ds_gen Università di Sassari/Seminario di Diritto Romano/Pubblicazioni-8

 

Sini-A-quibus-1Francesco Sini

 

A quibus iura civibus praescribebantur

Ricerche sui giuristi del III secolo a.C.

 

Torino, G. Giappichelli Editore, 1995

 

pp. 172 – ISBN  88-348-4144-3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Parte Seconda

Giuristi E FRAMMENTI

 

I

P. Sempronio Sofo

 

Sommario: 1. Politica e diritto nell’età di P. Sempronio Sofo. – 2. «Ubi duae contrariae leges sunt».

 

 

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1. – Politica e diritto nell’età di P. Sempronio Sofo

 

La profonda competenza giuridica (maxima scientia) di P. Sempronio Sofo risulta attestata in maniera esplicita, seppure concisa, nel noto frammento dell'Enchiridion di Pomponio D. 1, 2, 2, che lo include fra coloro «qui maximae dignationis apud populum Romanum fuerunt»[1]. Nello stesso frammento si riferisce anche dell'appellativo sophós attribuitogli dal popolo romano[2], precisando che nessuno,

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prima o dopo di lui, hoc nomine cognominatus est[3].

P. Sempronio Sofo fu console nel 304, cooptato nel collegio dei pontefici nel 300 a. C.[4], visse da protagonista le lotte politiche che a Roma, tra la fine del IV e l'inizio del III secolo, opposero la fazione fabiana a quella claudiana[5].

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Un eco di quelle aspre lotte, si coglie ancora nella narrazione liviana degli avvenimenti del 310 a.C.[6]. Al censore Appio Claudio[7], il quale rifiutava di uscire di carica, prorogando la sua censura ben oltre i diciotto mesi stabiliti dalla lex Aemilia[8], si opposero fieramente i tribuni della plebe. Fra i più decisi avversari di quest'abuso, le fonti presentano proprio Sempronio Sofo, che in qualità di tribuno[9] tentò di costringere Appio al rispetto della lex

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Aemilia[10], ma fallì per l'opposizione di alcuni altri tribuni[11].

I contorni costituzionali della vicenda non appaiono, invero, del tutto chiari; ma è per noi molto importante il riferimento di Livio ad un discorso del giurista, carico di forte senso del passato e di notevole valore giuridico[12]. Le argomentazioni svolte in tale discorso, lasciano intravvedere lo schema originario; forse leggibile nei più antichi quidam annales, citati dallo storico patavino a proposito della più fortunata azione del tribuno del 308, L. Furio: ebbe ragione delle resistenze di Appio Claudio, opponendo il veto alla sua candidatura al consolato, finché non depose la censura[13].

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Comunque, a Sempronio Sofo si doveva riconoscere particolare auctoritas nell'interpretatio iuris ancora prima della sua cooptazione nel collegio dei pontefici, avvenuta lo stesso anno della rogatio de sacerdotibus ex plebe creandis[14] presentata dai tribuni della plebe Q. e Gn. Ogulnio[15]; ciò spiegherebbe agevolmente, sia il ruolo di primo

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piano avuto dal giurista nella controversia claudiana, sia il fatto che gli antichi annales, da cui Livio attingeva, avessero conservato memoria della scientia[16] profusa nelle sue argomentazioni contro l'abuso del Censore.

 

 

2. – «Ubi duae contrariae leges sunt»

 

Leggiamo il frammento da esaminare:

 

Immo vero omnes sciverunt et ideo Aemiliae potius legi paruerunt quam illi antiquae, qua primum censores creati erant, quia hanc postremam iusserat populus et quia, ubi duae contrariae leges sunt, semper antiquae obrogat nova.

 

Livio 9, 34, 6-7: Itane tandem, Appi Claudi, cum centesimus iam annus sit ab Mam. Aemilio dictatore, tot censores fuerunt, nobilissimi fortissimique viri, nemo eorum duodecim tabulas legit? nemo id ius esse, quod postremo populus iussisset, sciit? Immo vero – nova.

