ds_gen Università di Sassari/Seminario di Diritto Romano/Pubblicazioni-2

 

Francesco Sini

 

Documenti sacerdotali di Roma antica

I. Libri e commentarii

 

Sassari, Libreria Dessì Editrice, 1983

 

pp. 234

 

 

 

 

 

 

 

 

Cap. I

 

IL PROBLEMA STORIOGRAFICO DEI DOCUMENTI SACERDOTALI

 

Sommario: 1. Consistenza e contenuto degli archivi sacerdotali. – 2. Compilazioni sacerdotali e valore storico-giuridico dei dati provenienti da tali documenti. – 3. Difficoltà ed incertezze nella distinzione tra libri e commentarii.

 

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1. Consistenza e contenuto degli archivi sacerdotali

 

Numerose fonti, sia epigrafiche[1] sia letterarie[2], attestano che nell’antica Roma era prassi usuale dei grandi collegia e sodalitates[3] redigere e conservare nei propri archivi[4] tutta una serie di documenti, in cui erano riposte le memorie di fatti legati alle molteplici attività di ciascun collegio[5], nonché precise istruzioni per l’espletamento delle funzioni sacerdotali[6]. Il contenuto di questi archivi[7] doveva presentarsi quindi vastissimo, in quanto era assai vario il materiale che in essi si raccoglieva: si trattava, infatti, di istruzioni generali di culto[8]; di formule solenni (carmina)[9], che potevano riguardare sia preghiere e regolamenti rituali, sia atti solenni di diritto pubblico e privato; di raccolte di decreta[10] e di responsa[11], cioè interventi autoritativi o pareri interpretativi in materia di competenza dei collegio[12]. Negli archivi sacerdotali si conservano, inoltre, i fasti[13], liste dei membri del collegio[14] (nei quali con molta probabilità era possibile trovare anche un embrione di storia e di cronologia, se non altro per esigenze di datazione nell’aggiornamento della lista)[15], e gli acta[16], processi verbali degli atti professionali del collegio.

Sebbene in linea di massima vi fosse una certa tipicizzazione nel contenuto degli archivi sacerdotali, non va tuttavia dimenticato che alcuni di essi superavano di gran lunga gli altri per importanza e per ricchezza di materiale. È il caso del l’archivio dei pontefici[17]. Spettava infatti a questi sacerdoti

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determinare il calendario annuale[18], compilare ed aggiornare i fasti consolari[19] e registrare – fin dal periodo più antico[20] – le cronache cittadine, annales[21], che furono da ultimo raccolte in forma definitiva intorno al 130 a.C. negli Annales Maximi, per iniziativa del pontefice massimo P. Mucio Scevola[22]. Inoltre, la tradizione antica riconduceva all’archivio dei pontefici anche le leges regiae[23], i libri e i commentarii dei re[24] e le primitive regole del ius civile[25].

Questa vasta opera di raccolta e di compilazione dovette svilupparsi dapprima occasionalmente, legata soprattutto al costante lavoro di interpretazione e di rielaborazione delle diverse branche del ius[26] da parte dei collegi sacerdotali: si venne così a formare, in modo piuttosto casuale, quella massa eterogenea di materiale documentario che costituiva la grande parte del contenuto degli archivi. Poi, in epoca più recente[27], è probabile che gli stessi componenti dei collegi, ed il pontefice massimo[28], abbiano provveduto ad elaborare una sistemazione interna di carattere funzionale per tutto il materiale contenuto negli archivi, anche se manca qualsiasi conferma di fonte sacerdotale o annalistica per un fatto di questo genere, con l’unica eccezione della redazione definitiva degli Annales Maximi.

Di certo questi archivi dovevano presentarsi riordinati in maniera organica già alla fine del III secolo[29], quando il materiale in essi raccolto cominciò ad essere oggetto di studio e di sistematizzazione da parte di giuristi[30] e antiquari[31], i quali ricavarono dagli archivi gli elementi basilari per le loro opere sul diritto divino[32] e sulla teologia[33].

La perdita di tutta questa letteratura, che forse avrebbe consentito di capire la sistemazione interna degli archivi, la divisione della materia e in contenuto dei singoli documenti, costituisce un limite senza dubbio assai difficile da superare nel lavoro di ricostruzione dei documenti sacerdotali. A ciò si aggiunga la quasi totale scomparsa dei documenti provenienti direttamente dagli archivi: le poche eccezioni[34] ed i frammenti pervenuti attraverso citazioni annalistiche e antiquarie

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offrono, infatti, un quadro parziale, lacunoso e per molti versi oscuro. Nascono quindi, in primo luogo, dallo stato delle fonti le disparità di opinioni in seno alla dottrina romanistica su alcuni importanti problemi, che avremo modo di esaminare più avanti. Basterà qui accennarli appena: a) probabile datazione dell’inizio delle compilazioni sacerdotali e valore storico-giuridico dei frammenti; b) determinazione del contenuto dei libri e dei commentarii; c) criterio di sistemazione elaborato dai sacerdoti per il materiale raccolto negli archivi.

 

 

2. Compilazioni sacerdotali e valore storico-giuridico dei dati provenienti da tali documenti

 

L’esigenza di datare, seppure con una certa approssimazione, l’inizio delle compilazioni sacerdotali si presenta strettamente legata allo stato lacunoso delle fonti a nostra disposizione. È noto, infatti, che della grande massa di documenti sacerdotali soltanto alcuni, e per di più assai recenti, si sono conservati in maniera tale da poter essere ricostruiti nella loro struttura originaria. In questo modo è possibile conoscere il calendario religioso e civile romano[35], i commentarii dei ludi saeculares celebrati durante i principati di Augusto, di Claudio e di Settimio Severo[36], ed infine gli acta fratrum Arvalium[37]; il resto del materiale di provenienza sacerdotale è costituito da qualche frammento epigrafico[38] e da molte citazioni contenute in opere scritte tra l’ultimo secolo della repubblica e il quinto secolo dell’impero[39].

Il dato delle fonti si mostra quindi a prima vista inadeguato a confermare le testimonianze degli scrittori antichi, dai quali apprendiamo che la redazione dei documenti sacerdotali avrebbe avuto inizio fin dai primissimi anni della storia cittadina[40]: da quegli anni, cioè, in cui secondo la tradizione annalistica si sarebbero enucleate le istituzioni fondamentali

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del sistema giuridico-religioso romano; istituzioni che peraltro, sempre nel racconto annalistico, appaiono intimamente connesse alle funzioni dei principali collegi sacerdotali[41].

Una datazione così alta viene negata dalla maggior parte degli studiosi[42]: l’opinione dominante nella dottrina romanistica è più propensa a ritenere che la data iniziale di queste compilazioni non possa essere anteriore al IV secolo a.C.[43], in quanto solo successivamente a tale epoca si sarebbe provveduto da parte dei pontefici, a redigere con regolarità i fasti consulares e gli annales[44].

Da qualche tempo questa opinione, affermatasi nei primi anni del Novecento – grazie anche al contributo di Gaetano De Sanctis[45] – come reazione alla corrente ipercritica[46], è stata oggetto però di ripensamento da parte di autorevoli studiosi[47]. Negli ultimi anni, storici come il Pareti[48], comparatisti come il Dumézil[49], linguisti come il Peruzzi[50], ciascuno nell’ambito della propria ricerca, hanno apportato nuovi elementi che sembrano in grado di convalidare le testimonianze degli scrittori antichi sul carattere assai risalente delle elaborazioni storiche, giuridiche e “teologiche” dei grandi collegi sacerdotali[51].

Le testimonianze degli scrittori romani trovano poi indiretta conferma anche nei risultati delle recenti ricerche sulle “civiltà” dell’antichissimo Lazio[52], che, fra le altre cose, rivelano un elevato grado di utilizzazione della scrittura in tutta l’area laziale, fin dall’epoca che si suole far corrispondere al periodo monarchico della storia di Roma, specialmente per fissare la memoria di solenni atti giuridico-religiosi di carattere comunitario[53].

Si comprende così il motivo che induce a ritenere i documenti sacerdotali e le formule solenni materiali di fondamentale importanza per qualsiasi tentativo di ricostruzione delle più antiche vicende storiche e delle primitive istituzioni; poiché questi documenti contengono gli elementi basilari per individuare le caratteristiche originarle e la dialettica dello sviluppo delle istituzioni giuridico-religiose romane e costituiscono al tempo stesso il nucleo più antico e sicuro della tradizione.

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Per quanto attiene poi alle formule solenni elaborate dai sacerdoti e raccolte nei loro documenti, la cui funzione consisteva principalmente nell’operare di volta in volta la traduzione nella sfera divina di tutto il complesso di attività riferibili al popolo romano, va sottolineato che esse rappresentano, seppure in forma elementare, la primitiva concettualizzazione politico-religiosa e la più antica sovrastruttura ideologica di questo popolo[54].

Resta ancora da risolvere il problema dell’attendibilità delle formule, nel testo in cui sono riportate dalle fonti a nostra disposizione, e più in generale di tutte le informazioni che sembrano provenire da documenti sacerdotali, ma per le quali non è fatto esplicito richiamo alle fonti di provenienza. Per quanto riguarda le formule religiose, ne sostiene la piena attendibilità Georges Dumézil[55], il quale dimostra la sostanziale autenticità di esse sulla base della discussione di alcuni testi liviani; anche Jean Bayet, per il resto così attento nella valutazione della massa di informazioni storiche contenute nell’opera di Livio, sottolinea come perfettamente credibili quelle parti dell’opera che trattano di istituzioni politiche, giuridiche e religiose[56].

A sostegno dell’attendibilità della massa di materiale pro- veniente da documenti sacerdotali può essere addotto un ulteriore argomento. Nella società romana arcaica e repubblicana, a fronte dello sviluppo dei rapporti economici e politici, si contrapponevano da una parte una più lenta evoluzione delle istituzioni giuridiche[57], dall’altra il carattere fortemente conservativo della tradizione religiosa[58]. Ciò ha permesso che il ricupero operato da antiquari e letterati antichi di gran parte dell’elaborazione dei collegi sacerdotali sia avvenuto nel sostanziale rispetto, se non della forma, almeno del contenuto più genuino di quell’elaborazione.

