N° 2 - Marzo 2003 – Lavori in corso – Contributi

 

 

 

La responsabilità del vettore aereo dalla Convenzione di Varsavia del 1929 alla Convenzione di Montreal del 1999

 

 

Michele M. Comenale Pinto

Università di Sassari

 

 

 

Sommario: 1. Quadro di base della disciplina del trasporto aereo — 2. Il Protocollo dell'Aja del 1955 — 3. La Convenzione di Guadalajara del 1961 sul vettore di fatto — 4. Dalla denunzia statunitense della Convenzione i Varsavia ai fermenti degli anni ottanta e novanta — 5. Il regolamento CE n. 2027/97 del Consiglio del 9 ottobre 1997 — 6. La nuova Convenzione di Montreal — 6.1. Problemi connessi alla soluzione del plurilinguismo — 6.2. Ambito di applicazione — 6.3. I criteri di imputazione della responsabilità vettoriale ed i limiti risarcitori — 6.4. L'area del danno risarcibile —6.5. La documentazione — 6.6. La questione della «quinta giurisdizione».

 

 

1. — Quadro di base della disciplina del trasporto aereo

 

La positiva conclusione della conferenza diplomatica che ha portato alla sottoscrizione della Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999[1], destinata verosimilmente a raggiungere in tempi relativamente brevi le condizioni per l'entrata in vigore[2], fa prefigurare una sostanziale evoluzione della disciplina di diritto uniforme del trasporto aereo, che, al di là dei molti fermenti e delle varie iniziative unilaterali, risaliva nelle sue linee essenziali ad un'epoca in cui il fenomeno che era chiamata a regolare stava attraversando ancora la sua fase pionieristica. Peraltro, le linee fondamentali della disciplina della Convenzione di Montreal relativa al danno per morte o lesione dei passeggeri nel trasporto di persone è stata in parte anticipata, a livello europeo, dal regolamento CE n. 2027/97 del Consiglio del 9 ottobre 1997 sulla responsabilità del vettore aereo in caso di incidenti che comportino danni alla persona del passeggero[3]. È da aggiungere che, nella prospettiva della entrata in vigore della Convenzione di Montreal del 1999[4], in ambito comunitario è stata adottata una revisione del regolamento 2027/97, con il regolamento 889/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 maggio 2002, che, pur entrato in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee[5], vede, in base al suo art. 2, posticipata la sua applicazione alla data di entrata in vigore della Convenzione di Montreal.

Ad un regime di diritto uniforme, dettato dalla Convenzione di Varsavia del 1929[6], il cui ambito di applicazione era circoscritto al solo trasporto aereo «internazionale» (quale definito dall'art. 1 della stessa Convenzione)[7], si affiancava un regime di diritto interno, che (come già il r.d.l. 28 settembre 1933, n. 1733[8]) comunque alla Convenzione di Varsavia del 1929 fortemente si ispirava[9], dettato, per quanto concerne l'Italia, dal codice della navigazione (artt. 950 - 964). Non mancano, peraltro, esperienze, come, ad esempio, quella francese, in cui il legislatore ha ritenuto di estendere sic et simpliciter il regime della Convenzione di Varsavia anche ai contratti di trasporto aereo non qualificabili, ai sensi della stessa convenzione, come «internazionali»[10]. Del resto, una situazione analoga verrà a determinarsi, negli ordinamenti di tutti gli Stati comunitari, allorché entrerà in vigore la Convenzione di Montreal del 1999, per effetto dell’estensione della sua applicazione, prevista dal menzionato regolamento comunitario 889 del 2002 di modifica del regolamento 2027 del 1997, a tutti i trasporti effettuati da vettori comunitari, inclusi i trasporti interni, sia pure limitatamente alla materia della responsabilità per il trasporto di persone e di bagagli[11]. È da osservare che l’applicazione frammentata del regime della Convenzione di Montreal del 1999 (limitata soltanto ad alcune sue parti) non mancherà di porre complessi problemi interpretativi, in particolare per quanto concerne il coordinamento con il sistema in cui le singole norme (avulse dal contesto generale della Convenzione) verranno ad essere calate, per effetto del richiamo di cui al detto regolamento comunitario 889 del 2002.

La Convenzione di Varsavia è stata poi oggetto di emendamento, attraverso vari protocolli, che hanno avuto ciascuno un diverso successo di ratifiche: il Protocollo dell'Aja del 28 settembre 1955, il Protocollo di Guatemala City dell'8 marzo 1971; i quattro Protocolli di Montreal del 25 settembre 1975. Di questi, il Protocollo di Guatemala City del 1971, ed il Protocollo di Guatemala City n. 3, non sono mai entrati in vigore. È da evidenziare, tenuto conto del rilievo preminente dell'industria del trasporto aereo degli Stati Uniti d'America, che questi ultimi non hanno autonomamente ratificato il Protocollo dell'Aja, dal quale sono stati vincolati soltanto recentemente, per effetto della ratifica del IV Protocollo di Montreal del 1975, unitamente alle modifiche introdotte da tale ultimo Protocollo[12]. Inoltre, il regime della Convenzione di Varsavia è stato integrato da una Convenzione complementare di Guadalajara del 18 settembre 1961 sul trasporto aereo eseguito da un soggetto diverso dal vettore contrattuale. Quest'ultima convenzione non è mai stata ratificata dagli Stati Uniti d'America.

Come ogni altro regime di diritto uniforme in materia di trasporto, la Convenzione di Varsavia è incentrata sulla disciplina della documentazione del contratto di trasporto e su quella della responsabilità vettoriale per morte o lesioni subite dal passeggero (art. 17); per danneggiamento o perdita della merce e del bagaglio consegnato (art. 18), per ritardo (art. 19), prevedendo (nel suo testo originale) l'emissione del biglietto di passaggio («billet de passage») per il trasporto di passeggeri (art. 3), del bollettino («bullettin de bagages») per il trasporto dei bagagli (art. 4) e della lettera di trasporto aereo («lettre de transport aérien») per il trasporto di merci (art. 5).

Tali documenti non costituivano, peraltro, una forma ad substantiam per la conclusione del contratto; alla loro omessa od irregolare emissione era però collegata la sanzione della decadenza del vettore dalla prova liberatoria e dal beneficio della limitazione risarcitoria (art. 3, § 2, art. 4, § 4, art. 9 della Convenzione di Varsavia, per quanto concerne l'assenza o l'irregolarità, rispettivamente, del biglietto di passaggio, del bollettino per il bagaglio, della lettera di trasporto aereo)[13], di cui il vettore poteva in via normale avvalersi[14]. Il regime della responsabilità vettoriale[15], era ancorato al principio dell'imputazione per colpa: ricorrendo uno dei fatti costitutivi della responsabilità, come contemplati dagli artt. 17, 18 e 19, il vettore era comunque ammesso dall'art. 20, § 1, della Convenzione di Varsavia, a dare la prova liberatoria di aver operato secondo i canoni del buon vettore, ovvero, che fossero state adottate tutte le misure necessarie per evitare il danno, ovvero che fosse stato impossibile adottarle, da parte del vettore e dei suoi «préposés»[16]. Tale formula ha poi ispirato anche il nostro legislatore interno, non soltanto per la definizione della prova liberatoria della responsabilità vettoriale, non solo con riferimento al trasporto aereo (artt. 942 e 951 c. nav.), ma anche per quanto concerne la disciplina generale della responsabilità per il trasporto di persone, dettata dall'art. 1681 c. civ.[17]: l'onere della prova a carico del vettore è stato così differenziato rispetto a quello, di carattere negativo, riferito alla non imputabilità dell'inadempimento o del ritardo, dell'ordinaria prova liberatoria del debitore, ai sensi dell'art. 1218 c. civ.[18].

Per il solo trasporto di merci, nella Convenzione di Varsavia, era anche prevista (come residuo in campo aeronautico del sistema dei pericoli eccettuati riconosciuti in favore del vettore marittimo di merci, riecheggiando, in particolare la colpa nautica[19]) la possibilità per il vettore di esonerarsi dando la prova che il danno fosse derivato (esclusivamente) da «faute de pilotage, de conduite de l'aéronef ou de navigation», in forza di una previsione (l'art. 20, § 2, del testo originario della Convenzione di Varsavia del 1929[20]), poi abrogata dall'art. X del Protocollo di emendamento dell'Aja del 28 settembre 1955, ma cui corrisponde ancora l'art. 951, comma 2, prima parte, del vigente codice della navigazione italiano.

Per le tipologie di danni contemplati dalla Convenzione (artt. 17, 18, 19), il già menzionato art. 24 afferma l'inderogabilità dei limiti e dei criteri di imputazione, quale che sia il titolo in base al quale l'azione sia stata esperita, al fine di impedire che (in quegli ordinamenti che conoscono la possibilità del cumulo dell'azione aquiliana con quella contrattuale)[21] il danneggiato possa ottenere un risultato a lui più favorevole di quello previsto dalla stessa Convenzione [22].

Diversamente che nell'art. 942 cod. nav., nella Convenzione di Varsavia non è prevista una disciplina della responsabilità del vettore per inesecuzione della prestazione[23]; né nel codice della navigazione, né nella Convenzione di Varsavia è poi prevista una disciplina della responsabilità per la sovraprenotazione[24]. Posto che la Convenzione di Varsavia non era intesa a dettare una disciplina esaustiva del contratto di trasporto aereo[25], per quanto da essa non coperto potrà evidentemente farsi ricorso alla disciplina che al contratto di trasporto sia applicabile in base ai criteri di diritto internazionale privato [26], salvo i menzionati vincoli in materia di responsabilità, derivanti dall'art. 24 della stessa Convenzione (che esclude, per i casi di cui ai precedenti artt. 18 e 19, l'esperibilità di azioni al di fuori di quelle previste dalla Convenzione)[27]. Ove si tratti di trasporto destinato ad essere disciplinato dalla legge italiana, la disciplina del codice della navigazione e delle altre leggi speciali in materia (ivi compreso il regime di diritto uniforme), viene ad essere integrata in conformità di quanto stabilito dall'art. 1 dello stesso codice della navigazione [28].

 

 

2. — Il Protocollo dell'Aja del 1955

 

L'impianto originario della Convenzione di Varsavia non subì stravolgimenti in seguito all'approvazione del Protocollo di emendamento dell'Aja del 1955, che, oltre ad adottare una diversa formulazione delle ipotesi di decadenza dal beneficio del limite[29], provvide a raddoppiare i limiti per i danni alle persone. Per quanto concerneva in particolare le ipotesi di decadenza connesse all'assenza od irregolarità della documentazione del contratto di trasporto, inserì come ipotesi specifica il mancato richiamo nel documento di trasporto dell'applicabilità del regime di diritto uniforme e dei limiti di risarcimento previsti (art. 3, § 2, art. 4, § 2 ed art. 9, della Convenzione di Varsavia, come emendati, rispettivamente dagli art. III, IV e VIII del Protocollo dell'Aja del 1955), facendo così un'apertura all’esigenza di offrire all'utente del trasporto un'effettiva possibilità di avere conoscenza del regime di responsabilità applicabile ed eventualmente di rendere (per merci e bagagli) una dichiarazione di valore, ovvero di far ricorso allo strumento assicurativo (c.d. dottrina della fair opportunity)[30]. È, d'altra parte, da ricordare che anche sulla base del testo non emendato della Convenzione di Varsavia, si era esclusa nella giurisprudenza statunitense[31] l'applicabilità dei limiti, lì dove le condizioni di trasporto fossero state richiamate nel biglietto in caratteri così piccoli da risultare inintelligibili[32], con soluzione che venne poi seguita anche in altre giurisdizioni[33]; negli Stati Uniti tale orientamento sembra peraltro essere stato abbandonato dalla giurisprudenza più recente[34]. Va incidentalmente aggiunto che la valutazione della legittimità del regime di limitazione risarcitoria vettoriale nel trasporto di merci sembra comunque nel nostro ordinamento tendenzialmente condizionato alla possibilità per l'utente di poter optare per un regime di responsabilità con risarcimento non limitato, rendendo una dichiarazione di valore[35].

Per quanto concerne la condotta del vettore idonea determinare la decadenza del beneficio della limitazione, il Protocollo dell'Aja adottò una nuova formulazione che (nelle intenzioni del legislatore) avrebbe dovuto avere applicazione più uniforme nei vari ordinamenti di quanto non fosse stato possibile rispetto all'originario richiamo di una condotta equivalente al dolo secondo la lex fori; l'art. XIII del Protocollo dell'Aja del 1955 riformulò così l'art. 25 della Convenzione di Varsavia, prevedendo che i limiti risarcitori dovessero essere valicati, allorché il danno fosse stato conseguenza «d'un act ou d'une omission du transporteur ou de ses préposés fait soit avec l'intention de provoquer un dommage, soit témérairement et avec conscience qu'un dommage en résultera probablement» (richiedendosi, però, che un tale atto sia stato compiuto dai dipendenti e preposti nell'esercizio delle loro funzioni)[36]. Nemmeno il ricorso ad una tale nozione è servito, però, a determinare uniformità di letture da parte delle giurisdizioni chiamate a fare applicazione della norma[37]. Si sono contrapposte, infatti, due diverse interpretazioni: di queste, una, c.d. «oggettiva», che, facendo riferimento in astratto a quelle che dovrebbero essere le conoscenze e la condotta richiesta ad un vettore (e ad un preposto) diligente, qualifica come condotta temeraria e consapevole quella che diverge da un tale standard; l'altra c.d. «soggettiva» postula un riferimento a quella che in concreto sia stata la rappresentazione della realtà e la volizione del soggetto agente. È agevole comprendere come, da un punto di vista teorico, la seconda impostazione comporti un onere probatorio più gravoso a carico del danneggiato. Nella realtà, però, quale che fosse il presupposto esegetico seguito, la giurisprudenza ha operato comunque un allentamento dei canoni per il superamento dei limiti, man mano che la coscienza sociale ne ha avvertito l'inadeguatezza[38].

Peraltro (sulla base di ragioni analoghe a quelle che nella prassi commerciale marittima hanno indotto all'inserimento nei formulari di trasporto marittimo di clausole che sono conosciute come «Hymalaia», dal caso che aveva evidenziato l'esigenza della loro introduzione)[39], l'art. XIV del Protocollo dell'Aja ha introdotto un art. 25A della Convenzione di Varsavia[40], che contempla l'estensione espressa dei limiti (ma non degli esoneri[41]) in favore di dipendenti e preposti che abbiano agito nell'esercizio delle loro funzioni, in assenza di condotte finalizzate a cagionare il danno, o comunque caratterizzate dalla consapevolezza che il danno potesse derivarne[42].

 

 

3. — La Convenzione di Guadalajara del 1961 sul vettore di fatto

 

Come si è accennato più sopra, la Convenzione di Varsavia è stata poi integrata dalla Convenzione di Guadalajara del 18 settembre 1961, relativa al trasporto aereo eseguito da un vettore di fatto, che ha ottenuto un successo di ratifiche ed adesioni sufficiente a consentirne l’entrata in vigore; tuttavia, essa non è stata ratificata proprio dagli Stati Uniti d'America, la cui giurisprudenza, come quella di altri ordinamenti di common law, aveva determinato l'esigenza di un chiarimento circa l'individuazione del vettore assoggettato alla disciplina della Convenzione di Varsavia. Infatti, l'assenza di una definizione, nell'ambito della Convenzione di Varsavia, della stessa nozione di «transporteur»[43] era particolarmente avvertito, anche in relazione alla diversa impostazione dei sistemi di diritto continentale rispetto a quelli di common law, a proposito della natura dell'azione per i danni subiti dal passeggero e, conseguentemente, a proposito della legittimazione passiva di tale azione, ove il trasporto sia eseguito da soggetto diverso da quello che se lo era assunto contrattualmente[44], tenuto conto che, in linea di principio, non è rinvenibile alcun divieto, per colui che si sia obbligato al trasferimento di persone o cose, di sostituire altri a sé nell'esecuzione della prestazione[45]. Se, nei sistemi di diritto continentale l'azione è tendenzialmente concepita comunque come azione contrattuale[46], con conseguente affermazione della legittimazione passiva del soggetto obbligato contrattualmente all'esecuzione del trasporto, nei sistemi di common law, ed in particolare negli Stati Uniti, l'azione in questione viene considerata come azione in tort, da indirizzarsi, conseguentemente, contro il soggetto che avesse materialmente eseguito il trasporto[47]. La questione  dell'individuazione del soggetto cui era riferita la disciplina sulla responsabilità vettoriale nella Convenzione di Varsavia, quando il traffico aereo commerciale ancora non era sviluppato, aveva invero scarso rilievo pratico, dato che, nella normalità dei casi, soggetto obbligato contrattualmente e soggetto che, con la propria organizzazione, andava ad eseguire il trasporto, tendenzialmente coincidevano[48]. D'altra parte, sembra innegabile che il sostrato della disciplina della originaria Convenzione di Varsavia debba essere rinvenuto negli ordinamenti di diritto continentale[49], ed appare quindi verosimile che anche la nozione di «transporteur» sia stata elaborata con riferimento ai concetti propri di tali ordinamenti[50] e che, in conseguenza, essa debba essere intesa come riferita comunque al soggetto che avesse assunto contrattualmente il trasporto, e non al soggetto che ne avesse assicurata l'esecuzione[51].

La Convenzione di Guadalajara ha esteso al vettore di fatto, «transporteur de fait» (definito dal suo art. I, lett. c, come il soggetto, diverso dal vettore contrattuale che, per incarico di quest'ultimo esegua in tutto od in parte un trasporto aereo internazionale)[52], il regime applicabile della Convenzione di Varsavia, nel testo originario o nel testo emendato dal Protocollo dell'Aja del 1955, limitatamente alla tratta che abbia eseguito (art. II), restando ferma la responsabilità anche del vettore contrattuale per gli atti e le omissioni del vettore di fatto e dei suoi preposti (art. III). Legittimati passivi delle azioni di responsabilità proposte dal danneggiato per i danni riconducibili alla tratta eseguita dal vettore di fatto sono, alternativamente o cumulativamente (a scelta dell'attore), sia il vettore contrattuale che il vettore di fatto. Si tratta del primo testo di diritto uniforme che prevede espressamente per l'utente la possibilità di agire nei confronti del vettore di fatto, ed ha costituito il modello per analoga soluzione, poi adottata, in tema di trasporto marittimo di merci dall'art. 10 delle c.d. Regole di Amburgo (Convenzione di Amburgo del 31 marzo 1978)[53], ed in tema di trasporto marittimo di passeggeri, dall'art. 4 della Convenzione di Atene del 13 dicembre 1974[54]. È incidentalmente da segnalare che, contrariamente alla Convenzione di Guadalajara del 1961, né la Convenzione di Atene del 13 dicembre 1974[55], né le Regole di Amburgo del 1978, pur entrate in vigore a livello internazionale, sono mai state ratificate dall'Italia[56]; d'altra parte, nella normativa italiana in materia di trasporto riconducibile al legislatore interno non è stata adottata alcuna previsione che corrisponda a quella della Convenzione di Guadalajara, o che comunque dia rilievo alla posizione del vettore di fatto[57].

È peraltro da osservare che, se ed in quanto il vettore di fatto possa essere considerato un préposé del vettore contrattuale [58], e se (come sembra) il vettore a cui si riferisce la disciplina della Convenzione di Varsavia del 1929 sia appunto colui che viene definito «transporteur contractuel» dall'art. I, lett. b, della Convenzione di Guadalajara[59], la portata innovativa di tale ultima Convenzione sembra essere più circoscritta di quel che appaia ad un primo esame, in particolare in quegli ordinamenti che comunque ammettano un'azione del danneggiato nei confronti dei préposés del vettore[60]. Posto che comunque il vettore risponde dei fatti dei suoi préposés, occorre considerare che questi ultimi possono, a loro volta, avvalersi (rispetto alle eventuali azioni proposte nei loro confronti dai danneggiati) degli stessi limiti di cui potrebbe avvalersi il vettore, per effetto della previsione di cui all'art. 25A della Convenzione di Varsavia, come introdotto dal Protocollo dell'Aja del 1955. La Convenzione di Guadalajara estende al vettore di fatto, per la tratta che costui abbia eseguito, la disciplina della responsabilità vettoriale nel suo complesso e, conseguentemente, gli consente di avvalersi non soltanto delle limitazioni, ma anche delle cause di esonero previste dalla Convenzione di Varsavia.

 

 

4. — Dalla denunzia statunitense della Convenzione di Varsavia ai fermenti degli anni ottanta e novanta

 

L'originario elevato grado di uniformità della disciplina del trasporto aereo internazionale ha iniziato a venir meno negli anni sessanta, quando si sono iniziati ad avvertire i sintomi di quella che è stata definita in dottrina la «crisi» del sistema della Convenzione di Varsavia[61]. Risale al 15 novembre 1965 la denunzia statunitense della Convenzione di Varsavia del 1929[62], ritirata soltanto a seguito dell'accordo di Montreal del 13 maggio 1966 fra le compagnie aeree che operavano negli Stati Uniti d'America ed il Civil Aeronautical Board per l'elevazione dei limiti risarcitori in caso di morte o danni all'incolumità dei passeggeri[63], che inaugurò la stagione degli interventi unilaterali sui limiti risarcitori[64], avvertiti come inadeguati nei Paesi a più elevato tenore di vita, mentre non ottenevano successo di ratifiche gli ulteriori protocolli di emendamento della Convenzione di Varsavia, finalizzati ad introdurre significative sostanziali modifiche al regime di diritto uniforme del trasporto aereo (in particolare, il Protocollo di Guatemala City dell'8 marzo 1971, incentrato sulla responsabilità del vettore nel trasporto di passeggeri, che prevedeva una responsabilità oggettiva con limite risarcitorio invalicabile[65], ed il Protocollo di Montreal del 25 settembre 1975 n. 4, finalizzato alla revisione della disciplina del trasporto di merci).

In Italia, con la nota pronunzia 6 maggio 1985, n. 132, la Corte costituzionale dichiarò, l'illegittimità costituzionale, ai sensi dell'art. 2 Cost., delle norme che hanno introdotto nel nostro ordinamento la Convenzione di Varsavia ed il Protocollo dell'Aja, in quanto comportavano l'assoggettamento della responsabilità del vettore aereo per danni alla persona del passeggero ad un limite risarcitorio ritenuto inadeguato, e comunque senza garanzie circa la certezza del risarcimento[66]; l'Italia venne in sostanza così a trovarsi al di fuori del Sistema di Varsavia, per rientrare nel quale venne approvata la l. 7 luglio 1988, n. 274[67]. L'art. 2 di quest'ultima ha reintrodotto per il vettore aereo di persone la possibilità di avvalersi del limite risarcitorio, a condizione che («in attesa dell'entrata in vigore del protocollo aggiuntivo n. 3, adottato a Montreal il 25 settembre 1975, di cui alla legge 6 febbraio 1981, n. 43») acconsentisse ad elevarne l'importo nella misura di centomila diritti speciali di prelievo[68] e comunque assicurasse la propria responsabilità per un massimale almeno equivalente a quello del limite così elevato.

La difesa dei limiti risarcitori, e del loro basso livello, è stata tradizionalmente giustificata evocando gli effetti che il loro abbandono, ovvero la loro elevazione, avrebbe avuto sui costi assicurativi per i vettori, effetti che si sarebbero necessariamente riversati sui livelli tariffari praticati dai vettori[69]. Tuttavia, la difesa ad oltranza dei limiti risarcitori è venuta a vacillare sotto la spinta delle iniziative unilaterali di singoli vettori[70], che hanno costituito il più diretto precedente degli accordi intervettoriali, con cui la maggioranza delle compagnie aeree aderenti alla I.A.T.A.[71] hanno rinunciato ad avvalersi delle limitazioni e, parzialmente, anche delle cause di esonero del sistema della Convenzione di Varsavia[72], tenendo in parte conto della raccomandazione C.E.A.C.[73] del 1994[74].

L'esigenza di rivedere il regime della responsabilità del vettore aereo di persone iniziava peraltro ad essere presa in considerazione anche nell'ambito dell'I.C.A.O., sotto la sollecitazione delle iniziative fin qui ricordate. Peraltro, nella seconda metà degli anni novanta, dopo una lunga fase di sostanziale immobilismo nella situazione delle ratifiche nell'ambito del sistema di Varsavia, si era pervenuti al raggiungimento delle condizioni per l'entrata in vigore del IV Protocollo di Montreal del 1975, che introduceva, per le merci, alcune significative innovazioni, sia per la documentazione (con la possibilità di sostituire altri sistemi di documentazione a quelli tradizionali su supporto cartaceo)[75], sia per la responsabilità, con l'affermazione di un regime di responsabilità oggettiva, sia pure accompagnato dall'affermazione dell'insuperabilità del limite risarcitorio, seguendo su tale punto specifico, l'esempio del Protocollo di Guatemala City del 1971, che era inteso ad introdurre un analogo regime di responsabilità per il trasporto di persone [76]. Va osservato che l'adozione di meccanismi di imputazione dell'obbligazione risarcitoria a carico del vettore che prescindono dalla colpa non costituisce affatto una novità assoluta in materia di trasporto: a prescindere da quella che pur sembra la più attendibile ricostruzione dell'istituto romano del receptum in chiave di responsabilità oggettiva[77], è da ricordare il rigore della giurisprudenza marittima inglese rispetto alla posizione del common carrier, tale da indurre poi alla reazione delle clausole di irresponsabilità, fino alla soluzione di compromesso che venne adottata con l'Harter Act nordamericano, e con gli sviluppi che ad esso seguirono[78].

