N° 2 - Marzo 2003 – Lavori in corso – Contributi

  

E' GIUNTA L'ORA DI UNA LEGGE SUI PARTITI POLITICI?

 

 

Tommaso Edoardo Frosini

Università di Sassari

 

 

 

1. Il tema riguardante la disciplina giuridica dei partiti politici è antico ma sempre attuale. Affonda le sue radici nel dibattito all’Assemblea Costituente, perché fu in quella sede che si prospettò l’ipotesi – respinta prima ancora di essere seriamente discussa – di aggiungere, nell’articolo della Costituzione riguardante i partiti politici, un comma in cui venisse esplicitamente affermato l’obbligo di previsione della regolamentazione giuridica dei partiti e della pubblicità delle fonti di finanziamento degli stessi. Se fosse stata approvata, si sarebbe così introdotta una norma ritenuta «consona a tutto lo spirito della Costituzione», come ebbe a dichiarare l’on. Costantino Mortati. Il risultato finale fu invece quello di un articolo, il 49, fin troppo essenziale nella sua formulazione costituzionale, perché si limita a dichiarare che: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». E non è certo casuale la stessa collocazione dell’art.49 nella parte relativa ai diritti dei cittadini piuttosto che in quella relativa all’organizzazione costituzionale dello Stato, in cui i partiti, pur riconosciuti, non sono inclusi. Il loro operare, allora, non dipende da norme scritte ma esclusivamente sul piano della costituzione materiale, ed incide in maniera rilevante sulla dinamica della forma di governo.

Certo, la scelta che volle compiere il Costituente, approvando un articolo dedicato ai partiti assai poco analitico e privo di strumentari giuridici, aveva la sua ragione d’essere nel momento storico in cui venne compiuta: non è questa adesso la sede per rievocare il clima di allora, che era comunque condizionato dalla necessità che i partiti avessero un ampio spazio d’azione nel sistema politico, affinché si consentisse per il loro tramite alla società di farsi Stato, per dirla con un’espressione famosa. La nuova democrazia italiana doveva nascere e consolidarsi attraverso quegli strumenti di raccordo tra i cittadini e le istituzioni, tra il corpo elettorale e le Assemblee rappresentative, che sono i partiti politici; anche al fine di rendere concreta una altrimenti indistinta volontà popolare. Infatti, una democrazia senza partiti è un non senso, è come un liberalismo senza libertà. La funzionalità democratica e la stessa democraticità di un sistema politico sono garantite dall’esistenza di un pluralismo di partiti e dalla loro competizione. Con il riconoscimento costituzionale dei partiti si avviava così in Italia il superamento delle basi individualistiche della rappresentanza, sulle quali poggiava il regime parlamentare ottocentesco, per sostituirvi una nuova democrazia organizzata attraverso i partiti.

Non si volle però determinare un obbligo giuridico, per il tramite del quale si potesse venire a fondare anche una democrazia nei partiti; ovvero, non vi fu una previsione costituzionale né legislativa, con cui imporre una disciplina interna dei partiti fondata su regole democratiche stabilite da statuti. E la stessa nozione costituzionale del “concorso con metodo democratico” di cui all’art.49, piuttosto che riferita anche all’attività interna dei partiti, venne ad essere prevalentemente intesa come attività di pluralismo politico esterno, cioè come competizione fra partiti al gioco elettorale nel rispetto dell’eguaglianza delle opportunità. In tal modo però non si tenne nel giusto conto il fatto che il soggetto della proposizione dell’art.49 è “Tutti i cittadini”, e  pertanto riferire il “metodo democratico” al solo concorso fra partiti porterebbe a ritenere che proprio i cittadini siano estraniati dal concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Il che sarebbe paradossale.

