ds_gen Università di Sassari/Seminario di Diritto Romano/Pubblicazioni-8

 

Sini-A-quibus-1Francesco Sini

 

A quibus iura civibus praescribebantur

Ricerche sui giuristi del III secolo a.C.

 

Torino, G. Giappichelli Editore, 1995

 

pp. 172 – ISBN  88-348-4144-3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Parte Seconda

Giuristi E FRAMMENTI

 

V

Sesto eLio Peto cato

 

Sommario: 1. L’opera dei giuristi nella «civitas che cresce». – 2. I frammenti. – 3. L’interpretatio di Sesto Elio: in tema di penus legata e di responsabilità contrattuale. – 4. Segue: heres e furtum antea factum. – 5. Segue: il significato di lessum. – 6. Conclusione.

 

 

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1. – L’opera dei giuristi nella «civitas che cresce»

 

«Nelle nostre fonti la giurisprudenza romana emerge, a livello delle individualità dei prudentes, proprio con Sesto Elio Peto Cato, nel momento in cui, fra l'altro, si avvertiva il deciso prevalere della giurisprudenza laica su quella pontificale». Queste parole, tratte da un saggio di M. Talamanca sui rapporti tra costruzione giuridica e strutture sociali[1], sintetizzano con indubbia efficacia il ruolo del giurista e la centralità della sua opera nella storia del pensiero giuridico romano dell'età repubblicana[2].

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Sesto Elio apparteneva ad una ragguardevole famiglia plebea, nobilitata dall'esercizio di magistrature e sacerdozi[3]; fu perciò quasi naturale per lui, e per il fratello Publio[4], intraprendere la carriera politica. Edile curule nel 200 a.C.[5], console nel 198 a.C.[6], censore nel

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194 a.C.[7], il giurista percorse i diversi gradi del cursus honorum[8] grazie ai suoi profondi legami col gruppo di Scipione l'Africano, della cui politica le fonti ce lo mostrano sempre interprete fedele. Valga, come esempio, l'introduzione dei posti di teatro riservati ai senatori, attestataci da Livio a proposito dei ludi Romani celebrati nel 194 a.C., anno della censura di Sesto Elio[9]: si trattava di una decisione assai controversa, attuata dagli edili curuli su ordine dei censori[10], ma la cui ispirazione le fonti antiche attribuivano proprio a Scipione, in quel tempo al suo secondo consolato[11].

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Per quanto riguarda l’attività del giurista, merita attenta considerazione la testimonianza del liber singularis encbiridii di Sesto Pomponio; nella riflessione storica del giurista classico, finalizzata – com'è noto – a ipsius iuris originem atque processum demonstrare[12], l'opera di Sesto Elio Peto si presentava come evento di straordinaria rilevanza per lo sviluppo del diritto, al punto da essere citata in due diversi luoghi del lungo frammento D. 1, 2, 2.

Dal testo pomponiano apprendiamo, anzitutto, che il giurista ebbe un ruolo particolarmente significativo nella elaborazione di nuovi genera agendi, con una produzione letteraria destinata alla pubblicazione: Augescente civitate quia deerant quaedam genera agendi [...] Sextus Aelius alias actiones composuit et librum populo dedit, qui appellatur ius Aelianum[13]; mentre più avanti Pomponio sembra precisare

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meglio la struttura di tale “libro”: Sextum Aelium etiam Ennius laudavit et exstat illius liber qui inscribitur tripertita, qui liber veluti cunabula iuris continet: tripertita autem dicitur, quoniam lege duodecim tabularum praeposita iungitur interpretatio deinde subtexitur legis actio[14].

 

 

2. – I frammenti

 

Leggiamo, ora, i frammenti superstiti. Con l'avvertenza che nella numerazione di essi ho preferito attenermi alla disposizione del Bremer[15], nonostante l'inadeguatezza ormai riconosciuta delle moderne ricostruzioni del testo decemvirale[16].

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1

 

Cato Aelio placuisse, non quae esui et potui forent, sed tus quoque et cereos in penu esse, quod esset eius ferme rei causa comparatum.

 

Gellio, Noct. Att. 4, 1, 20: Praeterea de penu adscribendum hoc etiam putavi: Servium Sulpicium in reprehensis Scaevolae capitibus scripsisse Cato Aelio – comparatum.

BREMER, Iurisprudentiae Antehadrianae, I, p. 15 fragm. 1a; HUSCHKE - SECKEL - KÜBLER, Iurisprudentiae Anteiustinianae, I, p. 1 fragm. 1.

 

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2

 

Sextus autem [C]ac[ci]lius etiam tus et cereos in domesticum usum paratos contineri legato scribit.

 

D. 33, 9, 3, 9 = Ulpiano, Libro vicesimo secundo ad Sabinum: Legna et carbones ceteraque, per quae penus conficeretur, an penori legato contineantur, quaeritur. Et Quintus Mucius et Ofilius negaverunt: non magis quam molae, inquiunt, continentur. Idem et tus et ceras contineri negaverunt. Sed Rutilius et legna et carbones, quae non vendendi causa parata sunt, contineri ait. Sextus - scribit.

LENEL, Palingenesia iuris civilis, I, col. 2 fragm. 2.

 

3

 

Si per emptorem steterit, quo minus ei mancipium traderetur, pro cibariis per arbitrium indemnitatem posse servari Sextus Aelius, Drusus dixerunt.

 

D. 19, 1, 38, 1 = Celso, Libro octavo digestorum: Si per emptorem – dixerunt, quorum et mihi iustissima videtur esse sententia.

LENEL, Palingenesia iuris civilis, I, col. 2 fragm. 1; BREMER, Iurisprudentiae Antehadrianae, p. 15 fragm. 2.

 

4

 

Inluseras heri inter scyphos, quod dixeram controversiam esse, possetne heres, quod furtum antea factum esset, furti recte agere. Itaque etsi domum bene potus seroque redieram, tamen id caput, ubi haec controversia est, notavi et descriptum tibi misi, ut scires id, quod tu neminem

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sensisse dicebas, Sex. Aelium, M'. Manilium, M. Brutum sensisse.

 

Cicerone, Ad fam. 7, 22: Cicero Trebatio suo. lnluseras – sensisse. Ego tamen Scaevolae et Testae adsentior.

LENEL, Palingenesia iuris civilis, I, col. 2 fragm. 3; BREMER, Iurisprudentiae Antehadrianae, I, p. 16 fragm. 3; HUSCHKE - SECKEL - KÜBLER, Iurisprudentiae Anteiustinianae, I, p. 1 fragm. 2.

 

5

Mulieres genas ne radunto neve lessum funeris ergo habento. Hoc veteres interpretes Sex. Aelius, L. Acilius non satis se intellegere dixerunt, sed suspicari vestimenti aliquod genus funebris.

 

Cicerone, De leg. 2, 59: Extenuato igitur sumptu tribus reciniis et tunicula purpurea et decem tibicinibus tollit etiam lamentationem: Mulieres – funebris, L. Aelius lessum quasi lugubrem eiulationem, ut vox ipso significat; quod eo magis iudico verum esse, quia lex Solonis id ipsum vetat.

