N° 2 - Marzo 2003 - Memorie

Anna Maria Piredda

Università di Sassari

 

La figura di Costantino dal tempo

di papa Simmaco a Gregorio di Tours

 

 

Nel terzo libro del De sanctis Sardiniae Giovanni Arca afferma che papa Simmaco costruì a Roma, nei pressi delle terme di Traiano, una basilica dedicata ai santi Silvestro e Martino[1]. La costruzione della basilica rientra nelle numerose attività edilizie che hanno caratterizzato il tormentato pontificato di Simmaco[2], ma si segnala per la particolare rilevanza attribuita a Silvestro, vescovo di Roma dal 314 al 335, anni importanti per la svolta cristiana dell’impero ad opera di Costantino[3]. Non mi soffermo sulla figura storica di questo papa, ricordo soltanto che la sua sbiadita immagine è stata rimodellata nel corso del V secolo dagli Actus Beati Sylvestri[4]. L’uso antico e ampiamente diffuso di questa anonima composizione agiografica, che ha creato la leggenda del battesimo romano di Costantino ad opera proprio di papa Silvestro[5], veniva riconosciuto “pur senza entusiasmo”[6] dal  Decretum Gelasianum de libris recipiendis et non recipiendis[7]. Gli Actus Beati Sylvestri, infatti, si raccomandavano sia perché raccontavano il trionfo del cristianesimo e l’inizio di una nuova fase dell’impero, sia perché venivano attribuiti ad Eusebio di Cesarea[8].

Durante le travagliate fasi dello scisma Laurenziano[9] questo testo agiografico, in cui vengono ribaltati i rapporti storici tra l’imperatore Costantino e papa Silvestro[10], risultò funzionale alla difesa di Simmaco e costituì la base di alcuni dei cosiddetti “falsi Simmachiani”, il Constitutum Sylvestri e i Gesta Liberii[11], documenti propagandistici con cui Simmaco ed i suoi sostenitori cercavano di opporsi agli interventi di Teoderico nelle questioni religiose. L’utilità di questi testi così come degli Actus Sylvestri era fondamentale nei rapporti con i sovrani dei regni romano-barbarici.

Proprio negli anni in cui Simmaco stava sulla cattedra di Pietro si colloca la conversione e il battesimo del re dei Franchi Clodoveo, la cui prima testimonianza è fornita dalla lettera di felicitazioni inviata dal vescovo Avito di Vienne[12]; questi, discendente da un’antica famiglia di origine senatoria gallo-romana imparentata con l’imperatore Avito, aveva anche appoggiato Simmaco durante lo scisma, mantenendo rapporti epistolari sia con il papa sia con i senatori romani a lui vicini[13].  Nell’epistola a Clodoveo Avito loda il re franco per la sua decisione, che viene intesa come la vittoria dell’episcopato gallo cattolico fedele al papa[14]. Egli propone Clodoveo come modello agli altri re romano-barbarici e, seppure non lo dica esplicitamente, soprattutto a Gundebaudo, il re Burgundo nel cui regno si trovava la diocesi di Vienne[15]. Ma la sua fedeltà al re burgundo fa pronunciare ad Avito parole misurate, come l’invito rivolto a Clodoveo di diventare apostolo del cristianesimo tra i pagani[16]; egli vuole assolutamente evitare che Clodoveo si senta investito del compito di “convertire” con la forza delle armi i popoli ariani della Gallia. Spiega perciò le caratteristiche della regalità cristiana, che consiste in una rigenerazione della regalità stessa; le sue parole:

 

cum adunatorum numerosa pontificum manus sancti ambitione servitii membra regia undis vitalibus confoveret[17],

 

indicano, secondo Marc Reydellet,  che Clodoveo è stato rigenerato nel battesimo non solo come uomo ma anche come re[18]: pertanto deve governare secondo la volontà di Dio. Secondo Avito, dunque, per l’adozione del cristianesimo la regalità diviene, almeno per quel che concerne la religione, una forma di governo conforme all’ideale romano e Clodoveo può esserne definito l’auctor perché rompe con il modello germanico[19]. Nella lettera di Avito non viene proposto nessun paragone esplicito tra Costantino e Clodoveo[20], ma dall’exemplum appaiono “in filigrana” i modelli di Costantino e Teodosio, come venivano proposti dalla tradizione panegiristica cristiana[21]. La tipologia costantiniana doveva essere presente allo stesso Clodoveo che vi si adeguava convocando ad Orleans un Concilio per tutti i vescovi delle Gallie[22]. Il re franco, che si considerava – ed amava essere considerato – il campione della Chiesa cattolica e romana; probabilmente, come suggerisce Luce Pietri[23], desiderava anche rivaleggiare con Costantino quando, dopo la vittoriosa battaglia di Vouillé contro i Visigoti ariani, faceva costruire a Parigi la basilica dei Santi Appostoli Pietro e Paolo, dove sarebbe stato sepolto con la sua famiglia.

Ed aveva ugualmente presente il modello del primo imperatore cristiano allorché inviava a Roma, come dono per la tomba di san Pietro, una corona di pietre preziose[24]. Negli Actus Sylvestri, infatti, leggiamo che Costantino, l’ottavo giorno successivo al suo battesimo, deposte le vesti bianche e completamente mondo e salvo si recò alla tomba di Pietro e, levatosi dal capo il diadema, ve lo depose, effondendo tante lacrime da bagnare la sua veste di porpora[25]. La notizia della corona votiva inviata da Clodoveo è contenuta nel Liber pontificalis all’interno della vita di papa Ormisda; ma il dono è stato di certo inviato dal re franco al papa precedente, giacché Clodoveo è morto nel 511, tre anni prima dunque di papa Simmaco, che ha dedicato a Roma una chiesa al patrono dei Franchi, san Martino. In questa prospettiva simbolica il dono di Clodoveo acquista quindi, come sostiene Michel Rouche, notevole importanza perché rafforza la romanità di Clodoveo in senso politico e religioso e crea la tripla connessione Pietro, Costantino, Clodoveo[26].

