N° 2 - Marzo 2003 - Memorie

Anton D. Rudokvas

Istituto Giuridico di San Pietroburgo

della Procura Generale della Federazione Russa

 

 

L’IMMAGINE DELL’IMPERATORE COSTANTINO

IL GRANDE NELLA TRADIZIONE POLITICO-

GIURIDICA DEI CONSERVATORI RUSSI

 

 

G. Kurbatov, famoso specialista sulla storia di Bisanzio, parlando di Costantino il Grande, notava tra l’altro: «La storiografia cristiana non poco lavorò per idealizzare la persona dell’imperatore cercando di approfittare della sua gloria per santificare molte cose di quelle che ebbero sviluppo nella prassi ecclesiastica solo nelle epoche successive».

Questa definizione potrebbe essere applicata, in un certo modo, a tutta la letteratura russa dedicata a Costantino, a tutte le opere scritte dagli storici della chiesa e dei ricercatori che appartenevano alla corrente conservatrice del periodo fine dell’Ottocento, inizio del Novecento, la cosiddetta corrente “okhranitelnaja”, cioè “di protezione”. Di per se questo fatto non diminuisce l’importanza delle suddette opere. Ricordo a questo proposito i nomi di N.S. Grossu, A.P. Lebedev, D.A. Lebedev, F. Uspenskij ed altri.

In misura ancora più notevole l’immagine del primo imperatore cristiano acquistava un aspetto mitico negli scritti, che avevano carattere piuttosto di pamphlet politico piuttosto che quello di ricerca puramente storica. Questo fenomeno si spiega facilmente perché proprio da opere di questo tipo attingevano le loro argomentazioni i sostenitori dell’influenza illimitata della chiesa sulla vita dello stato, considerando le testimonianze storiche come materiale utile per costruire le loro concezioni politico-giuridiche.

Così il pubblicista conservatore dell’inizio del Novecento F.A. Kurganov scriveva: «da quel giorno quando quel documento (intendeva l’editto di Milano del 313) venne firmato, il pensiero di tutti i cristiani si rivolgeva tanto spesso all’editto <di Milano>. In esso si definiscono giustamente le fondamenta della politica ecclesiastica in uno stato cristiano».

Un elemento importantissimo della detta tradizione politico-giuridica consiste nella concezione dell’organizzazione monarchica statale come fenomeno dell’originalità storico-culturale russa. Con questo il suddetto fenomeno viene contrapposto all’idea tradizionale europea sulla monarchia. Come notava uno dei teorici del movimento monarchico russo dell'emigrazione I.L. Solonevitch: «Tutto il corso della storia della Russia portava il paese alla creazione di quella forma del potere che in lingua russa si chiama “samoderzhavije” (assolutismo, autocrazia zarista) per il quale non esiste termine straniero adeguato».

Un simile punto di vista prevede di tenere in considerazione l’esistenza di una speciale “ideologia russa” come un sistema coerente di concezioni sulla natura della società, del potere e del diritto, nonché sul ruolo e sul luogo della Russia nella storia mondiale.

Questa ideologia venne elaborata su base delle idee di una particolare missione universale della Russia ortodossa, quindi di un ruolo basilare della chiesa, della sua dottrina ortodossa nella regolazione della vita sociale e statale.

Il recepimento delle concezioni bizantine sullo stato e sul diritto serviva da fondamenta per la costruzione della suddetta “ideologia russa”, nonché dei rispettivi termini. Perciò questo complesso di concezioni potrebbe essere chiamato in modo condizionale “bizantinismo” e perfino anche “costantinismo”.

Non si può non acconsentire al fatto che «il problema politico-giuridico di notevole importanza sociale rappresenti un elemento centrale della genesi delle dottrine politiche e giuridiche come forme specifiche della conoscenza sociale».

L’epoca di Costantino, l’attività riformatrice di questo imperatore, la suo riflesso nel pensiero politico-giuridico bizantino e nella tradizione storica diventavano un problema storiografico primario per i teorici della monarchia russa.

Come notava uno dei più illustri teorici di questa corrente L.A. Tikhomirov: «In questo (cioè nell’unione della chiesa e dello stato) consiste la sua grande idea che dimostra che Costantino era uno dei pochi uomini geniali che sanno aprire una nuova direzione di movimento e di costruzione per tutta l’umanità».