 

2. Gli anni successivi all’entrata in vigore della Costituzione furono caratterizzati da una tendenziale diffidenza – manifestata anche negli studi compiuti dalla dottrina – verso forme di intervento pubblico e di regolazione legislativa dei partiti; nella convinzione che la democraticità del sistema partitico veniva ad essere maggiormente garantita da una norma “a fattispecie aperta” quale era l’art.49, piuttosto che da una disciplina legislativa che potesse risultare “costringente” per la libertà d’azione dei partiti. Ad avvalorare ulteriormente questa ricostruzione, concorse la tesi della concezione strettamente privatistica del partito politico, il quale nel regime delle associazioni non riconosciute e quindi nel diritto privato comune, si diceva che trovasse la più alta garanzia di libertà. Certo, non mancarono voci di dissenso a questa impostazione, come per esempio il progetto di legge del sen. Sturzo, alcune delle quali sfociarono, per allora, in un’aspra e minoritaria polemica di alcuni battaglieri studiosi contro la “partitocrazia” (Maranini) e contro la “autocrazia di partito” (Perticone); in particolare quest’ultima espressione da intendersi proprio come una sorta di denuncia della mancanza di regole democratiche all’interno dei partiti.

Successivamente, negli anni Settanta, vi furono i primi interventi legislativi volti a garantire il finanziamento pubblico a favore dei partiti, senza però che vi fosse l’attribuzione di un riconoscimento giuridico per quei soggetti che si andavano a finanziare. Pertanto, il criterio che stava a fondamento delle scelte legislative sulla contribuzione economica statale era perciò quello di finanziare i partiti senza riconoscerli, anziché riconoscerli per finanziarli. Un ragionare ancora una volta imperniato sul ruolo centrale del partito nell’ordinamento costituzionale e nella società, e che aveva come conseguenza quello di evitare che il partito subisse dei meccanismi di “burocratizzazione”, derivanti dalla sottoposizione a regole giuridiche, che fossero in grado di rallentarne, o addirittura di frenarne, il naturale dinamismo dei partiti nell’ambito del sistema politico e nella tenuta della forma di governo parlamentare.

Nell’ultimo decennio invece si assiste ad una radicale ricomposizione del quadro partitico italiano, a seguito sia delle vicende giudiziarie di “Tangentopoli”, sia della modificazione del sistema elettorale in senso semi-maggioritario, sia delle reiterate forme di disaffezione politica della cittadinanza manifestatesi con il crescente astensionismo elettorale da un lato, e con le numerose richieste di referendum in funzione antipartitocratica dall’altro. Poi, in questi ultimi anni, si è assistito all’emergere di un fenomeno politico-istituzionale assai anomalo, che è stato efficacemente definito della “partitocrazia senza partiti”: cioè la presenza di un sistema di apparati partitocratico, non più di tipo organizzativo ed ideologico come lo erano i partiti di prima, ma piuttosto macchine personali al servizio di questo o quel leader politico. Partiti personali, che sono dominati, in funzione determinante e coagulante, dal capo in cui si riconoscono.

Oggi, dopo la numerose vicende che hanno e che stanno ancora accompagnando, in positivo e negativo, la storia dei partiti politici nell’Italia repubblicana, occorre tornare ad affrontare il problema di una regolamentazione giuridica dei partiti. Per restituire ai partiti quel ruolo di raccordo fra i cittadini e le istituzioni, che è fondamentale in una democrazia pluralista, e che, proprio per questo motivo, non può più essere sottratto ad una regolazione dei partiti in forme autenticamente democratiche ed aperte al controllo dell’opinione pubblica se non della legge. Rivitalizzare il patto fra cittadini e partiti, vuol dire indurre questi ultimi a rinunciare ad una parte del loro arbitrio, subordinandosi a regole certe e trasparenti, rendendo pubblici i loro statuti oltre che i loro bilanci, dando più potere ai loro iscritti ed elettori. Inoltre, risolvere questo problema, nel senso di imporre una disciplina giuridica ai partiti, può essere di grande ausilio per il concorso del raggiungimento della stabilizzazione del sistema partitico. Quindi: i partiti per tornare a svolgere la loro funzione nella democrazia italiana, devono divenire effettivamente ed autenticamente soggetti democratici. E’ sempre più diffusa ed avvertita una nuova legalità non solo dei partiti politici, ovvero relativa ai comportamenti dei soggetti politici, ma anche sui partiti politici attraverso principi, regole, indirizzi e forme di controllo in grado di garantire un contesto più trasparente e responsabile all’azione politica di rilievo pubblicistico. E’ questo un passaggio indispensabile, sia per rifondare un nuovo patto fra politica e società civile, sia per rilanciare la funzione costituzionale e sociale dei partiti politici. Si ricorda, incidentalmente, che la Commissione bicamerale per le riforme costituzionali del 1983, presieduta dal sen. Aldo Bozzi, aveva approvato un nuovo testo dell’art. 49 Costituzione così formulato: «Tutti i cittadini hanno diritto ad associarsi liberamente in partiti per concorrere con strutture e metodi democratici, a determinare la politica nazionale. La legge disciplina il finanziamento dei partiti, con riguardo alle loro organizzazioni centrali e periferiche e prevede le procedure atte ad assicurare la trasparenza ed il pubblico controllo del loro stato patrimoniale e delle loro fonti di finanziamento. La legge detta altresì disposizioni dirette a garantire la partecipazione degli iscritti a tutte le fasi di formazione della volontà politica dei partiti, compresa la designazione dei candidati alle elezioni, il rispetto delle norme statutarie, la tutela delle minoranze». Si trattava di una proposta valida e precisa, ma che non trovò – al pari delle altre proposte di riforma formulate in quella sede – nessun seguito; e nemmeno venne ripresa successivamente in sede parlamentare.