 

Come si evince dal frammento, il giurista plebeo sottolineava con forza il principio che, nel caso di leggi contrastanti[17], l'interpretatio iuris doveva attenersi al

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disposto delle XII Tavole: semper antiquae obrogat nova[18]; in tal modo, inoltre, Sempronio Sofo attribuiva alla lettera della norma decemvirale quodcumque postremum populus iussisset, id ius ratumque esset[19], una stretta

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correlazione con la norma precedente e un valore del tutto opposto a quello invocato da Appio Claudio per contrastare l'efficacia della lex Aemilia[20].

Il Censore motivava, infatti, il rifiuto di uscire di carica sostenendo che i limiti alla durata della censura, stabiliti nella lex Aemilia, dovevano considerarsi vincolanti solo per quei magistrati, contro i quali la legge era stata votata: Negare Appius interrogationem tribuni magno opere ad causam pertinere suam; nam etsi tenuerit lex Aemilia eos censores, quorum in magistratu lata esset, quia post illa censores creatos eam legem populus iussisset quodque postremum iussisset, id ius ratumque esset, non tamen aut se aut eorum quemquam, qui post eam legem latam creati censores

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essent, teneri ea lege potuisse[21].

A suo avviso, la norma della citata lex Aemilia, proprio in virtù del precetto decemvirale – altrimenti interpretato da Sempronio –, sarebbe stata obliterata nelle successive elezioni dei censori; in quanto la rogazione del suffragium, che costituisce pur sempre postremum populi iussum, avveniva sulla base della lex istitutiva della censura[22]. Non mi sento, peraltro, di condividere la valutazione negativa di L. Perelli[23], il quale, muovendo dal passo di Livio qui discusso, rileva incertezze e imprecisioni, che spesso si presenterebbero nell'opera dello storico patavino, «quando si imbarca in questioni giuridiche». Sfugge, infatti, allo studioso la ratio dell'interpretazione appiana, che pure è ricavabile da un'attenta esegesi del testo.

Dal frammento di P. Sempronio Sofo, al di là della situazione contingente che vide prevalere l'opinione di Appio Claudio, si percepisce non solo una raffinata peritia del giurista, ma soprattutto la grande attenzione con cui

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anche il ceto dirigente plebeo seguiva l'evoluzione del diritto e l'interpretatio del codice decemvirale[24].

 

 



 

[1] All'analisi della maxima dignatio e delle sue forme nell'Enchiridion di Pomponio, ha dedicato un denso capitolo F. D'Ippolito, I giuristi e la città. Ricerche sulla giurisprudenza della repubblica, Napoli 1978, pp. 3 ss.; più specificamente, per quanto attiene alla maxima dignatio di Sempronio Sofo, vedi a p. 9.

 

[2] D. 1, 2, 2, 37 = Pomponio, Libro singulari enchiridii: Fuit post eos maximae scientiae Sempronius, quem populus Romanus "sophón'' appellavit, nec quisquam ante hunc aut post hunc hoc nomine cognominatus est. Sul significato di un simile cognomen appare stimolante l'interrogativo di F. Wieacker, Die römischen Juristen in der politischen Gesellschaft des zweiten vorchristlichen Jahrhunderts, in Sein und Werden im Recht. Festgabe für U. von Lübtow, Berlin 1970, p. 190: «Deutet sich in seinem ungewöhnlichen Cognomen Sophus die Aufgeschlossenheit des Fabius Pictor und der Ogulnier für die griechische Kultur an?»; nello stesso senso anche F. D'Ippolito, I giuristi e la città. Ricerche sulla giurisprudenza della repubblica, cit., p. 9: «“Sophós” fu detto Sempronio Sofo. Nessuno, prima o dopo di lui, ricevette questo appellativo. L'ulteriore specificazione è diretta a mettere in evidenza l'unicità della “forma”. Questo inusitato grado della maxima dignatio può voler dire qualcosa. Esso sta ad indicare, forse in contrapposizione all'appellativo sapiens attribuito a Lucio Acilio, un'apertura verso la cultura greca».