Come si è già accennato, all'entrata in vigore del IV Protocollo di Montreal del 1975, era seguita la sua ratifica anche da parte degli Stati Uniti, che, per effetto della disposizione di cui all'art. XVII, § 2, di tale Protocollo, venivano così ad essere vincolati anche dal Protocollo dell'Aja del 1955 che non avevano ratificato in quanto tale. Ma, gli Stati Uniti, che pur erano certamente favorevoli all'abbandono del principio della limitazione risarcitoria per la responsabilità per danni alle persone, condizionavano il proprio assenso alla modifica del regime di responsabilità anche ad una modifica delle previsioni in materia di giurisdizione, affiancando ai quattro fori dell'art. 28 della Convenzione di Varsavia, anche l'affermazione della giurisdizione dello Stato di residenza del passeggero (c.d. questione della quinta giurisdizione), soluzione, questa, che incontrava forti resistenze, sia da parte degli Stati con basso livello di reddito, sia da parte degli Stati europei. Per molto tempo è sembrato che i lavori svolti in ambito I.C.A.O. per una revisione del Sistema di Varsavia non fossero destinati a sortire un risultato positivo, non da ultimo proprio in quanto condizionati dalla inconciliabilità delle posizioni dei vari Stati interessati su un punto fondamentale come quello della giurisdizione[79].

 

 

5. — Il regolamento CE n. 2027/97 del Consiglio del 9 ottobre 1997

 

L'incertezza, fino a tempi relativamente recenti, circa la possibilità di un effettivo sviluppo dei lavori per la revisione del sistema di Varsavia ha indotto, in sede europea, all'adozione del regolamento CE n. 2027/97 del Consiglio del 9 ottobre 1997 sulla responsabilità del vettore aereo in caso di incidenti che comportino danni alla persona del passeggero. Tale regolamento, per ovviare a regimi di limitazione ritenuti insoddisfacenti, detta una serie di disposizioni integrative della Convenzione di Varsavia o della diversa disciplina applicabile ai contratti di trasporto aereo di passeggeri che non rientrino nella nozione di «trasporto aereo internazionale», di cui all'art. 1 della stessa Convenzione di Varsavia[80].

Il regolamento 2027/97, peraltro, nel suo testo originario, si è ispirato al sistema del duplice livello di responsabilità (two-tier system)[81], adeguandosi alle indicazioni che provenivano dai lavori per la revisione del sistema della Convenzione di Varsavia; poi, come si è visto, con la revisione apportata dal regolamento 889 del 202, si è limitato a richiamare come applicabile ad ogni trasporto aereo eseguito dai vettori aerei comunitari il regime di responsabilità per il trasporto di persone e di bagagli previsto dalla Convenzione di Montreal del 1999.

Sulla base del testo originario del regolamento 2027 del 1997, che è quello che si applica ancora oggi, in attesa dell’entrata in vigore della Convenzione di Montreal del 1999, il vettore vede esclusa la possibilità di avvalersi di prova liberatoria per le domande risarcitorie fino ad un determinato importo (nel caso del regolamento, l'equivalente in ECU di 100.000 diritti speciali di prelievo, secondo quanto previsto dall'art. 3, § 2), con possibilità di esonero dalla responsabilità solo a condizione che dimostri che il danno è dovuto a negligenza del passeggero ferito o deceduto[82]. Per le domande risarcitorie che eccedano tale limite, può, viceversa, invocare la ricorrenza delle cause di esonero contemplate dalla Convenzione di Varsavia o dalla legge nazionale eventualmente applicabile, come l'adozione di tutte le misure necessarie ad evitare il danno ovvero l'impossibilità di adottare tali misure[83].

Inoltre, il regolamento 2027/97 ha introdotto l'obbligo per il vettore di provvedere «senza indugio» in favore degli aventi diritto al pagamento di anticipazioni, in proporzione del danno, finalizzate a far fronte alle esigenze più immediate che derivino dal sinistro, dando così soluzione positiva, anche se foriera di problemi applicativi di non scarso rilievo, ad una questione che è stata al centro di notevoli controversie nel corso delle trattative per la revisione del sistema della Convenzione di Varsavia.

Occorre puntualizzare che, pur dopo l'entrata in vigore del regolamento CE n. 2027/97 del Consiglio del 9 ottobre 1997, non esiste nemmeno per i vettori comunitari una totale uniformità di regimi di responsabilità. Da un lato, infatti, deve osservarsi che il regolamento comunitario in questione si applica esclusivamente alla responsabilità per i danni alla persona; restano fuori dal suo ambito di applicazione, oltre al trasporto di merci, anche, per quanto riguarda il trasporto di persone, la responsabilità per perdita od avaria del bagaglio (fino a quando non potrà essere applicato il regolamento 889 del 2002), la responsabilità per danni da ritardo e quella per danni da inadempimento. Per i danni che eccedano i centomila diritti speciali di prelievo, restano salvi i criteri di imputazione della responsabilità propri del regime legale applicabile al trasporto (la Convenzione di Varsavia per i trasporti internazionali; le singole discipline nazionali, che, tuttavia, sono comunque ispirate alla Convenzione di Varsavia). Peraltro, il regolamento si applica (salvo assoggettamento volontario), soltanto ai vettori comunitari. Sulla base di tale quadro, deve condividersi quanto è stato autorevolmente constatato circa il fatto che il regolamento abbia apportato un ulteriore contributo alla «frammentazione del c.d. sistema di Varsavia»[84]. Per di più, nel Regno Unito, l'efficacia del regolamento è stata sospesa, a seguito di un ricorso della I.A.T.A., ai sensi dell'art. 234, comma 1, del Trattato istitutivo della Comunità europea[85]. Peraltro come già si è avuto modo di accennare, con la revisione di tale regolamento, di cui al regolamento 889 del 2002, è prevista espressamente l'estensione delle più rilevanti previsioni della disciplina della Convenzione di Montreal anche ai trasporti aerei eseguiti all'interno di uno Stato membro; sicché, nell'ambito degli Stati membri, la disciplina in questione troverebbe applicazione generale, con esclusione soltanto dei trasporti che siano eseguiti da vettori non comunitari, e per i quali la Convenzione di Montreal non sia applicabile ex proprio vigore.

 

 

6. — La nuova Convenzione di Montreal

6.1. — Problemi connessi alla soluzione del plurilinguismo

 

Si è visto come sulla scena del trasporto internazionale è venuta a determinarsi una situazione di coesistenza di una pluralità di diversi regimi di responsabilità del vettore aereo[86]. Del resto, di un'impossibilità di reductio ad unitatem della disciplina uniforme del trasporto aereo si era dovuto prendere atto all'epoca della Conferenza diplomatica di Montreal del 1975, in esito alla quale vennero approvati non uno, ma quattro diversi protocolli di emendamento della Convenzione[87], di cui i primi tre erano destinati ad incidere rispetto ai limiti risarcitori (quantificati in diritti speciali di prelievo), rispettivamente, sul testo originario della Convenzione di Varsavia del 1929, sul testo della Convenzione emendato dal Protocollo del 1955 e, infine, sul testo emendato dal Protocollo del 1971. Il IV Protocollo, viceversa, era destinato anche ad incidere sul regime di documentazione e responsabilità nel trasporto di merci.

Di fronte a tale frammentazione, è prevalsa l'opinione che, piuttosto che addivenire alla conclusione di un ulteriore protocollo di emendamento della Convenzione di Varsavia, sarebbe stato opportuno redigere ex novo una convenzione che si sostituisse alla precedente ed al complesso dei protocolli di emendamento, e che inglobasse in sé anche la disciplina della responsabilità del vettore di fatto, attualmente dettata dalla Convenzione di Guadalajara del 1961[88]. Occorrerà verificare, sulla base delle vicende che seguiranno, se la nuova Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999, sarà in grado di soddisfare l'aspettativa, certamente avvertita, di ristabilire un elevato grado di uniformità del quadro normativo del trasporto aereo internazionale.

La Convenzione è stata redatta in sei testi autentici, nelle sei lingue ufficiali dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (inglese, arabo, cinese, francese, russo e spagnolo) tutti facenti ugualmente fede. È stato così abbandonato, senza (sembrerebbe) una particolare riflessione, il principio della prevalenza della lingua francese, sola lingua ufficiale della Convenzione del 1929, rispetto ai testi degli altri strumenti del Sistema di Varsavia, redatti anche in inglese od in inglese e spagnolo[89]; si tratta di soluzione comprensibile sotto il profilo politico ma che induce a qualche perplessità[90], tenuto conto che la nuova Convenzione si muove nelle linee della Convenzione di Varsavia, e ne adotta in buona parte le soluzioni terminologiche[91]. Può forse avanzarsi l'ipotesi che, poiché la Convenzione di Montreal costituisce evoluzione e consolidamento di quella di Varsavia, ai fini esegetici, vada attribuita una qualche rilevanza alle questioni interpretative ed alla relative soluzioni, svolte con riferimento al testo in lingua francese della Convenzione di Varsavia (unico testo ufficiale) o dei protocolli di emendamento e della Convenzione di Varsavia, in cui il testo in lingua francese era comunque destinato a prevalere, lì dove i lavori preparatori del nuovo testo di diritto uniforme non dimostrino che si sia voluta perseguire una soluzione di rottura rispetto al passato[92]. Sembra che una siffatta ipotesi non sia in contrasto rispetto alle indicazioni dell’art. 31, § 3, della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, di fronte alle differenze di significato, dovendo tenere conto, ai sensi dell’art. 33, § 4, della stessa Convenzione di Vienna, del contesto e di ogni norma internazionale pertinente applicabile ai rapporti fra le parti. In ogni caso, dovrà tenersi conto del significato che meglio si conformi con gli scopi e lo spirito del testo di diritto uniforme[93].

 

 

6.2. — Ambito di applicazione

 

Come la Convenzione di Varsavia, anche la Convenzione di Montreal si applica esclusivamente al trasporto aereo[94] che presenti i requisiti dell'internazionalità, come definiti dall'art. 1 della Convenzione[95]; non può considerarsi internazionale il trasporto aereo in cui, pur essendoci sorvolo del territorio di uno Stato diverso da quello da cui il trasporto è iniziato ed è destinato a terminare, non vi sia scalo all'estero[96], ovvero in cui lo scalo all'estero non sia stato previsto (anche soltanto come eventuale[97]), né voluto dalle parti, ma sia stato effettuato per ragioni contingenti[98].

Tale trasporto può essere sia oneroso che gratuito, purché, in quest'ultimo caso, sia comunque eseguito da un'impresa di trasporto aereo; non sono quindi, di per loro, destinati a ricadere nell'ambito di applicazione della Convenzione di Montreal i trasporti nazionali[99], ai quali, però, si applicherà la disciplina della responsabilità del vettore di persone e di bagagli estrapolata dalla medesima Convenzione di Montreal, per effetto del rinvio di cui al regolamento comunitario 2027 del 1997, nel testo emendato dal regolamento 889 del 2002 , ove si tratti di trasporti eseguiti da vettori comunitari. L'esclusione dal proprio ambito di applicazione dei trasporti postali, già contemplata nell'art. 2 della Convenzione di Varsavia, è integrata dall'affermazione della responsabilità del vettore aereo, sia pure esclusivamente nei confronti delle amministrazioni postali competenti, sulla base delle regole proprie dei rapporti fra queste ultime e vettori (art. 2.2).

 

 

6.3. — I criteri di imputazione della responsabilità vettoriale ed i limiti risarcitori

 

La Convenzione di Montreal del 1999 mantiene essenzialmente la struttura della Convenzione di Varsavia del 1929, pur rivedendo profondamente il regime della responsabilità e della documentazione nel trasporto aereo di persone (rispetto al quale modifica in misura significativa anche i criteri di collegamento giurisdizionale). È rimasta al di fuori della disciplina uniforme la responsabilità vettoriale per mancato imbarco conseguente alla sovraprenotazione, come quella della responsabilità vettoriale per inesecuzione dell'obbligazione di trasporto; pur contemplando la responsabilità per ritardo[100], la nuova Convenzione non introduce alcuna indicazione volta a delimitare le situazioni che possono dare luogo ad un risarcimento a tale titolo, rimettendo all'apprezzamento del giudice ogni valutazione in proposito, con soluzione analoga a quella seguita dalla Convenzione di Varsavia, come dal codice della navigazione[101].

Come già si è avuto modo di anticipare, illustrando il sistema di della responsabilità vettoriale introdotto con il regolamento comunitario 2027 del 1997, che si è ispirato ai lavori preparatori della Convenzione di Montreal, il regime di responsabilità previsto da tale testo di diritto uniforme per il trasporto di persone si base su un duplice meccanismo di imputazione. Si tratta certamente dell’aspetto più significativo della Convenzione di Montreal, il cui art. 17 (introduttivo del Chapter III) si discosta nella formulazione sia dall'art. 17 della Convenzione di Varsavia, nel testo originario (su cui non intervenne il Protocollo dell'Aja del 1955), sia, seppure in maniera meno incisiva, dal testo emendato dal Protocollo di Guatemala City del 1971.

La nuova convenzione ha abbandonato del principio della limitazione vettoriale per i danni alla persona del passeggero, ed introdotto un regime di responsabilità oggettiva per i danni quantificabili entro il controvalore di centomila diritti speciali di prelievo[102]; oltre tale misura, il vettore risponde illimitatamente, ma con la possibilità, espressamente prevista dall'art. 21, di dare la prova negativa che il fatto dannoso non dipenda da «negligence or other wrongful act or omission of the carrier or its servants or agents», ovvero sia stato «solely due to the negligence or other wrongful act or omission of a third party»[103]: contrariamente alla Convenzione di Varsavia, od al codice della navigazione, la prova liberatoria per il vettore viene così formulata in negativo, condizionando l'esonero alla esclusione della ricorrenza di fatti dipendenti da una condotta illecita del vettore o dei soggetti del cui operato il vettore è tenuto a rispondere, salvo il caso della dipendenza integrale del danno da fatto di terzo estraneo[104]. La prova liberatoria di contenuto positivo è stata invece mantenuta, all'art. 19, per quanto concerne il ritardo: è esonerato da responsabilità il vettore che provi di aver adottato tutte le misure idonee e possibili per evitare il danno, ovvero che era impossibile adottarle[105].

Per il trasporto aereo di merci, la nuova Convenzione di Montreal riprende la disciplina posta dal IV Protocollo di Montreal del 1975, confermando per i danni da perdita [106] od avaria un regime di responsabilità oggettiva, ma assoggettata ad una limitazione risarcitoria [107] e mantenendo, viceversa, per il bagaglio «enregistré», un regime di responsabilità fondato sulla colpa, quale risulta dal combinato disposto dell'art. 18, § 1, e dell'art. 20 della Convenzione di Varsavia, come emendati, rispettivamente, dagli artt. IV e V del detto Protocollo del 1975[108]. La Convenzione di Montreal del 1999 prevede anche per tale bagaglio, nell'art. 17, § 2, prima parte, un regime di responsabilità oggettiva; per il bagaglio non consegnato, invece, nell'ultima parte dello stesso art. 17, § 2, la Convenzione di Montreal del 1999 mantiene fermo il criterio dell'imputazione per colpa. Ai fini della limitazione risarcitoria, il bagaglio è considerato globalmente nell'art. 22, § 1, per un importo pari a 1.000 D.S.P. per ciascun passeggero, abbandonando così la soluzione della determinazione sulla base del peso, seguita dall'art. 22 della Convenzione di Varsavia, sia nel testo originario, che in quello emendato dal Protocollo dell'Aja od in quello del IV Protocollo di Montreal, per il solo bagaglio consegnato [109].

Nell'art. 22 della Convenzione di Montreal non è stata ripresa l'affermazione espressa dell'invalicabilità del limite risarcitorio a favore del vettore aereo di merci (quale che sia stata la genesi del danno), contenuta nell'art. 24, § 2, della Convenzione di Varsavia, nel testo introdotto dall'art. VIII del IV Protocollo di Montreal. Non sembra possa dubitarsi circa  la volontà del legislatore di diritto uniforme di mantenere il principio dell'invalicabilità del limite risarcitorio per il trasporto di merci[110]; tuttavia sembra di poter escludere il beneficio della limitazione quanto meno rispetto al danno che sia riconducibile ad una condotta dolosa propria del vettore[111]: al di là di tali ipotesi che siano riferibili direttamente al vettore, non sembra sussista alcun margine per escludere l'operatività del limite risarcitorio[112], salvo il caso della dichiarazione di interesse speciale alla riconsegna che sia accompagnato dal relativo supplemento di tariffa, secondo quanto previsto dall'art. 22, § 3 in esame[113]. In base alla Convenzione di Varsavia, si è fatta questione se il dolo degli ausiliari impiegati per l'esecuzione della prestazione di per sé non escluda la riferibilità del loro operato al vettore[114]; rispetto a tale ipotesi, sembra preferibile la tesi che comunque afferma la responsabilità del vettore; la medesima soluzione sembra la sola coerente rispetto ai criteri di imputazione oggettiva della responsabilità, sia per il trasporto di merci, che per il trasporto di persone, previsti dalla Convenzione di Montreal del 1999. L'art. 30 della Convenzione di Montreal, perfezionando la previsione dell'art. 25A della Convenzione di Varsavia (nel testo emendato dal Protocollo dell'Aja del 1955) ha esteso agli ausiliari di cui il vettore si avvalga per l'esecuzione del trasporto, e che abbiano agito «within the scope of their employment», oltre ai limiti, anche le cause di esonero della responsabilità vettoriale.

La volontà della Convenzione di Montreal del 1999 di uniformarsi per la disciplina del trasporto di merci al regime del IV Protocollo di Montreal del 1975 sembra in effetti confortata dall'assenza di previsioni specifiche circa le condotte che possano portare ad una siffatta decadenza del vettore[115]; d'altra parte, nel successivo art. 30, § 3 (che corrisponde alla previsione dell'art. 25A della Convenzione di Varsavia, introdotto dall'art. XIV del Protocollo dell'Aja del 1955 [116]) con riferimento alla posizione dei dipendenti e preposti del vettore[117] che provino di aver agito nell'esercizio delle loro funzioni nel trasporto di merci, viene esclusa la rilevanza della condotta temeraria e consapevole[118]. L'altro profilo che sembra dover essere considerato è quello dell'assenza di indicazioni nei lavori preparatori circa la volontà del legislatore di diritto uniforme di seguire sul punto specifico per le merci una strada diversa rispetto al modello tracciato dal IV Protocollo di Montreal del 1999[119]. Conseguentemente, viene meno nella Convenzione di Montreal, il rilievo che alla nozione di colpa temeraria e consapevole era assegnato nella Convenzione di Varsavia, come emendata dal Protocollo dell'Aja [120], salvo che per le ipotesi di cui all'art. 22, § 5 (superamento dei limiti risarcitori in caso di danno al bagaglio o per ritardo) e all'art. 30 (decadenza di dipendenti e preposti da limitazioni monetarie ed eccezioni invocabili dai vettori di merci). Va evidenziato come, a questo punto dell’evoluzione del diritto aeronautico, la disciplina della responsabilità del vettore aereo di merci di cui all’art. 951 c. nav., modellata sullo schema originario della Convenzione di Varsavia del 1929, ed applicabile ai trasporti aerei nazionali o che comunque non ricadano nell’ambito della Convenzione di Varsavia (o, in futuro, in quello della Convenzione di Montreal) si presenta addirittura come antitetica rispetto alla disciplina del trasporto internazionale. Nel codice della navigazione, infatti, resta una disciplina caratterizzata da un’imputazione soggettiva, per di più con la possibilità di esonero anche per colpa di pilotaggio, condotta e navigazione, e con un limite risarcitorio comunque superabile nei casi dolo o colpa grave del vettore o dei suoi dipendenti e preposti; viceversa, come si è visto, per il trasporto internazionale di merci è già in vigore un regime di responsabilità oggettiva, con limite risarcitorio invalicabile. La contrapposizione fra i due regimi di responsabilità per il trasporto aereo di merci risalta poi maggiormente, allorché si consideri l’avvicinamento e la prossima sostanziale sovrapposizione della disciplina della responsabilità vettoriale nel trasporto di persone e di bagaglio, per effetto del descritto regolamento comunitario 2027 del 1997 e dell’emendamento a quest’ultimo recato dal successivo regolamento 889 del 2002.

Uno dei problemi di maggior rilievo che si sono riscontrati nella storia dell'applicazione della Convenzione di Varsavia è stato indubbiamente quello della progressiva erosione del valore dei limiti risarcitori da essa previsti, tanto che la più avvertita dottrina aveva avuto modo a suo tempo di segnalare l'esigenza di prevedere un sistema di adeguamento dei limiti, sufficientemente tempestivo, affidato ad un'organizzazione internazionale[121]: a tanto, nella nuova Convenzione di Montreal, si è provveduto con l'art. 24, § 1, che rimette all'Organizzazione dell'aviazione civile internazionale la revisione dei limiti risarcitori mantenuti, con cadenza quinquennale, e con riferimento al tasso di inflazione[122]. L'art. 24, § 2, prevede la possibilità di disapprovazione dell'adeguamento da parte della maggioranza degli Stati membri, nel caso il tasso di inflazione abbia ecceduto il dieci per cento. Si tratta di una disposizione analoga a quella introdotta in altri strumenti di diritto internazionale uniforme in materia di navigazione [123], che comporta l'applicabilità diretta nei singoli ordinamenti nazionali di norme adottate nell'ambito di un'organizzazione internazionale.

 

 

6.4. — L'area del danno risarcibile

 

A monte del problema dei limiti risarcitori, si pone quello del fatto costitutivo dell'obbligazione risarcitoria e del danno risarcibile sulla base della Convenzione di Varsavia e dei suoi protocolli di emendamento, nonché quello dell'ammissibilità, per i danni subiti nel corso dell'esecuzione di un trasporto aereo internazionale cui sia applicabile il regime di diritto uniforme, di un'azione basata su una diversa normativa. Su entrambi i problemi ricordati non è riscontrabile un'uniformità di vedute. In particolare, per quanto concerne l'esperibilità di azioni diverse da quelle previste dalla Convenzione di Varsavia, sulla tesi affermativa, sostenuta forse troppo largamente da alcune corti inferiori degli Stati Uniti[124], è venuta ad incidere la soluzione, invero eccessivamente restrittiva, data alla medesima questione dalla Corte Suprema degli stati Uniti nel caso El Al Israel Airlines, Ltd., c. Tsui Yuan Tseng, sulla base di una lettura dell'art. 24 della stessa Convenzione, che non appare condivisibile, perché, come si è detto, tale ultima disposizione si limita a prevedere l'inderogabilità dei limiti e dei criteri di imputazione, quale che sia il titolo in base al quale l'azione sia stata esperita, anche negli ordinamenti che ammettono il cumulo di responsabilità aquiliana e responsabilità contrattuale[125].

Sembra opportuno ricordare gli orientamenti formatisi circa i presupposti per l'affermazione della responsabilità vettoriale nel trasporto di persone. Essi sono determinati dall'art. 17 della Convenzione di Varsavia, secondo il cui testo originario, che non ha subito emendamenti sulla base del Protocollo dell'Aja del 1955 (e quindi è il testo attualmente vigente): «Le transporteur est responsable du dommage survenu en cas de mort, de blessure ou de toute autre lésion corporelle subie par un voyageur lorsque l'accident qui a causé le dommage s'est produit à bord de l'aéronef ou au cours de toutes opérations d'embarquement et de débarquement». Il successivo art. 19 afferma la responsabilità del vettore per ritardo, con disposizione unica, riferita tanto al trasporto di passeggeri e bagagli, che al trasporto di merci. A tale disciplina corrisponde, nel codice della navigazione italiano, l'art. 942, che considera insieme al danno per i sinistri alla persona del passeggero «dall'inizio delle operazioni d'imbarco al compimento di quelle di sbarco», il danno da ritardo e quello «dell'inadempimento nell'esecuzione del trasporto» (ipotesi, quest'ultima, come si è visto, non contemplata affatto nella Convenzione di Varsavia)[126].

L'art. IV del Protocollo di Guatemala City del 1971, emendando l'art. 17 della Convenzione, aveva introdotto una più articolata disciplina, di cui soltanto il § 1 riguarda le responsabilità per danni alla persona del passeggero (mentre gli ulteriori due paragrafi concernono il trasporto di bagagli). Sulla base dell'art. 17, § 1, della Convenzione, nel testo emendato dal Protocollo di Guatemala City, «Le transporteur est responsable du préjudice survenu en cas de mort ou de toute lésion corporelle subie par un passager, par cela seul que le fait qui a causé la mort ou la lésion corporelle s'est produit à bord de l'aéronef ou au cours de toutes opérations d'embarquement ou de débarquement. Toutefois, le transporteur n'est pas responsable si la mort ou la lésion corporelle résulte uniquement de l'état de santé du passager»[127].