 

3. Ma la via per disciplinare i partiti politici è solo quella costituzionale? Certo, procedere attraverso la revisione costituzionale ex art. 138 Cost. comporta un processo di riforma di non facile realizzazione ma nondimeno impossibile (come lo dimostrano le recenti modifiche costituzionali sul voto degli italiani all’estero, sul giusto processo e sulla riforma regionale). La scelta di procedere attraverso la revisione costituzionale può essere originata dal seguente motivo: che l’art.49 Cost. nella parte in cui parla di “metodo democratico” non può essere interpretato nel senso di un’attività interna democratica dei partiti, ma piuttosto soltanto circoscritto ai rapporti tra partiti nell’ambito di una competizione ispirata al pluralismo politico. Da qui allora la necessità di esplicitare nella norma costituzionale il “diritto dei partiti”, quasi a voler ridare maggiore forza e dignità ai partiti politici costituzionalizzandoli; salvo poi riservare alla legge il compito di disciplinarli ulteriormente.

In tal senso, una strada da percorrere potrebbe essere quella di prevedere che i partiti, al fine di usufruire dei rimborsi per le spese elettorali e di ogni altro beneficio normativo, si devono dotare di uno statuto approvato con atto pubblico, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, contenente gli organi del partito e loro composizione, le procedure e forme di garanzia per le minoranze, i diritti e doveri degli iscritti, le modalità di selezione dei candidati alle elezioni. Così facendo non si attuerebbe una pubblicizzazione dei partiti – che sarebbe incostituzionale – ma piuttosto i partiti resterebbero associazioni di diritto privato “non riconosciute” regolate secondo criteri e forme democratiche. L’obbligo di pubblicità degli statuti costituisce sicuramente un avanzamento rispetto all’arbitrio che ha sempre caratterizzato il diritto dei partiti, solo temperato da crescenti interventi giurisdizionali. Ma dal punto di vista della democrazia interna, è sufficiente che gli statuti  prevedano le garanzie e gli istituti richiamati, o non è necessario determinarne direttamente con legge alcuni requisiti minimi?

Non si vuole qui, e né si potrebbe, tracciare ne dettaglio quella che dovrebbe essere una disciplina legislativa in materia di regolazione giuridica dei partiti politici. Si intende però sollecitare questa riforma, per le ragioni sopra esposte e perché ritenuta fondamentale al fine di restituire ai partiti la loro dignità nel sistema politico-istituzionale, e anche al fine di contribuire al superamento della confusa transizione italiana. Qualche cosa sembra finalmente muoversi. A dare una scossa, c'è adesso un recente disegno di legge (AS n.1540), a firma dei senatori Del Pennino e Compagna, intitolato Norme sul riconoscimento giuridico e il finanziamento dei partiti, i loro bilanci e le campagne elettorali. E' il tentativo di dare una risposta organica all'esigenza di collocare il partito politico nel giusto ruolo del nostro ordinamento costituzionale, definendone natura giuridica, regole di vita interna, procedure per la scelta dei candidati, trasparenza dei bilanci. Si tratta di una proposta che merita di essere attentamente discussa, specialmente tra i costituzionalisti, e che merita di essere attentamente presa in considerazione, specialmente tra quanti credono che sia giunta l'ora che si faccia (anche) in Italia una legge sui partiti politici.