 

[3] Mette conto notare, in proposito, che l'affermazione di Pomponio non risulta del tutto esatta, poiché abbiamo notizia dalle fonti di un altro P. Sempronio Sofo: il figlio del giurista, console nel 268 e censore nel 252 a. C. (cfr. T.R.S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, I, New York 1951, pp. 199 s., 212). Ma forse, per spiegare la questione, può valere la  la seconda delle due ipotesi formulate da F. D'Ippolito, Giuristi e sapienti in Roma arcaica, Roma-Bari 1986, p. 98, «Pomponio dunque ignorava il console del 268 o insisteva sull'unicità di un cognomen attribuito al console del 304 in quanto giurista?».

 

[4] Livio 10, 9, 1-2; cfr. C. Bardt, Die Priester der vier grossen Collegien aus römisch-republikanischer Zeit, Berlin 1871, p. 9 nr. 12.; G. J. Szemler, Pontifex, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, Suppl. 15, Stuttgart 1978, col. 375.

 

[5] Cfr. F. Münzer, Sempronius (nr. 85), in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 2 A, Stuttgart 1923, coll. 1437 s.; T. R. S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, I, cit., p. 167.

Più in generale sulla figura del giurista, vedi per tutti: il vecchio lavoro di F. D. Sanio, Varroniana in den Schriften der römischen Juristen, Leipzig 1867, pp. 148 s.; l'ormai classica opera di W. Kunkel, Herkunft und soziale Stellung der römischen Juristen, Weimar 1952, pp. 5 s.; e il più recente manuale di F. Wieacker, Römische Rechtsgeschichte (Handbuch der Altertumswissenschaft, X. 3. 1. 1), München 1988, pp. 534 s.

Per quanto riguarda il ruolo politico di P. Sempronio Sofo, basterà vedere in particolar modo F. Cassola, I gruppi politici romani nel III secolo a.C., Trieste 1962 (rist. an. Roma 1968), pp. 149 ss.; e da ultimo, R. A. Bauman, Lawyers in Roman republican politics: a study of the Roman jurists in their political setting, 316-82 BC, München 1983, pp. 66 ss.

 

[6]  Livio 9, 33, 4-9, 34, 26. Sull'episodio, vedi da ultimo, brevemente, M. Bretone, Storia del diritto romano, Roma-Bari 1987, p. 83.

 

[7] Sulla censura di Appio, vedi E. Ferenczy, The Censorship of Appius Claudius Caecus, in Acta Antiqua Hungarica 15, 1967, pp. 27 ss. I rapporti politici del Censore sono stati ricostruiti, fra gli altri, da A. Garzetti, Appio Claudio Cieco nella storia politica del suo tempo, in Athenaeum , n. s., 1947, pp. 175 ss.; E. S. Staveley, The political aims of Appius Claudius Caecus, in Historia 8, 1959, pp. 410 ss.; F. Cassola, I gruppi politici romani nel III secolo a.C., cit., pp. 128 ss.; R. Werner, Der Beginn der römischen Republik. Historisch-chronologische Untersuchungen über die Anfangszeit der libera res publica, München-Wien 1963, pp. 6 ss.; R. A. Bauman, Lawyers in Roman republican politics, cit., pp. 22 ss. Per la sua opera giuridica, vedi invece T. Mayer-Maly, Roms älteste Juristenschrift, in Mnemosyon Bizoukides, Thessalonikê 1960, pp. 221 ss.; e da ultimo  F. D'Ippolito, Giuristi e sapienti in Roma arcaica, cit., pp. 9 ss.

 

[8] Livio 9, 33, 4: Ap. Claudius censor circumactis decem et octo mensibus, quod Aemilia lege finitum censurae spatium temporis erat, cum C. Plautius, collega eius, magistratu se abdicasset, nulla vi conpelli, ut abdicaret, potuit. Sulla lex Aemilia de censura minuenda vedi Livio 4, 24, 5; Zonara 7, 19, 7; cfr. G. Rotondi, Leges publicae populi Romani, rist. an. Hildesheim 1962, p. 211.