L’aver individuato il valore generale di questo tipo di fonti non ci esime, tuttavia, dal valutare caso per caso il singolo passo; poiché bisogna sempre tener conto della profonda differenza (e quindi della diversa attendibilità) tra i dati che

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lo scrittore antico ci tramanda su determinate istituzioni giuridico-religiose più risalenti e l’interpretazione che egli ne dà, riflettendo la propria ideologia o il proprio grado di approfondimento scientifico[59].

Un’impostazione di questo genere, che pure offrirebbe validi elementi di revisione del cosiddetto “diritto pubblico romano”, incontra però forti resistenze proprio nel campo degli studi giuridici, in cui si sente ancora fortemente il peso della sistematica ereditata dalla storiografia giuridica tedesca dell’Ottocento[60]: la quale da una parte tendeva a ricostruire la complessa vicenda giuridica del popolo romano attraverso la contemporanea concezione statualistica del diritto[61] e dall’altra attuava di conseguenza una netta separazione tra religione e diritto, anche a livello di ricerca scientifica[62]. In particolare, per quanto riguarda il valore storico-giuridico delle formule solenni e dell’altro materiale provenienti dagli archivi sacerdotali, nella forma in cui ci sono pervenuti nelle fonti, domina ancora la valutazione negativa consolidatasi con lo Staatsrecht del Mommsen[63]. Si sa, infatti, che il grande studioso tedesco, pur privilegiando nella sua ricostruzione sistematica i dati giuridico-istituzionali[64] nei confronti del racconto annalistico, guardava tuttavia con forte sospetto alle formule religiose e giuridiche riportate dalla letteratura annalistica e antiquaria, giudicandole sovente anticipazioni di istituti sviluppatisi in epoche più tarde[65].

Su questo punto la prospettiva del Mommsen ha influenzato in modo considerevole anche gli studi tedeschi sulla religione romana: basterà qui citare l’esempio del Wissowa[66], che sostanzialmente non si discosta dall’opinione del suo maestro e quello più recente di Kurt Latte[67].

Perciò fra i giuristi appare ancora oggi poco seguita quella opinione che tende ad individuare nelle prescrizioni di diritto divino e più in generale in tutte le testimonianze ad esso riferibili, e che in certo modo possono farsi risalire ai documenti conservati negli archivi sacerdotali, «ciò che di più serio gli storici di Roma abbiano potuto conoscere per i primi

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secoli»[68]; come dimostra il recente articolo del Gioffredi[69] sulla tradizione antiquaria dei testi giuridico-sacrali, in cui, a mio parere, vi è una sostanziale adesione alla linea del Latte.

 

 

3. Difficoltà ed incertezze nella distinzione tra libri e commentarii

 

Riguardo agli archivi sacerdotali esiste nella dottrina romanistica un altro motivo di dibattito. La discussione verte sulla possibilità pratica di determinare, per ciascuno dei diversi generi di documenti conservati negli archivi e variamente denominati (quali ad esempio acta, fasti, commentarii, libri, ecc.), l’insieme delle materie che ne costituivano il contenuto specifico. In proposito, conviene, fin d’ora, sottolineare quanto il termine “genere” appaia di per se stesso inadeguato ad esprimere. il significato peculiare dei termini latini citati, poiché non è affatto certo che essi corrispondessero ad un “genere” di documento, potendosi anche trattare di intere “sezioni” di documenti sacerdotali aventi caratteristiche assimilabili ai fini di una più funzionale conservazione all'interno dell’archivio.

Attualmente, anche se si sono venute progressivamente appianando le diversità di opinione circa il contenuto degli acta e degli annales[70], permane nella dottrina l’eco di un ampio dibattito, assai vivace in passato e tuttora senza soluzione definitiva, in merito alla precisazione della natura dei libri[71] e dei commentarii[72] sacerdotali e del loro possibile contenuto.

Nelle fonti[73] si menzionano libri e commentarii a proposito del collegio dei pontefici e di quello degli auguri, solo libri a proposito dei Salii e solo commentarii per quanto riguarda fratres Arvales, septemviri Epulones e quindecimviri sacris faciundis (a proposito di quest’ultimo collegio, non va dimenticato che essi custodivano nel loro archivio i famosi libri Sibyllini)[74]; vi è poi la notizia dell’esistenza di libri e di

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commentarii di re[75] e di magistrati[76]. Fra i documenti sacerdotali, libri e commentarii sono certamente quelli più menzionati nelle fonti, dalla cui analisi emerge che essi costituivano la parte di gran lunga più rilevante degli archivi, poiché sembra che il loro contenuto non solo riguardasse la regolamentazione del rituale, delle funzioni sacerdotali e gran parte del diritto divino[77], ma anche le più risalenti norme del ius publicum[78] e le più arcaiche procedure del ius civile[79]. Così in essi si potevano trovare - secondo le fonti - accanto agli indigitamenta[80], alle formule solenni, ai regolamenti rituali, ai decreta e responsa sacerdotali, notizie sulla provocatio in età regia[81] o sulla definizione e sulla gerarchia dei poteri magistratuali[82].

Nonostante le frequenti citazioni libri e commentarii sacerdotali non appaiono però facilmente definibili sulla base di precise differenze di contenuto. Ciò è dovuto principalmente a due ragioni: in primo luogo allo stato di frammentarietà delle fonti a nostra disposizione; in secondo luogo all’apparente confusione e alla casualità con cui gli autori antichi, a proposito della stessa materia, citano ora libri, ora commentarii[83]. Su questo argomento, perciò, la dottrina romanistica contemporanea si presenta con opinioni e criteri di valutazione nettamente divergenti. Esamineremo in seguito, in maniera più approfondita, quali siano state, e siano ancora oggi, queste opinioni, mentre basterà accennare ora soltanto alle linee generali del dibattito.

Nel secolo scorso, almeno fino agli anni Settanta, era opinione dominante, sulla scia del Niebuhr[84], che fosse possibile definire con precisione il contenuto dei libri e quello dei commentarii, e che essi fossero due “generi” di documenti ben distinti negli archivi. Naturalmente spesso variava la ripartizione delle materie proposta dai diversi studiosi: nel senso che ciò che alcuni collocavano nei libri poteva da altri essere attribuito ai commentarii; tuttavia si riteneva sempre possibile una netta distinzione di contenuto.

Nella seconda metà dell’Ottocento, il rinnovato interesse

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per lo studio dei materiale proveniente dagli archivi sacerdotali[85] contribuì a mettere in crisi questo modo tradizionale di trattare del contenuto di libri e di commentarii: si constatò da più parti l’impossibilità di incasellare tutto il materiale all’interno di uno schema che distinguesse rigidamente tra libri e commentarii, poiché tale schema si presentava per molti versi non rispondente ai testi antichi. Ci si orientò, piuttosto, per classificazioni che ordinassero direttamente per materia tutte le fonti di provenienza sacerdotale, rinunciando quindi in pratica a qualsiasi distinzione tra libri e commentarii, in quanto – si sosteneva da parte di questi studiosi – le fonti sono talmente incerte e confuse da non consentire altra soluzione scientificamente valida.

Questa nuova tesi, sostenuta fra i primi dal Bouché-Leclercq[86] e dal Regell[87], si impose in breve tempo all’attenzione della dottrina, tanto da essere generalmente seguita nei manuali e nelle opere di vasta consultazione[88]. Tuttavia la tesi della distinzione tra libri e commentarii continua ad avere ancora oggi autorevoli adesioni. Né furono in grado di dare una soluzione definitiva all’intera problematica quegli interessanti tentativi di raccolta sistematica di frammenti di provenienza sacerdotale[89], che pure indicarono nuove prospettive di analisi e di ricostruzione dei documenti citati. In questo senso si può affermare con sicurezza che il dibattito deve ritenersi tutt’altro che concluso.

 

 



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NOTE

 

[1] Fra le fonti epigrafiche più notevoli, sono da ricordare le iscrizioni riguardanti i ludi saeculares: Corpus Inscriptionum Latinarum VI, 32323 ss.; gli acta fratrum Arvalium: Corp. Inscr. Lat. VI, 2023-2119; 32338-32398; 37164-37165 (per la bibliografia vedi infra nn. 36-37) ed alcune liste di componenti dei collegi sacerdotali: Corp. Inscr. Lat. VI, 1976 ss.; 32318 ss.; certamente agli archivi sacerdotali risalgono anche le disposizioni del collegio dei pontefici e di quello dei quindecimviri riportate in Corp. Inscr. Lat. X, 8259 ed ibid. 3698. Più in generale per le iscrizioni latine di carattere religioso del periodo arcaico e repubblicano, cfr. A. DEGRASSI, Inscriptiones Latinae liberae rei publicae, 2 voll., Firenze 1957-1963.

 

[2] Per quanto riguarda le fonti letterarie, vedi per tutti G. WISSOWA, Religion und Kultus der Römer (Handbuch der klassiken Altertumswissenschaft IV, 5), 2a ediz., München 1912 (rist. 1971), pp. 4 ss., 65 ss.; N. TURCHI, La religione di Roma antica (Istituto di Studi romani. Storia di Roma, 18), Bologna 1939, pp. 337 ss.; K. LATTE, Römische Religionsgeschichte (Handbuch der Altertumswissenschaft. V, 4), München 1960, pp. 4 ss.; G. B. PIGHI, La religione romana (Lezioni “Augusto Rostagni”, III), Torino 1967, pp. 27 ss.; 41 ss.

 

[3] In generale, sui collegi sacerdotali romani vedi, oltre G. WISSOWA, Religion und Kultus der Römer, cit., pp. 479 ss.; J. BAYET, Histoire politique et psychologique de la religion romaine, Paris 1957 (2a ediz. 1969) (trad. ital. di G. Pasquinelli: La religione romana. Storia politica e psicologica, Torino 1959, pp. 107 ss.); G. DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, 2a ediz., Paris 1974, pp. 567 ss. (cfr. trad. ital di F. Jesi, La religione romana arcaica, Milano 1977, pp. 492 ss.). Troppo numerosi sono invero gli studi monografici su tali collegi (sia di carattere storico-giuridico, sia di carattere prosopografico) per poter essere citati in questa nota (per la bibliografia più risalente cfr. J. MARQUARDT, Römische Staatsverwaltung, III, 2a ediz., Leipzig 1885, pp. 235 ss.; G. WISSOWA, op. loc. cit.); basterà pertanto ricordare qui soltanto alcuni degli studi più recenti: P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, Torino 1960; F. GUIZZI, Aspetti giuridici del sacerdozio romano. Il sacerdozio di Vesta, Napoli 1968; M. W. HOFFMAN LEWIS, The Official Priests of Rome under the Julo-Claudians. A study of the Nobility from 44 B. C. to 68 A. D. (Papers and Monographs of the American Academy in Rome, XVI), Roma 1955; G. J. SZEMLER, The Priests of the Roman Republic. A Study of Interactions between Priesthoods

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and Magistracies, Bruxelles 1972; J. SCHEID, Les frères arvales. Recrutement et origine sociale sous les empereurs julo-claudiens, Paris 1975.