Il parallelismo tra Costantino e Clodoveo, che pure era accolto nella Gallia merovingia, viene esplicitato per la prima volta da Gregorio di Tours, che negli Historiarum libri definisce Clodoveo novos Constantinus[27]. La figura del re dei Franchi delineata da Gregorio desta particolare interesse per la ricca presenza intertestuale delle diverse tradizioni tardoantiche relative al primo imperatore cristiano.

Nel racconto del vescovo di Tours il processo di conversione inizia durante la battaglia di Tolbiac[28]: infatti, per evitare il massacro del suo esercito che sta per essere sconfitto dagli Alamanni, Clodoveo invoca il Signore promettendo di convertirsi alla fede cristiana professata da sua moglie Clotilde[29]. È evidente il riferimento ai testi in cui Lattanzio, Eusebio e Rufino presentano la conversione di Costantino prima della battaglia di ponte Milvio[30].

Nelle Historiae di Gregorio alla miracolosa conversione dettata dalla necessità[31] segue la completa adesione di Clodoveo alla fede cattolica per opera del vescovo di Reims Remigio, che viene chiamato a corte di nascosto dalla regina ut regi verbum salutis insinuaret[32]. Il re prima di farsi battezzare ritiene però opportuno rivolgersi al suo popolo per vedere se questi è disposto ad abbandonare i propri dei e abbracciare la fede cristiana[33]. La potenza di Dio (praecurrente potentia Dei) va in aiuto di Clodoveo: egli non ha neppure bisogno di parlare all’assemblea dei Franchi, che acclama all’unisono[34]:

 

Mortalis dives abigimus, pie rex, et Deum quem Remigius praedicat inmortalem sequi parati sumus) [35].

 

Ricevuta la notizia il santo vescovo Remigio, ordina che venga preparato il lavacro battesimale, al quale Clodoveo si accosta come un “nuovo Costantino”, per essere mondato dall’antica lebbra ed essere purificato con l’acqua del battesimo dalle macchie sordide dei peccati compiuti in precedenza”: 

 

Procedit novos Constantinus ad lavacrum, deleturus leprae veteris morbum sordentesque maculas gestas antiquitus recenti latice deleturus[36].

 

La tipologia costantiniana proposta è ora quella degli Actus Silvestri, cui Gregorio si rifà anche per delineare la figura del vescovo Remigio, lodato non soltanto per la sua cultura e la grande preparazione negli studi di retorica, ma anche per il suo elevato grado di santità, pari a quello di Silvestro:

 

Erat autem sanctus Remigius episcopus egregiae scientiae et rethoricis adprimum inbutus studiis, sed et sanctitate ita praelatus, ut Silvestri virtutebus equaretur[37].

 

Il quadro teorico istituito dallo storico di Tours appare articolato, frutto di una profonda riflessione politica e teologica[38], come indica la formula della benedizione battesimale pronunziata da Remigio: “Mitis depone colla, Sigamber; adora quod incendisti, incende quod adorasti[39].  L’espressione mitis depone colla, che riprende quella usata da papa Gelasio nell’epistola all’imperatore Anastasio (devotus colla submittis), indica l’accettazione da parte di Clodoveo di un nuovo tipo di regalità, quella romana e cristiana[40]. Clodoveo infatti deve essere disposto ad accettare l’autorità dei vescovi in campo religioso[41] e a diventare mitis, perché la mitezza unita alla fede aveva permesso ai principes christiani di riconoscere i limiti della loro potestas e di rispettare la libertas dicendi dei vescovi[42]. Caratterizzando in tal modo il comportamento di Clodoveo, Gregorio lo assimilava a quello di Teodosio[43], così come lo aveva descritto Ambrogio di Milano nell’elogio funebre composto per la morte dell’imperatore[44]. Nel De obitu Theodosii il grande Padre della Chiesa, esaltato da papa Gelasio[45] come esempio di parrhesia,[46] aveva teso a dare alla fede dell’imperatore uno “statuto pubblico, facendone un criterio di governo”[47]: secondo questa nuova “teologia” dell’impero la fede salvava gli imperatori “dalla tentazione tirannica dell’arbitrio del potere”[48] e li rendeva eredi per fede di Costantino,  che primus imperatorum credidit et post se hereditatem fidei principibus dereliquit[49]. È ricollegandosi alla tradizione ambrosiana[50] che  Gregorio di Tours legittimava Clodoveo quale erede per fede di Costantino e chiariva i presupposti di tale legittimazione. Quindi pienamente cosciente della nuova realtà che caratterizzava l’Occidente, egli attribuiva al re dei Franchi l’appellativo di novus Constantinus, con cui erano stati acclamati gli imperatori d’Oriente a partire dal V secolo[51].

Importante per capire in qual modo ha operato lo storico di Tours per adeguare la figura costantiniana alla realtà del suo tempo è il passo relativo alla vittoria di Clodoveo sui Visigoti ariani[52].  Nel racconto di Gregorio il sovrano merovingio dimostra grande  reverentia nei confronti dei santi, pertanto prima di attaccare battaglia decide di recarsi a Tours, alla basilica di san Martino[53]. Il suo impegno nella lotta contro l’arianesimo gli fa meritare, inoltre, la protezione di Ilario, lo strenuo difensore della fede trinitaria nella Gallia del IV secolo: la notte mentre l’esercito franco è accampato alle porte di Poitiers appare a Clodoveo “un faro di fuoco”, che proviene dalla basilica di sant’Ilario e si dirige verso di lui; con l’aiuto di questa luce il re franco debellare più facilmente le schiere degli eretici, contro i quali il vescovo Ilario aveva spesso combattuto in difesa della fede:

 

Veniente autem rege apud Pictavius, dum eminus in tenturiis commemoraret, pharus ignea, de basilica sancti Helari egressa, visa est ei tamquam super se advenire, scilicet ut, lumine beati confessoris adiutus Helarii, liberius hereticas acies, contra quas saepe idem sacerdos pro fide conflixerat, debellaret[54].