A Costantino si ascriveva non solo l’atto politico di unione delle due strutture: dello stato e della chiesa, ma anche l’apporto nella vita politica della nuova idea di una particolare “monarchia cristiana” che divenne fonte vivificatrice per il pensiero politico-giuridico del Bisanzio e dopo per quello della Russia.

Nella Russia ante-pietrina (=antecedente al regno di Pietro il Grande), nella Russia “moscovita”, questa influenza si rivelava in modo esplicito, ma cominciando da Pietro essa si trovò in uno stato del conflitto permanente con la nuova tendenza, la tendenza occidentalista, che era per sostanza una tendenza di razionalità secolarizzante delle idee sulla natura del potere e del diritto.

Però le radici bizantine della dottrina politico-giuridica del monarchismo russo, anche nel periodo post-pietrino, venivano riconosciute pienamente dal governo e dai teorici che si attenevano alla corrente conservatrice. Su questo indica, in particolare, almeno quel fatto che nel periodo di scoppio degli umori “okhranitelnyje” (di protezione), durante il regno dell’imperatore Nicola I, assieme alla limitazione e perfino all’abolizione dell’insegnamento nelle università del diritto statale dei paesi europei si aboliva anche l’insegnamento del diritto romano, che veniva sostituito dallo studio del diritto bizantino.

Così l’esame del riflesso delle realtà bizantine nelle concezioni politico-giuridiche del conservatorismo russo, delle idee fondamentali ad esse legate, ci permette di scoprire le ideologie di partenza del conservatorismo russo, di descriverle in modo sistematico nei concetti e nei termini che vengono utilizzati dalla scienza moderna giuridica. A suo tempo questo permette inquadrare in quale paradigma di pensiero veniva creata l’immagine di Costantino entro il corso del pensiero politico-giuridico e della storiografia russa ad esso legata.

È noto che la nascita di quel complesso di concezioni giuridiche che in modo condizionale potrebbe essere chiamato “bizantinismo” avvenne nel periodo del regno del primo imperatore cristiano dell’Impero Romano Costantino il Grande (IV secolo). Il complesso ebbe una forma teorica per la prima volta grazie alla “vita di Costantino”, scritta dal suo contemporaneo Eusebio, vescovo di Cesarea.

Proprio lui tracciò i primi contorni del sistema di cooperazione dei fattori della vita statale nell'impero cristiano che dopo fu denominata "la sinfonia".

L’essenza di questa concezione consiste nel paragonare l’impero terrestre al “Regno di Dio”. La realizzazione dei principi cristiani va garantita nella vita terrestre dal potere statale, cioè dall’imperatore insieme alla Chiesa. La Chiesa legittima il potere statale, approva la coercizione, mentre lo stato mette a disposizione della Chiesa le proprie forze per la protezione e per la realizzazione nella vita delle norme della dottrina ecclesiastica.

La teoria della “sinfonia” ebbe il successivo sviluppo nella legislazione bizantina e nei canoni della Chiesa. L’idea che la Chiesa e il monarca sono due diversi istituti del potere è radicata nella massima biblica:

 

«Rendete dunque a Cesare quel ch’è di Cesare, e a Dio quel ch’è di Dio» (Matteo, XXII, 21).

 

Siccome il compito del monarca è una sistemazione pratica della vita per assicurare l’attività della Chiesa, mentre quello della Chiesa è la cura delle “anime”, allora dalla competenza del potere laico vengono automaticamente escluse la direzione della Chiesa e la soluzione dei problemi dogmatici della dottrina religiosa, cioè tutto quello che si riferisce alla sfera del culto. Partendo dalle parole dell’Apostolo Paolo sul giudizio della Chiesa (Prima lettera ai Corinzi, 6, 1-7):

 

V’è tra voi chi, avendo una questione con un altro, osa farsi giudicare dagli ingiusti anziché dai santi? O non sapete che i santi giudicheranno il mondo? E se è da voi che verrà giudicato il mondo, siete dunque indegni di giudizi di minima importanza? Non sapete che giudicheremo gli angeli? Quanto più le cose di questa vita! Se dunque avete liti per cose di questo mondo, voi prendete a giudici gente senza autorità nella Chiesa? Lo dico per vostra vergogna! Cosicché non vi sarebbe proprio nessuna persona saggia tra di voi che possa far da arbitrio tra fratello e fratello? No, anzi, un fratello viene chiamato in giudizio dal fratello e per di più davanti a infedeli!