LENEL, Palingenesia iuris civilis, I, col. 3 fragm. 4; BREMER, Iurisprudentiae Antehadrianae, I, p. 16 fragm. 4; FUNAIOLI, Grammaticae Romane fragmenta, I, p. 15; HUSCHKE – SECKEL - KÜBLER, Iurisprudentiae Anteiustinianae, I, p. 1 fragm. 3.

 

 

 

3. – L’interpretatio di Sesto Elio: in tema di penus legata e di responsabilità contrattuale

 

Questi miseri testi sono le uniche testimonianze a noi pervenute dell'opera di Sesto Elio Peto. Dai testi si può appena intravvedere la complessità degli interessi e l'acume

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della dottrina di un giurista che Cicerone, certo con più cognizione di causa, non esitava a definire: iuris civilis omnium peritissimus[17].

I primi due frammenti[18] riportano l'opinione di Sesto Elio Peto sul contenuto del legato di penus[19], nel senso che l'antico giurista includeva fra gli oggetti di tale legato anche cose non commestibili, come tus et cereos. L'importanza dei passi non è sfuggita ad A. Ormanni, per il quale le «scarne, ma non meno sicure, testimonianze sulle vedute di Sesto Elio [...] confermano, anche sul

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terreno dell'esperienza giuridica, lo svolgimento che abbiamo riscontrato nelle valutazioni sociali dell'età repubblicana: fra il terzo secolo e i primi anni del primo, dunque, la penus conserva ancora certe attribuzioni di carattere cultuale»[20].

Nel corso dell'età repubblicana, quando al più antico contributo di Sesto Elio venne a contrapporsi la diversa opinione di Q. Mucio Scevola[21], si sviluppò un serrato

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dibattito che vide interessati, a vario titolo, importanti giuristi quali P. Rutilio Rufo e Aulo Ofilio, nonché Servio Sulpicio Rufo, aspro critico di Scevola[22].

Forse si deve proprio all'autorità di Servio, se nella giurisprudenza classica finì per prevalere la soluzione eliana[23] (non quae esui et potui forent, sed tus quoque et

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cereos in penu esse), di cui possiamo leggere la formulazione conclusiva, accettata in maniera pressoché unanime dai giuristi posteriori, nel iuris civilis secundo di Masurio Sabino[24].

Il terzo frammento di Sesto Elio, un brano del

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giurista Celso dal suo libro octavo digestorum, ci presenta uno straordinario «parere in materia di compravendita»[25], a cui aderiva anche Druso. In caso di compravendita di uno schiavo – sentenziava l'antico giurista – quel compratore che, per sua colpa, non avesse consentito la consegna dell'uomo da parte del venditore, poteva essere condannato, per arbitrium[26], al pagamento di un'indennità pro cibariis a favore di quest'ultimo[27]. Ma il valore di questo testo ha una portata più generale rispetto al caso concreto ivi discusso: la sententia di Sesto Elio costituisce, infatti, una prova sicura per datare i contratti consensuali: «Quale sia stata l'origine e la tutela primitiva di ciascuno di essi – scrive M. Talamanca – è comunque sicuro che il loro apparire sulla scena della prassi negoziale fra cives va posto tra la fine del III a.C. (ne fa fede la sententia di Sesto Elio Peto Cato ricordata, con l’omologo parere di Druso, in Cels. 8 dig. D. 19. 1. 38. 1) e la seconda metà del secolo successivo»[28].

 

 

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4. – Segue: heres e furtum antea factum

 

Veniamo al quarto frammento, una lettera di Cicerone del 44 a.C., indirizzata al suo amico Trebazio Testa[29].

Apprendiamo dalla lettera che, nel corso di una conversazione quasi conviviale, il giurista non solo aveva mostrato di ignorare quanto affermava invece l'oratore: controversiam esse, possetne heres, quod furtum antea factum esset, furti recte agere; ma sul punto lo aveva anche preso in giro bonariamente[30]. Colto di sorpresa dalla decisa

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reazione del giurista, Cicerone non seppe controbattere immediatamente alle obiezioni di Trebazio; pertanto, appena tornato a casa, cercò l'opera da cui aveva tratto l'informazione: quasi certamente i libri iuris civilis di Quinto Mucio Scevola; ne trascrisse il capitolo relativo alla controversia e lo inviò a Trebazio insieme alla lettera[31].

La questione giuridica, che si prospetta nella lettera ciceroniana, presenta non pochi elementi di incertezza, né appaiono del tutto chiari i termini della controversia[32]:

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se da una parte non sussistono dubbi sull'oggetto, il quesito se l'erede potesse promuovere l'actio furti per un furto antea factum[33], restano invece da comprendere le ragioni del contrasto che opponeva Quinto Mucio e Trebazio a Sesto Elio, Manlio e Bruto. Tuttavia, è abbastanza probabile che Scevola e Testa sostenessero già, nella sostanza, il principio poi affermatosi nella giurisprudenza posteriore; cioè l'ammissione della trasferibilità dell'azione penale all'erede, in presenza di un accertato danno patrimoniale[34].

Per individuare la fattispecie, la dottrina ha discusso in particolare sul valore dell'espressione antea factum: se debba intendersi furto commesso prima della morte del de cuius[35], oppure dopo la morte del de cuius, ma prima

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dell'adizione ereditaria[36]. Quale che sia la soluzione adottata, non influisce comunque sulla ricostruzione della dottrina di Sesto Elio e della sua età in materia di furto: è quasi certo, infatti, che il giurista sostenesse l'intrasmissibilità attiva e passiva dell'actio furti[37]; da qui il contrasto con la dottrina di Quinto Mucio e Trebazio Testa.

 

 

5. – Segue: il significato di lessum

 

Il quinto frammento di Sesto Elio può dividersi in due parti. La prima contiene l'antico testo di una norma

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decemvirale in materia funeraria, «che gli editori pongono concordemente nella decima tavola»[38], espressa, come le altre aventi lo stesso oggetto, in forma di divieto: alle donne, durante i funerali, era vietato sia graffiarsi vistosamente le guance, sia lessum habere[39].

La seconda parte del frammento offre, invece, un saggio di interpretatio eliana, dove l'analisi linguistica del documento arcaico non si risolve in pura erudizione, ma persegue lo scopo di rendere anzitutto comprensibile il dettato decemvirale, «di chiarire i nuclei più lontani (e inattuali) dell'antica legge»[40]. Questo spiega l'interesse

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di Sesto Elio a interpretare la parola lessum; la cui «inattualità», tuttavia, non fu possibile superare, se il giurista finì per ammettere dubbi e incertezze sul significato proposto[41].

Un'ultima cosa resta ancora da dire: né l'analisi testuale del frammento, né le difficoltà interpretative di Sesto Elio paiono, di per sé, sufficienti a sostenere – come pure qualcuno ha fatto di recente[42] – che, per quel lungo arco di tempo che separa la compilazione decemvirale dai primi anni del II secolo a.C., non vi sarebbe stata

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«alcuna elaborazione scientifica del collegio (pontificale) sul testo delle XII Tavole», anzi la giurisprudenza pontificale avrebbe operato «in modo peculiare, probabilmente disancorandosi dal dato normativo decemvirale e non proponendone alcun commento organico»[43].