 

Il brano ha il suo ipotesto nel Liber de virtutibus sancti Hilarii dove Venanzio Fortunato, servendosi dell’esegesi tipologica, interpreta il faro di luce come “figura” della colonna di nubi che aveva guidato il popolo ebraico in fuga dall’Egitto (Ex 13, 20-22) e fa apparire Clodoveo come un nuovo Mosè:

 

Denique Chlodoveus dum contra haereticam gentem puganturus armatas acies commovisset, media nocte meruit de basilica beati viri lumen super se venientem adspicere, admonitus, ut festinaret sed non sine venerabilis loci oratione adversum hostes conflictaturus descenderet… (22) Similis quedam contigit Israhelitici temporis huius causa virtutis. Nam ibi columna ignis praecesserat, hic figura lampadis admonebat[55].

 

L’autore ha di certo presente la Vita Constantini di Eusebio di Cesarea dove Costantino, che guida l’esercito vincitore per la battaglia di ponte Milvio, viene paragonato a Mosè che guida il suo popolo attraverso il Mar Rosso[56]; ma modifica il riferimento biblico in funzione del nuovo messaggio[57]. Nell’opera venanziana Clodoveo viene presentato come capo del nuovo popolo scelto da Dio, i Franchi,  per conquistare la terra promessa, la Gallia: l’alleanza stipulata in tal modo tra Dio ed il popolo franco al tempo di Clodoveo legittimava il potere dei suoi discendenti sulla Gallia, che sotto la loro guida doveva divenire la nuova patria, la patria comune per tutti i suoi abitanti, Gallo-romani e Franchi, uniti dalla stessa fede trinitaria[58]. Il testo agiografico ripropone con l’ausilio dell’ermeneutica biblica l’ideologia politica espressa da Venanzio Fortunato nei carmi in cui vengono lodati i monarchi franchi contemporanei; persuaso del valore pedagogico dell’elogium il poeta aveva infatti paragonato gli imperatori romani ai re barbari, nella speranza che questi cercassero di emularli, permettendo così la conservazione della civiltà romana e cristiana nel nuovo regno franco, sorto sulle rovine dell’impero[59]. La mediazione di Venanzio Fortunato appare fondamentale per la rielaborazione del modello costantiniano da parte di Gregorio di Tours[60] che, con il recupero di tutta la tradizione precedente, ha creato la tipologia del novus Constantinus[61]. Con questo exemplum Gregorio voleva far capire ai re merovingi che la loro fede e il loro rapporto con la Chiesa erano strettamente collegati al riconoscimento della loro regalità. Egli sottolineava in tal modo la centralità del ruolo episcopale nella società cristiana contemporanea, fortemente minacciata dall’atteggiamento dispotico dei re.[62]

 

 

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[1] Ioannis Arca Sardi De Sanctis Sardiniae, Calari, Typis haeredum Ioanis Mariae Galcerini, 1598, t. 3, p. 5. La notizia, che risale al Liber pontificalis (ed. L. Duchesne, I, Paris 1886, pp. 262: Intra civitatem Romanam, sanctorum Silvestri et Martini a fundamento construxit iuxta Traianas) è tratta dal Platina, Sabellico, Graziano e dal Martirologio romano del Baronio. Il cardinale Cesare Baronio aveva difeso papa Simmaco degli attacchi dei Centuriatori di Magdeburgo facendone “per la prima volta nella storia un campione dell’ortodossia” ( T. Sardella, “Simmaco e lo scisma laurenziano: dalle fonti antiche alla storiografia moderna” in Il papato di San Simmaco, Atti del Convegno Internazionale di studi (Oristano 19-21 novembre 1998), cur. G. Mele - N. Spaccapelo, Cagliari 2000, p. 34). La notizia era stata già riportata dallo storico sassarese Giovanni Francesco Fara, nel primo libro del De rebus Sardois, pubblicato a Cagliari nel 1580 presso la tipografia di Nicolò Canyelles, (I. F. Farae De rebus Sardois I, Introduzione E. Cadoni, ed. e note A. M. Pintus, trad. it. G. Lupinu, Sassari 1992, p. 176). Sulle due biografie di Simmaco, quella del Liber pontificalis e quella del Fragmentum Laurentianum si veda T. Sardella, Società Chiesa e Stato nell’età di Teoderico. Papa Simmaco e lo scisma laurenziano, Soveria Mannelli 1996, pp. 12-15.

 

[2] Le notizie sull’edilizia religiosa fornite dal Liber pontificalis fanno di Simmaco “uno dei papi in tal senso politicamente più operosi” (Sardella, Società, p. 165). In un recente contributo M. Cecchelli (“Interventi edilizi di papa Simmaco”, in Il papato di San Simmaco, p. 120) ritiene che si debba prestar fede al Frammento Laurenziano ed attribuire a Simmaco la dedica della basilica solo “a un santo dei poveri: san Martino”.

 

[3] Sull’ambiguità del termine “conversione” in sede storiografica si è soffermato S. Calderone, “Letteratura costantiniana e ‘conversione’ di Costantino”, in Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo, Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico (Macerata 18-20 Dicembre 1990), cur. G. Bonamente – F. Fusco,  Macerata 1992 pp. 231-252. Si veda ora la riflessione di Nicola Baglivi, “Costantino «segno di contraddizione»: il tempo e le maschere di Costantino”, in “Augustinianum” 41,2 (2001), pp. 393-407.

 

[4] Per quanto concerne la figura di papa Silvestro rimando agli studi di V. Aiello, in particolare: “Costantino, la lebbra e il battesimo di Silvestro”, in Costantino il Grande, pp. 16- 58; “Cronaca di una eclisse. Osservazioni sulla vicenda di Silvestro I vescovo di Roma”, in Il Tardoantico alle soglie del Duemila. Diritto Religione Società, Atti del Quinto Convegno Nazionale dell’Associazione di Studi Tardoantichi, cur. G. Lanata, pp. 229-248.