 

anche l’esercizio della giustizia in una certa misura capita nella competenza della Chiesa.

Tutte le sfere indicate si trovano nella zona di azione del diritto canonico. Quest’ultimo viene considerato come quello che sta più in alto rispetto alla legislazione civile. Da qui deriva come conseguenza logica la necessità di coordinare la legislazione civile con le norme del diritto canonico, cioè in fin dei conti con la dottrina della Chiesa.

In questo modo la base del principio bizantino monarchico e poi di quello russo non sta l’idea del dispotismo del monarca, ma nell’idea di servire Dio, di realizzare nella vita pratica degli ideali cristiani. Da qui per il monarca nasce il dovere di coordinare i propri atti del potere con le esigenze sei suoi sudditi cristiani. Questo principio sottende un altro fattore della vita dello stato, cioè l’espressione della volontà del popolo come modo di far pervenire al sommo potere le opinioni e le speranze della popolazione.

Si riconoscono legittimi soltanto gli atti del monarca che non violano le prerogative della Chiesa e si recepiscono in conformità alla volontà delle masse popolari e allo spirito dei comandamenti evangelici.

Il “samoderzhavije” (= assolutismo zarista, autocrazia) nella sua interpretazione ideale viene considerato come forma della “democrazia popolare” con la quale tanto il diritto positivo, quanto le disposizioni delle autorità costituite non possono contraddire di principio l’idea del dovuto e giusto, in altre parole non devono contraddire la coscienza civile della popolazione cristiana.

La particolarità di un tale sistema consiste nel suo carattere di principio “non giuridico”, nell’assenza di una esplicito impegno formale, e di sanzioni per la violazione di questa “costituzione non scritta” da parte del monarca.

Però, se il monarca trasgredisce la “sinfonia”, il suo potere può perdere la sanzione ecclesiastica e come conseguenza il popolo sarà liberato dal dovere di subire a questo potere. La “sinfonia”, a differenza del principio occidentale di dividere i due poteri, non deve portare al reciproco equilibrio dei fattori della vita dello stato, ma alla loro fusione nella volontà unita del samoderzhez dello zar. La sua volontà non è l’arbitrio del monarca assoluto, ma rappresenta una formalizzazione dell’espressione della volontà del popolo che trasforma in diritto ciò che lo è dal punto di vista della coscienza civile del popolo, educato nei valori cristiani.

Il sistema che abbiamo esposto può essere considerato un fondamento generale sui cui poggiavano le concezioni politico-giuridiche dei rappresentanti del pensiero conservatore russo. I conservatori russi differiscono l’uno dall’altro soprattutto nel collocamento degli accenti e nella misura di coerenza logica e di elaborazione dei particolari.

Oltre a questo non sempre veniva apertamente riconosciuta la presenza delle radici bizantine nelle opinioni sull’ordinamento monarchico dello stato. Così i rappresentanti della corrente “slavofila”, di regola, aggirano questo problema senza affrontarlo, cercando, evidentemente, di sottolineare l’originalità e l’unicità del modello storico dell’ordinamento dello stato russo (I.S. Aksakov, A.A. Kireevskij, A. Khomiakov, D. Khomiakov ed altri).

Nello stesso tempo K.N. Leontiev indicava direttamente Bisanzio come luogo di nascita del modello dell’ordinamento monarchico dello stato - samoderzhavije – assimilato dalla Russia.

Anche M.N. Katkov notava che: «Lo zar russo è, più che erede dei suoi antenati, successore dei cesari dell’Impero Romano d'Oriente, custodi e protettori dell'attività della Chiesa e dei suoi Concili che stabilirono il simbolo stesso della Chiesa. Con la caduta di Bisanzio emerse Mosca e ebbe inizio la grandezza della Russia. Ecco dove sta quel segreto fenomeno della profonda particolarità che differenzia la Russia dagli altri popoli del mondo».

Anche L.A. Tikhomirov attribuisce a Bisanzio un ruolo singolare nella formazione della “monarchia cristiana”.