 

 

6. – Conclusione

 

Non rientra nella prospettiva del presente lavoro formulare delle ipotesi circa l’esatta identificazione delle opere da cui provengono gli sparuti frammenti del corpus eliano. Non si affronterà quindi, in questa sede, la questione se lo ius Aelianum e i tripertita debbano essere considerati semplicemente differenti denominazioni della stessa opera di Sesto Elio, come sostiene oggi la maggior parte della dottrina[44]; oppure se non si tratti, forse, di opere

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distinte dello stesso giurista[45]; o, infine, se non siano piuttosto due opere di autori diversi[46].

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Di certo, può invece concludersi che l'attività del giurista si esplicava a tutto campo sulle XII Tavole, «nel senso di una ricerca interpretativa sulle dodici tavole»[47], per indagare, e riflettere, attraverso l'interpretatio iuris sulla pluralità degli «insiemi normativi»[48] che, nella augescens civitas del suo tempo, facevano capo al popolo romano[49]. Non è dunque azzardato affermare, che per Sesto Elio Peto le XII Tavole furono la principale fonte del suo sapere giuridico e, al tempo stesso, l'oggetto quasi esclusivo della sua indagine giuridica[50].

Doveva valere anche per lui quanto affermava Cicerone, qualche secolo più tardi: essere, cioè, un unico

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XII tabularum libellus di gran lunga superiore per utilità e prestigio a tutta la sapienza contenuta nelle bibliothecae omnium philosophorum [51].

 

 



 

[1] M. TALAMANCA, Costruzione giuridica e strutture sociali fino a Quinto Mucio, in A. GIARDINA - A. SCHIAVONE (a cura di), Società romana e produzione schiavistica, III. Modelli etici, diritto e trasformazioni sociali, Roma-Bari 1981, p. 15.

 

[2] Sussistono pochi dubbi sul fatto che l'opera di Sesto Elio abbia costituito un «Wendepunkt in der Geschichte des römischen Rechts» (la frase è di M. SCHANZ, Geschichte der römischen Literatur, I, zweite Aufl., München 1898, p. 146 = vierte Aufl., 1927, p. 236): cfr., per tutti, F. D. SANIO, Varroniana in den Schriften der römischen Juristen, Leipzig 1867, pp. 166 ss.; P. JÖRS, Römische Rechtswissenschaft zur Zeit der Republik, I. Bis auf die Catonen, Berlin 1888, pp. 99 ss.; P. KRÜGER, Geschichte der Quellen und Litteratur des römischen Rechts, Leipzig 1888, pp. 54 s. (= Histoire des sources du droit romain, trad. franc. di M. Brissaud, Paris 1894, pp. 71 ss.); L. WENGER, Die Quellen des römischen Rechts, Wien 1953, p. 480; F. SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana, trad. it. di G. Nocera, Firenze 1968, p. 69; A. WATSON, Law making in the Later Roman Republic, Oxford 1974, pp. 135 ss.; F. D'IPPOLITO, I giuristi e la città. Ricerche sulla giurisprudenza romana della repubblica, Napoli 1978 (ma 1979), pp. 67 ss.; R. A. BAUMAN, Lawyers in Roman republican politics: a study of the Roman jurists in their political setting, 316-82 BC, München 1983, pp. 129 ss.; F. WIEACKER, Römische Rechtsgeschichte, I, München 1988, pp. 535 ss.; A. SCHIAVONE, Pensiero giuridico e razionalità aristocratica, in AA.VV., Storia di Roma, 2 [L'impero mediterraneo]. I [La repubblica imperiale], direz. di A. S., Torino 1990, pp. 421 s.

 

[3] Il padre del giurista, Q. Elio Peto, morto a Canne nel 216 a.C. (cfr. Livio 23, 21, 7), aveva concorso alle elezioni consolari del 217 (cfr. Livio 22, 35, 1-2; Valerio Massimo 5, 6, 4) ed era stato componente del collegio dei pontefici: sul pontificato di Q. Elio, vedi C. BARDT, Die Priester der vier grossen Collegien in römisch-republikanischer Zeit, Berlin 1871, p. 9 nr. 23; E. KLEBS, Aelius, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 1, 1, Stuttgart 1893, col. 527; T.R.S. BROUGHTON, The Magistrates of the Roman Republic, I, New York 1951, p. 252; G. J. SZEMLER, Pontifex, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, Suppl. 15, Stuttgart 1978, col. 377.

 

[4] Per una esauriente analisi sulla figura di Publio Elio Peto, con particolare riferimento alla carriera e al suo ruolo politico, vedi per tutti R A. BAUMAN, Lawyers in Roman republican politics, cit., pp. 110 ss.

Sul carattere filoscipionico della condotta politica di Publio Elio, vedi anche A. J. TOYNBEE, L'eredità di Annibale, trad. it., II, Torino 1983, pp. 237 s.

 

[5] Cfr. Livio 31, 50, 1-2: Annona quoque eo anno pervilis fuit; frumenti vim magnam ex Africa advectam aediles curules M. Claudius Marcellus et Sex. Aelius Paetus binis aeris in modios populo diviserunt. Et ludos Romanos magno apparatu fecerunt; diem unum instaurarunt; signa aenea quinque ex multaticio argento in aerario posuerunt.

 

[6] Livio 32, 7, 12: In auctoritate patrum fuere tribuni. Creati consules Sex. Aelius Paetus et T. Quinctius Flamininus.

 

[7] Livio 34, 44, 4: Censorum inde comitia sunt habita. Creati censores Sex. Aelius Paetus et C. Cornelius Cethegus. Principem senatus P. Scipionem consulem, quem et priores censores legerant, legerunt. Tres omnino senatores, neminem curuli honore usum, praeterierunt; cfr. Livio 35, 9, 1.

 

[8] Sulla carriera politica di Sesto Elio vedi, per tutti, F. MÜNZER, Adelsparteien und Adelsfamilien, Stuttgart 1920, pp. 219 ss.; E. KLEBS, Aelius, in Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft 1, 1, cit., col. 527; T.R.S. BROUGHTON, The Magistrates of the Roman Republic, I, cit., pp. 323, 329 s., 343; F. D'IPPOLITO, I giuristi e la città, cit., pp. 54 ss.; R A. BAUMAN, Lawyers in Roman republican politics, cit., pp. 126 ss.

 

[9] La censura del 194 è oggetto di un denso paragrafo di F. D'IPPOLITO, I giuristi e la città, cit., pp. 57 ss.

 

[10] Livio 34, 44, 5: Gratiam quoque ingentem apud eum ordinem pepererunt, quod ludis Romanis aedilibus curulibus imperarunt ut loca senatoria secernerent a populo; nam antea in promiscuo spectarant. Equitibus quoque perpaucis adempti equi, nec in ullum ordinem saevitum. Atrium Libertatis et villa publica ab iisdem refecta amplificataque.

In altra prospettiva, il testo liviano appare degno della massima considerazione a F. CANCELLI, Studi sui censores e sull'arbitratus della lex contractus, ristampa corretta, Milano 1960, pp. 9 s.; il quale lo colloca tra le «Fonti attestanti l’imperium dei censori»: «L'uso del verbo imperare riferito ai censori, sarebbe per sè assai significativo; ma più attrae l'attenzione, perchè il comando è rivolto a un'altra magistratura, e per giunta, alla più elevata delle minori».

