N° 2 - Marzo 2003 – Strumenti - Rassegne

 

Diritto Romano

 

Nota su Pietro Bonfante (1864-1932)

 

di Francesco Sini

 

 

 

            Pubblicato in Pietro Bonfante, Memoria per la Siria e per Faysal re di Siria, a cura di Francesco Castro, con una nota di Francesco Sini, (Isprom/testi e documenti mediterranei 1), Cagliari 1994, pp. XI-XX.

 

 

 

1.       A distanza di quasi sessant’anni dalla stesura della memoria inedita che qui si pubblica, il ricordo della passione civile e dello scrupolo documentario con cui Pietro Bonfante aveva atteso a quel compito restava ancora vivo nella mente del figlio Giuliano. Egli ne offre una significativa testimonianza in una breve nota dal titolo Il pensiero politico di mio padre, scritta per confutare l’epiteto di «nazionalista» con cui l’ignoto estensore della voce Bonfante Pietro per il Dizionario biografico degli Italiani aveva qualificato appunto Pietro Bonfante: «Mio padre fu sempre avverso al colonialismo, almeno nelle sue forme più dure e crudeli. Mi raccontava con orrore certe stragi compiute con efferatezza pari all’abilità dai Francesi in Siria. Mi à lasciato del resto il testo manoscritto di un lungo parere in difesa del re àrabo Feisal contro i Francesi davanti alla Società delle Nazioni».

         Nel momento in cui riceveva quest’incarico da re Faysal, quasi per certo su indicazione di Vittorio Scialoja, Pietro Bonfante, cattedratico nell’Università di Roma e profondissimo conoscitore di ogni ramo del diritto _ quantunque il suo campo di interesse si incentrasse principalmente sugli studi di diritto romano _, era considerato ormai, non senza ragione, uno degli esponenti più significativi della cultura giuridica italiana. Ma, al di là della stima per il suo allievo più illustre, potrebbe aver motivato l’indicazione dello Scialoja soprattutto il fervore convinto con cui Pietro Bonfante andava sostenendo, in quei primi anni del suo trasferimento a Roma, l’opportunità di introdurre negli studi giuridici i diritti orientali: lo troviamo, così, ad essere fra i massimi sostenitori del progetto per la creazione della Sezione giuridica della Scuola orientale, annessa alla Facoltà di Giurisprudenza; e fra i principali artefici, nel 1919, della chiamata per chiara fama alla cattedra di Diritti dell’Oriente mediterraneo della Facoltà giuridica romana di un altro allievo dello Scialoja, Evaristo Carusi (1866-1940). Per quanto, com’è noto, proprio sulla produzione orientalistica del Carusi (il quale al tempo della guerra di Libia «scoprì – scrive Mario Talamanca – l’Islam, il mondo e i diritti orientali, venendo ad elaborare sugli stessi dottrine prive di qualsiasi fondamento») si appuntassero le maggiori obiezioni e le critiche più fondate degli specialisti; come avrebbe ben evidenziato qualche anno dopo la chiamata romana, con la competenza che gli era propria, l’insigne orientalista Carlo Alfonso Nallino (1872-1938).

 

2.       Pietro Bonfante si era laureato in giurisprudenza nell’Università di Roma all’età di ventitré anni (7 luglio 1887), discutendo una tesi sulla distinzione tra le res mancipi e le res nec mancipi: un tema _ come ha rilevato Emilio Albertario nel necrologio dedicato al Maestro _ di difficilissimo approccio per una dissertazione di laurea: «Nessun altro studio poteva essere più sconsigliato e giudicato infecondo di quello che avesse riesaminato ancora una volta la distinzione tra le res mancipi e le res nec mancipi». Invece, da tale ricerca egli ricaverà il suo primo importante lavoro, che venne pubblicato a Roma in due distinti volumi, nel 1888 e nel 1889, con il titolo: ‘Res mancipi’ e ‘nec mancipi’.