L’esposizione dei motivi storici di queste idee fu dato nelle opere dei rappresentanti sia della storiografia ecclesiastica, sia di quella laica. Per loro questo insieme di idee definiva la scelta dell’argomento e dei metodi di ricerca.

Come abbiamo detto prima, il problema centrale è l’immagine di Costantino il Grande come modello del “monarca cristiano”, fondatore di Bisanzio e del “bizantinismo”. Questa immagine si creava in gran parte grazie all’aperta opposizione verso gli storici occidentali che criticavano la tradizione ecclesiastica, nonché grazie alla polemica nascosta con gli avversari russi del “bizantinismo”, liberali e “nichilisti”.

Come scrive E.D. Frolov, è fuori dubbio che «quello che fu fatto nel ramo della storia universale (in Russia) nell’epoca ante-pietrina (cioè prima dell’inizio dell’Ottocento), è interessante non tanto per la storia di questa scienza quanto per l’illustrazione delle concezioni della società russa dell’epoca». Però, relativamente al nostro tema, la situazione cambiò ben poco anche nel periodo post-pietrino. Un grado tanto alto di attualità politica induceva gli storici a definire a priori le conclusioni di una ricerca ancora non compiuta. Oltre a questo, molto spesso, scrivendo di Costantino, gli autori si attenevano ai calcoli attuali dell’opportunità politica.

L’opera di I.I. Golikov "Il confronto delle qualità e delle azioni di Costantino il Grande con le qualità e azioni di Pietro il Grande", famoso anche come autore degli “Atti di Pietro il Grande”, si può annoverare tra i primissimi scritti di questo genere: un libro apologetico dedicato alla vita e attività dell’imperatore riformatore russo Pietro I.

Lo scritto di Golikov è pregevole per tanti motivi. Anche se l’autore cita Plutarco per spiegare la sua scelta del genere delle biografie parallele, ciononostante, è molto caratteristica la composizione della coppia Costantino – Pietro. Questa scelta rivela il desiderio creare un collegamento tra la tradizione della vecchia Mosca, fondata sul “bizantinismo”, e quella nuova tradizione occidentalista, che si sviluppava dai tempi di Pietro .

È interessante notare che il libro citato non era un'opera originale dello stesso Golikov, ma era stato pensato e scritto da un rappresentante del clero, l'arciprete della cattedrale Arkhangelskij di Mosca, Petr Alekseevitch, il quale, per motivi ignoti, consegnò il suo lavoro a I.I. Golikov affinché lo terminasse.

In questo libro ci sono già i primi elementi della critica storica. L’autore cautamente biasima gli scrittori cristiani, rappresentanti della storiografia ecclesiastica, trovando le loro opere troppo simili al panegirico di Costantino e, con grande circospezione, nota che anche gli scritti degli autori pagani contengono un parte di verità. Ma, dalle parole che seguono, possiamo capire che nei suddetti scritti quella parte di verità riguarda soltanto ciò che si dice a favore di Costantino.

Il conflitto di Costantino con i pagani viene direttamente paragonato alla lotta di Pietro contro “fanatici esaltati e raskolnik (scismatici)”, una denominazione che serve per tutti quei tradizionalisti che si opponevano alle innovazioni. Gli strelizzi (= la guardia, strelets) ribelli vengono equiparati agli ebrei che avrebbero cospirato contro Costantino. Per tutta la narrazione si ripete come un ritornello il ricordo della tolleranza di Costantino nei riguardi dei pagani e di quella di Pietro nei riguardi dei conservatori.

La legislazione di Costantino viene vagamente definita come “elegante”, ma dal contesto si può capire che l’autore ritiene che la sua legislazione, come quella di Pietro, esprime il principio della giustizia naturale e della razionalità.

Molto importante è il tentativo di provare che la politica ecclesiastica di Pietro ha dei diretti paralleli con la politica religiosa di Costantino.

In modo particolare l’autore sottolinea la devozione di entrambi, la loro avversione per gli eretici e la loro attività missionaria.

Tra Pietro e Costantino si stabilisce un certo legame sacrale. I.I. Golikov riferisce che, durante la battaglia di Poltava, Pietro fu colpito in petto da una pallottola che si conficcò nello scapolare, decorato con la croce, che una volta apparteneva a Costantino il Grande.