 

[11] Livio 34, 54, 1-8; Cicerone, De har. resp. 24; Pro Corn. I, frag. 26; Valerio Massimo 2, 4, 3; 4, 5, 1; Asconio 69-70. Cfr. F. CASSOLA, I gruppi politici romani nel III secolo a.C., Trieste 1962, pp. 402 s.; M. BRETONE, Tecniche e ideologie dei giuristi romani, 2a ed., Napoli 1982, p. 76, n. 38.

 

[12] D. 1, 2, 2 pr.-1 = Pomponio, Libro singulari enchiridii: Necessarium itaque nobis videtur ipsius iuris originem atque processum demonstrare. Et quidem initio civitatis nostrae populus sine lege certa, sine iure certo primum agere instituit omniaque manu a regibus gubernabantur.

Per una puntuale analisi del passo pomponiano, con particolare riferimento al senso dei termini origo e processus, vedi D. NÖRR, Pomponius oder “Zum Geschichtsverständnis der römischen Juristen”, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II.15, Berlin-New York 1976, pp. 563 ss.; ma sull'impostazione del Nörr, vedi M. TALAMANCA, Per la storia della giurisprudenza romana, in Bullettino dell'Istituto di diritto romano 80, 1977, pp. 261 ss.

 

[13] D. 1, 2, 2, 7 = Pomponio, Libro singulari enchiridii: Postea cum Appius Claudius proposuisset et ad formam redegisset has actiones, Gnaeus Flavius scriba eius libertini filius subreptum librum populo tradidit. Et adeo gratum fuit id munus populo, ut tribunus plebis fieret et senator et aedilis curulis. Hic liber, qui actiones continet, appellatur ius civile Flavianum, sicut ille ius civile Papirianum: nam nec Gnaeus Flavius de suo quicquam adiecit libro. Augescente civitate quia deerant quaedam genera agendi, non post multum temporis spatium Sextus Aelius alias actiones composuit et librum populo dedit, qui appellatur ius Aelianum.

 

[14] D. 1, 2, 2, 38 = Pomponio, Libro singulari enchiridii: Deinde Sextus Aelius et frater eius Publius Aelius et Publius Atilius maximam scientiam in profitendo habuerunt, ut duo Aelii etiam consules fuerint, Atilius autem primus a populo Sapiens appellatus est (segue il passo citato nel testo).

 

[15] BREMER, Iurisprudentiae Antehadrianae quae supersunt, I, Lipsiae 1896, pp. 15 s. («Fragmenta ad XII tabularum ordinem iam receptum disposui»); sulla base di questo criterio lo studioso tedesco dispone i cinque frammenti come segue: attribuisce Gellio, Noct. Att. 4, 1, 20 e D. 33, 9, 3, 9 al commento di Tab. V, 3 (Uti legassit super pecunia tutelave suae rei, ita ius esco); D. 19, 1, 38, 1 al commento di Tab. VII, 11 (De rebus emptis venditis); Cicerone, Ad fam. 7, 22 a Tab. VIII, 16 (De furto nec manifesto); Cicerone, De leg. 2, 59 a Tab. X, 4 (De funere).

 

[16] Per le critiche alla ricostruzione più seguita, quella proposta da R. SCHOELL (Legis duodecim tabularum reliquiae, Lipsiae 1866), vedi M. LAURIA, Ius Romanum I. 1, Napoli 1963, pp. 23 ss., il quale sottolinea con forza il fatto che, pur utilizzandola, «tutti gli studiosi, concordi [...] la ritengono ipotetica e priva di ogni dimostrazione relativa alla sua corrispondenza all'ordine generale della lex xii tabularum, come già Schoell la riconobbe». Tre i motivi che inducono lo studioso napoletano a ritenere inaccettabile tale ricostruzione (pp. 24-26): «a) trascura, anzi sovverte l’ordine offerto dal procedere degli argomenti nei fr. superstiti... b) raggruppa e riordina gli argomenti secondo criteri preconcetti, a priori, privi di conforto storico e di indicazioni testuali, sicché la completezza nel riordinare i dati va a scapito della correttezza, della solidità della ricostruzione; c) trascura il raffronto tra le linee generali della ricostruzione prospettata e quella dello schema che i commenti posteriori all'editto pretorio seguono concordi, unanimi».

Proprio muovendo dalle critiche del Lauria, più di recente, alcuni studiosi (L. Amirante, O. Diliberto, F. D'Ippolito, F. Bona e S. Tondo) hanno intrapreso, sotto l'egida del CNR, una ricerca “Sulle XII Tavole”; vedine la presentazione di L. A(MIRANTE) («Eppure tutti continuiamo a utilizzare palingenesi della legge decemvirale giudicate unanimemente insufficienti e del tutto lontane probabilmente dall'ordine decemvirale, un ordine nato quando la scienza del diritto era ancora di là da venire») e i primi saggi (uno dello stesso AMIRANTE, Per una palingenesi delle XII Tavole; il secondo di O. DILIBERTO, Considerazioni intorno al commento di Gaio alle XII Tavole; il terzo di F. D'IPPOLITO, XII Tab. 2.2) in Index 18, 1990, pp. 389 ss.; a cui aggiungi Sulle XII Tavole, in Index 20, 1992, pp. 205 ss. (con i contributi di L. AMIRANTE, Un'ipotesi di lavoro: le «sequenze» e l'ordine delle norme decemvirale, pp. 205 ss.; F. BONA, Il «de verborum significatu» di Festo e le XII Tavole, I. Gli «auctores» di Verrio Flacco, pp. 211 ss.; O. DILIBERTO, Contributo alla palingenesi delle XII Tavole. Le «sequenze» nei testi gelliani, pp. 229 ss.; F. D'IPPOLITO, Gaio e le XII Tavole, pp. 279 ss.).

 

 

[17] Cicerone, Brutus 78: Numeroque eodem fuit Sex. Aelius, iuris quidem civilis omnium peritissimus, sed etiam ad dicendum paratus; cfr. De orat. 1, 212: Sin autem quaereretur quisnam iuris consultus vere nominaretur, eum dicerem, qui legum et consuetudinis eius, qua privati in civitate uterentur, et ad respondendum et ad agendum et ad cavendum peritus esset, et ex eo genere Sex. Aelium, M' Manilium, P. Mucium nominarem.

 

[18] La correzione in D. 33, 9, 3, 9 di Caecilius in Aelius, accolta ormai da tutti gli editori, fu formulata per primo, sulla base di Gellio, Noct. Att. 4, 1, 20, da A. AGUSTIN (AUGUSTINUS), De Nominibus propriis "tou pandéktou" Florentini, cum Antonii Augustini, Episcopi Tarraconensis, notis, 1579, di cui si cita l’edizione settecentesca in Thesaurus Juris Romani, cum Praefatione Everardi Ottonis. Tomus I, Lugduni Batavorum 1725, p. 209: «Gellius lib 4 c. I. vide 33. 9. 3. 5 ubi Sextus Caecilius fortasse pro Sexto Aelio est».