 

[5] Sulla problematica relativa al battesimo di Costantino, discussione ancora aperta, non è mia intenzione soffermarmi in questa sede.

 

[6] S. Boesch, “Le metamorfosi del racconto”, in Lo spazio letterario di Roma antica, dir. G. Cavallo – P. FedeliA. Giardina, Roma 1990, t. 3,  p. 219

 

[7] Decret. Gelas. (ed. E. von Dobschütz, T.U. 38, 4, Leipzig, p. 42): ...a multis ... in urbe Roma catholicis legi cognovimus et pro antiquo usu multae hoc imitantur ecclesiae. Il testo risalirebbe nella sua forma definitiva al principio del VI sec. (P. Siniscalco in Patrologia IV. Dal Concilio di Calcedonia (451) a Beda. I Padri latini, cur. A. Di Berardino, Institutum Patristicum Augustinianum, Genova 1996, p. 129).

 

[8] Boesch, “Le metamorfosi”, pp. 219 s. Cf. inoltre Aiello, “Costantino”, p. 56. Per gli Actus Beati Sylvestri:  B. Mombritius, Sanctuarium seu Viate Sanctorum, rist. an. HildesheimNew York 1978, t. I, pp. 508-531; ed ora gli studi di W. Pohlkamp, “Privilegium ecclesiae Romanae pontifici contulit. Zur Vorgeschichte der Konstantinischen Schenkung”, in MGH Schriften 33, II Fälschungen im Mittelalter II, Hannover 1988, pp. 41-490.

 

[9] Sardella, “Simmaco e lo scisma laurenziano”, pp. 39-52.

 

[10] In questo modo Silvestro, personaggio storico di esiguo rilievo si avviava a diventare “figura emblematica di vescovo, dotata ... di forte carisma e di efficace autorità mondana” (Aiello, “Costantino”, p. 56); cf. Pohlkamp, “Privilegium ecclesiae Romanae”, pp. 425 ss.

 

[11] Cf. E. Wirbelauer, Zwei Päpste in Rom: der Konflikt zwischen Laurentius und Symmachus (418-514), München 1993, pp. 228-341; Sardella, Società, pp. 35 ss.; V. Aiello, “Cassiodoro e la tradizione su Costantino”, in Cassiodoro. Dalla corte di Ravenna al Vivarium di Squillace, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Squillace, 25/27 ottobre 1990), cur. S. Leanza, Soveria Mannelli 1994, pp. 141 s.; P. V. Aimone, “Gli autori delle falsificazioni simmachiane”, in Il papato di Simmaco, pp. 53-78; S. Vacca, “Il principio “Prima Sedes a Nemine Iudicatur”. Genesi e sviluppo fino a papa Simmaco (498-514)”, in Il papato di san Simmaco, pp. 183-188.

 

[12] Sulla lettera di Avito a Clodoveo: M. Reydellet, La royauté dans la littérature latine de Sidoine Apollinaire à Isidore de Séville, Rome 1981, pp. 94 – 113; M. Rouche, Clovis, Paris 1996, pp. 400 – 410; F. Monfrin, “La conversion du roi et des siens”, in Clovis, histoire et mémoire, dir. M. Rouche, Paris 1997, t. I, pp. 305 ss.

 

[13] Sui rapporti tra Avito e Simmaco: Sardella, Società, pp. 153-157; Vacca, Il principio, pp. 180- 183. M. Rouche ritiene che avito possa essere considerato un “pionnier” della supremazia del vescovo di Roma (Clovis, p. 216). Sulle relazioni tra la sede apostolica e la Chiesa gallica M.-B. Bouvet,  Les relations entre les Eglises des Gaules et le Siège apostolique (440-604). Étude de la correspondance et de sa reception jusqu’à Gratien, Ecole nationale de chartes. Positions de thèses, Paris  1985, pp. 23-9.

 

[14] Avit. epist.  46 (41) (ed. R. Peiper, MGH AA, t. VI, 2, Berlin 1883, pp. 75-76);  Rouche, Clovis, p. 403.

 

[15] M. Reydellet sottolinea innanzitutto la fedeltà di Avito al re Burgundo (La royauté, p. 105).

 

[16] Alc. Avit. epist. 46 (41) (p. 76, 8-11): ...ut, quia Deus gentem vestram per vos ex toto suam faciet, ulterioribus quoque gentibus, quas in naturali adhuc ignorantia constitutas nulla pravorum dogmatum germina corruperunt, de bono thesauro vestri cordis fidei semina porrigatis. Cf. Reydellet, La royauté, p. 103; Rouche, Clovis, p. 410. Per quanto concerne l’aspetto del sovrano barbaro che diviene l’apostolo del suo popolo: Monfrin, “La conversion”, pp. 303 ss. La figura dell’imperatore come “maestro di verità” è presente nella Vita e nella Laudatio di Costantino composte da Eusebio di Cesarea, come ha recentemente sottolineato Brunella Moroni, “L’imperatore come allievo e come maestro, in alcuni autori tardoantichi. Fra tradizione pedagogica classica e ‘prospettiva carismatica’ “, in Tra IV e V secolo. Studi sulla cultura latina tardoantica, cur. I. Gualandri, Quaderni di Acme 50, Milano 2002, pp. 14 ss.

 

[17] Alc. Avit. Epist. 46 (41) (p. 75, 29-31).

 

[18] Reydellet, La royautè, p. 109.

 

[19] Ibid., pp. 112 s.; con questo sovrano merovingio “c’est la royauté qui se soumet à l’Église” (ibid., p. 109). L’analisi condotta dalla Monfrin sui termini arbiter, eligere e iudicare, utilizzati da Avito in riferimento a Clodoveo ha evidenziato che con il battesimo il re franco ha acquisito la funzione di giudice e legislatore e che pertanto con la sua conversione “Clovis transforme ipso facto la nation barbare en corps politique légalement institué” (“La conversion”, p. 311).