Dopo il libro di I.I. Golikov in Russia non vi sono più nuove opere dedicate a Costantino. Nel pieno della guerra contro Napoleone il 1500o anniversario dell’editto di Milano passò inosservato. Anche nei decenni successivi la Russia, rivoltasi verso l’Europa, per un certo periodo dimentica le proprie radici bizantine.

Un nuovo interesse nei confronti della personalità di Costantino fu promosso dalle accese discussioni dell’epoca tra i liberali-occidentalisti e i conservatori - “potchvennik” (= chi sta sul proprio suolo) - quando l’esame retrospettivo diventò necessario per attingere gli argomenti nelle contese verbali. In questa situazione, il nuovo interesse su Costantino e sulla sua epoca generava un’immagine notevolmente diversa da quella dipinta nel libro di I.I. Golikov.

Nella seconda metà del XIX secolo cresce la quantità di opere dedicate interamente all’attività di Costantino, oppure trattanti questa attività nel campo di un tema più vasto, per esempio, nell'ambito della storia generale dei primi anni della Chiesa o della storia di persecuzioni dei cristiani. Non possiamo confermare la tesi che: «La letteratura teologica russa è meno ricca, dal confronto con quella occidentale, di opere dedicate alla personalità di Costantino».

Tenendo conto della tardiva formazione degli studi sull'antichità in Russia come scienza (ivi compresi gli studi di carattere storico-ecclesiastico), è impressionante la quantità di opere che si riferiscono al nostro tema.

Il maggior interesse nei confronti della figura del primo imperatore cristiano si verificò in occasione del 1600o anniversario dell’editto di Milano, quando vennero pubblicati numerosi scritti in prossimità della data che otteneva un carattere politicamente impegnato. Il loro orientamento più propagandistico che scientifico non veniva celato nemmeno dagli stessi autori. Così F.A. Kurganov riconosce, che il 1600o anniversario era una “data storta” e i festeggiamenti su larga scala si facevano per contrastare quei notevoli successi del processo di distruzione delle fondamenta dell’edificio ecclesiastico-statale posti da Costantino. Successi dovuti alle forze avverse a questo ordine all’inizio del XX secolo. In particolare, F.A. Kurganov polemizza con il primo ministro P.A. Stolypin, di orientamento riformista. Kurganov dichiarava: «Bisogna tenersi ai principi di edificazione ecclesiastico-statale, stabiliti dall’imperatore Costantino il Grande» poiché «secondo essi si edificava, cresceva e si rafforzava la Russia ortodossa, ma solo secondo essi può e deve crescere e rafforzarsi». Simili idee si esponevano anche negli altri scritti fissati all’anniversario dell’editto di Milano. In questi scritti si prospetta una chiara immagine di Costantino, monarca ideale e fondatore di un perfetto sistema politico-statale.

Il primo imperatore cristiano si presenta in veste del “vescovo degli affari esteri della Chiesa”. Questa definizione significa che tutta la sua attività serviva, da una parte, per allargare l’influenza della Chiesa e, d’altra parte, serviva per organizzare tutta la vita statale e sociale nello spirito della dottrina cristiana. Si evidenzia che Costantino non costringe nessuno a professare “la fede giusta”, ma ostacola la manifestazione degli elementi che contraddicono le concezioni morali del cristiano. In questo modo egli priva della possibilità di peccare perfino a chi non è capace di accettare consapevolmente i precetti evangelici. La predica in Chiesa unita all’ordinamento legislativo della vita, in conformità agli ideali cristiani, contribuisce al trionfo completo del cristianesimo, in cui la morale e il diritto, la Chiesa e la società si uniscono inseparabili, mentre il potere acquista un carattere “familiare”, patriarcale.

Il potere non è più un qualcosa di esterno rispetto alla società, ma rappresenta un’unità organica dei “pasciuti” e del “pastore” che è il monarca in veste del governatore Divino.

Questo ordinamento mondiale viene rafforzato nella sfera spirituale dalla Chiesa e dall’imperatore cristiano nella vita pratica materiale. Costantino considera sé stesso come “Ministro del culto” (= Servitore di Dio) chiamato a realizzare nel mondo terrestre gli ideali della dottrina ecclesiastica. Questo definisce e la sua attività legislativa e la politica estera di cui la pietra angolare è il desiderio di diffondere la luce della fede cristiana più largamente possibile.