 

[19] Cfr., per tutti, A. ORMANNI, Penus legata. Contributi alla storia dei legati disposti con clausola penale in età repubblicana e classica, in Studi E. Betti, IV, Milano 1962, pp. 652 ss., in part. pp. 674 ss. (ivi n. 206 per letteratura più risalente); R. ASTOLFI, Studi sull'oggetto dei legati in diritto romano, II, Padova 1969, pp. 79 ss.; U. JOHN, Die Auslegung des Legats von Sachgesamtheiten im römischen Recht bis Labeo, Karlsruhe 1970, pp. 38 ss.; A. WATSON, The Law of Successions in the Later Roman Republic, Oxford 1971, pp. 134 ss.; da ultimo, brevemente, M. BRETONE, Storia del diritto romano, Roma-Bari 1987, p. 317: «Una questione, di cui i giuristi da Sesto Elio in poi avevano discusso, è se la legna e i carboni, l'incenso e i “ceri”, rientrino in un altro complesso di cose, la penus».

 

[20] A. ORMANNI, Penus legata. Contributi alla storia dei legati disposti con clausola penale in età repubblicana e classica, cit., p. 676; interessanti, e assai convincenti, appaiono anche le riflessioni che lo studioso propone, nella stessa pagina: «Il ritenere, infatti, comprese nella nozione di penus cose che certamente non sono destinate all'alimentazione – incenso cerei legna carbone – si spiega solo in un modo: richiamandosi alla funzione strumentale che la penus aveva avuto per la celebrazione dei culti domestici. L'incenso, infatti, trovava applicazione soprattutto nei riti propiziatorii dedicati alle divinità domestiche; cerei (ben diversi da cera) sono sigilla o immagini di divinità o di vittime; legna e carbone vengono egualmente adoperati per l'accensione del fuoco rituale, ed è da tener presente in proposito la differenza netta che in età repubblicana si fa tra cose serbate nella cella penuaria, destinate all'uso quotidiano, e cose serbate nel penuarius».

 

[21] Gellio, Noct. Att. 4, 1, 17: Nam Quintum Scaevolam ad demonstrandum penum his verbis usum audio: Penus est, inquit, quod esculentum aut posculentum est, quod ipsius patrisfamilias <aut matris familias> aut liberum patrisfamilias <aut familiae> eius, quae circum eum aut liberos eius est et opus non facit, causa paratum est. ***, ut Mucius ait, penus videri debet. Nam quae ad edendum bibendumque in dies singulos prandii aut cenae causa parantur, penus non sunt; sed ea potius, quae huiusce generis longae usionis gratia contrahuntur et reconduntur, ex eo, quod non in promptu est, sed intus et penitus habeatur, penus dicta est. D. 33, 9, 3 pr. = Ulpiano, Libro vicesimo secundo ad Sabinum: Qui penus legat quid legato complectatur, videamus. Et Quintus Mucius scribit libro secundo iuris civilis penu legata contineri, quae esui potuique sunt. D. 33, 9, 3, 6: Sed quod diximus usus sui gratia paratum accipiendum erit et amicorum eius et clientium et universorum, quos circa se habet, non etiam eius familiae, quam neque circa se neque circa suos habet: puta si qui sunt in villis deputati. Quos Quintus Mucius sic definiebat, ut eorum cibaria contineri putet, qui opus non facerent.

Per i frammenti de penu legata di Quinto Mucio, vedi LENEL, Palingenesia iuris civilis, I, col. 757 fragmm. 2-4; BREMER, Iurisprudentiae Antehadrianae, 1, pp. 74 s.; HUSCHKE - SECKEL - KÜBLER, Iurisprudentiae Anteiustinianae, I, p. 17 fragm. 1. Analisi esegetica e stratigrafica dei due frammenti dei Digesto, con lettura sinottica di Gellio, Noct. Att. 4, 1, 17 e 21, in F. WIEACKER, Textstufen klassischer Juristen, Göttingen 1960, pp. 280 ss.; commento ai testi in A. ORMANNI, Penus legata. Contributi alla storia dei legati disposti con clausola penale in età repubblicana e classica, cit., pp. 678 ss.; R. MARTINI, Le definizioni dei giuristi romani, Milano 1966, p. 93; R. ASTOLFI, Studi sull'oggetto dei legati in diritto romano, II, cit., pp. 81 s.; U. JOHN, Die Auslegung des Legats von Sachgesamtheiten im römischen Recht bis Labeo, cit., pp. 41 ss.

 

[22] La critica di Servio alla definizione muciana di penus legata, divenuta allora punto di riferimento delle discussioni in materia, si articolava sostanzialmente su tre aspetti. In primo luogo, il giurista ne evidenziava l'ambiguità, in quanto «essa sembrava comprendere qualsiasi cibo e bevanda» (R. ASTOLFI, Studi sull'oggetto dei legati in diritto romano, II, cit., pp. 82 s.); in secondo luogo non accettava che la definizione di Quinto Mucio comprendesse nella penus anche i viveri destinati al sostentamento di quella parte della servitù domestica, qui opus non facit (D. 33, 9, 3, 6: sed materiam praebuit Servio notandi, ut textorum et textricum cibaria diceret contineri); infine, Servio riprendeva l'idea di Sesto Elio ed assegnava alla penus cose non commestibili, ma il cui consumo gli appariva indispensabile alla vita domestica: D. 33, 9, 3, 10: Servius apud Melam et unguentum et chartas epistulares penoris esse scribit; su quest'ultimo testo, vedi anche U. JOHN, Die Auslegung des Legats von Sachgesamtheiten im römischen Recht bis Labeo, cit., pp. 48 ss.

 

[23] Sul punto, vedi R. ASTOLFI, Studi sull'oggetto dei legati in diritto romano, II, cit., p. 84: «Alla luce di questo testo, il richiamo da parte di Servio del parere di Sesto Elio Peto in Gell. 4, 1, 20, riportato precedentemente, ha il significato di un'adesione»; nello stesso luogo, vedi anche p. 87 s.: «La giurisprudenza del I secolo dopo Cristo non solo conclude la discussione su questo singolo punto, ma si può dire su quasi tutti gli altri punti controversi. Il fenomeno è già visibile in Sabino. Pur facendo riferimento alla definizione di Quinto Mucio, egli ricorda e non smentisce le opinioni di coloro che facevano rientrare nella penus gli oggetti non commestibili. [...] La situazione è sostanzialmente la stessa alla fine dell’età classica. Il criterio fondamentale rimase quello di non considerare la natura dell'oggetto (ad esempio se sia bevibile o meno), ma lo scopo per cui veniva usato (ad esempio se il liquido serve per scopo medicamentoso o per sostentamento). Prevalse l'opinione di Sesto Elio Peto, come testimonia Ulpiano».

 

[24] «La interpretazione della giurisprudenza in tema di penus legata può dirsi conclusa con Sabino»: A. ORMANNI, Penus legata. Contributi alla storia dei legati disposti con clausola penale in età repubblicana e classica, cit., p. 685. Fondamentale il passo di Gellio, Noct. Att. 4, 1, 21-23: Masurius autem Sabinus in iuris civilis secundo etiam, quod iumentorum causa apparatum esset, quibus dominus uteretur, penori attributum dicit. Ligna quoque et virgas et carbones, quibus conficeretur penus, quibusdam ait videri esse in penu. Ex his autem, quae promercalia et usuaria isdem in locis <essent>, esse ea sola penoris putat, quae satis sint usu annuo ( Cfr. D. 33, 9, 3 pr.).

