis rei furtum fecerit (potest enim communis rei furtum facere), indubitate dicendum est  furti actionem competere.

 

Infatti, la formula "indubitate dicendum est" è 'spia'[10] abbastanza palese della esistenza di una controversia circa la spettanza o meno della actio furti [179]  tra soci, controversia che l'inciso tra parentesi "(potest enim communis rei furtum facere)" dimostra -laddove ve ne fosse bisogno- essere niente altro se non la espressione processuale della controversia di diritto sostanziale se il socio potesse o meno commettere furto sulla cosa comune. Controversia che non è illecito pensare possa essere stata risolta affermativamente proprio da Sabino.

Poiché sarebbe da parte nostra un eccesso argomentativo supporre una motivazione maggiore dove una minore è già sufficiente, possiamo (direi: "dobbiamo") ritenere che il vero oggetto della disputa tra Nerva - Cassio e Sabino - Proculo fosse dunque non la esistenza (o, il ché è la stessa cosa, la rilevanza giuridica in assoluto) della societas vitae coniugale, ma piuttosto se la uxor, in quanto socia vitae, potesse o meno commettere furto ai danni del marito e se, quindi, il dato comunque certo della mancanza di actio furti nei di lei confronti dovesse spiegarsi facendo riferimento a quella societas o non piuttosto alla regola giuridica della impossibilità di azioni processuali tra personae unius potestati subiectae.

Del resto, la esistenza di una controversia iuris circa la sussistenza del furtum all'interno della societas in generale e, quindi, in particolare, anche all'interno della societas vitae coniugale non è un fenomeno di cui sarebbe comunque difficile darsi ragione (si pensi alla connessa problematica della definizione, nell'ambito delle relazioni societario-condominiali delle parti, del tutto e dei loro rapporti)[11]. Come è infatti ben noto a partire dal

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ritrovamento dei frammenti egiziani di Gaio, oltre la e prima della societas omnium bonorum di ius gentium esiste un aliud genus societatis (Gai.3.154 a.) che è stato il consortium ercto non cito[12], il cui regime certamente doveva escludere la possibilità di furtum fra soci-consortes. Per altro, secondo la più famosa definizione giurisprudenziale, la societas vitae matrimoniale propriamente è un consortium: consortium omnis vitae (Mod. D. 23.2.1)[13].

Si può, inoltre, supporre che la questione della possibilità o meno del furtum tra coniugi-soci non fosse una mera applicazione del più generale dibattito in ordine al regime della societas, ma che la discussione vertesse sul conservarsi o meno tra i coniugi – sia pure parzialmente e in forma specifica – di quel regime consortile[14] che si abbandona invece più concordemente per e nelle 'nuove' societates a finalità meramente economiche.

In questo ordine di idee, il problema della eventuale innovazione di Sabino in materia di 'Furtumslehre' perde evidentemente importanza. Infatti, sia per chi (come il Wacke) estende a Sabino - Proculo la opinione di Nerva - Cassio della origine nella societas

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vitae della mancanza di actio furti a carico della uxor, sia per chi (come il Guarino) estende a Nerva - Cassio la opinione di Sabino - Proculo della origine nella condizione di loco filiae della uxor in manu di quella stessa mancanza, soltanto la asserita novità sabiniana (la 'novità' cioè di poter ammettere l'integrarsi della fattispecie del furtum anche in assenza di esperibilità della corrispondente actio) permette di distinguere fra le due contrapposte opinioni. Ma il problema neppure si pone per chi (come noi) vede la differenza di opinioni tra Nerva - Cassio e Sabino - Proculo nel rinvio da parte dei primi al regime della societas vitae e nel rinvio da parte dei secondi a un indifferenziato -almeno in ordine all'istituto in esame- regime potestativo ("furtum eam <uxor in manu> facere, sicut filia patri").