Sulla base del testo originario della Convenzione di Varsavia, si è fatta questione dell'ambito del danno effettivamente risarcibile, sotto un duplice profilo: l'estensione della nozione di «lésion corporelle» e di quella di «accident». Si è posta, in particolare, la questione se il danno meramente psichico o psico-somatico, rientrasse nella prima delle due nozioni evocate; le varie giurisdizioni di fronte alle quali si è posta tale questione, sono addivenute a soluzioni non uniformi ed anche in dottrina non sembra essersi pervenuti ad una soluzione consolidata[128]; dopo alterne vicende, è prevalso nella giurisprudenza della Corte Suprema degli Stati Uniti un orientamento restrittivo[129].

Per quanto concerne la nozione di «accident», secondo l'opinione prevalente, si tratta di un concetto più restrittivo di «fait» (termine, invece, adoperato dal Protocollo di Guatemala City), che richiama un evento inusuale od inatteso, ovvero di intensità inusuale od inattesa rispetto al volo[130]. Si è posta la questione se la nozione di «accident» contenuta nella Convenzione di Varsavia sia da porsi in relazione con la nozione di «accident» cui si riferisce l'Annesso XIII della Convenzione di Chicago, con riferimento, quindi, ad una «occurrence associated with the operation of an Aircraft»[131].  Si è pure dubitato della portata della preclusione di azioni al di fuori del sistema della Convenzione di Varsavia di fronte a vicende ritenute non coincidenti con l'«accident» dell'art. 17 della Convenzione di Varsavia[132].

Nell'ambito del lavori preparatori, due sono stati i punti discussi circa la determinazione dell'area dei danni risarcibili. Da un lato si è ipotizzato di riconsiderare la questione dei danni di natura meramente psicologica, che viceversa nel testo degli articoli 17, 21 e 33 della convenzione approvato dalla conferenza diplomatica non sono stati oggetto di specifica considerazione accanto alle lesioni corporali, disattendendo così la diversa impostazione che si era affacciata nel corso dei lavori [133]. L'altra questione era quella dell'inserimento nell'articolo 16, § 1, del Progetto di Convenzione delle previsione espressa dell'esonero del vettore dalla responsabilità, allorché la morte o la lesione subita dal passeggero fosse risultata come conseguenza dello stato di salute del passeggero; anche rispetto a tale ipotesi, non si è ritenuto di adottare una specifica previsione, che del resto non ha una sua ragion d'essere lì dove prevalga una lettura restrittiva della nozione di «accident»[134]. Una previsione di tal segno è contenuta invece nella seconda parte dell'art. 17, § 1, della Convenzione di Varsavia, nel testo emendato dall'art. IV del Protocollo di Guatemala City del 1971; in quest'ultima disciplina, tuttavia, l'imputazione della responsabilità, come si è visto, è riferita non già alla nozione di «accident ... produit à bord de l'aéronef», ma a quella (dai contorni apparentemente meno definiti) di «fait ... produit à bord de l'aéronef»[135].La Convenzione di Montreal ha adottato una formulazione analoga a quella dell'art. 17, § 1, della Convenzione di Varsavia. Nel testo in lingua inglese, l'art. 17, § 1, della Convenzione di Montreal, prevede che «The carrier is liable for damage sustained in case of death or bodily injury of a passenger upon condition only that the accident which caused the death or injury took place on board the aircraft or in the course of any of the operations of embarking or disembarking». Nel testo francese, l'art. 17, § 1, è viceversa così formulato: «Le transporteur est responsable du préjudice survenu en cas de mort ou de lésion corporelle subie par un passager, par cela seul que l'accident qui a causé la mort ou la lésion s'est produit à bord de l'aéronef ou au cours de toutes opérations d'embarquement ou de débarquement».

Anche per la Convenzione di Montreal, il fatto costitutivo della responsabilità del vettore di persone deve consistere in un «accident» verificatosi sull'aeromobile, ovvero nell'arco temporale compreso fra l'imbarco e lo sbarco del passeggero. Come si vede, non sono state adottate formule che possano contribuire a superare le incertezze applicative che si sono registrate con riferimento alla Convenzione di Varsavia; in particolare non è stata adottata la formula, pur presa in considerazione durante i lavori preparatori, secondo la quale il danno avrebbe potuto includere anche danni di natura psicologica[136]. È esclusa la risarcibilità di punitive damages, exemplary damages ed ogni altra forma di non-compensatory damages[137], anche al fine di non incentivare la pratica del forum shopping[138].

 

 

6.5. — La documentazione

 

Per quanto concerne la documentazione del trasporto, rispetto alla disciplina oggi vigente, la Convenzione di Montreal estende anche al trasporto di persone la possibilità di avvalersi di supporti non cartacei (art. 3), seguendo, del resto, la linea che era stata già tracciata dall'art. II del Protocollo di Guatemala City del 1971[139]; è consentito così il ricorso al biglietto elettronico, già diffuso in particolare nei servizi interni di trasporto aereo negli Stati Uniti d'America, anche ai trasporti internazionali che ricadono nel regime di diritto uniforme[140]. Tuttavia, rispetto a quanto previsto nel Protocollo di Guatemala City del 1971[141], sembra potersi intravedere una maggior sensibilità rispetto al diritto all'informazione dell'utente: è infatti mantenuto fermo il principio della necessità del rilascio di un avviso scritto a ciascun passeggero circa l'applicabilità del regime di diritto uniforme e dei limiti risarcitori che esso comporta. Deve però lamentarsi che il legislatore di diritto uniforme abbia omesso di dare indicazioni circa la lingua in cui l'avviso in questione debba essere formulato; in considerazione delle finalità che a tale avviso sono attribuite, è da ritenere che esso debba essere redatto in maniera tale da essere il più possibile intelligibile[142], condizione che va soddisfatta, verosimilmente, attraverso il ricorso alla lingua nazionale del luogo di inizio del trasporto e/o del luogo in cui è stato concluso il contratto, unitamente alla lingua inglese. L'impiego di quest'ultima, dato che si tratta di trasporti internazionali, si giustifica in ragione della sua diffusione[143].

Diversamente da quanto previsto per le merci, nel caso di utilizzazione di documentazione su supporto non cartaceo, nel trasporto di persone, il vettore non può limitarsi a rilasciare una ricevuta della registrazione («written statement of the information so preserved») soltanto a richiesta dell'utente (come previsto dall'art. 4.2), ma deve provvedere ad offrire espressamente al passeggero di operare in tal senso: si tratta, tuttavia, di un obbligo non sanzionato. Diversamente che per il trasporto di merci, nessuna disposizione specifica è dettata circa l'efficacia probatoria di tale ricevuta.

 

 

6.6. — La questione della «quinta giurisdizione»

 

Si è avuto modo di segnalare come uno dei punti di maggior conflittualità rispetto alla definizione del testo della nuova Convenzione sul trasporto aereo era quella dell'individuazione della giurisdizione di fronte alla quale gli utenti od i loro aventi diritto potessero far valere le proprie ragioni. L'art. 28 (non modificato dal Protocollo dell'Aja del 1955) prevede al § 1 che «L'action en responsabilité devra être portée, au choix du demandeur, dans le territoire d'une des Hautes Parties Contractantes, soit devant le tribunal du domicile du transporteur, du siège principal de son exploitation ou du lieu où il possède un établissement par le soin duquel le contrat a été conclu, soit devant le tribunal du lieu de destination». Già questa formulazione offre una pluralità di possibili fori rispetto ai quali incardinare l'azione; tuttavia, da parte statunitense, si affermava l'esigenza di prevedere, per i danni alle persone trasportate, un ulteriore foro, coincidente con il luogo di residenza del passeggero, soluzione, questa, che al di là di ragioni di perplessità di altra natura, avrebbe lasciato una maggior chance di forum shopping verso quelle giurisdizioni con la tendenza a riconoscere risarcimenti più elevati. Il luogo di residenza del passeggero danneggiato, senza la necessità della ricorrenza di ulteriori presupposti, come criterio di collegamento giurisdizionale sembrava, in effetti, non confacente agli interessi né dei vettori, né dei passeggeri degli Stati caratterizzati da un livello non elevato dei risarcimenti (c.d. low compensation countries). In base ad un siffatto regime, infatti, gli uni si sarebbero trovati «esposti al rischio di essere convenuti davanti a giudici di Stati lontani dalle loro sedi operative e privi di collegamento con i servizi da loro resi con la conseguenza di poter essere costretti a risarcire danni ben più elevati rispetto a quelli previsti negli ordinamenti degli Stati in cui operano»; sugli altri sarebbero ricaduti, attraverso l'aumento dei corrispettivi dei servizi di trasporto, i conseguenti maggiori costi assicurativi[144]. Come soluzione di compromesso, il principio della c.d. quinta giurisdizione è stato accolto, nell'art. 33, § 2, ma condizionato alla ricorrenza del presupposto, al momento dell'incidente, della residenza principale e permanente del passeggero [145] (di cui, invece, non rileva la cittadinanza) nello Stato del foro invocato, in cui operi il vettore aereo, sia direttamente che indirettamente, attraverso un «commercial agreement», di guisa che nessun vettore potesse trovarsi a subire un'azione di fronte all'autorità giudiziaria di uno Stato nel quale non avesse comunque scelto di operare quanto meno indirettamente. Qualche problema può derivare dalla valutazione della natura dell'accordo che sembra essere richiesto ai fini della constatazione dei presupposti della giurisdizione[146];sembra comunque sia sufficiente la ricorrenza di un accordo di code-sharing[147].

Non è stata invece colta l'occasione di chiarire i dubbi interpretativi che pur erano stati registrati nell'applicazione dell'art. 28 della Convenzione di Varsavia. Al riguardo, era stata fatta questione di quale dovesse essere considerato il luogo di destinazione, nel caso di viaggi andata e ritorno[148]. Altro aspetto dubbio è quello della sorte delle azioni civili proposte in sede penale[149]. Infine, non si è chiarito se l'art. 28 della Convenzione di Varsavia abbia rilievo per quanto concerne la determinazione della competenza per territorio, nell'ambito dello Stato di cui venga ad essere affermata la giurisdizione[150].

 

 

 

 



 

[1] Su cui già esiste una letteratura abbastanza ampia: Caplan, Novelty in The Convention, in T.A.Q., 1999, 193; Fearon, La nouvelle Convention de Montreal de 1999 - Une vision americaine, in Rev. fr. dr. aér., 1999, 401; Folliot, La modernisation du système varsovien de responsabilité du transporteur  -La Conference Internationale de Montréal (10 -28 mai 1999), in Rev. fr. dr. aér., 1999, 409; Gates, La Convention de Montréal de 1999, in Rev. fr. dr. aér., 1999, 439 e, (apparentemente versione in lingua inglese del precedente lavoro menzionato) Id., The Montreal Convention of 1999: a report on the Conference and on what the Convention means for air carriers and their insurers, in T.A.Q., 1999, 186; Gonzalez-Lebrero, Montréal 1999 à travérs une optique espagnole, in Rev. fr. dr. aér., 1999, 447; Leffers, Conséquences jurisprudentielles probables de l'evolution du regime de responsabilité du transporteur aérien en Allemagne, in Rev. fr. dr. aér., 1999, 457; Mercer., The 1999 Montreal Convention — a new Convention for new millennium, in T.A.Q., 2000, 86; Poonoosamy, The Montreal Convention 1999 — a question of balance, in T.A.Q., 2000, 79; Rattray, The new Montreal Convention for the Unification of Certain Rules for International Carriage by AirModernisation of the Warsaw System: the search for consensus, in T.A.Q., 2000, 59; Schiller, De la Convention de Varsovie à la Convention de Montréal - Quelques aspects du nouveau regime de responsabilité sous l'angle du droit suisse, in Rev. fr. dr. aér., 1999, 467; Weber - Jakob, The Modernization of the Warsaw System: the Montreal Convention of  1999, in A.A.S.L., 1999, 333; W. halen, The New New Warsaw Convention: The Montreal Convention, in Air Law, 2000, 12. In lingua italiana, v. in generale i commenti di Zampone, Le nuove norme sulla responsabilità del vettore nel trasporto aereo internazionale di passeggeri, in Dir. trasp., 2000, 7 e di Comenale Pinto, Riflessioni sulla nuova convenzione di Montreal del 1999 sul trasporto aereo, in Dir. mar., 2000, 798. Vari contributi sono raccolti nel volume collettaneo Il nuovo diritto aeronautico – In ricordo di Gabriele Silingardi, Milano, 2002.

[2] Al 30 novembre 2002, risultano depositati presso l’ICAO gli strumenti di ratifica, accettazione od adesione della Convenzione degli Stati di seguito elencati (fra parentesi è indicata la data del deposito del relativo strumento): Belize (24 agosto 1999); Ex Repubblica jugoslava di Macedonia (15 maggio 2000); Giapone (26 giugno 2000; Emirati Arabi Uniti (7 luglio 2000); Slovacchia (11 ottobre 2000); Repubblica Ceca (16 novembre 2000); Messic (20 novembre 2000); Bahrain (2 febbraio 2001); Romania (20 marzo 2001); Botswana (28 marzo 2001); Paraguay (29 marzo 2001); Namibia (27 setetmbre 2001); Barbados (2 gennaio 2002); Kenya (7 gennaio 2002); Slovenia (27 marzo 2002); Perù (11 aprile 2002); Giordania (12 aprile 2002); Nigeria (10 maggio 2002); Kuwait (11 giugno 2002); Siria (18 luglio 2002); Grecia (22 luglio 2002); Panama (13 settembre 2002); Nuova Zelanda (18 novembre 2002); Canada (19 novembre 2002); Cipro (20 novembre 2002). Come si vede, sono state raggiunte 25 ratifiche. Ai sensi del suo art. , § 6, la Convenzione di Montreal entrerà in vigore il sessantesimo giorno successivo al deposito del trentesimo strumento di ratifica, approvazione accettazione od adesione (escludendo, però, a tali fini, la rilevanza della ratifica delle organizzazioni regionali di organizzazione economica, pur possibile ai sensi del § 2 dello stesso art. 53.

[3] Sul quale v. ampiamente Romanelli, Il regime di responsabilità del vettore aereo per infortunio al passeggero, in Studi in memoria di Maria Luisa Corbino, Milano, 1999, 749; Silingardi, Reg. CE 2027/97 e nuovo regime di responsabilità del vettore aereo di persone, in Dir. trasp., 1998, 621; Capotosti, Criteri di «ragionevolezza» e obbligo di assicurazione della responsabilità civile del vettore aereo comunitario per i danni ai passeggeri, in Assic., 1997, II, 244; Franchi, Il nuovo regime di responsabilità dei vettori aerei comunitari, in Resp. civ. prev., 1998, 124; Grigoli, La tutela delle vittime degli incidenti aerei nella più recente evoluzione di diritto comunitario e uniforme, in Giust. civ., 2000, II, 363; Tofani, Il regolamento CE 2027 del '97: verso un nuovo regime di responsabilità del vettore aereo di persone, in Dir. ec. assic., 1999, 923. Nella letteratura estera, v. Balfour, Council Regulation (EC) 2027/97 on air carrier liability - a tale of suspense, T.A.Q., 1999, p. 175; Buehrlen, Air Carrier liability for passenger injury within the E.C.: disposing with limits on compensation and other issues, in T.A.Q., 1998, 188.

[4] Va segnalato che la Conferenza diplomatica ha posto le basi perché la Comunità europea possa aderire alla Convenzione, inserendo nelle sue disposizioni finali  una clausola (art. 53) che consente l'adesione delle organizzazioni internazionali regionali con competenza nelle materie disciplinate dalla convenzione stessa, pur escludendo che tali adesioni possano essere rilevanti ai fini di determinare i presupposti per l'entrata in vigore: su tali aspetti, v. da ultimo Brignardello, Problematiche connesse alla firma e alla ratifica della Convenzione di Montreal del 1999 da parte della Comunità Europea, in Dir. mar., 2001, 3.

[5] Pubblicazione avvenuta in G.U.C.E. n.. L 140 del 30 maggio 2002

[6] Convention pour l'unification de certain règles relative au transport aèrien international, adottata nella Seconda Conferenza di diritto privato aeronautico svolta a Varsavia dal 4 al 12 ottobre 1929. Ai sensi del suo art. 36, il solo testo autentico è quello in lingua francese. Traduzioni in lingua inglese furono sia per l'introduzione nel Regno Unito (in base allo United Kingdom Carriage by Air Act del 1932), che per l'introduzione negli Stati Uniti d'America (49 U.S.C. 1502); le differenze fra le due traduzioni sono peraltro marginali, circoscritte a poche differenze lessicali (Mankiewicz, The liability regime of the international air carrier - A Commentary on the present Warsaw System, Deventer, 1981, 197). I successivi protocolli di emendamento dell'Aja del 1955, e di Guatemala del 1971, come la Convenzione complementare di Guadalajara del 1961 sul vettore di fatto, sono stati, viceversa, redatti in tre esemplari autentici (francese, inglese e spagnolo; ad essi si è aggiunto, per il Protocollo di Guatemala del 1971, il testo autentico in lingua russa approvato dal Consiglio dell'Organizzazione dell'Aviazione civile internazionale nel corso della sua ottantaseiesima sessione del 9 ottobre 1975), con la previsione che, in caso di divergenza, dovesse prevalere il testo in lingua francese, destinato a prevalere anche, per quanto concerne i Protocolli di Montreal del 1975, sugli altri tre testi autentici (inglese, spagnolo e russo). Sui problemi connessi alla scelta della lingua di redazione del testo autentico del Protocollo del 1955 (su cui incidevano, accanto a ragioni di coerenza, tenuto conto che il testo-base della Convenzione era comunque redatto esclusivamente in francese, non meno avvertite, da parte della delegazione francese, ragioni di prestigio nazionale), v. Garnault, Le Protocol de la Haye, in Rev. fr. dr. aèr., 1956, 1, 10 - 11). La traduzione in lingua italiana degli strumenti del Sistema di Varsavia è consultabile in Dir. prat. av. civ., II/1978, 198 ss.

[7] È appena il caso di precisare che, in quanto ne ricorrano i presupposti, l'applicazione della Convenzione non è condizionata da un rinvio ad essa di norme di diritto internazionale privato: Pret. Roma, 25 settembre 1997, in Riv. giur. circ. trasp., 1998, 538. Per l'applicazione della Convenzione, piuttosto che la disciplina degli artt. 1690 e 1696 cod. civ. (relativamente alla responsabilità del vettore per omessa tempestiva comunicazione al mittente del rifiuto del destinatario di ricevere la merce), v. Cass., 30 dicembre 1994, n. 11294, in Giust. civ., 1995, I, 3075. Non può considerarsi internazionale il trasporto aereo in cui, pur essendoci sorvolo del territorio di uno Stato diverso da quello da cui il trasporto è iniziato ed è destinato a terminare, non vi sia scalo all'estero (Giannini, Il contratto di trasporto internazionale secondo la Convenzione di Varsavia, in Nuovi Saggi di diritto aeronautico, I, Milano, 1940, 94, ivi 95), ovvero in cui lo scalo all'estero non sia stato previsto, né voluto dalle parti, ma sia stato effettuato per ragioni contingenti (Romanelli, Il trasporto aereo di persone - Nozione e disciplina, Padova, 1959, 175; Ballarino-Busti, Diritto aeronautico e spaziale, Milano, 1988, 618). Si considera invece internazionale, ai fini della Convenzione, il trasporto in cui il vettore abbia eliminato lo scalo all'estero originariamente previsto (Mateesco Matte, Treatise on Air-Aeronautical Law, Montreal - Toronto, 1981, 387). Sul concetto di trasporto aereo «internazionale» nel sistema della Convenzione di Varsavia, v. in generale Arena, Il concetto di trasporto aereo internazionale ai fini della responsabilità del vettore nella Convenzione di Varsavia e nel Protocollo dell'Aja, in Scritti in onore di Salvatore Pugliatti, Milano, 1978, 29; Romanelli, Il trasporto aereo di persone, cit., 171 ss. Con riferimento, in particolare, al problema dell'applicabilità della Convenzione rispetto a trasporti circolari, nonché alla qualificabilità come Stato contraente dello Stato che abbia sottoscritto, ma non ratificato, la Convenzione stessa, ed alle conseguenze di eventi bellici e successioni fra Stati, v. Guinchard, La notion du «Transport international» d'après la Convention de Varsovie, in Rev. fr. dr. aèr., 1956, 14 (commento a Trib. comm. Marseille, 3 novembre 1955).

[8] Sulla discendenza del r.d.l. 28 settembre 1933, n. 1733 dalla Convenzione di Varsavia, v. per tutti Lefebvre d'Ovidio, Sulla disciplina dei contratti di utilizzazione dell'aeromobile con particolare riguardo alla responsabilità del vettore aereo, in Studii per la codificazione del diritto della navigazione, IV, Roma, 1941, 977; Guinchard, L'influence de la convention de Varsovie sur les règles de droit interne relatives à la responsabilité du transporteur aérien, in Rev. fr. dr. aér., 1957, 189, 203 - 204.

[9] Aspetto, questo, messo in evidenza dalla stessa Relazione ministeriale al codice della navigazione, § 591. V. comunque amplius Romanelli, Il trasporto aereo di persone - Nozione e disciplina, cit.,  194 e 220 ss.; analoga soluzione è stata adottata anche in altri ordinamenti: v. al riguardo Guinchard, L'influence de la convention de Varsovie sur les règles de droit interne relatives à la responsabilité du transporteur aérien, cit., ss.; Sarmiento Garcia, Influencia del sistema de Varsovia en el derecho aeronautico latino-americano, in Dir. trasp., 1992, 473.

[10] Relativamente al trasporto di merci e di bagagli, ai sensi dell'art. L.321-3 del Code de l'aviation civile, come modificato da un decreto del 30 marzo 1967 (su cui v. de Juglart, Traité  de Droit aérien, a cura di du Pontavice, Dutheil de la Rochère e Miller, II, Paris, 1992, 306) «La responsabilité du transporteur de marchandises ou de bagages est régie, au cas de transport par air, par les seules dispositions de la Convention de Varsovie du 12 octobre 1929 ou de toute convention la modifiant et applicable en France, même si le transport n'est pas international au sens de cette convention». Più complessa è la previsione, dettata in materia di trasporto di persone, dell'art. L.322-3, come modificato, successivamente, dal décret n° 76-529 del 18 giugno 1976, dal décret n° 82-375 del 6 maggio 1982 e dalla loi n° 89-467 del 10 luglio 1989: «La responsabilité du transporteur de personnes est régie par les dispositions de la Convention de Varsovie comme prévu aux articles L. 321-3, L. 321-4 et L. 321-5. Toutefois, la limite de la responsabilité du transporteur relative à chaque passager, prévue par le paragraphe premier de l'article 22 de ladite convention, est fixée à 750 000 F. Si, en raison d'une modification apportée à la Convention de Varsovie, la limite de responsabilité du transporteur aérien se trouve portée à un niveau supérieur au chiffre susvisé, cette nouvelle limite se substitue à celle de 750 000 F à compter de la mise en vigueur pour la France de la modification de ladite convention. En outre, sauf stipulations conventionnelles contraires, la responsabilité du transporteur effectuant un transport gratuit ne sera engagée, dans la limite prévue ci-dessus, que s'il est établi que le dommage a pour cause une faute imputable au transporteur ou à ses préposés. La responsabilité du transporteur par air ne peut être recherchée que dans les conditions et limites prévues ci-dessus, quelles que soient les personnes qui la mettent en cause et quel que soit le titre auquel elles prétendent agir». Si tratta di una tendenza che in Francia fu inaugurata con una legge del 1957, su cui v. Garnault, La loi française du 2 mars 1957, in Rev. fr. dr. aér., 1957, 289. Per altri ordinamenti che hanno visto l'adozione di un'analoga disciplina, v. Guinchard, L'influence de la convention de Varsovie sur les règles de droit interne relatives à la responsabilité du transporteur aérien, cit., 202 s.

[11] L’art. 3 del regolamento 2027 del 1997, come modificato dal regolamento 889 del 2002, richiama come, per i casi in questione, il regime di responsabilità previsto dalla Convenzione di Montreal del 1999. Per quanto concerne la nozione di «bagaglio» e le distinzione che vanno fatte al suo interno, v. per tutti Rosafio, Riflessioni sulla responsabilità del vettore aereo di bagaglio nella disciplina legale, ne Il nuovo diritto aeronautico- In ricordo di Gabriele Silingardi, cit., 649.