Per la ricostruzione della dottrina sabiniana de penu legata, vedi ora R. ASTOLFI, I libri tres iuris civilis di Sabino, Padova 1983, pp. 97 ss., 215 s. Sul testo di Gellio appena citato, vedi anche O. LENEL, Das Sabinussystem, in Festgabe zum Dottor-jubiläum von R. von Jehring, Strassburg 1892 = ID., Gesammelte Schriften, rist. an., a c. di O. Behrends e F. D'Ippolito, II, Napoli 1990, p. 49; BREMER, Iurisprudentiae Antebadrianae, II, p. 460 fragm. 38; HUSCHKE - SECKEL - KÜBLER, Iurisprudentiae Anteiustinianae, I, p. 72 fragm. 1; A. ORMANNI, Op. cit., p. 621 n. 81; R. MARTINI, Le definizioni dei giuristi romani, cit., p. 152.

 

[25] Così M. BRETONE, Storia del diritto romano, cit., pp. 56 s., il quale ricava dal frammento un’osservazione più generale: «Se si deve giudicare da un suo parere in materia di compravendita, quel solenne giureconsulto non trascurava certo i più delicati problemi giuridici del suo tempo».

 

[26] Sul frammento e, più in generale, sulla prassi giudiziale per arbitrium, considerata una prova della «somiglianza e identità della procedura contrattuale privata con i negozi dello Stato», vedi F. CANCELLI, L'origine del contratto consensuale di compravendita nel diritto romano. Appunti esegetico-critici, Milano 1963, pp. 156 s.: «Parimenti, le prime applicazioni attestate di giudizio ex empto et vendito, si riferiscono all'arbitrium [...] che può rispecchiare l'arbitramento che nei contratti pubblici, di locazione (e di vendita), i censori e gli altri magistrati, erano chiamati a svolgere nelle controversie insorgentine, basando la loro decisione sulla fides».

 

[27] Cfr. P. JÖRS, Römische Rechtswissenschaft zur Zeit der Republik, I. Bis auf die Catonen, cit., p. 107.

 

[28] M. TALAMANCA, La tipicità dei contratti romani fra "conventio" e "stipulatio" fino a Labeone, in Contractus e pactum. Tipicità e libertà negoziale nell'esperienza tardo-repubblicana. Atti del convegno di diritto romano e della presentazione della nuova riproduzione della "littera Florentina", a cura di F. Milazzo, Napoli 1990, p. 40.

 

[29] Sul testo ciceroniano (di cui E. FRAENKEL, Some Notes on Cicero's Letters to Trebatius, in Journal of Roman Studies 47, 1957, p. 67, scriveva che «provides us also with a small yet precious piece of evidence for the early history of the form of Roman juristic literature») vedi P. HUVELIN, Études sur le furtum dans le très ancien droit romain, I. Les sources, Parte I, Paris-Lyon 1915 (rist. an. Roma 1968), pp. 319 ss.; E. COSTA, Cicerone giureconsulto, I, Bologna 1927 (rist. an. Roma 1964), pp. 238 ss.; P. DE FRANCISCI, Cic. ad fam. 7, 22 e i "libri iuris civilis" di Q. Mucio Scevola, in Bullettino dell'Istituto di diritto romano 66, 1963, pp. 93 s.; F. BONA, Cicerone e i "libri iuris civilis" di Quinto Mucio Scevola, in AA.VV., Questioni di giurisprudenza tardo-repubblicana. Atti di un Seminario - Firenze 27-28 maggio 1983, Milano 1985, pp. 259 ss.; A. SCHIAVONE, Giuristi e nobili nella Roma repubblicana, Roma-Bari 1987, p. 199 n. 10; L. AMIRANTE, Una storia giuridica di Roma, con la collaborazione di L. De Giovanni, Napoli 1992, p. 258.

Quanto invece alla figura e all'opera del giurista Trebazio Testa, vedi da ultimo: M. TALAMANCA, Trebazio Testa fra retorica e diritto, in AA.VV., Questioni di giurisprudenza tardo-repubblicana, cit., pp. 29 ss.; R. A. BAUMAN, Lawyers in Roman transitional politics: a study of the Roman iurists in their political setting in the Late Republic and Triumvirate, München 1985, pp. 123 ss.; M. D'ORTA, La giurisprudenza tra Repubblica e Principato. Primi studi su C. Trebazio Testa, Napoli 1990.

 

[30] Tenta una spiegazione dell'atteggiamento del giurista E. COSTA, Cicerone giureconsulto, I, cit., p. 239: «Trebazio precorreva la dottrina della trasmissibílità attiva dell'actio furti, prevalsa più tardi, con tanta risolutezza, da non prestar fede a quel che Cicerone gli affermava, in un amichevole discorso, circa í dubbi che altri avesse potuto nutrire a tal proposito».

 

[31] «Ho detto che bisogna usare prudenza, perché i due dati, da cui muove quell'osservazione, non sono espressi nella lettera. Che, però, il caput che Cicerone ha curato di trascrivere a conferma di quanto aveva sostenuto nell'amichevole conversazione a tavola con Trebazio, sia stato tratto dai libri iuris civilis di Quinto Mucio Scevola, è un dato che sembra ormai acquisito»: F. BONA, Cicerone e i "libri iuris civilis" di Quinto Mucio Scevola, cit., p. 259. Cfr., fra gli altri, P. HUVELIN, Études sur le furtum dans le très ancien droit romain, I, cit., p. 321 («Nous sommes ainsi amenés à penser que Cicéron envoyait à Trebatius un extrait des libri iuris civilis de Q. Mucius, dans lequel celui-ci combattait une solution admise par S. Aelius, Brutus et Manilius»); P. DE FRANCISCI, Cic. ad fam. 7, 22 e i "libri iuris civilis" di Q. Mucio Scevola, cit., pp. 93 s.; A. SCHIAVONE, Giuristi e nobili nella Roma repubblicana, cit., p. 199 n. 10 (per il quale la lettera costituisce «una prova inconfutabile» del fatto che «Quinto Mucio avesse letto e discutesse nel suo lavoro gli scritti di Sesto Elio, di Manilio e di Bruto»); nello stesso senso M. D'ORTA, La giurisprudenza tra Repubblica e Principato. Primi studi su C. Trebazio Testa, cit., p. 111 n. 21; L. AMIRANTE, Una storia giuridica di Roma, cit., p. 258.

 

[32] E. COSTA, Cicerone giureconsulto, I, cit., pp. 238: «La determinazione dei rapporti attivi e passivi, acquistati all'erede delatario dell’hereditas per effetto della cretio, presentava, nel momento del Nostro, qualche punto discusso ed incerto. Tale era, singolarmente, l'esperibilità, da parte dell'erede, di azioni corrispondenti a certi atti delittuosi patiti dal suo autore, o la responsabilità, di fronte a cotali azioni, dell'erede di chi li avesse commessi. Se, appunto, l'erede della vittima di un furto potesse o meno esperire l'actio furti, non intentata peranco dal suo autore, fu materia di dissensi appresso i giuristi di poco anteriori a quel momento».