         In quegli anni iniziò il suo insegnamento di materie romanistiche nell’Università di Camerino (1888-1889) per trasferirsi l’anno successivo nell’Università di Macerata in qualità di professore di Istituzioni di diritto romano. Ricoprirà lo stesso insegnamento per alcuni anni (1891-1894) nell’Università di Messina; mentre dal 1894 al 1901 insegnerà nell’Università di Parma, per passare poi (1901-1904) nell’Università di Torino. Seguirà il lungo periodo di permanenza nella cattedra di Diritto romano dell’Ateneo di Pavia, dove era stato designato a succedere al grande Contardo Ferrini. Finalmente, nel 1917, la chiamata a Roma, nella cui Facoltà di Giurisprudenza egli terrà il suo insegnamento fino alla morte. Inoltre, a partire dal 1906, aveva cominciato ad insegnare presso l’Università Bocconi (ne fu anche rettore nell’anno accademico 1915-1916) tenendovi corsi di Storia del commercio.

         Col passare degli anni, si fanno sempre più numerosi e importanti i riconoscimenti del prestigio scientifico di Pietro Bonfante: socio ordinario dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere; socio nazionale dell’Accademia dei Lincei; socio dell’Accademia delle Scienze di Torino, di quella di Bologna e della Pontaniana di Napoli; vicepresidente della Accademia d’Italia per la Classe di Scienze Morali e Storiche; componente per vari anni del Consiglio Superiore dell’Istruzione Pubblica; presidente della Società italiana per il progresso delle scienze; presidente dell’Associazione nazionale dei professori universitari; vicepresidente dell’Istituto di studi legislativi; autorevole componente della Commissione per la riforma dei Codici; nonché del Consiglio direttivo dell’Enciclopedia italiana, diretta da Giovanni Gentile. Infine, mette conto ricordare che Pietro Bonfante fu insignito della laurea honoris causa” dalle Università di Parigi, Varsavia e Vilnius.

         Ma, il segno più evidente della sua indiscussa autorità scientifica è costituito dalla folta schiera di romanisti insigni che si formò alla sua scuola: Giovanni Rotondi, Guglielmo Castelli, Pietro de Francisci, Emilio Albertario, Edoardo Volterra, Giuseppe Branca, Paolo Frezza e i molti altri che ancora si potrebbero citare.

 

3.        La produzione scientifica di Pietro Bonfante è di una vastità a dir poco imponente. Nel 1896 pubblicò a Firenze il suo manuale di Istituzioni di diritto romano: un manuale concepito per la scuola, ma che realizzava nell’esposizione fortemente innovativa una fusione quasi perfetta tra la costruzione dogmatica e lo svolgimento storico degli istituti giuridici. Immediatamente dopo la sua pubblicazione, ad un recensore severo come Silvio Perozzi non sfuggì questa originalità d’impostazione: «non ricorda nessun altro lavoro italiano o straniero d’istituzioni o di pandette»; né l’importanza dell’opera per la romanistica italiana: «Tra noi dall’imitazione straniera si emancipò prima l’articolo; questo libro direbbe che si è emancipato anche il trattato». L’opera ebbe un gran numero di edizioni e fu tradotta in diverse lingue straniere (olandese, estone, ceco, spagnolo). Sempre a Firenze, nel 1900, il Bonfante pubblicava un volume di sintesi intitolato Diritto romano, «l’opera più originale e poderosa nella sua meravigliosa unità» (de Francisci), che pur nella sua brevità appariva «denso e pieno di spirito» a Vittorio Scialoja, e che per Edoardo Volterra costituiva «una geniale sintesi in cui è tratteggiata l’evoluzione del diritto romano». Seguì ad appena tre anni di distanza la prima edizione della sua Storia del diritto romano (Milano 1903), «con la quale egli si cimentava in un lavoro pionieristico, e destinata ad una durevole fortuna nei nostri Atenei» (Capogrossi Colognesi); «lavoro che forse meglio di ogni altro rivela la forza del pensiero e la vastità dei campi su cui spaziava il Bonfante» (Volterra).