 

[4] Riguardo alla denominazione di tali archivi la terminologia delle fonti appare piuttosto confusa, tanto da far supporre che mancasse proprio una denominazione ufficiale: vedi, comunque, infra nn. seguenti. Peraltro, anche i luoghi in cui venivano conservati gli archivi dei più importanti collegi risultano di non facile precisazione: su questo punto vedi, comunque, G. WISSOWA, Religion und Kultus der Römer, cit., pp. 502, 527.

 

[5] Assai significativamente la tradizione romana ricollega i principali collegi sacerdotali ai primordi della storia delle istituzioni cittadine (cfr. Livio 1, 20). A tale proposito, non mi pare sostenibile l’ipotesi che questa tradizione sia frutto di più tarde ricostruzioni, di ispirazione sacerdotale, volte a nobilitare l’altrimenti oscura storia religiosa della città. Difficilmente si può negare l’esistenza di un rapporto funzionale tra i collegi sacerdotali e la più antica organizzazione politica cittadina: vedi da ultimo, in questo senso, il convincente studio di L. R. MÉNAGER, Les collèges sacerdotaux, les tribus et la formation primordiale de Rome, in Mélanges de l’École française de Rome 88, 1976, pp. 455 ss.

 

[6] Di antichissima redazione doveva essere l’ordo sacerdotum, conservatosi nella sua arcaica gerarchia ancora ai tempi di Festo, o almeno della sua fonte Verrio Flacco, quando certamente non corrispondeva più ai reali rapporti di potere all’interno dell’ordinamento sacerdotale: Festo, p. 198 L.: Ordo sacerdotum aestimatur deorum < ordine, ut deus > maximus quisque. Maximus videtur Rex, dein Dialis, post hunc Martialis, quarto loco Quirinalis, quinto pontifex maximus. Itaque in soliis Rex supra omnis accumbat licet; Dialis supra Martialem, et Quirinalem; Martialis supra proximum; omnes item supra pontificem. Rex, quia potentissimus: Dialis, quia universi mundi sacerdos, qui appellatur Dium; Martialis, quod Mars conditoris urbis parens; Quirinalis, socio imperii Romani Curibus ascito Quirino; pontifex maximus, quod iudex atque arbiter habetur rerum divinarum humanarumque; come è attestato dalle attribuzioni ascritte al pontifex maximus, che appaiono elaborate in età successiva alla definizione dell’ordo. Su materiali d’archivio dovevano altresì essere improntati i libri sacerdotum populi Romani ed i libri, qui de sacerdotibus publicis compositi, di cui parla Gellio, Noct. Att. 13, 23, 1; 10, 15, l.

Più complesso è invece il problema della definizione del rapporto tra questi materiali e i libri de sacerdotibus delle antiquitates rerum divinarum di Varrone: per una prima valutazione circa probabili utilizzazioni di libri sacerdotali negli scritti dell’antiquario reatino, vedi infra cap. III, § 3.

 

[7] Più in generale, sugli archivi di Roma arcaica, vedi R. BESNIER, Les archives privées, publiques et religieuses à Rome au temps des rois, in Studi Albertario, II, Milano 1953, pp. 1 ss.

 

[8] Cfr. G. WISSOWA, Religion und Kultus der Römer, cit., pp. 409 ss.; K. LATTE, Römische Religionsgeschichte, cit., pp. 41 ss.; G. DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, cit., pp. 545 ss. (cfr. trad. ital., cit., pp. 473 ss.).

 

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[9] Sul significato e sull’antichità dei termine vedi A. ROSTAGNI, Storia della letteratura latina, 3a ediz., I, Torino 1964, p. 41: «Ora noi dobbiamo per l’appunto riportarci a quell’epoca, chiaramente riconoscibile non solo presso i Latini ma presso gli Italici in generale, quando ancora non era ben affermata la distinzione fra la Poesia e la Prosa e col nome di carmen s’indicava qualsiasi espressione un po’ colta (delle preghiere, delle formule magiche, e anche delle leggi), ritmicamente costruita con varie disposizioni d’accenti e allitterazioni, rime e simili». Certamente derivavano dagli archivi sacerdotali non solo il carmen saliare (i frammenti sono stati raccolti da C. M. ZANDER, Carminis Saliaris reliquiae, Lundae 1888; B. MAURENBRECHER, Carminum Saliarium reliquiae, Jahrbücher für classische Philologie, Suppl. 21, 1894, pp. 315 ss.; W. MOREL, Fragmenta poetarum latinorum epicorum et liricorum praeter Ennium et Lucilium, 2a ediz. (rist. Stutgardiae 1963), pp. 1 ss.: per i problemi di critica testuale, vedi, da ultimi, G. RADKE, Das Zitat aus dem Salierliede bei Terentius Scaurus, in Gedenkschrift für G. Rohde, Tübingen 1961, pp. 215 ss.; ID., Die Überlieferung archaischer lateinischer Texte in der Antike, in Romanitas 11, 1972, pp. 189 ss.; A. ERNOUT, Numina ignota, in Mélanges Carcopino, Paris 1966, pp. 313 ss.) ed il carmen arvale (sul quale vedi: M. NACINOVICH, Carmen Arvale, 2 voll., Roma 1933-1934; E. NORDEN, Aus altrömischen Priesterbüchern, Lund-Leipzig 1939, pp. 99 ss.), ma anche quelle solenni formule giuridico-religiose di cui le fonti conservano la memoria: cfr. ad esempio Livio 1, 18, 6 ss. (inauguratio); 1, 24, 3 ss. (foedus); 1, 32, 11-13 (indictio belli); 1, 38, 2 (deditio); 8, 9, 6 (devotio); Macrobio, Sat. 3, 9, 7 (evocatio). Per un maggiore approfondimento di tutta questa problematica, vedi C. M. ZANDER, Versus Italici antiqui, Lundae 1890; C. THULIN, Italische sakrale Poesie und Prosa. Eine metrische Untersuchung, Berlin 1906; G. APPEL, De Romanorum praecationibus (Religionsgeschichtliche Versuche und Vorarbeiten, 7, 1), Gissae 1909; alcuni testi sono stati raccolti e tradotti da G. B. PIGHI, La poesia religiosa romana, testi e frammenti per la prima volta raccolti e tradotti da G. B. P., Bologna 1958.

 

[10] Esempi di decreta sacerdotali in Cicerone: De div. 2, 35; in Vat. 20; Livio 27, 37, 4; 27, 37, 7; 31, 9, 8; 32, 1, 9; 34, 45, 8; 39, 22, 4-5; 40, 45, 2; 4, 7, 3; 45, 12, 10; 21, 1, 15-19; 41, 21, 10-1 l; 31, 8, 2-3; Festo, p. 152 L.

 

[11] Cfr. Cicerone, De domo 39-40; Livio 5, 23, 8-10; 5, 25, 7; 36, 3, 7-12; 41, 18, 8.

 

[12] Non del tutto chiara appare in dottrina la distinzione tra i decreta e i responsa sacerdotali: vedi, ad esempio, E. DE RUGGIERO, Decretum, in Dizionario epigrafico di antichità romane 2, 2, 1910, pp. 1497 ss. Per quanto riguarda i responsa, non è neppure certo se, e in che misura, essi vincolassero il magistrato, il senato o il privato richiedenti: tuttavia tale era il prestigio del sacerdozio che raramente non venivano seguiti; valga in proposito quanto afferma Cicerone, De harusp. resp. 6, 12: Quae tanta religio est qua non in nostris dubitationibus atque in maximis superstitionibus unius P. Servili ac M. Luculli responso ac verbo liberemur? De sacris publicis, de ludis maximis, de deorum penatium Vestaeque matris caerimoniis, de illo ipso sacrificio quod fit pro salute populi Romani, quod post Romam conditam huius unius casti tutoris religionum

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scelere violantum est quod tres pontifices statuissent, id semper populo Romano semper senatui, semper ipsis dis immortalibus satis sanctum, satis augustum, satis religiosum esse visum est. Più in generale, G. WISSOWA, Religion und Kultus der Römer, cit., pp. 514 s., 527 ss., 551; F. SCHULZ, History of Roman Legal Science, 2a ediz., Oxford 1953, pp. 15 ss. (cfr. trad. ital. Firenze 1968, pp. 37 ss.).

 

[13] Riguardano i fasti sacerdotali, oltre le iscrizioni già citate in n. 1, anche Corp. Inscr. Lat. VI, 37160, 37161. Fra i numerosi studiosi che si sono impegnati nella ricostruzione delle diverse liste di sacerdoti, mette conto ricordare: L. MERCKLIN, Die römischen Sacerdotalfasten, appendice a Die Cooptation der Römer, Mitau und Leipzig 1848, pp. 213 ss.; C. BARDT, Die Priester der vier grossen Collegien aus römisch-republicanischer Zeit, Berlin 1871; P. HABEL, De Pontificum Romanorum inde ab Augusto usque ad Aurelianum condicione publica, Vratislaviae 1888; G. HOWE, Fasti sacerdotum populi Romani publicorum aetatis imperatoriae, Lipsiae 1904; A. KLOSE, Römischen Priesterfasten I, Diss. Breslau 1910; T. R. S. BROUGHTON, The Magistrates of the Roman Republic, 2 voll., 1 suppl., New York 1951-1952, 1960; M. W. HOFFMAN LEWIS, Le Official Priests of Rome under the Julo-Claudians, cit. in n. 2; H. G. PFLAUM, “Sodales antoniniani” de l’époque de Marc Aurèle, Paris 1966; G. J. SZEMLER, The Priests of the Roman Republic, cit. in n. 3; J. SCHEID, Les frères arvales, cit. in n. 3.