 

[20] Come precisa il Reydellet, ad Avito “plus pénetré que Grégoire de l’idée de l’Empire, il ne lui vient pas à l’esprit de comparer Clovis à Constantin” (La royautè, p. 108, n. 84).

 

[21] Monfrin, “La conversion”, p. 310.

 

[22] A differenza dei concili di Agde e di Yenne, autorizzati dai re visigoti e burgundi, ma convocati rispettivamente da Cesario di Arles e Avito di Vienne, il Concilio di Orleans fu convocato e riunito da Clodoveo “à la manière des empereurs romains chrétiens” (J. Heuclin, “Le concile d’Orléans de 511, un premier concordat?”, in Clovis I, p. 436).

[23] L. Pietri, “Culte des saints et religiosité politique dans la Gaule du Ve et du VIe siècle”, in Les fonctions des saints dans le monde occidental (IIIe-XIIIe siècle),  Actes du colloque organisé par l’École française de Rome avec le concours de l’Université de Rome “La Sapienza” (Rome, 27-29 octobre 1988), Rome 1991, p. 259.

 

[24] Liber pont. (p. 271): Eodem tempore venit regnus cum geminis praetiosis a rege Francorum Cloduveum christianum, donum beato Petro apostolo. Sul significato del termine regnus = corona, diadema cf. Rouche, Clovis, pp. 494 s.; lo studioso fa notare che la grafia del nome di Clodoveo presente nel testo è garanzia dell’autenticità della notizia (ibid., p. 495).

 

[25] Actus Sylv. (Mombritius, p. 513): octava die processit albis depositis totus mundus et salvus: et veniens ad confessionem apostoli Petri ablato diademate capitis totum se planum proiicens in faciem tantam illic lachrymarum effudit multitudinem: ut omnia illa insignia vestimenta purpurea infunderentur. Il dono del diadema offerto alla tomba di Pietro appare come topos letterario: è presente nel Sermo sancti Augustini cum pagani ingrederentur, in cui leggiamo che in occasione di un adventus a Roma l’imperatore ha deposto il diadema sulla tomba di Pietro: Ibi est sepulcrum piscatoris, ibi templum est imperatoris... Venit imperator. Videamus quo currerit, ubi genua figere voluit: in templo imperatoris, an in memoria piscatoris? Posito diademate, pectus tundit ubi est piscatoris corpus (Sermo61, f. 218v del sermonario della Stadtbibliothek di Mainz  in "Nouveaux sermons de saint Augustin pour la conversion des païens et des donatistes", in "Revue des Études Augustiniennes” 37,1 (1991), p. 76, 524-529). Secondo François Dolbeau Agostino fa qui riferimento all'adventus di Onorio nel gennaio del 404, quando vennero festeggiati insieme il  sesto consolato del giovane imperatore e le vittorie di Stilicone sui Goti (ibid., pp. 55 s.). La deposizione del diadema è evocata da Agostino anche nelle Enarrationes in Psalmos 65, 4: ...sed melius est ut Romam cum venerit imperator, deposito diademate, ploret ad memoriam piscatoris, quam ut piscator ploret ad memoriam imperatoris ( S. agostino, Esposizioni sui Salmi, cur. V. Tarulli, Roma 1970, t. 2, p. 496).

 

[26] Rouche, Clovis, p. 497.

 

[27] Greg. Tur. hist. II 31 (ed. B. Krusch, MGH SRM I, 1, Hannover 1937, p. 77, 8)

 

[28] Greg. Tur. hist. II 30. Nel recente studio dedicato a Clodoveo, M. Rouche sostiene che il processo di conversione di Clodoveo è durato sette anni (Clovis, pp. 253 ss.); su alcune tesi proposte dallo storico francese ha espresso alcune perplessità S. Pricoco nella recensione a questa monografia, apparsa in RSI 109 (1997), pp. 1075 – 1092. Si veda inoltre Monfrin, “La conversion”, pp. 298 ss.

 

[29] Greg. Tur. hist. II 30. Sull’influenza esercitata da Clotilde (la cui santità reale è stata consacrata dalla Vita Chrotildis, scritta intorno al 956-960, sotto il regno di Lotario): Rouche, Clovis, pp. 244 ss.; G. Scheibelreiter, “Clovis, le païen, Clotilde, la pieuse. À propos de la mentalité barbare”, in Clovis I,  pp. 348 – 367; C. Thiellet, “La sainteté royale de Clotilde”, in Clovis II, pp. 147 – 154. Il riferimento alla fede della sposa è presente anche nella preghiera del re degli Iberi, riportata da Rufino in Hist. Eccl. I 10 (Monfrin, “La conversion”, p. 301). Il ruolo di Clotilde e, più in generale, dell’elemento femminile nella cristianizzazione dell’aristocrazia franca è stato segnalato da M. Cristiani, “La sainteté féminine du haut Moyen Âge. Biographie et valeurs”, in Les fonctions des saints, pp. 391 ss.

 

[30] Lact. mort. persecut. 44, 5; Eus. Caes. Vita C. 1 28ss (si veda il commento in Eusebio di Cesarea, Sulla Vita di Costantino, Introduzione, traduzione e note a cura di L. Tartaglia, Napoli 1984, p. 59 n. 80); Rufin. hist. eccl. IX 9.

 

[31] Greg. Tur. hist. II 30 (p.76, 14-15): ... conpulsus est confiteri necessitate... Secondo  Marc Reydellet, Gregorio “avait ses raisons pour insister sur l’aspect «miraculeux» de la conversion du roi (La royauté, p. 102).

 

[32] Greg. Tur. hist. II 31 (p. 76, 7). Come ha ben sottolineato Michel Rouche, Clodoveo “doit choisir entre le baptême et le diadème, entre la nouveauté et la conservation  des coutumes ancestrales” (Clovis, cit., p. 257).