         Per il Bonfante una storia del diritto doveva necessariamente rappresentare «nel campo delle scienze giuridiche l’indirizzo positivo e sperimentale, che domina il pensiero speculativo moderno»; in quanto, a suo avviso, soltanto dalla storia («intesa quale una scienza naturalistica, non una disciplina letteraria») poteva emergere «Il carattere organico e vivo degli istituti di diritto, il sentimento delle loro finalità». Dunque, per queste ragioni, scriveva il Bonfante nella Prefazione dell’Autore: «la storia del diritto romano sovrasta e s’impone per la sua grandiosa unità e continuità, per l’armonica corrispondenza di tutti gli istituti pubblici e privati, per la lunga catena di secoli, di cui ci è dato ricongiungere le anella col sussidio di fonti ricche e sicure».

         In seguito, a partire dal 1916, la raccolta della vasta massa di studi minori in quattro volumi di Scritti giuridici varii contribuì a che i suoi lavori e le sue teorie godessero di una larghissima diffusione, anche fuori dall’Italia: nel 1916 fu pubblicato a Torino il primo volume (Famiglia e successione) dedicato al diritto familiare e alle successioni; sempre a Torino, apparvero nel 1918 il secondo volume (Proprietà e servitù), in cui si ripubblicava, fra l’altro, con modifiche sostanziali il saggio giovanile sulle Res mancipi, e nel 1921 il terzo (Obbligazioni e possesso), in cui sono raccolti i numerosi saggi dedicati alle obbligazioni, alla comunione ed al possesso; fu invece stampato a Roma, nel 1925, il quarto volume (Studi generali) dal contenuto più eterogeneo: saggi di carattere metodologico, contributi attinenti al diritto positivo, interventi sull’Università o su problemi politici più generali. Dei circa centosessanta articoli vari e monografie scritti dal Bonfante, che costituiscono in alcuni casi esposizioni compiute di istituti giuridici, ben centotredici sono state raccolte nei quattro volumi degli scritti giuridici.

         Infine, il Bonfante si risolse di intraprendere la composizione della sua opera di maggiore respiro sistematico, rimasta purtroppo incompiuta: intendo riferirmi al trattato monumentale, intitolato assai modestamente Corso di diritto romano, che di fatto «pone la sua opera ad un livello mai precedentemente raggiunto (e non più, forse, raggiungibile) nella tradizione romanistica italiana» (Capogrossi Colognesi). Il primo volume del Corso, sul Diritto di famiglia, comparve nel 1925; ad esso seguirono tra il 1926 e 1928 altri due volumi su La proprietà (II,1 - II,2); infine nel 1930 fu pubblicato dal Bonfante il sesto volume dedicato a trattare Le successioni (Parte generale); doveva poi uscire postumo, nel 1933, il terzo volume (Diritti reali) sui diritti reali e sul possesso, lasciato incompiuto dal Maestro e completato per la stampa da uno dei suoi ultimi allievi, Edoardo Volterra.

         Altri lavori del Bonfante meritano di essere ancora citati: le Lezioni di storia del commercio (due volumi, Roma 1924-1925); la edizione critica dei Digesta Iustiniani Augusti, in collaborazione con Scialoja, Fadda, Ferrini, Riccobono; le Note al diritto delle Pandette del Windscheid, in collaborazione col Maroi; le Appendici alla traduzione italiana del Trattato di diritto civile del Baudry-Lacantinerie (vol. I e II: Dei beni e delle successioni); le Note e Appendici alla traduzione italiana del Glück. Vanno inoltre ricordati i suoi corsi universitari non rielaborati nel Corso di diritto romano, come ad esempio: Teoria del possesso e degli istituti possessori (Pavia 1905-1906), Delle obbligazioni (Pavia 1906-1907), Le obbligazioni (Pavia 1912), Lucri a causa di morte (Pavia 1914-1915) e ancora Le obbligazioni (Roma 1918-1919).