 

[14] Per indicare queste liste dei membri dei collegi sacerdotali, oltre il termine fasti, nella dottrina troviamo usato anche il sostantivo album, sebbene non esista una fonte in cui con album si designi tale lista: comunque, in tal senso, si vedano J. MARQUARDT, Römische Staatsverwaltung, cit., p. 299 n. 5; Joh. SCHMIDT, Album, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 1, Stuttgart 1893, coll. 1332 ss.

 

[15] Oltre le testimonianze epigrafiche, ci sono pervenute due liste di componenti del collegio dei pontefici: la prima si ricava da un passo di Cicerone, De harusp. resp. 6, 12: At vero meam domum P. Lentulus, consul et pontifex, P. Servilius, M. Lucullus, Q. Metellus, M.’ Glabrio, M. Messalla, L. Lentulus, flamen Martialis, P. Galba, Q. Metellus Scipio, C. Fannius, M. Lepidus, L. Claudius, rex sacrorum, M Scaurus, M. Crassus, C. Curio, Sex. Caesar, flamen Quirinalis, Q. Cornelius, P. Albinovanus, Q. Terentius, pontifices minores, causa cognita, duobus locis dicta, maxima frequentia amplissimorum ac sapientissimorum civium adstante, omni religione una mente omnes liberaverunt; l’altra è riportata da Macrobio, Sat. 3, 13, 11: Refero enim pontificis vetustissimam cenam quae scripta est in indice quarto Metelli illius pontificis maximi in haec verba: Ante diem nonum kalendas Septembres, quo die Lentulus flamen Martialis inauguratus est, domus ornata fuit, triclinia lectis eburneis strata fuerunt, duobus tricliniis pontifices cuberunt, Q. Catulus, M. Aemilius Lepidus, D. Silanus, C. Caesar, ***** rex sacrorum, P. Scaevola, Sextus ***** Q. Cornelius, P. Volumnius, P. Albinovanus et L. Iulius Caesar augur qui eum inauguravit, in tertio triclinio Popilia Perpennia Licinia Arruntia virgines Vestales et ipsius uxor Publicia flaminica et Sempronia socrus eius.

 

[p. 29]

[16] Notevoli esempi di acta sono le epigrafi sul marmo collocate dai fratres Arvales nel bosco della dea Dia a pochi chilometri da Roma, dove si crede finisse l’ager romanus antiquus. Per la ricostruzione di tali acta, vedi infra n. 37; quanto poi al rapporto tra Arvaks e dea Dia ed al significato dei suo arcaico rituale vedi I. CHIRASSI, Dea Dia e fratres Arvales, in Studi e materiali di storia delle religioni 39, 1968, pp. 191 ss.; sui problemi legati all’ager romanus antiquus si confronta con il dibattito più recente A. ALFÖLDI, Römische Frühgeschichte: Kritik und Forschung seit 1964, Heidelberg 1976, pp. 202 ss.; per le questioni più strettamente archeologiche e topografiche vedi, inoltre, S. QUILICI GIGLI, Considerazioni sui confini del territorio di Roma primitiva, in Mélanges de l’École française de Rome 90, 1978, pp. 567 ss.

 

[17] Per una visione d’insieme dei contenuto dell’archivio dei pontefici, cfr. C. W. WESTRUP, On the Antiquarian-Historiographical Activities of the Roman Pontifical College, København 1929; G. ROHDE, Die Kultsatzungen der römischen Pontifices (Religionsgeschichtliche Versuche und Vorarbeiten 25), Berlin 1936.

 

[18] Cfr. Servio Dan. 1, 270: Sane quae feriae a quo genere hominum vel quibus diebus observentur, vel quae festis diebus permissa sint, siquis scire desiderat, libros pontificales legat.

 

[19] Per i fasti consulares vedi Corpus Inscriptionum Latinarum, I, 2a ediz., 1 ss.; A. DEGRASSI, Inscriptiones Italiae, XIII, Fasti et elogia, Roma 1947; ID., Inscriptiones Latinae liberae rei publicae, I, cit., pp. 15 ss.

Per i problemi di ricostruzione e di datazione, vedi R. STIEHL, Die Datierung der kapitolinischen Fasten, Tübingen 1957; R. WERNER, Der Beginn der römischen Republik. Historisch-chronologische Untersuchungen über die Anfangszeit der libera res publica, München-Wien 1963, pp. 219 ss. (dove sono ampiamente esaminate le opinioni della dottrina contemporanea), 264 ss. (in cui si affrontano le questioni relative alla ricostruzione dei Fasti fino all’invasione gallica). I dati prosopografici sono stati raccolti da T. R. S. BROUGHTON, The Magistrates of the Roman Republic, cit. supra in n. 13.

 

[20] Così Cicerone, De oratore 2, 12, 52-53: erat enim historia nihil aliud nisi annalium confectio, cuius rei memoriaeque publicae retinendae causa ab initio rerum Romanarum usque ad P. Mucium pontificem maximum res omnis singulorum annorum mandabat litteris pontifex maximum efferebatque in album et proponebat tabulam domi, potestas ut esset populo cognoscendi, ei qui etiam nunc annales maximi nominantur.

 

[21] Sulla redazione di questi annales è piuttosto importante quanto riferito da Servio Dan., Aen. 1, 373: Ita autem annales conficiebantur: tabulam dealbatam quotannis pontifex maximus habuit, in qua praescriptis consulum nominibus et aliorum magistratuum digna memoratu notare consueverat domi militiaeque terra marique gesta per singulos dies. Cuius diligentiae annuos commentarios in octoginta libros veteres retulerunt, eosque a pontificibus maximis a quibus fiebant annales maximos appellarunt; con il quale concordano, per quanto riguarda l’origine dell’appellativo maximi, Macrobio, Sat. 3, 2, 17: Pontificibus

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enim permissa est potestas memoriam rerum gestarum in tabulas conferendi, et hos annales appellant et quidem maximos quasi a pontificibus maximis factos; e Paolo, Fest. ep., p. 113 L.: Massimi annales appellabantur, non magnitudine, sed quod eos pontifex maximus confecisset.

Mette conto, peraltro, sottolineare il fatto che l’antichità di queste compilazioni non appare messa in dubbio neanche da parte di quegli autori antichi, che pure le ritenevano prive di valore storiografico: vedi Catone in Gellio, Noct. Att. 2, 28, 6: Verba Catonis ex originum quarto haec sunt: non lubet scribere, quod in tabula apud pontificem maximum est, quotiens annona cara, quotiens lunae aut solis lumine caligo aut quid obstiterit; cfr. anche Cicerone, De re pub. 1, 25.

 

[22] I frammenti degli annales maximi sono stati raccolti da H. PETER, Historicorum Romanorum reliquiae, I, Stutgardiae 1914, pp. 3 s. Troppo estensivo mi sembra il criterio di raccolta degli annalium maximorum fragmenta proposto da J. V. LE CLERC, Des journaux chez les Romains, recherches précédées d’un memoire sur les annales des pontifices, et suivies de fragments des journaux de l’ancienne Rome, Paris 1837.

Per la biografia vedi F. MÜNZER, Mucius, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 16, 1, Stuttgart 1933, coll. 425 ss.; frammenti in Iurisprudentiae Antehadrianae quae supersunt, ed. F. P. BREMER, I, Lipsiae 1896, pp. 32. ss.

Sulla sua attività di giurista e di politico vedi, E. S. GRUEN, The political allegiance of the P. Mucius Scaevola, in Athenaeum 43, 1965, pp. 321 ss.; G. GROSSO, P. Mucio Scevola tra il diritto e la politica, in Archivio Giuridico “Filippo Serafini” 175, 1968, pp. 204 ss.; R. SEGUIN, Sacerdoces et magistratures chez les Mucii Scaevolae, in Revue des études anciennes 72, 1970, pp. 90 ss.; M. BRETONE, Publius Mucius et Brutus et Manilius, qui fundaverunt ius civile (D. 1. 2. 2. 39), in La critica del testo. Atti del II Congresso internazionale della Società Italiana di Storia del diritto, I, Firenze, 1971, pp. 103 ss.; R. A. BAUMAN, Five Pronouncements by P. Mucius Scaevola, in Revue internationale des droits de l’antiquité 25, 1978, pp. 223 ss.; e da ultimo, A. GUARINO, La coerenza di Publio Mucio, Napoli 1981.

 

[23] Per quanto riguarda i testi di tali leges, vedi P. F. GIRARD, Textes de droit romain, 2a ediz., Paris 1895, pp. 3 ss.; S. RICCOBONO, Fontes iuris romani antejustiniani, pars prima, 2a ediz., Florentiae 1968, pp. 4 ss. In genere la storiografia giuridica del secolo scorso (a parte poche eccezioni: M. VOIGT, cit. infra cap. II, § 3; C. FERRINI, Storia delle fonti del diritto romano e della giurisprudenza romana, Milano 1885, pp. 1 ss.; E. CUQ, Les institutions juridiques des Romains, I, Paris 1891, pp. 6 ss., 56 ss.) si orientava nel senso di ritenere le leges regiae disposizioni sacerdotali raccolte in età recente: J. RUBINO, Untersuchungen über römische Verfassung und Geschichte, Cassel 1839, pp. 399 ss.; Th. MOMMSEN, Römisches Staatsrecht, II, 3a ediz., Leipzig 1887, pp. 36 ss.; P. JÖRS, Römische Rechtswissenschaft zur Zeit der Republik, I, Berlin 1888, pp. 59 ss.; E. COSTA, Storia delle fonti del diritto romano, Torino 1909, pp. 1 ss.; P. KRÜGER, Geschichte der Quellen und Literatur des römischen Rechts, 2a ediz., Leipzig 1912, pp. 4 ss. La critica

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più recente pare aver superato questa prospettiva (a cui, peraltro, non manca ancora qualche autorevole adesione: J. CARCOPINO, Les prétendues “lois royales”, in Mélanges de l’École française de Rome 54, 1937, pp. 344 ss.): vedi in questo senso la posizione di sintesi di P. VOCI, Diritto sacro romano in età arcaica, in Studia et documenta historiae et iuris 19, 1953, pp. 91-92: «La critica moderna alla tradizione sulle leges regiae è riuscita a scuotere la credibilità delle notizie relative a un corpus, quale viene descritto dalle fonti. Ma non pare si possano avere dubbi su questi tre punti: a) al rex spettò un potere di ordinanza (su questo non pare dubiti nessuno); b) il rex usò di questo potere, emanando le disposizioni, di cui si è già parlato; c) queste disposizioni dovettero, necessariamente, essere raccolte e custodite negli archivi dei pontefici». Da ultimo, riesamina l’intera problematica S. TONDO, Leges regiae e paricidas, Firenze 1973, sul quale vedi infra, cap. II, pp. 58 ss.