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2. Trifonino (e Gordiano): conferma del 'consenso generalizzato'; una opinione intermedia tra quelle di Nerva - Cassio e di Sabino - Proculo

a. La societas (vitae) ragione del cd. beneficium competentiae a favore del marito nella actio rei uxoriae

 

A quindici anni dalla recensione allo scritto del Wacke sulla actio rerum amotarum e a tredici dal proprio contributo allo stesso tema, il Guarino, in uno studio dedicato alla "condanna nei limiti del possibile"[15], si interroga circa la ragione che avrebbe giustificato la circoscrizione del beneficium della condanna nell'id quod facere potest al solo maritus (o al suo pater familias o ai suoi figli eredi) tra tutti i possibili convenuti con l'actio rei uxoriae. Egli rileva in merito la incapacità eziologica del criterio della reverentia uxoris (pure addotta a giustificazione del 'beneficium' in Pomp.15 Sab. apud Ulp.36 Sab. D. 24.3.14.1) sia perché l'actio rei uxoriae (esperibile soltanto soluto matrimonio) poteva essere promossa, oltre che dalla uxor ("più o meno riverente"), dal pater familias di lei, dai suoi eredi nonché dal fisco nel caso che la dos fosse stata confiscata,  sia - sopra tutto - perché, se la limitazione della condanna del maritus fosse stata una conseguenza della reverentia uxoris, non se ne comprenderebbe la esclusione nella ipotesi in cui il maritus (essendosi impegnato alla restituzione della dos) fosse convenuto con l'actio ex stipulatu anzi che con l'actio rei uxoriae.

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Il Guarino tende perciò (in considerazione anche del fatto che quello della reverentia tra coniugi è un motivo tipico della politica legislativa di Giustiniano in materia matrimoniale) a credere interpolato D. 24.3.14.1. Poiché si rifiuta inoltre -e giustamente- di credere parimenti interpolati tutti i testi che affermano la circoscrizione del beneficium dell'id quod facere potest nella actio rei uxoria al solo maritus (nonché ai suoi pater familias e figli eredi) neppure può accettare la tesi secondo cui la limitazione della condanna del marito convenuto nell'actio rei uxoriae fosse una conseguenza del quod melius aequius erit proprio di quella azione, perché in tale caso il cd. beneficium competentiae avrebbe dovuto essere esteso a tutti i possibili convenuti dell'actio.   Occorre dunque  cercarne altrove la spiegazione. Tale spiegazione il Guarino trova appunto nella concezione del matrimonium -propria ai giuristi 'classici'- in termini di societas. «Tutto si spiega – scrive questo autore – ... se riflettiamo che il matrimonium aveva istituito, fin che era durato, una sorta di societas tra i due coniugi e se supponiamo che i giuristi del sec. I si siano basati proprio su questa analogia per sostenere che il marito convenuto con l'actio rei uxoriae meritasse, a somiglianza del socio convenuto con l'actio pro socio, la limitazione della condanna all'id quod facere potest[16]. Come l'actio pro socio, se esercitata soluta societate, era relativa alla liquidazione della societas, così l'actio rei uxoriae (esercitabile

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soluto matrimonio) era relativa alla liquidazione del matrimonium sotto l'aspetto patrimoniale; come l'actio pro socio, in considerazione del ius quodammodo fraternitatis tra le parti, portava alla limitazione della condanna del convenuto all'id quod facere potest, così l'actio rei uxoriae, in considerazione di un qualche ius fraternitatis del genere intercorso tra marito e moglie, portava alla stessa limitazione; come la limitazione della condanna del socio convenuto era beneficium personale (inestensibile e intrasmissibile ad altri) di lui socio, così la condanna del marito convenuto era fondamentalmente beneficium personale di lui marito». Il modello della societas fornisce quindi la spiegazione della non applicabilità del beneficium dell'id quod facere potest alla richiesta dei beni dotali tramite l'actio ex stipulatu: in quanto si tratta di obbligazione nata prima dell'insorgere del vincolo matrimoniale-societario e non ricadente, quindi, nel connesso regime[17].

Orbene, il Guarino ravvisa una prova testuale di questa spiegazione del regime del beneficium competentiae in materia di actio rei uxoriae in Triph.12 disp. D. 42.1.52

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Si rerum amotarum cum viro agatur, quamquam videatur ea quoque actio praecedentis societatis vitae causam habuisse, in solidum condemnari debet: quoniam ex male contractu et delicto oritur[18]

 

che egli così interpreta: «Avvenuto il divorzio la moglie accusa il marito di aver rubato durante il matrimonio (e divortii causa, in vista del divorzio) ai suoi danni: pertanto propone contro di lui, per la restituzione del maltolto, un'actio rerum amotarum (termine equivalente, nel nostro caso, a condictio ex causa furtiva, l'azione intesa alla restituzione delle cose rubate). Ma l'actio rerum amotarum è un'azione nascente da delitto ... Siccome la condanna in id quod facere potest non spetta quando si è convenuti ex delicto (cfr., in subiecta materia, Paul 37 ed., D. 25.2.21.6), Trifonino conclude che il marito deve essere condannato nel solidum. Ma perché una disputatio a questo proposito? Perché si è fatto leva da alcuni sul fatto che anche l'actio rerum amotarum... trova la sua ragion d'essere (come l'actio rei uxoriae) nella societas vitae[19], cioè nel matrimonio ... Dal che si deduce che la limitazione della condanna nell'actio

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rei uxoriae (azione non da delitto) è giustificata dal fatto che il matrimonium è una societas vitae, è qualcosa di analogo alla societas».