         Notevole fu anche la sua attività di traduttore. Sono dovute, infatti, all’infaticabile opera di Pietro Bonfante le traduzioni in lingua italiana di alcune opere fondamentali della cultura giuridica tedesca contemporanea: il Disegno del diritto pubblico romano di Theodor Mommsen (Milano 1907); la Giurisprudenza etnologica di A. Hermann Post, in collaborazione con Carlo Longo (I, Milano 1906 - II, Milano 1908); i libri VI, XIV, XV, XXI, XXIV, XXIX, parte 1a e 2a, XXXIX parte 1a 2a e 3a del Commentario alle Pandette del Glück (per i quali, come si è detto, scrisse anche numerose note ed appendici); i volumi IV e V del Diritto delle Pandette del Windscheid, opera di cui avevano iniziato la traduzione C. Fadda e P. E. Bensa, completata in collaborazione con Fulvio Maroi (Torino 1926).

 

4.       Pochi altri studiosi sono stati consapevoli al pari del Bonfante del fatto che lo studio del diritto non deve essere isolato dalle altre manifestazioni della vita sociale: era per lui inconcepibile indagare su di un determinato ordinamento giuridico, senza ricostruire complessivamente l’evoluzione della vita del popolo che tale ordinamento aveva espresso. Nella sua ricerca non considerava mai un istituto giuridico in maniera isolata, bensì come un prodotto di un sistema economico-sociale determinato, al quale bisognava risalire per trarre tutti gli elementi indispensabili alla ricostruzione compiuta dello stesso istituto.

         Fin dai suoi primi lavori, il Bonfante applicò alla storia del diritto idee e principi propri della biologia, con un metodo di ricerca che egli chiamò «naturalistico» e a cui diede formulazione teorica nella celebre prolusione (Il metodo naturalistico nella storia del diritto) al corso di Storia del diritto romano, tenuta nell’Università di Roma il 20 gennaio 1917: «Il movimento degli istituti giuridici è un perenne adattamento della struttura a nuove funzioni.[…] vieti istituti periscono per il cessare delle funzioni ch’essi adempivano e nuove funzioni possono dar vita a nuovi istituti: istituti di origine straniera possono esser trasportati in un nuovo ambiente sociale, adattandosi ed acclimatandosi in esso. Tuttavia il principio fondamentale, secondo cui nell’andamento normale delle cose procede l’evoluzione, consiste nell’adattamento di vecchi istituti a funzioni nuove. L’evoluzione naturale quando è lasciata a se stessa, procede economicamente, si vale di quel che esiste, accomodando via via i vecchi elementi a nuovi fini».

         Di Pietro Bonfante risultano, ancora oggi, fondamentali le indagini sulla familia romana, della quale ha dimostrato l’originario carattere di organismo politico. Così, grazie ai suoi studi, sono stati risolti molteplici problemi che avevano travagliato la storiografia romanistica: valga per tutti la definizione del ruolo dell’antico pater familias, la cui somma di diritti potestativi e reali egli inquadrava nel concetto unificante di “potere sovrano”, sul quale si sarebbero modellati sia i rapporti fra i vari membri della familia, sia il regime della proprietà romana, la cui originaria corrispondenza con la sovranità del gruppo familiare chiariva molti requisiti, apparentemente incongrui, del dominium ex iure Quiritium.

         Gli studi del Bonfante sono illuminanti anche per quanto riguarda l’origine della successione ereditaria romana, in età storica ormai semplice successione patrimoniale. Ma considerando soltanto l’ordinamento meramente patrimoniale dell’istituto, non si sarebbero trovate sufficienti ragioni per giustificare la vigenza di alcuni dei principi che ne stavano alla base; conseguiva da tutto ciò, per il Bonfante, uno stretto rapporto causale tra il carattere politico della famiglia quiritaria e la successione ereditaria romana primitiva: nel senso che questa sarebbe consistita principalmente nella successione alla sovranità del gruppo familiare per designazione diretta da parte del pater, il quale in tal modo avrebbe disposto anche in merito all’aspetto patrimoniale della successione. Nella prospettiva bonfantiana, dunque, la successione per testamento precederebbe storicamente la successione legittima.