 

[24] Cicerone, Pro Rabir. perd. 15; Livio 1, 31, 8; 1, 32, 2; 1, 60, 4; Plinio, Nat. hist. 28, 2, 4. Per una recente messa a punto della questione, vedi S. TONDO, Leges regiae e paricidas, cit., pp. 19 ss.

 

[25] Su questo particolare le testimonianze degli scrittori antichi sono unanimi: cfr. Cicerone, Brut. 156; Pro Mur. 26; Livio 4, 3, 9; 9, 46, 5; Pomponio, D. 1, 2, 2, 6.

Cfr., inoltre, F. SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana, trad. ital. Firenze 1968, pp. 40 ss.; G. NOCERA, “Iurisprudentia”. Per una storia del pensiero giuridico romano, Roma 1973, pp. 15 ss.; C. A. CANNATA, Lineamenti di storia della giurisprudenza europea (2a ediz.), I. La giurisprudenza romana e il passaggio dall’antichità al medioevo, Torino 1976, pp. 24 ss.

 

[26] Quest’attività riguardava non solo i pontefici, ma anche gli auguri, i feziali e i decemviri sacris faciundis. V’era, d’altronde, nel sistema giuridico-religioso romano una profonda connessione fra ius di esclusiva competenza sacerdotale (pontificium, augurium, fetiale) e il concreto esplicarsi dei rapporti “interni” ed “esterni” del Populus Romanus: così attraverso la facoltà di intervenire in materia di ius augurium si attribuiva in pratica agli auguri quasi un potere di controllo di “legittimità” sull’attività dei magistrati (cfr. ad esempio Livio 8, 23, 4). Né meno importante è da ritenere il ruolo dei sacerdotes Fetiales, i quali, in quanto competenti dell’elaborazione del ius fetiale, si ponevano come unici interpreti ufficiali delle norme che regolavano i cosiddetti “rapporti internazionali” (cfr. Livio 31, 8, 3). Più in generale, vedi W. KUNKEL, Herkunft und soziale Stellung der römischen Juristen, Weimar 1952, pp. 45 ss.; F. SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana, cit., pp. 19 ss.; G. NOCERA, “Iurisprudentia”, cit., pp. 33 ss.

 

[27] L’epoca della sistemazione degli archivi non deve in nessun caso essere confusa con quella d’inizio dell’utilizzazione della scrittura per scopi rituali da parte dei collegi sacerdotali romani. Di certo, l’ausilio della scrittura per fissare le minuziose regole del rituale dovette essere necessità assai risalente, giusta l’osservazione di A. BOUCHÉ-LECLERCQ, Les pontifes de l’ancienne Rome. Étude historique des institutions religieuses de Rome, Paris 1871, p. 59, il quale notava, a proposito dell’antichissima organizzazione di culto, che

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«une liturgie si compliquée ne pouvait se transmettre sans le secours de l’écriture». V’è, d’altronde, in questo senso una precisa tradizione antica, probabilmente di origine pontificale, di cui si ha notizia in Livio 1, 20, 5-7: pontificem deinde Numan Marcium Marci filium ex patribus legit (sc. Numa) eique sacra omnia exscripta exsignataque attribuit, quibus hostiis, quibus diebus, ad quae templa sacra fierent, atque unde in eos sumptus pecunia erogaretur. Cetera quoque omnia publica privataque sacra pontificis scitis subiecit, ut esset quo consultum plebes veniret, ne quid divini iuris neglegendo patrios ritus peregrinosque adsciscendo turbaretur; nec caelestes modo caerimonias, sed iusta quoque funebria placandosque manes ut idem pontifex edoceret, quaeque prodigia fulminibus aliove quo visu missa susciperentur atque curarentur. Per una più approfondita analisi dei testo liviano, vedi da ultimo E. PERUZZI, Origini di Roma. II. Le lettere, Bologna 1973, pp. 155 ss.

 

[28] Una iniziativa di tal genere da parte dei pontefice massimo non deve intendersi lesiva dell’autonomia interna dei collegi sacerdotali, poiché, la nota competenza di esso nella sorveglianza di tutte le forme di culto, permetteva l’accertamento e la definizione nella forma più esatta non solo dei riti propri del collegio pontificale, ma anche di quelli che, sebbene praticati da altri collegi, sottostavano tuttavia a quel generale potere di controllo di cui era titolare il pontefice massimo. Non è questo il luogo per discutere della singolarità e complessità dei poteri del pontefice massimo; non è, però, inutile ricordare come parte di essi sia risultata di non facile inquadramento nella prospettiva sistematica del MOMMSEN, Römisches Staatsrecht, cit., II, pp. 20 ss., il quale, pur favorevole in linea di principio alla netta separazione tra magistratura e sacerdozio, fu costretto a qualificare “magistratische Befugniss” certe funzioni del pontefice massimo. Peraltro la tesi del Mommsen, ancora seguita da gran parte della dottrina contemporanea, trovò qualche opposizione quasi subito dopo la sua formulazione: vedi, ad es., C. SCHWEDE, De pontificum collegii pontificisque maximi in re publica potestate, Lipsiae 1875.

Fra gli studiosi che da ultimo si sono occupati del problema, vedi J. BLEICKEN, Oberpontifex und Pontifikalkollegium. Eine Studie zur römischen Sakralverfassung, in Hermes 85, 1957, pp. 345 ss.; A. CALONGE, El “pontifex maximus” y el problema de la distinción entre magistraturas y sacerdocios, in Anuario historico del derecho español 38, 1968, pp. 5 ss.

Per quanto riguarda il rapporto magistratura-sacerdozio, cfr. la diversa impostazione di P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, cit., pp. 237 n. 91, 273 ss.; 362 ss.; ID., Populus Romanus Quirites, Torino 1974, p. 135; seguita da S. MAZZARINO, Storia e diritto nello studio delle società classiche, in La storia del diritto nel quadro delle scienze storiche. Atti del I Congresso internazionale della Società Italiana di Storia del diritto, Firenze 1966, pp. 51 ss.; e da C. NICOLET, Rome et la conquête du monde méditerranéen, 1. Les structures de l’Italie romaine, Paris 1977, pp. 394 ss.

 

[29] Certo il problema di una sistemazione degli archivi dovette porsi già all’inizio del III secolo, quando con la lex Ogulnia i plebei ottennero l’accesso ai principali collegi sacerdotali. È peraltro significativo che proprio in questo periodo si assista al sorgere di una giurisprudenza “laica”, di cui

[p. 33]

Appio Claudio Cieco ed il suo scriba Cn. Flavio sarebbero stati, secondo la tradizione, fra i principali esponenti: per i rilievi critici a questa tradizione, vedi F. SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana, cit., pp. 24 ss.

 

[30] Per i frammenti dei giuristi in questione, vedi F. P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae, cit., pp. 9 ss.; cfr. W. KUNKEL, Herkunft und soziale Stellung der römischen Juristen, cit., pp. 6 ss.; L. WENGER, Die Quellen des römischen Rechts, Wien 1953, pp. 473 ss.; F. SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana, cit., pp. 78 ss.

 

[31] Cfr. M. SCHANZ - C. HOSIUS, Geschichte der römischen Literatur, I, 4a ediz., München 1927, pp. 234 ss.; L. WENGER, Die Quellen des römischen Rechts, cit., pp. 206 ss.

 

[32] Degli scritti di “diritto sacro” dei giuristi dell’età repubblicana non ci sono pervenuti che sparsi frammenti ed alcuni titoli. Cfr., per tutti, SCHANZ-HOSIUS, Geschichte der römischen Literatur, I, cit., pp. 598 ss.; SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana, cit., pp. 163 s.

 

[33] Alla teologia sacerdotale doveva, in qualche modo, rifarsi Varrone nel trattare degli Dei negli ultimi tre libri delle sue antiquitates rerum divinarum: la stessa suddivisione dell’argomento in: de dis certis, de dis incertis, de dis praecipuis atque selectis, sembra riflettere la cautela tutta sacerdotale, e la propensione per definizioni esaustive, nei confronti delle divinità che erano oggetto di culto. Su Varrone e i documenti sacerdotali, vedi più ampiamente infra, cap. III, pp. 97 ss.

 

[34] Vedi supra n. 1.

 

[35] Frammenti epigrafici in Corpus Inscr. Lat., I (2a ed.), 1, pp. 205 ss.; VI, 32481 ss.; i Fasti Antiates, cioè ritrovati ad Anzio nel 1915, sono stati pubblicati da A. DEGRASSI, Inscriptiones Latinae liberae rei publicae, cit., pp. 23 ss. Fra gli studi più recenti vedi, oltre l’importante contributo di A. KIRSOPP MICHELS, The Calendar of the Roman Republic, Princeton 1967; Ch. GUITTARD, Le calendrier romain des origines au milieu du Vo s. av. J. C., in Bulletin de l’Association G. Budé, 1973, pp. 203 ss.; E. LÉNARD, Calendrier de Romulus. Les débuts du calendrier romain, in L’Antiquité classique 50, 1981, pp. 469 ss.; ma, per quanto riguarda il calendario religioso, anche P. DE FRANCISCI, Primordia civitatis, Roma 1959, pp. 322 ss., e da ultimo G. DUMÉZIL, Fêtes romaines d’été et d’automne, suivi de dix questions romaines, Paris 1975.