Due osservazioni. La prima – di totale adesione – è che nella applicazione del limite dell'id quod facere potest alla condanna del marito convenuto con la actio rei uxoriae il Guarino rintraccia una ulteriore prova del carattere non meramente, genericamente 'fattuale - sociologico' (o, eventualmente, 'isolatamente' religioso), ma implicante invece precise conseguenze sul piano del regime giuridico, della concezione del matrimonio come societas presso i giuristi (anche) 'classici'.

Una seconda – più problematica – osservazione è che, in – parziale – contrasto con la sua propria tesi, il Guarino sembra ritenere che Trifonino – assieme ai più – non condivida la concezione societaria del matrimonio. Il Guarino, infatti, postulando una – sia pure marginale – manipolazione 'post-classica' del testo in esame, corregge la espressione "quamquam videatur ea quoque actio praecedentis societatis vitae causam habuisse" in: "quamquam quibusdam videtur etc." I "quidam" così evocati sono – pare senz'altro di capire – Nerva - Cassio e i loro (pochi) seguaci. Il ragionamento del Guarino è chiaro: i giuristi che riconnettevano la actio rerum amotarum alla societas vitae coniugale e, quindi, alla mancanza di furto tra coniugi dovevano ritenere – a differenza di Trifonino[20] – applicabile a tale actio il cd. beneficium competentiae, dal momento che non la consideravano ex delicto orta. Con ciò, però, la concezione del matrimonio come societas risulta, nella complessiva ricostruzione del

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Guarino, per un verso diffusa e foriera di conseguenze di regime giuridico universalmente accolte, ma al contempo, per altro verso, appannaggio di pochi giuristi i quali le riconnettono conseguenze di regime altrettanto tiepidamente condivise. Per di più tale discrasia è ottenuta attraverso la correzione del testo di Trifonino trasmessoci dal Digesto. Se invece teniamo ferma la tesi (già anche a me apparsa più pianamente plausibile)[21] della comune concezione del matrimonio come societas (dalla quale, piuttosto, soltanto alcuni – Nerva e Cassio – facevano discendere la conseguenza della impossibilità della fattispecie del furto fra coniugi) non è necessario supporre distorsioni 'post-classiche' del testo di Trifonino e questo ultimo diviene anzi conferma esplicita di quella tesi (dal momento che Trifonino afferma sia la societas vitae coniugale sia la natura di furto delle amotiones uxoriae) risultandone anche rafforzata – mi sembra – la medesima spiegazione del Guarino del fondamento del cd. beneficium competentiae nella actio rei uxoriae.

Val la pena confrontare, ai fini di una valutazione delle tendenze dottrinali in atto, la tesi del Guarino con quella espressa nella stessa materia, all'inizio del secolo, dallo Zanzucchi: «accostare a questa <l'actio pro socio> l'actio rerum amotarum per causa della societas vitae che esiste tra coniugi è un pensiero da far spiritare un giureconsulto di mente anche meno elevata di Trifonino»[22].

 

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b. La societas (vitae) base del constitum ius

 

Per quanto concerne lo specifico tema della origine e del fondamento del iudicium singulare della actio rerum amotarum secondo i giuristi 'classici', i testi di Trifonino in questa materia possono costituire qualche cosa di più della semplice conferma della tesi che le opinioni di Nerva - Cassio e di Sabino - Proculo non si contrapponessero tra loro sulla esistenza della societas vitae coniugale e del conseguente status di quodam modo domina della uxor, bensì soltanto sulle conseguenze discendenti, in ordine al regime del furto tra coniugi, da tali societas vitae e status.

I testi di Trifonino (D. 25.2.9 e 42.1.52 citt.) permettono infatti la individuazione, nella discussione antica circa la origine della actio rerum amotarum, di una opinione 'terza' rispetto a quelle (sin'ora considerate nella contrapposizione paolina) di Nerva - Cassio e Sabino - Proculo.