         La ricostruzione dell’antica famiglia romana come organismo politico consentì, inoltre, al Bonfante di prospettare la famosa tesi relativa al «parallelismo del diritto pubblico e del diritto privato in Roma». Come è noto, tale tesi, formulata dallo studioso fin dal 1902, in uno dei suoi saggi più penetranti per riflessione teorica (La progressiva diversificazione del diritto pubblico e privato), muoveva dall’idea che nella Roma delle origini vi fosse una omogeneità sostanziale delle forme del diritto pubblico e del diritto privato e «permetteva di proporre l’intera vicenda dell’ordinamento giuridico romano come la storia della progressiva diversificazione dei due settori» (Capogrossi Colognesi).

         Nel breve spazio riservato a questa nota, non sarebbe certo possibile dar conto in maniera compiuta delle teorie e dei risultati conseguiti dal Bonfante applicando la sua visione naturalistica del diritto. Basterà avervi fatto qualche breve cenno, da cui spero sia stato possibile cogliere l’originalità e la raffinata complessità del suo pensiero.

          Anche per questa ragione, non può che considerarsi impresa altamente meritoria sul piano scientifico, quella intrapresa da Giuliano Bonfante e da Giuliano Crifò: i quali, a partire dal 1958, hanno curato con pietà filiale e devota la riedizione delle Opere complete di Pietro Bonfante, per i tipi della Casa Editrice Giuffrè. E proprio alla loro riedizione delle opere complete dobbiamo un rinnovato interesse per le teorie bonfantiane e la ammirata constatazione che, a distanza di molti anni dalla scomparsa del Maestro, gli scritti del Bonfante «si presentano tuttora vivi e fecondi non solo per lo studio del diritto romano, degli altri diritti antichi e della storia antica, ma anche della storia in generale e della filologia (non solo classica); essi anzi, pur dopo molti decenni, rappresentano ancora oggi il fondamento per la discussione di problemi capitali» (Tibiletti).

 

5.       Si è già detto che l’incarico di stendere una memoria «per Faysal re di Siria», destinata alla Società delle Nazioni, fu conferito al Bonfante, che allora «era anche delegato italiano al Congresso Internazionale di Milano per deliberare circa le attribuzioni della Società delle Nazioni» (Castro), su indicazione di Vittorio Scialoja. Forse l’incarico istituzionale del Bonfante ebbe un qualche peso nella sua designazione da parte di re Faysal; non direi che ne abbia avuto per lo Scialoja, poiché egli sapeva troppo bene quanto gli interessi scientifici e gli orientamenti culturali rendessero il suo illustre allievo particolarmente adatto a sostenere, magistralmente, «il buon diritto del popolo arabo».

         Gli interessi del Bonfante per i diritti dell’Oriente mediterraneo, considerati come «ampliamenti di orizzonte della sua stessa disciplina» (Capogrossi Colognesi), datavano ormai da qualche decennio; da quando, cioè, le scoperte archeologiche avevano riportato alla luce importanti documenti giuridici delle antiche civiltà mesopotamiche, come il famoso codice di Hammurabi, di cui lo studioso aveva pubblicato la traduzione italiana, preceduta da una prefazione piena di elogi («questa legge di Hammurabi non è primitiva se non per la data. Essa ci offre dinanzi una matura e splendida civiltà, di fronte alla quale il tipo arcaico delle XII Tavole risalta ancora più vivo. […] tutto rivela una società ordinata, culta, fiorente di arti e degli agi della civiltà»); ma anche molto cauta nella comparazione con l’esperienza giuridica romana («Notiamo in particolare alcune caratteristiche schiettamente orientali che spiccano in questo codice, specialmente in antitesi al tipo giuridico latino»).