 

[36] Per lo studio delle fonti relative ai ludi saeculares è ancora fondamentale l’opera di G. B. PIGHI, De ludis saecularibus populi Romani Quiritium. Libri sex, Milano 1941 (rist. Amsterdam 1965). Cfr. inoltre, J. A. HILD, Saeculares ludi. Saeculum, in Dictionnaire des antiquités grecques et romaines 4, 2, Paris 1908, pp. 987 ss.; M. P. NILSSON, Saeculares Ludi, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 1 A, Stuttgart 1920, coll. 1696 ss.; J. GAGÉ, Recherches sur les jeux séculaires, Paris 1934; ID., Apollon romain.

[p. 34]

Essai sur le culte de Apollon et le développement du “ritus Graecus” à Rome des origines à Auguste, Paris 1955; P. WEISS, Die “Säkularspiele” der Republik, eine annalistische Fiktion? Ein Beifrag zum Verstendnis der kaiserzeitlichen Ludi Saeculares, in Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts (Röm. Abt) 80, 1973, pp. 205 ss.; P. BRIND’AMOUR, L’origine des Jeux séculaires, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II, 16. 2, Berlin - New York 1978, pp. 1334 ss.

 

[37] Gu. HENZEN, Acta fratrum arvalium quae supersunt, Berolini 1874; Ae. PASOLI, Acta fratrum arvalium quae post annum MDCCCLXXIV reperta sunt, Bologna 1950; ne ha annunciato una nuova edizione J. Scheid, autore di un’opera prosopografica sui fratres arvales, cit., supra in n. 3.

 

[38] Vedi supra n. 1.

 

[39] La bibliografia sulle fonti letterarie è citata supra in n. 2.

 

[40] Cfr. Livio 1, 20, 5; 1, 32, 2; Cicerone, De orat. 2, 52.

 

[41] Vedi fra gli altri, J. GUILLÉN, Los sacerdotes romanos, in Helmantica 24, 1973, pp. 5 ss.; L. R. MÉNAGER, Les collèges sacerdotaux, les tribus et la formation primordiale de Rome, cit. supra in n. 5.

 

[42] Solitamente nella dottrina si tende a dare maggior rilievo agli annales dei pontefici ed a operare una sorta di identificazione tra questo genere di documenti ed il restante materiale degli archivi: ciò anche in ragione della non precisa distinzione che gli stessi autori antichi operavano tra annali e commentarii. Riguardo agli annales pontificum le posizioni della dottrina precedente sono ben sintetizzate da C. DE LA BERGE, Annales Maximi, in Dictionnaire des antiquités grecques et romaines 1, Paris 1877, pp. 272 ss., e da C. CICHORIUS, Annales, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 1, Stuttgart 1894, coll. 2248 ss.

 

[43] Così, fra gli altri, L. HOMO, L’Italie primitive et les débuts de l’imperialisme romain, Paris 1925, pp. 11 ss.; S. ACCAME, I re di Roma nella leggenda e nella storia, Napoli s. d., pp. 40 s.; S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico, II, 1, Bari 1966, pp. 255 ss.; 271 ss.

 

[44] La bibliografia sugli annali dei pontefici è vastissima; ci limiteremo pertanto alle indicazioni essenziali: A. BOUCHÉ-LECLERCQ, Les pontifes de l’ancienne Rome, cit., pp. 250 ss.; L. CANTARELLI, Origine degli Annales Maximi, in Rivista di filologia e d’istruzione classica 26, 1898, pp. 209 ss.; A. ENMANN, Die älteste Redaktion der Pontifikalannalen, in Rheinisches Museum für Philologie, 57, 1902, pp. 517 ss.; W. SOLTAU, Die Anfänge der roemischen Geschichtschreibung, Leipzig 1909, pp. 10 ss.; E. KORNEMANN, Die älteste Form der Pontifikalannalen, in Klio 11, 1911, pp. 245 ss.; C. W. WESTRUP, On the Antiquarian - historiographical Activities of the Roman Pontifical College, cit. supra in n. 17; M. GELZER, Der Anfang römischer Geschichtsschreibung, in Hermes 69, 1934, pp. 46 ss. (= Kleine Schriften, III, Wiesbaden

[p. 35]

1964, pp. 93 ss.); E. A. CRAKE, The Annals of the Pontifex Maximus, in The Classical Philology 35, 1940, pp. 375 ss.: gli scritti del Gelzer e del Crake sono stati ripubblicati di recente in V. PÖSCHL (Hrsg. von), Römische Geschichtsschreibung, Wege der Forschung 90, Darmstadt 1969; A. ALFÖLDI, Early Rome and the Latins, Ann Arbor 1965, pp. 164 ss.; E. GABBA, Considerazioni sulla tradizione letteraria sulle origini di Roma, in Les origines de la république romaine (Entretiens sur l’antiquité classique XIII, Fond. Hardt), Genève 1967, pp. 150 ss.; L. ALFONSI, La prosa e lo stile degli Annales Maximi, in Studii Clasice 15, 1973, pp. 51 ss.; E. PERUZZI, Origini di Roma, II, cit., pp. 175 ss.; B. GENTILI - G. CERRI, Le teorie del discorso storico nel pensiero greco e la storiografia romana arcaica, Roma 1975, pp. 81 ss.; da ultimo, B. W. FRIER, Libri Annales Pontificum Maximorum. The Origins of the Annalistic Tradition, Rome 1979. Vedi, inoltre, infra nn. 45-48.

 

[45] G. DE SANCTIS, Storia dei Romani, I-II, Torino 1907 (2a ediz., Firenze 1960); per la parte sugli annales vedi I, pp. 16 ss. Sulla figura di questo significativo storico dei nostro secolo vedi le considerazioni di A. MOMIGLIANO, In memoria di Gaetano De Sanctis, in Rivista storica italiana 69, 1957, pp. 177 ss. (= Secondo contributo alla storia degli studi classici, Roma 1960, pp. 299 ss.); da ultimo, fra gli altri, G. BANDELLI, Gaetano De Sanctis tra Méthode e ideologia, in Quaderni di storia 14, 1981, pp. 231 ss.

 

[46] In Italia principale rappresentante di tale tendenza fu E. PAIS, autore della Storia d’Italia dai tempi più antichi alla fine delle guerre puniche e della Storia critica di Roma: sulla molteplice produzione storiografica dello storico italiano, sul valore e l’attualità della sua opera, vedi il recente contributo di R. T. RIDLEY, Ettore Pais, in Helikon 15-16, 1975-76, pp. 500 ss. Per un rifiuto radicale delle tesi del Pais vedi, soprattutto, C. BARBAGALLO, Le origini di Roma da Vico a noi, Milano 1926, pp. 93 ss.; ma cfr. anche A. PIGANIOL, La conquête romaine, 5e ediz., Paris 1967, p. 623; J. HEURGON, Rome et la Méditerranée occidentale jusqu’aux guerres puniques (Paris 1969), trad. ital.: Il Mediterraneo occidentale dalla preistoria a Roma arcaica, Bari 1972, p. 372.

 

[47] Cfr., fra gli altri, A. ROSENBERG, Einleitung und Quellenkunde zur römischen Geschichte, Berlin 1921, pp. 113 ss.; F. ALTHEIM, Epochen der römischen Geschichte, Frankfurt a. M. 1934, pp. 121 ss.; E. CIACERI, Le origini di Roma. La monarchia e la prima fase dell’età repubblicana, Milano 1937, pp. 70 ss.

 

[48] L. PARETI, Storia di Roma e del mondo romano, I, Torino 1952, pp. 13 ss., anticipa di circa un secolo la data d’inizio delle cronache dei pontefici (sostenendo che «nulla vieta di pensare che le notazioni del Pontefice Massimo risalgano ai primi tempi della repubblica») basandosi su una diversa interpretazione del passo di Cicerone, De re publ. 1, 25 (p. 14 n. 4).

 

[49] È troppo nota, ed ormai unanimemente riconosciuta, l’influenza profonda che ha avuto sugli studi intorno alla religione, e più in generale alle strutture socio-politiche della comunità romana arcaica, la ricerca di

[p. 36]

G. DUMÉZIL: sulla quale vedi, fra gli altri, H. FUGIER, Quarante ans de recherches sur l’idéologie indo-européenne: la méthode de M. Georges Dumézil, in Revue d’histoire et de philosophie religieuses 45, 1965, pp. 358 ss.; C. SCOTT LITTLETON, The New Comparative Mythology. An Antropological Assessment of the Theories of Georges Dumézil, Berkeley-Los Angeles 1966; M. MESLIN, De la mythologie comparée à l’histoire des structures de la pensée: l’oeuvre de Georges Dumézil, in Revue historique 96, 1972, pp. 5 ss.; J. RIES, Héritage indo-européen et religion romaine. A propos de La religion romaine archaïque de Georges Dumézil, in Revue théologique de Louvain 7, 1976, pp. 476 ss.; E. B. LYLE, Dumézil’s three Fonctions and Indo-European Cosmic Structure, in Numen 22, 1982, pp. 25 ss. Per la bibliografia dei lavori del Dumézil (completa fino al 1960), vedi Hommages à G. Dumézil, Bruxelles 1960; fra le opere più recenti (a parte La religion romaine archaïque, cit. in n. 3, e Fêtes romaines d’été et d’automne cit. in n. 35) sono da ricordare: Mythe et épopée, I. L'idéologie des trois fonctions dans les épopées des peuples indo-européens, Paris 1968; Idées romaines, Paris 1969; Mythe et épopée, II. Types épiques indo- européens: un héros, un socier, un roi, Paris 1971; Mythe et épopée, III. Histoires romaines, Paris 1973; Mariages indo-européens, Paris 1979; vedi anche Discours de réception de M. Georges Dumézil à l’Académie Française et réponse de M. Claude Lévi-Strauss, Paris 1979.

 

[50] Fra i lavori di E. PERUZZI, oltre le fondamentali Origini di Roma (I. La famiglia, Firenze 1970; II. Le lettere, Bologna 1973), mette conto ricordare: L’iscrizione di Duenos, in La parola del passato 13, 1958, pp. 328 ss.; Un’antichissima sors con iscrizione latina, in La parola del passato 14, 1959, pp. 212 ss.; I Marsi con Roma, in Maia 13, 1961, pp. 165 ss.; Testi latini arcaici dei Marsi, in Maia 14, 1962, pp. 117 ss.; Sabinismi dell’età regia, in La parola del passato 22, 1967, pp. 29 ss.; Onomastica e società nella Roma delle origini, in Maia 21, 1969, pp. 126 ss., 244 ss.; Romolo e le lettere greche, in La parola del passato 24, 1969, pp. 161 ss.; Livio 1, 20, 5, in Rivista di filologia e d’istruzione classica 99, 1971, pp. 264 ss.; I Micenei sul Palatino, in La parola del passato 29, 1974, pp. 309 ss.; Aspetti culturali del Lazio primitivo, Firenze 1978; Myceneans in Early Rome, Roma 1980.