[12] V. in tema Rosafio, In tema di ammissibilità di azioni risarcitore da parte del passeggero al di fuori della Convenzione di Varsavia, in Dir. trasp., 2000, 222, 224, sub nota 4. È stato esattamente precisato da acuta dottrina (Busti, Contratto di trasporto aereo, Milano, 2001, 37) che «l'adesione ad un certo strumento modificativo non comporta l'accettazione anche delle precedenti versioni della Conv. Varsavia, senza cioè quelle modifiche che con esso si intende specificamente apportare»; di conseguenza «...per gli USA la partecipazione, a far tempo dal 4 marzo 1999, al Prot. n. 4 di Montreal, non comporta, di per sé, l'accettazione del testo della Conv. Varsavia soltanto come modificato a L'Aia, dal momento che la volontà di tale Paese colla ratifica del Protocollo del 1975 è proprio quella di non accettare la versione della Convenzione colle sole modifiche apportate dall'emendamento del 1955» (ivi, sub nota 63).

[13] Come è stato posto in luce da autorevole dottrina come «in sostanza le norme in materia di biglietto e bollettino si rivelano essenzialmente dettate in funzione della responsabilità del vettore» (Romanelli, Il trasporto aereo di persone, cit., 184), e la stessa cosa potrebbe dirsi delle norme relative alla documentazione del trasporto di merci; ed «invero il nucleo essenziale della Convenzione è costituito dalla disciplina della responsabilità del vettore» (Romanelli, op. cit., 185).

[14] Nel testo originario della Convenzione, i limiti risarcitori erano determinati in franchi oro-Poincaré; a seguito della decisione degli Stati Uniti (annunziata dall'allora Presidente Nixon il 15 agosto 1971) di sospendere la convertibilità del dollaro in oro, che pure costituiva uno dei fondamenti su cui si era retto fino a quel momento il Fondo monetario internazionale, istituito sulla base degli accordi di Bretton Woods del 1944 (v. in generale Treves, La crisi monetaria del 1971 ed il diritto internazionale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1972, 1366, 1368 ss.). Si pose così, come per altre convenzioni di diritto uniforme, il problema dell'individuazione di un criterio per la conversione in moneta nazionale dei limiti in questione; in assenza di interventi dei legislatori nazionale (come è avvenuto in Italia con la l. 26 marzo 1983, n. 84), andava considerato il valore di mercato dell'oro: Supreme Court of New South Wales, 15-18 agosto e 22 settembre 1988, S.S. Pharmaceutical Co. Ltd. ed altro c. Qantas Airways Ltd., in Dir. mar., 1989, 1171. Nelle revisioni di tali convenzioni di diritto uniforme (su cui v. Silingardi, L'istituto del limite risarcitorio nella disciplina uniforme del trasporto di cose aereo, su strada e per ferrovia, in Dir. trasp., I/1989, 45, 50, nonché, da ultimo, Id., L'istituto del limite risarcitorio: controllo di costituzionalità ed autonomia delle parti, in Dir. trasp., 1992, 345, 392), in luogo dei riferimenti aurei, si è fatto ricorso alla nuova unità di conto adottata dal Sistema monetario internazionale, il diritto speciale di prelievo (sulla quale, v. in generale Solimon, The International Montary System, 1945 - 1981, Napoli, 1984, 195 ss; Gold, Currencies, and Gold-Seventh Survey of New Legal Developments, Washington, 1987, 1/4; Barattieri, Crescente uso dei dsp (diritti speciali prelievo) quale unità di conto, in Bancaria, 1975, 828); a ciò si provvide, per quanto concerne la disciplina del trasporto aereo, con i Protocolli di Montreal del 1975. Si è peraltro fatta in dottrina questione in generale, nell'ambito di sistemi in cui sia comunque prevista una limitazione risarcitoria, su quale soluzione, fra limiti espressi con riferimento al valore dell'oro, e limiti espressi in diritti speciali di prelievo, fosse comunque preferibile per i danneggiati: du Pontavice, À la recherche d'une unité de compte universelle pour les Conventions de droit privé sur la responsabilité, in Ann. dr. mar. aér, 1982, 33; Tranquilli-Leali, Vantaggi ed eventuali correttivi dei limiti espressi in diritti speciali di prelievo, ne Il limite risarcitorio nell'ordinamento dei trasporti, atti del convegno di Modena, 2-3 aprile 1993, Giuffré, Milano, 1994, 321. Per il problema della conversione in valuta nazionale dei limiti riferiti all'oro previsti nelle convenzioni di diritto uniforme, dopo la crisi monetaria del 1971, v. Treves, Sulla conversione in moneta nazionale dei limiti di responsabilità in franchi oro della Convenzione di Varsavia, nota a Trib. Milano, 25 ottobre 1976, in Dir. mar., 1978, 83; Di Bella, Considerazioni sulla conversione in moneta italiana del franco oro previsto dall'art.22 della Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929, in Dir. prat. av. civ., 1979, 203. Come si è accennato, in Italia, il legislatore ebbe poi a provvedere con la l. 26 marzo 1983, n.84 (per un cui commento v. Ballarino, Sostituzione del franco oro Poincarè, adottato dalla Convenzione di Varsavia del 1929 sulla disciplina del trasporto aereo internazionale e dal Protocollo di modifìca dell'Aja del 28 settembre 1955, con i diritti speciali di prelievo del fondo monetario, in Le nuove leggi civ. comm., 1983, 1099). La disciplina della legge n. 84 è stata ritenuta (secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza) applicabile anche ai giudizi in corso (Cass., 4 dicembre 1984, n. 6570, in Dir. mar., 1985, 328; Cass., 27 marzo 1987, n. 2981, in Dir. trasp., I/1988, 149; Cass., 15 novembre 1994, n. 9578, in Contratti, 1995, 383, con nota di Comenale Pinto, Danni alla merce trasportata: applicabilità della convenzione del limite risarcitorio; Cass., 21 giugno 1995, n. 7022, in Dir. trasp., 1995, 811 (su cui v. i rilievi di Tullio, Lo ius superveniens colpisce ancora, in Dir. trasp., 1995, 771); App. Roma, 14 febbraio 1989, in Dir. mar., 1990, 341. In senso contrario v. però App. Milano, 7 luglio 1990, in Foro it., 1992, I, 1287 e (con riferimento alle Regole di Visby), Trib. Genova, 30 marzo 1987, in Dir. mar., 1988, 1167, con nota adesiva di Celle, «Jus superveniens» in tema di limitazione del debito del vettore.

[15] Problemi interpretativi sono sorti con riferimento all’individuazione dell’ambito cronologico di applicazione del regime della responsabilità del vettore di persone, che l’art. 17 della Convenzione di Varsavia, riferisce ai danni che si siano prodotti a bordo dell’aeromobile, ovvero dal momento dell’inizio delle operazioni di imbarco (tendenzialmente fatto coincidere con l’accettazione del passeggero) al termine delle operazioni di sbarco. È da segnalare, peraltro, come una recente giurisprudenza, per sottrarre il gestore dei servizi aeroportuali (nella specie si trattava del trasferimento, tramite interpista, dall’aerostazione all’aeromobile dei passeggeri) dal regime di responsabilità vettoriale (ed escludere che potesse così avvalersi del termine biennale di decadenza di cui all’art. 29 della Convenzione di Varsavia) abbia posto una seria (ed ingiustificata) riserva sull’ambito di estensione temporale della responsabilità del vettore: Cass., 25 settembre 2001, n. 12015, in Dir. trasp., 2002, 231, con nota critica di Badagliacca, L’attività di interpista nel sistema di Varsavia. Al riguardo, si rinvia ai rilievi di Rosafio, Brevi riflessioni sull’applicabilità dell’art. 29 della Convenzione di Varsavia ai preposti del vettore aereo e sulla nozione di «preposto», in corso di pubblicazione in Giust. civ., 2002, fasc. 11.

[16] Ovvero «la responsabilità del vettore è considerata e regolata dalla Convenzione come una forma di responsabilità soggettiva e contrattuale, fondata sulla colpa» (Romanelli, Il trasporto aereo di persone, cit. 185). La formula circa la prova liberatoria per il vettore dettata dalla Convenzione di Varsavia sembra in qualche misura riecheggiata da quella di carattere generale dell'art. 5 della Convenzione di Amburgo del 1978 (cui si affiancano le due ipotesi specifiche dei danni da incendio e dei danni conseguenti ad attività di soccorso): per un confronto, v. Bonassies, La responsabilité du transporteur maritime dans les Règles de la Haye et dans les Règles de Hambourg, in Dir. mar., 1989, 949, 963 ss. Per quanto concerne i non pacifici confini della nozione di «préposé», è da ritenere che essa vada intesa in senso ampio, tale da comprendere tutti i soggetti di cui il vettore si avvalga per l'esecuzione del trasporto: sul punto v. amplius Riguzzi, L'impresa aeroportuale, Padova, 1984, 149; Comenale Pinto, La nozione di “preposto” nel trasporto aereo, ne Il nuovo diritto aeronautico – In ricordo di Gabriele Silingardi, cit., 143.

[17] Cfr. Relazione al Re Imperatore sul libro «Delle obbligazioni», n. 176. Per considerazioni circa la formulazione adottata dall'art. 1681 c. civ., in relazione alla formulazione adottata dall'art. 942 c. nav., v. Iannuzzi, Del trasporto, Bologna-Roma, 1970, 100 ss.

[18] È da osservare, peraltro, che quest'ultima previsione, come quella dell'art. 20 della Convenzione di Varsavia, e contrariamente a quella dettata in tema di trasporto aereo, non contiene un richiamo espresso alla diligenza vettoriale (come nell'art. 942 c. nav.). Ciò ha portato a discutere circa quello che sarebbe (in assenza di un siffatto richiamo alla diligenza richiesta nell'adozione delle misure per evitare il danno) il maggior rigore della responsabilità ex art. 1681 c. civ., rispetto alla responsabilità per inadempimento: cfr. Cottino, L'impossibilità sopravvenuta della prestazione e la responsabilità del debitore, Milano, 1955, 332; Caturani - Sensale, Il trasporto, Napoli, 1960, 44 ss.; si tratterebbe di «formula ... meno rigorosa di quella del receptum prevista nel trasporto di cose ... ma ... sensibilmente più rigorosa di quella dell'art. 1218; ... il vettore, per essere liberato, deve provare di aver adottato tutte le misure atte in concreto ad evitare il danno, cioè, non soltanto le misure idonee in relazione alle norme regolamentari di sicurezza del tipo di servizio prestato, ma anche le misure idonee, in relazione alle circostanze specifiche di ogni singolo caso» (Paolucci, Il trasporto di persone,  Torino, 1999, 158). V. comunque, nel senso che la norma in questione dovrebbe essere letta in relazione al principio generale della «portata del dovere di diligenza del debitore», di cui all'art. 1176 c. civ., e che  «il riferimento alla totalità delle misure idonee ad evitare il danno» non possa essere inteso «... indipendentemente dalla considerazione dei limiti della diligenza che, secondo la valutazione sociale corrente, può essere richiesta ad un'impresa di trasporto» (Iannuzzi, Del trasporto, cit., 97 e 95; in termini analoghi v. da ultimo Riguzzi, Il contratto di trasporto stradale, Torino, 2000, 72). V. in generale, secondo analoga impostazione: Mengoni, Responsabilità contrattuale (diritto vigente), in Enc. dir. XXXIX, Milano, 1988, 1072, 1098; Natoli, L'attuazione del rapporto obbligatorio, II, Il comportamento del debitore, Milano, 1984, 98. Contra, ritenendo che per soddisfare l'onere probatorio in questione, non sia sufficiente per il vettore la prova della «adozione di quelle misure che, in quanto padre di famiglia, dedito ad una particolare attività e date le circostanze, da lui si potessero pretendere»; viceversa, sarebbe necessaria comunque la prova della « adozione di tutte le precauzioni in sé e per sé idonee e necessarie, in relazione ovviamente colla natura e pericolosità dell'attività, ad evitare il danno»: Cottino, L'impossibilità sopravvenuta della prestazione e la responsabilità del debitore, cit., 333. Con riferimento al trasporto di cose, nel senso della perfetta coincidenza fra previsione dell'art. 951 c. nav. e previsione dell'art. 1218 c. civ., v. Giorgianni, L'inadempimento, Milano, 1975, 256 (ma lo stesso A. precisa altresì che la prova liberatoria dell'adozione di tutte le misure idonee ad evitare il danno, di cui all'art. 1681 c. civ., peraltro, riferita al solo trasporto di bagagli, costituirebbe «una prova più rigorosa rispetto all'articolo 1218»). Nel senso che nell'art. 942 c. nav. sarebbe riscontrabile un «alleggerimento dell'onere probatorio che tien conto dei maggiori rischi della navigazione aerea», v. Barassi, Teoria generale delle obbligazioni, III, Milano, 1964, 365.

[19] Cfr. A. Giannini, Il contratto di trasporto internazionale secondo la Convenzione di Varsavia, in Nuovi Saggi di diritto aeronautico, I, Milano, 1940, 94, ivi, 103; Lefebvre d'Ovidio, Sulla disciplina dei contratti di utilizzazione dell'aeromobile con particolare riguardo alla responsabilità del vettore aereo, in Studii per la codificazione del diritto della navigazione, IV, Roma, 1941, 997; Romanelli, Principi comuni del diritto uniforme dei trasporti, in Studi in memoria di Gino Gorla, Milano, 1994, 1315, 1317; Seriaux, La faute du transporteur, Paris, 1984, 144; Torrente, L'impresa e il lavoro nella navigazione. I contratti di utilizzazione della nave o dell'aeromobile, Milano, 1964, 155.

[20] Fra i rari casi in cui si è fatta applicazione della previsione in questione, può ricordarsi New York Supreme Court, American Smelting and Refining Co. v. Philippine Airlines, in US Av. Rev., 1954, 221, che escluse la responsabilità del vettore per essersi il danno verificato a seguito della caduta dell'aeromobile, cagionata da una «combination of factors, including negligent piloting, faulty and erronueus instructions from the ... Airport Control Tower, possible ... of the pilot to obey instructions from the control tower and/or to follow defendant's established landing procedures, poor weather conditions and a dangerous landing field and surronding terrain». La decisione venne poi confermata da American Smelting & Refining Co. v. Philippine Air Lines, Inc. [Court of Appeals of New York, 8 giugno 1956], 1 N.Y.2d 866 (anche in Rev. fr. dr. aér., 1957, 279).

[21] Nell'ambito dei quali, secondo la prevalente giurisprudenza, rientra anche il nostro: per un applicazione relativa al trasporto aereo di merci, v. Cass., 19 gennaio 1996, n. 418, in Dir. trasp., 1997, 153; v. anche, con riferimento al trasporto aereo (di bagaglio, retto dal codice della navigazione), Pret. Roma, 23 marzo 1988, in Dir. mar., 1989, 1138, con nota di Medina, Ancora sul concorso o meno di responsabilità contrattuale e extracontrattuale del vettore aereo e sulla decadenza dell'azione di responsabilità. Non riferita ad un trasporto aereo, nel senso dell'ammissibilità, v. recentemente Trib. Torino, 16 febbraio 1998, in Giur. it., 2000, 320. Al di là dell'affermazione in astratto della possibilità del cumulo, altra giurisprudenza nega in concreto che chi sia legittimato all'azione contrattuale, possa esperire anche l'azione extracontrattuale, per quanto concerne il trasporto di merci: v. Cass., 26 luglio 1983, n. 5121, in Giur. it., 1984, I, 1, 260, ovvero in Dir. mar., 1984, 845 con nota di Lopez De Gonzalo, Orientamenti della giurisprudenza in tema di concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale nel trasporto marittimo di cose (che, affermata in generale l'ammissibilità del concorso, precisa poi esso trova applicazione nei, non meglio precisati, «limiti dell'ordinamento positivo»); Trib. Genova, 3 dicembre 1994, in Dir. mar., 1996, 480. In dottrina, nel senso di ammettere il concorso fra azione contrattuale ed azione extracontrattuale verso il vettore, v. Bianca, Inadempimento delle obbligazioni, Bologna-Roma, 1979, 4; Caturani-Sensale, Il trasporto, Napoli, 1960, 53; Stolfi, Appalto - Trasporto, Milano, 1966, 119 (ed in generale, sull'ammissibilità del concorso, v. De Cupis, Il danno, I, Milano, 1979, 113); Riguzzi, Il contratto di trasporto stradale, cit., 67. Per dubbi circa l'ammissibilità del concorso, v. Rossello, Brevi rilievi sugli orientamenti della giurisprudenza italiana in materia di concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale (relazione al Convegno sull'Associazione Italiana di Diritto Marittimo sull'entrata in vigore per l'Italia dei Protocolli del 1968 e del 1979 alla Convenzione di Bruxelles 25 agosto 1924 sulla polizza di carico, Genova, 9 maggio 1986), in Dir. mar., 1986, 605; in senso negativo v. già Asquini, Massime non consolidate in tema di trasporto di persone, in Riv. dir. comm., 1952, II, 4; Russo, Concorso di azione aquiliana e contrattuale nel contratto di trasporto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, 962; Vassalli, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale per morte del passeggero in trasporto aereo, in Scritti giuridici in onore di Antonio Scialoja, I, Bologna, 1952, 339. Da ultimo, segue la tesi contraria al cumulo: Mastrandrea, L'obbligo di protezione nel trasporto aereo di persone, Padova, 1994, 107 ss.

[22] In tema, v. Romanelli, I contratti di utilizzazione della nave e dell’aeromobile, ne Il cinquantenario del codice della navigazione, a cura di Tullio e Deiana, Cagliari, 1993, 221, 233; Spasiano, Concorso fra azione contrattuale ed extracontrattuale (relazione al Convegno sull'Associazione Italiana di Diritto Marittimo sull'entrata in vigore per l'Italia dei Protocolli del 1968 e del 1979 alla Convenzione di Bruxelles 25 agosto 1924, cit.), in Dir. mar., 1986, 598, 604.

[23] Ne deriva l'applicabilità, ai trasporti internazionali assoggettati alla legge italiana, dell'art. 942, c. nav.: v. Romanelli, Il trasporto aereo di persone, cit., 230, nota 44; Rovelli, Il trasporto di persone, Torino, s.d. (ma 1970), 182.

[24] Ovvero dalla deliberata promessa da parte del vettore di effettuare la propria prestazione in un momento determinato ad un numero di utenti maggiore di quello che i suoi mezzi gli consentono di soddisfare, secondo una prassi che i vettori stessi vorrebbero giustificare come rimedio alla tendenza dei passeggeri a non acquistare i biglietti, pur dopo aver effettuato la prenotazione per un certo volo. Per quanto concerne il nostro ordinamento, una specifica disciplina è data dal Regolamento (CEE) n. 295/91 del Consiglio del 4 febbraio 1991. Sul punto, si rinvia a Comenale Pinto, Considerazioni in tema di sovraprenotazione nei servizi di trasporto aereo, in Studi in memoria di Maria Luisa Corbino, Milano, 1999, 159. In tema, v. anche v. Cavalli - Dondi, Il regolamento CEE sull’«overbooking» nei trasporti aerei, in Dir. com. e scambi internaz., 1991, 429; Girardi, Riflessi giuridici dell’overbooking nel trasporto aereo di linea, in Dir. trasp. II/1988, 169; Id., Recenti sviluppi della regolamentazione dell’overbooking ed applicazione degli schemi di indennizzo per mancato imbarco, in Dir. trasp., 1992, 413; Verde, La prenotazione nel traffico passeggeri marittimo ed aereo, in Dir. trasp., I/1991, 13. Sulle ipotesi giustificative della sovraprenotazione, v. per tutti Silingardi, Attività di trasporto aereo e controlli pubblici, Padova, 1984, 218 ss. È da dire, peraltro, che, a livello comunitario, si è proposta la modifica del regolamento 295/91, per includervi anche le ipotesi di inesecuzione del contratto di trasporto, a prescindere dalla sovraprenotazione, per cancellazione del volo: cfr. Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri del trasporto aereo in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato, in G.U.C.E. n. C 103 E del 30 aprile 2002.

[25] V. fra gli altri: Ballarino - Busti, Diritto aeronautico e spaziale, Milano, 1988, 607; de Juglart, Traité de Droit aérien, I, Paris, 1989, 1160; Diederiks-Versschoor, An Introduction to Air Law, Deventer, 1983, 48; Mateesco Matte, Treatise on Air-Aeronautical Law, cit., 421; Romanelli, Il trasporto aereo di persone, cit., 230; Id., Uniform Rules of Air Carriage (relazione all'International Conference on Current Issues in Maritime Transportation, Genova, 22 giugno 1992), in Dir. mar., 1992, 1036; Rovelli, Il trasporto di persone, cit., 38; Tosi, Responsabilité aérienne, Paris, 1978, 54; Wilkinson, Recovery of punitive damages under Warsaw Convention. A hotly contested issue in the USA, in Air Law, 1991, 25, 27. Da ultimo, v. Rosafio, In tema di ammissibilità di azioni risarcitore da parte del passeggero al di fuori della Convenzione di Varsavia, cit.; nella giurisprudenza canadese, cfr. George Straith Ltd. v. Air Canada [Supreme Court of British Columbia, 20 settembre 1991], 1991 T.L.W.D. LEXIS 6589. E, sotto tale profilo, non sembra potersi condividere il rilievo (per cui, v. Tofani, Il regolamento CE 2027 del '97, cit., 924) del carattere «autosufficiente» della Convenzione del 1929.

[26] de Juglart, Traité de droit aérien, II, cit., 302 ss.; Lureau, La responsabilité du transporteur aérien - Lois nationales et Convention de Varsovie, Paris, 1961, 102; Romanelli, Il trasporto aereo di persone, cit., 230; Tosi, Responsabilité aérienne Paris, 1978, 54.

[27] È stato così escluso che, ove risulti inutilmente decorso il termine di due anni dalla data dell’arrivo a destinazione, o dalla data in cui l’aeromobile avrebbe dovuto arrivare a destinazione, ovvero dalla data in cui è terminato il trasporto, il passeggero potesse comunque esperire un’azione sulla base del diritto interno, per i danni subito durante il trasporto (lesioni subite a seguito della caduta di un elicottero in un volo internazionale): Gal v. Northern Mountain Helicopters Inc. [British Columbia Court of Appeals, 13 agosto 1999], 1999 B.C.D. Civ. LEXIS 2261. Diversa questione è quella della risarcibilità dei danni non contemplati dalla Convenzione di Varsavia, o derivanti da cause diverse da quelle previste dalla stessa Convenzione, oggetto della recente decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti El Al Israel Airlines, Ltd. v. Tsui Yuan Tseng [U.S. Supreme Court, 12 gennaio 1999], 525 U.S. 155 (anche in Dir. trasp., 2000, 205) che è pervenuta ad una soluzione eccessivamente restrittiva, per le ragioni che si esporranno, allorché si affronterà il tema del danno risarcibile. V. comunque i rilievi di Rosafio, In tema di ammissibilità di azioni risarcitore, cit.

[28] Per un'applicazione in materia, v. App. Roma, 17 dicembre 1986, in Dir. mar., 1988, 756, con nota di Ivaldi, Approccio c.d. sistematico e «integrazione» della disciplina internazionale uniforme applicabile ai trasporti, che ha ritenuto che la disciplina dell'art. 29 della Convenzione di Varsavia dovesse essere integrata con quella dell'art. 2966 c. civ., che esclude la decadenza nel caso di riconoscimento del diritto. Posto che, il contratto di trasporto aereo è un sottotipo del contratto di trasporto disciplinato dagli artt. 1678-1702 cod. civ. e che tale ultima normativa «ha il carattere di disciplina generale del contratto di trasporto anche se su di essa poi prevalgono (in virtù dell'espressa norma dell'art. 1680 cod. civ.) le norme dettate dal codice della navigazione e dalle leggi speciali per i singoli trasporti»: così Romanelli, Riflessioni sulla disciplina del contratto di trasporto e sul diritto dei trasporti, in Dir. trasp., 1993, 296, ivi 298. Da ultimo, conf. Riguzzi, Il contratto di trasporto stradale, cit., 10. Si pone, peraltro, il problema del rilevo da attribuire alla disposizione di cui all'art. 1680 cod. civ.: se cioè da essa derivi o meno (come è stato sostenuto da una parte della dottrina) la sussunzione delle norme del Capo VIII «Del trasporto» fra le norme di diritto della navigazione, con conseguente loro applicazione prima del ricorso all'analogia prioritaria di cui all'art. 1 cod. nav., e prima di regolamenti ed usi (in tal senso: Fiorentino, I contratti navali, Napoli, 1959, 75; Gaeta, Le fonti del diritto della navigazione, Milano, 1965, 217; Iannuzzi, Del trasporto, Bologna - Roma, 1970; contra Romanelli, Il trasporto aereo di persone, cit.,  138).