A differenza di Sabino - Proculo, Trifonino richiama la societas vitae a proposito (della inesperibilità della actio furti tra coniugi e) del conseguente ricorso alla actio rerum amotarum, ma mentre Nerva - Cassio fanno discendere dalla societas vitae (e dal connesso -con-dominio) la impossibilità del furtum, Trifonino afferma esservi la possibilità di tale delitto.

Simile alla posizione di Trifonino in materia di furto e conseguente actio rerum amotarum tra coniugi appare la posizione dell'Imperatore Gordiano, il quale, in materia di expilatio hereditatis, ricorda essere assunta la uxor nella domus quale socia rei humanae atque divinae onde giustificare la asserita impossibilità di esperire contro la uxor la corrispondente actio:

[p. 189]

 

Adversus uxorem, quae socia rei humanae atque divinae domus suscipitur, mariti diem suum functi successores expilatae hereditatis crimen intendere non possunt (CJ. 9.32.4 anno 242 d.C.).

 

L'orientamento giurisprudenziale a ridurre ad una unica ratio il regime della persecuzione del furtum fra coniugi e quello della expilatio hereditatis del coniuge defunto appare desumibile da Herm. D. 47.19.5[23] e dalla costituzione emanata da Diocleziano circa 50 anni dopo quella di Gordiano[24]. In realtà, il testo della costituzione di Gordiano non ci permetterebbe di escludere in termini rigorosi addirittura un suo allineamento alla opinione di Nerva - Cassio. Neppure però ci consente di affermarlo. La espressione "crimen intendere", propria del linguaggio processuale[25], permette infatti di leggervi con certezza soltanto la negazione dell'actio, non del crimen expilatae hereditatis.

Il ragionamento giuridico di Trifonino (e di Gordiano) può essere ricostruito considerando che, pure non costituendo (più: nel III secolo d.C.)[26] la societas

[p. 190]

anche coniugale impedimento alla possibilità di realizzare la fattispecie del furtum  nei confronti della res communis, resti la memoria di una epoca in cui la societas vitae coniugale comportava invece quella conseguenza, la quale si sarebbe quindi mantenuta -possiamo integrare- 'constituto iure'. Si tratterebbe, allora, di una spiegazione della mancanza di actio furti e della sua sostituzione con la actio rerum amotarum nel III secolo d.C. che rammenta quella di Sabino - Proculo nel I secolo, con la -rilevante- differenza di vedere quale precedente del constitum ius non lo status di loco filiae della uxor bensì quello di una societas con conseguenze funzionali diverse dalle contemporanee.

Si noti, infine, che Trifonino va annoverato tra quei giuristi i quali affermano una sorta di condominio coniugale sulla dos, vale a dire su quel segmento patrimoniale specificamente destinato a sopportare gli onera matrimonii[27]:

 

quamvis in bonis mariti dos sit mulieris tamen est (D. 23.3.75)[28].

 

 



 

[1] Cfr. LEVY, Priv. cit. 132.

 

[2] Gell. n.A. 4.3.2 Servius quoque Sulpicius in libro, quem composuit de dotibus, tum primum cautiones rei uxoriae necessarias esse visas scripsit, cum Spurius Carvilius, cui Ruga cognomentum fuit, vir nobilis, divortium cum uxore fecit, quia liberi ex ea corpori vitio non gignerentur, anno urbis conditae quingentesimo vicesimo tertio (M.Atilio, P.Valerio Consulibus).

 

[3] Ulp. D. 25.2.17.1 Divortii causa res amotas dicimus non solum eas, quas mulier amovit, cum divortii consilium inisset, sed etiam eas quas nupta amoveret, si, cum discederet, eas celaverit.

 

[4] Dottrina in WACKE, Op.cit., 86 nt.43.

 

[5] Ulp. D. 47.2.17.1.

 

[6] MARRONE, in Tijd. cit. 468 s.; LEMOSSE, in RHD cit. 470; contra LABRUNA, in Latomus cit. 24 (1965) 717.

 

[7] Oppure, se l'essere quodammodo domina della uxor in manu dipenda, ovverossia sia qualificato in maniera particolare rispetto a quello dei figli dalla sua societas vitae con il maritus. In altri termini, sotto un profilo strettamente logico, è lecito pensare che si possa (si sia potuto) sostenere la assoluta coincidenza dello status di quodammodo domina della uxor rispetto a quello dei liberi pure ammettendo la di lei societas vitae con il maritus. A patto però che si creda a una concezione della societas vitae, da parte di Sabino - Proculo e di quanti ne seguono la opinione, totalmente svuotata di significato giuridico. Ciò che per un verso coinciderebbe nella sostanza giuridica con il mero rifiuto della idea stessa della societas coniugale e per altro verso implicherebbe un atteggiamento dei giuristi dinnanzi alle categorie giuridiche del quale il Solazzi ha – giustamente – negato la possibilità.