         Per di più, come rileva il Capogrossi Colognesi, «l’orizzonte indoeuropeo non è mai diventato in Bonfante – neppure nei suoi anni giovanili quando esso era maggiormente presente all’attenzione sua e dei suoi contemporanei – una gabbia entro cui confinare il suo comparativismo». Anzi, in una delle sue opere più mature, la Storia del diritto romano, aveva scritto pagine di vibrante intensità, volte a confutare la pretesa unità etnica degli Arii, e ad evidenziare la pericolosità di una storiografia in cui «Il problema delle lingue si confondeva con quello delle razze»; ironizzando, fra l’altro, pesantemente («una ondata di follia») contro la teoria germanistica, che identificava «la razza ariana con la razza dolico-bionda, e il pregiudizio della superiorità aria si innestò in un più fantastico e gratuito pregiudizio: la superiorità dei biondi». Di fronte all’inconsistente unità etnica ariana, il Bonfante tendeva a valorizzare le evidenze di tradizioni antiche e scavi archeologici, che attestavano concordemente «l’esistenza di una florida civiltà su tutte le sponde del Mediterraneo, anteriormente alla comparsa degli Arii, comune alle popolazioni pre-arie dell’Europa meridionale e dell’Africa settentrionale sino ai confini dell’Egitto».

         Per quanto riguarda la difesa degli Arabi, va dato atto al Bonfante di non aver disatteso le aspettative che erano state riposte in lui. Infatti, nella memoria troviamo esposte tutte le possibili ragioni storiche, morali e di diritto internazionali a favore della causa araba; sviluppate con una profondissima competenza storico-giuridica e con un notevole vigore argomentativo.

         Per quanto riguarda le ragioni storiche (e solo a queste posso qui accennare), esse si sostanziavano per il Bonfante nel grande contributo culturale del popolo arabo («nell’era del suo splendore ha dato al mondo una civiltà ricca e di carattere altrettanto universale quanto la civiltà greca e romana»), che ha rappresentato a tutti gli effetti una delle componenti essenziali della civiltà occidentale («Il medio evo più antico che dal VII secolo va fino al 1000 può chiamarsi nella storia del mondo l’epoca araba, come l’evo antico si chiama epoca greco-romana»).

         Tali ragioni avrebbero dovuto, assieme alle altre più squisitamente politiche e giuridiche, superare infine le motivazioni (politiche) che inducevano le potenze dell’Intesa a non riconoscere validità alle convenzioni anglo-arabe. Queste erano, a parere del Bonfante, sostanzialmente di due specie: «Da un lato il pregiudizio europeo pel quale un popolo asiatico inconsciamente non è collocato allo stesso livello di un popolo europeo, dall’altro la posizione della Francia, che per le sue antiche aspirazioni in Siria, era rimasta estranea alla convenzione conclusa con l’Inghilterra». Si trattava, quindi, di rimuovere in sede internazionale questi due motivi, «deplorevolissimi entrambi»; ma dei quali il primo sembrava particolarmente odioso, in quanto sarebbe stata una vera e propria assurdità della storia «considerare estraneo alla civiltà un popolo dell’Asia mediterranea, che ha contribuito con elementi essenziali in epoche diverse alla creazione della civiltà europea».

         Queste argomentazioni, del resto, racchiudono convincimenti profondi che Pietro Bonfante aveva manifestato anche in alcune delle sue opere scientifiche: espressioni compiute di una ricerca storica che si è mossa costantemente nel grande campo «della nostra civiltà, che potremo dire, secondo il punto di vista, occidentale o europea o anche mediterranea, guardando al suo centro antico di formazione» (Lezioni di storia del commercio). E proprio nelle Lezioni di storia del commercio possiamo leggere una valutazione dell’apporto degli Arabi alla civiltà mediterranea sostanzialmente simile a quelle della “memoria”: «nessun popolo ha propagato in così piccolo spazio di tempo gli elementi più rari di tutte le civiltà, Per talento commerciale e per la missione storica gli Arabi richiamano molto dappresso i Fenici ed in genere le civiltà semitiche».