[29] Giannini, Protocollo dell'Aja 1955 per la revisione della convenzione di Varsavia 1929 sul trasporto aereo, in Riv. dir. nav., 1955, 1, 1798. Sui lavori preparatori che hanno portato alla redazione del testo approvato in sede di conferenza diplomatica, v. Dagna, La revisione della Convenzione di Varsavia alla IX sessione del comitato giuridico dell'I.C.A.O. (Rio de Janeiro, agosto - settembre 1953), in Riv. dir. nav., 1954, I, 41

[30] Tale dottrina aveva trovato espressione anche nell'accordo di Montreal del 13 maggio 1966 fra il CAB e le compagnie che operavano servizi di trasporto aereo che interessavano gli USA (e sul quale si avrà modo di tornare nel prosieguo): in esso era contemplata infatti la previsione di un avviso sul biglietto relativo alla limitazione risarcitoria applicabile per il trasporto di persone, e di una nota sui limiti applicabili per il trasporto di bagaglio, di cui stabiliva le caratteristiche tipografiche (« ... the notice ... shall be printed in type at least as large as 10 point modern type and in ink contrasting with the stock ... »).

[31] Occorre evidenziare che il menzionato accordo di Montreal del 13 maggio 1966, che, come si è visto, pur prevedeva l'obbligo di avviso e ne stabiliva i requisiti tipografici, non contemplava alcuna previsione di decadenza dal beneficio del limite, nel caso di inottemperanza del vettore su tale specifico aspetto.

[32] Si tratta del noto caso Lisi v. Alitalia, [U.S. Court of Appeals, 2nd Cir., 16 dicembre 1966] 370 F.2d 508; 1966 U.S. App. LEXIS 3999 (con l’opinione dissenziente del giudice Moore), su cui v. Rinaldi Baccelli, In tema di responsabilità del vettore aereo, in Riv. dir. nav., 1966, II, 189; impugnazione respinta dalla Corte Suprema, con la decisione Alitalia-Linee Aeree Italiane, S.p.A. v. v. Lisi [U.S. Supreme Court, 25 marzo 1968] 390 U.S. 455 (1968), per la parità di voti fra i giudici: per una ricostruzione della vicenda, v. Mankiewicz, From Warsaw to Montreal with certain intermediate stops; marginal notes on the Varsaw system, in Air Law, 1989, 239, ivi 250). In senso contrario alla decisione della Corte d'appello, v. Mankiewicz, Irregularité des documents de transport prescrits par la Convention de Varsovie, in ET.L, 1973, 1. Peraltro, nel coevo caso Berguido c. Eastern Air Lines  [U.S. Court of Appeals, 3rd Cir., 23 novembre 1966], 9 Avi 18,319, di fronte ad analoga situazione di fatto, escluse la decadenza del vettore dal beneficio della limitazione. Nel medesimo senso del caso Lisi v. Alitalia, v. Bayless v. Varig, [U.S. District Court, Southern District of New York, 15 maggio 1968] 10 Avi 17,881, (anche in Rev. gén. air, 1972, 215). In Warren v. Flying Tiger Line [U.S. Court of Appeals, 9th Cir., 25 ottobre 1965] 9 Avi, 17, 848, venne escluso il diritto del vettore ad avvalersi della limitazione, perché il biglietto era stato consegnato al passeggero soltanto sulla scaletta dell'aereo, al momento dell'imbarco, non lasciandogli quindi alcuna possibilità di stipulare un'assicurazione per il rischio del volo, tale da consentirgli di ottenere comunque un indennizzo (e comunque l'avviso sulla limitazione era scritto in caratteri troppo piccoli per essere comprensibili); analogamente era stato deciso da Mertens v. Flying Tiger Line [U.S. Court of Appeals, 2nd Cir., 16 febbraio 1965] 9 Avi., 17,475 (v. il commento di Pourcelet, in Rev. gén. air, 1966, 1976). Sulla base della difficoltà di lettura dei caratteri in cui era dato l'avviso di limitazione, il beneficio della limitazione è stato escluso anche in In re Air Crash Disaster at Warsaw, Poland, on March 14, 1980 [U.S. Court of Appeals, 2nd Cir., 8 aprile 1983], 705 F.2d 85. Per una ricostruzione del quadro giurisprudenziale statunitense in materia, v. Adelson, commento al caso Chan v. KAL, in J.A.L.C., 1990 - 1991, 939. Con riferimento alla fair opportunity di rendere la dichiarazione di valore nel trasporto marittimo di merci, v. Comenale Pinto, Ripensamenti del quarto Circuito in tema di fair opportunity, nota a Pearson v. Leigh Hopegh,[U.S. Court of Appeals, 4th Cir., 16 gennaio 1992], in Dir. trasp., 1993, 109.

[33] V. ad esempio Supreme Court of Canada, 20 dicembre 1976, Montreal Trustt Co. and R.J. & A. H. Stampleman (con una decisione presa a maggioranza di quattro voti contro tre, in cui doveva farsi applicazione della Convenzione di Varsavia, come emendata dal Protocollo dell'Aja), in Lloyd's Rep. 2/1977, 80; una sintesi ed un commento di Magdalénat è in A.A.S.L., 1977, 469. Tuttavia, pur con riferimento al medesimo incidente, Supreme Court of Canada, 20 marzo 1979, Ludecke v. Canadian Pacific Airlines, in Lloyd's Rep. 2/1979, 260, sul presupposto che dovesse farsi applicazione della Convenzione nel testo originario (trattandosi di viaggio cominciato a Londra, con biglietto emesso da una compagnia inglese, ed in cui la compagnia canadese convenuta era il vettore successivo, che aveva operato la tratta finale in cui l'incidente si era verificato) e ritenendosi comunque che in ogni caso fossero stati rispettati i requisiti di contenuto del biglietto richiesti dalla normativa applicabile, e comunque tali contenuti fossero stati stampati in un carattere agevolmente leggibile da una persona media.

[34]Ci si riferisce, qui, alla pronunzia della Corte Suprema degli Stati Uniti sul caso Chan v. KAL [U.S. Supreme Court, 8 aprile 1989], 490 U.S. 122; 109 S. Ct. 1676; 104 L. Ed. 2d 113; 1989 U.S. LEXIS 2026, su cui v. Adelson, Commento al caso Chan v. KAL, in J.A.L.C., 1990 - 1991, 939; Kayser, Chan v. Korean Air Lines; Lisi vs. Alitalia undone?, in A.A.S.L., 1990, 505; Schmid, Legal consequences of the Chan v. Korean judgment for cargo cases, in Air Law, 1991, 22; Moore, Chan v. KAL Ltd: the United States Supreme Court eliminates the American rule to the Warsaw Convention, in Hastings Int. and Comp. L.R., 1990, 229; Thomas, Licensed to Limit without Notice: the Case of Chan v. KAL, in Loyola of Los Angeles Int. and Comp. L .J., 1990, 95. In lingua italiana, v. Coletta, In tema di adeguatezza della clausola di richiamo alla convenzione di Varsavia del 1929 inserita nel biglietto di passaggio, in Dir. trasp., 1991, 291 (cui si rinvia anche per richiami alla ulteriore  giurisprudenza statunitense sul punto: 292, nota 1). È da dire peraltro che un certo revisionismo verso la tendenza della giurisprudenza statunitense a ritenere indispensabile che il vettore che voglia avvalersi anche di una limitazione debba darne avviso all'utente, in maniera che costui abbia una effettiva possibilità di ovviare alle conseguenze pregiudizievoli che, nel caso di un eventuale danno, gli deriverebbero dall'applicazione della limitazione, eventualmente rendendo una dichiarazione di valore sulle merci da trasportare è stata registrata anche nel trasporto marittimo: v. ad esempio il caso Pearson v. Leigh Hopegh [U.S. Court of Appeals, 4th Cir., 16 gennaio 1992], cit.; in tema cfr. comunque Sturley, The Fair Opportunity Requirements Under COGSA Section 4(5): A Case Study in the Misinterpretation of the Carriage of the Goods by Sea Act, in J.M.L.C., 19/1988, 1.

[35] V. al riguardo Silingardi, L'istituto del limite risarcitorio: controllo di costituzionalità ed autonomia delle parti, cit., 399 ss.). Si tratta di un orientamento espresso, per il trasporto marittimo di merci, da C. cost., 19 novembre 1987, n. 401, in Dir. mar., 1988, 59, con nota di F. Berlingieri Jr., Legittimità costituzionale dell'art. 423 c. nav, nonché in Dir. trasp., II/1988, 196, con nota di Comenale Pinto, Brevi considerazioni sul limite del debito del vettore marittimo e sulla sua legittimità costituzionale (vedi anche le autorevoli considerazioni del relatore della decisione in questione: Pescatore, Riflessi costituzionali della limitazione della responsabilità del vettore nautico, in Dir. trasp., I/1988, 1). Per quanto concerne il trasporto di merci su strada, v. C. cost., 16 febbraio 1993, n. 64 (in Dir. trasp., 1993, 377, con nota di Riguzzi, Brevi note sulla legittimità costituzionale del limite del debito del vettore stradale. In estrema sintesi, secondo la ricordata giurisprudenza della Corte costituzionale, per quanto riguarda il trasporto di merci, nelle discipline da essa esaminate, sarebbero da distinguere due diversi regimi di responsabilità, di cui uno (dietro corresponsione di un nolo più basso) sarebbe sottoposto a limitazione, l'altro, viceversa, non sottoposto a limitazione, implicherebbe il pagamento del sovrannolo, a seguito della dichiarazione di valore: e la scelta per l'adozione dell'uno o dell'altro sarebbe rimessa all'autonomia contrattuale delle parti. Per perplessità su tale orientamento, tenuto conto, fra l'altro del diverso potere contrattuale degli utenti (e degli utenti non professionali in particolare), v. Romanelli, La limitazione nella giurisprudenza costituzionale, ne Il limite risarcitorio nell'ordinamento dei trasporti, atti, cit., 27, ivi 39, «la dichiarazione di valore ha un valore marginale nel regime della responsabilità del vettore previsto dalle norme uniformi e dalla disciplina nazionale che da esse è in qualche modo derivata: non sembra quindi convincente il tentativo, pur estremamente suggestivo, di attribuire ad essa la funzione essenziale di discriminare due distinti e molto diversi regimi di responsabilità. Tanto più che la ritenuta influenza di limiti estremamente bassi rende uno dei due regimi (quello normale) caratterizzato da una forma di responsabilità solo simbolica, e quindi, almeno sul piano fattuale, da una irresponsabilità del vettore: un trasporto con il rischio della perdita od avaria a carico del ricevitore. In secondo luogo, la dichiarazione di valore è di fatto scarsamente utilizzata, dato che nella prassi essa è avvertita come uno strumento meno efficiente di quello assicurativo che risponde come e meglio di essa, ed in maniera meno costosa, alla finalità del caricatore di ottenere un ristoro integrale dei danni eventualmente subiti nel corso del trasporto»; in tema v. anche Tullio, La tutela del passeggero e dell'auto al seguito nel contratto di trasporto marittimo, in Boll.int.sardi, 1992, 383; Id., L'agevole esplicazione della dichiarazione di valore come presupposto della valutazione di costituzionalità dell'art. 423 c. nav. (nota a C. cost., ord., 10 gennaio 1991 n. 8), in Dir. trasp., 1992, 485. Si tratta di soluzione non dissimile da quella indicata dalla giurisprudenza d'anteguerra, pur contrastata da autorevoli voci dottrinali, che riteneva applicabile anche al trasporto marittimo l'art 416 c. comm.: App. Torino, 28 luglio 1937, in Foro it., 1938, I, 425 (con nota contraria di Dominedò, Limiti di validità delle clausole d'esonero di responsabilità, ora in Saggi di diritto della navigazione, Padova, 1951, 198); Cass., 7 dicembre 1938, in Riv. dir. nav., 1939, I, 3 (con nota contraria di Dominedò, Giustificazione causale delle clausole d'esonero di responsabilità del vettore, ora Saggi di diritto della navigazione, cit., 212; in senso contrario v. anche Franceschelli - Lefebvre d'Ovidio, Sulle diverse forme d'applicazione dell'art. 416 c. co. ai trasporti marittimi, in Riv. dir. nav., 1939, II, 340). Nella giurisprudenza estera,  un'ottica analoga è seguita da App. Algeri, 22 febbraio 1951, in Dr. mar. fr., 1951, 435.

[36] Può incidentalmente ricordarsi che in un recente caso giurisprudenziale italiano non sembra essere stata colta la differenza fra la formulazione dell'Aja e quella originaria di Varsavia: Trib. Busto Arsizio, 10 gennaio 1996, in Dir. trasp., 1997, 173 (con nota contraria di Piccorossi, La decadenza del vettore aereo internazionale dal beneficio della limitazione del debito, ivi, 182), fra le premesse della motivazione afferma testualmente di ritenere che «debba essere escluso ogni riferimento a concetti che non siano propri del nostro ordinamento giuridico (quali la wilful misconduct anglosassone a cui l'elemento soggettivo di cui all'art. 25 è assimilato) e ciò in quanto l'art. 25 della Convenzione di Varsavia rinvia esplicitamente alla legge del tribunale adito, in base alla quale deve essere compiuta l'interpretazione del predetto concetto di colpa» (occorre peraltro aggiungere che non sembra che tale considerazione abbia poi influito sulla soluzione data al caso in concreto). D'altra parte, nella giurisprudenza statunitense, Doris Cristina Piamba Cortes v. American Airlines, Inc. [U.S. Court of Appeals, 11th Cir., 15 giugno 1999], 177 F.3d 1272; 1999 U.S. App. LEXIS 13191; 1999 AMC 2286, ha sostenuto che l'entrata in vigore del IV Protocollo di Montreal negli Stati Uniti non avrebbe, nonostante la formulazione diversa, comportato un cambiamento circa lo standard di condotta idonea a determinare la decadenza del vettore dal beneficio della limitazione.

[37] Cheng, Wilful misconduct: from Warsaw to Hague and from Brussels to Paris, in A.A.S.L., 55, 66; du Pontavice, L'interpretation des Conventions internationales portant loi uniforme dans les rapports internationaux (A propos de la Convention relative au transport aérien international signée à Varsovie en 1929), in A.A.S.L., 1982, 3, 8; Goldhirsch, The Warsaw Convention Annoted, Dordrecht/Boston/London, 1988, 121-122; Mankiewicz, From Warsaw to Montreal with certain intermediate stops, cit.,  246 e segg.

[38] Sembra comunque prevalere l'interpretazione oggettiva o in abstracto. Si tratta di posizione sviluppata in particolare dalla Cassazione francese: Cass. fr., 5 dicembre 1967, in Rev. fr. dr. aér., 1968,102; Cass. fr., 24 giugno 1968, in Rev. fr. dr. aér., 1968, 453; Cass. fr., 5 febbraio 1980, in Rev. fr. dr. aér.,  1980, 200. Nell'ambito della non frequente giurisprudenza italiana sul punto, v. in tal senso Trib. Busto Arsizio, 10 gennaio 1996, cit. Per l'orientamento soggettivo, v. Cass. Belgio, 27 gennaio 1977, in Rev. fr. dr. aér., 1977, 193; Trib. fed. Svizzera, 14 novembre 1967, in Rev. fr. dr. aér.,  1974, 75; Trib. Milano, 19 giugno 1972, in Mon. trib., 1972, 967; App. Roma, 27 ottobre 1982, in Dir. mar., 1982, 293; Cass. Gabon, 15 dicembre 1980, in Rev. fr. dr. aér.,  1981, 363. V. anche, nella linea dell’approccio soggettivo, nella giurisprudenza statunitense: Montatami v. Kuwait, [U.S. District Court for the Eastern District of New York, 3 marzo 1987] 1987 U.S. Dist. LEXIS 16801 (anche in Air Law, 1987, 297); Bayer Corp. v. British Airways [U.S. Court of Appeals, 4th Cir., 17 aprile 2000], 210 F.3d 236; 2000 AMC 1947. Analogamente, nella giurisprudenza canadese: Connaught Laboratories Ltd. v. British Airways [Ontario Superior Court of Justice, 4 settembre 2002], 116 A.C.W.S. (3d) 322; 2002 A.C.W.S. LEXIS 5621.

[39] Romanelli, Uniform Rules of Air Carriage (relazione all'International Conference on Current Issues in Maritime Transportation, Genova, 22 giugno 1992), in Dir. mar., 1992, 1036, 1038; Id., Principi comuni nelle convenzioni internazionali in materia di trasporto, relazione al Convegno di Genova (22 - 23 gennaio 1999) per il centenario della rivista «Il diritto marittimo», in Dir. mar., 1999, 197, 208; Righetti, Trasporto e deposito, in Dir. mar., 1991, 66,  81.

[40] In assenza delle quali, dipendenti e preposti del vettore marittimo di merci non potevano avvalersi di eccezioni e limitazioni di cui poteva avvalersi il vettore: disposizione con fini analoghi a quelli dell'art. 25 A della Convenzione di Varsavia è stata inserita anche nella Convenzione di Bruxelles del 1924 sulla polizza di carico, dal Protocollo di emendamento del 1968 (per una rassegna giurisprudenziale sul punto, in particolare di corti inglesi e statunitensi, e sull'art. IV bis della Convenzione di Bruxelles in questione, v. Mankabady, Rights and Immunities of the Carrier's Servants or Agents, in J.M.L.C., 1973-74, 111). Analoga previsione è recata dall'art. 7, § 2, della già menzionata Convenzione di Amburgo del 1978 sul trasporto di merci per mare.

[41] Sulla portata di tale previsione, v. da ultimo Rosafio, Brevi riflessioni sull’applicabilità dell’art. 29 della Convenzione di Varsavia ai preposti del vettore aereo e sulla nozione di «preposto», cit.

[42] Peraltro, nel caso Reed v. Wiser [U.S. Court of Appeals, 2nd Cir., 26 aprile 1977] 555 F.2d 1079; 1977 U.S. App. LEXIS 13660; 38 A.L.R. Fed. 928; 14 Avi. 17,841 (su cui v. Corrigan, Warsaw convention survives another assault, in Air Law, 1977, 167; McGilchrist, Legislative History as an Aid to Interpretation, in L.M.C.L.Q., 1978, 68; Troncoso, commento in A.A.S.L., 1976, 278), pur non avendo gli Stati Uniti ratificato il Protocollo dell'Aja, si ritenne che l'azione intentata contro dipendenti della compagnìa aerea (nel caso di specie, si trattava del presidente e del vicepresidente responsabile per la sicurezza, che avrebbero omesso di provvedere alle precauzioni necessarie contro gli atti di terrorismo) dovesse comunque essere assoggettata ai limiti ed alle condizioni previste dalla Convenzione di Varsavia, sull'assunto che l'art. 25A introdotto dal Protocollo dell'Aja non apportasse un quid novi al testo originario, ma ne costituisse solamente chiarificazione. La conclusione sul caso Reed v. Wiser appare non del tutto convincente se si considera che (secondo l'interpretazione che appare più convincente), sulla base del testo originario della Convenzione di Varsavia, dal soddisfacimento della prova liberatoria da parte del vettore, ai sensi dell'art. 20, § 2, che il danno fosse derivato da colpa nautica dei preposti, sarebbe derivata per il danneggiato la possibilità di agire (soltanto) contro il preposto responsabile, ma senza essere assoggettato ad alcuna limitazione risarcitoria (cfr. Damiano, Responsabilità civile del comandante di aeromobile - evoluzione socio-giuridica del problema, in Dir. aereo, 1976, 133, 137).

[43] Nonostante le proposte in tal senso formulate durante i lavori di redazione della Convenzione: Zunarelli, La nozione di vettore, Milano, 1987,  142; Magdelènat, Le fret aérien - Réglementation - Responsabilités, Toronto - Parigi, 1979, 39. V. anche Golstein - Outers, Le Projet de Convention pour l'unification de certaines règles relatives au transport aérien international effectué par une personne autre que le transporteur contractuel, in Rev. fr. dr. aér., 1961, 15.

[44] V. da ultimo Mastrandrea, L’obbligo di protezione nel trasporto aereo di passeggeri, cit., 144.

[45] Sulla base dell'art. 1678 c. civ., v. in tal senso Cass., 11 ottobre 1990 n. 9993, in Giur. it., 1991, I, 1, 557. In dottrina, v. Fiorentino, I contratti navali, cit., 71; La Torre, La definizione del contratto di trasporto, Napoli, 2000, 205; Righetti, Trattato di diritto marittimo, II, Milano, Giuffré, 1990, 618; Riguzzi, Il contratto di trasporto stradale, cit., 5. In senso diverso v. l'autorevole ma isolata posizione di Romanelli, Il trasporto aereo di persone, cit., 7 s., secondo il quale «laddove il contratto (esplicitamente, o implicitamente) ovvero gli usi non consentano tale sostituzione, il vettore è tenuto ad eseguire direttamente, tramite la propria organizzazione ... la prestazione dovuta» (ivi, 8).

[46] V. da ultimo, al riguardo, Mastrandrea, L’obbligo di protezione nel trasporto aereo di passeggeri, cit., 53 s. (che, rispetto alla tesi prevalente, risalente ad Asquini, La responsabilità del vettore per infortunio del viaggiatore, in Riv. dir. comm., 1919, II, 357, contesta la qualificazione come accessoria dell’obbligazione  dell’«obbligazione di vigilare sull’incolumità del passeggero», ritenuta, invece «un elemento che caratterizza intimamente il trasporto di persone, assumendo i connotati di un’obbligazione fondamentale, connessa all’esecuzione dell’obbligazione principale, ma ad un tempo autonoma e principale anch’essa»).

[47] Per una stigmatizzazione delle due diverse concezioni, v. Le Goff,  La Convention Complémentaire de Varsovie et la Conference de Guadalajara, in Rev. fr. dr. aér., 1963, 21, ivi 22 ss; Riese, Le projet de la Commission juridique de l'OACI (Tokyo 1957) sur l'affrètement, la location et la banalisation des aèronefs dans le transport aérien international, in Rev. fr. dr. aér., 1959, 1, 7. Quest’ultimo A. considera la tesi anglo-americana della natura di azione in tort che caratterizzerebbe la pretesa «une déviation extrêmemen inquiétante de l’interprétation de la Convention de Varsovie adoptée sur le Continent européen ? à mon avise la seule exacte» (ivi, 7). Per la tesi che riconosce la posizione di «transporteur» al soggetto che si è obbligato al trasporto, v. Drion, Limitation of Liabilities in International Air Law, The Hague, 1954, 134 - 135; Goedhuis, La Convention de Varsovie, 94; Riese - Lacour, Précis de droit aérien, Paris - Lausanne, 1951, 233;  Van Houtte, La responsabilité civile dans les transports aériens intérieurs et internationaux, Louvain Paris, s.d. (ma 1940), 123. L'opposta soluzione appariva conforme all'impostazione di common law, secondo la quale in fondamento di un'azione per «wrongful death» non potesse mai essere un contratto (cfr. Miller, Liability in International Air Transport, Deventer, 1977, 241, anche per riferimenti alla casistica statunitense; v. altresì Mankiewicz, From Warsaw to Montreal with certain intermediate stops; marginal notes on Warsaw system, cit., 252). Ma, nel senso che per «transporteur» dovesse intendersi colui che esegua il trasporto, interpretando la disciplina della Convenzione di Varsavia sulla responsabilità (artt. 17 - 20), v. anche, in ambienti di civil law, Coquoz, Le droit privé international aérien: exposé systématique et critique, Paris, 1938, 92; Litvine, Précis élémentaire de droit aérien, Bruxelles, 1953, 134. Da ultimo, sulla questione, cfr. Girardi, Vettore contrattuale e vettore di fatto: chi risponde dei danni nel trasporto aereo?, in Dir. trasp., 1999, 537, 538; per l'analogo problema nell'ambito del trasporto marittimo, con riferimento alle Regole dell'Aja-Visby, v. Selvig, An introduction to the Hamburg Rules, 1978, in Trasp., 18/1979, 3, 20.

[48] Cfr. Miller, Liability in International Air Transport, cit., 257.

[49] In tale ottica, v. Wilkinson, Recovery of punitive damages under Warsaw Convention. A hotly contested issue in the USA, cit., 30 (che, tuttavia, su tale premessa, perviene poi a risultati non convincenti). Si tratta di aspetto che è stato del resto ben tenuto conto dalla stessa Corte Suprema degli Stati Uniti, ai fini dell'esegesi di altre norme della Convenzione di Varsavia: v. ad esempio l'iter logico seguito (a proposito della definizione dell'ambito del danno risarcibile alla persona dei passeggeri) dalla Corte Suprema nel caso Eastern Airlines, Inc. v. Floyd [U.S. Supreme Court, 17 aprile 1991], 499 U.S. 530  o nel più recente caso Zicherman v. Korean Airlines Co. Ltd. [U.S. Supreme Court,  16 gennaio 1996], 516 U.S. 21 (1996) Analogamente la Corte Suprema ha operato a proposito della definizione della nozione di «accident»: Air France v. Saks [U.S. Supreme Court,  4 marzo 1985], 470 U.S. 392 (1985).