 

[51] Cfr. PARETI, Storia di Roma e del mondo romano, I, cit., pp. 675 ss.; DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, cit. in n. 3; Idées romaines, cit., pp. 10, 11 ss., 25; Fêtes romaines d’été et d’automne, cit., pp. 141 ss.; PERUZZI, Origini di Roma, Il, cit., pp. 155 ss., 175 ss.; ID., Livio 1, 20, 5, cit., pp. 264 ss.

 

[52] Per quanto riguarda i nuovi scavi, vi è un panorama completo in Civiltà del Lazio primitivo, Roma 1976; vedi anche, in una prospettiva più specifica, Lazio arcaico e mondo greco - La parola del passato 32, 1977 (I. L’area sacra di sant’Omobono; II. L’Esquilino e il Comizio; III. Castel di Decima; IV. Ficana e Lavinium; V. Il territorio laziale e Gravisca); cfr. inoltre P. G. GIEROW, The Iron Age Culture of Latium, I. Classification and Analysis (Lund 1966), II. Excavations and Finds, 1. The Alban Hills (Lund 1964). Importanti contributi alla conoscenza delle strutture sociale e politiche del Lazio arcaico sono stati dati dai lavori di P. DE FRANCISCI, Primordia civitatis,

[p. 37]

cit. supra in n. 35; ID., Variazioni su temi di preistoria romana, Roma 1974, pp. 35 ss.; A. BERNARDI, Dai populi Albenses ai Prisci Latini nel Lazio arcaico, in Athenaeum 42, 1964, pp. 233 ss.; C. AMPOLO, Su alcuni mutamenti sociali nel Lazio tra VIII e il V secolo a.C., in Dialoghi d’archeologia 4-5, 1970-71, pp. 37 ss.; G. COLONNA, Un aspetto oscuro del Lazio antico: le tombe del VI- V secolo a.C., in Lazio arcaico e mondo greco, cit., II, pp. 131 ss.

 

[53] Questa tesi già sostenuta, a suo tempo, da B. MODESTOW, Der Gebrauch der Schrift unter den römischen Königen, Berlin 1871, pp. 42 s., e da C. BARBAGALLO, Il problema delle origini di Roma da Vico a noi, cit., pp. 47 ss., ha trovato di recente nuove adesioni: cfr. E. PERUZZI, Origini di Roma, Il, cit., pp. 9 ss., 81 ss.; S. TONDO, Leges regiae e paricidas, cit., pp. 15, 19 ss.; ID., Profilo di storia costituzionale romana, I, Milano 1981, pp. 9 ss.

Un esempio particolarmente significativo (per quanto riguarda Roma) di questo tipo di iscrizioni è costituito dal cippo arcaico rinvenuto nel Foro: la cosiddetta iscrizione del lapis Niger, del cui carattere risalente, pur tra le differenti datazioni ed interpretazioni proposte, nessuno pare al momento dubitare. Non è questo il luogo per discutere delle varie letture ricostruttive proposte, fra le quali mi pare assai stimolante quella di G. DUMÉZIL, Sur l’inscription du Lapis Niger, in Revue des études latines 36, 1958, pp. 109 ss.; Remarques sur la stèle archaïque du Forum, in Hommages à Jean Bayet, Bruxelles 1964, pp. 172 ss.; La religion romaine archaïque, cit., pp. 99 ss.; A propos de l’inscription du Lapis Niger, in Latomus 39, 1970, pp. 1038 ss. Ma contra vedi R. E. A. PALMER, The King and the Comitium. A Study of Rome’s Oldest Public Document, Wiesbaden 1969; da ultimo, F. COARELLI, Il Comizio dalle origini alla fine della Repubblica: cronologia e topografia, in Lazio arcaico e mondo greco, cit., II, pp. 229 ss.

 

[54] Un esempio di utilizzazione delle formule giuridico-religiose per interpretare, al di fuori degli schemi polibiano e mommseniano, la “divisione dei poteri” nella res publica romana è quello proposto da P. CATALANO, La divisione del potere in Roma (a. proposito di Polibio e di Catone), in Studi Grosso, VI, Torino 1974, pp. 680 ss.; Populus Romanus Quirites, cit., pp. 97 ss. Significativi apprezzamenti del metodo del Catalano in C. NICOLET, Lexicographie politique et histoire romaine: problèmes de méthode et directions de recherches, in Atti del Convegno sulla lessicografia politica e giuridica nel campo delle scienze dell’antichità, Torino 1980, p. 29; cfr. ID., Notes complémentaires a Polybe, Histoires, livre VI, Paris 1977, pp. 149 s.

 

[55] G. DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, cit, pp. 104 ss. (cfr. trad. ital., cit., pp. 93 ss.).

 

[56] J. BAYET, Introduction, in Tite-Live, Histoire romain, livre I, Paris 1965, pp. XXXVIII s.

 

[57] Questo potrebbe spiegare la conservazione dei formalismo dell’antico diritto romano: sul quale vedi G. GROSSO, Problemi generali del diritto

[p. 38]

attraverso il diritto romano, 2a ediz., Torino 1967, pp. 130 ss.; invece, per la continuità delle istituzioni di “diritto pubblico”, e la coscienza che gli antichi avevano di essa: cfr. S. MAZZARINO, Vico, l’annalistica e il diritto, Napoli 1971, pp. 26 ss.

 

[58] Per quanto riguarda la tendenza conservatrice della tradizione religiosa romana, cfr., fra gli altri, J. BAYET, La religione romana. Storia politica e psicologica, cit., pp. 44 ss.; G. DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, cit., pp. 98 ss. (cfr. trad. ital., cit., pp. 87 ss.).

 

[59] Un caso esemplare di notizie del tutto disuguali dal punto di vista dell’attendibilità, pur essendo riportate nello stesso luogo, ci è dato da Cicerone, De re publ. 1, 63: Nam dictator ab eo appellatur quia dicitur. Sed in nostris libris vides eum, Laeli, magistrum populi appellari. Dal passo si ricavano due informazioni: la prima è attinente al significato del termine dictator (quia dicitur); l’altra riporta la denominazione solenne di questo magistrato (magister populi); la ragione del diverso valore di esse è da ricercare nel fatto che Cicerone attinge la prima dalla ricerca antiquaria del suo secolo, o poco precedente, mentre ricava la seconda da documenti ufficiali del collegio degli auguri. Cfr. F. SINI, A proposito del carattere religioso del “dictator” (note metodologiche sui documenti sacerdotali), in Studia et documenta historiae et iuris 42, 1976, p. 419.

 

[60] Vedi, in questo senso, le osservazioni di P. CATALANO, Populus Romanus Quirites, cit., pp. 56 ss.

 

[61] Tipico è il caso dell’assimilazione dei concetto di populus al concetto di Staat, e dell'interpretazione “statualista” del sistema giuridico-religioso romano, operate dal Mommsen: sul quale vedi P. CATALANO, Populus Romanus Quirites, cit., pp. 41 ss.

 

[62] Significativo notare al riguardo che già nel Handbuch der römischen Alterthümer di W. A. BECKER e J. MARQUARDT (Leipzig 1843 ss.) la Staatsverfassung veniva trattata a parte (e da autore diverso) dal Gottesdienst; la stessa separazione continua ad essere tenuta anche nel Handbuch der römischen Alterthümer di Th. MOMMSEN e J. MARQUARDT, dove il primo tratta dello Staatsrecht ed il secondo del Sakralwesen.

 

[63] Th. MOMMSEN, Römisches Staatsrecht, 3a ediz., 3 voll., Lcipzig 1887 (ripr. Basel-Stuttgart 1963).

 

[64] Sulla Staatsrechtslhre del Mommsen, vedi la recente critica di J. BLEICKEN, Lex publica. Gesetz und Recht in der römischen Republik, Berlin-New York 1975, pp. 16 ss.

 

[65] Così, ad esempio, per il MOMMSEN, Römischen Staatsrecht, II, 1, pp. 9 s., l’inauguratio di Numa sarebbe un’invenzione dell’annalistica, che avrebbe utilizzato come modello l’inauguratio del Flamen Dialis in età repubblicana.

 

[66] G. WISSOWA, Religion und Kultus der Römer, cit., pp. 5 s.; cfr. pp. 384 s., 490, 510, 524, 552 s.

 

[67] K. LATTE, Römische Religionsgeschichte, cit., p. 5: «Besondere Vorsicht ist bei Verwendung der in die annalistische Überlieferung eingelegten Dokumente geboten. Sie sind im wesentlichen von dem Schriftsteller selbst mit Benutzung sakraler und iuristischer Formeln, die ein archaisches Kolorit geben sollten, entworfen oder seiner unmittelbaren Vorlage entnommen»; nella stessa pagina n. 1, il Latte cita i casi a cui intende riferirsi: «Die Schilderung des Fetialenritus bei Liv. I 32, 6 bietet ein für die ältere Sprache unmögliches personifiziertes Fas als Subjektsbegriff und den gräzisierenden Vokativ populus Albanus, das Foedus Liv. I 24, 7 übernimmt die Formel tabulis cerave aus dem Testament (z. B. Gaius 2, 104), wo sie auf den Unterschied von Testament und Kodizill geht. Die Devotionsformel Liv. 8, 9, 6 hat ein einhellig überliefertes veniam fero, das der Bedeutung “Gnade”, “Gunstbezeugung”, die das Wort in der sakralen Sprache allein hat, zuwiderläuft. Die gleiche Formel ist die einzige Stelle, die Divi Novensiles, Di Indigetes (in dieser Reihenfolge!) nebeneinanderstellt; Livius verstand offenbar die neuen und die alteingesessenen Götter».