 

 

 

Bibliografia

 

BETTINELLI E., Alla ricerca del diritto dei partiti politici, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, n.4, 1985;

CHELI E., Spunti per una nuova disciplina in tema di finanza dei partiti, in Scritti in onore di V. Crisafulli, vol.II, ed. Cedam, Padova, 1985;

CIAURRO L., Trasparenza e finanziamento dei costi della politica, in Nuovi Studi Politici, n.2, 1995; ELIA L., Per una legge sui partiti, in Studi in memoria di F. Piga, vol.II, ed. Giuffrè, Milano, 1992;

ESPOSITO C., I partiti nella Costituzione italiana, in ID., La Costituzione italiana. Saggi, ed.Cedam, Padova, 1954;

FROSINI T.E., Finanziamento dei partiti e corruzione: brevi note critiche sul caso italiano, nel vol. Finanziamento della politica e corruzione, a cura di F.Lanchester, ed.Giuffrè, Milano, 2000;

FROSINI T.E., Le votazioni, ed.Laterza, Roma-Bari, 2002;

GARDINI G., La disciplina delle campagne elettorali, ed. Cedam, Padova, 1996;

GIANNINI M.S., Finanziamento pubblico ai partiti politici e destinazione dei fondi, in Giurisprudenza italiana, n. 2, 1983;

LANCHESTER F., Il problema del partito politico: regolare gli sregolati, in ID., Rappresentanza, responsabilità e tecniche di espressione del suffragio, ed. Bulzoni,  Roma, 1989;

MARANINI G., Il tiranno senza volto, ed. Bompiani, Milano, 1963;

MAZZEI V., Il finanziamento statale dei partiti politici, in Studi per il XX anniversario dell'Assemblea Costituente, vol.II, ed. Vallecchi, Firenze, 1969;

OPPO G., Finanziamento dei partiti e diritto privato, in Rivista di diritto civile, 1974;

PASQUINO G., Contro il finanziamento pubblico di questi partiti, in ID., Degenerazione dei partiti e riforme istituzionali, ed. Laterza, Roma-Bari, 1982;

PASQUINO G., Commento all'art.49 Cost., in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, ed. Zanichelli, Bologna-Roma, 1992;

PINELLI C., Disciplina e controlli sulla democrazia interna dei partiti, ed.Cedam, Padova, 1984;

PINELLI C., Il punto su disciplina e finanziamento dei partiti, in Diritto Pubblico,1, 2000;

RESCIGNO G.U., Nuovi e vecchi partiti e art.49 della Costituzione, in AA.VV., Lo stato delle istituzioni in Italia. Problemi e prospettive, ed. Giuffrè, Milano, 1994;

RIDOLA P., Partiti politici, in Enciclopedia del diritto, vol.XXXII, ed.Giuffrè, Milano, 1982;

RIDOLA P., Parteienfinanzierung in Italien, nel vol. Parteienfinanzierung im Europaischen Vergleich, a cura di D.Th. Tsatsos, Baden Baden, 1992;

RIDOLA P., Principio costituzionale pluralistico e mutamento della forma-partito, in AA.VV., Lo stato delle istituzioni in Italia. Problemi e prospettive, ed. Giuffrè, Milano, 1994;

SOMMA A., Circolazione di modelli superati: il legislatore italiano e il sistema tedesco di finanziamento della politica, in Politica del diritto, n.4, 1993;

STURZO L., Opere scelte. vol. II, Stato, Parlamento e partiti, ed. Laterza, Roma-Bari, 1992;

TROCCOLI G., La legge 2 gennaio 1997, n. 2 ed il finanziamento dei partiti, in Rassegna parlamentare, n. 3, 1997;

VALITUTTI S. e CIAURRO G.F., Contro il finanziamento pubblico dei partiti, ed. Bulzoni, Roma, 1975;

ZOLO D., Una legge per i partiti, in Micromega, n. 2, 1986.