 

[9] Sul tribunato di Sempronio Sofo, vedi G. Niccolini, I fasti dei tribuni della plebe, Milano 1934, pp. 73 s.

 

[10] Livio 9, 33, 5-7: P. Sempronius erat tribunus plebis, qui finiendae censurae intra legitimum tempus actionem susceperat, non popularem magis quam iustam nec in vulgus quam optimo cuique gratiorem. Is cum identidem legem Aemiliam recitaret auctoremque eius Mam. Aemilium dictatorem laudibus ferret, qui quinquennalem ante censuram et longiquitate potestatem dominantem intra sex mensum et anni coegisset spatium, "Dic agendum'' inquit, "Appi Claudi, quidnam facturus fueris, si eo tempore quo C. Furius et M. Geganius censores fuerunt censor fuisses''. Il lungo discorso di Sempronio occupa, nella restante parte, quasi per intero il cap. 34: Livio 9, 34, 1-25.

 

[11] Livio 9, 34, 26: Haec taliaque cum dixisset, prendi censorem et in vincula duci iussit. Adprobantibus sex tribunis actionem collegae, tres appellanti Appio auxilio fuerunt; summaque invidia omnium ordinum solus censuram gessit.

 

[12] Piuttosto riduttiva la valutazione di F. Wieacker, Die römischen Juristen in der politischen Gesellschaft des zweiten vorchristlichen Jahrhunderts, cit., p. 190 n. 43: «Die Rede bei Livius 9, 38, 8-34 ist leider eine Erdichtung, im Sinne einer Überlieferung, die Sophus zur fabischen Partei rechnete». Non così F. D. Sanio, Varroniana, cit., p. 148, il quale sottolineava «seine prudentia in iure publico» proprio sulla base del racconto liviano.

 

[13] Livio 9, 42, 2-3: ita senatus in insequentem annum, quo Ap. Claudius L. Volumnius consules fuerunt, prorogavit maxime Appio adversante imperium. Appium Censorem petisse consulatum comitiaque eius ab L. Furio tribuno plebis interpellata, donec se censura abdicarit, in quibusdam annalibus invenio. Sul tribuno L. Furio, vedi G. Niccolini, I fasti dei tribuni della plebe, cit., p. 74.

 

[14] Le tormentate vicende che portarono alla promulgazione della lex Ogulnia de sacerdotibus ex plebe creandis, sono oggetto di un dettagliato resoconto liviano: cfr. Livio 10, 6, 1-6 (M. Valerio et Q. Apuleio consulibus satis pacatae foris res fuere; Etruscum adversae belli res et indutiae quietum tenebant; Samnitem multorum annorum cladibus domitum hauddum foederis novi paenitebat; Romae quoque plebem quietam et exoneratam deducta in colonias multitudo praestabat. Tamen, ne undique tranquillae res essent, certamen iniectum inter primores civitatis, patricios plebeiosque, ab tribunis plebis Q. et Cn. Ogulniis, qui undique criminandorum patrum apud plebem occasionibus quaesitis, postquam alia frustra temptata erant, eam actionem susciperunt qua non infimam plebem accederent, sed ipsa capita plebis, consulares triumphalesque plebeios, quorum honoribus nihil praeter sacerdotia, quae nondum promiscua erant, deesset. Rogationem ergo promulgarunt ut, cum quattuor augures, quattuor pontifices ea tempestate essent placeretque augeri sacerdotum numerum, quattuor pontifices, quinque augures, de plebe omnes, adlegerentur); cfr. anche gli interi capp. 7 e 8 dello stesso libro; infine 10, 9, 1-2 (Vocare tribus extemplo populus iubebat, apparebatque accipi legem; ille tamen dies intercessione est sublatus. Postero die deterritis tribunis ingenti consensu accepta est. Pontifices creantur suasor legis P. Decius Mus, P. Sempronius Sophus, C. Marcius Rutilus; M. Livius Denter; quinque augures item de plebe, C. Genucius, P. Ailius Paetus, M. Minucius Faesus, C. Marcius, T. Publilius. Ita octo pontificum, novem augurum numerus factus).