 

[8] Si noti che, nell'esporre l'argomento di Nerva - Cassio, Paolo pone l'accento appunto sulla societas vitae "quia societas vitae quodammodo dominam eam faceret".

 

[9] P.VOCI, Diritto ereditario romano. Parte generale (Milano 1960) 36. Si noti che il Voci, così seguendo la dottrina che registra tutt'ora il più alto numero di sostenitori crede alla genuinità 'classica' dei testi in questione (tra gli ultimi: A.MAGDELAIN, Les mots 'legare' et 'heres' dans les XII Tables in Hommages Schilling - Paris 1983 - 172 s.). Vi ha, però, anche chi, considerandoli inconciliabili con il complesso dogmatico-sistematico del Diritto romano li crede di valore meramente sociale (ricordo in particolare P.BONFANTE, Corso di diritto romano IV Le successioni - Città di Castello 1930 - 230 ss.), e chi invece, pure sulla scorta di quella medesima premessa, li ritiene più o meno gravemente interpolati, giudicando - per altro giustamente,  a mio avviso - che i giuristi romani non facessero affermazioni del genere senza corpose implicazioni di regime giuridico (così soprattutto S.SOLAZZI, Diritto ereditario romano - Napoli 1932 -161 ss.; La comunione domestica nei rescritti di Diocleziano in Iura 5 - 1954 - 151 ss. «Il mio argomento principale (e oserei chiamarlo decisivo) è che Gaio, se voleva ricordare un principio del diritto più antico ed evitare che i suoi lettori credessero alla persistenza del concetto enunciato, avrebbe con olim o con altra locuzione definito il tempo a cui intendeva riferirsi; se poi si trattasse di un concetto morale o sociale, sarebbe stato necessario avvertirlo, perché altrimenti in un'opera giuridica  la proposizione domini existimantur non potrebbe essere accolta con un valore diverso da quello del diritto dominicale.»; 'Quodam modo' nelle Istituzioni di Gaio in SDHI 19 -1953- 513 ss. ora in Id., Scritti di Diritto romano V (1947-1956) - Napoli 1972 -; cfr., supra, prgf.II 1). Per altre indicazioni bibliografiche v. il mio 'Pater et filius eadem persona'. Per lo studio della 'patria potestas' I (Milano 1984) 38 ss. Adde, tra i sostenitori della classicità dei testi in argomento V.SCIALOJA, Diritto ereditario romano (Roma 1934) 26 e C.FADDA, Concetti fondamentali del diritto ereditario romano I (Milano 1949) 357.

 

[10] Il Riccobono, ad esempio- conclude addirittura per la certa interpolazione di tutta la frase da "potest enim" ad "actionem competere": «In questo passo <Ulp. D. 47.2.45> era, invece, sicuramente negata l'a.furti al socio della res communis» (S.RICCOBONO, 'Stipulatio' ed 'instrumentum' nel Diritto giustinianeo in ZSS r.A. 35 -1914- 287 nt.2; cfr. Id., Dalla 'communio' del diritto quiritario alla comproprietà moderna in P.VINOGRADOFF -a cura di-, Essays in legal history - Oxford 1913 - 56; e Stipulation and the theory of contract tr.ingl. di J.Kerr Wilie, note e "Introduzione" di B. Beinart - Amsterdam, Cape Town 1957 - 699. Per una più limitata alterazione si pronuncia l'Albertario ('Animus furandi' -1922- quindi in Id., Studi di Diritto romano III Obbligazioni - Milano 1936 - 209, mentre l'Albanese (La nozione di 'furtum' da Nerazio a Marciano in AUPA 25 -1956- 263) considera tutto D. 47.2.45 pr. «giustificatissimo  in Ulpiano (e forse in Sabino)». Già senza sospetti anche F.SCHULZ, Die Aktivlegitimation zur 'actio furti' in klassischen römischen Recht in ZSS r.A. 32 (1911) 94.  In realtà -a prescindere dalla intrinseca opinabilità delle asserite interpolazioni- a favore della 'classicità' del testo  in esame depone il confronto con Ulp. D. 17.2.45  che non risulta sospettato, almeno per la parte che ci interessa (in proposito, v. per tutti O.LENEL, Das Sabinussystem in Festgabe Rudolf von Jhering zu seinem Doctor-Jubiläum - Strasburg 1892 - 3 ss.). Mia ipotesi è che Ulpiano riporti la innovativa soluzione (sabiniana?) di una controversia sulla possibilità di configurarsi furto da parte del socio a carico della res communis.