 

[33] Quest'aspetto era già ben sottolineato da P. HUVELIN, Études sur le furtum dans le très ancien droit romain, I, cit., p. 321 («Quant à la portée exacte de la question posée, il est difficile de la préciser, à cause de l'ambiguïté des mors. L'expression furtum antea factum est trop concise pour nous éclairer»); ma vedi anche P. BONFANTE, Corso di diritto romano, VI. Le successioni, Roma 1930, rist. Milano 1974, p. 204; ed ora M. D'ORTA, La giurisprudenza tra Repubblica e Principato. Primi studi su C. Trebazio Testa, cit., p. 112 («In verità, dal testo non risultano i termini della controversia»).

 

[34] D. 47, 1, 1, 1 = Ulpiano, Libro quadragensimo primo ad Sabinum: Heredem autem furti agere posse aeque constat: exsecutio enim quorundam delictorum heredibus data est: ita et legis Aquiliae actionem heres habet. Sed iniuriarum actio heredi non competit; cfr. anche Pauli Sent. 2, 31, 6: Manifesti furti actio et nec manifesti et concepti et oblati heredi quidem competit, sed in heredem non datur.

 

[35] Cfr. P. Voci, Diritto ereditario romano, I. Introduzione e parte generale, 2a ed., Milano 1967, p. 53, il quale considera impossibile l'esistenza di un furto compiuto a danno di una eredità giacente; aderisce alla posizione del Voci, da ultimo, M. D'ORTA, La giurisprudenza tra Repubblica e Principato. Primi studi su C. Trebazio Testa, cit., p. 112: «Più che attendibile allora, [...] è che l'interpretazione dell'antea non varchi i significati voluti con l'adozione dell'avverbio temporale, e che il comportamento antigiuridico sia per questo da riportarsi a uno stadio precedente alla morte del de cuius».

 

[36] Questa tesi è sostenuta, con grande vigore esegetico, da P. HUVELIN, Études sur le furtum dans le très ancien droit romain, I, cit., pp. 320 ss., del quale vale la pena di leggere la riflessione conclusiva (p. 329): «En résumé, le texte de Cicéron que nous avons transcrit et analysé atteste que Sex. Aelius, M' Manilius et Iunius Brutus résolvaient dans un sens opposé à celui qu'a fait prévaloir Q. Mucius Scaevola une question qui peut étre soít celle de la transmissibilité active de l'action furti, soit, plus probablement, celle du furtum portant sur des choses héréditaires». Ma sulle posizioni dello studioso francese, vedi le critiche di G. LAVAGGI, "Iniuria" e "obligatio ex delitto", in Studia et documenta historiae et iuris 13-14, 1947-1948, p. 171 n. 131.

 

[37] Cfr. al riguardo, con tentativo di spiegarne le cause, E. COSTA, Cicerone giureconsulto, I, cit., pp. 238-239: «Sembra che tuttora Manilio e Bruto, come già nel secolo precedente Sesto Elio, risolvessero codesto dubbio negativamente, ispirandosi al senso della vendetta, sul quale era informata la persecuzione dei delitti in generale e, fra essi, anche del furto»; vedi più in generale P. DE FRANCISCI, Studi sopra le azioni penali e la loro intrasmissibilità passiva, Milano 1912, pp. 86 ss.; P. Voci, Risarcimento e pena privata nel diritto romano classico, Milano 1939, p. 13; U. BRASIELLO, Corso di diritto romano. Atto illecito, pena e risarcimento del danno, Milano 1957, pp. 86 ss.

 

[38] F. D'IPPOLITO, Le XII Tavole: il testo e la politica, in AA.VV., Storia di Roma, I. Roma in Italia, Torino 1988, p. 410: mi pare anche da condividere, nel discorso dello studioso, la constatazione che «Le XII Tavole documentano, soprattutto nelle norme funerarie, la reazione di una società contadina a usi e abitudini di sicura derivazione etrusca»; mentre non saprei dare l'assenso a quella parte, in cui si afferma che quelle norme funerarie evidenziano «l'invasione dei legislatori nella sfera tipica del diritto pontificale, al quale spettava di regolare, sia pure attraverso i rituali, i modelli di comportamento del cittadino romano, nella vita e nella morte».

 

[39] Sugli aspetti linguistici delle norme decemvirali, vedi ora (ma senza riferimento a lessum) G. RADKE, Sprachliche und historische Beobachtungen zu den leges XII tabularum, in Sein und Werden im Recht. Festgabe für U. von Lübtow, Berlin 1970, pp. 223 ss.; e S. BOSCHERINI, La lingua della legge delle XII Tavole, in AA.VV., Società e diritto nell'epoca decemvirale. Atti del convegno di diritto romano. Copanello 3-7 giugno 1984, Napoli 1988, pp. 45 ss. Breve cenno da parte del Boscherini (p. 49) alle apparenti incongruenze di quella legislazione, con particolare riferimento alle norme funerarie: «il lusso funerario che è proibito dalla legge della Tavola X non trova riscontro nella realtà delle povere tombe del V secolo»; nello stesso senso, su questo specifico punto, G. COLONNA, Un aspetto oscuro del Lazio antico: le tombe del VI-V secolo a.C., in Lazio arcaico e mondo greco, II. L'Esquilino e il Comizio = La parola del passato 32, 1977, p. 160.

 

[40] Sui problemi interpretativi posti dal testo decemvirale, vedi questa e altre osservazioni di M. BRETONE, Storia del diritto romano, cit., p. 60. Che l'interesse di Sesto Elio non fosse di tipo grammaticale, era già sostenuto, in adesione allo Schoell, da H. FUNAIOLI, Grammaticae Romanae fragmenta, cit., p. 15: «forensem, non grammaticam interpretationem fuisse Schoell iure contendit, quamquam, ut par est, hic illic nominum obscuriorum grammatica investigatio non defuit»; nello stesso senso, da ultimo, L. AMIRANTE, Per una palingenesi delle XII Tavole, cit., pp. 397-398: «D'altra parte, dei quattro testi di Sesto Elio raccolti dal Lenel nella sua Palingenesia, neppure quello citato da Cicerone (de leg. 2.33.59) ha l'aria di un commento di tipo lessicale, sebbene a essere oggetto di attenzione sia proprio e soltanto la parola lessus».

 

[41] Invero già nell’antichità prevalse la diversa interpretazione proposta dal grammatico L. Elio Stilone (H. FUNAIOLI, Grammaticae Romanae fragmenta, cit., p. 61 fragm. 13), il quale, come risulta dal passo ciceroniano, ricollegando etimologicamente lessum a lugere, ne spiegava il significato nel senso di lugubris eiulatio. Lo stesso Cicerone, poi, riteneva più accettabile questo significato, poiché vi era una norma simile nelle leggi di Solone: quod eo magis iudico verum esse, quia lex Solonis id ipsum vetat (De leg. 2, 59). Quanto ai moderni, vedi per tutti E. NORDEN, Aus altrömischen Priesterbüchern, Lund-Leipzig 1939, pp. 255 s., con particolare insistenza sulla cultura grecanica delle XII Tavole; F. WIEACKER, Die XII Tafeln in ihrem Jahrhundert, in Les origines de la République romaine, Entretiens Fondation Hardt, XIII, Vandoeuvres-Genève 1966 (ma 1967), p. 312.

 

[42] F. D'IPPOLITO, Giuristi e sapienti in Roma arcaica, Roma-Bari 1986, p. 103.