[50] È peraltro da avvertire che la medesima affermazione circa i presupposti del regime adottato non sarebbe esatta rispetto ad altri testi di diritto uniforme. Così, ad esempio, in materia di trasporto marittimo di merci, la Convenzione di Bruxelles del 1924 sulla polizza di carico (che pur non ha mancato di influenzare per qualche aspetto il legislatore del diritto uniforme aeronautico del 1929) ha indubbiamente recepito molto del dibattito e delle spinte evolutive che si erano manifestate eminentemente nel diritto marittimo inglese ed in quello statunitense: in effetti, l'esigenza di addivenire ad un regime di diritto uniforme del trasporto marittimo di merci fu iniziata ad avvertire in conseguenza dell'adozione, nel 1893, da parte degli Stati Uniti d'America, dell'Harter Act 1893, che ispirò, poi, lo Shipping and Seamen Act della Nuova Zelanda, il Sea-Carriage of Goods Act dell'Australia ed il Water Carriage of Goods Act canadese (cfr. Brunetti, Diritto marittimo privato italiano, III, t. 1, 315). Tali normative costituivano una reazione alla diffusione di clausole di irresponsabilità nei contratti di trasporto marittimo (v. F. Berlingieri Sen., La polizza di carico e la convenzione internazionale di Bruxelles 25 agosto 1924, Genova, 1932, 97 ss.; Riccardelli, La colpa nautica, Padova, 1965, 18 ss.; Righetti, La responsabilità del vettore nel sistema dei pericoli eccettuati, Padova, 1960, 7 ss.), che, a loro volta, venivano adottate per fronteggiare il regime di common law della responsabilità del common carrier, invero estremamente rigoroso (v. per tutti Carbone, Contratto di trasporto marittimo di cose, Milano, 1988, 166 ss.). Sotto forma di clausole standard da inserire nelle polizze di carico, ispirate alla disciplina dell'Harter Act, nel 1921, l'International Law Association approvò le c.d Regole dell'Aja nella riunione del 3 settembre 1921, che costituirono l'antecedente diretto (di natura negoziale) della Convenzione di Bruxelles del 1924 sull'unificazione di alcune regole in materia di polizza di carico, che sostanzialmente le recepì, tenendo peraltro conto di alcune modifiche suggerite dal Comité Maritime International, nella corso della Conferenza di Londra del 1921 (F. Berlingieri Sen., La polizza di carico, cit., 115). Pur nel convincimento che sia in astratto possibile un'interpretazione «interconvenzionale», nel senso che si possano trarre argomenti interpretativi utili per una convenzione anche da altri testi di diritto uniforme, che contengano disposizioni che rispondono ad una stessa ratio e che abbiano un'analoga formulazione, verosimilmente il diverso contesto in cui sono sorti due testi di diritto uniforme costituisce comunque un limite alla l'utilizzabilità di un siffatto criterio esegetico (sulla cui valenza, quantomeno come mezzo interpretativo complementare, ai sensi dell'art. 32 della Convenzione di Vienna, v. comunque Bariatti, L'interpretazione delle convenzioni internazionali di diritto uniforme, Padova, 1986, 270 ss.; con riferimento specifico alle convenzioni in materia di trasporto, v. Ivaldi, Diritto uniforme dei trasporti e diritto internazionale privato, Milano, 1990, 42 ss. nonché Herber, Towards the Harmonization of Carrier's Liability Regimes?, relazione al Convegno di Genova del 22 giugno 1992 International Conference on Current Issues in Maritime Transportation, in Dir. mar., 1992, 934, 957; da ultimo, v., in generale sulla possibilità di un'interpretazione interconvenzionale, Ferrari, I rapporti tra le Convenzioni di diritto materiale uniforme in materia contrattuale e la necessità di un'interpretazione interconvenzionale, in Riv. dir. int. priv. proc., 2000, 669, 681).

[51] Ed in effetti, già in tale ottica v., nella giurisprudenza statunitense, Block v. Compagnie Nationale Air France [U.S District Court, Northern District of Georgia, Atlanta Division, 6 maggio 1964], 8 Avi 18,335, confermato in appello da Block v. Compagnie Nationale Air France [U.S. Court of Appeals, 5th Cir.,  8 novembre 1967] 10 Avi. 17,518. Ma nel caso Mertens v. Flying Tiger Line [U.S. District Court, Southern District of New York, 3 giugno 1963], 9 Avi. 17,187, confermato da Mertens v. Flying Tiger Line [U.S. Court of Appeals, 2nd Cir., 16 febbraio 1965], cit., venne viceversa dato rilievo al fatto che il vettore di fatto, in un trasporto charter a disposizione del Governo statunitense, fosse proprietario ed esercente dell'aeromobile impiegato. E, più recentemente, si è affermato che il vettore che emetta il biglietto opera come agent del vettore che opera effettivamente il volo: Kaspar v. Kuwait Airlines 845 F.2d 1100 (D.C. Cir. 1988).

[52] Da ultimo, in tema v. Girardi, Vettore contrattuale e vettore di fatto: chi risponde dei danni nel trasporto aereo?, cit., 537 ss.

[53] Cfr. Bonassies, La responsabilité du transporteur maritime dans les Règles de la Haye et dans les Règles de Hambourg, in Dir. mar., 1989, 949 ed in particolare 972; Herber, The Notion of «Actual Carrier» in the Guadalajara Convention and in the Hamburg Rule, in Dir. mar., 1990, 511; Mengano, Le Regole di Amburgo e la responsabilità del vettore, ed. provv., Napoli, 1983, 109; Romanelli, I contratti di utilizzazione della nave e dell'aeromobile, ne Il cinquantenario del codice della navigazione, atti del Convegno di Cagliari del 28 - 30 marzo 1992, a cura di Tullio e Deiana, 221, 233. Sulla Convenzione di Amburgo in generale, v. Mankabady, The Hamburg Rules on the Carriage of Goods by Sea, Leiden, 1978; Selvig, An introduction to the Hamburg Rules, 1978, cit., 19 ss., in particolare per le disposizioni relative alla responsabilità di vettore contrattuale e vettore di fatto).

[54] Riferendosi in particolare alla disciplina dettata dalle Regole di Amburgo (ma il rilievo è estensibile anche alle altre previsioni in materia di vettore di fatto), Romanelli, Principi comuni nelle convenzioni internazionali in materia di trasporto, cit., 209, ha così sintetizzato l'essenza della normativa in questione: «L'effetto della previsione in parola è che, in caso di subtrasporto, vettore principale (vettore contrattuale) e subvettore (vettore di fatto) rispondano in modo identico ed unitario nei confronti dell'utente, mentre la disciplina non incide nei rapporti interni tra i due vettori». Il rapporto fra utente, contracting ed actual carrier sarebbe comunque da considerare un unico rapporto plurisoggettivo di natura contrattuale: Zunarelli, La nozione di vettore, Milano, 1987, 168.

[55] In generale sulla Convenzione di Atene, v. Dani, La convenzione di Atene 1974, sul trasporto marittimo di passeggeri e bagaglio, in Trasp., 8/1976, 101; Markianos, Commento alla Convenzione di Atene del 13 dicembre 1974, in Dir. mar., 1975, 143.

[56] Singolare fu la vicenda del mancato recepimento delle Regole di Amburgo: l’adesione era stata autorizzata con l. 25 gennaio 1983, n. 80, ma l’Italia era l’unico dei Paesi industrializzati che aveva dato impulso all’adesione; in seguito, non soltanto non è stato (almeno fino a questo momento) depositato lo strumento di ratifica, ma anzi è stata autorizzata e formalizzata la ratifica dei Protocolli di Bruxelles del 23 febbraio 1968 e del 21 dicembre 1979 alla Convenzione internazionale di Bruxelles del 1924 sulla polizza di carico, evidenziando così l’intenzione dell’Italia di mantenersi nel sistema di tale ultima Convenzione, congelando viceversa l’adesione a quella di Amburgo del 1978.

[57] Tuttavia, nel trasporto di merci, in cui il vettore contrattuale abbia affidato ad altri l'esecuzione del trasporto, il destinatario può agire nei confronti del subvettore, ai sensi dell'art. 1689 c. civ., dopo aver chiesto la riconsegna: Cass., 26 aprile 1995, n. 4620, in Giur. it., 1997, I, 1, 1002.

[58] Cfr. Mankiewicz, From Warsaw to Montreal with certain intermediate stops; marginal notes on Warsaw system, cit., 252, che, tuttavia  riferisce tale conclusione ai soli ordinamenti di civil law, con soluzione che, in sostanza, distinguendo l'ambito dei préposés a seconda della lex fori, induce a perplessità, tenuto conto del rilievo che tale nozione ha sulla definizione dei meccanismi di imputazione della responsabilità, che costituiscono un aspetto centrale del regime di diritto uniforme esaminato. Ma, a perplessità indice anche la tesi (che vorrebbe definire l'ambito di applicazione della Convenzione di Varsavia sulla base di una disciplina successiva) espressa da Busti, Contratto, cit., 523, che esclude l'identificabilità del vettore di fatto come préposé del vettore contrattuale, in quanto la «circostanza che si sia ravvisata la necessità di una Convenzione complementare ... per disciplinare la responsabilità del vettore aereo — diverso da quello contraente con passeggero o mittente — impegnato materialmente nell'esecuzione del trasporto convenuto con altri soggetti, vuol dire che la figura di performing carrier o actual carrier è “nuova”, e non identificabile con quella generale di preposto ... di cui alla precedente normativa».

[59] «"transporteur contractuel" signifie une personne partie à un contrat de transport régi par la Convention de Varsovie et conclu avec un passager ou un expéditeur ou avec une personne agissant pour le compte du passager ou de l'expéditeur».

[60] Soggetti la cui responsabilità non è disciplinata dalla Convenzione di Varsavia del 1929: Busti, Contratto di trasporto aereo, Milano, 2001, 515 ss.; Godfroid, La notion de préposé dans la Convention de Varsovie et la recevabilité de l'action intentée contre le transporteur aérien, nota a Trib. comm. Bruxelles, 15 maggio 1981, in Rev. fr. dr. aér., 1983, 373, 376; Kamminga, The Aircraft Commander in Commercial Air Transportation, The Hague, 1953, 158 - 159, 91; Mankiewicz, The Liability Regime of the International Air Carrier, cit., 47; Miller, Liability in International Air Transport, Deventer, 1977, 275; Pourcelet, Transport aèrien international et responsabilité, Montréal, 1964, 118. Contra: Ambrosini, Dolo e colpa grave nella elaborazione delle Convenzioni Internazionali Aviatorie, in Nuova riv. dir. comm., 1955, I, 83, 94

[61]Bentivoglio, La crisi del sistema di Varsavia e il problema della responsabilità del vettore aereo, in Annali dell'Istituto di diritto aeronautico, 1969,1, ivi 15.

[62] L'iniziativa statunitense diede luogo ad un dibattito sulle sue ragioni e sulle sue conseguenze: v. al riguarda Kreindler, The denunciation of the Warsaw Convention, in J.A.L.C., 7, 1965, 291 (ivi, in appendice, 303, il testo della denunzia trasmessa al Governo polacco). La denunzia in questione venne decisa dall'Esecutivo, senza che il Senato od il Congresso si fossero precedentemente pronunziati sul punto (ma faceva seguito all'opposizione in Senato alla ratifica del Protocollo dell'Aja: v. Kreindler, The denunciation, 298); sulla questione specifica, v. Riggs, Termination of Treaties by the Executive without Congressional Approval. the Case of the Warsaw Convention, in J.A.L.C., 1966, 526. Per una ricostruzione a posteriori della vicenda e delle sue conseguenze, v. Bentivoglio - Varlaro Sinisi, Modifiche al regime giuridico del trasporto aereo internazionale di passeggeri, in Dir. internaz., 1967, 62; Jacchia, Vicende della disciplina giuridica del trasporto aereo internazionale di passeggeri in rapporto alla revisione della Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929, in Annali dell'Istituto di diritto aeronautico, 1969, 81, ivi 82 ss. Per una stigmatizzazione dell'atteggiamento degli Stati Uniti, v. de la Pradelle, Versovie de nouveau en question, in Rev. gén. air, 1966, 1, 7 ss.

[63] V. in proposito Varlaro Sinisi, Considerazioni sulla legittimità dell'accordo di Montreal del 4 maggio 1966, in Annali dell'Istituto di diritto aeronautico, 1969, 1; Mateesco Matte, Treatise on Air-Aeronautical Law, cit., 469 - 470 (ed ivi, 730, per il testo dell'accordo).

[64] L'accordo in questione non era un trattato internazionale, ma soltanto «a private agreement on a particular interpretation of the Warsaw Convention»: Milde, ICAO Work on the modernizatian of the Warsaw system, in Air Law, 1989, 199 - 200.

[65] Cfr. Jacchia, Brevi note sul Protocollo di Guatemala dell'8 marzo 1971 e nuova disciplina giuridica del trasporto internazionali di passeggeri per aeromobile, in Annali dell'Istituto di diritto aeronautico, 1970-71, 214; Mankiewicz, The 1971 Protocol of Guatemala City to further amend the 1929 Warsaw Convention, in Journ. Air Law Comm., 1972, 512; Mapelli Lopez, El contrate de trasporte aereo international segun el Convenio de Varsovia de 1929 y su Protocolo de Guatemala de 1971, in Dir. aereo, 1971, 38; Rinaldi Baccelli, Analisi critica del Protocollo di Guatemala 1971, in Dir. aereo, 1971; Romanelli, Uniform Rules of Air Carriage, cit., 1040.

[66] In Giur. it., 1986, I, 1, 340, nonché in Dir.mar., 1985, 751, con nota di Fogliani, La limitazione della responsabilità del vettore aereo internazionale di persone nel giudizio della Corte costituzionale e in Foro it., 1985, I, 1586, con nota di Pardolesi.

[67] Per superare i problemi che avevano determinato la pronunzia di illegittimità costituzionale, nel reintrodurre i limiti, si rendeva necessario, da un lato far sì che essi potessero rispondere ai requisiti di «adeguatezza» indicati da C. cost., 6 maggio 1985, n. 132, cit., e, dall'altro, di prevedere gli strumenti per garantirne la certezza (sul punto, v. Silingardi, Limite di risarcimento nei trasporti aerei internazionali di persone (l. 7 luglio 1988, n. 274), in Nuove leggi civ. comm., 1989, 772, 775). Sulla l. 7 luglio 1988, n. 274, v. anche Romanelli, Problémes de légitimité constitutionelle dans la législation italienne sur les limites des dommages-intérets dans le systéme de Varsovie, in Liber Amicorum Honouring Nicolas Mateesco Matte, a cura Rinaldi Baccelli, Parigi, 1989, 269, 275-277; Guerreri, Law no. 274 of 7 July 1988: a Remarkable Piece of Italian Patchwork, in Air Law 1989, 176, nonché le considerazioni di Ballarino - Busti, La responsabilità del vettore aereo internazionale dal punto di vista italiano, in Dir. Trasp., I/1989, 7.

[68] Ricorrendo a tal scopo allo strumento dell'accordo speciale per l'elevazione del limite di cui all'art. 22, § 1, della Convenzione di Varsavia: cfr. Silingardi, Limite di risarcimento nei trasporti aerei internazionali di persone, cit., 775.

[69] Cfr. Mankiewicz, From Warsaw to Montreal with certain intermediate stops; marginal notes on the Varsaw system, cit., 242.

[70] In particolare, le compagnie aeree giapponesi hanno volontariamente adottato uno schema di responsabilità per i danni alle persone, con un plafond rispetto al quale rinunziavano ad avvalersi delle possibili clausole di esonero, rinunziando peraltro ad avvalersi dei limiti risarcitori per i danni che eccedessero tale importo (rispetto ai quali, tuttavia, avrebbero continuato a rispondere secondo l'ordinario regime di responsabilità fondato sulla colpa): su tale regime, v. Asselta-Kreindler, The Japanese Initiative: Absolute Unlimited Liability in International Air Travel, in J.A.L.C., 60/1995, 819; Baden, The Japanese Initiative On the Warsaw Convention, in J.A.L.C., 61/1996, 437; Mercer, The Montreal Protocols and the Japanese Initiative: Can the Warsaw System Survive?, in A.A.S.L., 1994, 301. In lingua italiana, v. Guerreri, La sfida giapponese: responsabilità senza limiti nel trasporto internazionale, in Studi in onore di Antonio Lefebvre d’Ovidio in occasione dei cinquant’anni del diritto della navigazione, a cura di E. Turco Bulgherini, Milano, 1995, 499.

[71] International Air Transport Association. Su tale organizzazione, v. in generale Brancker, IATA  and What It Does, Leyden, 1977; Clarke, IATA: the First 50 Years - What's Past Is Prologue, in A.A.S.L., 1995, I, 29; sui più recenti sviluppi nella sua attività, v. Haanappel, Développements Récents à l'Association du Transport Aérien International (IATA), in A.A.S.L., II/1996, 396. Sui rapporti fra I.A.T.A. ed I.C.A.O., v. Clark, IATA and ICAO: the First Fifty Years, in A.A.S.L., 1994, II, 125. Nella dottrina italiana, sia pure non recente, v. Martini, Il servizio di trasporto aereo di linea, Milano, 1976, 75 ss.; per contributi dedicati al tema specifico dell'elaborazione delle condizioni di trasporto, v. Vago, Le condizioni IATA, in Mon. Trib., 1966, 787; Desiderio - Comenale Pinto, Condizioni generali di contratto e condizioni di trasporto, in Arch. giur., 1988, 51.

[72] Cfr. Böckstiegel, A Historic Turn in International Air Law: the New IATA Intercarrier Agreement on Passengers Liability Waives Liability Limits, in Z.L.W., 1996, 18; Hedrick, The New Intercarrier Agreement on Passenger Liability: Is It a Wrong Step in the Right Direction? in A.A.S.L., 1996, II, 135; Martin, The 1995 IATA Intercarrier Agreement: Proposed Special Contract Amendments to the Warsaw Convention - Will They Work?, in Air Law, 1996, 17; Saba., The IATA Intercarrier Agreement: a Constructive Step Toward an Improved Liability Regime from a Policy Perspective, in A.A.S.L., 1997, 289; Sekiguchi, Why Japan was Compelled to opt for Unlimited Liability, 20, A.A.S.L., 1995, II, 337; Whalen, Rebirth of the Warsaw Convention: the IATA Intercarrier Agreements, in A.A.S.L., 1997, 323. In lingua italiana, v. Mastrandrea – Quaranta, Il problema dell’adeguatezza del limite risarcitorio nel trasporto aereo di persone ed i recenti tentativi concreti di soluzione, in Dir. trasp., 1996, 709, 716 ss.; Tofani, Il regolamento CE 2027 del '97, cit., 941

[73]Conférence européenne de l'Aviation civile. Tale organizzazione intergovernativa, fondata nel 1955, è nota anche con la sigla inglese E.C.A.C. (European Conference on Civil Aviation).

[74]Raccomandazione 16/1 adottata dalla XVI Sessione plenaria del 24/26 giugno 1994 (consultabile in Dir. trasp., 1995, 709), su cui v. amplius Bertucci, A European perspective on carrier liability, in Dir. trasp., 1995, 57; Mastrandrea – Quaranta, Il problema dell’adeguatezza del limite risarcitorio, cit., 711; Weber – Jakob, Reforming the Warsaw Sistem, in Air Law, 1996, 176.

[75] Su cui, v. Busti, Nuovi documenti del contratto di trasporto di cose, Padova, 1983, 139; C'è qualcosa di nuovo oggi nell'aria, anzi d'antico: l'entrata in vigore del Protocollo n. 4 di Montreal 1975, in Dir. trasp., 1999, 49; Comenale Pinto, La prenotazione elettronica di spazio aereo, in Arch. giur. «Filippo Serafini», 1988, 137, ivi 151.

[76] Al riguardo, aveva osservato Silingardi, L'istituto del limite risarcitorio nella disciplina uniforme, cit., 58, sub nota 22: «È peraltro curioso rilevare come il principio dell'invalicabilità del limite risarcitorio introdotto nel trasporto passeggeri dal Protocollo di Guatemala sia stato soppresso ... dal Protocollo di Montreal n. 4 che pure lo aveva esteso al trasporto di cose».

[77] Sul punto, v. da ultimo D'Amico, La responsabilità ex recepto e la distinzione tra obbligazioni «di mezzi» e «di risultato» - Contributo alla teoria della responsabilità contrattuale, Napoli, 1999, 18.

[78] Sul punto, si rinvia agli autori menzionati più sopra, cui adde Gortom, The Concept of Common Carrier in Anglo-American Law, Göteborg, 1971; Persico, I trasporti marittimi nel diritto inglese, Torino, 1918, 35 ss.

[79] Sul dibattito sul punto, v. in generale Baby, Le projet de modernisation de la Convention de Varsovie: l'évolution souhaitée des limites de réparation du transporteur aérien rèsistera-t-elle à la cinquième jurisdiction?, in Rev. fr. dr. aér., 1999, 5

[80] Sui problemi che tale ambito di applicazione può determinare, in particolare rispetto ai c.d. blocchi di spazio, v. Silingardi, Reg. CE 2027/97 e nuovo regime di responsabilità del vettore aereo di persone, cit., 632

[81] Secondo Tullio, Spunti sulla responsabilità del vettore aereo di persone, ne Il nuovo diritto aeronautico – In ricordo di Gabriele Silingardi, cit., 599, 600, non sarebbe condivisibile la configurazione come «duplice» del regime di responsabilità vettoriale nel regolamento 20027 del 1997: «Quando unico è il fatto dannoso e unico il soggetto cui si riferisce il meccanismo di imputazione, unica è anche la responsabilità che ne deriva». E l’illustre Autore aggiunge al riguardo che «.. sembra .. più corretto continuare a considerare unitariamente la responsabilità in esame e a valutarla come responsabilità fondamentalmente soggettiva (e illimitata), a cui si aggiunge l’imposizione sul vettore in ogni caso di un’indennità a favore del passeggro fino al limite fissato dal regolamento». Si tratta certamente di una prospettiva stimolante; tuttavia essa sembra non del tutto coerente con la sua stessa premessa, perché, se la si è ben intesa, finisce per escludere la natura risarcitoria dell’indennizzo corrisposto al passeggero «in ogni caso» e, conseguentemente, sembrerebbe escludere la responsabilità vettoriale (che pur intende considerare unitariamente) per i danni che siano indennizzabili nell’ambito dell’importo corrispondente a 100.000 diritti speciali di prelievo.

[82] L'ipotesi della colpa del danneggiato era già prevista dall'art. 21 della Convenzione di Varsavia, come possibile causa di esonero o di riduzione del risarcimento dovuto dal vettore. Rispetto all'imputazione della responsabilità del vettore aereo di persone nel codice della navigazione, è da ritenersi comunque operante l'esimente di cui all'art. 1227 c. civ.: v. in tal senso Rovelli, Il trasporto di persone, cit., 212. Per analoga conclusione rispetto alla disciplina di cui all'art. 1681 c. civ., v. Riguzzi, Il contratto di trasporto stradale, cit., 73: Rovelli, Il trasporto di persone, cit., 27 ss.

[83] Il regime di responsabilità introdotto dal regolamento 2027/97 ha così per la prima volta infranto la linea di tendenza «a collegare responsabilità oggettiva e limiti del risarcimento», sul presupposto che compagnie aeree non fossero «disposte ad accettare un sistema di responsabilità oggettiva che al tempo stesso non conceda al responsabile il beneficio di un tetto massimo del risarcimento, che cioè non gli consenta di contabilizzare in termini di costi gli obblighi di risarcimento di cui può essere gravato nell'esercizio dell'impresa» (v. in tal senso C. M. Bianca, La responsabilità aeronautica: convergenze e divergenze rispetto ai principi civilistici, in Dir. trasp., 1992, 1, 2-3).

[84] Romanelli, Il regime di responsabilità del vettore aereo per infortunio al passeggero, cit., 768.

[85] Q.B. Division, 21 aprile 1999, R v. Secretary of State for the Environment and the Regions Ex Parte International Air Transportation Association, in Dir. trasp., 2001, 189, con nota di Maffeo - Papale, Quale responsabilità per i vettori aerei?, ivi, 194

[86] Cfr. Kilbride, Six decades of insuring liability under Warsaw, in Air Law, 1989, 183, ivi 185; la situazione è efficacemente riassunta nel rilievo che, ormai, «La Convenzione di Varsavia è ... un testo di diritto uniforme assai poco uniforme» (Romanelli, Il regime di responsabilità del vettore aereo per infortunio al passeggero, cit., 768).

[87] V. sul punto: Tofani, Il regolamento CE 2027 del '97, cit., 935.

[88] Cfr. Romanelli, Diritto uniforme dei trasporti e Convenzione di Montreal, ne Il nuovo diritto aeronautico – In ricordo di Gabriele Silingardi, cit., 581.

[89] Un qualche disappunto (peraltro non motivato) è espresso in Caplan, Novelty in The Convention, cit.,  197.