 

[33] Greg. Tur. hist. II 31 (p. 76, 9-11): At ille ait: «Libenter te, sanctissime pater, audiebam; sed restat unum, quod populus, qui me sequitur, non patitur relinquere deus suos; sed vado et loquor eis iuxta verbum tuum».  Gregorio vuole sottolineare che l’atteggiamento di Clodoveo è quello di un vero capo e lo contrappone implicitamente a quello del burgundo Gundebaudo, che aveva chiesto al vescovo di Vienne, Avito, di essere battezzato di nascosto. Lo storico fa pronunciare ad Avito un discorso ricco di citazioni bibliche nel quale afferma che Gundobaudo teme il suo popolo e non sa che questo lo seguirebbe nella professione di fede, perché egli è il capo del popolo e non il contrario: Metuens enim populum, o rex, ignorans, quia satius est, ut populus sequatur fidem tuam, quam tu infirmitate faveas populari. Tu enim es capud populi, non populus capud tuum (hist. II 34, p. 82, 10-12). Nel riportare la vicenda Gregorio di Tours si avvale del principio espresso dallo stesso Avito di Vienne nella lettera scritta a Clodoveo per la conversione, secondo cui il re ha la possibilità di convincere il popolo ad abbracciare la sua stessa fede.

 

[34] Per la Monfrin la fonte è da individuarsi nel passo dell’Historia ecclesiastica di Rufino relativo alla conversione degli Iberi: l’espressione rufiniana rex et gens sua (hist. eccl. I 11) diviene corrente nel vocabolario dei racconti di conversione dei re barbari; negli Actus Beati Sylvestri la conversione di Costantino provoca una conversione generale dell’impero (“La conversion”, p. 304, n. 91 in partic.). 

 

[35] Greg. Tur. hist. II 31 (p. 77, 1-2). Secondo la tradizione il battesimo di Clodoveo è avvenuto il giorno di Natale; sul suo significato simbolico: B. Favarque, “Le baptême de Clovis, ouverture du millénaire des saints”, in Clovis I, pp. 271- 285.

 

[36] Greg. Tur. hist. II 31 (p. 77, 8-9). Per il problema relativo alla facies ortografica e morfosintattica di quest’opera di Gregorio di Tours: G. Orlandi, “Un dilemma editoriale: ortografia e morfologia nelle historiae di Gregorio di Tours”, in “Filologia mediolatina” 3 (1996), pp. 35-71

 

[37] Greg. Tur. Hist. II 31 (p. 77, 11-13). Sidonio Apollinare in una lettera del 474 (ep. IX 7) loda i declamatiorum volumina di Remigio di Reims. Sull’importanza della cultura nell’agiografia merovingia: M. Heinzellmann, “Studia Sanctorum. Éducation, milieux d’instruction et valeurs éducatives dans l’hagiographie en Gaule jusqu’à la fin de l’époque mérovingienne”, in Haut Moyen Âge: culture, éducation et société, Études offertes à P. Riché, 1990, pp. 105-138.

 

[38] Secondo il Reydellet, anche se non è “habituel” considerare Gregorio come un pensatore politico,  è tuttavia certo che nelle Historiae si possono rintracciare “certains attitudes mentales”  (La royauté, p. 363).

 

[39] Greg. Tur. hist. II 31 (p. 77, 10-11).

 

[40] Gelas. epist. 8. Cf. Actus Sylv.: illi soli opportet nos colla submittere (Mombritius, p. 530). L’espressione è stata intesa anche come un invito a deporre il collare, simbolo del potere politico e religioso dei re germanici, da E. Demougeot, “Grégoire le Grand et la conversion du roi germain au VIe siècle”, in Grégoire le Grand, Colloques Internationaux du C.N.R.S., Chantilly 15 – 19 septembre 1982, Actes publiés par J. Fontaine – R. Gillet –S. Pellistrandi, Paris 1986, p. 195; cf. Rouche, Clovis, pp. 280ss. La Monfrin, basandosi anche sugli Actus Sylvstri ritiene più corretto il significato tradizionale dell’espressione usata da Gregorio. Il legame tra il tema antropologico religioso e ideologico politico della regalità sacra e quello del re santo è stato analizzato da A. Vauchez, La santità nel Medio Evo, Bologna 1989 (trad. it.), pp. 111 – 121.

 

[41] I vescovi riuniti al Concilio di Orleans avevano scritto una lettera a Clodoveo, definendolo “figlio della Chiesa”: Domno suo catholicae ecclesiae filio Chlothouecho gloriosissimo regi omnes sacerdotes, quos ad concilium uenire iussistis (Concilia Galliae, CCh 148, B, p. 4); cf. Rouche, Clovis, cit., pp. 336 ss. e 448 ss. Su questa espressione, risalente ad Ambrogio di Milano, si veda A. Dubreucq, “Fils de l’Église: genèse et développement d’une conception chrétienne du pouvoir royal”, in Clovis I, cit., pp. 85 – 101.

 

[42] Già nelle opere di Ambrogio di Milano la clementia, virtus imperatoria nella concezione classica, unita alla fides caratterizza gli imperatori cristiani; cf. F. E. Consolino, “L’optimus princeps secondo s. Ambrogio: virtù imperatorie e virtù cristiane nelle orazioni funebri per Valentiniano e Teodosio”, in “Rivista Storica Italiana” 96,3 (1984), pp. 1042 ss.; M. Sordi, “La concezione politica di Ambrogio”, in I Cristiani e l’Impero nel IV secolo, Colloquio su Cristianesimo nel mondo antico, a cura di G. Bonamente - A. Nestori, Macerata 1988, pp. 149 s. La mansuetudo di Teodorico è lodata nel panegirico composto da Ennodio di Pavia (F. Delle Donne, “Teoderico rex genitus. Il concetto della nobiltà di stirpe nel panegirico di Ennodio” in “Invigilata Lucernis” 20, 1998, p. 76).