Sulla lex vedi inoltre G. Rotondi, Leges  publicae populi Romani, cit., p. 236.

 

[15] «L'opera degli Ogulnii» è stata oggetto, recentemente, di approfondita rimeditazione da parte di F. D'Ippolito, Giuristi e sapienti in Roma arcaica, cit., pp. 71 ss.

 

[16] Alla scientia di P. Sempronio Sofo, individuata come modello di un «nuovo sapere pontificale», dedica alcune pagine assai stimolanti F. D'Ippolito, Giuristi e sapienti in Roma arcaica, cit., pp. 88 ss. Sulla sua attività relativa a ius sacrum e ius privatum, mi pare da condividere la notazione di F. P. Bremer, Iurisprudentiae Antehadrianae quae supersunt, I, Lipsiae 1896, p. 7: «Fortasse non solum responsa dedit sed etiam novas actiones vel formulas composuit».

 

[17] Per una visione più in generale delle problematiche relative al contrasto e all'abrogazione delle leggi in Roma repubblicana, vedi ora, per tutti, J. Bleicken, Lex pubblica. Gesetze und Recht in der römischen Republik, Berlin-New York 1975, pp. 231 s., 243; M. Ducos, Les Romains et la loi. Recherches sur les rapports de la philosophie grecque et la tradition romaine à la fin de la République, Paris 1984, pp. 142 ss.

 

[18] Nega che possa risalire alle XII Tavole la norma riferita da Livio riguardante l'abrogazione per incompatibilità fra la legge precedente e quella successiva, A. Biscardi, Aperçu historique du problème de l’“abrogatio legis”, in Revue internationale des droits de l'antiquité 18, 3a ser., 1971, p. 461: «Mais l'attibution de ce précepte constitutionnel aux décemvirs n'est pas digne de foi»; sostenendo peraltro che le notizie liviane sono desunte dagli autori della seconda annalistica (p. 465).

Decisamente critico verso le tesi del Biscardi si mostra F. Serrao, Classi, partiti e legge nella repubblica romana, Pisa 1974, pp. 32 ss. n. 85: «Il rilevato principio della sovranità popolare, da cui l'abrogazione esplicita o implicita della legge precedente da parte della successiva deriva, fu uno dei cardini dell'ideologia plebea prima e dei succesivi movimenti democratici poi» (p. 34 n.).

 

[19] La norma decemvirale concernente lo iussum populi, citata da Livio 7, 17, 12 (In secundo interregno orta contentio est, quod duo patricii consules creabantur, intercedentibusque tribunis interrex Fabius aiebat in duodecim tabulis legem esse, ut, quodcumque postremum populus iussisset, id ius ratumque esset; iussum populi et suffragia esse.) e attribuita in genere dagli editori moderni alla Tabula XII (cfr. ad esempio Fontes Iuris Romani Antiqui, edidit C. G. Bruns, ed. sexta, cura Th. Mommseni et O. Gradenwitz, Friburgi in Brisgavia et Lipsiae 1893, p. 39 fragm. 5; Fontes Iuris Romani Antejustiniani. Pars prima, Leges, ed. altera, a cura di S. Riccobono, Florentiae 1941, p. 73 fragm. 5) «segna la raggiunta capacità normativa del popolo»: così M. Bretone, Tecniche e ideologie dei giuristi romani, 2a ed., Napoli 1982, p. 5; fra la dottrina precedente, P. De Francisci, Per la storia dei comitia centuriata, in Studi Arangio-Ruiz, I, Napoli 1953, pp. 25 ss.; ora vedi anche F. D'Ippolito, Le XII Tavole: il testo e la politica, in AA.VV., Storia di Roma, 1. Roma in Italia, dir. di A. Momigliano - A. Schiavone, Torino 1988, p. 407; e L. Amirante, Una storia giuridica di Roma, Napoli 1990, p. 137, il quale, considerando probabile l'elezione dei decemviri da parte del comitiatus maximus, non ritiene inverosimile «che questa stessa assemblea abbia formulato il principio ""che dovesse tenersi per fermo, ciò che il popolo avesse ordinato da ultimo''». In altro senso, A. Guarino, Giusromanistica elementare, Napoli 1989, pp. 231 ss., il quale si mostra scettico sulla possibilità che «le XII tabulae abbiano statuito così drasticamente, senza alcun riferimento anche alla indispensabile (ed influentissima) auctoritas patrum» (p. 233).