[90] Sui problemi del plurilinguismo dei trattati, v. in generale Bariatti, L'interpretazione delle convenzioni internazionali di diritto uniforme, cit., 257 ss. (per la puntualizzazione che, in taluni casi, il plurilinguismo possa «portare un contributo notevole alla soluzione dei dubbi dell'interprete», ivi, 258). Si tratta di questione che ha già avuto modo di essere esaminata rispetto ad altre convenzioni di diritto uniforme dei trasporti: è nota, in particolare, la problematica della definizione della condotta idonea a determinare la decadenza del vettore dal beneficio della limitazione, espressa con formule non equivalenti nei testi in lingua inglese ed in lingua francese. Con riferimento alla responsabilità del vettore aereo internazionale, a seguito degli emendamenti della Convenzione di Varsavia introdotti dal Protocollo dell'Aja del 1955, v. Busti, Recenti orientamenti in tema di interpretazione giurisprudenziale dell'art. XIII del Protocollo dell'Aja, in Trasp. 8/1976, 113; Riguzzi, In tema di condotta temeraria e consapevole prevista dall'art. XIII del Protocollo dell'Aja del 1955, in Dir. aereo 1974, 248. Con riferimento all'art. 29 della C.M.R., v. Silingardi - Corrado - Meotti - Morandi, La disciplina uniforme del contratto di trasporto di cose su strada, Torino, 1994, 227; Ivaldi, Wilful misconduct e colpa grave tra diritto internazionale e diritto interno, in Riv. dir. intern. priv. proc., 1986,. 327, 328 ss; Pesce, Il contratto di trasporto internazionale di merci su strada, Padova, 1984, 236 ss.; Silingardi, L'istituto del limite risarcitorio nella disciplina uniforme sul trasporto di cose aereo, su strada e per ferrovia, cit., 55. Il problema della non coincidenza di testi aventi pari valore è ben noto alla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, in particolare per quanto concerne i regolamenti. In tale sede, viene risolto nel senso che «i regolamenti comunitari vengano interpretati in modo uniforme, in caso di dubbio il testo di una disposizione non può essere considerato isolatamente, ma deve venire interpretato e applicato alla luce dei testi redatti nelle altre lingue ufficiali» C. giust., 17 giugno 1998, in causa C-321/96, § 29 (che richiama, in senso conforme, C. giust., 2 aprile 1998, in causa C-296/95 , § 36). In tema cfr. anche Marletta, L'interpretazione dei trattati plurilingue nella prassi delle Comunità europee, in Riv. dir. eur., 1985, 224. Nella giurisprudenza italiana, nel senso che, in caso di difformità fra più testi in lingue diverse di un medesimo trattato, debba essere dato rilievo ad ogni ulteriore pratica seguita dalle Parti nell’applicazione del trattato, v. Cass., S.U., 18 maggio 1992, n. 5942, in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 1993, 400.

[91] Soluzioni che non hanno avuto interpretazione univoca in settanta anni di applicazione. A titolo di esempio, può menzionarsi la questione della portata dell'espressione «préposé», cui fanno riferimento gli artt. 16, 20, 25 e 25A,  o di quella di « lésion corporelle», di cui all'art. 17.  Su quest'ultima si avrà modo di tornare nel prosieguo; rispetto alla prima, si è discusso intorno ai suoi confini, ed in particolare se essa comprenda o meno i c.d. contraenti indipendenti. Non sembrano, in particolare, condivisibili quelle tesi che vorrebbero dare diversa soluzione alla questione, a seconda del contesto nazionale in cui essa si presenti. In tal senso sembrerebbe orientato Mankiewicz, The liability regime of the international air carrier - A Commentary on the present Warsaw System, cit., 45, che rileva che, secondo giurisprudenza e dottrina dei Paesi di civil law, «“préposé” may be an employee of the carrier or an independent carrier. Under common law, only the former is a servant or agent of the carrier; an independent carrier performing the carriage for the contracting carrier is an independent contractor to whom the rules of agency do not apply»; per l’esclusione della responsabilità del principal in relazione ai torts dell’índipendent contractor negli ordinamenti di common law, v. anche Goldhirsch, The Warsaw Convention Annotated: A Legal Handbook, The Hague - London - Boston, 2000, 71(e, nella letteratura italiana recente, Mastrandrea, L’obbligo di protezione nel trasporto aereo di passeggeri, cit., 145).

[92] Dovrà, in definitiva, tenersi conto, in conformità dei criteri dettati dalla Convenzione di Vienna del 1969, del contesto in cui la specifica soluzione è stata adottata e della ratio e degli obiettivi del sistema normativo in cui viene ad inserirsi (cfr. Ivaldi, Wilful misconduct e colpa grave, cit., 330).

[93] Secondo la linea indicata da C. giust. CE 24 giugno 1981, in causa C150/80, in Riv. dir. int. priv. proc., 1982, 164; per l'armonia di tale soluzione rispetto ai criteri indicati dalla Convenzione di Vienna, v. Bariatti, L'interpretazione delle convenzioni internazionali di diritto uniforme, cit., 260.

[94] La nuova Convenzione, all'art. 18, § 4, con disposizione che non trova corrispondenza né nel testo originario della Convenzione di Varsavia, né in quello emendato dai suoi Protocolli, precisa, per quanto concerne il trasporto di merci, che resta assoggettata alla sua disciplina la responsabilità per i danni che si siano verificati in una tratta che, pur contrattualmente prevista come aerea, sia stata eseguita, senza il consenso del mittente, con altra modalità di trasporto.

[95] Resta fuori dall'ambito di applicazione della Convenzione di Montreal (analogamente a quanto previsto dalla Convenzione di Varsavia) il caso del trasporto tra due Stati di cui uno soltanto sia contraente della Convenzione: sulla nozione di trasporto aereo «internazionale» nell'ambito della Convenzione di Varsavia, v. Ivaldi, Diritto uniforme dei trasporti e diritto internazionale privato, Milano, 1990, 110 s.; nei lavori per la Convenzione di Montreal non è stata ripresa la proposta (formulata, senza successo, già nei lavori che hanno portato all'adozione del Protocollo dell'Aja del 1955, e ricordata da Romanelli, Il trasporto aereo di persone, Padova, 1959, 169 s., nota 36) di estendere l'ambito di applicazione della Convenzione a anche a tutti i trasporti aerei che abbiano il solo punto di partenza od il solo punto di arrivo nel territorio di uno degli Stati contraenti.

[96] V., con riferimento alla Convenzione di Varsavia, Giannini, Il contratto di trasporto internazionale secondo la Convenzione di Varsavia, in Nuovi Saggi di diritto aeronautico, I, Milano, 1940, 94, ivi 95.

[97] V., con riferimento alla Convenzione di Varsavia, Romanelli, Il trasporto aereo di persone, cit., 175; conf. Rovelli, Il trasporto di persone, cit., 201

[98] V., con riferimento alla Convenzione di Varsavia, Romanelli, Il trasporto aereo di persone, cit., 175; Ballarino - Busti, Diritto aeronautico e spaziale, Milano, 1988, 618. Viceversa, si considera internazionale, ai fini della stessa Convenzione, il trasporto in cui il vettore abbia eliminato lo scalo all'estero originariamente previsto: cfr. Mateesco Matte, Treatise on Air-Aeronautical Law, Montreal - Toronto, 1981, 387.

[99] La Convenzione in esame non si inserisce in quella tendenza, espressa da alcuni testi di diritto uniforme, ad affermare un ambito di applicazione che prescinda dalla ricorrenza di elementi di estraneità (su cui v. Malintoppi, Diritto uniforme e diritto internazionale privato in materia di trasporto, Milano, 1955, 39 ss.).

[100] In base all'art. 19 della nuova Convenzione, nel trasporto tanto di passegegri e di bagagli, che di merci, il vettore può esonerarsi provando di aver adottato tutte le misure idonee e possibili per evitare il danno, ovvero che era impossibile adottarle.

[101] Non sembra comunque condivisibile la tesi (formulata con riferimento alla Convenzione di Varsavia e, parrebbe, non giustificata nemmeno rispetto ad essa) che limiterebbe la rilevanza del ritardo ai soli casi in cui vi sia stata esplicita assunzione degli orari nell'ambito delle obbligazioni vettoriali (per tale, non condivisa, lettura: Mapelli Lopez, Air Carriers Liability in Cases of Delay, in A.A.S.L., 1976, 115 ss.; in tema di ritardo, v. in generale, nella letteratura italiana, Busti, Il ritardo nei trasporti aerei, in Annali dell'Istituto di diritto aeronautico, II, 1970-71, 68. Va, infine ricordato il recente (e, non convincente, per le ragioni precisate da Masala, Ritardo: rimborso al di là del risarcimento?, in Dir. trasp., 1999, 297, ivi 303 ss.) indirizzo, di cui è espressione Giud. pace Sassari, 4 novembre 1998, ivi 293, che consentirebbe al passeggero di pretendere, a seguito del ritardo, il rimborso di una parte del corrispettivo per l'acquisto del biglietto di passaggio (la decisione in questione è anche pubblicata con nota di Caredda, Adempimento ritardato e riduzione della controprestazione, in Giur. It., 2000, 316) le decisioni si riferiscono a trasporti nazionali che ricadono nell'ambito di applicazione del codice della navigazione; la tesi non sembra però condivisibile nemmeno con riferimento alla Convenzione di Varsavia, od a quella di Montreal.

[102] È ipotizzabile che il diverso regime legale adottato non comporterà comunque alcuna compressione degli indici di litigiosità nei confronti dei vettori (Margo, Insurance Aspects of the New International Passenger Liability Regime, in Air Law, 1999, 134, ivi 136) e, in relazione al regime di responsabilità oggettiva, si è previsto che il livello del contenzioso possa persino innalzarsi; tuttavia, almeno allo stato, non sembra prevedibile una variazione significativa dei costi delle coperture sui mercati assicurativi in considerazione che superamento del limite (Margo, Insurance Aspects, cit., 138).

[103] Alla norma approvata corrispondeva, nell'art. 20 del progetto approvato dal Legal Committeee dell'ICAO nella XXX Sessione (Draft Convention for the Unification of Certain Rules for International Carriage by Air), allegato D al Report of the Third Meeting of the Secretariat Study Group on the Modernization of the «Warsaw System», doc. ICAO SGMW/21-WP/4, tre diverse soluzioni, non essendo stata raggiunta una visione univoca sul punto. Nella «Alternative 1» e nella «Alternative 1I», per i danni eccedenti i centomila diritti speciali di prelievo, era comunque il vettore a dover fornire una prova liberatoria (di aver preso tutte le misure necessarie e possibili per evitare il danno, ovvero che il danno non fosse dovuto «to the fault or neglect of the carrier or its servants or agents acting within their scope of employment or agency», per la prima ipotesi; soltanto di aver adottato tutte le misure necessarie e possibili per evitare il danno, per la seconda ipotesi); nella «Alternative 1II», veniva previsto un regime basato su un triplice meccanismo di imputazione: per i danni eccedenti i centomila diritti speciali di prelievo, il vettore avrebbe potuto esonerarsi dando la prova di aver adottato tutte le misure necessarie e possibili per evitare il danno; per i danni eccedenti un importo non definito nel progetto, sarebbe invece dovuto ricadere sul danneggiato l'onere della prova fosse dovuto «to the fault or neglect of the carrier or its servants or agents acting within their scope of employment». Era seguita, da parte del Secretary Study Group on the «Warsaw System», in esito ad una riunione del 4-5 dicembre 1997, una proposta di modifica, in base alla quale sarebbe stato consentito al vettore limitare al propria responsabilità, provando di aver preso tutte le misure necessarie ad evitare il danno, o che l'adozione di tali misure fosse impossibile, ovvero che il danno fosse integralmente dovuto «to the negligence or other wrongful act or omission of a third party». La formulazione effettivamente adottata deriva dagli studi di un gruppo di lavoro costituito ad hoc, come «Friends of the Chairman».

[104] La Convenzione di Montreal ha quindi fatto chiarezza sulla questione dell'onere della prova liberatoria a carico del vettore per i danni che eccedono i centomila diritti speciali di prelievo un passo avanti rispetto alla formulazione del regolamento 2027 del 1997, che si limita a richiamare le prove liberatorie previste dalla disciplina applicabile (Convenzione di Varsavia o disciplina nazionale per i trasporti non assoggettati alla Convenzione di Varsavia): cfr. Zampone, Le nuove norme sulla responsabilità, cit., 22 ss. È noto come nella dottrina trasportistica italiana si sia discusso delle implicazioni della diversa formulazione della prova liberatoria a carico del vettore nel trasporto marittimo e nel trasporto aereo (negativa la prima, positiva la seconda) circa l'estensione della responsabilità al danno da causa ignota: nel senso che il vettore aereo non risponda dei danni da causa ignota, v. Lefebvre d'Ovidio - Pescatore - Tullio, Manuale di diritto della navigazione, cit., 519 (in senso contrario, v. Mastrandrea, L'obbligo di protezione nel trasporto aereo di persone, cit., 193 ss.). Può aggiungersi che una qualche similitudine nella formulazione della prova liberatoria, rispetto alla più tradizionale disciplina del trasporto marittimo (sul punto superata dalla Convenzione di Amburgo del 31 marzo 1978, ad oggi non ancora vigente in Italia), pare rinvenibile anche con riferimento alla responsabilità nel trasporto di merci, nell'art. 18, § 2, che segue del resto la soluzione adottata dall'art. IV del Protocollo di Montreal, che ha emendato l'art. 18 della Convenzione di Varsavia: la responsabilità vettoriale è esclusa ove siano provati alcuni eventi specifici. Tuttavia, contrariamente ai pericoli eccettuati della Convenzione di Bruxelles del 1924 sulla polizza di carico, nessuno dei rischi esclusi dall'art. 18, § 2, della Convenzione di Montreal del 1999 implica la prova di un'assenza di colpa, sicché la responsabilità vettoriale presenta in questo caso (diversamente che nel trasporto marittimo) i caratteri di una responsabilità oggettiva. Circa il carattere oggettivo della responsabilità vettoriale nel Protocollo di Montreal n. 4 (corrispondente, sul punto alla Convenzione di Montreal del 1999), v. Silingardi, L'istituto del limite risarcitorio, cit., 385; Cervelli-Giustizieri, C'è qualcosa di nuovo oggi nell'aria, anzi d'antico: l'entrata in vigore del Protocollo n. 4 di Montreal 1975, in Dir. trasp., 1999, 37 (ma Mateesco Matte, Treatise on Air-Aeronautical Law, cit., 486, sostiene l'inopportunità dell'inserzione di prove liberatorie in un regime di strict liability, che sarebbe finalizzato «to save the long discussions before the Courts»).

[105] D'altra parte, la Convenzione di Montreal non introduce disposizioni che chiariscano rispetto a quali parametri riconoscere i presupposti il risarcimento per il ritardo nel trasporto (sul punto, da ultimo: Botti, Brevi appunti in tema di tutela del passeggero nel caso di ritardo o di cancellazione del volo, ne Il nuovo diritto aeronautico – In ricordo di Gabriele Silingardi, cit., 607, 608). Non sembra comunque condivisibile la tesi (formulata con riferimento alla Convenzione di Varsavia e, parrebbe, non giustificata nemmeno rispetto ad essa) che limiterebbe la rilevanza del ritardo ai soli casi in cui vi sia stata esplicita assunzione degli orari nell'ambito delle obbligazioni vettoriali (per tale, non condivisa, lettura: Mapelli Lopez, Air Carriers Liability in Cases of Delay, in A.A.S.L., 1976, 115 ss.; in tema di ritardo, v. in generale, nella letteratura italiana, Busti, Il ritardo nei trasporti aerei, in Annali dell'Istituto di diritto aeronautico, II, 1970-71, 68. Va, infine ricordato il recente (e, non convincente, per le ragioni precisate da Masala, Ritardo: rimborso al di là del risarcimento?, in Dir. trasp., 1999, 297, ivi 303 ss., in nota a Giud. pace Sassari, 4 novembre 1998, ivi 293) indirizzo che consentirebbe al passeggero di pretendere, a seguito del ritardo, il rimborso di una parte del corrispettivo per l'acquisto del biglietto di passaggio: le decisioni si riferiscono a trasporti nazionali che ricadono nell'ambito di applicazione del codice della navigazione; la tesi non sembra però condivisibile nemmeno con riferimento alla Convenzione di Varsavia, od a quella di Montreal .

[106] Nella nozione di perdita devono farsi rientrare anche le anomalie nella riconsegna, secondo quanto (condivisibilmente) ritenuto con riferimento all'art. 18 della Convenzione di Varsavia (cfr. Cass., 18 luglio 1991, n. 7977, in Dir. trasp., 1992, 165, con nota di Comenale Pinto, Trasporto aereo e consegna della merce a persona diversa dal destinatario). Problemi possono sorgere rispetto alla disciplina dell'art. 31 della Convenzione di Montreal, ed in particolare per quanto concerne il suo § 2, che corrisponde all'art. 26, § 2, della Convenzione di Varsavia, ponendo così i medesimi problemi interpretativi. Si tratta della previsione di una decadenza dalle azioni per avaria e ritardo, in caso di ricezione senza riserva. Mentre non sembra sussistere dubbio circa l'inapplicabilità di tale disciplina alla perdita totale (cfr. Cass., 20 novembre 1990, n. 11202, in Dir. mar., 1991, 985; Lefebvre d'Ovidio - Pescatore - Tullio, Manuale di diritto della navigazione, Milano, 2000, 592, nota 338; Fogliani, L'art. 954 cod. nav. e le riserve alla riconsegna nel trasporto aereo nazionale di merci, in Studi in onore di Gustavo Romanelli, Milano, 1997, 515, 518), meno agevole è la soluzione per quanto concerne la perdita parziale. Per quest'ultimo caso, in giurisprudenza si è affermato che il destinatario decada dall'azione, al pari di quella per avaria, lì dove non abbia provveduto a formulare riserva nei termini dell'art. 26 della Convenzione di Varsavia: Cass., 21 giugno 1996, n. 5768, in Dir. mar., 1998, 685, con nota adesiva di Pollastrelli, Riflessioni sull'art. 26 della Convenzione di Varsavia nei casi di perdita parziale delle merci, nonché in Dir. trasp., 1997, 513, con nota contraria di Improda, I termini di decadenza previsti dall'art. 26 della Convenzione di Varsavia e la perdita parziale delle merci trasportate; contra: Cass. fr., 6 ottobre 1993, in Dir. trasp., 1995, 613, con nota di Sia, Sull'applicabilità dell'art. 26 della Convenzione di Varsavia alla perdita parziale di merci. Non sembra potersi condividere l'assimilazione della perdita (parziale) all'avaria. Rispetto alla disciplina civilistica del contratto di trasporto, ma con considerazioni estensibili anche al trasporto aereo, mantiene convincentemente ferma la distinzione fra le due ipotesi, facendo rientrare la perdita parziale nell'ambito della perdita: Riguzzi, Il contratto di trasporto stradale, cit., 155 (v. però, sia pure incidentalmente, Fanara, Le assicurazioni aeronautiche, I, Reggio Calabria, 1976, 320, nel senso dell'assoggettamento della perdita parziale alla disciplina di cui all'art. 26 della Convenzione di Varsavia).

[107] Conseguentemente, per il trasporto di merci nelle sue varie modalità resta valido il rilievo della tendenziale sottoposizione all'istituto della limitazione risarcitoria (Riguzzi, La responsabilità limitata del vettore marittimo di merci, Milano, 1993, 49 ss.), rilievo che non è tuttavia estensibile al trasporto di persone, tenuto conto dei più recenti sviluppi della disciplina del trasporto aereo, e comunque della scarsa fortuna che questo istituto ha ottenuto con riferimento alla disciplina del contratto di passaggio marittimo (l'Italia non ha ratificato la Convenzione di Atene del 13 dicembre 1974, come non aveva ratificato la precedente Convenzione di Bruxelles del 29 aprile 1961, né aveva introdotto disciplina di segno analogo nel codice della navigazione).

[108] Cfr. Antonini, La responsabilità del vettore aereo per il trasporto di persone e cose nella più recente normativa: Protocolli di Montreal, Varsavia Montreal, Regolamento comunitario, ne La nuova disciplina del trasporto aereo, atti del Convegno di Ispica - Ragusa del 29 agosto - 4 settembre 1999, Messina, 2000, 131, 150; Folliot, La modernisation du système varsovien de responsabilité du transporteur, cit., 424; Gardiner, The Warsaw Convention at Three Score Years and Ten, in Air Law, 1999, 114, 157; Leffers, Conséquences jurisprudentielles probables de l'évolution du regime de responsabilité du transporteur aérien en Allemagne, in Rev. fr. dr. aér., 1999, 457, 462; Schiller, De la Convention de Varsovie à la Convention de Montréal, in Rev. fr. dr. aér., 1999, 467, 472.

[109] Il bagaglio non consegnato, viceversa, nell'art. 22, § 3, della Convenzione di Varsavia, è assoggettato ad una limitazione globale per passeggero. Il limite globale unico (per bagagli consegnati e non consegnati) era viceversa previsto nell'art. 22, § 1, lett. c della Convenzione di Varsavia, come emendata dall'art. VIII del Protocollo di Guatemala City del 1971.

[110] In tal senso, Antonini, La responsabilità del vettore aereo, cit., 167.

[111] Sul punto, può farsi utilmente riferimento all'evoluzione di dottrina e giurisprudenza sui limiti risarcitori contenuti in altri strumenti di diritto uniforme in materia di trasporto, tenuto conto della «reciproca influenza» fra i testi di diritto uniforme in materia di trasporto (aspetto per il quale, v. per tutti: Romanelli, Principi comuni nelle convenzioni internazionali in materia di trasporto, cit., 204 ss. con riferimento specifico ai limiti risarcitori). Va in particolare richiamato il dibattito sull'interpretazione dell'art. 4, § 5, della Convenzione di Bruxelles del 25 agosto 1924 sull'unificazione di alcune regole in tema di polizza di carico che, nel testo originale, non conteneva una previsione espressa di decadenza dal limite (diversamente dal testo emendato dal Protocollo di Visby del 1968) ed anzi escludeva che, con l'eccezione della dichiarazione di valore, vettore e nave potessero «en aucun cas» essere chiamati a rispondere oltre i limiti risarcitori che la norma stessa prevedeva. Tuttavia, si è ritenuto che, anche nel vigore di quest'ultima disciplina, il beneficio della limitazione non fosse operante rispetto al dolo del vettore, che si manifestasse «nell'intento di non adempiere o di non adempiere correttamente» all'obbligazione assunta (Riguzzi, La responsabilità limitata del vettore marittimo di merci, cit., 110, al quale, op. loc. cit., si rinvia per ulteriori riferimenti. V. anche Carbone, Contratto di trasporto marittimo di cose, cit., 328 ss.; Zunarelli, La decadenza del vettore dal beneficio della limitazione della responsabilità, ne Il limite risarcitorio nell’ordinamento dei trasporti, atti del convegno, cit., 133, 136), superando l'impostazione che avrebbe voluto circoscrivere l'inoperatività dei limiti alle sole ipotesi di fatti del vettore volti ad intenzionalmente cagionare il danno. E (nei limiti in cui possa essere utile, rispetto all'esegesi di un testo di diritto uniforme, far riferimento ad una norma di diritto interno), può menzionarsi altresì la giurisprudenza sull'art. 423 c. nav. (che comunque è ispirata all'art. 4, § 5, della Convenzione di Bruxelles sulla polizza di carico, ancorché non contenga un'espressione equivalente ad «en aucun cas» in corrispondenza dell'esclusione del risarcimento al di là della somma-limite). Sulla linea orientata ad ammettere che il limite fosse superabile in caso di colpa grave (v. ad esempio: Trib. Napoli, 18 novembre 1983, in Dir. mar., 1985, 358; Trib. Genova, 11 giugno 1986, in Dir. mar., 1987, 357; App. Cagliari, 6 settembre 1985, in Riv. giur. sarda, 1986, 743, con nota di Tullio, Sull'applicabilità della limitazione del debito del vettore marittimo in caso di colpa grave) è prevalsa l'opposta soluzione (App. Messina, 25 gennaio 1980, in Dir. mar., 1981, 632; App. Palermo, 14 aprile 1984, in Riv. giur. circol. trasp.,  1985, 389; Cass., 27 aprile 1984, n. 2643, in Dir. mar., 1984, 1984, 864, o in Assic., 1985, II, 10, con nota contraria di S. F(errarini), Alcune considerazioni sulla limitazione del debito marittimo; Trib. Napoli, 12 luglio 1988, in Giust. civ., 1989, I, 1141. Cfr. Lefebvre d'Ovidio - Pescatore - Tullio, Manuale di diritto della navigazione, cit., 590).

[112] Romanelli, Diritto uniforme dei trasporti e Convenzione di Montreal, cit., 588; F. Berlingieri Jr., Il trasporto di merci nella Convenzione di Montreal del 1999 sul trasporto aereo internazionale – Ambito temporale di applicazione della disciplina uniforme e disciplina della responsabilità del vettore, ne Il nuovo diritto aeronautico – In ricordo di Gabriele Silingardi, cit., 616, 627.

[113]Sotto tale aspetto specifico, il regime di limitazione in questione sembra così non contraddire i princìpi enunciati da C. cost., 19 novembre 1987, n. 401, cit.