 

[43] In quest’opera Ambrogio, secondo L. Cracco Ruggini, “appare più che altro proteso a catturare  alla sua Chiesa, definitivamente, un’immagine stilizzata di Principe cristiano ideale, modello e monito per i successori” (“Il 397: l’anno della morte di Ambrogio”, in Nec timeo mori, Atti del Congresso internazionale di studi ambrosiani nel XVI centenario della morte di sant’Ambrogio (Milano, 4-11 aprile 1997), a cura di L. F. Pizzolato- M. Rizzi, Milano 1998, p.12). Secondo Marc Van Uytfanghe, sebbene la figura dell’imperatore tratteggiata nel De obitu Theodosii non generi il tipo del santo re, “il en prépare l’avenir médiéval” (“La typologie de la sainteté en Occident vers la fin de l’Antiquité (avec une attention spéciale aux modèles bibliques)”, in Scrivere di di santi, Atti del II Convegno di Studio dell’AISSCA (Napoli 22 – 25 ottobre 1997), a cura di G. Luongo, Roma 1998, p. 25. Peraltro anche nella biografia costantiniana composta da Eusebio il “sovraccarico morale, ideologico, agiografico ... intendeva rapportare il Costantino reale al modello di imperatore cristiano da proporre” (N. Baglivi, “Da Diocleziano a Costantino: un punto di riferimento ‘storiografico’ in alcune interpretazioni tardoantiche”, in Costantino il Grande, p. 65. Le differenze che intercorrono tra Ambrogio ed Eusebio nella delineazione dei due imperatori corrispondono alla “diversa ideologia politica dei due scrittori” (V. Aiello, “Il tempo del potere negli auspici di Ambrogio vescovo di Milano”, in Tempo sacro e tempo profano. Visione laica e visione cristiana del tempo e della storia, a cura di L. De Salvo – A. Sindoni, Soveria Mannelli 2002, p. 127).

 

[44] Il De obitu Theodosii di Ambrogio “ci conserva il primo bilancio della svolta religiosa di Costantino e della storia dell’impero romano cristiano” (M. Sordi, “I rapporti di Ambrogio con gli imperatori del suo tempo”, in Nec timeo mori, p. 116). Cf. N. B. McLynn, Ambrose of Milan. Church and Court in a Christian Capital, Berkeley-Los Angeles-London 1994, pp. 355 ss.; F. E. Consolino, “Teodosio e il ruolo del principe cristiano dal de obitu di Ambrogio alle storie ecclesiastiche” , in “Cristianesimo nella storia 15 (1994), pp. 257-277).

 

[45] G. Zecchini, “Ambrogio nella tradizione storiografica tardoantica”, in Nec timeo mori, p. 100.

 

[46] Peter Brown sostiene che Ambrogio, conoscendo le norme che regolavano l'uso della parrhesia, nello scontro conTeodosio per il massacro di Tessalonica si sia atteggiato "volutamente a filosofo" (Potere e Cristianesimo nella Tarda Antichità, Roma – Bari 1995 (trad. it.), p. 161.

 

[47] Consolino, “L’optimus princeps”, p. 1032.

 

[48] M. Sordi, “La tradizione dell’inventio crucis in Ambrogio e in Rufino”, in RSI 44,1 (1990), p. 1. Ambr. obit. Theod. 48 (SAEMO 18, p. 246):  …ut potestas regat sitque iusta moderatio, non iniusta praeceptio) e 49 (p. 248): …Prona enim potestas in uitium ferebatur et more pecudum uaga sese libidine polluebant, ignorabant deum. Restrinxit eos crux domini et reuocauit a lapsu impietatis, leuauit oculos eorum, ut Christum in caelo quaererent. Nel De obitu Theodosii Ambrogio esalta Teodosio perché ha saputo conciliare il potere con la moderazione, permettendo al suo regnum di rimanere res publica (M. Sordi, “La morte di Teodosio e il ‘De obitu Theodosii’ di Ambrogio”, in ACD 36, 2000, pp. 131-136).

 

[49] Ambr. obit. Theod. 40 (SAEMO 18, p. 240). Sul concetto dell’hereditas fidei come momento centrale della difesa della continuità dinastica nel De obitu Theodosii cf. G. Bonamente, “Potere politico e autorità religiosa nel “De obitu Theodosii” di Ambrogio”, in Chiesa e Società dal secolo IV ai nostri giorni: Studi storici in onore del P. Ilarino da Milano, Roma 1979, t. I, pp. 83ss.

 

[50] Tale tradizione è filtrata dalle elaborazioni degli autori delle generazioni successive il cui atteggiamento nei confronti dei barbari era mutato rispetto a quello di Ambrogio (cf. S. Pricoco, “Romanità e teologia politica nel De contemptu mundi di Eucherio di Lione”, in Monaci, Filosofi e Santi. Saggi di storia della cultura tardoantica, Soveria Mannelli 1992, pp. 117 – 130. Il Teodosio ‘ambrosiano’ è stato consegnato alla tradizione anche dal Panegirico composto da Paolino di Nola, ora perduto, ma circolante in età tardoantica. In quest’opera, che può considerarsi “indubbiamente un novum nella letteratura panegiristica tardoantica” (S. Pricoco, “Ancora sul Panegirico di Paolino di Nola per Teodosio e il nuovo concetto cristiano del potere imperiale”, in “Cassiodorus” 4 (1998), p. 245), la figura del sovrano è modellata “secondo quella nuova dottrina politica che Ambrogio aveva espresso in tanti scritti e messo concretamente in opera in clamorose iniziative" (ibid. p. 244). Per la persistenza del modello imperiale secondo la concezione ambrosiana in Avito di Vienne, Monfrin, “La conversion”, pp. 311 s.

 

[51] R. Klein, “Helena II (Kaiserin)”, in RACh 14 (1988), col. 372.