 

[20] Del resto, per tutta l'età repubblicana e oltre, il principio costituzionale «ut, quod postremum populus iussisset, id ius ratumque esset», persiste strettamente legato all'abrogazione della legge precedente: cfr. Cicerone, Ad Att. 3, 23, 2; Livio 9, 34; e i più tardi Tituli ex corp. Ulp. 3 (Lex aut rogatur, id est fertur, aut abrogatur, id est prior lex tollitur, aut derogatur, id est pars primae <legis> tollitur, aut subrogatur, id est adicitur aliquid primae legi, aut obrogatur, id est mutatur aliquid ex prima lege; e D. 50, 16, 102 = Modestino, Libro septimo regularum: Derogatur legi aut abrogatur. Derogatur legi, cum pars detrahitur: abrogatur legi, cum prorsus tollitur.

 

[21] Livio 9, 33, 8-9. Puntuale commento al testo in W. Weissenborn - H. J. Müller, Titi Livi, Ab urbe condita libri, III, 2 (Buch IX und X), 7a ed., Zürich-Berlin 1965, p. 76.

 

[22] Sul problema della durata massima delle funzioni dei censori, vedi per tutti Th. Mommsen, Römisches Staatsrecht, II, 1, 3a ed., Leipzig 1887 (rist. Graz 1952), pp. 348 ss. (= Droit public romain, IV, Paris 1894, rist. 1984, p. 21 ss.).

 

[23] L. Perelli, Storie (Libri VI-X) di Tito Livio, Torino 1979, p. 508 n. 4: «L'argomentazione non viene espressa in termini giuridicamente molto chiari, come spesso accade a Livio quando si imbarca in questioni giuridiche; comunque Appio sostiene che la limitazione della durata della censura valeva solo per quei censori in funzione dei quali era stata votata la legge, mentre i censori successivi erano stati nominati in base alla legge istitutiva della censura. L'argomento che ciò che il popolo ha votato per ultimo ha valore di legge va a danno di Appio, e non si vede a quale interpretazione egli l'abbia piegato».

 

[24] Che nel complesso il testo delle XII Tavole costituisca un indubbio successo della plebe, è opinione ormai comunemente accettata dalla dottrina più recente: cfr. per tutti F. De Martino, Storia della costituzione romana, I, 2a ed., Napoli 1972, pp. 307 ss. Più in generale, sul crescente ruolo politico della plebe nell'età decemvirale, vedi J.-C. Richard, Les origines de la plèbe romaine. Essai sur la formation du dualisme patricio-plébéien, Roma 1978, pp. 593 ss.

Per F. Serrao, Classi partiti e legge nella repubblica romana, cit., p. 32, si collegava indirettamente all'ideologia della plebe anche la legge decemvirale di cui si discute nel testo: «Ove si tenga presente che la plebe aveva già rivendicato il suo potere di autonormazione oltre quaranta anni prima, con le leges sacratae del 494 a.C.; che tutta l'opera legislativa decemvirale si svolgeva sotto la pressione della plebe; che forse lo stesso principio dell'onnipotenza popolare nella creazione del diritto fu redatto e codificato dal secondo con partecipazione plebea, si avranno linee sicure per disegnare dialetticamente il ricco quadro storico in cui l'avvenimento si pone e per ravvisare le sue radici ideologiche nella concezione politica plebea e la sua affermazione ad opera della creatività rivoluzionaria della plebe».