[114]A proposito dell’art. 25, § 2, della Convenzione di Varsavia (e dell'esclusione dell'invocabilità del limite per il vettore), si è fatta questione se nella nozione di «préposés agissant dans l'exercise de ses fonctions» potesse rientrare il dipendente dell'impresa di handling aeroportuale che avesse rubato la merce trasportata (in senso positivo, v. Cass. fr., 21 luglio 1987, in Dir. trasp. I/1989, 238, con nota di Coletta, Sulla nozione di preposto del vettore aereo, agente nell'esercizio delle sue funzioni). Per un caso di furto realizzato dal comandante dell'aeromobile: Trib. fédéral (Suisse), 22 settembre 1959, in Rev. fr. dr. aér., 1962, 202. Nella giurisprudenza statunitense, si è ritenuto che operasse «within the scope of employement» anche il dipendente che rubasse «on the job» (Rastemburg v. Pan-American in Lloyd's Rep. 19 - C.A. 1979, 1, richiamato da Camarda, La Convenzione sulla responsabilità dei gestori di terminali di trasporti, in Dir. comm. internaz., 1994, 269, 290, sub nota 51; v. più recentemente, nella giurisprudenza statunitense, Insurance Company v. Federal Express [U.S. Court of Appeals, 9th Cir., 30 agosto 1999], 189 F.3d 914; 1999 U.S. App. LEXIS 20774,  che ha ritenuto la responsabilità del vettore per il furto della merce trasportata operato dai suoi dipendenti, ma, sulla base del diritto dello Stato della California, applicabile ai fini dell'individuazione della colpa equivalente al dolo, ha escluso la ricorrenza di una causa di decadenza dal beneficio della limitazione vettoriale). In senso analogo, v. App. Paris, 18 ottobre 1978, in Rev. fr. dr. aér., 1978, 456; App. Paris, 26 maggio 1977, in Rev. fr. dr. aér., 1977, 285. Cfr. anche Tamayo Jaramillo, El contrato de transporte, S. F. de Bogotá, 1996, 482; Litvine, Droit aérien, cit., 290 - 291. Tuttavia, nella giurisprudenza recente degli Stati Uniti, si è esclusa l'applicabilità della Convenzione di Varsavia, rispetto ad una prestazione operata da un soggetto, pur considerato come“agent” del vettore, che avrebbe però operato al di là di quanto richiesto dalla legge o previsto per l'esecuzione del contratto: Alleyn v. Port Authority of New York and New Jersey [U.S. District Court for the Eastern District of New York, 13 luglio 1999], 58 F. Supp. 2d 15; 1999 U.S. Dist. LEXIS 10761. Per quanto concerne invece i danni all'integrità dei passeggeri che fossero derivati da un atto doloso di préposés del vettore, non è nota una casistica sulla base della Convenzione di Varsavia: potrebbe forse porsi la questione con riferimento all'episodio del volo Egyptair 990 New York-Cairo, ove trovassero conferma le ipotesi che riconducono il sinistro alla volontà suicida di uno dei piloti. È peraltro da ritenere che anche in una siffatta ipotesi, ove dovesse dimostrarsene la fondatezza, comunque il vettore non potrebbe esonerarsi, quanto meno nella misura in cui sussistesse un margine di prevedibilità della condotta, in relazione alle condizioni psico-fisiche del préposé, ovvero se il vettore non avesse preventivamente adottato tutte quelle misure che sono necessarie per evitare episodi del genere e, prima di tutto, ove il vettore non avesse operato al fine di garantire l'effettuazione di controlli adeguati circa la persistente idoneità al volo (anche psico-fisica) del proprio personale.

[115] Diversamente che per la responsabilità da ritardo nel trasporto aereo di passeggeri e della responsabilità per i danni al bagaglio o per ritardo nel trasporto di bagagli, secondo l'ipotesi contemplata espressamente nell'art. 22, § 3 della stessa Convenzione di Montreal del 1999.

[116] L'art. 25A, § 3, della Convenzione di Varsavia, introdotto dal Protocollo dell'Aja del 1955 si riferisce alla responsabilità tanto nel trasporto di passeggeri che in quello di merci e bagagli; successivamente, il Protocollo di Guatemala del 1971 ha ridotto il campo dell'eccezione al solo trasporto di merci, mentre il IV Protocollo di Montreal ha riferito l'eccezione al trasporto di passeggeri e di bagagli.

[117] Rispetto al testo dell'art. 25A della Convenzione di Varsavia, si è esclusa da alcuni l'estendibilità dei limiti anche ai c.d. contraenti indipendenti (precisando, peraltro, che tale esclusione ). È da chiedersi se la soluzione non debba essere diversa alla stregua dell'art. 30 della Convenzione di Montreal che, se ha mantenuto per il testo in lingua inglese il riferimento a «servant or agent», nel testo in lingua francese, in luogo del riferimento a «préposé», ha adottato la formula (apparentemente più ampia) di «préposé ou ... mandataire».  

[118] Sul rilievo di tale previsione rispetto alla questione in esame, v. Antonini, La responsabilità del vettore aereo, cit., 167.

[119] Lavori preparatori ai quali occorre, ai fini dell'interpretazione, ricorrere allorché non siano sufficienti i canoni ermeneutici indicati dall'art. 31 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, alla stregua dell'art. 32 della stessa Convenzione. Sul carattere di «trattati» delle convenzioni di diritto uniforme, v. Bariatti, L'interpretazione delle convenzioni internazionali di diritto uniforme, cit., 40 ss.

[120] In tema, v. per tutti Zampone, La condotta temeraria e consapevole nel diritto uniforme dei trasporti, Padova, 1999.

[121] V. Romanelli, Uniform Rules of Air Carriage, cit., 1045; sui problemi che comporta la mancata previsione in sede legislativa, nei sistemi di limitazione risarcitoria, di un soddisfacente meccanismo di adeguamento dei valori monetari, v. Silingardi, L’istituto del limite risarcitorio: controllo di costituzionalità ed autonomia delle parti, cit., 393 In generale sulla possibilità che agli organi di un'organizzazione internazionale possa essere conferito il «potere di emettere atti direttamente vincolanti per gli Stati partecipanti all'organizzazione», v. Bariatti, L'interpretazione delle convenzioni internazionali di diritto uniforme, cit., 9 ss.

[122] Un meccanismo di adeguamento dei limiti monetari di portata più limitata era previsto dall'art. 42 della Convenzione di Varsavia, nel testo inserito dall'art. XV del Protocollo di Guatemala City del 1971, con riferimento esclusivo alla responsabilità del vettore aereo di persone: su tale previsione, v. Mapelli y Lopez, El contrato de transporte aereo internacional segun el Convenio de Varsovia de 1929 y su Protocolo de Guatemala 1971, in Dir. aereo, 1971, 38, 49.

[123] Cfr., ad esempio, in tema di responsabilità extracontrattuale per inquinamento da idrocarburi trasportati alla rinfusa, CLC Prot. 1984, art. 15; e dal Fund. Prot. 1984, art. 33 . Le disposizioni in questioni sono state poi confermate dai successivi CLC Prot. 1992 e Fund Prot. 1992. V. anche, nel medesimo segno, l'art. 48 della Convenzione HNS del 1996.

[124] Alvarez v. Aerovias Nacionales de Colombia, S.A., Avianca Inc.[U.S. District Court, Southern District of Florida, 25 gennaio 1991] 756 F. Suppl. 550; 1991 U.S. Dist. LEXIS 961, ha ritenuto l'esperibilità di una «wrongful death action» in una Corte statale, ancorché il caso potesse ricadere nell'ambito di applicazione della Convenzione di Varsavia, dando quindi luogo (anche) ad una «federal cause of action available under the Convention».

[125] Come esattamente rileva in commento alla decisione in questione Rosafio, In tema di ammissibilità di azioni risarcitorie da parte del passeggero al di fuori della Convenzione di Varsavia, cit., 222.

[126] Peraltro, alla parzialmente diversa formulazione della disciplina, corrispondeva l'intenzione del legislatore del codice di adeguarsi nella sostanza alla Convenzione di Varsavia: l'inserimento della previsione sull'inesecuzione era finalizzata «a rendere più completo ed organico il sistema. La disciplina è infatti identica, per tutti i danni, sia nell'aspetto sostanziale sia nel regime probatorio» (Relazione ministeriale al codice della navigazione, § 593).

[127] Nel testo (autentico) in lingua inglese: «The carrier is liable for damage sustained in case of death or personal injury of a passenger upon condition only that the event which caused the death or injury took place on board the aircraft or in the course of any of the operations of embarking or disembarking. However, the carrier is not liable if the death or injury resulted solely from the state of health of the passenger».

[128] Per le ragioni della tesi estensiva, v. Mastrandrea, L'obbligo di protezione nel trasporto aereo di persone, cit., 176.

[129] Mateesco Matte, Treatise on Air-Aeronautical Law, Montreal - Toronto, 1981, 404. Si è posta la questione se la nozione di «accident» contenuta nella Convenzione di Varsavia sia da porsi in relazione con la nozione di «accident» cui si riferisce l'Annesso XIII della Convenzione di Chicago (Gardiner, The Warsaw Convention at Three Score Years and Ten, cit., 115), con riferimento, quindi, ad una «occurrence associated with the operation of an Aircraft». Per una rassegna giurisprudenziale sulla nozione di «accident», v. Cobbs, The Shifting Meaning of "Accident" under Article 17 of the Warsaw Convention: What did the Airline know and what did it do about it?, in Air law, 1999, 121. La nozione di «accident» viene tendenzialmente riferita dalla giurisprudenza formatasi sull'art. 17 della Convenzione di Varsavia ad un evento inusuale od inatteso, ovvero di intensità inusuale od inattesa rispetto al volo: cfr. Quinn v. Canadian Airlines International Ltd. [Ontario Court (General Division), 30 maggio 1994] 1994 A.C.W.S. LEXIS 55183, rispetto ad un caso in cui la passeggero era già afflitta da un’avanzata osteoporosi, e lamentava di aver subito fratture a seguito di turbolenze nel volo (domanda rigettata). Ancora nella giurisprudenza canadese, in Koor v. Air Canada [Ontario Superior Court of Justice, 12 giugno 2001], 106 A.C.W.S. (3d) 6; 2001 A.C.W.S. LEXIS 17283, si è escluso che rispondesse alla nozione di «accident» la caduta del passeggero, a seguito di turbolenza, con conseguente frattura. Nel già menzionato caso Air France v. Saks [U.S. Supreme Court, 4 marzo 1985], la Corte suprema degli Stati Uniti, pur evidenziandone i contorni non ben definiti e la necessità di non circoscriverla in maniera rigida, ha riferito la nozione in questione ad un «unexpected or unusual event or happening that is external to the passenger» (nel caso di specie, si era esclusa la rispondenza alla nozione della rottura del timpano, ove comunque l’impianto di pressurizzazione dell’aeromobile avesse correttamente funzionato) e sostanzialmente alla medesima nozione fa riferimento anche la più recente giurisprudenza del Regno Unito, che tuttavia ritiene di evidenziare come ad essa sia estraneo il danno causato da una personale reazione del passeggero rispetto «to the normal operation of the aircraft» (cfr. Cobbs, The Shifting Meaning of "Accident", cit., 123). Ne è derivata una tendenza della giurisprudenza ad escludere dalla nozione questione (soltanto) le conseguenze di quello che è il normale usuale ed atteso svolgimento delle operazioni dell'aeromobile. E su queste basi si è esclusa la responsabilità vettoriale di fronte a pretese dei passeggeri per supposte conseguenze dannose dell'impiego bordo di sostanze cui passeggeri medesimi sarebbero stati allergici (compreso il caso delle noccioline servite nell'ambito dei rinfreschi a bordo). Si è altresì esclusa la responsabilità vettoriale per le conseguenze dannose per il passeggero di una pressurizzazione e depressurizzazione della cabina comunque rientrante nella norma, mentre si è affermata responsabilità della vettore per le conseguenze dannose dei rimedi approntati dal personale di bordo per gli inconvenienti in questione (The Shifting Meaning of "Accident" under Article 17 of the Warsaw Convention: What did the Arline know and what did it do about it?, in Air law, 1999, 123). E si è pure escluso che rientrasse nella nozione di «accident» le conseguenze dell'impossibilità di prestare soccorso ad un passeggero, a seguito della scelta del vettore di non imbarcare c propri aeromobili le necessarie attrezzature mediche, così come si è ritenuto che prescinde esse dei rischi dell'aria e non rientrasse la nozione di «accident» la mancata effettuazione di un atterraggio di emergenza al fine di sbarcare un passeggero colpito da un attacco cardiaco. Circa la riconducibilità alla nozione di «accident» della propagazione di un'infezione tubercolotica durante un volo, v. Abeyratne, The Spread of Tubercolosis in the Aircraft Cabin - Air Carrier Liability, in Air Law, 1999, 181.

[130] Mateesco Matte, Treatise on Air-Aeronautical Law, cit., 404.

[131]Gardiner, The Warsaw Convention at Three Score Years and Ten, cit., 115.

[132] E così la Corte Suprema degli Stati Uniti, nel caso El Al Israel Airlines, Ltd., c. Tsui Yuan Tseng, cit., ha ritenuto, sulla base dell'art. 24 della Convenzione di Varsavia, preclusa al passeggero ogni azione volta ad ottenere il risarcimento di quei danni alla persona che non siano risarcibili sulla base del regime di diritto uniforme (v. sul punto le considerazioni di Rosafio, In tema di ammissibilità di azioni risarcitorie, cit.). Situazione tendenzialmente analoga (in cui il passeggero lamentava danni psicologici a seguito dei maltrattamenti che avrebbe subito dal personale della compagnia aerea per una controversia sull’asseganzione del posto) è stata poi decisa nel medesimo senso in Asher v. United Airlines [U.S. District Court for the District of Maryland, Southern Division, 29 ottobre 1999] 70 F. Supp. 2d 614. Con una recente decisione, la Corte di Cassazione francese, pur escludendo l'applicabilità della Convenzione di Varsavia ai danni ai passeggeri per fatti verificatisi dopo lo sbarco in uno scalo intermedio, ha ritenuto risarcibile sulla base del codice civile francese il danno cagionato ai passeggeri di un aeromobile presi in ostaggio durante l'invasione irachena del Kuwait, a seguito di uno scalo non previsto nel biglietto di passaggio (Cass. fr., 15 luglio 1999, in Dir. trasp., 2000, 531, non nota esplicativa di E. R(osafio) oppure in Rev. fr. dr. aér., 1999, 353). Sulla nozione di «accident» come «avvenimento determinabile nel tempo e agente rapidamente» v. Fanara, Le assicurazioni aeronautiche, I, cit., 299.

[133] È stato sostenuto che la soluzione adottata dalla Conferenza diplomatica non impedisse che il risarcimento di tali categorie di danni fosse comunque accordabile alla stregua dell'ordinamento del foro adito: per riferimenti, cfr. Gates, La Convention de Montréal 1999, cit., 444.

[134] Alla norma approvata corrisponde l'art. 16, § 1, del progetto approvato dal Legal Committeee dell'ICAO (doc. ICAO SGMW/21-WP/4), secondo il quale «The carrier is liable for damage sustained in case of death or bodily or mental injury of a passenger upon condition only that the accident which caused the death or the injury took place on board the aircraft or in the course of any of operations of embarking or disembarking. However, the carrier is non liable if the death or injury resulted solely from the state of health of the passenger».

[135] Sulla formula adottata dal Protocollo di Guatemala City v. (nel senso della sua preferibilità), v. Mastrandrea, L'obbligo di protezione, cit., 183 ss.

[136] Nel senso dell'esclusione, nel testo della convenzione di Montreal, della risarcibilità del danno da pure emotional distress, v. Margo, Insurance Aspects of the New International Passenger Liability Regime, cit., 136; v. anche Mauritz, Current Legal Developments: the ICAO International Conference on Air Law, Montreal, May 1999, , in Air Law, 1999, 153, 154, nel medesimo senso (ma critico rispetto a tale soluzione, ritenendo che, in campo aeronautico, si dovrebbero risarcire i casi di «severe emotional distress», escludendo, viceversa, la risarcibilità «for any form of minor claim based on fear of flying related phenomena such as turbulence»). Nel senso che la nuova convenzione abbia preso atto dell'inesistenza di una posizione consolidata al riguardo (e dunque nel senso che essa non sia preclusiva), v. Weber - Jakob, The Modernization of the Warsaw System: The Montreal Convention of 1999, in A.A.S.L., 1999, 333, 340.

[137] Margo, Insurance Aspects, cit., 136. Sulla riconoscibilità dei punitive damages sulla base della Convenzione di Varsavia, v. Barlow, Punitive Damages Under the Warsaw Convention: Mixing Apples with Oranges, in A.A.S.L., 1992, 71

[138] È però da rilevare che la riconoscibilità di tali categorie di danni sembra da escludere anche sulla base della Convenzione di Varsavia: v. da ultimo Fearon, La nouvelle Convention de Montréal de 1999. Une vision américaine, in Rev. fr. dr. aér., 1999, 401, 406. La casistica giurisprudenziale statunitense sembrerebbe pacifica, nonostante la non chiara posizione adottata dalla Corte Suprema nel caso Zicherman v. Korean Airlines Co. Ltd., cit. (che ha escluso la risarcibilità dei punitive damages sulla base di una legge statunitense relativa al risarcimento della morte prodottasi in alto mare, il DOHSA, 46 U.S.C.S. app. §  761, sull’assunto che “Articles 17 and 24(2) of the Warsaw Convention permit compensation only for legally cognizable harm, but leave the specification of what harm is legally cognizable to the domestic law applicable under the forum's choice-of-law rules”): v., da ultimo In re Air Crash at Taipei, Taiwan, on October 31, 2000 [U.S. District Court, Central District Of California, 26 agosto 2002], 219 F. Supp. 2d 1069; 2002 U.S. Dist. LEXIS 16390. Tuttavia, in senso contrario, v. Wilkinson, Recovery of punitive damages under Warsaw Convention, cit., 30, che argomenta la sua tesi, sul presupposto (esatto) che la Convenzione non sia esaustiva (su cui v. supra), e che la redazione del suo testo era stata dovuta principalmente a giuristi di area di civil law e che, d'altro canto, all'epoca della redazione della Convenzione di Varsavia, i punitive damages erano «essentially restricted to the areas of tresspass, intentional torts and defamation» perviene alla conclusione che non ci sarebbe motivo per negare la loro ammissibilità.

[139] Aspetto per il quale v. Jacchia, Brevi note sul Protocollo di Guatemala dell'8 marzo 1971, cit., 218

[140] Sui problemi connessi all'adozione di tale forma di documentazione del trasporto aereo di passeggeri, v. Lick - Dornic, Elettronic Ticketing under the Warsaw Convention: the Risk of "Going Ticktless" on International Flights, in Air Law, 1997, 13; Dubuc, Air Travel, Elettronic Tickets and the Warsaw Convention in Cyberspace, ivi, 291; in lingua italiana (con riferimenti anche alla prassi  I.A.T.A.), v. Busti, Profili innovativi nella documentazione del contratto di trasporto aereo di persona, in Trasporti, 81/2000, 197, 198 ss.

[141] Sugli aspetti relativi a tale specifico punto, v. Busti, Profili innovativi nella documentazione del contratto di trasporto aereo di persona, cit., 229.

[142] L'art. 6, § 2, del regolamento CE n. 2027/97 del Consiglio del 9 ottobre 1997 prevede un obbligo per il vettore di inserire nelle proprie condizioni di trasporto clausole corrispondenti alla disciplina comunitaria della responsabilità vettoriale dettata dal regolamento stesso e di rilasciare un biglietto, o un documento equivalente che contenga una sintesi di tali disposizioni «in linguaggio chiaro e comprensibile». Tale disciplina è stata peralaltro sensibilmente modificata dal regolamento 889 del 2002, che ha precisato che gli obblighi di informazione previsti per i vettori aerei comunitari ai §§ 1 e 2 dell’art. 6, si applicano anche ai vettori aerei extracomunitari, limitatamente ai trasporti «verso o dalla Comunità o all'interno di essa».

[143] Il principio dell'utilizzazione di una lingua comprensibile per l'utente (sia pure a sua richiesta) è contemplato in generale nella disciplina di derivazione comunitaria di tutela del consumatore: v., ad esempio, l'art. 3, comma 4, del d. lgs. 22 maggio 1999, n. 185, recante «Attuazione della direttiva 97/7/CE relativa alla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza»: «Nel caso di utilizzazione di tecniche che consentono una comunicazione individuale, le informazioni di cui al comma 1 sono fornite, ove il consumatore lo richieda, in lingua italiana. In tal caso, sono fornite nella stessa lingua anche la conferma e le ulteriori informazioni di cui all'articolo 4» (il considerando n. 8 della direttiva così attuata precisa che «l'uso delle lingue in materia di contratti a distanza rientra nelle competenze degli Stati membri»). Va ricordata anche la direttiva del Consiglio 18 dicembre 1978, 79/112/CEE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale, il cui art. 14 prevede la possibilità per gli Stati membri di vietare il commercio di quei prodotti in cui le indicazioni essenziali dell'etichetta «non sono fornite in una lingua facilmente compresa dagli acquirenti, a meno che l'informazione dell'acquirente non venga altrimenti garantita». Trib. d'instance de Paris, 8 febbraio 1978, in Rev. fr. dr. aér., 1979, 97, ha affermato il divieto di rilasciare un biglietto aereo redatto esclusivamente in lingua inglese (nel caso di specie, relativo alla tratta Parigi-Londra), ancorché il vettore emittente fosse la British Airways, il cui rappresentante è stato così condannato sulla base della legge 31 dicembre 1975 sull'impiego della lingua francese e della legge 1° agosto 1905 sulla repressione delle frodi (per la collocazione di tale decisione nell'ambito della giurisprudenza sulla tutela dei consumatori, v. de Juglart, Traité de droit aérien, t. 1, Paris, 1989, 1047).

[144] Carbone, Criteri di collegamento giurisdizionale e clausole arbitrali nel trasporto aereo: le soluzioni della Convenzione di Montreal del 1999, relazione al Convegno di studi di Roma del 27 ottobre 1999, La nuova disciplina del trasporto aereo internazionale: l'impronta multidisciplinare e la dimensione pubblicistica del diritto della navigazione -In onore di F. M. Dominedò, in Riv. dir. int. priv. proc., 2000, 5.

[145] Si tratta, peraltro, di nozione dai contorni non definiti nettamente, suscettibile di determinare a sua volta contenzioso: cfr. Gates, La Convention de Montréal 1999, 442.

[146] Mauritz, Current Legal Developments: the ICAO International Conference on Air Law, Montreal, May 1999, cit., 156. Su tali accordi, v. in lingua italiana, Franchi, Gli accordi di codesharing, in Dai tipi legali ai modelli sociali nella contrattualistica della navigazione, dei trasporti e del turismo, atti del Convegno di Modena del 31 marzo e 1° aprile 1995, a cura di G. Silingardi, A. Antonini e F. Morandi, Milano, 1996, 519; Girardi, Vettore contrattuale e vettore di fatto: chi risponde dei danni nel trasporto aereo?, cit., 537 ss.

[147] Sui problemi per l'individuazione del regime di responsabilità nel caso di trasporto aereo in code-sharing, rispetto alla Convenzione di Varsavia, v. Franklin, Code-sharing and Passenger Liability, in Air Law, 1999, 128.

[148] In un non recente caso statunitense, si è ritenuto che il biglietto San Paolo/Miami/San Paolo evidenziasse come luogo di destinazione San Paolo (Galli v. Re-Al Brazilian International Aviation, 7 Avi. 17,614 (1961). Secondo Miller, Liability in International Air Transport, cit., 308, il luogo di destinazione cui si riferisce l'art. 28 sarebbe il medesimo cui si riferisce l'art. 1, § 2, al fine di definire il campo di applicazione della Convenzione e, conseguentemente, il luogo di destinazione in questione sarebbe da intendere come quello dell'intero viaggio, quale appare dal contratto e non quello di una sola frazione del viaggio (v. anche in tal senso Mankiewicz, The Liability Regime of International Air Carrier, cit., 135).

[149] Secondo Cass. pen. francese, 3 dicembre 1969, in Rev. fr. dr. aér., 1970, 81, e Cass. pen. francese, 9 gennaio 1975, in Rev. fr. dr. aér., 1975, 181, l'azione civile assoggettata alle regole sulla giurisdizione della Convenzione di Varsavia non può essere accorpata ad un'azione in sede penale.

[150] Tale questione è stata prospettata davanti a Cass., SS. UU., 15 giugno 1993, n. 6630, in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 1995, 121, oppure in Dir. trasp., 1994, 185, con nota di Montanari, Sull'interpretazione dell'art. 28 della Convenzione di Varsavia in materia di giurisdizione e competenza territoriale nel trasporto aereo internazionale, ivi 189 (cui si rinvia per ulteriori richiami di dottrina e di giurisprudenza). In tale vicenda, le Sezioni Unite tuttavia non si pronunziarono, escludendo che, una volta accettata la giurisdizione italiana, potesse lamentarsi la (eventuale) violazione di una competenza territoriale con un regolamento di giurisdizione.