         Per concludere, sempre dalle Lezioni di storia del commercio, vorrei ricordare una previsione del Bonfante sullo sviluppo economico mondiale, ennesima conferma dell’acutezza del suo pensiero: «Il fatale cammino della storia si rappresenta, com’è chiaro, anche sulla carta della terra, e segue precisamente il cammino del sole da oriente a occidente. Dalle sue prime sedi sulle rive dell’Eufrate e del Tigri, il centro della vita economica passa al Mediterraneo e prima al Mediterraneo orientale, quindi a tutto questo classico mare. Sulla fine del Medio Evo prosegue il suo cammino per l’Atlantico, prima sulle rive orientali ed europee, poi sulle rive occidentali in America. L’avvenire ci dirà se il futuro campo delle lotte diverrà effettivamente, come pare accenni, l’Oceano Pacifico e l’Oceano Indiano».

         Ma forse il Maestro, mai, avrebbe osato pensare che gli studenti del più grande popolo del nostro tempo, il popolo cinese, avrebbero letto – come oggi leggono – le sue Istituzioni di diritto romano nella loro lingua (Edizioni dell’Università della Cina di Scienze Politiche e Giurisprudenza, Pechino 1993)[1].

 

 

 

 

 

 

bibliografia

 

-          S. Perozzi, recens. a P. Bonfante, Istituzioni di diritto romano, in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 9, 1896, pp. 205 ss.[= Id., Scritti giuridici, III, a cura di U. Brasiello, Milano 1948, pp. 667 ss.];

 

-          V. Scialoja, Un maestro: Pietro Bonfante, in L’illustrazione italiana, 22 gennaio 1933, p. 126 [= Id., Scritti giuridici, II, Diritto romano, seconda parte, Roma 1934, pp. 307 ss.];

 

-          E. Albertario, Pietro Bonfante, in Archivio Giuridico “Filippo Serafini” 109, 1933, pp. 5 ss.;

 

-          G. Bortolucci, Pietro Bonfante, in Bullettino dell’Istituto di Diritto Romano 41, 1933, pp. III ss.;

 

-          F. Maroi, Pietro Bonfante, in Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto, 1933 [= Id., Scritti giuridici, II, Milano 1956, pp. 497 ss.];

 

-          P. de Francisci, Commemorazione di Pietro Bonfante e celebrazione del centenario giustinianeo, in Per il XIV centenario della codificazione giustinianea. Studi di diritto pubblicati dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pavia, a cura di P. Ciapessoni, Pavia 1934, pp. XXXVII ss.;

-          E. Volterra, Pietro Bonfante, in Genus 2, 1937, pp. 371 ss.;

 

-          F. P. Gabrieli, v. Bonfante Pietro, in Nuovo Digesto Italiano, II, Torino 1937, pp. 474 s.;

 

-          E. Albertario, Prefazione in P. Bonfante, Istituzioni di diritto romano, X edizione, Torino 1946 [Ristampa corretta a cura di G. Bonfante e di G. Crifò, Milano 1987, pp. IX ss.];

 

-          P. Voci, Esame delle tesi del Bonfante su la famiglia romana arcaica, in Studi in onore di V. Arangio Ruiz, I, Napoli 1952, pp. 101 ss. [= Id., Scritti di diritto romano, I, Padova 1985, pp. 147 ss.];

 

-          E. Betti, Ancora in difesa della congettura del Bonfante sulla “familia” romana arcaica, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 18, 1952, pp 241 ss.;

 

-          P. Voci, Qualche osservazione sulla famiglia romana arcaica, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 19, 1953, pp. 307 ss. [= Id., Scritti di diritto romano, I, Padova 1985, pp. 197 ss.];

 

-          F. P. Gabrieli, v. Bonfante Pietro, in Novissimo Digesto Italiano, II, Torino 1958, pp. 500 s.;