Lo stato cristiano non è semplicemente “l’impero per l’impero” oppure strumento di dominio di un gruppo di uomini sull’altro, ma è una comunità che serve a realizzare nella vita dei sommi ideali, che è predestinata non solo per eliminare i nemici di Gesù Cristo, ma per aiutare i poveri e difendere i deboli. La Chiesa e lo stato vi contribuiscono reciprocamente.

La crudeltà dell’imperatore cristiano nei riguardi degli eretici (ma non dei pagani) si ritiene inevitabile, poiché loro attentano la ragione stessa dell’esistere dello stato, la cui la giustificazione principale consiste nella verità assoluta, percepita in modo univoco e la sua completa realizzazione nella vita pratica. Questa verità va precisata, se è necessario, al concilio, ma tutta la vita dello stato deve presentare la sua rivelazione nelle circostanze concrete.

L’imperatore prende parte alla discussione al concilio, ma egli stesso ubbidisce alle decisioni del concilio.

Tante volte viene sottolineata l’umiltà di Costantino, la sua rinuncia di ingerirsi negli affari della Chiesa. Si capisce che la conversione dell’imperatore al cristianesimo viene interpretata come provvidenza Divina. Tutta la sua vita viene presentata come una vita indirizzata all’unico scopo: al trionfo della dottrina evangelica .

L’immagine morale di Costantino appare praticamente impeccabile e le testimonianze storiche di carattere opposto si smentiscono in diversi modi.

Il metodo principale per costruire il detto schema storico comprende una scelta tendenziosa delle fonti combinata ad un antistoricismo (sic!) intenzionato che emerge in grado maggiore o minore presso i diversi autori. La tradizione pagana viene ignorata solo perché pagana. La ricerca rappresenta nella maggioranza dei casi una semplice miscela di nozioni e di opinioni di Eusebio di Cesarea con alcuni commenti molto particolareggiati da parte dell'autore.

L’antistoricismo si rivela nella rinuncia di esaminare l’attività di Costantino nel contesto dell’epoca, nella tendenza chiara di non vedere la specificità dell’atmosfera psicologica del Tardo Impero Romano al confronto del periodo storico contemporaneo del ricercatore.

Risulta interessante notare che qualche volta i procedimenti metodologici descritti sopra si presentavano insufficienti, e allora la concezione storica di Eusebio veniva corretta.

Così A. Kastorskij, il quale, forse, si rendeva conto che il racconto di Eusebio sulla conversione di Costantino, avvenuta dopo la visione della croce nel cielo, tradiva alcunché della coscienza religiosa pagana dell’imperatore, e quindi, senza negare il fatto stesso della visione, nondimeno, cerca di menomarne il suo significato e, a differenza di Eusebio, non ritiene la visione della croce come fattore decisivo per la religiosità di Costantino.

 

Riassumendo quanto è stato detto a proposito descrizione dell’attività di Costantino il Grande nella storiografia russa del periodo pre-rivoluzionario e alla storia del pensiero politico-giuridico, è possibile notare che l’immagine di Costantino diventò elemento di ideologia della “monarchia cristiana” e perciò veniva presentata in modo stereotipato e unilaterale.

Ma questo potrebbe significare che le opere russe di quel periodo dedicate a Costantino siano di interesse esclusivo degli specialisti della storia delle dottrine politico-giuridiche del conservatorismo russo?

La risposta è nettamente negativa.

Qualsiasi mitologia sociale si appoggia sempre sulla preferenza nei confronti di certe fonti piuttosto che di altre. Siccome nell’opera dello storico si rivelano sempre le sue simpatie e antipatie nascoste, bisogna tenerne conto nell'utilizzare il suo lavoro. Ma allora non si può fare a meno di studiare e conoscere i limiti del paradigma del pensiero, del “campo culturale”, in cui agiva lo studioso.

Nel nostro caso le opere ideologizzate dedicate a Costantino, con la loro illimitata fiducia alla tradizione della Chiesa servirono da buon contrappeso alla storiografia occidentale ipercritica, la quale in quel periodo ripudiò completamente la suddetta tradizione.