 

[52] Cf. Ph. Bernard, “Fides vestra nostra victoria est. Avit de Vienne, le baptême de Clovis et la théologie de la victoire tardo-antique”, in Clovis chez les historiens, Études réunies par O. Guyotjeannin, BEC 154 (1996), pp. 47-51; J.-P Martin, “La mystique de la Victoire au Bas Empire”, in Clovis I, pp. 383-393.

 

[53] L. Pietri, La ville de Tours du IVe au VIe siècle: naissance d’une cité chrétienne, Collection de l’École Française de Rome 69, Roma 1983, pp. 197s.

 

[54] Greg. Tur. hist. II 37 (p. 86, 12-16).

 

[55] Ven. Fort. virt. Hil. 20; 22 (MGH, AA IV, 2, Berlin 1885, rist. 1961, p. 9, 26-30; 35-36). S. Pricoco ha sottolineato l’importanza dei testi agiografici di Venanzio Fortunato “per le indicazioni che offrono sul pubblico al quale sono destinati, sulle sue idee, sul suo grado di cultura e per i modelli di santità che vi si elaborano e per altri aspetti della storia della mentalità connessi con quei modelli” (“Gli scritti agiografici in prosa di Venanzio Fortunato”, in Venanzio Fortunato tra Italia e Francia, Atti del Convegno internazionale di studi (Valdobbiadene – Treviso, 17-19 maggio 1990), Dosson (Treviso) 1993, p. 176).

 

[56] Eus. Caes. Vita C.. I 38, 2-5. Eusebio ha condotto la narrazione dello scontro decisivo tra Costantino e Massenzio basandosi sull’exemplum di Mosè, “un vero e proprio Leitmotiv del I e II libro della VC” (Eusebio di Cesarea, Sulla Vita di Costantino, Introduzione, traduzione e note a cura di L. Tartaglia, Napoli 1984, p. 48, n. 37). Eusebio afferma che al suo ingresso nella capitale tutti avevano acclamato Costantino “liberatore” (λυτρωτής): l’impiego di tale termine neotestamentario, adoperato in Act 7,35 in riferimento a Mosè potrebbe significare, secondo Luigi Tartaglia, “sia la presenza di cristiani tra la folla che acclamò il sovrano al suo ingresso in Roma, sia la consapevole formulazione di una ideologia che tendeva a presentare Costantino come un novello Mosè” (ibid., p. 67, n. 110). Secondo Nicola Baglivi, nella rappresentazione eusebiana Costantino rappresenta “il nuovo Mosè che aveva riportato alla luce il popolo di Dio, oppresso dalle tenebre persecutorie, per mezzo della liberazione dal male delle empie tirannidi, poste al servizio dei loro démoni” (“Da Diocleziano a Costantino”, p. 64).

 

[57] La  presenza intertestuale classica, biblica e patristica nella poesia di Venanzio Fortunato è stata indagata da A. V. Nazzaro, “Intertestualità biblico-patristica e classica in testi poetici di Venanzio Fortunato”, in Venanzio Fortunato tra Italia e Francia, pp. 99-135.

 

[58] L. Pietri,. “Culte des saints”, pp. 364 – 368; Ead., “Venance Fortunat et ses commanditaires: un poète italien dans la société gallo-franque”, in Committenti e produzione artistico-letteraria nell’Alto Medioevo, XXX Settimane di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo (4-10 aprile 1991), Spoleto 1992, p. 751 s.

 

[59] L. Pietri, “Venance Fortunat et ses commanditaires”, cit., pp. 749 s. Venanzio Fortunato, che si era proposto di acculturare i sovrani merovingi, aveva loro attribuito i modelli comportamentali della nobilitas romana, cf. B. Brennan, “The image of the Frankish kings in the poetry of Venantius Fortunatus” in “Journal of Medieval History” 10 (1984), pp. 1-11. Secondo M. Rouche, dedicare le opere letterarie ai re germanici è stato da parte di Venanzio Fortunato un atto di propaganda romana, un tentativo politico di assimilazione nella civilizzazione cristiana rappresentato dalla Res publica, il solo Stato degno di questo nome (“Miroirs des princes au miroir du clergé?”, in Committenti e produzione artistico letteraria, p. 351).

 

[60] Nell’indagine sui rapporti tra Venanzio Fortunato e Gregorio di Tours il Reydellet è giunto alla conclusione che tra i due scrittori vi fosse una totale comunione di pensiero, anche se rileva che questa sincera amicizia “resta toujours marquée par la distance que le rôle social des deux mettait entre eux” (“Tours e Poitiers: les relations entre Grégoire et Fortunat”, in Grégoire de Tours et l’espace gaulois, Actes du Congrès International (Tours, 3 – 5 novembre 1994), a cura di N. Gauthier – H. Galinié, Tours 1997, p. 167).

 

[61] Elemento importante per la “constantinisation” di Clodoveo da parte di Gregorio è, secondo la Monfrin, il nesso eminentemente costantiniano  famulus tuus, contenuto nella preghiera pronunciata dal sovrano franco prima della battaglia di Vouillé: si tum Domine, adiutor mihi es et gentem hanc incredulam semperque aemulam tibi meis manibus tradere decrevisti, in ingressu basilicae sancti Martini dignare propitius revelare, ut cognoscam, quia propitius dignaberis esse famulo tuo (hist. II 37), cf. Monfrin, “La conversion”, p. 302. Alcuni “prodromi” del Clodoveo delle Historiae, che si accinge a combattere cum Dei adiutorium i Visigoti ariani, sono individuabili per Nicola Baglivi in Costantino (“Costantino ‘segno di contraddizione’”, p. 399).

 

[62] M. Heinzelmann, “Histoire, rois et prophètes. Le rôle des éléments autobiographiques dans les Histoires de Grégoire de Tours: un guide épiscopal à l’usage du roi chrétien”, in De Tertullien au Mozarabes.Antiquiteé Tardive et Christianisme Ancien (IIIe-VIe siècles), Paris 1992, pp. 537-550.