Un’impostazione così restrittiva nei confronti delle fonti letterarie è stata oggetto di fondate obiezioni e di numerose critiche: vedi A. BRELICH, Un libro dannoso: la Römische Religionsgeschichte di Kurt Latte, in Studi e materiali di storia delle religioni 32, 1961, pp. 329 ss.; G. DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, cit., pp. 104 s.; R. SCHILLING, La situation des études relatives à la religion romaine de la République (1950-1970), in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, I, 2, Berlin-New York 1972, p. 327.

 

[68] P. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, cit, p. 109.

 

[69] C. GIOFFREDI, Il frammento di Fabio Pittore in Gell. N. A., 10, 15, 1, e la tradizione antiquaria dei testi giuridico-sacrali, in Bullettino dell’Istituto di diritto romano 79, 1976, pp. 28 ss.

 

[70] Sulla distinzione tra acta e commentarii si veda H. PETER, Die geschichtliche Literatur über die römische Kaiserzeit bis Theodosius I und ihre Quellen, I, Leipzig 1897 (rist. anast. 1967), p. 205. Per quanto riguarda gli annales riassumono l’intera problematica C. DE LA BERGE, Annales Maximi, in Dictionnaire des antiquités grecques et romaines 1, 1, cit, pp. 272 ss.; C. CICHORIUS, Annales, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 1, 2, cit., coll. 2248 ss.

 

[71] Sullo stato della questione vedi l’articolo del BOUCHÉ-LECLERQ, Libri, in Dictionnaire des antiquités grecques et romaines 3, 2, Paris 1904, pp. 1235 ss., e quello più recente di R. F. ROSSI, Libri, in Dizionario epigrafico di antichità romane 4, Roma 1958, pp. 966 ss.

 

[72] Di recente alcuni studiosi, richiamandosi a quanto già sostenuto dal CANTARELLI, Origine degli Annales Maximi, cit., pp. 214 s., appaiono propensi a ritenere i commentarii piuttosto un testo di carattere storico: E. Gabba,

[p. 40]

Considerazioni sulla tradizione letteraria sulle origini della repubblica, cit., p. 150 e n. 3; E. PERUZZI, Origini di Roma, II, cit., p. 196.

 

[73] Le fonti in questione sono raccolte e discusse infra nel cap. III.

 

[74] Livio 10, 8, 2: Decemviros sacris faciundis, carminum Sibyllae ac fatorum populi huius interpretes. Per una discussione più approfondita sui libri Sibyllini vedi WISSOWA, Religion und Kultus der Römer, cit., pp. 536 ss. (ivi bibliogr. precedente); W. HOFFMANN, Wandel und Herkunft der sibyllinischen Bücher in Rom, Leipzig 1933; R. BLOCH, Les origines étrusques des Livres Sibyllins, in Mélanges A. Ernout, Paris 1940, pp. 21 ss.; J. GAGÉ, Apollon romain. Essai sur le culte d’Apollon et le devéloppement du “ritus Graecus” à Rome des origines à Auguste, cit., pp. 21 ss.; K. LATTE, Römische Religionsgeschichte, cit., pp. 160 s.; R. M. OGILVIE, A Commentary on Livy. Books 1-5, Oxford 1965, pp. 654 s.; G. RADKE, Die Götter altitaliens, Münster 1965, pp. 39 ss.

 

[75] Fra i libri e i commentari dei re (per le fonti vedi infra cap. III n. 2), meritano particolare attenzione quelli attribuiti a Numa Pompilio, che peraltro già nell’antichità furono al centro di vaste polemiche. È noto che nel 181 a.C. “in agro L. Petillii scribae sub Ianiculo, dum cultores (agri) altius moliuntur terram, duae lapidiae arcae, octonos ferme pedes longae, quaternos latae, inventae sunt, operculis plumbo devinctis. Litteris Latinis Graecisque utraque arca incripta erat, in altera Numan Pompilium Pomponis filium, regem Romanorum, sepultum esse, in altera libros Numae Pompilii inesse. Eas arcas cum ex amicorum sententia dominus aperuisset, quae titulum sepulti regis habuerat, inanis inventa, sine vestigio ullo corporis humani aut ullius rei, per tabem tot annorum omnibus adsumptis. In altera duo fasces candelis involuti septenos habuere libros, non integros modo sed recentissima specie. Septem Latini de iure pontificum erant, septem Graeci de disciplina sapientiae, quae illius aetatis esse potuit (Livio 40, 29, 3-7); il fatto divenne subito un caso politico ed i libri, la cui diffusione poteva turbare l’ordine, furono bruciati come apocrifi per iniziativa del pretore Q. Petillio. Al di là della constatazione della natura politica dell’azione del pretore, legata di certo alle motivazioni più generali che ispiravano la reazione catoniana di quegli anni, mette conto sottolineare come alcuni degli annalisti contemporanei, o di poco posteriori, non sembrano dubitare dell’autenticità di tali libri: le fonti sull’episodio sono state raccolte da G. GARBARINO, Roma e la filosofia greca dalle origini alla fine del II secolo a.C., Torino 1973, I, pp. 64 ss.

L’intera vicenda dei libri Numae è stata di recente ridiscussa da E. PERUZZI, Origini di Roma, II, cit., pp. 107 ss., il quale, attraverso un acuto confronto delle diverse versioni, arriva a dimostrare la sostanziale autenticità dei libri ritrovati nel 181 a.C.; più critica la posizione di M. J. PENA, La tumba y los libros de Numa, in Faventia 1, 1979, pp. 211 ss.

 

[76] A libri e commentarii di magistrati si riferiscono Varrone, De ling. Lat. 6, 9, 88; Livio 4, 7, 10; 4, 20, 8; 39, 52, 4; Servio Sulpicio Rufo in Gellio, Noct. Att. 2, 10, 1.

 

[p. 41]

[77] In generale sul diritto divino, vedi A. BERGER, Ius divinum, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 10, 1, Stuttgart 1917, coll. 1212 ss.; P. CATALANO, Per lo studio dello ius divinum, in Studi e materiali di storia delle religioni 33, 1962, pp. 130 ss.; per quanto riguarda il diritto sacro vedi l’importante contributo di P. VOCI, Diritto sacro romano in età arcaica, cit. supra in n. 23; limitatamente ad alcuni aspetti di esso R. DÜLL, Rechtsprobleme im Bereich des römischen Sakralrechts, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, I, 2, Berlin-New York 1972, pp. 283 ss.; cfr., anche, P. NOAILLES, Du droit sacré au droit civil. Cours de droit romain approfondi 1941-42, Paris 1949.

 

[78] Tali erano, ad esempio, le norme del ius augurium che interferivano nell’attività dei comizi: Cicerone, De domo 39; De div. 2, 42; Livio 48, 18, 16; Macrobio, Sat. 1, 16, 19.

 

[79] Livio 9, 46, 5. Sull’influenza dei pontefici nell’elaborazione del ius vedi, fra gli altri, M. KASER, Das altrömische Ius. Studien zur Rechtsvorstellung und Rechtsgeschichte der Römer, Göttingen 1949, pp. 345 ss.; I. VERNACCHIA, I pontefici nella storia del processo romano arcaico, in Ciceroniana 1, 1959, pp. 123 ss.; sugli aspetti “religiosi” del ius civile più antico sono particolarmente significativi i lavori di H. LÉVY-BRUHL, raccolti in Nouvelles études sur le trés ancien droit romain, Paris 1947.

 

[80] Per quanto riguarda gli indigitamenta è ancora utile il vecchio lavoro di I. A. AMBROSCH, Über die Religionsbücher der Römer, Bonn 1843; importante anche l’articolo di J. BAYET, Les “Feriae sementivae” et les indigitations dans le culte de Cérès et de Tellus, in Revue de l’histoire des religions 137, 1950, pp. 172 ss.; cfr. inoltre G. DUMÉZIL, La religion romaine archaïque, cit., pp. 50 ss. (trad. ital., cit., pp. 46 ss.).

 

[81] Cicerone, De re publ. 2, 54; Seneca, Epist. 108, 31.

 

[82] Cfr., in tal senso, i due decreta del collegio degli auguri riportati da Livio 4, 31, 4, e da Festo, v. maximus praetor, p. 152 L.

 

[83] Per le fonti su libri e commentarii sacerdotali, vedi infra cap. III.

 

[84] La posizione del Niebuhr, con la relativa bibliografia, è esposta nel cap. II, § 2.

 

[85] Le basi per la ricostruzione critica del materiale contenuto negli archivi sacerdotali erano state poste dalle numerose opere di I. A. AMBROSCH, Studien und Andeutungen im Gebiet des altrömischen Bodens und Cultus, Breslau 1839, in part. pp. 159 ss.; Observationum de sacris Romanorum libris particula prima, Vratislaviae 1840; Über die Religionsbücher der Römer, cit. in n. 80; Quaestionum pontificalium caput primum, Vratislaviae 1848; caput alterum, ibid. 1850. Ma vedi anche F. LÛBBERT, Commentationes pontificales, Berolini 1859.

 

[p. 42]

[86] A. BOUCHÉ-LECLERQ, Les pontifes de l’ancienne Rome, cit. supra in n. 44. Per quanto riguarda l’esposizione del punto di vista dello studioso francese rimando al § 3 del capitolo seguente.

 

[87] REGELL, De augurum publicorum libris, diss. Vratislaviae 1878, in part. pp. 31 ss. Per una più ampia discussione, vedi infra cap. Il § 3.

 

[88] L’opinione che rifiutava la distinzione tra libri e commentarii sacerdotali, oltre ad essere raccolta dal WISSOWA nel suo manuale sulla religione romana e dallo SCHANZ nel primo volume della Geschichte der römischen Literatur, fu anche in genere fatta propria dagli estensori degli articoli riguardanti collegi ed archivi sacerdotali, pubblicati, tra la fine dell’Ottocento ed i primi anni dei nostro secolo, nel Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, nella Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, e nel Dizionario epigrafico di antichità romane. Sulla questione vedi infra, cap. II, p. 55.

 

[89] Cfr., in questo senso, alcuni fra i più significativi lavori del genere: P. PREIBISCH, Fragmenta librorum pontificiorum, Tilsit 1878; R. PETER, Quaestionum pontificalium specimen, Argentorati 1886; Gu. ROWOLDT, Librorum pontificiorum Romanorum de caerimoniis sacrificiorum reliquiae, Halis Saxon. 1906.