 

[11] Su cui v. alcune interessanti osservazioni nel recente contributo di O.BEHRENDS, Le due giurisprudenze romane e le forme delle loro argomentazioni in Index 12 (1983-84) 205 s.

 

[12] Sui discussi nessi tra consortium ercto non cito e societas v., tra i contributi recenti, M.BRETONE, 'Consortium' e 'communio' in Labeo 6 (1960) 164 ss.; A.TORRENT, 'Consortium ercto non cito' in AHDE 34 (1964); M.G.BIANCHINI, Studi sulla 'societas' (Milano 1967) 30 ss.; F. BONA, Società universale e società questuaria generale in diritto romano in SDHI 33 (1967) 366 ss.; A. GUARINO, 'Societas consensu contracta' (Napoli 1967) 7 ss.

 

[13] Cfr., supra, prgf. II 2 a.

 

[14] Cfr., supra, prgf.II 2 a, la citazione di Sen. ben. 7.12.1 ss.

 

[15] A.GUARINO, La condanna nei limiti del possibile 2^ ed. (Napoli 1978) 61 ss.

 

[16] Qui il Guarino si riferisce a Ulp.31 ed. D. 17.2.63 pr.: Verum est quod Sabino videtur, etiamsi non universorum bonorum socii sunt, sed unius rei, attamen in id quod facere possunt quodve dolo malo fecerint quo minus possint condemnari oportere. hoc enim summam rationem habet, cum societas ius quodammodo fraternitatis in se habet.

 

[17] Il Guarino considera tale aspetto della disciplina dell'actio rei uxoriae un così importante elemento (probatorio) della analogia con l'actio pro socio da ritenere che il venire meno di esso nella legislazione giustinianea (CI. 5.13.1 -a.530.- passim ma spec.7 che unifica l'actio rei uxoriae e l'actio ex stipulatu sotto la comune arcaizzante denominazione di actio ex stipulatu per la quale è comunque ammesso il cd. 'beneficium competentiae') sia prova bastante del venire meno in quella stessa legislazione del motivo della societas vitae fra coniugi, sostituito con il motivo della reverentia.

 

[18] Il Guarino introduce la seguente ipotesi di restituzione del testo 'classico', che presume manipolato in maniera non grave da giuristi post-classici: Si rerum amotarum cum viro agatur, quamquam [videatur] <quibusdam videtur> ea quoque actio precedentis societatis vitae causam habuisse, in solidum condemnari debet, quoniam ex [male contractu et] delicto <actio> oritur. V. appena più avanti circa la più importante di queste correzioni.

 

[19] E' qui palese il riferimento del Guarino alla opinione di Nerva e di Cassio riportata da Paolo in D. 25.2.1.

 

[20] Cfr. id. D. 25.2.9 Rerum amotarum aestimatio ad tempus quo amotae sunt referri debet: nam veritate furtum fit, et si lenius coercetur mulier.

 

[21] Cfr., supra, prgf.1 d.

 

[22] ZANZUCCHI, Il divieto delle azioni famose (1906) cit. 9.

 

[23] Uxor expilatae hereditatis crimine idcirco non accusatur, quia nec furti cum ea agitur.

 

[24]hereditatis expilatae crimine promiscuus usus exemplo actioni furti ream uxorem fieri non patiatur (CJ. 6.2.17, a.294 d.C.).

 

[25] V., V.I.R. s.v. "Intendere"; cfr. A.BERGER, Encyclopedic Dictionary of Roman Law (Philadelphia 1953) s.v. "Intendere".

 

[26] Si noti che la espressione "in veritate"  di D. 25.2.29 lascia intravedere la presenza, alla mente di Trifonino, della discussione circa la configurabilità del furtum tra coniugi, mentre di discussione non vi è traccia semantica alcuna in D. 42.1.52, a proposito della sussistenza della societas vitae coniugale.

 

[27] Cfr., supra, prgff. II 6 d. ed e.

 

[28] Cfr. Boeth. ad Cic.top. 17.65 su cui v., supra, prgf. II 6 e.