 

 

[43] Ma sull'interpretatio sacerdotale vedi, in altro senso, alcune illuminanti pagine di A. MAGDELAIN: Le Ius archaïque, in Mélanges de l'École française de Rome 98, 1986, in part. pp. 339 ss.; Un aspect négligé de l'interpretatio, in Sodalitas. Scritti in onore di A. Guarino, 6, Napoli 1984, pp. 2783 ss. (questi saggi sono ora ripubblicati in ID., Ius Imperium Auctoritas. Études de droit romain, Coll. de l'École française de Rome 133, Roma 1990, pp. 3 ss., 95 ss.).

 

[44] Fra la letteratura più risalente l'ipotesi è sostenuta da F. D. SANIO, Zur Geschichte der römischen Rechtswissenschaft, Königsberg 1858 (rist. an., con nota di lettura di F. D'Ippolito, Napoli 1981 ), p. 26 n. 27; ID., Varroniana in den Schriften der römischen Juristen, cit., pp. 188 ss.; G. PADELLETTI - P. COGLIOLO, Storia del diritto romano, 2a ed., Firenze 1886, p. 109 n. t; P. KRÜGER, Geschichte der Quellen und Litteratur des römischen Rechts, cit., p. 54 (= Histoire des sources du droit romain, cit., p. 71); O. LENEL, Das Sabinussystem, cit., p. 9; F. P. BREMER, Iurisprudentiae Antehadrianae, I, cit., p. 15.

Per la dottrina attuale, basterà citare soltanto alcuni autori: G. GROSSO, Lezioni di storia del diritto romano, 5a ed., Torino 1965, p. 298; P. FREZZA, Corso di storia del diritto romano, 3a ed., Roma 1974, 369 s.; D. NÖRR, Pomponius oder “Zum Geschichtsverständnis der römischen Juristen”, cit., pp. 534 ss.; O. BEHRENDS, Les «veteres» et la nouvelle jurisprudence à la fin de la République, in Revue historique de droit français et étranger 55, 1977, pp. 17 ss.; R. ORESTANO, Introduzione allo studio del diritto romano, Bologna 1987, p. 135 e n. 6; F. WIEACKER, Römische Rechtsgeschichte, I, cit., p. 537 s.; M. BRUTTI, in AA. VV., Lineamenti di storia del diritto romano, a cura di M. Talamanca, 2a ed., Milano 1989, p. 300, il quale ritiene verosimile che nei due passi di Pomponio: «si designi con due titoli diversi (Ius Aelianum e Tripertita) la stessa opera».

 

[45] Si orientava in tal senso la vecchia dottrina seicentesca e settecentesca: cfr., ad esempio, Jo. AUGUSTI BACHII, Historia Jurisprudentiae Romanae quattuor libri comprehensa, altera editio, Lucae 1762, pp. 124 n. q, 131; la stessa tesi si trova espressa, oltre un secolo più tardi, nell'ormai classico lavoro di P. JÖRS, Römische Rechtswissenschaft zur Zeit der Republik, cit., pp. 108 s. Più di recente vedi, fra gli altri, L. WENGER, Die Quellen des römischen Rechts, cit., p. 480; F. CASAVOLA, Ius Aelianum, in Novissimo Digesto Italiano, IX, Torino 1963, coll. 376 s.; F. SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana, trad. it., Firenze 1968, p. 69; S. TONDO, Profilo di storia costituzionale romana, I, Milano 1981, p. 310; dubbioso A. SCHIAVONE, Giuristi e nobili nella Roma repubblicana, cit., p. 12; in parte diversa la tesi di A. GUARINO, Storia del diritto romano, cit., pp. 293 s.: lo studioso ritiene che Sesto Elio abbia scritto una sola opera, i Tripertita, in seguito variamente rielaborata da giuristi del II secolo a.C., «i quali giudicarono opportuno di enucleare e disporre in tre libri separati tre serie di argomenti (XII tabulae, interpretatio, actiones). In particolare, il liber de actionibus, che risultò da questa rielaborazione posteriore, si diffuse largamente fra i pratici del diritto, i quali appunto perciò parlarono di un ius Aelianum, che aveva ormai surrogato il vecchio ius Flavianum».

 

[46] A. WATSON, Ius Aelianum and Tripertita, in Labeo 19, 1973, pp. 26 ss. (Cfr. ID., Law making in the Later Roman Republic, cit., pp. 134 ss.), pensa ad un altro Sesto Elio vissuto nella prima metà del III secolo: sulla base della frase pomponiana «non post multum temporis spatium», ritiene infatti che sarebbe illogico riferire quello spazio temporale all'oltre un secolo che separa Gneo Flavio dal giurista dei Tripertita. Ma, al riguardo, mi pare calzante l'osservazione di R. A. BAUMAN, Lawyers in Roman republican politics, cit., p. 130: «but Pomponius is not noted for the accuracy of his chronology».

 

[47] Così S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico, II, 1, 4a ed., Roma-Bari 1974, p. 278, il quale peraltro sottolinea, più in generale, «la caratteristica storica del pensiero giuridico romano».

 

[48] L'espressione è tratta da P. CATALANO, Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano. Mundus, templum, urbs, ager, Latium, Italia, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, II. 16, 1, Berlin-New York 1978, p. 445, il quale, in altro contesto, parla di «insiemi normativi elaborati dalla giurisprudenza sacerdotale».

 

[49] Che l’opera di Sesto Elio non avesse contenuto strettamente privatistico, è felice “congettura” di M. BRETONE, Tecniche e ideologie dei giuristi romani, cit., p. 5: «Oltre a norme e istituti privatistici, nell'opera eliana dovevano aver posto norme e istituti di diritto pubblico; e, fra questi ultimi, alcuni di importanza rilevantissima per la costituzione cittadina».

 

[50] Vedi in tal senso, da ultimo, M. BRETONE, Storia del diritto romano, cit., p. 57: «Tuttavia, egli poneva al centro della sua ricerca le XII Tavole. Che la ricerca eliana avesse uno scopo pratico, è lecito affermarlo; ma è innegabile anche un suo intento filologico-antiquario. I Tripertita si collocano in un contesto storico determinato. Essi rispondono al bisogno di un ceto di governo che, appropriandosi della tradizione, costruisce la sua cultura. Lontanissimi, su un piano letterario, dalle Storie di Fabio Pittore e dagli Annali di Ennio, lo sono meno (forse) se si considera la loro ispirazione civile»; ID., Tecniche e ideologie dei giuristi romani, cit., pp. 5 ss.

 

[51] Cicerone, De orat. 1, 195: Fremant omnes licet, dicam quod sentio: bibliothecas me hercule omnium philosophorum unus mihi videtur XII tabularum libellus, si quis legum fontis et capita viderit, et auctoritatis pondere et utilisatis ubertate superare; cfr., ibid. 1, 193: sive quem civilis scientia, quam Scaevola non putat oratoris esse propriam, sed cuiusdam ex alio genere prudentiae, totam hanc descriptis omnibus civitatis utilitatibus ac partibus XII tabulis contineri videbit: sive quem praepotens ista et gloriosa philosophia delectat – dicam audacius – hosce habet fontis omnium disputationum suarum, qui iure civili et legibus continentur.