 

-          E. Betti, Pietro Bonfante. Prefazione alla ristampa della IV edizione della Storia del diritto romano in P. Bonfante, Storia del diritto romano, I, [Opere complete di Pietro Bonfante, I] Ristampa della IV ediz. riveduta dall’Autore, a cura di G. Bonfante e G. Crifò, Milano 1959, pp. VII ss.;

 

-          M. Bretone, Il «naturalismo» del Bonfante e la critica idealistica, in Labeo 5, 1959, pp. 275 ss.;

 

-          F. Casavola, Cronaca di una Storia del diritto romano, in Labeo 5, 1959, pp. 305 ss.;

 

-          P. Frezza, A proposito della riedizione delle ‘Opere’ di Pietro Bonfante, in Studia et Documenta Historiae et Iuris 25, 1959, pp. 371 ss.;

 

-          G. Tibiletti, Sull’opera di Pietro Bonfante, in Rendiconti dell’Istituto Lombardo, Classe di Lettere, 103, 1969, pp. 287 ss.;

 

-          L. Capogrossi Colognesi, La struttura della proprietà e la formazione dei «iura praediorum» nell'età repubblicana, I, Milano 1969, pp. 74 ss.;

 

-          Anonimo, v. Bonfante, Pietro, in Dizionario Biografico degli Italiani, XII, 1970, pp. 7 ss.;

 

-          G. Crifò, Nota introduttiva, in P. Bonfante, Diritto romano, [Opere complete di Pietro Bonfante, IX] Ristampa corretta della I edizione (Firenze 1900), a cura di G. Bonfante e di G. Crifò, Milano 1976, pp. 3 ss.;

 

-          G. Bonfante, Il pensiero politico di mio padre, in Intervento 37, 1979, pp. 31 ss.;

 

-          G. Bonfante, Nota introduttiva, in P. Bonfante, Lezioni di storia del commercio, I. Era antica (mediterranea), [Opere complete di Pietro Bonfante, XI] Edizione riveduta e corretta a cura di G. Bonfante e di G. Crifò, Milano 1982, pp. V ss.;

 

-          R. Orestano, Prologo, in P. Bonfante, Lezioni di filosofia del diritto, a cura di G. Crifò, Milano 1986, pp. VII-XII;

 

-          G. Crifò, «Un libro, che serve poco ai piccoli, ma giova moltissimo ai grandi», in P. Bonfante, Istituzioni di diritto romano, [Opere complete di Pietro Bonfante, X] Ristampa corretta della X ediz. a cura di G. Bonfante e di G. Crifò, Milano 1987, pp. XXI ss;

 

-          L. Capogrossi Colognesi, A cent’anni dalle ‘Res mancipi’ di Pietro Bonfante, in Quaderni fiorentini per la Storia del pensiero giuridico moderno 17, 1988, pp. 111 ss.;

 

-          G. Crifò, Bonfante a Betti (una lettera del 1927), in Quaderni fiorentini per la Storia del pensiero giuridico moderno 17, 1988, pp. 507 ss.;

 

-          M. Talamanca, Un secolo di "Bullettino", in Bullettino dell'Istituto di Diritto Romano “Vittorio Scialoja” 91, 1988 [ma 1992], pp. IX ss.;

 

-          L. Capogrossi Colognesi, Il modello di Stato e di famiglia nella storiografia dell’800, Roma 1994, pp. 165 ss. [Un romanista italiano di fine secolo: Pietro Bonfante].

 

 

 

 



 

[1] L’edizione cinese dell’opera del Bonfante (traduzione di Huang Feng, con una “Nota introduttiva” di S. Schipani) è stata pubblicata dall’Università della Cina di Scienze Politiche e Giurisprudenza, nel quadro dell’accordo di collaborazione con il Gruppo di ricerca sulla diffusione del diritto romano, con il Consiglio Nazionale delle Ricerche e con l’Università di Roma “Tor Vergata”.